Fabrizio De Marco, Piramide, 2015, Youcanprint Self

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Fabrizio De Marco, Piramide, 2015, Youcanprint Self
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Copyright © Fabrizio De Marco
Titolo | Piramide
Autore | Fabrizio De Marco
Prima edizione digitale in pdf, anno 2015
Terza stampa digitale, novembre 2015
La diffusione di questo e-Book è consentita ma non è autorizzata la stampa cartacea, né potrà formare oggetto di
commercio e rivendita in danno all’Autore. Qualsivoglia
fruizione costituisce violazione dei suoi diritti e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto prevede la legge 633/1941.
In copertina: Nina Aldin Thune’s photo
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FABRIZIO DE MARCO
PIRAMIDE
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Prefazione d’Autore
Nel 2010 iniziavo a scrivere questo libro nella speranza di pubblicarne il formato cartaceo. Il mio pensiero si fondava sul fatto
che Saviano avesse venduto milioni di copie e guadagnando milioni di euro, quindi a me sarebbe andato bene di ottenerne centomila. Purtroppo, non ero ancora entrato nel perverso meccanismo riguardante il settore editoriale-mediatico, e me ne resi conto quand’ormai era troppo tardi. E poi il mio libro è autobiografico, è settoriale ed è divenuto un po’ distopico per renderlo utile a tutti. Io non ho la laurea, e in questa giostra che è più accostabile a una calcinculo piuttosto che a una di quelle medievali,
non ho scritto questo libro per diletto. Calci ne ho presi tanti ma
altrettanti ne ho rifilati perché sono incline a combattere i sistemi non funzionanti e, soprattutto, quando sono creati per ingannare, mentre c’è chi il calcio lo prende a 90 gradi per agguantare
la coda del coniglio. Spintarelle, raccomandazioni e conoscenze
alle quali spesso si guarda ad una professione di concetto e, perché no, a una posizione familiare prestigiosa e benestante. A tutto questo va aggiunta la mazzetta che la casa editrice esige per
pubblicare. Ecco le credenziali! Oppure ti attende tanta gavetta
e come toccò a Mauro Corona. Lui, almeno, una casa editrice la
trovò, ma erano altri tempi. Non fisso limiti al numero di copie
da distribuire lasciando inalterato il contenuto del libro. A piè di
ogni pagina appare il mio numero IBAN per chi vorrà contribuire. La mia banca ha disposto la possibilità di versare piccoli accrediti tramite lo smartphone. Sarebbe giusto che anche le altre
banche si adeguassero a chi offre la possibilità di effettuare piccole e agevoli transazioni. La mia vita è modesta, non lavoro più
da tanto tempo né vivo nell’agiatezza. Le mie origini sono agresti e non dispongo di capitali. Non siate scorretti, fate in modo
che questo libro giunga per ultimo ai mass media e distribuitelo
solamente a coloro che non abbiano attinenza con il contenuto.
L’interessamento per questo libro è oramai divenuto a titolo gratuito perché, come ho anticipato prima, questo settore nasconde
il marcio. Ho auto-pubblicato l’opera negli e-book store, ma...
Servitevi delle e-mail, di WhatsApp e del bluetooth per distribuirlo dappertutto.
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Prefazione
Questo libro inizia affrontando un argomento che ormai è divenuto di attualità a causa dei molteplici episodi verificatisi nelle aziende, da cui possono derivare incidenti estremamente gravi
e provocando le cosiddette «morti bianche». In pratica, su questo libro sarà narrata, e trattata, una vicenda legata agli abusi che
le aziende tendono a praticare nei confronti dei loro dipendenti.
Grazie ai propri forti poteri sono protette dalla Legge, che interviene, veramente, soltanto quando avvengono fatti gravi o assumenti una rilevante importanza mediatica.
Nel corso della vita lavorativa, un dipendente deve sottostare
alle volontà impostegli dal datore di lavoro, in una sorta di sudditanza. Ma nel momento in cui il lavoratore si opporrà agli ordini impartiti da un superiore, inizierà a non essere più considerato come un elemento conformante una «grande famiglia». Sarà giudicato un diverso e l’azienda inizierà a «prendersi cura» di
lui.
Quando un’azienda si prefigge un obiettivo, non tollera che
l’insuccesso delle sue operazioni sia causato dal comportamento
di uno o più dipendenti, perciò inizia a mettere in atto tutta una
serie di azioni per arginare la ragione provocante, oppure che ha
provocato, il tracollo dei propri obiettivi.
Poco importa, all’azienda, che le richieste inoltrate ai suoi dipendenti rientrino nelle norme di Legge o esulino da queste ultime. Così come, paritetico, sia un diritto del lavoratore rifiutare
l’incarico: ordine impartitogli da un superiore. A seconda delle
circostanze, l’azienda può scegliere la via da intraprendere per
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«ricondurre» il lavoratore, o i lavoratori, «a più miti consigli».
