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Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com N. 5 15/21 GIUGNO 2009 a cura di Guida al Diritto ANTEPRIMA EDITORIALE. Attività di investigazione fortemente indebolite da modifiche palesi e occulte alle intercettazioni di Pietro Grasso e Alberto Cisterna pag. 2 ONLINE di Sara Menafra pag. 8 Distruzione dei dossier illeciti nel rispetto del contraddittorio da Guida al Diritto on line pag. 8 Ai notai non può sfuggire la condizione del fallito di Angelo Busani pag. 16 Corte di Cassazione, sez. III, civ., sentenza 19.05.2009 n. 11569 pag. 17 LE SENTENZE DEL GIORNO. Famiglia e Minori Non è sottrazione riportare in Italia il figlio che ha soggiornato all’estero Corte di Cassazione Sezione I civile Sentenza 16 giugno 2009 n. 13936 pag. 3 L’intercettazione esterna entra nell’iter disciplinare di Giovanni Parente Corte di Cassazione, sez. U.,civ., sentenza 29.05.2009 n. 12717 LE SENTENZE DEL GIORNO. Difensore Esame e studio delle udienze non retribuiti se di mero rinvio Corte di Cassazione Sezione IV penale Sentenza 10 giugno 2009 n. 23889 Determinazione dell’imponibile per il patrocinio a spese dello Stato Risoluzione Agenzia delle Entrate 15 giugno 2009 n. 159/E pag. 27 IN PRIMO PIANO. Avvocati La formazione del futuro nel documento del Cnf pag. 4 pag. 5 pag. 19 pag. 20 AVVOCATI24. Venture Philanthropy: tra Venture Capital Sociale e Filantropia di Ventura di Antonio Cuonzo pag. 27 a cura di Lex24 PROFESSIONISTI24. Management/AMMINISTRATORI Contro la condotta dell’amministratore infedele il socio può proporre querela pag. 28 ORDINAMENTO: GIUDICI DI PACE da Speciale Riforma processo civile I giudici di pace fanno i conti con 1,4 milioni di liti arretrate di Cristiana Gamba pag. 5 Giudici di pace in affanno di Sara Menafra pag. 6 Il vero nodo sono gli uffici di Sara Menafra pag. 7 Pesa il reato di clandestinità di Sara Menafra pag. 7 Processo digitale più aperto Newsletter n. 5 22 giugno 2009 IL MERITO ONLINE Tribunale di Bologna 28.04.2009, n. 1005 Penale Reati contro il patrimonio pag. 29 DOCUMENTAZIONE Da Repertorio24 pag. 29 Gazzetta Ufficiale pag. 30 Lavori parlamentari pag. 31 1 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com a cura di Guida al Diritto Il Sole 24 Ore Guida al Diritto 20 giugno 2009, n. 26 Pagina 11 Attività di investigazione fortemente indebolite da modifiche palesi e occulte alle intercettazioni di Piero Grasso e Alberto Cisterna Procuratore e sostituto alla Procura nazionale Antimafia Si dice che l’Italia detenga il primato nel numero di intercetta zioni eseguite, ma questo non vuol dire che in altre democra zie si rinunci a praticare massicce captazioni, solo che altrove esse avvengono al di fuori di ogni controllo giudiziario e senza alcun censimento statistico. È notorio che le intercettazioni costituiscono da anni lo strumento privilegiato dell’arsenale investigativo di molte procure e le ragioni di tale situazione sono molteplici; tra esse lo stato scoraggiante della collabora zione dei cittadini in un paese tormentato da decenni di violenza, non solo mafiosa e terroristica, e da una congenita incertezza della pena. Intercettare È innegabile che la trama originaria del codice di rito inserisca le captazioni tra gli ordinari strumenti investi gativi (al pari di sommarie informazioni, perquisizioni ecc.) senza particolare enfasi. L’intercettazione è, soltanto, uno dei mezzi di ricerca della prova attraverso i quali «il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati» (articolo 330) e provvedono alla «prosecuzione delle indagini» (articolo 266 vigente). La riforma in discussione altera, tutta via, questa scansione nella parte in cui esige che per intrapren dere attività captative siano necessari a carico degli indagati «evidenti indizi di colpevolezza» (articolo 267, comma 1). In questo modo l’intercettazione, l’acquisizione di un tabulato o una semplice videoripresa smarriscono la loro natura di atti tipici d’indagine, per essere postergati al livello di mere opera zioni di riscontro di una responsabilità che si assume in qual che modo già dimostrata. Il processo penale prevede un inda gato e, quindi, l’attivazione a cura del Pm di una sequela investigativa soggettivamente orientata; il Ddl atto Senato 1611 sostituisce alla figura dell’indagato quella di un soggetto raggiunto da un’evidenza indiziaria confluente addirittura ver so la colpevolezza e individua in questa inedita cifra probatoria il punto di partenza per l’ulteriore prosieguo delle indagini. A prescindere da rilievi semantici o gnoseologici, appare di per sé discutibile la scelta di assegnare il connotato dell’evidenza a un materiale probatorio, l’indizio appunto, che per definizione è provvisto di un coefficiente di genericità ed equivocità, desti nato a dipanarsi solo a conclusione di un complesso iter valutativo. L’attributo dell’evidenza, fosse solo per l’inattesa novità, spiana la strada a valutazioni giudiziarie estremamente 2 oscillanti, con un’ulteriore compromissione della certezza del diritto. Per giunta l’attivazione delle intercettazioni nei proce dimenti per delitti “ordinari” (violenze sessuali, rapine, omicidi consumati e tentati, bancarotte, usure ecc.) è subordinata alla circostanza che gli indizi evidenti non consistano nei «soli contenuti di conversazioni intercettate nel medesimo procedi mento », e sarà facile assistere all’irragionevole sortilegio per cui quelle registrazioni si potranno addurre in giudizio come prova della responsabilità penale dell’indagato, ma non saran no utili per svolgere a suo carico tutte le operazioni di cui all’articolo 266 (inclusi tabulati e riprese). Doppio binario La traslazione delle intercettazioni verso l’area della ricerca della notizia di reato si è compiuta in molti lustri e ne ha sicura mente alterato la mera funzione probato ria. È una diversione che si è resa indispensabile nel settore della criminalità mafiosa e terroristica ove è problematica la stessa emersione dei fatti di reato perpetrati dalle organizza zioni: in molte zone la cifra dei delitti silenti è ancora troppo alta (basti pensare a usure ed estorsioni). È bene precisare che l’instaurarsi di queste pratiche investigative è stata agevolata, se non imposta, da precise scelte del legislatore (ad esempio, l’articolo 13 del Dl 152/1991 in materia di criminalità organiz zata); dall’urgenza di contrastare gravi fenomeni delinquenziali (ad esempio, il massiccio ricorso all’articolo 295 per le latitan ze di mafia); dall’impressionante evoluzione tecnologica delle telecomunicazioni che ha consentito inattese acquisizioni pro batorie (le cosiddette digital evidence, il pedinamento a mezzo Gps o l’intercettazione di email). Si assume che le modifiche previste dal Ddl atto Senato 1611 lasciano inalterata la cornice normativa per questi serious crimes, anche quando siano a carico di ignoti e quindi non condizioneranno l’agibilità investi gativa dello strumento. Certo la conservazione della formula «sufficienti indizi di reato», mutuata dall’abrogando articolo 13 Dl 152/1991, rassicura in ordine allo start up delle intercetta zioni per fatti di mafia o terrorismo, ma le criticità si annidano in altri snodi del testo approvato. Ad esempio è ben noto che le metodiche investigative prevedono che il Pm curi, nell’ambi to di attività antimafia ad ampio raggio, una progressiva sele zione del materiale probatorio attraverso la formazione di separati fascicoli in cui convoglia i risultati delle captazioni (il cosiddetto stralcio). Il nuovo conio dell’articolo 268, comma 6bis commina il divieto di procedere a questa indispensabile operazione di buon governo delle indagini prima che tutte le registrazioni siano depositate e portate a conoscenza delle difese; e per non dare adito a incertezze un addendum all’arti colo 271 stabilisce che la violazione del divieto genera inter cettazioni inutilizzabili. Le conseguenze sull’ulteriore attività investigativa sono evidenti: le conversazioni che attestano i più recenti propositi criminosi dei rei, anziché confluire segreta mente in un apposito procedimento, saranno prima comunica te agli indagati e poi utilizzate. Così facendo saranno, per giunta, gravemente compromesse la cooperazione spontanea tra uffici (articolo 371) e le funzioni di coordinamento asse gnate alla Dna (articolo 371bis) e alla procura generale d’ap Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com pello (articolo 118bis delle disposizioni di attuazione). Infatti non sarà possibile trasferire ad altre procure le intercettazioni di loro competenza, senza aver completato la procedura di deposito nell’indagine a quo. È facile prevedere che la tracima zione delle investigazioni in ambiti territoriali altrui sarà all’or dine del giorno o forse verrà addirittura concordata tra uffici del pubblico ministero. Senza considerare che un inedito scambio informativo tra accusa e indagati è chiamato a prece dere l’azione penale per i «fatti diversi», in spregio al principio di obbligatorietà che pretende anche un tempestivo ed effica ce accertamento dei delitti. Assolutamente ingiustificabile, poi, è la disparità di trattamento in cui sono incorsi i lavori parla mentari laddove hanno previsto che le intercettazioni prove nienti da altri procedimenti possano essere utilizzate «per l’accertamento dei delitti di cui agli articoli 51, comma 3bis e 3quater, e 407 comma 2 lettera a)» (articolo 270), ma non hanno incluso quest’ultima tipologia di reati nel novero di quelli per i quali è accordato il doppio binario (articolo 267, comma 3bis). L’opzione nomografica vanifica le conclusioni cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità nell’inquadra mento sotto l’egida dell’articolo 13 del Dl 152/1991 di tutti i delitti associativi (articolo 416 del Cp) anche se non connotati da matrici mafiose o terroristiche (cfr. Cassazione sezione I, 20 dicembre 2004 n. 2612). Prevedere che per questi reati sia indispensabile l’evidenza indiziaria della colpevolezza equivale a precluderne l’accertamento, sebbene essi non di rado costitui scano una porzione “occulta” del programma criminoso di pericolosi gruppi mafiosi (estorsioni, rapine, usura ecc.) sco perti solo dopo lunghe e ampie investigazioni “ordinarie”. Gli ignoti Ma un vulnus irrimediabile potrebbe essere infer to all’attività inquirente dalla disciplina approntata per le inda gini “ordinarie” a carico di ignoti. Il Ddl in esame introduce una disciplina del tutto inadeguata: sarà consentito svolgere le operazioni di cui all’articolo 266 esclusivamente su «richiesta della parte offesa» e solo sulle utenze e nei luoghi nella sua disponibilità. Negli altri casi è ammessa la mera acquisizione dei tabulati «al solo fine di identificare le persone presenti sul luogo del reato o nelle immediate vicinanze di esso» (articolo 267, comma 1ter): per cui, nel caso di una violenza sessuale consumata in un parco di Milano, occorrerà prima procurarsi il traffico delle migliaia di utenze che in quel lasso temporale risultano censite dai gestori, quindi identificarne i titolari e poi escutere i possibili testimoni. Una vera eterogenesi dei fini del legislatore sia per i costi enormi di questa esplorazione sia per l’indiscriminata violazione della privacy di tanti cittadini. Complicazioni Il disposto normativo, come abbiamo, visto, assimila al medesimo regime processuale attività investigative fino a oggi affidate a distinti organi giurisdizionali: intercetta zioni (giudice per le indagini preliminari), tabulati (Pm per effetto del recente Dlgs 109/2008) e videoriprese (polizia giudiziaria/Pm in luoghi pubblici o aperti al pubblico e giudice per le indagini preliminari in luoghi privati a seguito della sentenza sezioni Unite 26795/2006). L’accorpamento della Newsletter n. 5 22 giugno 2009 competenza ad autorizzare le operazioni presso il tribunale distrettuale appare, anche in questo caso, una scelta irragione vole poiché omologa forme di compressione dei diritti dei cittadini obiettivamente diverse e meritevoli, come tali, di graduate garanzie procedurali. Subordinare agli evidenti indizi di colpevolezza l’acquisizione di un tabulato e imporre l’inoltro della relativa richiesta da una delle 140 procure circondariali verso uno dei 26 tribunali distrettuali equivale a congestionare irrimediabilmente l’attività degli uffici giudiziari e ad aggravare la già impressionante transumanza di carte tra sedi. Segreti Una pletora di adempimenti processuali punta a evitare l’indebita divulgazione delle registrazioni; controlli mi nuti presiedono la trascrizione delle conversazioni utili; è im posta l’individuazione dei responsabili del procedimento pro batorio (articoli 267, comma 3ter e 89 comma 2bis delle disposizioni di attuazione); sono previste nuove fattispecie incriminatrici (articoli 617septies e 685bis del Cp) e altre subiscono incisive innovazioni (articoli 379bis, 617 e 684 del Cp). Tuttavia la più severa tra le disposizioni penali, l’articolo 379bis del Cp dedicato alla «rivelazione illecita di segreti inerenti ad un procedimento penale», irroga una pena da 1 a 5 anni e, quindi, dispone di un limite edittale inferiore a quello previsto dal nuovo articolo 266, ovvero una pena «superiore nel massimo a 5 anni» per tutte le operazioni ivi regolate. Ne discende che è preclusa finanche l’acquisizione dei tabulati delle utenze telefoniche o telematiche in uso ai soggetti coin volti nella propalazione illecita, anche quando raggiunti da «evidenti indizi di colpevolezza ». Sorge il dubbio che sia apparso preferibile trasferire ogni responsabilità sulle testate giornalistiche, anziché agevolare i tentativi di arginare queste condotte illecite. Il tutto, si badi bene, in un congegno proces suale che genera una proliferazione incontrollata dei soggetti posti a conoscenza delle operazioni captative. A riforma ap provata la mera attivazione in luogo pubblico di una videoca mera sarà nota alla polizia giudiziaria, al Pm e al procuratore capo, alle loro segreterie, alla cancelleria del tribunale distret tuale, al collegio competente per il decreto, ai commessi incaricati di movimentare i fascicoli (tra l’altro l’articolo 267, comma 1.1 impone l’allegazione al tribunale tutti gli atti d’inda gine): chissà come sarebbe finita per Provenzano nelle campa gne di Corleone. Per saperne di più: www.giustizia.it *** Il Sole 24 Ore Guida al Diritto online LE SENTENZE DEL GIORNO. Famiglia e Minori Non è sottrazione riportare in Italia il figlio che ha soggiornato all'estero 3 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com Corte di cassazione Sezione I civile Sentenza 16 giugno 2009 n. 13936 Il genitore che riconduce i figli nel Paese di residenza abituale, contro la volontà dell’altro, non commette una sottrazione in ternazionale di minori. Lo ha chiarito la Cassazione con la sen tenza 13936/2009 secondo la quale nel caso di allontanamento dalla residenza abituale di minori per un soggiorno in altro Stato, limitato nel tempo, non si ravvisa sottrazione internazionale quando uno dei genitori riconduca i bambini a casa. Nel caso in esame un papà, dopo un periodo trascorso in Svezia con moglie e figli, ha riportato i figli in Italia, dove avevano sempre vissuto prima dell’episodico espatrio, contro la volontà della moglie svedese. Secondo la Corte all’uomo non poteva essere conte stato nulla dal momento che subito dopo il rimpatrio, secondo i servizi sociali, i piccoli avevano recuperato tutte le abitudini precedenti, lo stretto rapporto con i nonni paterni e la frequen za regolare e serena nella scuola materna. Non si trattava quindi di un allontanamento dallo Stato di residenza, ma di un ”semplice ritorno a casa”. fatto (e remunerato) per la prima udienza antecedente al mero rinvio o alla lettura”. Il testo della sentenza Gli obiettivi del documento Questi i quattro obiettivi per una politica della formazione forense che non si limiti a garantire un accesso qualificato alla professione ma che proiet ti il legale nel futuro. Un passaggio dal sapere al saper fare con un occhio attento all’Europa, all’integrazione culturale, alle nuove tecnologie. L’identikit del nuovo avvocato formato dalle scuole professio nali è stato messo nero su bianco in un documento approvato alla conclusione dei lavori della I° Conferenza nazionale delle Scuole forensi, che si è tenuta venerdì scorso a Roma su iniziativa della Scuola superiore dell’avvocatura, fondazione del Consiglio nazionale forense. Un appuntamento durante il quale l’avvocatura ha impostato per il futuro gli obiettivi che dovrà soddisfare il sistema forma tivo forense, anche nella prospettiva che la frequenza delle Scuole forensi diventi obbligatoria, come prescrive la riforma dell’ordinamento forense in discussione in commissione giusti zia al senato. Il Sole 24 Ore Guida al Diritto online LE SENTENZE DEL GIORNO. Difensore Esame e studio delle udienze non retribuito se di mero rinvio Corte di cassazione Sezione IV penale Sentenza 10 giugno 2009 n. 23889 DIFENSORE Esame e studio delle udienze non retribuiti se di mero rinvio Il legale d’ufficio dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato non può chiedere il pagamento della voce di tariffa ”esame e studio” dell’udienza quando non viene svolta alcuna attività processuale. In sostanza l’avvocato perde il diritto alla retribuzione di questa ”voce” se l’udienza è di mero rinvio oppure si procede alla lettura già programmata di atti assunti in precedenza. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 23889/ 2009 che ha respinto il ricorso di un avvocato d’ufficio al quale è stato negato il compenso per la voce ”esame e studio” prima della partecipazione a 9 udienze di mero rinvio e 27 in cui si era proceduto alla lettura delle deposizioni testimoniali acquisite al fascicolo. Secondo la Cassazione, infatti, l’onorario in questione è finalizzato a compensare lo sforzo intellettuale che il difensore deve svolgere per organizzare la sua linea difensiva in relazione alla dinamica del dibattimento che si va ad affrontare. Ne conse gue, precisa la Corte, che nelle udienze di rinvio e in quelle in cui si dà lettura di atti già assunti in precedenza, l’avvocato non deve svolgere nessuno sforzo di preparazione, ”valendo quello già 4 Il testo della sentenza *** Il Sole 24 Ore Guida al Diritto on line IN PRIMO PIANO. AVVOCATI La formazione del futuro nel documento del Cnf di Patrizia Maciocchi Potenziamento strutturale degli organismi formativi, qualifica zione dell’azione didattica, centralità dell’etica professionale, responsabilità sociale dell’avvocato e individuazione dei conte nuti didattici comuni. Il presidente Guido Alpa ”La Scuola superiore dell’avvo catura ha espresso un nuovo modo di concepire la formazione dell’avvocato”, ha dato atto il presidente del Consiglio nazio nale forense Guido Alpa, che ha ricordato come il Cnf punti al rafforzamento della qualificazione degli avvocati non solo at traverso le Scuole ma anche con l’organizzazione dei corsi internazionali e con l’avvio del progetto di elearning. Quanto specificatamente alla didattica, Alpa ha richiamato l’attenzione sullo studio della casistica giurisprudenziale promuovendo il metodo presso le scuole forensi. Il vicepresidente della scuola superiore Alarico Maria ni Marini Al vicepresidente della Scuola superiore dell’avvo catura, Alarico Mariani Marini che ha ricordato il percorso avviato dieci anni fa e che ha portato il sistema formativo forense a strutturarsi in 77 Scuole localizzate sul territorio Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com con circa 4000 docenti il compito di parlare degli sviluppi futuri: ”Tutt’ora è insufficiente la consapevolezza degli Ordini forensi sulle priorità da assegnare alla formazione per l’acces so non finalizzata al superamento dell’esame di abilitazione ma che guardi alla identità del’avvocato del domani. Bisogna supe rare anche la parcellizzazione delle scuole: l’accorpamento sarà una esigenza ineludibile del futuro. Infine, abbiamo davanti una sfida: quella di costruire l’identità dell’avvocato del futuro che guardi all’Europa, che si faccia carico della integrazione multietnica, che qualifichi il ruolo del’avvocato nella giurisdi zione, che si faccia carico della responsabilità sociale dell’avvo cato”. Il rapporto sulle scuole di formazione dell’avvocato David Cerri David Cerri, della Scuola superiore dell’avvo catura, con la sua relazione ha fotografato la situazione attuale delle Scuole forensi, basandosi su un questionario al quale hanno risposto 27 Scuole su 77: sono in maggioranza fonda zioni, sono finanziate con i contributi degli Ordini o con le quote di iscrizione, sono tendenzialmente obbligatorie, con una offerta didattica per lo più inferire alle 200 ore, con una leggera prevalenza delle lezioni teoriche, con una provenienza forense della maggior parte dei docenti. ”Il campione esamina to registra ancora troppe diversità tra scuola e scuola per non mettere all’ordine del giorno la priorità della creazione di un programma comune, anche indipendentemente dagli sviluppi normativi”, ha concluso Cerri. La metodologia da applicare nelle scuole Giovanni Pascuzzi, ordinario di diritto privato comparato presso la facoltà di giurisprudenza dell’università di Trento, ha tenuto una relazione sulla metodologia didattica da applicare nelle scuole, basata anche e soprattutto sulle abilità, sul saper fare: innovativi gli strumenti didattici individuati, al di là della lezione frontale (docente/ allievi) e del manuale. Pascuzzi annovera il sistema casistico, il Problem based learning, con la discussione in gruppi limitati di studenti di un certo numero di quesiti, il cooperative learning, centrato su gruppi di lavoro eterogenei. Gli sviluppi dell’identità dell’avvocato Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato nell’Università di Firenze e docente alla Luiss, ha relazionato sugli sviluppi della identità dell’avvoca to, sottolineando come ”le nuove leve di giovani avvocati sono chiamati a rinnovare la loro cultura giuridica, a tenere conto del concetto di società multistakeholders, a tenere presente che qualsiasi attività economica non può mirare esclusivamen te al profitto ma deve tener conto sempre responsabilmente dell’impatto che le varie iniziative possono avere in una platea molto più ampia di soggetti potenzialmente interessati”. La formazione linguistica Vincenzo ZenoZencovich, or dinario di diritto comparato a Roma tre, ha affrontato il tema della formazione linguistica dell’avvocato, sottolineando che ormai esso tocca il futuro della professione in un mercato sempre più competitivo e transnazionale. ”A volere prefigura Newsletter n. 5 22 giugno 2009 re un ruolo più attivo degli ordini in materia si possono ipotizzare diverse strade: stipulare convenzioni con organismi riconosciuti e certificati, organizzare corsi direttamente nel paese straniero, costituire gemellaggi con ordini professionali di altri paesi e organizzare congiuntamente corsi di formazio ne”. Il testo del documento a cura di Lex24 SPECIALE GIUDICE DI PACE IL SOLE 24 ORE Norme e Tributi del 17062009 Igiudici di pace fanno i conti con 1,4 milioni di liti arretrate di Cristiana Gamba Tra l'organico ridotto all'osso, la mole di cause pendenti e i provvedimenti sopravvenuti, che aumentano a ritmo vertigi noso, i giudici di pace lanciano l'allarme. I distretti sono intasati – come mostra l'inchiesta dei Dorsi regionali del Sole 24 Ore in edicola oggi – e le prospettive non sono certo tranquilliz zanti: le nuove norme in materia di processo civile allargano le competenze della magistratura onoraria portando una massa di nuove cause. Secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia il numero di procedimenti civili pendenti a livello nazionale ammonta a poco meno di 1,4 milioni (dati 2007). Per quanto riguarda i procedimenti penali il numero sfiora le 118mila unità. Anche il numero dei sopravvenuti è in costante crescita dal 2002 fino a toccare quota 1.925.663. Nonostante gli organici siano quasi allo stremo, il lavoro procede a ritmo sostenuto: le cause definite in Italia sono state 1.911.935. Il NordOvest deve fare i conti con un numero di magistrati di fatto dimezzato. Nei due distretti che fanno capo a Torino e Genova sono operativi 281 giudici contro i 478 indicati nell'organico. Quasi la metà dei posti è vacante e questo si traduce in un aumento delle pendenze, che in cinque anni è più che raddoppiato. In Lombardia gli uffici sono sommersi dagli arretrati. I distretti di Milano e Brescia hanno un carico pendente di oltre 100mila cause. Qui il numero dei procedi menti civili è in gran parte relativo alle multe: l'effetto Ecopass, il divieto di circolare nelle zone del centro del capoluogo lombardo, stanno letteralmente ingolfando gli uffici. Nell'area di NordEst l'emergenza riguarda soprattutto la pianta organica che soffre la mancanza di personale per il 39 per cento. Venezia, in particolare, conta 68 giudici sui 193 previsti. Allarme rosso anche nel CentroNord dove il 78% delle sedi è sotto organico. Nell'area si stima che la riforma Alfano porterà 50mila cause in più. Un incremento delle cause da trattare tra il 30 e il 100% dell'attuale contenzioso che finiscono con l'aumentare gli accumuli di arretrato esistente. Anche gli uffici della capitale sono intasati. I giudici si trovano 5 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com ad affrontare 400 ricorsi al giorno contro le multe e il numero degli arretrati è in aumento del 27 per cento. Nel distretto le nuove cause civili, nel 2008, sono state più di 222mila, +7% rispetto al 2007; anche quelle concluse sono cresciute del 4,3 per cento. In affanno, infine anche il Sud, dove il distretto di Napoli ha il record italiano di multe impugnate. Secondo i dati della Giustizia i giudici di pace meridionale hanno chiuso il 2007 con 756mila provvedimenti pendenti, il 55% del dato nazionale. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL SOLE 24 ORE Roma del 17062009 Giudici di pace in affanno di Sara Menafra Giudici di pace in affannodi Sara Menafra Continua l’emergen za per i giudici di pace. Nell’intero distretto di corte d’appello di Roma le nuove cause civili nel 2008 sono state più di 222mila (+7,8% sul 2007), quelle concluse poco più di 159mila (+4,3%), mentre i fascicoli ancora aperti a fine anno circa 257mila, con una crescita annua di oltre il 26,8 per cento. A soffrire di più sono gli uffici della capitale, che da soli assorbo no oltre della metà di tutti i procedimenti: oltre 135mila i sopravvenuti, 95.707 i definiti, più di 176mila gli arretrati. Ogni giorno a via Teulada, via posta, arrivano circa 400 opposizioni a sanzioni amministrative, ma gli impiegati ne iscrivono sì e no 150. Le altre si accumulano in enormi mucchi.Ma il peggio deve ancora arrivare. La riforma del processo civile appena varata dal Parlamento estende infatti alla competenza del giu dice di pace le cause su beni mobili fino a 5mila euro (finora il tetto era di 2.500) e i risarcimenti per danni da circolazione stradale, fino a 20mila euro (finora a 15.400 euro). «A Roma fa una previsione Gabriele Longo, presidente dell’Unione na zionale giudici di pace arriveranno 5mila procedimenti in più per il civile, 26mila in tutto il distretto». E anche per il penale, con l’introduzione del nuovo reato di immigrazione clandesti na, i carichi potrebbero crescere del 400 per cento.Stamattina alle 8.40 ho preso il biglietto "eliminacode". Ero la 116. Alle 10 siamo al 12, meglio che vada. Del resto, quando l’ufficio chiu de, i numeri non esauriti semplicemente scadono», sospira una giovane praticante legale. Nel girone del giudice di pace di Roma, le pene sembrano sempre le stesse. Eterne. Avvocati in fila di prima mattina per depositare una notifica, magari al terzo o quarto tentativo. Agenzie private che si contendono la piazza dall’alba, con file alternative e precedenze un po’ incer te. Ogni giorno, via posta, arrivano circa 400 opposizioni a sanzioni amministrative, ma gli impiegati ne iscrivono sì e no 150. Le altre si accumulano in enormi mucchi. A maggio se ne contavano circa 100mila e in questi giorni i 106 dipendenti "effettivi" (in teoria sarebbero 123) stavano iscrivendo al ruolo le lettere arrivate a maggio 2008. Ma per gli uffici di via Teulada il peggio deve ancora arrivare. La riforma del processo civile appena varata dal Parlamento estende infatti alla competenza 6 del giudice di pace le cause su beni mobili fino a 5mila euro (finora il tetto era di 2.500) e i risarcimenti per danni da circolazione stradale, fino a 20mila euro (finora a 15.400) . «Sono arrivato in questo ufficio nel 1998 dice Alfredo Blasi coordinatore del settore civile dei giudici di pace di Roma e da allora è stato sempre peggio, tanto che ora rischiamo la paralisi. Anche perché il costante aumento delle competenze ha fatto perdere l’idea che aveva portato alla creazione di questi uffici. Il giudice di pace come giudice di prossimità, dedicato alle piccole controversie». Gabriele Longo, presiden te dell’Unione nazionale giudici di pace, è già in grado di fare una stima su quel che ci si aspetta: «A Roma arriveranno 5mila procedimenti in più per il civile, 26mila in tutto il distretto, mentre sui risarcimenti da sinistri la situazione rimarrà più o meno l’attuale. Già oggi, il giudice di pace gestisce l’85% dei procedimenti per sinistri, praticamente tutti tranne i mortali. In questo caos a Roma, però, l’aumento potrebbe rendere ancora più difficile una situazione già in bilico».Il carico di lavoro del Gdp di Roma è consistente. Nell’intero distretto di corte d’appello di Roma (370 giudici effettivi), che comprende tutti gli uffici del Lazio, i procedimenti civili sopravvenuti nel 2008 erano oltre 222mila (+7,8% sul 2007), i definiti poco più di 159mila (+4,3%), quelli pendenti circa 257mila che in un anno sono aumentati del 26,8 per cento. Di questi quelli arrivati al tribunale di Roma sono 135.034, i definiti 95.707, i pendenti oltre 176mila. Al penale, invece, in un anno sono stati definiti 15.402 casi. Solo una parte riguarda Roma, dove nel 2008 sono stati discussi 8.369 procedimenti. L’unico settore che sembra girare a pieno ritmo è quello che più riguarda le imprese. I decreti ingiuntivi sulle fatture, arriva no in tempi piuttosto rapidi: «Dal momento della richiesta il decreto ingiuntivo viene emesso in quattro o cinque giorni dice ancora Longo anche qui, il limite economico è destinato a salire a 5mila euro, ma non siamo preoccupati». Un mese fa questi numeri, hanno convinto il ministro della giustizia Angeli no Alfano a convocare una riunione dedicata all’emergenza di via Teulada. Avviando allo stesso tempo un’ ispezione a sor presa che si è conclusa con una denuncia ai carabinieri e l’apertura di un’inchiesta della procura di Roma per gli even tuali profili penali. Un vertice che ha aperto una frattura tra ministero e giudici capitolini, convincendo il coordinatore del l’intero ufficio Guido Mailler a presentare le dimissioni. E il 22 giugno sarà ascoltato su questo dal Csm. Roma chiede più impiegati, «almeno 30 in più», come spiega Anna Di Bartolo meo, dirigente amministrativa dell’ufficio. Via Arenula rispon de che i problemi sono "organizzativi" e che al più potranno inviare una task force per l’arretrato. Entro luglio, poi, il mini stero ha promesso di varare un sistema informatico per l’iscri zione dei ricorsi via internet. Quindi chiederà a via Teulada di riorganizzare gli uffici spostando parte del personale dalle udienze al rapporto con l’utenza. In modo da risolvere pure la terza emergenza: le 70mila sentenze depositate, ma in attesa di pubblicazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com IL SOLE 24 ORE ROMA del 17062009 Pesa il reato di clandestinità di Sara Menafra Il Consiglio superiore della magistratura ha lanciato l’allarme la scorsa settimana. Con l’entrata in vigore del Ddl sicurezza, e del nuovo reato di clandestinità, gli uffici giudiziari rischiano la paralisi. Anche più di quanto non accada attualmente. L’allarme squilla forte alle orecchie dei giudici di pace della capitale, oggi in emergenza sul civile, ma con pochi problemi nell’amministrazione del tema immigrazione. Secondo le norme previste dalle attuali leggi sul’immigrazione il giudice di pace convalida i provvedimenti di espulsione e quelli di trattenimento nei Centri di identificazione ed espul sione. Ma è quasi un pro forma, come spiegano dall’Associazione nazionale dei giudici di pace. In questo caso il giudice si limita a verificare che il provvedimento sia corretto e valido in ogni sua parte e durante ogni udienza se ne evadono anche 40. L’emergenza giustizia, che pure vive a via Teulada, non bussa a questa porta. I provvedimenti sugli immigrati rappresentano il 5% del carico di lavoro affidato ai magistrati onorari. Ora però, con l’affidamento del nuovo reato di immigrazione clandestina alla competenza del giudice di pace la situazione potrebbe cambiare. Non solo perché all’analisi del provvedimento di espulsione si affiancherà un nuovo giudizio. Ma perché quest’ultimo sarà un processo vero e proprio, che potrebbe durare, e con ogni probabilità durerà, più di una udienza. Prevedere i numeri, non è semplice. I dati del 2008 dicono che a Roma a fine anno 6.216 cittadini extracomunitari erano stati raggiunti dal prov vedimento di espulsione. Tra loro 1.026 arrestati per non aver lasciato l’Italia, il 16 per cento, erano già portati in giudizio davanti al tribunale penale monocratico. A quei seimiladuecen to che, se il reato fosse esistito sarebbero stati processati, vanno affiancati i 1.197 che sono stati trattenuti presso il Cie (centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, la maggior parte dei quali poi colpiti anche con il provvedimento di espulsione. «Le previsioni sono in ogni caso difficili chiarisce Filippo Coppa, coordinatore del giudice di pace per il settore penale anche perché a essere colpito non è il semplice ingresso, ma la presenza nel nostro territorio. Ed è quindi possibile che una grande città come Roma sarà particolarmente colpita dalla gestione di questo nuovo problema. Il carico potrebbe salire del 400 per cento». Mercoledì scorso, il Consiglio superiore della magistratura aveva usato parole pesanti: «Il nuovo reato diceva il parere Newsletter n. 5 22 giugno 2009 approvato dal plenum rischia di causare la paralisi di alcuni uffici giudiziari del paese». IN CIFRE 6.216 Gli atti di espulsione Sono i cittadini extracomunitari raggiunti nel 2008 a Roma dal provvedimento. A questi vanno affiancati le oltre mille persone trattenute al Cie di Ponte Galeria 16% Gli arresti É la quota di immigrati portati in giudizio davanti al tribuna le penale per non aver lasciato l'Italia SOLE 24 ORE ROMA del 17062009 Intervista a Stefano Aleandri Camera civile Roma «Il vero nodo sono gli uffici» di Sara Menafra «Valutare l’impatto della riforma del giudice di pace non è semplice, ma nella stessa legge si parla di processo digitale. Un cambiamento di cui il civile ha molto bisogno». Stefano Alean dri, presidente della Camera civile di Roma, sui pericoli nasco sti nelle nuove competenze dei giudici di prossimità non si sbilancia. Le modifiche, dice, devono essere più complessive. L’aumento delle competenze è vissuta con grande preoccupazione dai giudici di pace. Le previsioni rischiano di essere parziali, bisognerà aspettare l’impatto concreto. La camera civile si è data appuntamento a fine mese per valutare gli aspetti giuridici del nuovo giudice di pace, ma il problema è già oggi il funzionamento degli uffici. Nella sede di via Teulada si muove tutto molto lentamente. Ci sono enormi difficoltà per i depositi, per le iscrizioni a ruolo o per la richiesta copie. L’ufficio copie, del resto, è un grave problema anche al tribunale civile, perché le richieste sono troppe e gli addetti non riescono a smaltirle nei tempi previsti. Ogni giorno si ripete la stessa scena. Gli impiegati distribuisco no i numeri per chiedere le copie delle sentenze. Finiti quelli, se ne parla il giorno dopo. Ma almeno per le copie delle sentenze non dovrebbe essere già attivo il servizio informatico? So che non mancano i problemi di funzionamento. Appena due mesi fa, il collega della camera civile che si occupa di digitalizzazione ha mandato a tutti una mail che elencava i guasti, dai ritardi nel rilascio della smart card per attivare il collegamento, ai disagi nell’installazione. Da quello che vedo e sento tutti i giorni, non mi pare che l’attuale gestione telemati ca rappresenti una svolta. 