La strada da percorrere potrà essere composta da: promesse che
non saranno mantenute, aumenti di stipendio, premi in busta paga e qualsivoglia altra forma di ricatto economica racchiudente
il lavoro straordinario che, in tempo di crisi, pochi disprezzano.
Qualora questi tentativi non dovessero sortire un esito positivo,
si passerebbe alle minacce, alla persecuzione cartacea, fino a ottenere motivazioni pretestuose per procedere al licenziamento.
È palese che i sistemi usati dipenderanno dalla gravità della
situazione, e i differenti metodi coercitivi saranno applicati a seconda che l’episodio coinvolga uno o più dipendenti. Quando il
dipendente è soltanto uno, certamente incappa nel tanto discusso
mobbing che, non costituendo reato, lascia ancora molto spazio
all’inventiva del datore di lavoro o di un subalterno. In ogni caso, semmai un giorno il mobbing fosse considerato un reato, con
il sistema giudiziario italiano una soluzione per uscirne si troverebbe sempre.
Tra i metodi che un’azienda utilizza quando si ritrova contro
dipendenti ostici, e qualora quest’ultima goda di particolari appoggi politici, rientra la corruzione delle parti sindacali e quella
degli organismi responsabili del controllo aziendale. In genere,
queste figure professionali che dovrebbero essere preposte alla
tutela e alla sicurezza dei lavoratori, latiteranno lasciandoli nelle
mani di un destino ineluttabile. Come accadde in quelle fabbriche dove i lavoratori pagarono un prezzo molto alto, e la politica s’intromise a legiferare rischiando di rendere inutili le azioni
giudiziarie intraprese nei confronti: dei responsabili imprenditori, dei dirigenti e degli enti corrotti preposti alla sicurezza.
Thyssenkrupp, Saras, Ilva, Eureco, Umbria oli, Ilsap, Kyklos,
Co.Im.Po., Ca-Ma, E.P.M., Pirotecniche Di Giacomo e Paolelli,
petrolchimici, industrie siderurgiche, aziende di lavoratori cinesi
e molte altre testimonianze, nonché invisibili, che spaziano dalle
morti individuali comprendenti i cantieri edili, alle piaghe sociali causanti le gravissime conseguenze scaturite dall’asbesto, sono finite sulle pagine dei rotocalchi lasciando sperare che ci sia
ancora una Giustizia. L’elenco delle società interessate da incidenti causanti la morte di persone, è certamente provvisorio. Sia
perché per nominarle tutte servirebbero pagine, sia perché molte
altre andrebbero ad aggiungersi col trascorrere del tempo.
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Purtroppo, nei giorni nostri, i giovani e tutti coloro che si accingono a una prima esperienza lavorativa, non possono ancora
conoscere la realtà a cui andranno incontro. Ci si augura, quindi,
che la lettura trattante una complessa vicenda lavorativa e postlavorativa, sia di sostegno per affrontare eventuali problemi che
un giorno dovessero presentarsi. In aggiunta, possa questo racconto essere di utilità per chi avendo la possibilità di analizzarne
e soppesarne i meccanismi, renda meno avvalorante l’adagio «il
pesce grosso mangia quello piccolo».
Il libro, passo dopo passo, ripercorre: i giorni, i mesi e gli anni in cui il protagonista rimane vittima di una società corruttrice.
Termine con il quale si intende l’azienda in cui lavorava e tutto
quello che ruotava attorno a essa. Sarà possibile accorgersi che
non vi era settore in cui quest’ultima fosse assente, con legami e
conoscenze in tutti i campi ove poter continuare a ostacolare il
cammino di chi aveva osato mettersi contro di essa. Di chi aveva osato provare a togliere le certezze a un’azienda situata nella
provincia di Udine, la quale costituiva il tronco di un’importante
realtà locale che si diramava in tutte le direzioni e mostrando la
sua vera natura: «un polipo gigante», un pericoloso mostro dotato di numerosi tentacoli in grado di controllare e soggiogare la
vita altrui. Al risultato arrivava nonché tramite uno stalking che
comportasse l’utilizzo di molte persone.
Per salvaguardare la privacy, le persone saranno indicate solamente con il nominativo, oppure con le iniziali dei loro nomi e
cognomi. Il resto sfrutterà: abbreviativi, nomi di fantasia e acronimi. Ove possibile saranno usate le denominazioni originali.
Il libro è corredato di tre cartine topografiche che possono essere altresì consultate prima di raggiungere i capitoli a cui sono
dedicate.
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PARTE PRIMA
PRIMA DEL LICENZIAMENTO
È la fase iniziale in cui la dittatura aziendale
si manifesta con evidente disprezzo del lavoratore dipendente, che subisce svariati attacchi
da interpretare come minacce di licenziamento. Questo accade ogniqualvolta l’azienda veda minata la propria egemonia. In altre parole, l’assoluta supremazia di un’artefatta autorità che non dev’esser messa in discussione.
Passò dunque Bertoldo per mezzo a tutti
quei signori e baroni, ch’erano innanzi al
Re, senza cavarsi il cappello, né fare atto
alcuno di riverenza…
Giulio Cesare Croce, BERTOLDO
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Capitolo Primo
L’AZIENDA E I LAVORATORI
L’organico aziendale
Tutto ebbe inizio nel reparto NIT, vale a indicare Nitrazioni,
dell’azienda chimico-farmaceutica dove prestavo l’attività lavorativa, e accadde quando s’insediò il nuovo responsabile. Si trattava di un raccomandato politico, in altre parole un «Beduino».
Il quale, vantando una stretta parentela introdotta nell’organico
comunale a Mereto di Tomba, era posto sul piedistallo.
Un gradino al disotto del «Faraone», ossia il Direttore dello
stabilimento (D.Z.), c’erano, pertanto, i favoriti «Beduini» che
erano trattati con un occhio di riguardo qualora si fossero ritrovati in posizioni definibili a rischio. All’ultimo gradino della piramide si trovavano i «fellah», in pratica i contadini che lavoravano le terre del Faraone. Le quali dovevano produrre ricchezza
per lui e riempire le tasche di P.O., Sua Maestà Monsignor Principe «d’Egitto». Amministratore Delegato sì ma, a livello locale, meno importante del Faraone. Meno considerato poiché Sua
Maestà proveniva da un’azienda di Milano fusasi con quella dove lavoravo. Residente nella provincia lombarda di Varese, percorreva l’autostrada A4 con una sontuosa station-wagon, oppure
con la macchina rossa dello sborone stradale. In sostanza trattasi
di una potente fuoriserie sportiva che un giorno qualcuno gli rubò, ma non era da escludere che ne avrebbe acquistata un’altra.
Il nuovo responsabile di reparto, o Beduino D.M., proveniva
da un altro settore che era stato serrato, denominato «Dinamite11
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ria». La chiusura era stata ottenuta mediante i licenziamenti e la
messa in mobilità di alcuni lavoratori che non furono sufficientemente tutelati dai sindacati. Ed ecco che la dismissione del reparto implicherà il licenziamento e la messa in mobilità di operatori rientranti in altri settori, formanti l’indotto aziendale.
Un piccolo gruppo di donne appartenenti al reparto che chiuse, coadiuvate da una Sindacalista dell’U.G.L., si rifiutò di sottostare ai voleri dell’azienda e del sindacato, ma non firmando il
licenziamento si ritrovò a disimpegnare, per forza, lavori molto
degradanti, disumani. Il medesimo trattamento, però, non fu riservato al responsabile del reparto che serrò, al Beduino D.M., e
ai suoi assistenti, o capireparto. Pertanto, alcuni furono trasferiti
altrove, dove iniziarono a occuparsi dell’Unità Produttiva in cui
erano stati spostati in modo provvisorio, e i rimanenti restarono
nell’attesa che il Faraone «liberasse» un posto per loro.
L’Unità Produttiva provvisoria era chiamata «FAR» – stava a
indicare farmaceutica – ed era un piccolo reparto messo in piedi
per accogliere il Beduino D.M. e i suoi assistenti, affinché si occupassero solamente dell’essiccazione dei prodotti finiti ottenuti
negli altri reparti di produzione. Alcuni essiccatoi erano uniti e i
restanti si trovavano uno qui e l’altro là, come le oasi di un deserto, ma nell’insieme formavano il reparto FAR-locco. In futuro, quando il settore FAR sarà unito in modo grammaticale con
il settore NIT, dove io lavoravo, scaturirà la nascita del nuovo
reparto, ossia l’Unità Produttiva FAR-NIT.
Per assicurare sia al responsabile del reparto, Beduino D.M.,
che chiuse, sia ai suoi assistenti, un posto equiparato al precedente, l’azienda licenziò l’ultimo assunto (G.G.) che da qualche
anno dirigeva il reparto Nitrazioni in cui lavoravo. Lo umiliò fino a ottenerne le dimissioni e illuse i miei capireparto, assistenti
di G.G., di continuare a esserlo. Essi, invece, erano stati scalzati
dall’arrivo di T.M. Quest’ultimo dipendente, anche in precedenza era stato l’assistente del favorito Beduino che, poi, soffierà il
posto al mio responsabile di reparto G.G.