7 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com I terminali del tribunale funzionano? Ci sono file interminabili ai terminali per accedere ai dati sullo stato delle cause, al numero di ruolo, all’udienza. Tempo fa la richiesta copie si poteva fare via mail, ora neppure quel servi zio funziona più. Finché non si avrà la possibilità di depositare gli atti in via telematica, tutti questi interventi resteranno parziali. SOLE 24 ORE ROMA del 17062009 Processo digitale più aperto di Sara Menafra Digitalizzazione. In una parola, la soluzione a molti dei proble mi della lenta e farraginosa giustizia italiana. I ministri Alfano e Brunetta ne sono convinti e la scorsa settimana hanno presen tato alla stampa un piano di informatizzazione da portare a termine da qui al 2010. Annunciando che accanto alle tre sperimentazioni sul civile, Roma sarà l’unica sede ad ospitare un progetto pilota sul penale. Già da alcuni anni, la procura della capitale, guidata da Giovan ni Ferrrara, ha informatizzato la gestione del fascicolo penale. L’ufficio impiega un sistema elaborato negli uffici di piazzale Clodio, Tiap (trattamento informatizzato atti processuali), che permette di elaborare il processo, dall’arrivo della notizia di reato, al collegamento con gli altri procedimenti in corso, fino a la navigazione nel codice commentato e della giurisprudenza. Agli avvocati le copie possono già essere fornite in digitale. «Ma mancava la parità informatica tra accusa e difesa. È per questo che questo nuovo progetto ha ottenuto l’appoggio e il coinvolgimento fattivo dei penalisti» spiega Gian Domenico Caiazza, presidente della camera penale di Roma . Il progetto di Alfano e Brunetta prevede un passo in più proprio in favore dei penalisti. Puntando, si legge nel piano, a «migliorare sensibilmente il servizio fornito agli avvocati dal l’Ufficio copie del Gip, rendendo loro disponibili documenti elettronici in formato aperto che consentano la ricerca su testo libero e l’indicizzazione dinamica». Negli uffici della pro cura di Roma, però, il piano di Alfano convince poco. Perché il sistema in uso premetterebbe già di produrre pdf navigabili. Ma per metterle a disposizione agli avvocati bisognerebbe pagare nuovi diritti ad Adobe Acrobat. E senza una norma appropriata e un nuovo bilancio, fornire il servizio agli avvocati sarebbe un passo azzardato. «Il progetto che abbiamo elaborato ribatte Stefano Aprile a capo della Direzione generale servizi informatici di Via Arenu la non è in polemica con quanto già fatto dalla procura. Abbiamo scelto di fare un passo ulteriore, per rispondere a una richiesta degli avvocati che avevano bisogno di un formato navigabile che consentisse di elaborare ulteriormente il file consegnato dal tribunale. Ma il nostro intervento, si aggiunge a quanto già fatto dalla procura». Per il ministero della Giustizia tornare indietro ora sarebbe difficile. Dal 2007, il dicastero ha battezzato Digit copie come 8 principale progetto sperimentale. E il piano è già costato 2,8 milioni. Importante, sarà ovviamente anche il progetto civile che tiene conto della riforma appena approvata. Il piano del ministero è destinato, entro l’inizio del 2010, a «consentire l’accesso con strumenti telematici a sentenze, decreti ingiuntivi e ordinanze definitorie relative al processo civile», e a rendere più efficienti le Cancellerie adottando nuove modalità organizzative che consentano di sfruttare meglio gli strumenti informatici». Un passo avanti dovrebbe essere anche l’elaborazione di un «de creto ingiuntivo telematico», strumento decisivo soprattutto per le piccole e medie imprese della capitale. a cura di Lex24 APPROFONDIMENTI Da Guida al Diritto on line INTERCETTAZIONI Distruzione dei dossier illeciti nel rispetto del contraddittorio Corte costituzionale Sentenza 11 giugno 2009 n. 173 La distruzione dei dossier relativi a intercettazioni illecitamen te acquisite deve avvenire sempre nel rispetto del contraddit torio. Lo sancisce la Corte costituzionale con la sentenza n. 173 del 2009 che ha dichiarato illegittimo l’articolo 240, com mi 4 e 5, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che per la distruzione del materiale sia rispettato, per la disciplina del contraddittorio, l’articolo 401, commi 1 e 2, del Cpp secondo cui l’udienza si deve svolgere in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del Pm, del difenso re e della persona sottoposta alle indagini. Non solo. Sotto i colpi della Corte costituzionale è caduto anche il comma 6 dello stesso articolo 240 del Cpp nella parte in cui non esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei docu menti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le circostanze inerenti l’attività di forma zione, acquisizione e raccolta degli stessi documenti, supporti e atti. Il testo della sentenza Corte Costituzionale Sentenza del 11 giugno 2009, n. 173 Processo penale Prove Atti relativi ad intercettazioni illegali Procedura per la distruzione Udienza camerale fissata dal giudice per le indagini preliminari a seguito della richiesta del pubblico ministero di disporre la distruzione dei documenti formati attraver so la raccolta illegale di informazioni Modalità di svolgimento Pre visione, all’esito dell’udienza, della immediata distruzione dei docu menti illegalmente formati Redazione di un verbale relativo alle operazioni di distruzione che non può contenere alcun riferimento al contenuto degli atti di cui è stata disposta la eliminazione SENTENZA N. 173 Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com ANNO 2009 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Francesco AMIRANTE Presidente Ugo DE SIERVO Giudice Paolo MADDALENA ” Alfio FINOCCHIARO ” Alfonso QUARANTA ” Franco GALLO ” Luigi MAZZELLA ” Gaetano SILVESTRI ” Sabino CASSESE ” Maria Rita SAULLE ” Giuseppe TESAURO ” Paolo Maria NAPOLITANO ” Giuseppe FRIGO ” Alessandro CRISCUOLO ” Paolo GROSSI ” ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 1 del decretolegge 22 settembre 2006, n. 259 (Dispo sizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di inter cettazioni telefoniche), convertito, con modificazioni, dalla leg ge 20 novembre 2006, n. 281, promossi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con ordinanza del 30 marzo 2007, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia con ordinanza del 21 maggio 2007 e dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con ordinanza del 13 dicembre 2007, rispettivamente iscritte al n. 508 del registro ordinanze 2007 ed ai nn. 50 e 84 del registro ordinanze 2008, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2007 e nn. 11 e 15, prima serie speciale, dell’anno 2008. Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto in fatto 1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con ordinanza del 30 marzo 2007 (r.o. n. 508 del 2007), ha sollevato in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione questione di legittimità costituzionale del l’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 1 del decretolegge 22 settembre 2006, n. 259 (Disposizioni urgenti per il riordino della norma tiva in tema di intercettazioni telefoniche), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281. Il rimettente è investito del procedimento incidentale pro mosso dal pubblico ministero, in applicazione delle norme censurate, per la distruzione di supporti digitali recanti infor mazioni acquisite illegalmente, sequestrati e trattenuti dallo Newsletter n. 5 22 giugno 2009 stesso pubblico ministero, con produzione per l’udienza di documenti cartacei che descrivono quanto in sequestro. Il giudizio principale concerne il rapporto associativo asserita mente instaurato tra soggetti in diverse condizioni professio nali: dirigenti e dipendenti di società riferibili ad un gruppo operante nel settore della telefonia, dirigenti e dipendenti di agenzie di investigazione privata, appartenenti o già apparte nenti all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Polizia di Stato, al Sismi. Scopo dell’associazione criminosa sarebbe stata la raccolta illegale di informazioni riguardanti i più vari soggetti, con accesso a banche dati riservate per il tramite di pubblici funzionari corrotti o di dipendenti delle società di telefonia sopra citate. I dati sarebbero stati raccolti per conto dei responsabili delle agenzie di investigazione, in vista della remunerazione loro versata dai committenti delle attività investigative. Le contestazioni elevate dal pubblico ministero secondo quanto riferisce il rimettente attengono al delitto previsto dall’art. 416 del codice penale, ed inoltre prospettano fatti di corruzione per atto contrario ai doveri dell’ufficio (art. 319 cod. pen.) e di rivelazione ed utilizzazione del segreto d’ufficio (art. 326 cod. pen.). L’udienza camerale è stata promossa dal pubblico ministero con esclusivo riguardo ai documenti concernenti quattro delle numerose persone assoggettate ad illecite attività di indagine. Il giudice a quo riferisce che, in apertura dell’udienza medesi ma, questioni di legittimità costituzionale della disciplina con cernente l’immediata distruzione dei supporti contenenti le informazioni acquisite illegalmente sono state prospettate dal rappresentante della pubblica accusa, dai difensori di tre delle quattro persone offese, ed anche dalla difesa di una delle persone soggette alle indagini. 1.1. Allo scopo di motivare il proprio giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il rimet tente ricostruisce i tratti essenziali del procedimento regolato dal nuovo testo dell’art. 240 cod. proc. pen. In particolare, viene posto in luce come il pubblico ministero debba formula re richiesta di distruzione del materiale informativo entro quarantotto ore dall’acquisizione (comma 3), come il giudice debba fissare l’udienza camerale entro le successive quaran totto ore e non oltre il decimo giorno dalla richiesta (comma 4), come l’eventuale provvedimento di accoglimento debba essere deliberato e pronunciato nell’udienza medesima, con contestuale ed immediata esecuzione (comma 5). Sebbene sia chiaro che la sequenza deve muovere da un accertamento ragionevolmente sicuro della peculiare qualità del materiale da distruggere, l’intera struttura del procedi mento esprime, a parere del rimettente, il carattere precoce e preliminare dell’adempimento, in armonia del resto con la ratio della previsione, che mira ad elidere in radice il rischio della pubblicazione di notizie riservate ed acquisite in modo illecito. Sarebbe evidente inoltre, sempre secondo il giudice a quo, come la procedura di distruzione debba essere avviata anche quando le informazioni riservate coincidano con l’oggetto del 9 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com l’attività delittuosa cui si riferisce il procedimento principale (nel caso di specie, la rivelazione del segreto di ufficio concer nente dette informazioni). 1.2. Il Tribunale ritiene che le norme censurate contrastino, anzitutto, con il secondo comma dell’art. 24 Cost., data l’ille gittima compressione che ne deriva circa il diritto di difesa del soggetto indagato o imputato nell’ambito del procedimento principale. In particolare, il rito camerale disciplinato dall’art. 240 cod. proc. pen. anche attraverso il richiamo al modello generale dell’art. 127 non varrebbe ad assicurare garanzie adeguate rispetto alla funzione cui la procedura è deputata, cioè la produzione di una prova, con valenza dibattimentale, della provenienza illecita delle informazioni recate dal documento destinato alla distruzione. La sola possibilità per il giudice di approfondire aspetti del fatto, data anche la forzata celerità del procedimento, consisterebbe nell’audizione delle parti presen ti, e detta presenza, d’altro canto, sarebbe del tutto facoltativa (anche per quanto concerne i difensori tecnici e lo stesso pubblico ministero). In altre parole, la precostituzione della prova d’accusa sarebbe rimessa ad un contraddittorio solo eventuale e comunque sommario, il che varrebbe ad integrare l’ulteriore violazione dell’art. 111, primo, secondo e quarto comma, Cost. Il rimettente precisa che non intende mettere in discussione la scelta legislativa per una formazione anticipata della prova rispetto alla sede dibattimentale. Tuttavia tale anticipazione dovrebbe riguardare anche le forme dell’accertamento dibatti mentale, come avviene per l’incidente probatorio, in guisa da garantire l’effettivo contraddittorio tra le parti e la pienezza del loro diritto alla prova. Peraltro, secondo il Tribunale, il disposto costituzionale sareb be comunque violato per effetto della disciplina che concerne il verbale cui resta rimessa a norma del comma 1bis dell’art. 512 cod. proc. pen. la prova delle attività illecite connesse alla formazione od acquisizione del materiale da distruggere. È infatti prescritto (comma 6 dell’art. 240 cod. proc. pen.) che il giudice «dia atto» della condotta illecita riscontrata e delle relative modalità, ed elenchi le persone interessate, ma è precluso ogni riferimento «al contenuto» dei «documenti, supporti e atti», e dunque alle informazioni la cui acquisizione sarebbe stata illegittima. Ciò comporta, secondo il rimettente, che il giudice del merito non possa prendere diretta cognizione della prova, e limita la possibilità per l’accusato di difendersi, ad esempio negando il carattere segreto della notizia raccolta o la sua acquisizione con modalità illecite. Il riscontro delle tesi in questione reste rebbe precluso, infatti, dopo la distruzione del supporto. Inol tre, quand’anche fosse raggiunta la prova di colpevolezza, il giudice sarebbe privo di informazioni essenziali per una ade guata quantificazione della pena, che non potrebbe prescinde re dalla natura delle informazioni acquisite. In sostanza, a parere del giudice a quo, «la procedura di distruzione non è solo una modalità di anticipazione nella formazione della prova pure realizzata con modalità che non 10 garantiscono il diritto di difesa ma anche di anticipata elimi nazione definitiva della prova, con diretto pregiudizio del dirit to di difesa». 1.3. La disciplina censurata implicherebbe conseguenze nega tive, con specifica violazione del primo comma dell’art. 24 Cost., anche nei confronti della persona offesa dal reato inte grato con l’illecita acquisizione delle informazioni. Il diritto al risarcimento del danno sarebbe pregiudicato, infatti, dalla di spersione della prova necessaria per documentarne la sussi stenza e la rilevanza in termini quantitativi, che dipende anche dalla natura dell’informazione carpita. In breve e considerato che la prova circa il fondamento della pretesa risarcitoria deve essere fornita da colui che l’avanza sarebbe pregiudicato proprio quel diritto alla riservatezza che la legge censurata vorrebbe garantire con la massima efficacia. 1.4. Il giudice a quo prospetta, ancora, una violazione dell’art. 112 Cost., perché la distruzione della prova pregiudicherebbe l’esercizio del poteredovere di perseguire, da parte del pub blico ministero, i reati finalizzati all’acquisizione illegittima delle relative informazioni. Il verbale «sostitutivo» prescritto dal legislatore, per le ragioni già indicate, potrebbe infatti risultare insufficiente. La precocità della distruzione, rispetto allo stes so sviluppo delle investigazioni preliminari, varrebbe d’altra parte a pregiudicare l’identificazione e la punizione di tutti i responsabili del fatto accertato. 1.5. L’ordinanza di rimessione prospetta, in conclusione, una «irragionevolezza di fondo della normativa in oggetto, in com parazione con i valori che essa vuole proteggere». In sostanza, il legislatore non avrebbe compiuto un corretto bilanciamento tra le esigenze contrapposte, sacrificando completamente, in favore del diritto alla riservatezza, i valori connessi all’accerta mento del fatto, tra i quali primeggia, per altro, proprio la tutela (in chiave sanzionatoria) del diritto di riservatezza della persona offesa. 2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia, con ordinanza del 21 maggio 2007 (r.o. n. 50 del 2008), ha sollevato in riferimento agli artt. 24, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 Cost. questione di legittimi tà costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1 del decretolegge n. 259 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 281 del 2006. Il rimettente è investito del procedimento incidentale pro mosso dal pubblico ministero, in applicazione delle norme censurate, per la distruzione di materiali pertinenti ad infor mazioni acquisite illegalmente. Si tratta, nella specie, del sup porto digitale contenente documenti sonori, asseritamente relativi a conversazioni intrattenute da una persona di sesso femminile nell’abitacolo della propria vettura. I colloqui, stan do alle contestazioni elevate dal pubblico ministero, sarebbero stati captati mediante l’uso di una microspia collocata nel veicolo dal marito dell’interessata. Quest’ultimo avrebbe mi nacciato di diffondere pubblicamente il contenuto delle con versazioni registrate se la donna non avesse rinunciato al giudizio di separazione da lei promosso ed al versamento della Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com somma mensil e già assegnatale dalla competente autorità giudiziaria. Nel giudizio principale si procede, quindi, per i delitti di cui all’art. 615bis (Interferenze illecite nella vita privata) ed agli artt. 56 e 629 (Estorsione tentata) del codice penale. Il sup porto digitale indicato è stato prodotto nel corso dell’udienza preliminare dalla persona offesa, cui l’imputato l’aveva fatto pervenire per mezzo di un intermediario. Dopo l’acquisizione, la polizia giudiziaria ne ha verificato il contenuto, comunicando che si tratta di conversazioni scarsamente intellegibili, anche tra più persone, con forti rumori di traffico sullo sfondo. Il pubblico ministero, di conseguenza, ha promosso il procedi mento incidentale regolato dalle norme censurate. Nel corso dell’udienza camerale, peraltro, lo stesso pubblico ministero ha chiesto sollevarsi una questione di legittimità costituzionale con riguardo alla procedura avviata, ed alla ri chiesta si sono sostanzialmente associati i difensori della per sona offesa e dell’imputato. 2.1. In punto di rilevanza il rimettente osserva, anzitutto, come il materiale del quale è richiesta la distruzione costitui sca il corpo del reato di cui all’art. 615bis cod. pen., oltre che il mezzo per l’esecuzione del tentato delitto di estorsione. Lo stesso rimettente, tuttavia, pone un diverso problema circa l’effettiva applicabilità dell’art. 240 cod. proc. pen. alla fattispe cie oggetto del giudizio. La questione nasce dal tenore della norma censurata, che prescrive la distruzione «dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunica zioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti». La lettera della legge, secondo il Tribuna le, non comprende le comunicazioni tra presenti, e non po trebbe essere forzata fino al punto di ritenere che la specifica zione circa l’uso di strumenti telefonici o telematici riguardi unicamente i «dati», con la conseguenza che il riferimento alle «conversazioni o comunicazioni» si estenderebbe anche ai casi di scambi comunicativi captati nell’ambiente in cui si svolgono. Tuttavia, sempre a parere del Tribunale, la normativa sarebbe applicabile al caso di specie per il mezzo dell’analogia, che l’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile preclude per le sole leggi penali od eccezionali. Le previsioni censurate non sarebbero riconducibili ad alcuno dei due concetti. Per legge eccezionale, in particolare, dovrebbe intendersi una disposi zione che, stante una disciplina generale per un dato fenome no, introduce per alcune fattispecie una «interruzione della conseguenza logica» di tale disciplina. Nel caso in esame, secondo il rimettente, non esisterebbe una regola di portata generale rispetto alla quale le disposizioni censurate possano porsi in rapporto di deroga. 2.2. Un primo profilo di illegittimità costituzionale è indivi duato dal giudice a quo nella violazione del diritto di difesa dell’indagato. Pur dovendo culminare la procedura camerale nella formazione di una prova circa l’illecita acquisizione dei dati, è adottato un modello procedimentale di forma semplifi cata, che non contempla accertamenti su iniziativa delle parti o del giudice e non prescrive la partecipazione necessaria del Newsletter n. 5 22 giugno 2009 difensore dell’accusato. In sostanza, la procedura vorrebbe emulare quella dell’incidente probatorio, senza però riprodur ne il carattere anticipatorio delle forme e delle garanzie dibat timentali, e dunque violando il secondo comma dell’art. 24 e l’art. 111, primo, secondo e quarto comma, Cost. D’altra parte, il verbale la cui redazione è prescritta al giudice deve necessariamente omettere la descrizione delle informa zioni acquisite illegalmente, ed è dunque inidoneo alla piena verifica dei fatti, che resta preclusa irrimediabilmente dopo la distruzione del supporto cui si riferisce il procedimento. Proprio tale circostanza, secondo il rimettente, vale a docu mentare la violazione concomitante dell’art. 112 Cost., atteso che la precoce ed irrimediabile eliminazione della prova del reato contraddirebbe il principio del perseguimento obbliga torio del reato medesimo. In effetti la procedura regolata dalle norme censurate non è finalizzata ad accertare la responsabili tà dell’indagato e, d’altra parte, nella sede deputata a tale accertamento, la prova necessaria non sarebbe più disponibile. La disciplina censurata, dunque, non varrebbe ad assicurare un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di protezione della riservatezza e l’interesse, di rango costituzionale, al persegui mento dei reati. Infine, a parere del rimettente, sussiste una violazione del primo comma dell’art. 24 Cost. in relazione al diritto della persona offesa di ottenere un risarcimento per il torto subito, dato che la distruzione della prova pregiudica la possibilità di documentare in giudizio il fondamento della relativa pretesa. Giudizio che, nella specie, è lo stesso finalizzato alla verifica della responsabilità penale dell’imputato, posto che la vittima dell’illecita captazione si è costituita parte civile e si è opposta, non casualmente, all’applicazione di regole che pure dovreb bero tutelare il suo diritto alla riservatezza. 3. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con ordinanza del 13 dicembre 2007 (r.o. n. 84 del 2008), ha sollevato in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 Cost. questione di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1 del decretolegge n. 259 del 2006, convertito, con modifica zioni, dalla legge n. 281 del 2006. Il rimettente è investito della richiesta di archiviazione formu lata dal pubblico ministero in un procedimento per falsa testi monianza (art. 372 cod. pen.), relativamente alle dichiarazioni rese, dal dirigente di una grande azienda multinazionale, nel giudizio civile che un dipendente della stessa azienda aveva promosso impugnando il proprio licenziamento. Tale dipen dente, nell’opporsi ex art. 410 cod. proc. pen. all’accoglimento della richiesta di archiviazione, ha riferito tra l’altro di com portamenti vessatori dell’azienda, che si sarebbero spinti fino allo svolgimento di illecite attività di indagine sulla sua vita privata. Secondo quanto riferito dal giudice a quo, le indagini in que stione sarebbero state commissionate ad una delle agenzie investigative coinvolte nel procedimento ove è stata deliberata l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007 (supra, § 1). Nel contesto di 11 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com tale procedimento, sempre secondo il rimettente, sarebbe stato rinvenuto e sequestrato, tra gli altri, un incartamento relativo al dipendente poi licenziato. Il Tribunale riferisce d’avere respinto una prima volta la richie sta di archiviazione, ordinando il compimento di ulteriori inda gini, una delle quali consistente nell’acquisizione del dossier commissionato dalla società convenuta nella causa di lavoro cui già si è fatto cenno. Il pubblico ministero avrebbe dato corso alle altre richieste, facendo però constatare la giuridica impossibilità di procedere all’acquisizione dei documenti re canti le informazioni illegalmente raccolte con riguardo al l’odierno opponente. Tali informazioni infatti sempre stando alle indicazioni poi riprese dal rimettente sarebbero state acquisite mediante la corruzione di pubblici ufficiali. Il relativo materiale di supporto sarebbe dunque oggetto, a norma del comma 2 dell’art. 240 cod. proc. pen., di un divieto assoluto di utilizzazione e di riproduzione, ivi comprese le attività necessarie per «travasa re» ed apprezzare gli elementi di prova nel procedimento in corso avanti al giudice rimettente. Il Tribunale prosegue riferendo d’aver celebrato, a questo punto, una nuova udienza camerale, «per prendere cognizione della situazione», e che nel corso di tale udienza pubblico ministero ed indagato avrebbero insistito per l’accoglimento della richiesta di archiviazione, mentre la persona offesa avreb be sollecitato un provvedimento di «imputazione coatta» con riguardo all’ipotizzato delitto di falsa testimonianza. Nessuna di tali soluzioni, però, risulterebbe «soddisfacente». Per un verso, infatti, la prova del dolo di falsa testimonianza non sarebbe allo stato adeguata. Essa potrebbe essere integrata, però, alla luce delle informazioni desumibili dal dossier (lo stesso rimettente riferisce, per altro, che il dirigente chiamato a testimoniar e nella causa di lavoro, su circostanze pertinenti al rendimento del dipendente licenziato, era stato assunto dall’azienda in epoca successiva all’esaurimento delle «attività di spionaggio»). A questo punto il giudice a quo, dato atto che nel procedi mento concernente l’acquisizione illegale di informazioni (con dotto da altro magistrato del suo stesso Ufficio) è stata solle vata questione di legittimità costituzionale dell’art. 240 cod. proc. pen. (supra, § 1), assume che, nell’ambito del procedi mento di archiviazione che lo riguarda, sarebbe «necessario muoversi nella medesima direzione». 3.1. Le questioni di legittimità sono prospettate, in sostanza, attraverso una sintesi del petitum e degli argomenti che carat terizzano l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007. Venendo al caso per cui procede, il Tribunale evidenzia in particolare la compressione «dei diritti del denunziante e op ponente alla richiesta di archiviazione». Infatti, il procedimento per falsa testimonianza sarebbe «collegato» a quello che con cerne l’illecita raccolta delle informazioni, e la «testimonianza e l’atteggiamento soggettivo» dell’indagato potrebbero essere «illuminati e meglio compresi proprio disponendo di una co noscenza completa degli episodi assai inquietanti che l’avreb bero preceduta e cioè lo ”spionaggio” illegale in danno del 12 dipendente poi licenziato». La vittima delle illecite attività investigative potrebbe poi subire un pregiudizio, in vista della tutela della propria onorabilità, per la mancata conoscenza di dettaglio delle informazioni acquisite in su o danno, poiché il relativo supporto potrebbe essere stato riprodotto e distribu ito a terzi prima dell’intervenuto sequestro. Per tali ragioni la questione di legittimità dell’art. 240 cod. proc. pen. sarebbe rilevante anche nel giudizio a quo. In parti colare, «pur apparendo di più diretta rilevanza, per le caratte ristiche del caso in esame, con riferimento alla prospettabile violazione dell’art. 24 comma primo della Costituzione e quin di dei diritti delle persone offese», la questione dovrebbe essere sollevata per tutti i profili già evocati con l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007, in forza di una loro asserita «inscindibili tà». Considerato in diritto 1. Con le tre ordinanze indicate in epigrafe, i Giudici per le indagini preliminari dei Tribunali di Milano e Vibo Valentia sollevano questioni di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 1 del decretolegge 22 settembre 2006, n. 259 (Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche), convertito, con modifica zioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281. Le disposizioni vengono censurate in quanto stabiliscono che i supporti recanti dati illegalmente acquisiti a proposito di co municazioni telefoniche o telematiche, o informazioni illegal mente raccolte, debbano essere distrutti in esito ad una udienza camerale celebrata dal giudice per le indagini prelimi nari, e che in proposito debba essere redatto un verbale, nel quale si dia «atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita», nonché «delle modalità e dei mezzi usati oltre che dei soggetti interessati», e tuttavia venga omesso qualsiasi «riferimento al contenuto» dei documenti, supporti ed atti concernenti le informazioni raccolte. Anzitutto la disciplina contrasterebbe con gli articoli 24, se condo comma, e 111, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione. Infatti la procedura prescritta dalle norme cen surate, pur essendo finalizzata alla distruzione del corpo del reato concernente l’illecita acquisizione dei dati, e pur doven do culminare nella formazione di un verbale destinato alla lettura in sede dibattimentale, si svolge in forma camerale, alla presenza solo eventuale delle parti e dei difensori, senza possi bilità di approfondimenti istruttori, e dunque con esercizio solo eventuale del diritto di difesa e del contraddittorio. Gli stessi parametri costituzionali risulterebbero violati anche in una diversa prospettiva: la distruzione dei supporti recanti le informazioni acquisite illegalmente, e la concomitante as senza di riferimenti all’oggetto ed alla natura di tali informazio ni nel verbale destinato alla lettura dibattimentale, sarebbero pregiudizievoli per il diritto di difesa ed il diritto alla prova del soggetto accusato dell’illecita raccolta, impedendo la verifica del carattere riservato delle informazioni e, comunque, della loro acquisizione mediante modalità illecite. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com Viene prospettata, ancora, una violazione del primo comma dell’art. 24 Cost., poiché la distruzione dei supporti di cui si tratta, e la concomitante assenza di riferimenti all’oggetto ed alla natura delle informazioni illegalmente acquisite nel verbale destinato alla lettura dibattimentale, pregiudicherebbero il di ritto della persona offesa di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito. Sarebbe infine vulnerato il principio sancito nell’art. 112 Cost., in quanto la soppressione della prova del reato connesso all’illecita acquisizione dei dati comprometterebbe l’efficace esercizio dell’azione penale in relazione a tale reato, anche con riferimento ai fattori che rilevano per la quantificazione della pena in caso di condanna. 2. In via preliminare, data la sostanziale identità delle questio ni proposte dai Giudici rimettenti, è opportuno disporre la riunione dei relativi giudizi. 3. La questione sollevata dal Giudice per le indagini prelimi nari del Tribunale di Vibo Valentia (r.o. n. 50 del 2008) è inammissibile. Il rimettente ha posto in adeguato rilievo la circostanza che, nel caso sottoposto alla sua valutazione, non si discute dell’in tercettazione di comunicazioni telefoniche o telematiche, ma dell’illecita captazione di colloqui tra persone presenti (trascu rando, per altro, il problema della qualificazione penalistica di intercettazioni effettuate da soggetti privati nell’abitacolo di veicoli, la cui considerazione come luoghi di privata dimora è da lungo tempo controversa). Lo stesso giudice a quo, in particolare, ha osservato come il secondo comma dell’art. 240 cod. proc. pen. cioè la norma che delimita l’oggetto della procedura regolata dalle disposizioni immediatamente succes sive si riferisca a «dati e contenuti» concernenti comunica zioni relative a «traffico telefonico e telematico», e ne ha dedotto che la previsione non comprende la captazione di conversazioni attuate senza l’ausilio di mezzi tecnici di teletra smissione. Tale opinione, che trova riscontro nella lettera della norma censurata, è stata significativamente anticipata nel cor so della discussione parlamentare culminata con l’approvazio ne della legge n. 281 del 2006 ed è condivisa, inoltre, da molti degli studiosi che hanno commentato la disciplina in esame. Sennonché, proprio in aderenza alla conclusione cui perviene il rimettente, deve constatarsi l’irrilevanza della questione sol levata, posto che il materiale preso in esame nel giudizio a quo non è compreso nell’ambito dei documenti assoggettabili alla procedura di distruzione. Non può condividersi, in particola re, l’assunto secondo cui l’elencazione contenuta nel comma 2 dell’art. 240 cod. proc. pen. sarebbe suscettibile di estensione in via analogica, secondo il disposto dell’art. 12 delle disposi zioni preliminari al codice civile. L’interpretazione analogica è preclusa tra l’altro, a norma dell’art. 14 delle disposizioni appena citate, per le cosiddette leggi eccezionali. Si compren de facilmente, pur senza accedere ad una ricos truzione di dettaglio delle norme sull’utilizzazione processuale e sulla de stinazione delle cose in sequestro, che la procedura di distru zione immediata dei materiali in discussione costituisce, per una molteplicità di profili, una deroga a disposizioni di caratte Newsletter n. 5 22 giugno 2009 re generale. La durata del sequestro cosiddetto probatorio, quando non ricorrono i presupposti per la restituzione della cosa seque strata all’avente diritto, coincide con la durata del relativo procedimento penale (art. 262 cod. proc. pen.), fatta eccezio ne per alcune ipotesi che, a loro volta, sono derogatorie d’una regola generale. Gli stessi documenti anonimi, alla cui discipli na il legislatore del 2006 ha voluto accostare la normativa censurata in questa sede, sono distrutti solo dopo cinque anni, sempre che non si tratti di corpo del reato e che non proven gano comunque dall’imputato, nel qual caso sono acquisiti agli atti del procedimento (art. 240, comma 1, cod. proc. pen., e art. 5 del regolamento per l’esecuzione del codice di procedu ra penale, approvato con decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334). Si deve ribadire, dunque, che la disciplina censurata presenta carattere eccezionale e come tale va applicata secondo regole di stretta interpretazione. Da ciò deriva che il rimettente non è chiamato a fare applicazione delle norme da lui stesso so spettate di illegittimità costituzionale. La questione sollevata, di conseguenza, è inammissibile per difetto di rilevanza. 4. Ad una conclusione analoga si deve pervenire con riguar do alla la questione sollevata dal Giudice per le indagini preli minari del Tribunale di Milano con l’ordinanza r.o. n. 84 del 2008. Risulta infatti, con chiarezza, che il rimettente non deve fare alcuna applicazione delle norme oggetto di censura, non es sendo giudice di una procedura incidentale regolata dai commi 3 e seguenti dell’art. 240 cod. proc. pen. Le doglianze del rimettente si concentrano, in sostanza, sulla preclusione dell’accesso ad una prova raccolta in un diverso procedimento. Sennonché tale preclusione scaturisce, per il divieto di utilizzazione e comunque per l’impossibilità di for mare copie del materiale sequestrato, dal secondo comma dell’art. 240 cod. proc. pen., norma che lo stesso rimettente non ha censurato. Egli ha inteso riprendere, piuttosto, rilievi concernenti la procedura finalizzata alla distruzione dei sup porti recanti le indagini asseritamente compiute a carico del l’opponente, cioè disposizioni procedurali che, nella sua pro spettiva, sono del tutto irrilevanti. La questione dei diritti e delle garanzie spettanti alla vittima della presunta acquisizione illegale di informazioni ha motivo di porsi sol o nella procedu ra incidentale finalizzata alla distruzione dei relativi supporti, e questo vale per qualunque conseguenza possa derivare, in via di fatto, dall’accoglimento della relativa richiesta. 5. La questione di legittimità costituzionale proposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007 è fondata, nei limiti di seguito precisati. 5.1. Le ragioni delle censure del rimettente nei confronti delle disposizioni oggetto del presente giudizio poggiano sulla ritenuta irragionevole sproporzione tra la tutela apprestata per il diritto alla riservatezza e quella assicurata al diritto di difesa, al diritto di azione ed ai principi del giusto processo e di obbligatorietà dell’azione penale. Nel bilanciamento tra i sud 13 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com detti diritti e principi fondamentali, il legislatore avrebbe sacri ficato pressoché interamente i secondi in favore del primo. Da questa considerazione il giudice a quo fa discendere il petitum dell’atto introduttivo, consistente nella richiesta di declarato ria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate. 5.2. L’assunto del rimettente può essere condiviso solo in parte, proprio per l’esigenza, dallo stesso sottolineata, di man tenere nella disciplina in materia un corretto equilibrio tra diritti e principi fondamentali. Deve preliminarmente porsi in rilievo che la normativa ogget to della presente questione è stata approvata per porre rime dio ad un dilagante e preoccupante fenomeno di violazione della riservatezza, che deriva dalla incontrollata diffusione me diatica di dati e informazioni personali, sia provenienti da attività di raccolta e intercettazione legalmente autorizzate, sia fatto più grave, che riguarda direttamente il presente giudizio effettuate al di fuori dell’esercizio di ogni legittimo potere da pubblici ufficiali o da privati mossi da finalità diverse, che comunque non giustificano l’intrusione nella vita privata delle persone. La preoccupazione del legislatore è stata quella di evitare che la doverosa osservanza delle norme che impongono la pubbli cità degli atti del processo possa risolversi in un ulteriore danno per le vittime delle illecite interferenze, le quali, oltre ad aver subito indebite intrusioni nella propria sfera personale, rimarrebbero esposte, per un lungo periodo, al rischio che il frutto dell’attività illegale di informazione e intercettazione possa diventare strumento di campagne diffamatorie e delegit timanti nei loro riguardi. Il pericolo è apparso aumentato per la constatazione, di comune esperienza, che non è garantita, nelle condizioni normative ed organizzative attuali, una ade guata tenuta della segretezza degli atti custoditi negli uffici giudiziari, come purtropp o dimostrano le frequenti «fughe» di notizie e documenti. L’intento di prevenire tali possibili abusi ha indotto lo stesso legislatore ad introdurre una disciplina derogatoria rispetto alla normativa ordinaria sulla conservazione del corpo di rea to: i documenti, i supporti e gli atti concernenti dati e conte nuti di conversazioni e comunicazioni, relativi a traffico telefo nico e telematico, illegalmente formati e acquisiti, devono essere distrutti, per disposizione del giudice per le indagini preliminari, al più presto possibile, nell’ambito di un procedi mento incidentale molto rapido, che deve precedere la chiusu ra delle indagini preliminari. 6. Ritiene questa Corte che la finalità di assicurare il diritto inviolabile alla riservatezza della corrispondenza e di ogni altro mezzo di comunicazione, tutelato dagli artt. 2 e 15 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 366 del 1991, n. 81 del 1993, n. 463 del 1994, n. 372 del 2006), cui deve aggiungersi uguale diritto fondamentale riguardante la vita privata dei cittadini nei suoi molteplici aspetti, non giustifichi una eccessiva compressione dei diritti di difesa e di azione e del principio del giusto processo. La limitazione in eccesso deriva dall’aver delineato il procedimento incidentale, volto alla distruzione del materiale sequestrato di cui sopra, secondo il modello processuale di 14 cui all’art. 127 cod. proc. pen., nella parte in cui configura un contraddittorio solo eventuale. Peraltro lo stesso comma 5 dell’art. 240 cod. proc. pen. fa riferimento all’obbligo per il giudice di sentire solo le parti «comparse» e rende in tal modo incontrovertibile il carattere tendenzialmente sommario della procedura. A ciò si deve aggiungere che il provvedimento con cui il giudice ordina la distruzione del corpo di reato (a prescindere dalla sua discussa impugnabilità) determina, in forza dell’imme diata esecuzione materiale, la conseguenza che qualunque vio lazione dei diritti delle parti, derivante dall’imperfezione del contraddittorio, diviene irreparabile. 6.1. L’irreparabilità delle eventuali violazioni dei diritti delle parti non è compensata dalla sostituzione dei documenti, atti e supporti fisicamente eliminati con il verbale di cui al comma 6 dell’art. 240 cod. proc. pen., giacché il divieto di inserire nel verbale alcun riferimento al contenuto dei predetti documen ti, supporti e atti e l’espressa limitazione della descrizione alle «modalità e ai mezzi» con cui il materiale è stato acquisito, determinano, nel seguito del procedimento, una condizione di estrema difficoltà nell’esercizio del diritto di difesa degli impu tati, del diritto al risarcimento dei danni delle parti offese e nell’effettivo esercizio dell’azione penale, da parte del pubblico ministero. Inoltre, una restrizione del contraddittorio nell’ambito di un procedimento che, per il fatto di culminare nella distruzione di corpi di reato, incide fortemente sullo svolgimento successivo del processo, costituisce, di per sé, una violazione dei principi del giusto processo, dettati dall’art. 111 Cost. La medesima restrizione produce pure, come conseguenza inevitabile della prima illegittimità, una eccessiva limitazione dei diritti di difesa e di azione e dell’efficiente esercizio dell’azione penale. Sulla base di questa considerazione, lo scrutinio di costituzionalità si deve appuntare sull’effetto combinato della norma che limita il contraddittorio nel procedimento incidentale de quo e di quella che prescrive la formazione di un ver bale come si vedrà meglio appresso troppo povero di contenuti. Nel corso dei lavori parlamentari, che hanno preceduto l’ap provazione delle norme censurate, è stato sottolineato che, a causa del contenuto troppo limitato del verbale sostitutivo, si introduceva una «prova diabolica», che le parti non sarebbero state in grado di sostenere. A tal proposito, si deve ricordare che questa Corte ha affermato e ribadito nella propria giuri sprudenza che non è sufficiente l’astratta previsione del diritto di difesa (e, più in generale, dei diritti delle parti nel processo), ma è necessario che sia garantito il suo effettivo esercizio (ex plurimis, sentenze n. 212 del 1997, n. 62 del 2008, n. 20 del 2009). La determinazione, per effetto di previsioni normative, di situazioni di grave difficoltà n el normale esercizio del diritto delle parti alla prova incide sulla sua effettività ed è, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza citata, costituzional mente inaccettabile. 6.2. D’altra parte, la pressante esigenza di dare al diritto fondamentale alla riservatezza una tutela più intensa, rispetto a quella, rivelatasi insufficiente, del recente passato, induce a Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com ritenere non irragionevoli particolari modalità di trattamento del materiale probatorio, che riescano a contemperare tutti i diritti e principi fondamentali coinvolti in questa delicata mate ria. Le modalità di bilanciamento tra i suddetti diritti e principi sono molteplici e non spetta a questa Corte, ma al legislatore, individuare possibili soluzioni nell’ambito della disciplina del processo penale. Nel presente giudizio le valutazioni che il giudice delle leggi è chiamato ad esprimere sono necessaria mente limitate dall’oggetto della questione ed in questa corni ce deve essere ricer cato il punto di equilibrio tra le diverse e potenzialmente opposte esigenze, tutte costituzionalmente protette, che vengono in rilievo. Diversi e migliori equilibri possono essere individuati dal legislatore dotato di poteri innovativi non istituzionalmente attribuiti a questa Corte nel rispetto dei diritti e dei principi evocati nel presente giudizio. Se si parte da questo presupposto, si deve escludere che la caducazione totale delle norme censurate dal rimettente pos sa essere idonea a restaurare l’equilibrio alterato dalle stesse. Ad uno squilibrio infatti se ne sostituirebbe un altro, giacché, come sopra detto, le regole del processo e l’insicurezza della tenuta del segreto degli atti custoditi negli uffici giudiziari esporrebbero le vittime ad un pericolo di divulgazione contra rio alla misura minima di tutela della riservatezza delle perso ne in un ordinamento liberale e democratico, dove le ragioni di giustizia devono trovare adeguati strumenti processuali di realizzazione, senza però sacrificare eccessivamente ed inutil mente i diritti delle vittime incolpevoli di gravi interferenze nella loro vita privata, per di più con la motivazione che si vogliono tutelare proprio i loro interessi. Ove fossero introdotte nell’ordinamento processuale precau zioni sufficienti ad impedire che la pubblicità del dibattimento determini inevitabilmente la pubblicazione di tutto il materiale probatorio, come, ad esempio, attualmente si verifica nei casi in cui il codice di rito prescrive l’udienza a porte chiuse; ove si avesse, inoltre, la ragionevole certezza che la custodia dei materiali relativi ad illecite interferenze nelle comunicazioni e nella vita privata fosse circondata da misure organizzative efficaci e presidiata da norme rigorose sulla tracciabilità dei percorsi dei materiali stessi e sull’individuazione dei soggetti istituzionalmente responsabili, anche a titolo di culpa in vigilan do, allora drastiche misure di salvaguardia, come qu elle intro dotte dalle norme censurate, potrebbero non essere conside rate indispensabili. Nell’attuale situazione di incertezza sull’ef fettività della tutela del diritto alla riservatezza, non è possibile cancellare, puramente e semplicemente, le norme che impon gono la distruzione dei documenti, supporti e atti illecitamen te acquisiti. Si devono invece ricondurre tali norme, nei limiti del possibile, al rispetto sia dell’equilibrio costituzionalmente necessario, sia della ratio emergente dalle medesime. 7. Il risultato prima delineato si può conseguire recidendo il legame, istituito dal comma 4 dell’art. 240 cod. proc. pen., tra la procedura speciale di cui ai commi 3 e seguenti dello stesso articolo e l’art. 127 cod. proc. pen., nella misura in cui il richiamo a tale norma fa ricadere sulla procedura medesima le limitazioni del contraddittorio che connotano il modello gene Newsletter n. 5 22 giugno 2009 rale del rito camerale. D’altronde, lo stesso legislatore ha manifestato in modo chiaro l’intenzione di dettare una norma tiva mirata alla formazione di una fonte di prova anticipata rispetto alle successive fasi del processo. Ne consegue che tale scopo deve essere perseguito nel rispetto dei principi del giusto processo, del diritto di difesa e di azione e dell’effettivo esercizio dell’azione penale, che si concretizzano in una rigo rosa prescrizione del contraddittorio tra le parti, come quella contenuta nell’art. 401, commi 1 e 2, cod. proc. pen., che disciplina l’udienza relativa all’incidente probatorio. Tale ultima normativa deve naturalmente estendersi ad una fattispecie processuale, come quella oggetto del presente giudizio, per effetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 Cost. Il contraddittorio è garanzia insostituibile nell’ordinamento processuale di uno Stato di diritto e i potenziali aggravi di lavoro in presenza di procedimenti con molte parti si devono fronteggiare con idonee misure organizzative e di gestione dei processi, non certo con la irragionevole com pressione dei diritti garantiti dalla Costituzione. 8. Il secondo fattore che contribuisce all’effetto combinato di illegittimità costituzionale di cui s’è detto al paragrafo 6 si deve individuare nella insufficiente attitudine del verbale sosti tutivo, quale prefigurato dal censurato comma 6 dell’art. 240 cod. proc. pen., a rappresentare i fatti, dai quali il giudice del merito dovrà trarre le sue valutazioni. Il rimettente pone a base di uno dei motivi addotti per sostenere l’illegittimità costituzionale di tale norma la considerazione che la stessa introdurrebbe una sorta di giudizio anticipato, destinato a condizionare indebitamente la pronuncia del giudice del meri to. Si deve osservare, in proposito, che la lettura della suddet ta disposizione porta a conclusioni diverse. La legge prescrive che nel verbale in questione si dia «atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione ille cita dei documenti, dei supporti e degli atti», anzitutto in considerazione del fatto che l’atto deve documentare le con clusioni delle parti. Il verbale non può esplicare alcuna efficacia valutativa che non sia strettamente circoscritta alla decisione di distruggere il materiale, e, nella propria funzione concomi tante (e primaria) di prova «sostitutiva» del corpo di reato, non può esercitare alcun condizionamento sulla decisione da assumere nell’ambito del procedimento principale. Proprio la necessaria natura descrittiva del verbale sostitutivo impone che lo stesso non si limiti a contenere i dati relativi alle «modalità e ai mezzi» usati ed ai soggetti interessati, ma debba altresì contenere tutte le indicazioni utili ad informare il giudi ce e le parti del successivo giudizio in merito alle circostanze da cui si possano trarre elementi di valutazione circa l’asserita illiceità dell’attività contestata agli imputati. La semplice descri zione delle modalità e dei mezzi utilizzati per raccogliere informazioni può non essere sufficiente a consentire un ade guato successivo controllo giudiziale, nel contraddittorio delle parti, sulla liceità o non della condotta degli imputati. Né questi ultimi, né le parti offese, n&ea cute; il pubblico ministe 15 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com ro disporrebbero, nel giudizio di merito, di dati obiettivi suffi cienti a suffragare le rispettive posizioni, difensive o accusato rie. Ecco perché è costituzionalmente necessario allargare le potenzialità rappresentative del verbale in questione, includen dovi anche tutte le circostanze che hanno caratterizzato l’atti vità diretta all’intercettazione, alla detenzione ed all’acquisizio ne del materiale per il quale il pubblico ministero ha chiesto l’avvio del procedimento incidentale de quo. Il giudice del merito deve poter disporre di tutti gli elementi necessari per valutare, senza alcun condizionamento derivante dalla decisio ne presa nel procedimento incidentale, e nel contraddittorio tra le parti, se l’assunto accusatorio del pubblico ministero abbia o non fondamento. L’inserimento nel verbale della descrizione delle circostanze relative all’attività asseritamente illecita di cui sopra compren de, ove sia necessario, soltanto i dati conoscitivi sulla natura e sulle caratteristiche formali dei documenti, supporti ed atti (con esclusione, ai sensi del comma 6, di ogni riferimento alle informazioni in essi contenute), da cui, in correlazione alle circostanze di luogo, di tempo e di contesto della loro acquisi zione, si possono trarre elementi di giudizio sulla liceità dei comportamenti degli imputati. La correttezza e l’obiettività del verbale sostitutivo sono ga rantite dalla formazione dello stesso nel contraddittorio tra le parti. Il rischio che nel corso di tale procedura possa verificarsi una illecita divulgazione delle notizie riservate, in ipotesi ille galmente acquisite, è attenuato dal divieto di effettuare copia in qualunque forma degli stessi, contenuto nel comma 2 del l’art. 240 cod. proc. pen.; sarà cura degli uffici giudiziari e dei responsabili degli stessi prevenire ogni violazione di tale divie to. Per le ragioni sopra esposte, questa Corte ritiene di dover accogliere solo parzialmente la questione di legittimità costitu zionale sollevata dal giudice rimettente, per ripristinare un corretto equilibrio tra i parametri costituzionali evocati. È appena il caso di ripetere che l’equilibrio così raggiunto non è l’unico in assoluto possibile, ma è l’unico realizzabile tenendo conto della legislazione data e dei limiti costituzionali di inter vento del giudice delle leggi. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 240, commi 4 e 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede, per la disciplina del contraddittorio, l’applicazione dell’art. 401, commi 1 e 2, dello stesso codice; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 240, comma 6, cod. proc. pen., nella parte in cui non esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le circostanze inerenti l’attività di formazione, acquisizione e rac colta degli stessi documenti, supporti e atti; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale 16 dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valen tia, in riferimento agli artt. 24, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 50 del 2008); dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 84 del 2008). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2009. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l’11 giugno 2009. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA Il SOLE24 ORE NORME E TRIBUTI del 20.06.2009 n. 168 pg. 31 Ai notai non può sfuggire la condizione del fallito Sulla stipula il rischio delle richieste dei creditori (Angelo Busani) Responsabilità. La Cassazione sui controlli per evitare l’inef ficacia degli atti È responsabile sotto il profilo dell’inadempimento del manda to professionale il notaio che stipuli un mutuo ipotecario senza avvertire il mutuante del fatto che il mutuatario era fallito e che pertanto l’atto dispositivo compiuto dal fallito potrebbe essere dichiarato inefficace nei confronti dei credito ri del fallimento (Cassazione, sentenza n. 11569 del 2009). Nel caso specifico, l’immobile offerto in ipoteca era poi stato venduto all’incanto nel corso della procedura fallimentare. Occorre sottolineare che l’intervento in un atto notarile di un soggetto dichiarato fallito non incide sulla ricevibilità dello stesso da parte del notaio (come invece accade nel caso dell’intervento in atto di un minorenne, di un interdetto, di un inabilitato, di un soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno o di un procuratore privo della procura). La dichiarazione di fallimento infatti produce ”solo” l’ineffica cia verso i creditori del fallimento degli atti che il fallito compie dopo la dichiarazione di fallimento. La conseguenza è che questi atti sono validi ed efficaci, con l’unico limite che i creditori del fallimento possono pretendere che essi si consi derino, nei loro confronti, come mai effettuati. Pertanto, se i creditori del fallimento non impugnano gli atti compiuti dal fallito, coloro che hanno acquistato diritti dal fallito (si pensi all’acquirente di una compravendita o alla banca mutante che riceve una garanzia ipotecaria) non possono subire contesta Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com zioni delle posizioni acquisite. È chiaro però che, anche se l’atto compiuto dal fallito non è irricevibile dal notaio, il professionista è responsabile qualora ometta colpevolmente di rivelare la condizione del fallito al suo avente causa, nel caso in cui il contraente subisca nocu mento nel suo acquisto per l’azione dei creditori. L’omissione del notaio non può infatti generare la sua responsabilità qualo ra egli dimostri che nemmeno con l’uso della dovuta diligenza professionale avrebbe potuto sapere dell’esistenza della sen tenza dichiarativa di fallimento. In effetti, vi sono casi in cui la qualità di fallito è rilevabile con evidenza: si pensi all’ipotesi in cui l’atto compiuto dal fallito sia una compravendita immobiliare o la concessione di una garan zia ipotecaria e la sentenza di fallimento sia stata trascritta nei registri immobiliari. Vi sono casi invece nei quali l’incidente è inevitabile: si pensi all’ipotesi, assai attuale, dell’atto stipulato da un soggetto appa rentemente ”normale” e che poi si rivela essere invece un incapace a vario titolo (è infrequente che nell’attività di con trattazione venga prodotto l’estratto dell’atto di nascita, che è il documento principe per verificare l’eventuale stato di inca pacità legale). Si pensi inoltre a un soggetto fallito ”per estensione” in segui to al fallimento della società di persone di cui era socio (di tale fallimento per estensione i registri camerali pare non riporti no notizia). Le stesse difficoltà si incontrano nel caso di una persona fallita tempo addietro di cui nessuno conosce i tra scorsi imprenditoriali e rispetto alla quale nessuno pensa a compiere accertamenti nel Registro imprese, per scoprire eventuali disavventure fallimentari. © RIPRODUZIONE RISERVATA Testo della sentenza Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 19 maggio 2009, n. 11569 ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI NOTAIO RESPONSABILI TA’ REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SENESE Salvatore Presidente Dott. FEDERICO Giovanni rel. Consigliere Dott. UCCELLA Fulvio Consigliere Dott. SPIRITO Angelo Consigliere Dott. AMENDOLA Adelaide Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: RI. FA. FI. FE. , elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA Newsletter n. 5 22 giugno 2009 MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato CO LETTI PIERFILIPPO, rappresentato e difeso dall’avvocato MAFFI STEFANO; ricorrenti contro GA. MU. SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato LOIACO NO ROMAGNOLI MARIA TERESA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SARTORIO MARCO con procura in calce al controricorso; controricorrente avverso la sentenza n. 489/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, Sezione Terza Civile, emessa il 29/03/04, depositata il 17/07/2004; R.G.N. 444/02; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/03/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO; udito l’Avvocato CRISTINA CAPENA (per delega avv. STEFA NO MAFFI); udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI (per delega avv. M. TERESA LOIACONO ROMAGNOLI); udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 321/01 il Tribunale di Chiavari respingeva la domanda di condanna al risarcimento danni da liquidarsi in separata sede, proposta dalla s.p.a. Ga. Mu. nei confronti del notaio Ri. Fa.Fi. F. . Questi, infatti, in vista della stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario relativo ad un appartamento in (OMESSO), era stato incaricato dalla societa’ anzidetta di effettuare le visure catastali ed ipotecarie, verificando la proprieta’ del bene e l’inesistenza di trascrizioni od iscrizioni pregiudizievoli su detto immobile offerto in garanzia, ed aveva dichiarato la liberta’ dell’immobile stesso: senonche’, erogata la somma di euro 67.139,40, garantita da ipoteca iscritta il 22.3.94 per euro 100.709,10, all’attrice era stata notificata il 3.7.96 ordinanza del Tribunale fallimentare di Genova di autorizzazione della vendita all’incanto della quota indivisa pari alla meta’ dell’im mobile offerto in garanzia, per la sola parte di proprieta’ di Ni. Pi. . La societa’ proponeva appello avverso la predetta sentenza: l’appellato, costituendosi, eccepiva l’improcedibilita’ del grava me, per essere stata la causa iscritta a ruolo quando era ancora in corso la notificazione dell’atto di citazione in appel lo, e proponeva appello incidentale in ordine all’affermazione di responsabilita’ contenuta nella prima sentenza. Con sentenza depositata il 7.7.04 la Corte d’appello di Geno va, rigettato l’appello incidentale, in accoglimento di quello principale, condannava l’appellato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ri. Fa. , con due motivi, mentre la Ga. Mu. ha resistito con controricorso. 17 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com Entrambe le parti hanno depositato in atti una memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 165 e 347 c.p.c. nonche’ la nullita’ della sentenza o del procedimento ex articolo 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli articoli 83 e 125 c.p.c. avendo la Corte di merito erroneamen te ritenuto che non sussistesse la dedotta improcedibilita’ dell’appello, in quanto il vizio, costituito dall’avvenuta costitu zione in giudizio dell’appellante mediante il deposito in cancel leria non dell’originale della citazione in appello ma di una semplice copia, avrebbe dovuto considerarsi sanato con la costituzione dell’appellato, stante l’avvenuto raggiungimento dello scopo da parte dell’atto stesso. Con il secondo motivo lamenta invece la violazione degli articoli 2727, 2728 e 2697 c.c., nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della con troversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto che il Regio Decreto n. 1326 del 1914, articolo 55 abbia introdotto una presunzione di conoscenza degli atti ivi men zionati in capo ad ogni singolo notaio del distretto. 