Il responsabile di reparto G.G. commise certamente qualche
errore, ma poiché l’intenzione era di silurarlo, ogni sua piccola
mancanza era trattata come fosse un reato. Così, ogni volta, era
costretto a trangugiare tribolate lacrime amare. Inoltre, quando i
provvedimenti riguardavano lui, il tutto era messo per inscritto,
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mentre se riguardavano un raccomandato Beduino, si limitavano
a qualche cicchetto seppure i motivi fossero gravi.
Come non si potrebbe ancora comprendere, l’abuso aziendale
avvenne perché in azienda «la pratica valeva meno della grammatica». Spesso, però, non era questione di pratica, bensì di pratiche disbrigate negli uffici di vari enti politici, che sortissero in:
scambi d’interessi, assunzioni e una specifica tutela di parenti e
raccomandati.
Il responsabile del reparto Nitrazioni G.G., al contrario del
Beduino, era ed è un Dottore in chimica di origine Croata a cui
furono irretite molte promesse. Una delle quali di divenire il responsabile aziendale della sicurezza. Prima che questo accadesse, il Direttore dello stabilimento, o Faraone D.Z., aveva richiesto l’assunzione di sua figlia appena laureata. La posizionò proprio in un ufficio riguardante la sicurezza, in precedenza occupato da un dirigente che andrà in pensione. Il quadro era G.B.P.,
ovvero un altro Beduino solamente diplomato, e aveva lasciato
un’ambita poltrona che la figlia del Faraone avrebbe potuto occupare. Ma, fin al giorno in cui lei non fosse stata pronta e formata, serviva un temporaneo sostituto del dirigente pensionato.
Il Faraone pertanto, fino alla nomina di un nuovo responsabile della sicurezza e per un certo periodo, dovette ricoprire altresì
il ruolo di «Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione». Quando, però, i documenti scottavano, non firmava come Direttore né in vece di responsabile del S.P.P. Si trattava di
un furbetto «dei quartierini» che delegava il più possibile e svicolava quando c’era un documento che lo rendesse responsabile,
perché lui aveva «lanciato il sasso nascondendo, poi, la mano».
Oppure cercava di attribuire più responsabilità a certi lavoratori.
Come? Non rispettando il contratto di lavoro e gli annessi livelli
d’inquadramento lavorativo: sfruttando l’incapacità di parecchi
operai nel capire gli istituti contrattuali e le retribuzioni equivalenti ai lavori disimpegnanti il livello occupato.
Il Faraone D.Z. era un Ingegnere originario di Ferrara, e prima d’esser assunto aveva lavorato al petrolchimico di Marghera,
dove voci di corridoio sostenevano che avesse subito un tentativo di linciaggio da alcuni lavoratori che volevano menarlo. Non
si conosceva di preciso il reparto in cui lui avesse prestato la sua
opera e, almeno per quel che atteneva agli scandali coinvolgenti
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il petrolchimico, giammai pervennero notizie di un suo rinvio a
giudizio. Probabilmente, egli lavorò sì in quello stabilimento ma
in altri settori, oppure non ricopriva ancora un ruolo importante.
Forse proprio per quest’ultima ragione accettò il trasferimento a
Udine, e mediante l’incarico di Direttore andare a dettar «legge»
nell’azienda collocata in una zona dove gli operai erano in prevalenza persone umili.
D.Z., con una corporatura un po’ segaligna, senza tacchi era
alto centimetro più centimetro meno come l’onorevole Brunetta,
ma coetaneo di Berlusconi e con un taglio d’occhi che rasentavano l’identità di una persona: scaltra nel conversare, dispotica
e falsa quando serviva. Ossia un individuo subdolo e somigliante sia al padre di Raffaele Sollecito, sia a Luciano Rispoli. Avevo ipotizzato che il Faraone appartenesse al segno zodiacale del
Cancro e avesse l’ascendente in Acquario oppure in Sagittario.
Il 19 ottobre 1999, il responsabile del reparto Nitrazioni, o
Beduino D.M., sottoscriveva un ordine di lavoro del quale il Faraone commetteva l’errore di approvare. Documento in cui, con
la semplice firma di ogni lavoratore e per sòla «presa visione»,
si costringeva i dipendenti di due distinti reparti unificati con la
locuzione «FAR-NIT», a eseguire più ordini che erano inglobati
in un’unica comunicazione. Oltre al motivo che tale documento
evidenziasse un maltrattamento delle persone, le disposizioni ivi
contenute mettevano a repentaglio la sicurezza dei lavoratori e
la loro incolumità. In particolare la mia contestualmente a quella
dei miei colleghi Conduttori dei 1Generatori di Vapore, che oltre
ad aver conseguito uno speciale patentino per condurli, ricoprivamo altresì i ruoli d’operatori chimici.
Le Leggi in materia di conduzione dei Generatori di Vapore
erano prese ben poco in considerazione, si cercava di aggirarle
per sfruttare i possessori aventi titolo alla conduzione di questi
dispositivi. Questa prima fondamentale mansione, che sarebbe
dovuta esser considerata una seconda professione svolta, era posta in secondo piano da un’azienda in cui, in materia di sicurezza, prevenire i rischi di: incendi vari, scoppi, esplosioni e nubi
tossiche, in ordine d’importanza era prioritario.
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Dispositivi a pressione funzionanti con lo stesso principio della pentola a pressione di casa, e volgarmente definiti «caldaie a vapore». Come le caldaie per uso abitativo, possono avere come fonte di alimentazione combustibili vari.
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Si trattava, quindi, di una figura professionale non ancora riconosciuta perché considerata come, ad esempio, quella degli, e
delle, assistenti alla poltrona negli studi dentistici. La mancanza
di un dettame assegnante una posizione, consentiva alle aziende
di continuare a sfruttare chi avesse conseguito un patentino statale, in modo «d’occuparlo», nel contempo, con due professioni.
Sebbene sussistessero società interinali che rendevano altrettanto disponibili coloro che svolgevano questa professione, sarebbe stato oltremodo difficile che, una volta entrati in azienda,
i Conduttori di caldaie ne avessero svolta soltanto una. Si trattava, in sostanza, di un lavoro che ne mascherava altri, favorendo
le aziende e lasciando invariati gli stipendi dei Conduttori.
Al servizio del Faraone c’erano tre Ragionieri che si occupavano di svariate mansioni, e uno di questi (A.C.) ricopriva, inoltre, la carica di R.S.U. – sigla che significa Rappresentanza Sindacale Unitaria – aziendale C.I.S.L. Nel 2004, alla mia totale insaputa, diverrà Sindaco a Mereto di Tomba. Il suo compito consisteva nel recitare la parte dell’infiltrato e in modo da controllare quello che accadeva durante le riunioni sindacali, a cui partecipavano in prevalenza operai, e riferire al Faraone. Era una posizione strategica perché durante le riunioni sindacali la maggior
parte degl’impiegati e dei dirigenti si assentava, e parecchi non
erano nemmeno iscritti a un sindacato. Costoro curavano gli interessi di una florida società avente offerto loro un lavoro dignitoso e ben retribuito, perciò non avevano bisogno di protestare.
I lavoratori appartenenti alle categorie dei dirigenti-quadri e
degl’impiegati, erano in numero talmente elevato che l’azienda,
oltre a essere piramidale, potesse essere considerata persino tecnocratica. In questo caso la scelta era non meno strategica, perché mediante il supporto di queste categorie lavorative vendutesi, durante i referendum l’azienda avrebbe vinto.
Poi c’era la sede legale, che impegnava una decina di dipendenti ma non era situata a Mereto di Tomba. Distava otto-dieci
chilometri, nel paese di Basiliano. Sede legale che in futuro sarà
trasferita nello stabilimento, e all’interno del quale c’era moltissimo spazio perché l’estensione della superficie occupata dallo
stesso, si aggirava sui diciotto ettari di terreno agricolo; equiparabili a circa venticinque campi di calcio. Chi era sprovvisto di
una bicicletta o l’aveva fuori uso, impiegava parecchi minuti per
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spostarsi da un reparto all’altro, o da quest’ultimo alla portineria
e, dunque, agli uffici.
L’imponente massa di terreno agrario, in espansione, non era
proporzionale al numero dei dipendenti occupati all’interno, ossia trattasi di un’azienda lontana dal contare migliaia di lavoratori, ma, a livello locale, la più importante.
La dislocazione dei reparti e gli impianti
Lo stabilimento vantava tre reparti per la produzione, o Unità
Produttive, che erano: il rep. Nitrazioni, il rep. ICF 1, che distava pochi metri dal primo, e il rep. ICF 2. Quest’ultimo era più
sovente definito con il termine «reparto 142», e nondimeno sarà
quello che userò narrando. Questo settore era piuttosto lontano,
completamente autonomo, e nei pressi del quale aveva la sede il
nuovo reparto FAR., creato per accogliere il Beduino.
La sigla ICF stava a indicare Impianti Chimici Farmaceutici,
e prima che fossi trasferito al reparto Nitrazioni per sostituire un
Conduttore di caldaie, fochista, prossimo alla quiescenza, appena assunto lavorai per un anno nel rep. ICF 1.