1. Il primo motivo e’ infondato. La Corte territoriale ha, infatti, spiegato, con congrua e logica motivazione, le ragioni giustificatrici dell’infondatezza dell’as sunto del ricorrente circa la dedotta improcedibilita’ dell’ap pello proposto dalla Ga. Mu. , facendo correttamente riferi mento innanzitutto alla circostanza che nel caso di specie l’iscrizione della causa a ruolo era stata effettuata quando la procedura notificatoria si era ormai perfezionata (ma non era ancora pervenuta all’appellante la documentazione compro vante l’avvenuta notificazione) e che la denunciata irregolarita’ doveva ritenersi sanata per effetto della tempestiva costituzio ne in giudizio della controparte. La sentenza ha anche evidenziato che tale soluzione trovava la sua legittimazione nel fatto che, nonostante i vizi dell’iscrizio ne a ruolo, la controparte aveva avuto la possibilita’ di attuare pienamente le proprie difese, senza lamentarsi di aver subito alcun pregiudizio all’esercizio dei suoi diritti, per cui doveva necessariamente ritenersi raggiunto lo scopo cui era preordi nata la formalita’ dell’iscrizione a ruolo. Rileva questo Collegio che i piu’ recenti arresti della S.C. si pongono perfettamente in linea con la soluzione adottata dalla Corte genovese (cfr. in particolare Cass. civ., sez. 1, 9.12.2004, n. 23027; sez. 1, 13.8.2004, n. 15777), in particolare laddove sottolineano che con la notificazione della citazione si era regolarmente costituito il contraddittorio tra le parti e soprat tutto si era consentito alla controparte di conoscere l’avversa domanda e conseguentemente di difendersi. Al di fuori di questa linea sembra porsi a prima vista la recen tissima sentenza n. 18009 dell’1.7.2008 di questa S.C., che ha ritenuto che il deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l’improcedibilita’ dell’ap pello ex articolo 348 c.p.c. ma la fattispecie oggetto di questa decisione non e’ affatto assimilabile a quella che e’ in discussio 18 ne nel presente giudizio, in quanto in essa a differenza di quanto si riscontra nel caso che ci occupa la notificazione della citazione non era stata ancora eseguita al momento dell’iscrizione a ruolo della causa. Pertanto, di questo precedente, pur recentissimo, non puo’ tenersi conto ai fini della decisione circa la fondatezza o meno del motivo di ricorso in discussione. Va aggiunto, per completezza di motivazione, che le conside razioni sopra svolte, circa la sanatoria della denunciata irrego larita’ dell’iscrizione a ruolo (per il mancato deposito dell’ori ginale della citazione) a seguito della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellato, valgono anche per il correlato man cato deposito della procura, risultando questa apposta ”a margine dell’atto di appello” (v. intestazione della sentenza gravata). Ed invero, come la notificazione della citazione, mediante con segna di copia dell’atto alla controparte, ha consentito a que st’ultima la conoscenza delle avverse pretese e la possibilita’ di apprestare le relative difese, alla stessa maniera l’apposizione della procura a margine della citazione notificata ha consentito senz’altro alla controparte medesima di verificare la tempesti vita’ del rilascio ed il contenuto della procura stessa. Non senza rilevare, peraltro, che, costituendo pur sempre l’omesso deposito dell’originale della procura all’atto d’iscri zione a ruolo della causa un vizio attinente alla costituzione della parte appellante, che non integra una nullita’ rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, deve ritenersi preclusa in sede di giudizio di cassazione tale questione d’irre golarita’ della costituzione nel giudizio d’appello della Ga. Mu. , in quanto non dedotta con i motivi a sostegno del gravame a differenza di quella attinente al mancato deposito dell’originale dell’atto di citazione (v. Cass. civ., sez. 3, 7.5.1996, n. 4243; sez. 2, 27.11.2003, n. 18106). 2. Anche il secondo motivo e’ infondato. In proposito va, pero’, precisato che questa Corte, non condi videndo appieno la motivazione in diritto posta dalla Corte di merito a sostegno della decisione riguardante il rigetto dell’ap pello incidentale inerente alla sussistenza della responsabilita’, ma ritenendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto, debba, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c. correggere ed integrare tale motivazione. Ed invero, risultando quest’ultima incentrata su di una sorta di presunzione di conoscenza, da parte dell’odierno ricorrente, degli atti (incluse le sentenze dichiarative di fallimento) men zionati nel Regio Decreto n. 1326 del 1914, articolo 55, salvo la prova a carico del medesimo che nel blocco delle sentenze trasmesse nel quadrimestre di riferimento fosse mancata la sentenza dichiarativa del fallimento del Ni. , si rileva che la Corte di merito non abbia valorizzato sino a fondo la valuta zione di una circostanza decisiva al fine di accertare la sussi stenza o meno della responsabilita’ del ricorrente, ancorche’ da essa intuita e presupposta quale elemento fondamentale del processo logicogiuridico attraverso il quale e’ pervenuta alla decisione impugnata. Tale circostanza e’ costituita, infatti, dalla natura del rapporto Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com intercorso tra le parti, essendo indubbio che esse stipularono un contratto avente ad oggetto una prestazione d’opera pro fessionale, per cui la responsabilita’ dell’odierno ricorrente non puo’ che essere disciplinata dai principi e dalle norme sulla responsabilita’ contrattuale. Cio’ premesso, e rilevato che dal combinato disposto della Legge 16 febbraio 1913, n. 89, articolo 28, n. 1 e R.D.L. 10 settembre 1914, n. 1326, articoli 54, 55 e 56 risulta che fra gli obblighi inerenti alla funzione notarile rientra anche quello di accertare la capacita’ legale a contrarre delle parti dell’atto rogando (v. Cass. civ., sez. 3, 29.10.1971, n. 3066), e’ inconte stabile che tale controllo debba riguardare anche l’eventuale qualita’ di fallito rivestita da una o piu’ di tali parti, pur ammet tendo che la sentenza dichiarativa di fallimento, che comporta quale effetto piu’ eclatante il cosiddetto spossessamento del debitore, e cioe’ la perdita dell’amministrazione e della dispo nibilita’ dei beni da parte del fallito ed il passaggio dell’ammini strazione al curatore, implica una forma del tutto particolare e limitata d’incapacita’ del fallito. La L.F., articolo 50 (ora abrogato, a partire dal 16.1.2006, per effetto del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo 47, ma in vigore all’epoca dei fatti per cui e’ causa), oltre a prevedere al comma 1 che nella cancelleria di ciascun Tribuna le fosse tenuto un registro per l’iscrizione dei nominativi di coloro che erano stati dichiarati falliti dal Tribunale stesso, stabiliva anche al comma 3 che ogni fallito, finche’ l’iscrizione non fosse stata cancellata, era ”soggetto alle incapacita’ stabili te dalla legge”. Ove a cio’ si aggiunga che il Regio Decreto n. 1326 del 1914, articolo 55 stabiliva l’obbligo per i cancellieri dei Tribunali e delle Corti di appello di trasmettere al consiglio notarile ed all’archivio notarile del luogo un estratto di tutte le sentenze, civili e penali, portanti tra l’altro la dichiarazione di fallimento per l’inoltro a tutti i notai del distretto di Corte d’appello, e’ indubbio che il Ri. Fa. sia incorso nel momento in cui ha trascurato di eseguire gli opportuni controlli al fine di accerta re l’avvenuta dichiarazione di fallimento del Ni. sin dal (OMES SO) in una plateale inadempienza dei propri doveri profes sionali. Infatti, sia attraverso la comunicazione dell’estratto della sen tenza dichiarativa di fallimento che attraverso la consultazione del registro dei falliti di cui al citato articolo 50, L.F. o qualun que altro modo idoneo, il ricorrente sarebbe potuto perveni re con la normale diligenza all’accertamento della qualita’ di fallito in capo al Ni. . Deve aggiungersi che ”in tema di inadempimento delle obbli gazioni del convenuto, a norma degli articoli 1218 e 1256 c.c., la colpa del contraente inadempiente si presume e, pertanto, al fine di vincere la presunzione di colpa, quest’ultimo deve fornire gli elementi di prova e di giudizio idonei a dimostrare, oltre che il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilita’ della prestazione, l’assenza di colpa, ossia di aver fatto tutto il possibile per adempiere l’obbligazione” (Cass. civ., sez. 2, 26.8.2002, n. 12477). Alla stregua di tale principio deve, quindi, escludersi che il Newsletter n. 5 22 giugno 2009 ricorrente possa pretendere un’inversione dell’onere della prova, nel senso cioe’ che venga addossato alla odierna resi stente l’incombente di dimostrare l’esistenza di un comporta mento negligente del notaio Ri. Fa. , come ad esempio neces sariamente accadrebbe se si ritenesse che debba essere la Ga. Mu. a dimostrare l’avvenuto invio al notaio medesimo del l’estratto della sentenza di fallimento e la conseguente sua mancanza di diligenza nel tenerne conto. 3. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente con danna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in lire 6.100,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge. *** Il SOLE24 ORE NORME E TRIBUTI del 22.06.09 n. 170 pg. 7 L’intercettazione esterna entra nell’iter disciplinare di Giovanni Parente Cassazione. Sì all’suo di chiamate ricevute dal giudice da parte di un indagato Via libera all’utilizzo esterno delle intercettazioni per il trasfe rimento d’ufficio in via cautelare del magistrato. Al fine di riscontrare il presupposto dei «gravi elementi di fondatezza dell’azione» per il trasferimento d’ufficio, nel procedimento disciplinare verso un magistrato per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento possono essere impiega te, in questa fase, le risultanze di intercettazioni di telefonate ricevute dal giudice e legittimamente disposte e effettuate nel corso di un procedimento penale a carico dell’autore e inter locutore della chiamata, indagato per un reato che consente l’intercettazione stessa. Così come si può adoperare quanto emerso da intercettazioni di telefonate fatte dal magistrato, nell’ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che le consen ta. A stabilirlo sono le sezioni unite con la sentenza 12717/09. Una conclusione a cui la Cassazione giunge prendendo in considerazione da un lato l’«accentuato potere d’ufficio», che emerge dagli articoli 16 e 18 del Dlgs 109/06, nella ricerca e nell’acquisizione degli elementi di prova dell’illecito disciplinare del magistrato, e dall’altro le limitazioni predicate dalla giuri sprudenza di legittimità sulla restrizione all’utilizzo esterno delle intercettazioni telefoniche prevista dall’articolo 270 del Codice procedura penale. Nel ricorso veniva impugnata l’ordinanza con cui la sezione disciplinare del Csm aveva adottato la misura cautelare del trasferimento d’ufficio a carico di un presidente di sezione di Tribunale. La difesa contestava la non utilizzabilità delle inter 19 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com cettazioni effettuate in un procedimento penale a carico di un altro soggetto e che non vedevano il giudice come indagato. La prima precisazione della Cassazione riguarda proprio la specificità del provvedimento. Il trasferimento d’ufficio, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Dlgs 109/2006, ha «natura cautelare e quindi l’accertamento dei fatti posti a fondamento della misura (i gravi motivi di fondatezza dell’azione disciplina re) ha carattere sommario e provvisorio». Si tratta, quindi, di «un provvedimento cautelare emesso a seguito di cognizione sommaria; che deve poi trovare conferma in sede di applica zione di una sanzione disciplinare che consenta come sanzione accessoria il trasferimento disciplinare». Gli articoli 16 e 18 del Dlgs 109/06 dettano le regole per il procedimento disciplinare in merito alla ricerca e all’acquisi zione delle prove. In particolare, l’articolo 16, comma 4, pre vede che il procuratore generale possa acquisire qualsiasi dato informativo senza che a ciò sia di ostacolo il segreto istrutto rio, mentre l’articolo 18, comma 3, lettera a), assegna alla sezione disciplinare il potere di acquisire d’ufficio le prove che ritiene utili. In questo quadro va coniugato il rispetto delle regole processualpenalistiche, che, in relazione all’utilizzo esterno delle intercettazioni, si focalizza sull’articolo 270 del Codice procedura penale: «Disposizione che, al primo com ma, prevede – puntualizzano le sezioni unite – che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedi menti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza». >CW28>Naturalmente devono essere intercettazioni legittime, «disposte con ”atto motivato dell’autorità giudiziaria” e ”con le garanzie stabilite dalla legge”, ossia eseguite nel rispetto del codice di rito e segnatamente delle prescrizioni degli articoli 266 e successivi del Codice procedura penale, che assicurano anche il rispetto del citato parametro costituzionale a tutela dell’inviolabilità delle comunicazioni». La Cassazione ricorda però come alcune precedenti pronunce abbiano in modo limitato il vincolo all’utilizzo esterno delle intercettazioni. È il caso, ad esempio, del giudizio di prevenzio ne o della possibilità di avvalersi dei risultati per l’acquisizione della notizia criminis di un reato diverso per l’avvio di nuove indagini. Emerge quindi, fa notare la sentenza 12717/09, che «il primo comma dell’articolo 270 del Codice procedura penale – non trovando in particolare applicazione al giudizio di pre venzione che pure ha una connotazione ”penalistica” a diffe renza del procedimento disciplinare di magistrati – riguarda specificamente il processo penale deputato all’accertamento delle responsabilità penali che pongono in gioco la libertà personale dell’indagato o dell’imputato sicché possono >CW41>giustificarsi limitazioni più stringenti all’acquisizione della prova (si pensi al divieto di lettura di atti di indagine come fonti di prova ex articolo 514, Codice procedura pena le) in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale». Poteri d’ufficio 20 Cassazione, Sezioni Unite sentenza 12717 Dagli articoli 16 e 18 del Dlgs 109/06 emerge un accentuato potere d’ufficio nella ricerca e acquisizione degli elementi di prova dell’illecito disciplinare del magistrato (...); d’altra parte la restrizione dell’utilizzo esterno delle intercettazioni telefo niche, di cui all’articolo 270, comma 1, Codice procedura penale, soffre le limitazioni predicate dalla giurisprudenza (...). Tutto ciò converge verso un’affermazione conclusiva: può rite nersi (...) che al fine di riscontrare il presupposto di «gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare» per l’adozione della misura cautelare del trasferimento d’ufficio, nel corso di un procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento, ben possono essere uti lizzate – in questa fase – le risultanze di intercettazioni di telefonate ricevute dal magistrato e legittimamente disposte ed effettuate nel corso di un procedimento penale a carico dell’autore e dell’interlocutore della chiamata, indagato per un reato che consente l’intercettazione; del pari sono utilizzabili le risultanze di intercettazioni di telefonate fatte dal magistra to, ove in ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che consenta tali intercettazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA Testo della sentenza Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza del 29 maggio 2009, n. 12717 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO ILLECITI DISCIPLINARI REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VITTORIA Paolo Primo Presidente f.f Dott. ELEFANTE Antonino Presidente di Sezione Dott. PREDEN Roberto Presidente di Sezione Dott. PICONE Pasquale Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio Consigliere Dott. GOLDONI Umberto Consigliere Dott. SALVAGO Salvatore Consigliere Dott. FORTE Fabrizio Consigliere Dott. AMOROSO Giovanni rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 25173/2008 proposto da: SC. BR. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SAN SABA 7, presso lo studio dell’avvocato RANDAZZO ROBER TO, rappresentato e difeso dall’avvocato DUCCI DOMENI CO, per procura in calce al ricorso; ricorrente contro Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CAS SAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA; intimati avverso l’ordinanza n. 84/2008 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 26/09/2008; A udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/ 2009 dal Consigliere Dott. AMOROSO GIOVANNI; udito l’Avvocato DUCCI Domenico; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricor so. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con ordinanza dell’11 luglio 26 settembre 2008 la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, pro nunciandosi sulla richiesta in data 14 maggio 2008 del Procura tore Generale presso la Corte di Cassazione di trasferimento ad altra sede e di destinazione ad altre funzioni del Dott. SC. Br. , Presidente di sezione del Tribunale di (OMESSO), dispo neva, come misura cautelare Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, ex articolo 13, comma 2, (Illeciti disciplinari dei magistrati), il trasferimento del magistrato ad altra sede con assegnazione di altre funzioni. Secondo la Sezione disciplinare del C.S.M. sussistevano gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare giacche’ il Dott. Sc. aveva interferito nell’attivita’ giudiziaria dei magistrati che trattavano il procedimento penale pendente a carico dei co niugi Ro. e Pa. Pe. in modo pressante, reiterato e mirato, interessandosi di tutto l’iter processuale ed intervenendo in ogni momento cruciale dello stesso. Cio’ si ricava dalle testi monianze dei suddetti magistrati: Dott. QU. Ni. , giudice del riesame presso il Tribunale di (OMESSO), Dott. ME. Fr. , Dott. DE. CH. Al. , D.ssa LA. Pa. . Che poi si fosse trattato non di ”innocente segnalazione”, ma di ”pressante e prepotente interferenza” risultava dalle inter cettazioni di conversazioni telefoniche tra il Ro. (indagato) e il Dott. SC. . In particolare, nel corso di una telefonata con il Ro. , il Dott. SC. , riferendosi all’attivita’ di un magistrato del processo, affermava ”(...) a questo punto lo dobbiamo monito rare”. Nel corso di altra telefonata, sempre con il Ro. , il Dott. Sc. , raccogliendo una lamentela del Ro. in ordine alle aspetta tive di quest’ultimo quanto al comportamento di un altro magistrato, affermava che ”non gliela avrebbe fatta passare per buona” e ”gliene avrebbe dette quattro”. 2. Avverso tale ordinanza il Dott. Sc. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso e’ articolato in due motivi. Con il primo motivo la difesa del ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione degli articoli 266, 267, 268, 270 e 271 c.p.p., nonche’ del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, articolo 13, si duole dell’illegittima utilizzazione delle risultanze di intercettazioni telefoniche fatte in un procedi mento penale a carico del Ro. che non vedevano il Dott. Sc. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 come indagato. In particolare il ricorrente deduce che le intercettazioni telefoniche in questione avevano riguardato in via esclusiva gli interessi e le attivita’ imprenditoriali del Ro. in relazione a reati ipotizzati, quali falso ideologico e corruzione. Mentre il procedimento penale a carico del Dott. Sc. per tentato abuso d’ufficio continuato, da cui era sorto quello disciplinare, era del tutto diverso sicche’ operava il disposto dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, che preclude l’utilizzazione esterna delle intercettazioni telefoniche. Espunte queste ulti me, non sussistevano piu’ i gravi elementi di fondatezza del l’azione disciplinare richiesti dall’articolo 13, comma 2, cit.. Il ricorrente poi deduce la mancanza dei decreti autorizzatori delle intercettazioni e dei gravi indizi di reato richiesti dall’arti colo 267 c.p.p.. Con il secondo motivo la difesa del ricorrente deduce vizio di motivazione, nonche’ violazione del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, comma 2. Si duole della mancanza dei requisiti per l’adozione della misura cautelare di cui all’arti colo 13, comma 2, cit., contestando la sussistenza del requisi to dell’urgenza. Sostiene che il reato contestato al Dott. Sc. (tentato abuso d’ufficio) e’ si grave, ma ”non destinato ad incidere significativamente sull’Ordine Giudiziario”; e che una sanzione meno severa, quale l’ammonimento, avrebbe potuto essere inflitta. 2. Il ricorso e’ ammissibile. 3. Va premesso che la Sezione disciplinare del Consiglio Supe riore della Magistratura con l’impugnata ordinanza pronuncia ta in camera di consiglio ha adottato la misura cautelare del trasferimento d’ufficio prevista dal Decreto Legislativo 23 feb braio 2006, n. 109, articolo 13, comma 2; fattispecie questa distinta sia da quella contemplata dal primo comma della medesima disposizione del trasferimento d’ufficio che si puo’ accompagnare all’irrogazione di una sanzione disciplinare di versa e quindi piu’ grave dell’ammonimento, quando, per la condotta tenuta, la permanenza del magistrato nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia; sia da quella del trasferimento per incompatibilita’ ambientale di cui al R.Decreto Legislativo n. 511 del 1946, articolo 2, che presup pone che il magistrato venga a trovarsi in uno dei previsti casi di incompatibilita’ o quando, per qualsiasi causa indipendente da sua colpa non possa, nella sede occupata, svolgere le pro prie funzioni con piena indipendenza e imparzialita’. In particolare prevede l’articolo 13, comma 2, cit. che nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza del l’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistra tura, in via cautelare e provvisoria, puo’ disporre il trasferi mento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato. Pertanto deve ricorrere un triplice pre supposto: occorre che sia in corso un procedimento discipli nare per un addebito di entita’ non minore, in quanto punito 21 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com con una sanzione diversa e quindi piu’ grave dall’ammoni mento; devono ricorrere gravi elementi di fondatezza in ordi ne all’addebito disciplinare per il quale si procede; inoltre devono sussistere motivi di particolare urgenza. In proposito questa Corte (Cass. sez. un., 11 dicembre 2007, n. 25815) nel sottolineare come la misura cautelare del trasferimento d’ufficio possa essere adottata soltanto ove sus sistano gravi motivi di fondatezza dell’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza ha precisato che a tal fine occorre l’instaurazione di un procedimento in contraddit torio con il magistrato stesso e con la piu’ ampia garanzia del diritto di difesa. 4. Cio’ premesso, deve innanzi tutto considerarsi ai fini dell’impugnabilita’ dell’ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M., con cui e’ stato adottato il provvedimento cautelare del trasferimento d’ufficio che il Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 24, prevede che l’incolpato al pari del Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione possa proporre, contro i provvedimenti in materia di sospensione di cui al Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articoli 21 e 22, e contro le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale. Testualmente e’ prevista l’impugnabilita’ quanto ai provvedimenti cautelari solo della sospensione cautelare (obbligatoria ex articolo 21 cit. o facoltativa ex articolo 22 cit.); non e’ invece prevista per il trasferimento d’ufficio Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, comma 2. Di tale disposizione pero’ occorre dare un’interpretazione costituzionalmente orientata. Se da una parte questa Corte (Cass., sez. un., 11 dicembre 2007, n. 25815) ha ritenuto manifestamente infondata la que stione di legittimita’ costituzionale di tale previsione in riferi mento all’articolo 107 Cost., che, nel sancire il principio del l’inamovibilita’ dei magistrati, prevede che essi possano essere destinati ad altre sedi o funzioni con decisione del Consiglio Superiore della Magistratura, per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dall’ordinamento giudiziario, d’altra parte pero’ deve considerarsi che ove prescritta l’inoppugnabilita’ del trasferimento d’ufficio del magistrato in via cautelare verrebbe verosimilmente a collidere con tale parametro ridondando in un deficit delle ”garanzie di difesa” che l’ordinamento giudizia rio e’ chiamato ad approntare ex articolo 107 Cost., comma 1, perche’ i magistrati possano essere ”dispensati” o ”sospesi dal servizio” o ”destinati ad altre sedi o funzioni”. Garanzia questa che non si esaurisce nella mera riserva di legge, specifi camente prevista dall’articolo 108 Cost., comma 1, ma implica un adeguato livello di tutela del diritto di difesa del magistrato. Sicche’ va ritenuta la ricorribilita’ per cassazione dell’ordinanza cautelare ex articolo 13, comma 2, cit., in sintonia peraltro con le ”forme” della disciplina del processo penale, richiamate dal Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 24, che prevedono la ricorribilita’ per cassazione sia in materia di misure cautelari personali che di misure cautelari reali. 22 Questa interpretazione costituzionalmente orientata e’ coe rente con l’orientamento di questa Corte (Cass. sez. un., 11 dicembre 2007, n. 25815) che ha per l’appunto ritenuto impu gnabile con ricorso per cassazione un’ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M. di trasferimento disciplinare di un magi strato, esaminando il ricorso nel merito ed affermando in quel caso di specie la corretta applicazione della misura cautelare anche per illeciti disciplinari commessi prima della data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 109 del 2006. 5. Il ricorso e’ poi ammissibile anche sotto il profilo della sua tempestivita’. In ragione della previsione del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 24, si ha che avverso l’ordinanza cautelare che dispone il trasferimento d’ufficio del magistrato l’impugnazio ne va proposta nel rispetto delle ”forme” del processo penale e quindi nei termini dettati da quel codice di rito. Il termine per impugnare e’ pertanto quello previsto per le decisioni in materia di provvedimenti cautelari. In proposito deve considerarsi che l’articolo 311 c.p.p., com ma 1, prevede che il ricorso per cassazione avverso le decisio ni in materia di misure cautelari coercitive va proposto nel termine di dieci giorni, mentre, quanto al ricorso per cassazio ne avverso le decisioni in materia di misure cautelari reali l’articolo 325 c.p.p., pur rinviando per il rito al medesimo articolo 311 c.p.p., commi 3 e 4, non richiama il primo comma della stessa disposizione e quindi non opera il termine di dieci giorni. Risolvendo un contrasto di giurisprudenza sorto in proposito, questa Corte (Cass. pen. sez. un., 20 aprile 1994 24 giugno 1994, n. 5) ha affermato che il termine per proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, av verso le ordinanze emesse all’esito di appello o di riesame proposti avverso provvedimenti in materia di misure cautelari reali e’ quello ordinario di quindici giorni previsto dall’articolo 585 c.p.p., comma 1, lettera a), per le decisioni adottate in camera di consiglio; termine che inizia a decorrere dal mo mento della comunicazione o notificazione dell’avviso di depo sito dell’ordinanza. Conf. Cass. pen. sez. 1 , 5 giugno 1997 24 giugno 1997, n. 3962. Ed allora anche per l’impugnativa della ordinanza di adozione (in camera di consiglio) del trasferimento cautelare del magi strato Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, comma 2, opera la prescrizione di carattere generale dell’arti colo 585 c.p.p., comma 1, lettera a): il termine per il ricorso per cassazione e’ parimenti di quindici giorni decorrenti dalla comunicazione dell’ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M.. Pertanto, considerato che l’avviso di deposito dell’ordinanza della Sezione disciplinare e’ stato comunicato a mezzo di notifica del 9 ottobre 2008, il ricorso, proposto in data 20 ottobre 2008 (con deposito presso la segreteria del C.S.M.) e’ tempestivo perche’ rispettoso del termine di quindici giorni. 6. Nel merito il primo motivo del ricorso e’ infondato. In disparte il primo requisito della misura cautelare de qua (i.e. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com pendenza di un procedimento disciplinare per un addebito punibile con una sanzione diversa e quindi piu’ grave dell’ammonimento) della cui (pacifica) sussistenza nella specie non si controverte, quanto agli altri requisiti prescritti dal Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, comma 2, il ricorrente ha censurato la sussistenza dei gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare sotto il profilo soprattutto della non utilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche. Le quali, nell’impugnata ordinanza, hanno non solo la funzione di supporto ed ulteriore riscontro delle deposizioni testimo niali di cui si e’ detto in narrativa; ma concorrono in modo decisivo alla formazione del quadro di ”gravi elementi di fon datezza dell’azione disciplinare”. L’impugnata ordinanza con motivazione sufficiente ed immu ne da vizi logici ha ritenuto che dalle deposizioni testimoniali fosse risultato provato il ripetuto interessamento del Dott. Sc. avente ad oggetto il procedimento penale nei confronti dei coniugi Ro. e Pa. Pe. . Ancorche’ il contatto del Dott. Sc. con i magistrati che aveva no in carico il processo non risulti dalle deposizioni testimo niali suddette essere travalicato in indebite pressioni, tuttavia la sistematicita’ e la reiterazione dell’interessamento gia’ ne connotavano maggiormente il rilievo disciplinare. Ma cio’ che ha portato la Sezione disciplinare ad affermare che si era trattato ”non di semplice ed innocente segnalazione ma di pressante e prepotente interferenza” e’ stata soprattutto la valutazione della trascrizione delle intercettazioni di conversa zioni telefoniche intervenute tra il Dott. Sc. e l’indagato Ro. e sopra riportate in narrativa. Pertanto certamente rilevante e decisiva e’ ai fini della legitti mita’ della misura cautelare la questione che pone la difesa del ricorrente denunciando la violazione dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, e sostenendo l’inutilizzabilita’ delle risultanze di tali intercettazioni telefoniche. 7. Occorre premettere che l’adozione del trasferimento d’uffi cio Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, com ma 2, ha come gia’ rilevato natura cautelare e quindi l’accertamento dei fatti posti a fondamento della misura (i ”gravi motivi di fondatezza dell’azione disciplinare”) ha carat tere sommario e provvisorio; e’ necessario ma e’ anche sufficiente che sussista, in termini di gravita’ indiziaria, il fumus dell’illecito disciplinare contestato al magistrato, laddo ve l’applicazione della sanzione disciplinare unitamente all’ado zione della sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio De creto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, comma 1, implica la prova piena dell’illecito commesso. Ossia si tratta, nella fattispecie dell’articolo 13, comma 2 cit., di un provvedi mento cautelare emesso a seguito di cognizione sommaria; provvedimento che deve poi trovare conferma in sede di applicazione di una sanzione disciplinare che consenta come sanzione accessoria il trasferimento disciplinare. L’acquisizione degli elementi indiziari della fondatezza del l’azione disciplinare deve avvenire nel rispetto delle regole del codice di procedura penale con il limite della compatibilita’ con le peculiarita’ del procedimento disciplinare dei magistrati Newsletter n. 5 22 giugno 2009 che non ha alcuna connotazione ”penalistica”, ma che attiene al rispetto da parte del magistrato dei doveri connessi alla funzione che esercita. Questa regola di rito gia’ contenuta nel R.Decreto Legislativo n. 511 del 1946, articoli 32 e 34, si desume attualmente dall’articolo 16 d.lgs. 109/2006 che pre scrive (al primo comma) che per le attivita’ di indagini del pubblico ministero si osservano le norme del codice di proce dura penale, ma aggiunge ”in quanto compatibili”. D’altra par te il successivo articolo 18 nel facoltizzare la Sezione discipli nare ad assumere, anche d’ufficio, tutte le prove che ritiene utili prescrive parimenti, al comma 4, l’osservanza delle nor me del codice di procedura penale sul dibattimento, ma ribadi sce altresi’ il contemperamento della verificata compatibilita’ con il procedimento disciplinare. Le due citate disposizioni dettano poi anche regole specifiche per il procedimento disciplinare di magistrati quanto alla ricer ca ed acquisizione degli elementi di prova. Da una parte l’articolo 16, comma 4, prevede che il Procuratore Generale puo’ acquisire qualsiasi dato informativo senza che a cio’ sia di ostacolo il segreto istruttorio. Inoltre l’articolo 18, comma 3, lettera a), cit. come appena rilevato assegna alla stessa Sezione disciplinare il potere di acquisire d’ufficio tutte le prove che ritiene utili. L’ampio potere di indagine del pubblico ministero, prima, e il non meno ampio potere officioso della Sezione disciplinare nell’acquisire la prova dell’illecito disciplinare, poi, connotano di specialita’ il procedimento disciplinare di magistrati eviden ziando come esso sia marcatamente orientato all’accertamen to dell’effettiva sussistenza dell’addebito disciplinare. Quindi con tale specifica peculiarita’ che viene in rilievo in ragione della clausola di compatibilita’ prevista nel richiamo della disci plina del processo penale va coniugato il prescritto rispetto delle regole del codice di procedura penale; il quale, quanto al profilo specifico in esame (i.e. utilizzo esterno delle intercetta zioni), si focalizza essenzialmente nell’articolo 270 c.p.p.. Di sposizione questa che, al comma 1, prevede che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in ”procedimen ti” diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali e’ obbligatorio l’arresto in flagranza. Naturalmente deve trat tarsi di intercettazioni legittime, tali perche’ disposte con ”atto motivato dell’autorita’ giudiziaria” e ”con le garanzie stabilite dalla legge” (articolo 15 Cost., comma 2), ossia eseguite nel rispetto del codice di rito e segnatamente delle prescrizioni di cui all’articolo 266 c.p.p. e segg., che assicurano anche il rispet to del citato parametro costituzionale a tutela dell’inviolabilita’ delle comunicazioni. Diversa e’ invece l’ipotesi delle intercet tazioni illegali per le quali opera il divieto di utilizzazione posto dall’articolo 271 c.p.p., comma 1, e delle quali e’ prescritta dalla stessa disposizione (al comma 3) la distruzione, al pari della distruzione delle intercettazioni illegali prevista dall’arti colo 240 c.p.p., come riformulato dal recente intervento nor mativo in tema di intercettazioni telefoniche (Decreto Legge 22 settembre 2006, n. 259, conv. in Legge 20 novembre 2006, n. 281), peraltro censurato di incostituzionalita’ sotto un pro 23 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com filo che qui non rileva. 8. Il problema interpretativo che si pone e che nella giuri sprudenza della Sezione disciplinare del C.S.M. ha visto un revirement atteso che inizialmente si era ritenuta l’inutilizzabi lita’ esterna delle intercettazioni (sentenza n. 149 del 20 otto bre 2006), tesi poi contrastata da una successiva pronuncia di segno opposto (sentenza n. 52 dell’11 maggio 2007), al cui nuovo indirizzo si e’ adeguata l’ordinanza attualmente impu gnata e’ se tale restrizione dell’utilizzo esterno delle intercet tazioni possa, o meno, estendersi al procedimento disciplinare dei magistrati quanto alla ricerca ed acquisizione di ”gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare” al fine di ri scontrare lo specifico presupposto per l’adozione del trasferi mento d’ufficio in via cautelare. Giova allora considerare che nella giurisprudenza di questa Corte una prima limitazione all’operativita’ della restrizione posta dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, si registra con riferi mento al giudizio di prevenzione. Ha infatti affermato questa Corte (Cass. pen., sez. 1 , 13 giugno 2007 12 luglio 2007, n. 27665) che nel giudizio di prevenzione non e’ applicabile la norma dettata dall’articolo 270 c.p.c., comma 1, che limita, nel giudizio penale, la utilizza bilita’ dei risultati delle intercettazioni telefoniche disposte in altro procedimento vigendo infatti, nel giudizio di prevenzione, la opposta regola della piena utilizzabilita’ di qualsiasi docu mento indiziario, anche tratto da procedimenti penali in corso, purche’ certo e idoneo, per il suo valore sintomatico, a giustifi care il convincimento del giudice in ordine ai presupposti della misura. In senso conforme v. anche Cass. pen., sez. 2 , 28 maggio 2008 26 giugno 2008, n. 25919 (che ha ribadito che nel giudizio di prevenzione gli elementi indiziari possono esse re desunti anche dalle intercettazioni telefoniche disposte nel corso di un procedimento penale); Cass. pen., sez. 6 , 25 ottobre 2007 10 gennaio 2008, n. 1161 (secondo cui l’inuti lizzabilita’ delle intercettazioni nel giudizio di cognizione non preclude la loro utilizzabilita’ nel processo di prevenzione); Cass. sez. 1 , 3 ottobre 2007 25 ottobre 2007, n. 39509 (che parimenti ha affermato che legittimamente il giudice della pre venzione fonda il proprio convincimento sul risultato di inter cettazioni di cui si dia atto in altre decisioni, senza necessita’ di acquisire i relativi provvedimenti autorizzativi, verbali e tra scrizioni). Significativo dell’ambito specifico, e non gia’ ampio, della restri zione all’utilizzazione esterna delle intercettazioni effettuate nel corso di un’indagine penale e’ anche il fatto che per la fattispecie simmetrica quella delle intercettazioni disposte in sede di attivita’ di prevenzione e della loro eventuale utilizza zione processuale (e quindi ”esterna”) il legislatore ha fatto ricorso ad una apposita disposizione, parimenti specifica, per precludere l’utilizzazione esterna di tali intercettazioni (Decre to Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 25 ter, conv. in Legge 7 agosto 1992, n. 356). 9. Una ulteriore limitazione della restrizione posta dall’artico lo 270 c.p.p., comma 1, riguarda poi l’attivita’ di indagine per l’accertamento di un reato diverso da quello per il quale 24 l’intercettazione e’ stata disposta. Questa Corte (Cass. pen. sez. 4 , 3 ottobre 2006 25 gennaio 2007, n. 2596) ha affermato che il divieto di utilizzazione esterna, stabilito dall’articolo 270 c.p.p., dei risultati delle in tercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali queste sono state disposte, si riferisce soltanto all’utilizzazione di tali risultati ai fini della loro valutazione come fonti di prova in procedimenti diversi: resta pertanto salva la possibilita’ di utilizzare tali risultati ai fini dell’acquisizione della ”notitia cri minis” per l’avvio di nuove indagini. Anche secondo Cass. sez. un., 7 marzo 1996, n. 1790 il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altro proce dimento, di cui all’articolo 270 c.p.p., deve essere inteso nel senso che siffatti elementi non possono valere come fonti di prova in un diverso processo, mentre non ne e’ preclusa l’utilizzabilita’ quale semplice notizia di reato, la quale, pur non giustificando un’imputazione ne’ un uso processuale diretto, possa rappresentare il punto di partenza per l’esperimento di ulteriori indagini da parte del magistrato inquirente. La stessa Corte costituzionale (sent. n. 366 del 1991), nel dichiarare infondata la questione di legittimita’ dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, in rapporto agli articoli 3 e 112 Cost., ha escluso ”che il divieto di utilizzazione in altri procedimenti dei risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente dispo ste in un determinato processo possa estendersi, stando a una corretta interpretazione dell’articolo 270 c.p.p., anche all’uti lizzazione degli stessi risultati al fine dell’eventuale e successiva proposizione dell’azione penale”. Pertanto l’articolo 270 c.p.p., comma 1, non preclude l’utilizza zione esterna delle risultanze delle intercettazioni quale notitia criminis di un reato diverso. 10. Emerge quindi che dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, non trovando in particolare applicazione al giudizio di prevenzione che pure ha una connotazione ”penalistica” a differenza del procedimento disciplinare di magistrati riguarda specifica mente il processo penale deputato all’accertamento di re sponsabilita’ penali che pongono in gioco la liberta’ personale dell’indagato o dell’imputato sicche’ possono giustificarsi limi tazioni piu’ stringenti all’acquisizione della prova (si pensi al divieto di lettura di atti di indagine come fonte di prova ex articolo 514 c.p.p.) in deroga al principio fondamentale della ricerca della verita’ materiale (C. cost. 255 del 1992). Ed e’ con riferimento ai ”procedimenti penali” che un’ipotetica pie na utilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di procedimenti penali diversi da quello per il quale le stesse intercettazioni siano state validamente autorizzate sarebbe contrastante con le garanzie poste dall’articolo 15 Cost. a tutela della liberta’ e della segretezza delle comunicazioni (C. cost. n. 63 del 1994). Ed allora da una parte del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articoli 16 e 18, emerge un accentuato potere d’ufficio prima dell’inquirente e poi dello stesso organo giudicante nella ricerca e nell’acquisizione degli elementi di prova dell’illecito disciplinare del magistrato, rilevante al fine della clausola di riserva di compatibilita’ nell’applicazione della disciplina pro Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com cessualpenalistica; d’altra parte la restrizione all’utilizzo esterno delle intercetta zioni telefoniche, di cui all’articolo 270 c.p.p., comma 1, soffre le limitazioni predicate dalla giurisprudenza di questa Corte, di cui si e’ detto. Tutto cio’ converge verso un’affermazione conclusiva: puo’ ritenersi con riferimento ai caso di specie che al fine di riscontrare il presupposto dei ”gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare” per l’adozione della misura cautelare del trasferimento d’ufficio, nel corso di un procedimento disci plinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’am monimento, ben possono essere utilizzate in questa fase le risultanze di intercettazioni di telefonate ricevute dal magistra to e legittimamente disposte ed effettuate nel corso di un procedimento penale a carico dell’autore ed interlocutore della chiamata telefonica, indagato per un reato che consente l’intercettazione stessa; del pari sono utilizzabili le risultanze di intercettazioni di telefonate fatte dal magistrato, ove in ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che consenta tali intercet tazioni. Nella specie le intercettazioni in questione sono state disposte ed effettuate non gia’ nel procedimento penale a carico anche del Dott. Sc. per tentato abuso d’ufficio continuato (per l’inte ressamento mostrato presso i colleghi che avevano in carico il processo penale nei confronti dei coniugi Ro. e Pa. Pe. ), bensi’ in un altro procedimento penale (per falso ideologico e corru zione), il cui titolo di reato le consentiva ex articolo 266 c.p.p., ma che vedeva come indagato (per quanto risulta dall’ordinan za impugnata e dal ricorso) non il Dott. Sc. , bensi’ il Ro. (unitamente ad altri). 11. A corollario delle conclusioni raggiunte e con riferimento ad un profilo subordinato di censura espressa dal ricorrente ancora nel primo motivo, deve considerarsi che la difesa del Dott. Sc. la cui tesi principale (in diritto) di assoluta inutilizza bilita’ delle intercettazioni nel procedimento disciplinare e’ infondata per le ragioni sopra argomentate ha poi anche contestato, con una prospettazione sostanzialmente subordi nata, la concreta utilizzabilita’ nella specie delle intercettazioni stesse deducendo che la Sezione disciplinare avrebbe dovuto acquisire evidentemente Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 18, che consente l’assunzione di ufficio di tutte le prove utili i decreti di autorizzazione alle operazioni di intercettazioni telefoniche. A questo proposito ribadito che il presupposto per l’utilizzo esterno delle intercettazioni e’, come gia’ rilevato, la legittimi ta’ delle intercettazioni stesse nell’ambito nel procedimento in cui sono state disposte e’ sufficiente rilevare che siffatta censura, mossa avverso l’ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M., la quale nulla dice in proposito, ridonda in realta’ in denuncia di vizio di omessa motivazione sul punto, sicche’ implica che la difesa del ricorrente avrebbe dovuto allegare di aver svolto questa eccezione all’udienza camerale innanzi alla Sezione disciplinare senza ottenere risposta. Nella specie inve ce il ricorrente che fa un riferimento generico all’”eventuale acquisizione di tutti i decreti di autorizzazione”, ma non speci Newsletter n. 5 22 giugno 2009 fica di aver sollevato l’eccezione di mancanza dei decreti auto rizzatori facendola risultare al verbale d’udienza camerale si duole in realta’ dell’impossibilita’ di valutare i ”gravi indizi” legittimanti le intercettazioni disposte nel procedimento pena le che vede indagato il Ro. ; censura questa inammissibile non essendo consentito al limitato fine dell’utilizzazione esterna delle intercettazioni telefoniche nel procedimento disciplinare un sindacato di merito sulla gravita’ degli indizi, prescritta dall’articolo 267 c.p.p., per l’adozione della misura nel procedi mento penale, essendo invece sufficiente la ritualita’ formale dell’atto sotto il profilo del titolo di reato (ex articolo 266 c.p.p.) e della previa emissione del decreto autorizzatorio (ex articolo 267 c.p.p.) per assicurare la legittimita’ di tale utilizza zione esterna. 12. Il secondo motivo e’ inammissibile. La Sezione disciplinare con valutazione di merito, sufficiente mente e non contraddittoriamente motivata, ha accertato l’urgenza di provvedere rilevando in particolare che il com portamento contestato disciplinarmente nonche’ in sede penale al Dott. Sc. , consistente nell’interessamento mostra to all’andamento del procedimento penale a carico dei coniugi Ro. e Pa. Pe. , era diventato di pubblico dominio nell’ambiente giudiziario napoletano. Cio’ che faceva ragionevolmente dubi tare della possibilita’ che il Dott. Sc. potesse in quello stesso ambiente giudiziario continuare ad esercitare le delicate funzioni giurisdizionali di Presidente di una sezione penale del tribunale di (OMESSO). Inammissibile e’ pure il rilievo della difesa del ricorrente quan to alla possibilita’ di irrogare una sanzione meno grave, quale il mero ammonimento, atteso che l’ordinanza impugnata ha adottato non gia’ una sanzione disciplinare, graduabile in ragio ne della gravita’ dell’illecito disciplinare commesso, ma una misura cautelare, a carattere provvisorio. 13. Il ricorso va quindi interamente rigettato. Non occorre provvedere sulle spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; nulla sulle spese. Prassi in Lex24 Determinazione dell’imponibile per il patrocinio a spese dello Stato Nel calcolo della soglia minima di reddito necessaria per esse re ammessi al patrocinio a spese dello Stato, la deduzione per assicurare la progressività dell’imposta deve essere considera ta alla stregua dei redditi esenti da IRPEF che, secondo l’art. 76 D.P.R n 115 del 2002, concorrono alla determinazione del relativo ammontare mentre devono ritenersi deducibili esclu sivamente gli oneri di cui all’art. 10 del TUIR i quali, nella previgente normativa come in quella attuale, vengono ricono sciuti, in considerazione della loro valenza morale e sociale, 25 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com per la capacità di incidere sulla situazione personale del contri buente, a prescindere dal sistema di determinazione dell’im ponibile e dell’imposta. Agenzia delle Entrate Risoluzione del 15 giugno 2009, n. 159//E Procedimento penale Richiesta parere Reddito imponibile Patrocinio a spese dello Stato DPR 30 maggio 2002, n. 115 art. 76 DPR 22 dicembre 1986, n. 917 art. 11 CONTENZIOSO ATTI DI PARTE RICHIESTA PARERE PATROCI NIO A SPESE DELLO STATO QUESITO Ai sensi dell’art. 76 del D.P.R del 30 maggio 2002, n 115 (”Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”) ”chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22”, puo’ beneficiare del patrocinio a spese dello Stato” La Guardia di finanza istante, dovendo verificare nell’ambito di un procedimento penale se un soggetto si trovi nelle condizio ni stabilite dal citato articolo 76, per fruire del patrocinio a spese dello Stato, ha chiesto di conoscere, con riferimento ai dati risultanti da una dichiarazione fiscale relativa ai redditi 2004 (Mod. 730), se sia necessario considerare quale ”reddito imponibile” utile, ai fini dell’ammissibilità del beneficio, il reddi to complessivo dichiarato dal soggetto oppure quello imponi bile, al netto della deduzione prevista per la progressività dell’imposta, di cui all’art. 11 del TUIR. L’istante ha fatto presente che il quesito è stato prospettato in quanto con la risoluzione n. 15 del 21.01.2008 l’Agenzia delle entrate, nel fornire chiarimenti in merito all’interpretazione dell’art. 76 del DPR n. 115 del 2002, ha precisato che ”il reddito imponibile”, cui fa riferimento detta disposizione, è quello determinato ai sensi dell’art. 3 del TUIR ed in particola re il reddito complessivo del soggetto, al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 del TUIR, facendo cosi sorgere il dubbio che ai fini in questione non possa tenersi conto anche della deduzione prevista dall’art. 11 del TUIR, evidenziata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2004. SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE L’istante non prospetta alcuna tesi. PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE Ai sensi dell’art. 76 del D.P.R n 115 del 2002, per essere ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, è necessario che dall’ultima dichiarazione dei redditi del richie dente risulti un reddito imponibile annuo non superiore a euro 9.723,84, determinato, come precisato dalla risoluzione dell’Agenzia delle entrate n 15 del 2008, ai sensi dell’art. 3 26 del TUIR, deducendo cioè dal reddito complessivo gli oneri di cui all’articolo 10 dello stesso decreto. Ai fini della determinazione del limite di reddito su indicato, inoltre secondo quanto disposto dal richiamato articolo 76, si deve tener conto anche ”dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva”. Per stabilire, ai fini della normativa in esame che, come già precisato nella richiamata risoluzione n. 15, ha ad oggetto materia non fiscale se, nella determinazione del reddito relativo all’anno 2004, sia possibile tener conto della deduzio ne prevista dall’articolo 11 del TUIR, la scrivente ritiene utile fornire chiarimenti circa la natura di detta deduzione, alla luce del quadro normativo vigente nell’anno d’imposta in questio ne. In proposito si rileva che, per quanto riguarda le regole di determinazione del reddito vigenti per il 2004, l’art. 3 del TUIR stabiliva che il reddito complessivo fosse diminuito degli oneri deducibili elencati nell’art. 10 del TUIR nonchè delle deduzioni effettivamente spettanti ai sensi del richiamato arti colo 11 del TUIR. L’articolo 11, nella formulazione allora in vigore, prevedeva la deduzione per assicurare la progressività dell’imposta (cosi’ detta no tax area), introdotta dall’art. 2 lett. b), della legge 289 del 2002, che consisteva in una deduzione dal reddito, da calcolare mediante una formula matematica. Detta deduzione individuava una quota di reddito esente da tassazione, in misura inversamente proporzionale al crescere del reddito, che si annullava per i redditi più alti, cosi’ che, in combinazione con la rimodulazione delle aliquote d’imposta e degli scaglioni di reddito operata dalla medesima legge 289 del 2002, potesse realizzarsi la progressività dell’imposizione. Con la legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006 n. 296, art. 1, comma 6, lettera b), la deduzione per assicurare la progressività dell’imposta è stata abrogata ed è stato integral mente sostituito il contenuto dell’articolo 11 del TUIR, attra verso la previsione di nuove aliquote e scaglioni di reddito. Conseguentemente sono state modificate le regole per la determinazione del reddito di cui all’art. 3 del TUIR, eliminando il riferimento all’art. 11. Si è dell’avviso che, nel periodo di vigenza, la deduzione per assicurare la progressività dell’imposta rappresentasse una norma di sistema, su cui si fondava, in combinazione con le aliquote allora vigenti, l’impianto ordinario di determinazione dell’imposta. Sulla base degli argomenti sopra esposti, si deve concludere che, nel calcolo della soglia minima di reddito necessaria per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, la deduzione per assicurare la progressività dell’imposta debba essere con siderata alla stregua dei redditi esenti da IRPEF che, secondo l’art. 76 D.P.R n 115 del 2002, concorrono alla determinazione del relativo ammontare mentre devono ritenersi deducibili esclusivamente gli oneri di cui all’art. 10 del TUIR i quali, nella previgente normativa come in quella attuale, vengono ricono Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com sciuti, in considerazione della loro valenza morale e sociale, per la capacità di incidere sulla situazione personale del contri buente, a prescindere dal sistema di determinazione dell’im ponibile e dell’imposta. Al riguardo, sulla medesima questione, si è espressa la Corte di Cassazione (Cass.penale 4 giugno 2008, sez. IV, n. 22299) la quale ha evidenziato che ”nella determinazione del reddito da valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al gratuito patrocinio, non si puo’ tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore nel T.U., ed in particolare dell’art. 11 citato, introdotto dalla legge n. 289 del 2002), che prevede la deduzione di euro 3.000,00 per garantire la progressività dell’imposta” cio’ in quanto, pro segue la Corte, si tratta ” di deduzione introdotte ai fini della determinazione concreta dell’imposta da pagare, concetto questo che presenta una configurazione diversa rispetto al reddito imponibile cui fa riferimento il DPR 30 maggio 2002, n. 115, art. 76 (DPR in tema di spese di giustizia), che intende dare rilevanza anche a redditi non assoggettabili ad imposta ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita” di chi chiede di essere ammesso al beneficio”. Le Direzioni Regionali vigileranno affinchè i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità. AVVOCATI 24 Venture Philanthropy: tra Venture Capital Sociale e Filantropia di Ventura di Antonio Cuonzo CBA Studio Legale e Tributario Roma Il presente lavoro, anche in ragione della assoluta caratteristica sperimentale del tema, non ha come scopo una analisi dottri nale dello stesso ma si pone come precipuo scopo quello di analizzare una potenziale contestualizzazione giuridicotribu taria nel sistema italiano di quella pratica filantropicofinanzia ria che è ormai entrata nella comune accezione con il termine di “Venture Philanthropy”. In tale contesto di analisi, abbiamo di seguito perseguito l’obiettivo di esaminare le varie possibilità di azione giuridica offerte, sotto il “cappello” della Venture Philanthropy, dalla legislazione del nostro Paese in relazione alle definizioni teori che sul tema ed ai vari segnali di azione che giungono anche dalla stampa più attenta. Alla luce della doverosa premessa al presente lavoro e con un’ottica di attuale contestualizzazione piuttosto che di disa mina dottrinale di tutti i temi di seguito trattati, abbiamo ritenuto interessante cercare di esprimere il tema della Ventu re Philanthropy in chiave giuridicotributaria al fine di eviden ziare alcune nostre ipotesi applicative dello stesso, alcune potenziali strutturazioni delle operazioni in questione e, non da ultimo, alcuni segnali di convergenza, forse neppure voluta, tra le teorizzazioni sul tema, le ipotesi applicative e recenti novità legislative tutte italiane. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 1. Venture Philanthropy: l’idea teorizzata oltreoceano Nel 1997, la Harvard Business Review pubblicò un articolo]1] il cui titolo lasciava presagire l’inizio delle teorizzazioni relative ad una rivoluzione concettuale del rapporto tra finanza e filantropia. Inizio delle teorizzazioni in quanto il lavoro pubblicato nel 1997, al quale si usa spesso ricondurre il tema della Venture Philanthropy, seguiva di qualche anno alcune precedenti appli cazioni sperimentali di iniziative riconducibili al tema in ogget to]2] e che risultavano essere, all’epoca, nient’altro che forme sperimentali ed evolutive delle più obsolete e semplici forme di attività di beneficenza. Da sempre settori fisiologicamente connessi (grandi ricchez ze, spesso generatesi nel comparto finanziario, sono storica mente fonte di grandi elargizioni monetarie per scopi benefi ci), quello della filantropia è stato, infatti, almeno in origine, un comparto da gestire, per certi versi, separatamente da quello “degli affari” e in maniera destrutturata (luogo comune vuole da sempre magnati dell’economia e della finanza che firmano assegni]3] o lasciano alle proprie “consorti” il patrocinio di operazioni benefiche) anche in ragione dell’assenza del lucro che conduce, ovviamente, verso un approccio diverso della gestione del denaro. Le primordiali e più ovvie, alla luce di quanto qui in esame, forme di intervento filantropico strutturato cui poter pensare, con il passar degli anni, sono nate attraverso la creazione di fondazioni c.d. “di erogazione” (spesso originate da “illustri famiglie” o da altrettanto illustri “imprese di famiglia” o sem plicemente “da grandi imprese”) che permettevano di assicu rare nel tempo ed in maniera teoricamente più attenta e strutturata l’intervento benefico e gestivano, oseremmo dire in termini minimalisti, anche un certo ritorno d’immagine per l’effettivo benefattore. Proprio queste maggiori strutturazioni della filantropia “vec chia maniera”, unitamente ad una filantropia col tempo sem pre meno anonima e sempre più componente quasi essenziale degli affari, attraverso concetti ben più conosciuti quali quello della Corporate Social Responsibility]4] o, ancor meglio, quel lo del Corporate Social Committement,]5]condussero, quindi, nei primi anni novanta, negli Stati Uniti, alla realizzazione di tentativi, più o meno grandi, di una gestione più professionale della beneficenza che trovò poi, come detto, voce nelle teoriz zazioni effettuate a Cambridge attraverso le pagine della Har vard Business Review. L’articolo in questione era intitolato “Virtuous Capital. What foundations can learn from Venture Capital” ed esprimeva, nei suoi contenuti, un’ipotesi di lavoro tendente a risolvere un problema abbastanza chiaro e determinato: le modalità di erogazione e gestione dei fondi diretti agli enti non profit, spesso e volentieri, lasciavano temere il mancato raggiungi mento di efficienza ed efficacia degli stessi fondi. Pur con maggiore strutturazione giuridicoformale, infatti, le iniziative filantropiche delle fondazioni parevano basarsi su concetti propri di una filantropia “vecchio stampo”, comune mente caratterizzata da una sorta di “quasi disinteresse” per la 27 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com fase successiva all’erogazione, dovuto per certi versi essenzial mente alla caratteristica funzione della stessa azione filantropi ca: effettuando un’erogazione liberale a favore di un soggetto ad intervento sociale diretto, in un certo senso, si realizza anche una sorta di personale “deresponsabilizzazione sociale” insita nello stesso intervento puramente finanziario che con sente di non sentirsi in dovere di intervenire in altra e più diretta maniera. Atteggiamento, questo, invero, non sempre negativo alla luce del fatto che “non invade” il campo di azione di chi, una volta finanziato a dovere, conoscendo approfonditamente il settore di intervento sociale, riesce meglio ad intervenire in maniera diretta. In questo senso, i filantropi sono apparsi per anni poco attenti all’efficienza e all’efficacia della loro erogazione liberale ma si sono, spesso e volentieri, solo preoccupati del fatto che i fondi donati fossero stati effettivamente impiegati per la causa per cui erano stati richiesti ed elargiti. Quindi, effettività sì, ma non per questo ricerca sfrenata di efficienza o efficacia dei fondi rispetto allo scopo come inte resse verificato dai filantropi e come principale indicazione di bilancio richiesta, in chiave di “trasparenza”, alle strutture sociali e solidaristiche che ricevono i fondi]6]. Il risultato pratico di questa logica operativa sarebbe che i fondi verrebbero sempre (o quasi) impiegati per gli scopi sociali per i quali vengono erogati ma, allo stesso tempo, sarebbero poche o scarse le attenzioni in termini di efficienza o efficacia d’impiego che, nei rari casi di verifica delle stesse, risulterebbero spesso elementi quasi assenti in queste attività sia a causa della scarsa professionalizzazione di chi agisce in termini di volontariato]7] sia a causa dell’assenza di (o di interesse al) controllo in questo senso. Focalizzata in questi termini la problematica ed analizzate le usuali pratiche di finanziamento degli enti non profit così come le modalità di impiego degli stessi fondi, l’articolo citato teo rizzava l’idea di una nuova via da seguire partendo dalla ricerca di modalità di controllo dell’efficienza e dell’efficacia del dena ro impiegato che fossero ottimali ed al tempo stesso indisso lubili ed essenziali per un progetto di investimento. L’idea, a questo punto, non poteva che essere quella di focaliz zare l’attenzione sul comparto che meglio di tutti riusciva a trarre maggior “profitto” dai propri investimenti proprio at traverso il controllo del denaro investito ovvero il comparto c.d. di Venture Capital. “The idea makes sense”, recitava l’articolo e continuava asse rendo che “Clearly, foundations and venture capitalists face similar challenges: selecting the most wortly recipients of fun dings, relying on young organizations to implement ideas, and being accountable to the third parties whose funds they are investing”. L’idea, come detto sperimentata e poi teorizzata oltreoceano, in sostanza, era quella di “imitare”, o meglio “mutuare” dal mondo finanziario del Venture Capital, le tecniche di monito raggio e controllo dell’investimento che rendono lo questo stesso curato, supportato e seguito in ogni sua evoluzione 28 temporale fino al momento del disinvestimento. L’articolo, infatti, analizzando i singoli passaggi dell’investimen to nei due comparti (non profit e Venture Capital) evidenziava la possibilità di un’applicazione analogica delle suddette tecni che di monitoraggio, supporto e gestione e concludeva asse rendo che “The venture capital model can act as a starting point for foundations that want to help nonprofits develop the organizational capacity to sustain and expand successful programs.”. Ad una prima lettura, invero, l’idea teorizzata dai docenti di Cambridge poteva sembrare addirittura inattuabile per sua stessa palese connotazione: gli investimenti finanziari vengono meglio e più attentamente seguiti e monitorati ovviamente solo a causa del fine squisitamente lucrativo che perseguono e che mai dovrebbe connotare, almeno in termini tecnicogiuri dici, un’erogazione liberale. In realtà, l’articolo citato sembrava individuare in altre conno tazioni di comparto il limite di applicazione in questione in quanto il monitoraggio dell’investimento si rivelava sin da subi to applicabile al comparto della filantropia ma ciò che era apparentemente non mutuabile era l’adozione degli strumenti (“il capitale”, come strumento di partecipazione all’iniziativa sociale supportata ed una qualche modalità di disinvestimento dallo stesso) tipici delle operazioni di Venture Capital lascian do allora aperta una questione essenziale: i “capitali virtuosi” della filantropia avrebbero copiato le tecniche di monitoraggio dell’investimento o le ragioni stesse del monitoraggio? Monitorare i fondi per renderli più efficienti ed efficaci o tramutare l’erogazione liberale del filantropo di turno in un investimento nel comparto sociale che poi avrebbe, giocofor za, generato maggiore attenzione su quei fondi e quindi mag giore efficacia ed efficienza degli stessi? 