Essendo il rep. ICF 1 molto vicino al rep. Nitrazioni, i Generatori di Vapore che conducevo assieme ai miei colleghi, fornivano vapore sia a quest’ultimo, dov’erano collocati, sia al reparto ICF 1. Quest’ultima Unità Produttiva rimaneva in funzione la
notte, nonché costringendo i Conduttori dei Generatori di Vapore a ricoprire il turno notturno. Lavorare quindi su tre turni e tenere qualche contatto con gli addetti rientranti tra quelli del rep.
ICF 1, era d’obbligo malgrado il reparto Nitrazioni chiudesse alle ore dieci della sera.
Il turno di notte, non era dovuto solamente per il motivo che i
Generatori di Vapore, insieme ad altri dispositivi, assicurassero
al reparto ICF 1 l’alimentazione di: vapore, acqua industriale ed
energia elettrica in caso di black-out, ma altresì perché noi Conduttori eravamo oltretutto degli operatori chimici. Avevamo sulle nostre spalle grosse responsabilità perché gestivamo in completa autonomia degl’impianti, troppi, chimici, e poiché vi fos16
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sero altri due reparti che lavorassero di notte, in aggiunta durante il turno notturno ci occupavamo di lavorazioni chimiche.
Alcuni impianti erano in collegamento con i locali del settore
ICF 1. Pertanto, quand’erano in corso certi tipi di produzioni, tra
i Conduttori del mio reparto e gli operatori del rep. ICF 1, talune
volte c’erano scambi d’informazioni.
Altri impianti, invece, costituivano un pericolo per la distanza a cui si trovavano dai Generatori di Vapore, che non si potevano né si dovevano lasciare incustoditi. Un locale distante era
il settore 117, a cui si aggiungeva un impianto pericoloso perché
lavorava, ventiquattrore su ventiquattro, a elevate temperature.
Produceva acidi puri deflemmando quelli residui e derivanti dagli scarti delle lavorazioni di prodotti esplosivi 2(I.C.A.N.).
Il reparto Nitrazioni era un settore in cui i locali addetti alle
produzioni erano aperti per due turni, e l’orario di lavoro terminava la sera alle ore ventidue. Purtroppo era a rischio di chiusura perché l’azienda stava procedendo a un intervento convertivo
delle tipologie produttive. Il rep. ICF 2, o 142, era, invece, un
avanzato settore che produceva prodotti farmaceutici.
Costruito in quasi un anno, divenne operativo nel 1996 causando la chiusura del reparto Dinamiteria, del quale era responsabile il Beduino D.M. Come, a questo punto, si può comprendere dalla denominazione del reparto che chiuse, l’azienda stava
passando dalla produzione d’esplosivi a quella di prodotti farmaceutici. In particolar modo perché questi ultimi fruttavano di
più.
Le produzioni del reparto Nitrazioni stavano calando, ma per
alcuni anni si riuscì a garantirne la continuità, perché fu scoperto un gioco sporco di cui l’azienda si serviva per produrre meno.
Purtroppo era certo che, analizzando la situazione, non si potesse esser lungimiranti. Presto o tardi, la produzione degli esplosivi avrebbe subito un nuovo abbassamento, il reparto Nitrazioni
avrebbe serrato gli impianti, e i Conduttori di caldaie sarebbero
stati assorbiti dall’adiacente rep. ICF 1. Ma il Beduino D.M. e il
Faraone D.Z. si stavano prodigando affinché i cambiamenti non
prendessero tale direzione.
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Impianto per la Concentrazione dell’Acido Nitrico, collocato su tre piani e
composto – in sostanza – da colonne di vetro, più altri dispositivi, in cui per reazione
chimica gli acidi contenuti raggiungevano persino i duecento gradi centigradi.
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Non si trattava soltanto di voci, l’azienda voleva «prendere
due piccioni con una fava»: chiudere il reparto Nitrazioni e togliere di mezzo i Conduttori, che non avrebbero più potuto contare su di un ruolo fisso. Ma l’intenzione non sarebbe stata realizzabile poiché le utenze, soprattutto il vapore, erano fonti indispensabili, e allora correva voce che il Faraone volesse eliminare un Generatore di Vapore. Escludendo una caldaia denominata
«Rhoss» – per la quale esisteva l’obbligo, per Legge, della continua e visiva presenza da parte del Conduttore patentato e unico
responsabile nel proprio turno di lavoro – i Conduttori sarebbero
divenuti pedine da spostare ovunque capitasse.
Infatti, era già capitato il giorno in cui il Faraone mi avesse
avvicinato per infinocchiarmi, sicuro di lasciarmi credere che le
altre caldaie sarebbero diventate autosufficienti. Sebbene le altre
caldaie, denominate «Vaporax», provocassero più problemi del
Generatore di Vapore Rhoss, lui avrebbe preteso che i Conduttori firmassero i registri per i controlli periodici. Dopodiché, andassero a svolgere i lavori altrove e, non appena chiuso il reparto Nitrazioni, chissà dove. Anziché esser trasferiti nel vicino reparto ICF 1, quasi certamente saremmo finiti nel reparto FAR.