2. L’evoluzione dell’idea: investimento o semplice beneficenza? La teoria sopra richiamata e come detto contenuta nell’Har vard Business Review di circa una decina di anni fa, ha incon trato svariate forme di applicazione a cominciare soprattutto dalle esperienze statunitensi della West Coast sospinte dalle grandi e giovanili ricchezze generate dalla New Economy]8]. Le teorizzazioni di Cambridge, le prime esperienze dell’altra costa statunitense e la giovanissima età delle nuove grandi ricchezze capitalistiche, che non permettevano di limitarsi ad una filantropia fatta solo e soltanto di “assegni”, hanno genera to le più disparate forme di sperimentazione e di progettualità in tema di Venture Philanthropy che, a seconda dell’esigenza o dell’interesse del filantropo di turno o degli strumenti messi a disposizione dal sistema giuridico in cui andavano a realizzarsi, si sono strutturate più o meno similmente a vere e proprie operazioni di Venture Capital]9]: si va da casi di semplice e pura “filantropia invasiva”, in cui il filantropo oltre all’erogazio ne decide di intervenire anche a livello gestionale nel soggetto finanziato, a casi in cui il filantropo investitore partecipa real mente al capitale del soggetto supportato attraverso la vera e propria acquisizione di una quota della proprietà del soggetto non profit e lo aiuta a sviluppare il proprio “business sociale”. L’esperienza di questi anni ha sostanzialmente dimostrato, ad Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com avviso di chi scrive, solo e soltanto che l’apporto gestionale nel comparto non profit da parte di soggetti usualmente abi tuati, in termini professionali, a misurarsi con i temi dell’effi cienza e dell’efficacia del denaro investito, comporta inevitabil mente un miglioramento della gestione operativa del soggetto non profit e dell’impatto sociale dallo stesso arrecato nono stante la principale circostanza, da tenere in debita considera zione, relativa al fatto che un intervento in un comparto sociale (es. nel settore dei servizi sociali, dell’assistenza sociale o della stessa beneficenza) non può essere improvvisato e deve necessariamente lasciare intatti e rispettati i peculiari aspetti gestionali più strettamente legati ai temi sociali tratta ti]10]. Quanto al nostro Paese, ciò che può asserirsi, a distanza di circa dodici anni dal citato articolo della Prof.ssa Letts e colla boratori, in sostanza, è che ancor oggi non sembrano chiara mente definite la vera nozione e la vera essenza della Venture Philanthropy: in tanti sembrano porsi la domanda quasi “sotto voce”, probabilmente alla luce del fatto che tanto interesse ed entusiasmo per qualcosa da comprendere ancora fino in fon do non va smontato, ma certo nell’aria la questione sembra aleggiare in merito al dubbio tra una “filantropia più invasiva” del solito, perché tende a monitorare l’erogazione liberale effettuata e ad influenzare l’efficacia di impiego attraverso la cogestione dello stesso soggetto finanziato o, al contrario, un “vero e proprio investimento” di denaro che, seppur in manie ra più calmierata, deve trovare remunerazione oltre che per manenza temporanea (concetti, questi ultimi, insiti nella stessa definizione di “venture”). La risposta a questo dubbio, come detto, ancor oggi, crediamo di poter dire che non ci sia o che, per lo meno, non è ancora arrivata alla luce del quadro empirico che il mercato di questi capitali, da qualcuno già definiti, “coraggiosi”]11] sta offrendo ma probabilmente la voglia e la speranza di essere pionieri di un nuovo “mercato sociale” sta sospingendo il numero di iniziative che, sempre con maggior frequenza e maggiori inve stimenti, stanno popolando l’ambito italiano di osservazione del tema. I problemi applicativi principali, che depongono a favore della tesi della Venture Philanthropy solo e soltanto come filantro pia più invasiva del solito, sembrano, in via concreta, quello di individuare un comparto di investimento (come poter pensare di divenire temporaneamente e proquota “proprietari” di enti come, ad esempio, Greenpeace per rendere l’ente più efficiente, qualora ve ne fosse spazio e bisogno?) e quello della assenza di strumenti di partecipazione all’investimento tipici della forma societaria (soprattutto nella cultura italiana, siamo stati per molti anni abituati a pensare agli enti non profit in termini di associazioni, fondazioni, comitati, ovvero tutte strutture prive del tipico strumento di partecipazione rappre sentato dal capitale sociale e, di conseguenza, della possibilità di cessioni dello stesso). Tutto ciò lasciava pensare che l’idea della Venture Philanthropy come “investimento”, in un’ottica tutta italiana, fosse qualcosa di praticamente irrealizzabile, ma da qualche tempo altri ele Newsletter n. 5 22 giugno 2009 menti di valutazione (e quindi di nuovo interesse scientifico) sembrano affacciarsi sul panorama di questa tipologia di ope razioni: alcune risposte positive, ad esempio e come meglio esposto nel prosieguo di questa trattazione, si stanno affer mando in ragione sia di un ormai avanzato stato di bisogno dei servizi sociali, ormai quasi “dirottati” dallo Stato verso opera tori privati con l’attribuzione a loro favore di una legislazione fiscale di tutto vantaggio]12], sia in ragione di sperimentazioni finanziarie dei Paesi più avanzati, sia di (forse casuali) “incroci” normativi che si stanno generando negli ultimi anni in Italia e che stanno introducendo nella nostra legislazione concetti giuridici e sostanziali molto avanzati al punto tale da generare perplessità con riferimento alla loro opportunità ed applicabi lità. Ci riferiamo, in particolare e a tal ultimo riguardo, a concetti innovativi e quasi impropri per il nostro diritto civile quali quello dell’Impresa Sociale (che consente la “lecita” creazione di una società commerciale senza scopo di lucro) o, con riferimento a quanto sopra richiamato come sperimentazioni finanziare, alle recentissime offerte pubbliche di vendita di azioni proprie realizzate negli Stati Uniti]13] da alcuni soggetti non profit, o, infine, alle prospettiche idealizzazioni per il com parto non lucrativo]14]. Pensare di acquisire, valorizzare e rivendere quote di capitale di Amnesty International, Save The Children piuttosto che di Greenpeace per un fine di lucro, anche se mitigato, forse è e resterà un’idea irrealizzabile e contrastante con qualsiasi con cetto di intervento sociale di fine idealistico ma forse, pensare di finanziare, attraverso la partecipazione al suo capitale, la nascita di un organizzazione non profit dedita alla prestazione di servizi sociali di tipo assistenziale (es. prestazioni medico assistenziali), valorizzarne la sua capacità imprenditoriale e poi dismettere la partecipazione al capitale con un lucro assoluta mente mitigato (o con il semplice recupero del solo denaro investito), con l’assoluta voglia di prestare al sociale le proprie capacità manageriali e progettuali e con (non da ultimo) un ampio ritorno di immagine per l’impatto sociale creato, non crediamo possa considerarsi a priori un’idea così irrealizzabile ed irrazionale. 3. Le ipotesi applicative Alla luce di tutto quanto sopra, la prima questione da analizza re e risolvere, in termini concreti e per gli specifici fini del presente lavoro, attiene, ad avviso di chi scrive, alle potenziali ipotesi applicative di quella che, sia in chiave di nuova filantro pia sia in chiave di investimento sociale, abbiamo cercato di circoscrivere come Venture Philanthropy. In tal senso, siamo dell’idea che le linee di intervento di quanto sopra potrebbero essere identificate in tre direzioni che, quasi con una differente gradazione di innovatività, conducono alle seguenti ipotesi applicative per ciascuna delle quali è inevitabi le, nella stessa redazione del presente studio, indagare la ra gione dello stesso intervento: a) una nuova operatività dei soggetti c.d.“grant making”; b) la nascita di “fondazioni” promosse dagli operatori di Ven ture Capital; 29 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com c) la nascita di operatori professionali di Venture Capital Socia le. a) Una nuova operatività di soggetti “grant making” Con il termine “grant making” si è soliti individuare tutto quel comparto di azione solidaristicosociale in cui un soggetto giuridico, in Italia tipicamente nella forma di fondazione, si adopera nella raccolta di fondi da reindirizzare, sempre in termini di pura beneficenza, verso altre e differenti strutture che realizzano interventi sociali diretti in campi quali l’assisten za sociale, l’assistenza sociosanitaria, l’ambiente e altri settori “nobili” di solidarietà o di sviluppo sociale. Spesso, i soggetti ascrivibili all’operare sopra descritto vengo no sommariamente riportati al comparto della beneficenza e vengono identificati come una delle fonti primarie di finanzia mento dei reali attori del comparto non profit. Le loro tecniche di erogazione, ma ancor di più, le loro tecniche di “monitoraggio” dei fondi impiegati sono riconduci bili nella maggior parte dei casi alla vecchia logica del controllo dell’effettivo impiego dei fondi per la causa sociale per i quali gli stessi fondi vengono richiesti ed erogati: spesso queste strutture di erogazione si limitano ad accertare, attraverso più o meno approfonditi rendiconti degli enti finanziati, se le som me erogate sono state impiegate per le motivazioni richieste ma quasi mai si spingono oltre accertando il grado di efficacia ed efficienza di quei fondi anche perché spesso gli interventi finanziati sono ascrivibili a comparti differenti e non vi sono spesso le competenze necessarie per valutare (quindi, “inva dendo” in termini gestionali) ogni singolo intervento finanzia to. Alla luce di tutto quanto sopra premesso e teorizzato, non vi sarebbe nemmeno da chiedersi il perché queste strutture dovrebbero indirizzarsi verso questa nuova operatività (la be neficenza già la fanno e si tratterebbe solo di farla meglio o secondo modelli più evoluti e certamente più proficui) e le stesse sarebbero ovviamente in primissima linea per l’applica zione di una nuova “filantropia invasiva” che non si limiti all’erogazione dei fondi ed alla richiesta di un rendiconto ma vada più a fondo concedendosi una cogestione (magari attra verso la presenza di proprio management nel soggetto finan ziato) dell’intervento, un continuo monitoraggio di quegli stes si fondi impiegati in termini di efficienza ed efficacia ed una costante valutazione dell’impatto sociale prodotto attraverso il loro denaro. In questo senso, l’idea teorizzata nell’Harvard Business Review troverebbe facile applicazione e le competenze del Venture Capital non potrebbero che tornare utili sia in termini di modello di ispirazione (“The venture capital model can act as a starting point”, per dirla con le parole della Prof.ssa Letts) sia in termini di attrazione di professionalità del comparto finan ziario specialistico verso un mondo professionale, in tal senso, tutto da professionalizzare]15]. L’idea d’oltreoceano, infatti, nasceva proprio osservando que sto specifico comparto di azione, che conduceva gli autori dell’articolo più volte citato a parlare non di ciò che i filantropi potevano imparare dai Venture Capitalists bensì quello che le 30 Fondazioni avevano da imparare dai soggetti da ultimo citati in tal modo focalizzando l’attenzione sulla strutturazione della filantropia piuttosto che sulla filantropia dei singoli e sul Ventu re Capital Model. In tal senso, però, non potrebbe non osservarsi come questo sistema avrebbe di fatto poco di realmente innovativo e forte mente futuristico, fatta eccezione per l’idea, abbastanza comu ne ad avviso di chi scrive, di suggerire a chi opera in comparti meno professionalizzati di operare rifacendosi agli operatori più professionalizzati e di avvalersi della “guida” di chi sa come meglio mettere a frutto il denaro investito. L’aspetto, per certi versi, critico di questo approccio, inoltre, risulterebbe evidente alla luce delle differenti competenze ri chieste dai due ambiti di azione (non profit, da un lato, e capitalismo, dall’altro) che potrebbero condurre verso la criti ca reciproca e la difficoltà di una cogestione non motivata che dalla diversa capacità finanziaria degli attori in gioco. b) La nascita di “fondazioni ” promosse dagli operatori di Venture Capital Altra e differente idea che potrebbe ritenersi sottesa alla progettualità della Venture Philanthropy è invece quella legata ad altra operatività possibile e, a dire il vero, gradualmente più avanzata di quella rappresentata nel precedente paragrafo. L’idea, come detto più avanzata, potrebbe essere quella di una nuova filantropia che, oltre ad essere più invasiva e professio nalizzata del solito, in quanto assistita direttamente dagli ope ratori del Venture Capital, sarebbe anche contestualizzata in una innovativa logica di operatività aziendale ascrivibile ai con cetti della Corporate Social Responsibility o del Corporate Social Commitment. Si tratterebbe, in questo caso, non di una ispirazione (o copia) di un modello di operare (quello del Venture Capital) ma si tratterebbe di un modello di azione filantropico che, nel tenta tivo di ispirazione al modello del Venture Capital, verrebbe generato proprio dagli stessi Venture Capitalists e sorgerebbe con un’ottica di azione di responsabilità sociale degli stessi che apporta sicuri vantaggi in termini di impatto sociale e di imma gine per gli stessi promotori. Alla base delle ragioni di una simile iniziativa, potrebbe infatti proprio porsi il concetto di Corporate Social Responsibility, come di recente sospinto dalla stessa Commissione Europea e consistente in una logica di stretta restituzione al sociale di quanto prelevato in termini di guadagni e di risorse ambientali (nell’accezione più ampia), di cui componente più evidente e, ci permettiamo di dire, facilmente perseguibile è quella della Corporate Social Commitment da intendersi come modello che richiede una condotta attiva sui temi sociali così come, ad oggi, comunemente attuata da gran parte degli operatori pro fit attraverso le più disparate tipologie di programmi c.d. “cor porate”]16]. In tal senso, il modello teorizzato dalla Letts subirebbe una sorta di evoluzione applicativa generata dal fatto che una fondazione sarebbe essa stessa iniziativa degli operatori di Venture Capital e, più che ispirarsi al loro modello operativo, assorbirebbe integralmente le sue professionalità e coinvolge Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com rebbe tematiche di più ampio e comune respiro quali quella della Corporate Social Responsibility. L’idea allora sarebbe, a modesto avviso di chi scrive, certa mente più interessante di quella di una semplice filantropia più invasiva del solito ed avrebbe interesse per gli operatori di Venture Capital in termini di ritorno di immagine iniziando, in tal maniera, ad affacciarsi uno scopo differente da quello della pura beneficenza: una simile pratica di Corporate Social Re sponsibility non andrebbe neppure vista in termini di opportu nità ma di stretta necessità operativa per le attuali connotazio ni assunte da consumatori ed investitori. Ovviamente, il tema non potrebbe porre al riparo dalle scon tate considerazioni in termini di “filantropia interessata”]17], tipica delle azioni filantropiche non anonime, ma andrebbe in questa sede letto in termini di ragionevoli motivazioni che potrebbero condurre ad una evoluzione dello stesso tema e ad un più importante e massiccio intervento di capitali in questo specifico comparto di azione. c) La nascita di operatori professionali di Venture Capital Sociale Il passo più evoluto, infine, in termini di graduata evoluzione progettuale del tema della Venture Philanthropy potrebbe es sere intravisto in vere e proprio operazioni di Venture Capital applicate al comparto non profit, perlomeno a quello non idealistico ma a quello tipico dei servizi socioassistenziali. Si tratterebbe in sostanza, non di una sprovveduta copia del modello dell’intervento del Venture Capital nell’ambito della beneficenza ma di una vera e propria applicazione originale di quello stesso modello realizzata da nuovi operatori professio nali dell’ambito sociale. In altre parole, non una beneficenza che usa le tecniche del Venture Capital ma di Venture Capitalists del sociale che intra vedono nel comparto non profit nuove prospettive di azione e di guadagno (forse anche qui solo in termini immagine) seppur altamente mitigate. Si tratterebbe allora, oltre che di capire fino a che punto può mitigarsi il guadagno, anche di capire come rendere applicabili ad un comparto (quello non profit) le tecniche utilizzate in termini di investimento e disinvestimento in un capitale sociale che, almeno in teoria e per dato storicogiuridico, non è quasi mai stato accostato concettualmente al sistema non profit. In un certo senso, e come ci permetteremo di osservare più avanti, il problema dello strumento (il capitale del soggetto non profit cui partecipare) potrebbe anche risolversi o, me glio, dirsi quasi del tutto risolto, ma sicuramente dovrebbe compiersi qualche sforzo in più sull’idea della dismissione di un investimento in un soggetto giuridico che, per sua stessa definizione, mai in assoluto provvederà alla distribuzione di utili. È questa ultima, ad avviso di chi scrive, la frontiera dinanzi alla quale “i filantropi di ventura” o i “capitali coraggiosi” di oggi si trovano e che presuppone, almeno in teoria, l’evoluzione di concetti e soprattutto mercati ben più avanzati di quelli fino ad oggi raggiunti dal comparto non profit. In tal senso le teorizzazioni della Harvard Business Review Newsletter n. 5 22 giugno 2009 subirebbero una chiara e netta “distorsione operativa” (cre diamo, in tutta onestà intellettuale, che non era a questo tipo di operatività a cui pensavano i redattori del citato articolo) ma nulla impedirebbe, a priori, in sede di concreta applicazio ne di quei concetti, di andare anche oltre le teorizzazioni sul tema. 4. La prospettiva italiana Accostandoci ancor maggiormente all’analisi di una prospetti va tutta italiana del fenomeno in questione, quanto in atto nel nostro Paese, se paragonato a quanto attualmente in atto in altri Paesi europei, non ci vede molto indietro soprattutto per ciò che riguarda la forma più evoluta di quelle sopra descritte come possibili ipotesi applicative. Ciò che per certi versi lascia perplessi è innanzitutto il fatto che in Italia quasi ogni fenomeno di connubio tra beneficenza e finanza venga ormai quotidianamente citato come caso di Venture Philanthropy (ad esempio, si è spesso dato per scon tato che casi di semplice Imprenditorialità Sociale, come spes so sono le operazioni di Housing Sociale, fossero progetti riconducibili nell’ambito del Venture Philanthropy). In secondo luogo, è doveroso osservare che i pionieri italiani del comparto del Venture Philanthropy, sembrano adottare tecniche e metodologie operative assai differenti e variegate probabilmente scaturite solo e soltanto dalla complessità e della rigidità del nostro sistema giuridico e tributario oltre che da una ovvia e connaturale personale concezione dell’agire sociale e, in particolare, di ciò che significa o potrebbe signifi care Venture Philanthropy]18]. Quella che segue, allora, è solo una potenziale contestualizza zione giuridicotributaria di quanto potrebbe avvenire (e, in parte, sta già sta avvenendo) nel nostro Paese con specifico riferimento alle ipotesi applicative più sopra descritte. i. Una nuova operatività per le Fondazioni erogative Storicamente attivi in un comparto che potrebbe quasi defi nirsi di “beneficenza indiretta” e fonte indiscutibilmente non trascurabile per ogni ente non profit che si rispetti, le fonda zioni bancarie (o “fondazioni di origine bancaria”) vantano in Italia un primato assoluto nell’ambito del finanziamento delle attività culturali, sociali e solidaristiche attuate da soggetti terzi. Nate dal ben noto processo di ristrutturazione del sistema bancario nazionale avviato con la c.d. “legge Amato”]19] ed al centro per anni dell’acceso dibattito in merito alla loro essen ziale natura giuridicotributaria di recente culminata con ben 28 contestuali sentenze della Suprema Corte di Cassazio ne]20], le attuali ottantotto fondazioni bancarie italiane hanno deliberato, nel 2007, erogazioni per un importo complessivo pari a 1.715,4 milioni di euro attraverso 29.375 interventi]21]. Gli spazi di intervento ricoperti da questi soggetti variano in tanti ambiti (non ultimo, quello attualissimo dell’Housing So ciale) e spesso vedono la loro opera concretizzarsi anche in mera beneficenza a favore di soggetti meritevoli di apporto finanziario e filantropico. Accanto a questi specifici soggetti del panorama erogativo italiano, si sono da tempo posizionate fondazioni ed enti di 31 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com erogazione, riuniti sotto l’identità associativa dell’Assifero]22], che, nati molto spesso da iniziative imprenditoriali, costitui scono oggi un vero e proprio motore di filantropia del nostro Paese e stanno ormai divenendo punto di riferimento costan te per il finanziamento del comparto non profit privato. Viste dal lato dei soggetti finanziati, tutte queste strutture non si limitano più ad agire attraverso il descritto sistema dell’ero gazione “quasi disinteressata” e non sembrano più limitare la loro opera di controllo o di monitoraggio dei fondi erogati ad obsolete forme rispettivamente di rendicontazione delle spe se effettuate e di autocertificazione delle caratteristiche giuri dicooperative. Le realtà più evolute del comparto, oggi, si sono dotate di apposite unità interne di valutazione che, però, ci sia consenti to osservare, sembrano orientate più ad una rilevazione “qua si passiva” di quanto accade una volta finanziato un progetto (sembrano procedere infatti ad una rigida valutazione ex ante ed ex post dei risultati programmati ed ottenuti) ma non appaiono realmente coinvolte da un’opera di reale e sostanzia le attività di cogestione e monitoraggio. In questo quadro d’azione, la Venture Philanthropy potrebbe essere rivelatrice di una modalità di attuazione dei loro pro getti di azione e di operatività concreta ancor più avanzate legittimando le stesse Fondazioni bancarie o di erogazione ad intervenire in maniera più profonda, da un punto di vista gestionale, nei progetti che vivono anche e soprattutto grazie al loro intervento finanziario. Vi sarebbe, a tal riguardo, da compiere un grande passo in avanti nella professionalizzazione dell’intervento e sarebbero richieste competenze tecniche, tipiche del comparto non pro fit, che ad oggi, probabilmente, non sono ancora recepite, ma a questo potrebbe facilmente pervenirsi attraverso una sorta di inversione di rotta di quella che oggi è la fuga di cervelli e professionalità dal profit verso il mondo non profit. L’effetto, a modesto avviso di chi scrive, potrebbe essere ingente e consentirebbe solo e soltanto di attribuire maggiore e più conscia efficacia ed efficienza a tutti i progetti finanziati. L’invasività di questa nuova filantropia porrebbe certamente un problema di strumenti (come far entrare una fondazione bancaria o di erogazione nei “centri di potere decisionale” degli enti non profit finanziati?) ma forse il problema potrebbe essere risolto attraverso una semplice e migliore strutturazio ne interna degli stessi enti non profit finanziati. Non avendo il tema in esame alcuno spazio di profitto inten zionale da parte degli enti eroganti, non sarebbe necessario porsi il problema, in seguito affrontato per altre fattispecie, della strutturazione societaria degli enti non profit ma potreb be, a nostro avviso, agevolmente essere risolto attraverso la creazione, negli enti non profit finanziati, di “comitati di bench mark” dediti al monitoraggio dei fondi investiti e nei quali far entrare soggetti di espressione delle fondazioni e degli enti eroganti. Strutture associative (con o senza riconoscimento giuridico), fondazioni e comitati non avrebbero alcuna limitazione giuridi ca alla creazione di simili organismi interni ai quali si potrebbe 32 ipotizzare di attribuire poteri decisionali del tutto particolari e svincolati da quelli afferenti la mission idealistica dell’ente. Il nostro codice civile, infatti, così come risalente al 1942 e sostanzialmente “povero” di disposizioni per associazioni, fon dazioni e comitati, non pone alcun limite alla possibilità di istituire tra gli organi sociali dei soggetti da ultimo richiamati un organo come sopra ipotizzato, dedito al “benchmark” ed aperto, quanto ai suoi componenti, anche a persone specializ zate sul tema e di stretta espressione di soggetti terzi finanzia tori. La filantropia di questo tipo, allora, possiamo ritenere che diverrebbe fortemente condizionata dai risultati di efficacia ed efficienza e renderebbe le fondazioni bancarie italiane e gli altri enti e fondazioni di erogazione più coinvolti e condizionanti per il singolo progetto oltre che maggiormente disponibili, in termini di professionalità prestate, per l’ente non profit finan ziato. Da un punto di vista squisitamente tributario, la suddetta innovazione sarebbe di assoluta irrilevanza alla luce della persi stente gratuità dei fondi erogati e dell’assenza di qualsivoglia nuova fattispecie reddituale in capo all’ente erogatore: i fondi erogati continuerebbero a non essere tassabili in capo ai sog getti non commerciali percettori e continuerebbero a trovare deduzione o detrazione fiscale per gli eroganti, a seconda dei casi, attraverso le usuali disposizioni normative]23]. ii. Il supporto diretto degli operatori di Venture Capital al comparto sociale Passando ad un coinvolgimento ancor più diretto degli opera tori di Venture Capital, una ulteriore ipotesi applicativa realiz zabile in Italia potrebbe essere costituita dalla creazione di una o più fondazioni di stretta promanazione di operatori di Ven ture Capital. L’esperienza della Private Equity Foundation che annovera tra i suoi members and supportes operatori finanziari di assoluto primo piano]24], potrebbe semplicemente divenire pratica comune in diversi Paesi, tra cui l’Italia, e focalizzare il suo intervento sulla c.d. “conscience of industry” necessariamente legata ai temi della Corporate Social Responsibility e del Cor porate Social Commitment. In sostanza, quello che le comuni realtà profit oggi realizzano e cercano di evidenziare, attraverso programmi di Corporate Giving, Sponsorship, Cause Related Marketing, Licensing, Joint Promotion, Joint Fund Raising, Volunteers Program, Time per Charity, Payroll Giving e simili]25], con l’obiettivo chiaro e concreto di promuovere la propria immagine in maniera inno vativa, potrebbe essere realizzato dagli operatori di Venture Capital attraverso la nascita di una “loro” fondazione che, mettendo a frutto le cognizioni “interne” del Venture Capital, attuerebbe essa stessa un programma di Venture Philanthropy. Lo strumento della fondazione comporterebbe l’indistribuibi lità degli eventuali utili o avanzi di gestione dell’ente, ricadreb be sotto il “controllo” dell’organo che le attribuisce formal mente vita attraverso il suo riconoscimento giuridico (Prefet tura o Regione, a seconda dei casi), non consentirebbe un futuro smobilizzo della propria quota in ragione della materia Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com le assenza di “quote” o “strumenti di partecipazione”, ma metterebbe in chiara evidenza gli intenti sociali dei suoi fonda tori (ed anche degli aderenti, in caso di Fondazione c.d. “di partecipazione”). La formale costituzione e l’effettivo avvio della stessa fonda zione, pur richiedendo estrema attenzione in fase di predispo sizione della sua costruzione organizzativa e del suo assetto patrimoniale]26], non desterebbe particolari difficoltà di rea lizzazione e potrebbe essere agevolata dalla sua reale conte stualizzazione locale]27]. Una volta nata ed attivata la fondazione, la conduzione dello stesso ente sarebbe rimessa esclusivamente alla volontà del suo Consiglio di Amministrazione il quale opererebbe, sotto il citato controllo della Prefettura o della Regione, in esclusivo perseguimento dei fini imposti dai soggetti fondatori. In chiave tributaria, l’ipotesi di una fondazione di Venture Philanthropy che abbia ad oggetto l’ausilio finanziario e tecnico professionale gratuito a favore di un soggetto non profit, implicherebbe, a nostro avviso, la natura tributaria di ente non commerciale per la fondazione con la conseguente tassazione descritta dal Capo III del Titolo II del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917]28] (Testo Unico delle Imposte sul Reddito, di seguito, per brevità, “TUIR”): l’ente sconterebbe in questo caso una tassazione sorretta da due principali elementi consistenti, da un lato, nella applicazione dell’IRES (Imposta sul Reddito delle Società), tipicamente applicata ai consueti soggetti profit nella più comune veste di società di capitali, determinata però, dall’altro lato, su singole classi reddituali (redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi) come avviene per la usuale tassazione delle persone fisiche. Alla luce di questo primo inquadramento dell’eventuale regi me tributario applicabile al soggetto, sarebbe poi necessario appurare la concreta operatività di Venture Philanthropy che l’ente metterebbe in campo (“beneficenza invasiva” o “investi mento sociale”?) in quanto, tralasciando per evidente irrile vanza rispetto al tema fiscale il primo dei due casi (beneficen za), il tema reddituale potrebbe giocare la sua parte solo sulla seconda casistica che però ci permettiamo di rinviare all’analisi che segue. iii. Investimenti sociali nel capitale di rischio di un soggetto non profit Il titolo stesso di questa specifica sezione di analisi fino a qualche anno fa avrebbe certamente destato scalpore e fatto inorridire qualsiasi lettore dotato di una minima cognizione tecnicogiuridica del comparto non profit. Sin dalle origini dei più attenti studi civilisticotributari sul comparto in esame]29], l’attenzione degli operatori professio nali interessati al c.d. “Terzo Settore” è stata sempre orientata verso le ben note forme giuridiche dell’associazione (ricono sciuta o non riconosciuta), della fondazione e del comitato, a causa delle (scarne) disposizioni di un Codice Civile ormai obsoleto. In siffatto contesto di azione, ipotizzare di esaminare la possi bilità, per un comune soggetto finanziatore, di “entrare” nel “capitale sociale” di un soggetto non profit, si rivelava ipotesi Newsletter n. 5 22 giugno 2009 irrealizzabile e priva di qualsiasi valido sostegno giuridico. Da qualche anno, invece, ed in particolare dall’anno 2008, l’ipotesi appena descritta, anche se non priva di qualche com plicazione operativa]30], è invece giuridicamente realizzabile attraverso l’istituto dell’Impresa Sociale]31]. Sul tema, è doveroso rilevare come le prime letture critiche dell’istituto dell’Impresa Sociale, realizzato in termini legislativi dal D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 e, come detto, portato a compimento nel corso dell’anno 2008 con l’emanazione dei necessari Decreti Interministeriali]32], avevano condotto a ritenere l’istituto in questione apparentemente un inutile or pello frutto di fuovianti visioni civilistiche e fiscali in ambito non profit ed a concludere per la sostanziale assenza di inte ressi applicativi dello stesso. In tal senso, una giusta ricollocazione, in termini di utilità ed importanza, all’istituto dell’Impresa Sociale potrebbe ricavarsi, non solo dai precedenti studi di analisi del tema in chiave europea]33], ma proprio dall’innovatività tecnica apportata dalla Venture Philanthropy, nella sopra esposta accezione di “investimento”: l’Impresa Sociale, permettendo di adottare lo strumento societario per iniziative “commerciali non pro fit]34]”, consente di ipotizzare la partecipazione al capitale sociale di un soggetto non profit per attività commerciali finalizzate ad interventi di solidarietà sociale in specifici e tassativi comparti di azione]35]. Si risolverebbe, in siffatta maniera, uno dei principali ostacoli operativi all’ipotesi della Venture Philanthropy intesa come vero e proprio “investimento sociale” e sarebbe, a questo punto, ipotizzabile la nascita di vere e proprie strutture profes sionali finalizzate all’investimento sociale attraverso la parteci pazione al capitale di rischio di soggetti non profit. Non resterebbe, allora, altro da fare che indagare i seguenti due temi: a) che forma giuridica adottare per questo tipo di Venture Philanthropist? b) cosa ipotizzare per la c.d. “exit strategy” di questo tipo di Venture Philanthropist? Ovviamente, i due temi risultano assolutamente correlati se non altro per il fatto che attengono entrambi alle finalità del Venture Philanthropist qui ipotizzato: “uscire” domani dal ca pitale dell’Impresa Sociale con il semplice recupero dell’inve stimento o, addirittura, con un qualche ritorno economico. Un primo elemento di analisi dei due temi, quindi, sarebbe legato a questa focalizzazione primaria degli obiettivi del Ven ture Philanthropist