Ossia nei locali degli essiccatoi del Beduino, che in precedenza
appartenevano al rep. 142. Sicuramente, con tale spostamento ci
avrebbero, oltretutto, imposto di governare il Generatore di Vapore del reparto 142. Poi, al più presto, saremmo stati sbattuti in
quelle che, per la loro dislocazione sparpagliata, a priori ho definito «oasi» comprendenti gli essiccatoi del reparto FAR.
Al termine di questo primo capitolo, reputandole dati sensibili, non sono state fornite informazioni riguardanti il numero dei
dipendenti aziendali, né quello dei lavoratori occupati nei reparti. Non saranno neppure fornite nozioni specifiche concernenti i
prodotti finiti ottenuti nell’azienda, ma nei prossimi capitoli si
accennerà a qualche rara materia prima utilizzata, irrilevante dal
punto di vista della riservatezza.
Trattandosi di un breve capitolo pregno di dati importanti che
assumeranno un valore prioritario per continuare la lettura, prima di proseguirla consiglio di rileggerlo.
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Capitolo Secondo
CARTE E QUARANTOTTO
La precettazione
Prima di affrontare l’argomento principale di questo capitolo,
compio un salto all’indietro di alcuni mesi. Ossia quando in data
06 aprile 1999, l’azienda procedeva alla designazione degli addetti al servizio antincendio dello stabilimento. Mediante un documento invitava i dipendenti, designati, a firmare per presa visione e accettazione degl’incarichi.
La Squadra Antincendio Giornaliera (S.A.G.) a cui fui assegnato come addetto dei servizi tecnici, in aggiunta prevedeva di
saper e dover operare in aree distanti dal reparto Nitrazioni. Accettai di firmare soltanto quando, per inscritto, il Beduino D.M.
rifinì il documento tramite un’aggiunta riportante le seguenti parole:
«Per quanto riguarda la S.A.G., accetta la designazione solamente per operare con le elettropompe e la motopompa del locale 23, più il gruppo elettrogeno del locale 108.».
Dispositivi che si trovavano nei locali del reparto Nitrazioni e
nei pressi delle caldaie.
Il documento, inoltre, pur riguardando tutti i settori lavorativi
dello stabilimento e i vari lavoratori, indicava come Conduttori
di caldaie solamente quelli del reparto Nitrazioni. Riportava tra
parentesi, a fianco dei nomi, la dicitura «Conduttori G.V.». Non
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accennava minimamente all’esistenza di Conduttori che conducessero le caldaie del reparto 142.
Pressappoco un anno prima ed a cagione di quella che rammento com’esser l’iniziativa principale, scritta, del Beduino, sul
registro delle consegne fui costretto a rispondergli:
«Le ricordo che nel caso dovesse infortunarsi, un Conduttore
di caldaie è soggetto a sanzioni perché, dato il tipo di lavoro che
disimpegna, non dovrebbe svolgere altri compiti, soprattutto se
sono pericolosi.».
«Il locale 96 è un impianto proibitivo: per la distanza a cui si
trova, per il tempo che richiede e perché in caso di un’avaria alle caldaie, il Conduttore ne resterebbe all’oscuro.».
«Al reparto Nitrazioni, durante il turno di notte manca il personale, e per tal motivo il Conduttore non deve allontanarsi dalle caldaie, né eseguire lavori pericolosi.».
«Si sta già eccedendo con il locale 117 quando nitrano… in
quanto diventa facile subire un infortunio di grave entità, ma noi
non dobbiamo attendere che questo succeda e poi prendere precauzioni in ritardo.».
«Quindi, più il locale 117 rimarrà fermo la notte e più sicuro
sarà il lavoro svolto dal Conduttore.». «Inoltre, al turno notturno
è già stata aggiunta un’ulteriore mansione…».
«Per cui se lei, di fronte al Direttore, è il responsabile della
produzione del reparto Nitrazioni, i Conduttori, per lo Stato, sono responsabili dei Generatori di Vapore.». «E, pertanto, nel caso che non si riesca a soddisfare le esigenze produttive, bisognerebbe risolvere il problema in altro modo e frenare le pretese nei
confronti dei Conduttori…».
Alla prima sezione del precedente capitolo avevo accennato a
una sottoscrizione del Beduino che, in calce a un documento recante la data del 19 ottobre 1999, riportava l’approvazione del
Faraone. Proprio qui comincia la mia battaglia per la legalità e
per garantire al mio operato, congiunto a quello dei miei colleghi Conduttori, la sicurezza necessaria per svolgere le mansioni.
Il tutto senza dover esser condizionati dal volere di un superiore,
o chicchessia, non avente arte né parte.