ed alle più recenti disposizioni del nostro sistema giuridico]36] che indurrebbero ad orientarsi, come ci si accinge a descrivere, verso una strutturazione, complessiva mente considerata, “tutta non profit” dei progetti di questo tipo realizzati attraverso l’innovativo strumento dell’Impresa Sociale. a) Che forma giuridica adottare per il soggetto Venture Philan thropist? Ipotizzare di “entrare” e poi “uscire” dal capitale sociale di un soggetto non profit richiede, come più sopra riportato, innan zitutto l’utilizzo dello “strumento tecnico” del capitale sociale 33 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com che, oggi, è possibile ritrovare, nel nostro ordinamento giuri dico e in combinazione con il perseguimento di fini di solida rietà sociale (e quindi non profit) e con l’esercizio di attività commerciali, nell’istituto dell’Impresa Sociale per il quale, l’art. 1, comma 1 del citato D.Lgs. 26 marzo 2006, n. 155 consente l’adozione di “.... tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4”. Ricordata, quindi, simile possibilità giuridica di azione del tutto innovativa, è opportuno evidenziare come le specifiche dispo sizioni applicative dell’istituto dell’Impresa Sociale inducono a ritenere che il soggetto meglio adatto a qualificarsi come suo socio sia un soggetto avente esso stesso finalità non di lucro. Simile conclusione può essere tratta sulla base delle specifiche disposizioni della normativa sostanziale attinente l’Impresa So ciale. Queste ultime, infatti, richiedono che “Le imprese private con finalità lucrative e le amministrazioni pubbliche di cui all’artico lo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, non possono esercitare attività di direzione e detenere il controllo di un’impresa sociale” (cfr. art. 4, comma 3 del D.Lgs. 155/2006 cit.) e che nell’Impresa Sociale “Non possono rivestire cariche sociali soggetti nomi nati dagli enti di cui all’articolo 4, comma 3” (cfr. art. 8, comma 2 del D.Lgs. 155/2006 cit.). Tutto ciò condurrebbe ad individuare in una struttura non profit (ad esempio, una fondazione) il candidato ottimale al ruolo di Venture Philanthropist esercitabile attraverso la par tecipazione al capitale sociale di un’Impresa Sociale. Quanto sopra, quindi, potrebbe condurre verso l’ipotesi di una operazione in cui una fondazione “entra” nel capitale sociale di un’Impresa Sociale, “si siede” nel suo Consiglio di Amministrazione, sviluppa da vicino il “business sociale” pro prio dell’Impresa Sociale, controlla l’andamento dell’investi mento in termini di effettività, efficacia ed efficienza del denaro investito e, quando l’Impresa Sociale raggiunge la sua maturità/ sostenibilità, “esce” dal capitale sociale della stessa. Tutto ciò, a modesto avviso di chi scrive, lascerebbe pochi dubbi al fatto che si tratti, in sé, di una vera e propria opera zione di Venture Capital Sociale. b) Cosa ipotizzare per la c.d. “exit strategy” del Venture Philanthropist? Il problema maggiore dinanzi al quale siamo oggi, alla luce dell’ipotesi operativa appena rappresentata, rimarrebbe quello relativo alla c.d. “exit strategy” ovvero all’ipotesi di “uscita” dal capitale sociale dell’Impresa Sociale finanziata. Il problema vive ovviamente di una questione fondamental mente legata, da un lato, all’indeterminabilità di un valore di “cessione” della partecipazione di un soggetto (l’Impresa So ciale) che non distribuisce utili e, dall’altro, alla teorica assenza di interesse a quella partecipazione. Il problema potrebbe dirsi assolutamente evidente se provas 34 simo a rispondere al seguente quesito: quanto vale un ente non profit? Probabilmente la risposta sarebbe “nulla” se esaminassimo il valore dell’ente solo con riferimento al ritorno monetario che lo stesso può generare in termini di utili distribuiti in quanto mai si procederebbe a simile distribuzione proprio perché in presenza di un ente non profit seppur avente oggetto com merciale. La risposta, però, potrebbe essere differente se valutassimo il valore dell’ente in relazione alla sua notorietà ed in relazione all’impatto sociale dallo stesso potenzialmente generabile in stretta correlazione con il tema della Corporate Social Re sponsibility. Ciò che si vuol dire, in termini più pratici, è che una “uscita” dal capitale sociale di un ente non profit strutturato in forma societaria sarebbe ipotizzabile solo se si riuscisse ad attribuire valore a quell’ente in una chiave di lettura slegata dalla possibi lità (o meglio, dall’impossibilità) di distribuire utili e questa chiave di lettura potrebbe, a nostro avviso, essere ricercata in termini di Corporate Social Responsibility o, in estrema anali si, in termini di “salvataggio” dell’ente non profit in questione. In questo ultimo senso, ad esempio, sarebbero per ora casi di scuola i ricordati recenti accadimenti relativi al comparto non profit americano laddove, al fine di fronteggiare una potenziale crisi del comparto delle erogazioni liberali, alcuni enti non profit (es. il gruppo non profit “Do Something”) hanno messo in atto delle vere e proprie offerte pubbliche di vendita di azioni proprie (in particolare delle “Initial Public Offering” IPO) con un brillante successo in termini di richieste e di raccolta]37]. In tal senso, si potrebbe ipotizzare che, dopo aver aiutato lo “start up” di un’Impresa Sociale ed aver raggiunto un ipotetico livello di maturità/sostenibilità dell’ente, il Venture Philanthro pist “esca” dal capitale sociale della stessa Impresa Sociale attraverso un chiaro e netto appello al pubblico “azionariato” diffuso: sarebbe, in un certo senso, come ipotizzare che le usuali erogazioni liberali eseguite nei confronti dei comuni enti non profit cambino quasi veste per divenire una forma di impegno sociale (l’azionariato diffuso) del tutto innovativa e fonte di grande sostegno continuo per l’ente non profit. A parte questa futuristica e certamente discutibile possibilità di “uscita”, però, noi crediamo che un ruolo essenziale sul tema possa essere giocato, come detto, dal tema della Corpo rate Social Responsibility. Ed allora la reale domanda da porsi, ai fini valutativi, potrebbe essere la seguente: quanto vale affiancare il proprio nome ed il proprio marchio a quello di un ente non profit ben conosciuto e da tutti ritenuto meritevole di aiuto? Probabilmente, una valutazione correlata all’investimento ini ziale nel capitale dell’Impresa Sociale e al suo valore, all’atto della cessione della partecipazione, in termini di Corporate Social Responsability consentirebbe di rendere concreto ed appetibile un valore di “mercato” delle stessa Impresa Sociale e permetterebbe, di conseguenza, di scambiare la partecipa zione al suo capitale, proprio come avviene negli usuali scambi Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com commerciali che oggi si realizzano sulle partecipazioni delle “imprese normali”. A tutto ciò si aggiunga, in stretta correlazione al tema affronta to nel precedente paragrafo, che, nel corso dell’anno 2008, è stata introdotta nel nostro ordinamento tributario una specifi ca agevolazione fiscale consistente, a grandi linee, nella defisca lizzazione dei guadagni rinvenuti dalla cessione di partecipazio ni attuate da determinati soggetti (tra cui gli enti non commer ciali di cui all’art. 73, comma 1, lett. c del TUIR) in un’ottica di continuo reinvestimento in iniziative imprenditoriali in fase di c.d. “start up”. Più in particolare, l’art. 3 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 3, rubricato solo e sempli cemente “start up”, ha previsto che, a determinate condizioni, i contribuenti che effettuano operazioni suscettibili di genera re redditi diversi di natura finanziaria hanno la facoltà di usu fruire di un regime speciale di esenzione da imposta delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di parte cipazione qualificate e non qualificate]38]. Come espressamente sancito dalla disposizione in esame e ribadito dalle prime interpretazioni amministrative sul te ma]39], le “determinate condizioni” oggettive da rispettare per la piena applicabilità dell’agevolazione fiscale specifica sono costituite dal fatto che: 1. la partecipazione ceduta deve essere relativa ad una società costituita da non più di sette anni; 2. la partecipazione ceduta deve esser stata posseduta da almeno tre anni; 3. le plusvalenze realizzate con la cessione della partecipazione devono essere reinvestite entro due anni da loro consegui mento; 4. le plusvalenze realizzate con la cessione della partecipazione devono essere reinvestite in società che svolgono la medesima attività della società le cui partecipazioni sono state in prece denza cedute realizzando la plusvalenza reinvestita; 5. le plusvalenze realizzate con la cessione della partecipazione devono essere reinvestite in società costituite da non più di tre anni. Alla presenza contestuale di tutte queste condizioni e con il limite di esenzione previsto dalla stessa disposizione citata (ossia “.... il quintuplo del costo sostenuto dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, nei cinque anni ante riori alla cessione, per l’acquisizione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili, e di beni im materiali ammortizzabili, nonché per spese di ricerca e svilup po”), il soggetto cedente che realizzando una plusvalenza sulle quote genera c.d. “redditi diversi” si trova chiaramente ad ottenere un beneficio fiscale consistente nella esenzione da tassazione dei suoi guadagni finanziari ascrivibili alla richiamata classe reddituale. Proprio questa ultima circostanza (ovvero la necessità di gene rare redditi diversi per applicare l’agevolazione in questione), allora, porta a ritenere che il soggetto giuridico più indicato per rivestire il ruolo di socio dell’Impresa Sociale, nell’ambito della generale analisi di operatività compiuta in questi ultimi Newsletter n. 5 22 giugno 2009 due paragrafi, debba essere un soggetto classificabile, non solo economicamente tra gli enti non profit, ma anche fiscalmente, tra i c.d. “enti non commerciali” di cui all’art. 73, comma 1, lett. c) del TUIR ossia un soggetto annoverabile tra “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”. Il risultato di tutto ciò, in combinazione con quanto illustrato in merito alla forma giuridica più consona al Venture Philan thropist potrebbe allora essere il seguente: una fondazione, classificabile fiscalmente come ente non commerciale, “entra” nel capitale sociale di un’Impresa Sociale, “si siede” nel suo Consiglio di Amministrazione, sviluppa da vicino il “business sociale” proprio dell’Impresa Sociale, controlla l’andamento dell’investimento in termini di effettività, efficacia ed efficienza del denaro investito e, quando l’Impresa Sociale raggiunge la sua maturità/sostenibilità, “esce” dal capitale sociale della stes sa cedendo la partecipazione ad altro soggetto interessato ad un’azione di Corporate Social Responsability, parametrando il valore della partecipazione al valore aggiunto che la stessa attribuisce all’acquirente e non scontando imposizione diretta sull’eventuale capital gain grazie alla disposizione fiscale sulle “start up” sopra illustrata. Unica nota dolente “di progetto”, in riferimento alla quale però non possiamo che nutrire vive speranze di prossimi interventi legislativi, sarebbe legata al fatto che la specifica e richiamata disciplina dell’Impresa Sociale, ad oggi, non prevede alcuna agevolazione di natura tributaria o di altro genere: il che vorrebbe dire, in termini pratici, che l’Impresa Sociale parteci pata, pur svolgendo attività di sostanziale impatto sociale, sconterebbe le imposte al pari di una normale società volta al perseguimento di lucro e senza alcun impatto di natura socia le]40]. I dubbi, però, sul fatto che si tratti di una vera e propria operazione di Venture Capital Sociale, a questo punto, credia mo potrebbero dirsi del tutto risolti. Ed allora ci sarebbe da chiedersi perché parlare di filantropia per questo tipo di operazioni se, in fin dei conti, queste stesse mirerebbero al lucro? La risposta risulterebbe agevole scindendo il c.d. lucro oggetti vo (quello perseguito dall’ente Venture Philanthropist) dal c.d. lucro soggettivo (quello “non” perseguito dai promotori della struttura di Venture Philanthropy) e considerando il fatto che il soggetto Venture Philanthropist qui ipotizzato assumerebbe le vesti di una fondazione che, in quanto tale, sarebbe impossi bilitata alla distribuzione degli utili o degli avanzi di gestione realizzati e che ben potrebbe essere il principale strumento di azione di chi decida di mettere le proprie capacità e compe tenze in gioco in altro, innovativo e stimolante comparto di azione e miri all’autofinanziamento dello strumento (la fonda zione) di Venture Philanthropy adottato. Se così non fosse, tra l’altro, ovvero se si volesse pensare ad operazioni di questo tipo per un reale e sostanziale, anche se fortemente mitigato, guadagno o recupero dei capitali investiti da parte dei promotori del soggetto Venture Philanthropist, 35 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com basti considerare che, avendo il Venture Philanthropist sopra ipotizzato natura di ente non profit e non commerciale solo e soltanto per un miglior utilizzo dello strumento dell’Impresa Sociale e delle agevolazioni fiscali in tema di “start up”, nulla toglierebbe che queste stesse operazioni possano realizzarsi adottando dei veicoli societari usuali (una normale S.r.l. per intenderci) e che si realizzino in potenziale assenza di agevola zioni fiscali sugli eventuali capital gains realizzati ma con alter native costruzioni organizzative del Venture Philanthropist aventi un chiaro fine di lucro soggettivo (dei suoi promotori, quindi) ad oggi, per dovere di cronaca, non ancora accertabile in termini di concreta fattibilità. 5. Conclusioni Il tentativo qui realizzato di contestualizzare in chiave giuridi cotributaria il tema della Venture Philanthropy speriamo pos sa contribuire ad indagare in Italia un tema ormai quasi quoti dianamente in discussione tra molti operatori finanziari e non. L’esperienza professionale quotidianamente esercitata al fian co di operatori non profit ed operatori finanziari ci ha portato ad avvertire la grande attenzione in atto sul tema da parte di questi ultimi]41] ed il correlato immenso stupore degli opera tori non profit mai abituati, sino ad oggi, all’idea di una part nership così incisiva e stringente. Nonostante questo, riteniamo che tutto quanto sopra ipotiz zato ed analizzato sia, per certi versi, già in atto nel nostro Paese e possa realmente condurre alla massima espressione del potenziale ancora inespresso, sia in termini socioassisten ziali (o più semplicemente sociali) che in termini giuridici, dell’innovativo istituto dell’Impresa Sociale. L’idea che abbiamo personalmente maturato sul tema è che quando si parla di Venture Philanthropy bisognerebbe tener ben presente il fatto che si tratta di una modalità assolutamen te innovativa di filantropia a sostegno dei pioneristici impren ditori sociali ma, come detto, nulla toglie, a nostro avviso, che il tema stesso possa essere fattore di innesco di un nuovo comparto di investimento finanziario per gli operatori del settore con l’obiettivo di concludere questo tipo di operazioni non soltanto con un ritorno in termini di impatto sociale ma anche con un mitigato ritorno in termini di recupero dei capitali investiti ed un forte ritorno in termini di immagine. La sfida, a questo punto, sembra essere solo quella di riuscire a coniugare le esigenze della comunità civile, le nuove forme di imprenditorialità sociale e le nuovissime forme di filantropia/ investimento che, in perfetto equilibrio tra loro, dovrebbero condurre all’obiettivo socioeconomico della sostenibilità. ]1] “Virtuous Capital. What foundations can learn from Ven ture Capital”, C. W. Letts, W. Ryan, A. Grossman, in Harvard Business Review, MarchApril 1997. ]2] Per un’attenta ricostruzione storica ed evolutiva, in chiave economicosociale, del tema, di particolare interesse si rivela la lettura di G. Gemelli, in «Ossimori: i vantaggi competitivi della “filantropia d’impresa”» all’interno dell’opera “Filantropi di ventura”, a cura di G. Gemelli, ed. Baskerville, Bologna, 2004. 36 ]3] Emblematica, in tal senso, appare a nostro avviso, la dichia razione di Doug Miller, fondatore e, all’epoca, Presidente della European Venture Philanthropy Association, resa durante un convegno in Italia sul tema della Venture Philanthropy, che così (tradotta, negli atti, in lingua italiana) recita: “.... Lavoro nel settore finanziario da trentacinque anni e in quello del private equity da venticinque. Per quanto riguarda la filantropia, fran camente per venticinque anni sono stato uno di quelli che firmavano assegni ad occhi chiusi.....” (in atti del Convegno “Venture Philanthropy, Un modello per l’Italia?”, organizzato a Torino il 6 giugno 2008 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, all’interno della Tavola Rotonda “Venture Philanthropy: uno strumento utile? Pro e contro, opinioni ed esperienze”). ]4] Concetto attualmente sostenuto con forza a livello euro peo e definito nel Libro Verde del luglio 2001 della Commis sione delle Comunità Europee come “... l’integrazione volon taria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate .... Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche, andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”. ]5] Consistente in un modello evolutivo della stessa Corpora te Social Responsibility secondo il quale all’impresa non si chiede solo una condotta etica ma si chiede di avere una condotta attiva sui temi di politica sociale. ]6] In tal senso, basti richiamare il fatto che, in Italia, solo di recente è nata una formale iniziativa di alcune strutture non profit (AIRC, AISM, CESVI, Lega del Filo d’Oro, Save The Children, Telethon e WWF) presentata all’Agenzia per le Onlus (vedi A. Tagliabue, “Un benchmark per il non profit”, in Il Sole 24Ore del 23 febbraio 2009, pag. 20) e tesa a dar maggior rilevanza ad un tema (il “benchmark”, appunto) già oggetto, in verità, di altrettanto recenti osservazioni teoriche (vedi E. Silva, “Più spazio agli indicatori che misurano le perfor mance”, in Il Sole 24Ore del 4 febbraio 2008, pag. 11). ]7] Il tema della professionalizzazione del settore è da sempre di alta attenzione anche se è di estrema evidenza che, ancor oggi, identificare l’intero comparto con definizioni ormai ri duttive come quella del “volontariato”, induce a volere il settore come popolato solo da volontari e non da professioni sti. ]8] Sul tema, si veda C. Rametta, «Le nuove frontiere della filantropia: alcune esperienze di “venture philanthropy” nel contesto nordamericano», in “Filantropi di ventura”, op. cit.. ]9] Per un’ampia e dettagliata casistica sulle differenti modalità di intervento, si vedano “Venture Philanthropy 2002: Advan cing Nonprofit Performance Through HighEngagment Grant making” e “Venture Philanthropy 2001: The changing landasca pe”, reports entrambi preparati da Community Wealth Ventu res, Inc. per Venture Philanthropy Partners (http://www.ventu rephilanthropypartners.org/) nonché, per l’ambito europeo, la European Venture Philanthropy Directory 2008/09, pubblicata dalla European Venture Philanthropy Association (http:// www.evpa.eu.com/). Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com ]10] In tal senso dovrebbero intendersi, a nostro modesto avviso, le difficoltà d’accesso al comparto come segnalate dagli stessi operatori italiani di Venture Philanthropy e che si rinven gono, ad esempio, nella circostanza per cui “.... Inizialmente si viene giudicati per il linguaggio che si usa, ancor prima che per le idee, e questo è stato uno degli ostacoli maggiori. E poi c’è il problema che il settore non profit è chiuso per varie ragioni. Non è facile essere accettati; esistono valide ragioni per met tere delle barriere ai nuovi arrivati, ci vuole del tempo. Inoltre è necessario cambiare atteggiamenti, ad esempio perché le tempistiche sono molto diverse da quelle del settore for profit.” (vedi, gli interventi di Luciano Balbo, Presidente di Oltre Venture Capital Sociale, in atti del Convegno “Venture Philanthropy, Un modello per l’Italia?”, organizzato a Torino il 6 giugno 2008 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, all’interno della Tavola Rotonda “Venture Philanthropy: uno strumento utile? Pro e contro, opinioni ed esperienze”). ]11] Cfr. C. Gallone, “Capitali coraggiosi”, in Capital, dicem bre 2008. ]12] Si veda, in tal senso, la relazione al decreto legislativo recante la «Disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in attuazio ne della delega recata dall’art. 3, commi 186, 187, 188 e 189 della legge 23 dicembre 1996, n. 662» che, con riferimento all’introduzione della qualifica tributaria di “Onlus” così recita: “.... Tale nuova categoria viene definita sulla base di stringenti criteri di meritorietà, in linea con l’esigenza di riorganizzare lo stato sociale offrendo ai cittadini la possibilità di indirizzare in modo alternativo la domanda di servizi sociali. Obiettivo pri mario è quello di contribuire alla rivitalizzazione del cosiddet to settore non profit o terzo settore, attraverso un razionale impiego della leva fiscale, così da consentire allo stato di effettuare risparmi in diversi comparti di servizi, ora diretta mente gestiti, che potrebbero essere efficacemente assicurati da queste realtà emergenti e non più marginali”. ]13]In tal senso, si veda “NonProfit capitalism”, in The Econo mist, New York, 11 settembre 2008. ]14] In tal senso, si veda il progetto “BIS” (Borsa Impresa Sociale) promosso nel corso dell’anno 2007 dal Comitato Impresa Sociale; si veda G. Fiorentini, “Il non profit alla prova della borsa”, in Il Corriere della Sera del 29 dicembre 2007; si veda infine quanto riportato in C. Benna, “In America le Onlus ora vanno in borsa”, in Vita, Non Profit Magazine, anno 15, numero 39, 27 settembre/3 ottobre 2008, pag. 12, in cui è dato leggersi: “.... Borsa e non profit, diavolo e acquasanta per molti osservatori. Oggi il rapporto sembra cambiato. Anche in Italia il dibattito non manca. Dopo la proposta di Stefano Zamagni di lanciare un Borsino delle imprese sociali, ora è il tema della partecipazione allargata a tenere banco”. ]15] In tal senso, vedi P. Spinetti, “Il noprofit chiede manager”, in Il Sole 24ore del 27 febbraio 2007, pag. 30. ]16] Per un’esaustiva rappresentazione delle pratiche di que sto tipo realizzate in Italia nel corso dell’anno 2007, si veda la sesta edizione del “Libro d’oro della Responsabilità Sociale d’Impresa” in cui vengono riportate annualmente tutte le ini Newsletter n. 5 22 giugno 2009 ziative aziendali candidate per il Sodalitas Social Award o si consulti il sito internet http://www.sodalitas.socialsolution.it/ in cui sono riportate e documentate oltre 900 iniziative di responsabilità sociale realizzate da aziende operanti in Italia. ]17] Si veda, in tal senso, la contestazione realizzata, in occa sione del “lancio” della Private Equity Foundation, da parte di alcuni sindacati di lavoratori (cfr. A. Maccaferri, “Il volto buono del private equity”, in Il Sole 24ore del 21 aprile 2007, pag. 11). ]18] Gli atti del citato convegno “Venture Philanthropy, Un modello per l’Italia?”, organizzato a Torino il 6 giugno 2008 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, esprimono, a nostro modesto avviso, una realtà altamente variegata del fenomeno in discussione e finiscono addirittura, nell’ultima parte dedicata a “Le prime iniziative di Fondazione CRT nella venture philanthropy”, quasi per allontanarsi dal tema specifi co. ]19] Legge 30 luglio 1990, n. 218 rubricata “Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico”. ]20] A titolo esemplificativo, cfr. Corte di Cassazione, SS. UU. Civ., sentenze nn. 1576 e 1593 del 22 gennaio 2009. ]21] Fonte: Bozze del“Tredicesimo rapporto sulle Fondazioni di origine bancaria” a cura dell’ACRI (http://www.acri.it/). ]22] Per una elencazione delle stesse, si consulti il sito internet della stessa Assifero (http://www.assifero.org/). ]23] Cfr. artt. 100, 146 e 147 del TUIR e art. 14 del d.l. 14 marzo 2005, n. 35 conv. con l. 14 maggio 2005, n. 80. ]24] Stando a quanto pubblicato dalla stessa Private Equity Foundation (http://www.privateequityfoundation.org/), tra i suoi membri e sostenitori si annoverano, a puro titolo esem plificativo e non esaustivo, Apax Partners Worldwide LLP, Apollo Management International LLP, Bain Capital Ltd, BC Partners Limited, Bridgepoint Capital Limited, Candover Part ners Limited, CCMP Capital Advisors LLP, Cinven Limited, Clayton Dubilier & Rice Ltd, Goldman Sachs International (PIA), Kohlberg Kravis Roberts & Co. Ltd, Permiara Advisers LLP, Providence Equity Partners Limited, Silver Lake, Terra Firma Capital Partners Limited, TowerBrook Capital Partners, TPG Capital LLP, The Blackstone Group International Limited, Warburg Pincus International LLC e altri. ]25] Per una sintetica ma esaustiva rappresentazione delle più usuali tipologie di programmi di Corporate Giving vedi L. Michelini “Strategie di Corporate Giving e Cause Related Marketing in Italia: tra benessere sociale e fini di business” in Congresso Internazionale “Le tendenze del marketing”, Uni versità Ca’ Foscari, Venezia, 2829 Novembre 2003. ]26] In tal senso, cfr. art.1, comma 3 del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361 ai sensi del quale “Ai fini del riconoscimento è necessario che siano soddisfatte le condizioni previste da nor me di legge o di regolamento per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti ade guato alla realizzazione dello scopo”. ]27] In tal senso, si vedano i risultati della ricerca condotta dall’Agenzia per le Onlus e racchiusi nella pubblicazione intito lata “I registri delle organizzazioni del terzo settore: garanzie 37 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com per i cittadini, trasparenza ed equità delle procedure”, a cura dell’Ufficio di Presidenza, Novembre 2005. ]28] Più in particolare dagli articoli che vanno dal 143 al 149 del TUIR. ]29] Vedi, S. Pettinato, “Enti non commerciali”, Buffetti, Roma, 1980. ]30] Da un punto di vista organizzativo e gestionale, infatti, ci permettiamo di anticipare come l’Impresa Sociale comporte rebbe: doppio bilancio (bilancio d’esercizio e bilancio sociale); necessità di avere una percentuale (non inferiore al 30%) di dipendenti appartenenti a classi svantaggiate; necessità di “forme di coinvolgimento” di lavoratori e desti natari dell’attività; divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili o avanzi di gestione nonché vincoli alla devoluzione del patrimonio resi duo in caso di scioglimento dell’ente; divieto dell’esercizio di attività di direzione e controllo sul l’Impresa Sociale da parte di imprese private con finalità di lucro o amministrazioni pubbliche; divieto di rivestire cariche sociali nell’Impresa Sociale per i soggetti nominati da imprese private con finalità lucrative o amministrazioni pubbliche; previsione di specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza per coloro che assumono cariche sociali; particolari disposizioni in tema di trasformazione, fusione e scissione tese a preservare l’assenza della finalità di lucro; assoggettabilità alla procedura della liquidazione coatta am ministrativa; monitoraggio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché dell’Agenzia per le Onlus. ]31] Cfr. D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 rubricato “Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118”. ]32] Soltanto nell’anno 2008, infatti, è stato pubblicato il De creto Interministeriale 24 gennaio 2008 (in G.U. n. 86 dell’11 aprile 2008) richiesto come elemento essenziale per la forma le costituzione di una Impresa Sociale dall’art. 5, comma 5 del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 il quale prevedeva che con decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali si sarebbero definiti gli atti che devono essere depositati presso il registro delle imprese da parte dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale e le procedure connesse. ]33] Vedi C. Borzaga e J. Defourny, “L’impresa sociale in prospettiva europea. Diffusione, evoluzione, caratteristiche e interpretazioni teoriche”, Ed.31, Trento, 2001. ]34] La definizione tra virgolette, seppur di inusuale utilizzo, è chiaramente spendibile alla luce della definizione di Impresa Sociale riportata nell’art. 1, comma 1 del citato Decreto Legi slativo 24 marzo 2006, n. 155 secondo il quale “Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, 38 che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, .........”. ]35] L’art. 2 del citato D.Lgs. n. 155/2006 prevede, quali settori di intervento qualificanti: a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; b) assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», e successive modificazioni, pubblicato nel supple mento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002; c) assistenza sociosanitaria, ai sensi del decreto del Presiden te del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001, recante «Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie», pubb licato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001; d) educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, recante delega al Governo per la definizio ne delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione profes sionale; e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, con esclu sione delle attività, esercitate abitualmente, di raccolta e rici claggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi; f) valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; g) turismo sociale, di cui all’articolo 7, comma 10, della legge 29 marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo; h) formazione universitaria e postuniversitaria; i) ricerca ed erogazione di servizi culturali; j) formazione extrascolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; k) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale. ]36] Il riferimento, come di seguito meglio descritto, è alle disposizioni normative sull’Impresa Sociale, così come conte nute nel citato D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, e sull’esenzione fiscale delle plusvalenze da “start up”, così come contenute nell’art. 3 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito con L. 6 agosto 2008, n. 3. ]37] In tal senso, vedi quanto riportato in C. Benna, “In America le Onlus ora vanno in borsa”, in Vita, Non Profit Magazine, anno 15, numero 39, 27 settembre/3 ottobre 2008, Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com pag. 12. ]38] L’art. 3 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 3, testualmente recita: “Dopo il comma 6 dell’articolo 68 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono aggiunti i seguenti commi: «6bis. Le plusvalenze di cui alle lettere c) e cbis) del comma 1, dell’articolo 67 derivanti dalla cessione di partecipazioni al capitale in società di cui all’articolo 5, escluse le società semplici e gli enti ad esse equiparati, e all’articolo 73, comma 1, lettera a), costituite da non più di sette anni, possedute da almeno tre anni, ovvero dalla cessione degli strumenti finanziari e dei contratti indicati nelle disposizioni di cui alle lettere c) e cbis) relativi alle medesime società, rispettivamente posseduti e stipulati da almeno tre anni, non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti qualora e nella misura in cui, entro due anni dal loro conseguimento, siano reinvestite in società di cui all’articolo 5 e all’articolo 73, comma 1, lettera a), che svolgono la medesima attività, mediante la sottoscrizione del capitale sociale o l’acquisto di partecipazioni al capitale delle medesime, sempreché si tratti di società costituite da non più di tre anni. 6ter. L’importo dell’esenzione prevista dal comma 6bis non può in ogni caso eccedere il quintuplo del costo sostenuto dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, nei cinque anni anteriori alla cessione, per l’acquisi zione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diver si dagli immobili, e di beni immateriali ammortizzabili, nonché per spese di ricerca e sviluppo.» ]39] Si veda la Circolare n. 15/E del 10 aprile 2009 dell’Agenzia delle entrate – Dir. normativa e contenzioso alla quale si rimanda per ulteriori approfondimenti sul tema specifico. ]40]In assenza di specifiche agevolazioni fiscali per l’Impresa Sociale, gli elementi da prendere in considerazione per il suo trattamento tributario si rivelerebbero essere la forma giuridi ca adottata (nel caso si adotti una forma societaria) o l’eserci zio, in via stabile e principale, di un’attività commerciale en trambi elementi sufficienti per ritenere che, in virtù delle sue primarie caratterizzazioni (esercizio di attività commerciale, assenza di scopo di lucro e finalità di interesse generale), l’impresa sociale non potrebbe che ricadere nell’ambito di applicazione delle prime due lettere (a e b) del comma 1 dell’art. 73 del T.U.I.R., le quali racchiudono il concetto di società/ente commerciale residente, con la necessaria conse guenza che l’imposizione gravante su questo nuovo soggetto sarebbe sempre quella ordinaria dei soggetti di natura com merciale. ]41] L’ultima conferenza annuale della European Venture Phi lanthropy Association (EVPA), tenutasi a Francoforte lo scor so 23 settembre 2008 presso la Johann Wolfgang Goethe Universitat, ha visto presenti all’incirca 300 partecipanti prove nienti da tutto il mondo ed in gran parte appartenenti a strutture del comparto professionale bancario e finanziario. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 PROFESSIONISTI24 MANAGEMENT AMMINISTRATORI Contro la condotta dell’amministra tore infedele il socio può proporre querela Condotta asseritamene infedele degli amministratori della so cietà: è valida ed efficace la querela presentata dal singolo socio in ordine al reato ex art. 2634 c.c.? ”La nuova fattispecie penale dell’infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c, è posta a tutela del patrimonio sociale e, quindi, se non vi è dubbio che la pare lesa di tale reato sia la società stessa ”tuttavia la condotta dell’amministratore infede le è diretta a danneggiare certamente la società, ma principal mente i soci o quotisti della stessa che per la infedele attività dell’amministratore vedono depauperarsi il proprio patrimo nio. In siffatta situazione non può negarsi al singolo socio il diritto di querelarsi contro il presunto responsabile della infe deltà proprio perché deve allo stesso riconoscersi non solo la qualifica di danneggiato del reato, ma anche quella di vera e propria parte lesa, qualifica che consente la proposizione della querela ai sensi dell’art. 120 c.p. ”. E’ quanto ribadito dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 24824 del 16 giugno scorso. Secondo la Suprema Corte, infatti ”sarebbe davvero incom prensibile sostenere che in una fattispecie quale quella di cui all’articolo 2634 c.c., contestata, il diritto di querela spetti esclusivamente all’amministratore della società, legale rappre sentante della stessa, quando proprio della sua infedeltà si deve discutere.” Va, quindi, affermata la validità e l’efficacia della querela propo sta dai singoli soci, nella fattispecie parti civili ricorrenti, affer mandosi la piena procedibilità dell’azione penale riguardo al l’infedeltà patrimoniale dell’amministratore Il Merito on line Tribunale di Bologna 28.04.2009, n. 1005 Penale Reati contro il patrimonio Nell’ambito del reato di furto, la circostanza attenuante comu ne della speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, non può trovare applicazione sulla base della semplice restituzione o comunque del recupero successivo del bene oggetto del reato. Quello che assume rilevanza ai fini dell’applicazione de quo è solo il momento relativo alla consumazione del reato rimanendo ininfluente qualsiasi evento successivo che mitighi o elida in qualche modo il danno. (c.p. artt. 62, n. 4; 624). Tribunale monocratico di Bologna, sentenza del 28 aprile 2009, n. 1005; Giudice Dr.ssa M. De Luca. 39 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com a cura di Lex24 DOCUMENTAZIONE Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. grande, sentenza 9 giugno 2009, n. 480/08 Comunità Europea Appalti Amburgo Prestazione di servizi Contratto concluso direttamente E' legittimo in quanto costitui sce cooperazione tra enti locali E' legittimo il contratto stipulato dai Landkreise (circoscri zioni amministrative) relativo allo smaltimento dei rifiuti direttamente con i servizi per la nettezza urbana della città di Amburgo, senza che tale contratto di prestazione di servizi sia stato oggetto di una gara d'appalto nell'ambito di una procedura aperta o ristretta a livello comunitario, in quanto un'autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi e che può farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche. Il contratto controverso costituisce tanto il fondamento quanto il quadro giuridico per la costruzione e la gestione future di un impianto destinato all'espletamento di un ser vizio pubblico, ossia la termovalorizzazione dei rifiuti. Det to contratto è stato stipulato soltanto da autorità pubbli che senza la partecipazione di una parte privata e non pre vede né pregiudica l'aggiudicazione degli appalti eventual mente necessari per la costruzione e la gestione dell'im pianto di trattamento dei rifiuti. PUBBLICAZIONE: Avv. Costantino Tessarolo, Diritto dei servizi Pubblici, 2009 Tribunale di primo grado delle Comunità Europee, sentenza 11 giugno 2009, T 222/04 Comunità europea Aiuti di stato Stato italiano Imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico Esenzioni fiscali e prestiti agevolati Costituiscono aiuti di stato 40 L'esenzione triennale dall'imposta sul reddito stabilita dall'art. 3, c. 70, della L. n. 549/1995, e dall'art. 66, c. 14, del D.L. n. 331/1993, convertito con L. n. 427/1993 e i vantaggi derivanti dai prestiti concessi dalla Cassa Depositi e Prestiti (CDDPP) ai sensi dell'art. 9 bis del D.L. n. 318/ 1986, convertito con modifiche, con L. n. 488/1986, a favo re di società per azioni a partecipazione pubblica maggiori taria istituite ai sensi della L. n. 142/1990, costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87, par. 1 del Trattato. Infatti, la concessione, mediante risorse dello Stato, di vantaggi di tal genere alle società ex lege n. 142/90 produce l'effetto di rafforzare la loro posizione concorrenziale rispetto a tutte le altre imprese che intendano fornire gli stessi servizi. Le misure controverse, pertanto, sono incompatibili con il mercato comune, in quanto non rispettano né i presuppo sti ex art. 87, nn. 2 e 3, CE, non costituiscono un aiuto esistente né soddisfano i requisiti per godere della deroga prevista dall'art. 86, n. 2, CE (nella specie, in base a tali argomentazioni, il Tribunale di primo grado Ottava Sezio ne ampliata, ha respinto il ricorso proposto dalla Repubbli ca italiana contro la Commissione delle Comunità europee avente ad oggetto la domanda di annullamento dell'art. 2 della decisione della Commissione 5/6/2002, 2003/193/CE, relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici locali a prevalente capitale pubblico). PUBBLICAZIONE: Avv. Costantino Tessarolo, Diritto dei servizi Pubblici, 2009 Corte Costituzionale, sentenza 19 maggio 2009, n. 156 Straniero Espulsione amministrativa Reato di rientro senza autorizzazione nel territorio dello stato trattamento sanziona torio Reclusione da uno a quattro anni Denunciata irragione volezza nonché violazione dei principi di eguaglianza, di propor zionalità e della finalità rieducativa della pena Questioni impli canti un intervento sul trattamento sanzionatorio, riservato alla discrezionalità del legislatore Manifesta inammissibilità Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimi tà costituzionale dell'art. 13, comma 13, del D.Lgs. 25/7/ 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 1 della legge 12/11/ 2004, n. 241 e di seguito modificato dall'art. 2, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 8/1/2007, n. 5, censurato, in riferimen to agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede la reclusione da uno a quattro anni per lo stranie ro espulso che rientri nel territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com Come già rilevato nella sentenza n. 22/2007 con riferimen to al trattamento sanzionatorio del reato di indebito trat tenimento nel territorio dello Stato, se non si riscontra una sostanziale identità tra le fattispecie di reato prese a raffronto e si rileva, come nella specie, una sproporzione sanzionatoria rispetto a condotte più gravi, un intervento della Corte non potrebbe rimodulare le sanzioni senza sostituirsi al legislatore; inoltre, anche con riferimento alla irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, il giudizio di costituzionalità, in assenza di soluzioni costitu zionalmente obbligate, non può dar vita ad un nuovo asset to delle sanzioni penali. V., citata, sentenza n. 22/2007. PUBBLICAZIONE: Corte Costituzionale, Sito Ufficiale C.Cost., 2009 Corte Costituzionale, sentenza 19 maggio 2009, n. 155 Circolazione stradale Reato di guida in stato di ebbrezza Attribuzione della competenza al tribunale in composizio ne monocratica Denunciata violazione del principio di eguaglianza rispetto al reato della guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, di competenza del giudice di pace Petitum indeterminato e mancata verifica della possibilità di un'interpretazione conforme a costituzione Manifesta inammissibilità della questione È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186, comma 2, del D.Lgs. 30/4/1992, n. 285, come sostituito dall'art. 5 del decretolegge 27/6/ 2003, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 1/8/ 2003, n. 214, censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede una competenza differenziata per il reato di guida sotto l'influenza dell'alcool rispetto alla guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti. Il petitum si pre senta, infatti, indeterminato, non essendo chiaro quale sia l'intervento richiesto, e il rimettente si è sottratto all'obbli go di vagliare la possibilità di dare alla norma un'interpreta zione conforme a Costituzione. Sulla indeterminatezza del petitum v., citate, ordinanze n. 54/2008, n. 279 e n. 35/2007. Sulla interpretazione conforme a Costituzione v., citate, ordinanze n. 133 e n. 47/2007. Circolazione stradale Reato di guida in stato di ebbrezza Attribuzione della competenza al tribunale in composizio ne monocratica Denunciata violazione del principio di eguaglianza rispetto al reato della guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, di competenza del giudice di pace Sopravvenuto mutamento del quadro normativo Inappli cabilità della nuova disciplina processuale alla fattispecie di cui al giudizio a quo necessità di restituire gli atti al rimet tente Esclusione Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 186, com ma 2, del D.Lgs. 30/4/1992, n. 285, come sostituito dall'art. 5 del decretolegge 27/6/2003, n. 151, convertito, con mo dificazioni, dalla legge 1/8/2003, n. 214, censurato, in riferi mento all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede una com petenza differenziata per il reato di guida sotto l'influenza dell'alcool rispetto alla guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti, la modifica della disciplina processuale succes sivamente al deposito dell'ordinanza di rimessione non comporta la restituzione degli atti al rimettente, poiché detta novella è inapplicabile alla fattispecie, per effetto del principio tempus regit actum , in base al quale, per stabilire la competenza a giudicare un certo reato, ha rilievo il tem pus commissi delicti o la data di promuovimento dell'azio ne penale da parte del pubblico ministero. PUBBLICAZIONE: Corte Costituzionale, Sito Ufficiale C.Cost., 2009 Corte di Cassazione, sez. I, civile, sentenza 26 maggio 2009, n. 12138 Intermediazione finanziaria Operatore qualificato secon do la definizione del Reg. Consob 5387/1991 dovere dell'intermediario di accertare l'effettiva esistenza dell'espe rienza dichiarata Esclusione Rilevanza di elementi con trari in possesso dell'intermediario Sussistenza Valore confessorio della dichiarazione di operatore qualificato Esclusione L'art. 13 del regolamento di cui alla delibera Consob 2/7/ 1991, n. 5387, secondo il quale è classificabile come opera tore qualificato anche «ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari espressamente dichiarata per iscritto», esonera l'intermediario dal verifica re l'effettiva esperienza dichiarata nel senso che, in man canza di elementi contrari già in suo possesso, la semplice dichiarazione in questione, pur non costituendo dichiara zione confessoria in quanto volta alla formulazione di un giudizio e non alla affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo, esonera l'intermediario dalle verifiche sul punto. Tale dichiarazione, inoltre, in difetto di contrarie allegazioni specificamente dedotte e dimostrate dalla parte interessata e di ulteriori riscontri, può costituire argomen to di prova che il giudice nell'esercizio del discrezionale potere di valutazione del materiale probatorio a propria disposizione ed apprezzando il complessivo comportamen to extraprocessuale e processuale delle parti può porre a fondamento della propria decisione anche come unica fon te di prova per quanto riguarda la sussistenza in capo all'in vestitore della sua natura di operatore qualificato e la dili genza prestata dall'intermediario. PUBBLICAZIONE: Centro studi giuridici di Mantova, www.Ilcaso.it, 2009, , pg. 1757, pt. I Newsletter n. 5 22 giugno 2009 41 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com Tribunale di Trento, civile, 22 maggio 2009 Consulenza tecnica a fini conciliativi Natura e finalità del pro cedimento Strumento di deflazione processuale Individuazio ne della competenza Ricorso ai criteri di cui all'art. 669 quin quies c.p.c. esclusione Collegamento con il luogo di svolgi mento delle operazioni del consulente Necessità fattispecie in tema di contratti derivati La consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696 bis codi ce di procedura civile può essere chiesta anche ai fini dell'accertamento e della determinazione di crediti deri vanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni processuali e si sostanzia in un vero e proprio strumento di deflazione processuale; proprio in ragione della partico lare natura del procedimento, l'individuazione della compe tenza non può essere effettuata sulla scorta di quanto di sposto dall'art. 669 quinquies codice di procedura civile, dovendosi invece avere riguardo alle concrete modalità di attuazione che richiedono un collegamento con il luogo ove il consulente deve effettuare le operazioni. (Nel caso di specie, la consulenza preventiva a fini di conciliazione è stata disposta in ordine alle caratteristiche ed agli effetti di un contratto derivato su tassi di interesse). PUBBLICAZIONE: Centro studi giuridici di Mantova, www.Ilcaso.it, 2009, pg. 1750, pt. Tribunale di Padova, civile, 25 marzo 2009 Amministrazione di sostegno Giudizi promossi prima della misura di protezione Autorizzazione del giudice tutelare Non necessità L'amministratore di sostegno o il tutore non necessitano della autorizzazione del giudice tutelare per proseguire i giudizi promossi dal beneficiario prima dell'attivazione della misura di protezione personale. PUBBLICAZIONE; Tribunale di Napoli, civile, 11 marzo 2009 Processo esecutivo Notifica del titolo esecutivo Decreto in giuntivo Deroga all'art. 479 c.p.c. condominio Azione pro mossa in danno di singolo condomino Notifica all'amministra tore del decreto 42 In caso di azione esecutiva promossa in danno di un singo lo condomino sulla scorta di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio, è applicabile il disposto di cui all'art. 654, comma 2, codice procedura civile, secondo cui, in deroga all'art. 479 codice procedura civile, ai fini dell'esecuzione, non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo purché il decreto ingiuntivo, anche se non in forma esecutiva, sia già stato notificato all'ammini stratore del condominio ai sensi dell'art. 643, comma 2, codice procedura civile e nel precetto si faccia menzione del provvedimento che ha disposto l'esecutorietà e dell'ap posizione della formula. PUBBLICAZIONE Centro studi giuridici di Mantova, www.Ilcaso.it, 2009, pg. 1754, pt. I Tar, CampaniaNapoli, 12 dicembre 2008, n. 21306 Sanità pubblica Ospedali, ambulatori, case di cura, enti sanita ri In genere Strumenti volti a disincentivare il ricorso al taglio cesareo Comprendono le misure di carattere tariffario Non è irragionevole che, nel quadro delle iniziative volte a promuovere il parto fisiologico, si inseriscano anche stru menti volti a disincentivare il taglio cesareo, ivi comprese misure di carattere tariffario che neutralizzino nella scelta del taglio cesareo l'influsso di fattori estranei al giudizio professionale e scientifico. Sanità pubblica Ospedali, ambulatori, case di cura, enti sanita ri In genere Ricorso al taglio cesareo per un parto a basso rischio Regime tariffario previsto per il parto fisiologico Irra gionevolezza Esclusione. Non è irragionevole che, in caso di ricorso al taglio cesa reo per un parto a basso rischio, venga applicato il regime tariffario previsto per il parto vaginale, poiché la remunera zione in tal caso, anche se inferiore al costo dell'operazio ne, corrisponde al beneficio in termini di salute a fronte delle risorse impiegate che legittima l'erogazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale di una prestazione sanita ria solo se appropriata, in base all'art. 1 comma 7, D.Lgs. n. 502 del 1992. Sanità pubblica In genere Piano di rientro dal disavanzo con cordato con i ministeri della salute e dell'economia Limiti alla possibilità per la regione di individuare e applicare ulteriori inter venti di contenimento della spesa e di riduzione del disavanzo Insussistenza. Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com È da escludere che il piano di rientro dal disavanzo concor dato con i Ministeri della Salute e dell'Economia ed appro vato con delibera di Giunta Regionale n. 460 del 20/3/2007 finalizzato ad individuare gli interventi necessari per il perseguimento del riequilibrio economico escluda o limiti la possibilità per la Regione di individuare e applicare ulte riori interventi aventi il medesimo obiettivo di contenimen to della spesa e di riduzione del disavanzo. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 136 del 1562009 Sanità pubblica In genere Determinazione tariffaria Atto amministrativo a carattere generale adozione Rientra nella competenza della giunta regionale. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 137 del 1662009 La determinazione tariffaria consiste in un atto amministra tivo a carattere generale, privo della natura normativa at tribuibile al regolamento vero e proprio, per cui la compe tenza in materia va riconosciuta alla Giunta Regionale piut tosto che al Consiglio Regionale, secondo le indicazioni contenute anche nell'art. 12, L. rg. n. 10 del 2002. Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla pirateria PUBBLICAZIONE: Giuffré, Foro Amministrativo TAR, 2008, 12, pg. 3411 GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI PROVVEDIMENTO 28 maggio 2009 Sospensione, nelle aree interessate dagli eventi sismici in Abruzzo, dei termini previsti per gli adempimenti dei prov vedimenti del Garante. DECRETOLEGGE 15 giugno 2009, n. 61 Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 138 del 1762009 DECRETO LEGISLATIVO 14 maggio 2009, n. 64 Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del Regolamento (CE) n. 423/2007, concernente misure restrittive nei confronti dell'Iran MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DECRETO 3 giugno 2009 Gazzetta Ufficiale La Redazione di Lex24 segnala Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 131 del 962009 DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MI NISTRI 3 giugno 2009 Modalità di applicazione della Comunicazione della Com missione europea quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'accesso al finanziamento nell'attuale situazione di crisi finanziaria ed economica Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 132 del 1062009 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 2 aprile 2009, n. 59 Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lette re a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul ren dimento energetico in edilizia. Modifica ed integrazione dei criteri per la nomina dei giudi ci onorari di Tribunale MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 19 maggio 2009 Approvazione della revisione congiunturale degli studi di settore AUTORITA' PER LE GARANZIE NELLE COMUNICA ZIONI DELIBERAZIONE 14 maggio 2009 Approvazione delle lineeguida per la commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi ai sensi dell'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9. (Deliberazio ne n. 260/09/CONS) (S.O. n. 93) Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 139 del 1862009 DECRETO LEGISLATIVO 18 maggio 2009, n. 66 MINISTERO DELL'INTERNO Attuazione della direttiva 2006/93/CE sulla disciplina dell'utilizzazione degli aerei di cui all'allegato 16 della Con venzione sull'aviazione civile internazionale, volume I, parte II, capitolo 3, seconda edizione (1988 versione codificata). DECRETO 8 giugno 2009 Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 140 del 1962009 Criteri e modalità per la erogazione del primo rimborso ai comuni, anno 2009, dell'ICI sull'abitazione principale. LEGGE 18 giugno 2009, n. 69 Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 135 del 1362009 Newsletter n. 5 22 giugno 2009 43 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. (S.O. n. 95) ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO PROVVEDIMENTO 1 giugno 2009 (Regolamento n. 31) Regolamento recante la disciplina della banca dati sinistri di cui all'articolo 135 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 codice delle assicurazioni private. Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 141 del 2062009 GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI PROVVEDIMENTO 18 giugno 2009 Fotografie riprese all'interno di luogo di dimora privata: divieto di affissione MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI ORDINANZA 16 giugno 2009 Iscrizione temporanea di alcune composizioni medicinali nella tabella II, sezione D, allegata al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psico trope e di prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. BANCA D'ITALIA PROVVEDIMENTO 14 maggio 2009 Provvedimento in materia di soggetti operanti nel settore finanziario La Redazione di Lex24 segnala Senato della Repubblica 1a Commisione (affari costituzionali) Settimana dal 22 al 26 giugno 2009 martedì 23 seduta plenaria (n. 112) ddl 1611 e connessi (intercettazioni) sede consultiva relato re: Boscetto commissioni riunite 1a e 2a ddl 733B (sicurezza pubblica) sede referente relatori: Vizzini (1ª) e Berselli (2ª) ddl 1079 e connessi (prostituzione) sede referente relatori: Vizzini (1ª) e Berselli (2ª) mercoledì 24 commissioni riunite 1a e 2a ddl 733B (sicurezza pubblica) sede referente relatori: 44 Vizzini (1ª) e Berselli (2ª) ddl 1079 e connessi (prostituzione) sede referente relatori: Vizzini (1ª) e Berselli (2ª) mer 24 seduta plenaria (n. 113) ddl 1552 (distacco di comuni dalla Regione Marche alla Regio ne EmiliaRomagna) sede referente relatori: Ceccanti e Saltamartini giovedì 25 commissioni riunite 1a e 11a ddl 1167 (lavoro pubblico e privato) sede referente relatori: Saltamartini (1a) e Castro (11a) ufficio di presidenza audizioni delle organizzazioni sindacali in merito all’AG n. 82 (lavoro pubblico) 2a Commissione permanente (giustizia) Settimana dal 22 al 26 giugno 2009 martedì 23 Sede consultiva Seguito esame A.G. n. 79 (sicurezza nei luoghi di lavoro). osservazioni alla 11a Commissione Rel. GALLONE Sede referente Seguito esame ddl 1440 e congiunti (processo penale) e peti zioni nn. 482 e 607. Rel. LONGO Esame ddl 1611 e congiun ti (intercettazioni). Rel. CENTARO Sede consultiva su atti del Governo Esame AG n. 55bis (sostanze chimiche). Rel. LONGO Esame AG n. 94 (igiene dei mangimi). Rel. ALLE GRINI ore 15,30 Commissioni 1a e 2a riunite Sede referente Seguito esame ddl 733B (sicurezza pubblica) e petizione n. 660 Rel. VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a) Seguito esame ddl 1079 e congiunti (prostituzione). Rel. VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a) (Aula 1a Commissione) ore 20,30 Commissione giustizia Sede consultiva Seguito esame A.G. n. 79 (sicurezza nei luoghi di lavoro). osservazioni alla 11a Commissione Rel. GALLONE Sede referente Seguito esame ddl 1440 e congiunti (processo pena le) e petizioni nn. 482 e 607. Rel. LONGO Esame ddl 1611 e congiunti (intercettazioni). Rel. CENTARO Sede consultiva su atti del Governo Esame AG n. 55bis (sostanze chimiche). Rel. LONGO Esa me AG n. 94 (igiene dei mangimi). Rel. ALLEGRINI mercoledì 24 Commissioni 1a e 2a riunite Sede referente Seguito esame ddl 733B (sicurezza pubblica) e petizione n. 660 Rel. VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a) Seguito esame ddl 1079 e congiunti (prostituzione). Rel. VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a) (Aula 1a Commissione) ore 15 Commissione giustizia Sede consultiva Seguito esame A.G. n. 79 (sicurezza nei luoghi di lavoro). osservazioni alla 11a Commissione Rel. GALLONE Sede Newsletter n. 5 22 giugno 2009 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com referente Seguito esame ddl 1440 e congiunti (processo pena le) e petizioni nn. 482 e 607. Rel. LONGO Esame ddl 1611 e congiunti (intercettazioni). Rel. CENTARO Sede consultiva su atti del Governo Esame AG n. 55bis (sostanze chimiche). Rel. LONGO Esame AG n. 94 (igiene dei mangimi). Rel. ALLEGRINI Camera dei Deputati Convocazione della I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) martedì 23 giugno Al termine SEDE CONSULTIVA Alla XIV Commissione: Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo) Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (esame congiunto – Rel. Pastore) Al termine SEDE REFERENTE Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province (seguito esame C. 1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost. Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264 cost. Pisicchio – Rel. Bruno) Introduzione dell’articolo 114bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di reati elettorali (seguito esame C. 465 Anna Teresa Formisano – Rel. Tassone) Al termine COMITATO PERMANENTE PER I PARERI Legge comunitaria 2008 (esame emendamenti C. 2320 bis /B Governo, approvato dal Senato, modificato dalla Camera e nuovamente modificato dal Senato – Rel: Vanalli) Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia (esame emendamenti C. 1441 ter /C Governo, approvato dalla Camera e modifica to dal Senato – Rel. Orsini) Alla XI Commissione: Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri (esame nuovo testo C. 717 Fedi – Rel. Bernini) Al termine SEDE REFERENTE Introduzione dell’articolo 114bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di reati elettorali (seguito esame C. 465 Anna Teresa Formisano – Rel. Tassone) Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province (seguito esame C. 1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost. Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264 cost. Pisicchio – Rel. Bruno) mercoledì 24 giugno Al termine SEDE CONSULTIVA Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo) Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (seguito esame congiunto – Rel. Pastore) Al termine SEDE REFERENTE Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in Newsletter n. 5 22 giugno 2009 materia di soppressione delle province (seguito esame C. 1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost. Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264 cost. Pisicchio – Rel. Bruno) Introduzione dell’articolo 114bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di reati elettorali (seguito esame C. 465 Anna Teresa Formisano – Rel. Tassone) Convocazione della II Commissione (Giustizia) martedì 23 giugno COMMISSIONI RIUNITE (Aula II Commissione) (II e III) SE DE REFERENTE D.L. 61/09: Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla pirateria (esame C. 2511 Governo Rel. per la II Commissio ne: Mariarosaria Rossi; Rel. per la III Commissione: Maran) Al termine SEDE REFERENTE Disposizioni in materia di cognome dei figli C. 36 Brugger, C. 960 Colucci, C. 1053 Santelli, C. 1699 Garavini, C. 1703 Mussolini e C. 1712 Bindi – Rel. Bongiorno) Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento (seguito esa me C. 2364 , approvata dal Senato, e petizione n. 638 – Rel. Bongiorno) Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato (seguito esame C. 1235 Ferranti – Rel. Ferranti) mercoledì 24 giugno SEDE REFERENTE Disposizioni in materia di violenza sessuale (seguito esame C. 611 Caparini, C. 666 Lussana, C. 817 Angela Napoli, C. 924 Pollastrini, C. 688 Prestigiacomo, C. 574 De Corato, C. 952 Pelino, C. 1424 Governo, C. 2167 Pelino, C. 2142 Saltamarti ni, C. 2194 Carlucci e C. 2229 Cosenza – Rel. Lussana) giovedì 25 giugno SEDE REFERENTE Disposizioni in materia di violenza sessuale (seguito esame C. 611 Caparini, C. 666 Lussana, C. 817 Angela Napoli, C. 924 Pollastrini, C. 688 Prestigiacomo, C. 574 De Corato, C. 952 Pelino, C. 1424 Governo, C. 2167 Pelino, C. 2142 Saltamarti ni, C. 2194 Carlucci e C. 2229 Cosenza – Rel. Lussana) Disposizioni in materia di false comunicazioni sociali e di altri illeciti societari (esame C. 1895 Palomba – Rel. Palomba) Al termine ATTI COMUNITARI Libro verde sulla revisione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (COM(2009)175 def.) Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Con siglio e al Comitato economico e sociale europeo sull’applica zione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concer nente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’ese cuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (COM(2009)174 def.) (seguito esame congiunto Rel. Ciriel lo) Convocazione della XI Commissione (Lavoro pubblico e pri vato) 45 Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com martedì 23 giugno SEDE REFERENTE Interventi per agevolare la libera imprenditorialità e per il sostegno del reddito (esame C. 2424 Antonino Foti – Rel. Antonino Foti) COMMISSIONI RIUNITE (Aula I Commissione) (I e XI) AUDIZIONI INFORMALI Audizioni in relazione all’esame dello schema di decreto legi slativo recante attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni (atto n. 82): Al termine COMMISSIONI RIUNITE (Aula I Commissione) (I e XI) UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAP PRESENTANTI DEI GRUPPI SEDE CONSULTIVA Alla XIV Commissione: Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo) Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (seguito esame congiunto – Rel. Giammanco) COMMISSIONI RIUNITE (Aula XI Commissione) (XI e XII) ATTI DEL GOVERNO Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in mate ria di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (segui to esame atto n. 79 – Rel. per la XI Commissione: Cazzola; Rel. per la XII Commissione: Barani) mercoledì 24 giugno UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESEN TANTI DEI GRUPPI SEDE CONSULTIVA Alla XIV Commissione: Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo) Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (seguito esame congiunto – Rel. Giammanco) Al termine SEDE REFERENTE Disposizioni in materia di previdenza per i lavoratori autonomi non esercenti professioni regolamentate (seguito esame C. 2312 Saglia e C. 2345 Narducci – Rel. Scandroglio) COMMISSIONI RIUNITE (Aula XII Commissione) (XI e XII) ATTI DEL GOVERNO Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in mate ria di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (segui to esame atto n. 79 – Rel. per la XI Commissione: Cazzola; Rel. per la XII Commissione: Barani) giovedì 25 giugno SEDE CONSULTIVA Alla XIV Commissione: Legge comunitaria 2009 (seguito esame C. 2449 Governo – Rel Giammanco) Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2008 (seguito esame Doc. LXXXVII, n. 2 – Rel. Giammanco) 46 Al termine COMITATO RISTRETTO Norme in favore di lavoratori con familiari gravemente disabili (seguito esame testo unificato C. 82 Stucchi, C. 322 Barbieri, C. 331 Schirru, C. 380 Volontè, C. 527 Osvaldo Napoli, C. 691 Prestigiacomo, C. 870 Ciocchetti, C. 916 Marinello, C. 1279 Grimoldi, C. 1377 Naccarato, C. 1448 Caparini, C. 1504 Cazzola, C. 1995 Commercio, C. 2273 Pisicchio – Rel. Delfi no) Al termine COMITATO RISTRETTO Disciplina delle attività subacquee e iperbariche (seguito esa me C. 344 Bellotti e C. 2369 Lo Presti – Rel. Di Biagio) © Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati Newsletter n. 5 22 giugno 2009