Ed è proprio questo il periodo in cui il Beduino incomincia a
commettere gravi errori che contravvengono la Legge, mettendo
a rischio l’incolumità dei Conduttori di caldaie.
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La comunicazione originale è formata da cinque punti, ma di
seguito evidenzierò soltanto i più importanti. Il 19 ottobre 1999,
il Beduino scriveva:
 «La pausa pranzo, per i turnisti è di trenta minuti massimi, va effettuata adeguandosi alle lavorazioni in corso, soprattutto per i farmaceutici; non dev’esser interrotta una lavorazione
per effettuarla in orari fissi.».
Il punto in questione si riferiva specialmente agli addetti degli
essiccatoi che, essendo precettati, erano costretti a pranzare alle ore dieci e trenta o alle quattordici; certamente con tanto spirito di adattamento e parecchia disponibilità, oltre a quella derivante dall’espletare un lavoro degradante.
 «I Conduttori devono provvedere alla gestione del parco
acido e solvente in completa autonomia, per esempio: preparazione miscele di acidi, scarico e carico autocisterne e limitati interventi manutentivi al parco acido e solvente, più locale 117.».
Si trattava di un’altra precettazione che, questa volta, interessava i Conduttori di caldaie, la quale li sottoponeva al rischio
di subire un incidente, perché l’arrivo della stagione invernale
comporta un inizio del crepuscolo occiduo sempre più anticipato. Il parco acido, e solvente, era formato con una serie di piazzole contenenti una ventina di cisterne della capienza minima di
quindicimila litri cadauna, e queste tipologie di lavori erano tra
quelle sconsigliabili da compiere di notte o al buio. Questo perché l’illuminazione artificiale non garantiva, alle piazzole, una
luminosità ottimale. Inoltre, che i Conduttori dovessero eseguire questi lavori da soli poiché a causa del predetto calo produttivo il reparto Nitrazioni chiudeva alle ore cinque del pomeriggio, era inconcepibile giacché assai malsicuro. Se fosse occorso
un incidente, nessuno si sarebbe accorto.
 «Dalle ore sei alle otto del mattino e dalle diciassette alle
ventidue, sarà incaricata una persona – preposto – a recepire le
problematiche che potranno presentarsi nelle varie lavorazioni,
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ed eventualmente le comunicherà, telefonicamente, al responsabile di reparto D.M. oppure al suo assistente T.M. e, in loro assenza, al Responsabile Di Fabbrica di turno (R.D.F.).».
In questo punto si capisce che i miei capireparto sono stati declassati a capiturno e, quando i locali dei reparti non chiudevano alle ore diciassette, toccava a loro rimanere in azienda. Tra
l’altro, addirittura quando nel reparto FAR c’erano essiccatoi
da caricare o scaricare, i capireparto rimpiazzavano eventualmente gli operatori, perché il Beduino D.M. e il suo fido assistente T.M. svolgevano il signor turno giornaliero. Altresì questa comunicazione rendeva evidente il motivo per il quale il furbo Faraone tentasse di nominare come preposti i Conduttori dei
Generatori di Vapore. In questa maniera, i Conduttori sarebbero potuti rimanere soli dalle ore diciassette alle sei del mattino
seguente e, per giunta, rispondere di porcherie aziendali.
La comunicazione contenente le disposizioni non fu mai oggetto di riunioni apposite e neppure di argomento in quelle successive, ma fu esposta in ogni locale del reparto Nitrazioni. Io,
però, non la firmai.
La contestazione iniziale
Nonostante questa non possa ritenersi la prima vera contestazione da prendere in considerazione in codesta torbida vicenda,
è di basilare importanza narrarla.
Il 28 ottobre 1999 fu, quindi, emessa una contestazione a mio
danno, spedita il 3 novembre e riportante le seguenti parole:
«Che Lei il giorno 25/10/1999 si è rifiutato di controfirmare,
per presa visione, una disposizione per gli operatori del reparto
FAR-NIT, recante indicazioni basilari su: metodologie di lavoro, norme di sicurezza e altro.».
Con un appuntamento garantitomi nell’immediatezza, richiesi di poter conferire con il Faraone e presi contatto con un sindacalista aziendale (C.C.) affinché, al termine del mio turno di
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lavoro, mi assistesse durante il colloquio; per accordarmi, gli telefonai poco dopo mezzogiorno dall’ufficio dei capiturno.
«Pronto, buon giorno, è in casa Carlo?», chiesi alla donna che
rispose al telefono.
«Sì, chi è che parla?», a sua volta lei rispose.
«Sono un collega di lavoro e ho bisogno di parlare con lui»,
le riferii.
«Attenda un attimo che lo chiamo», rispose.
A questo punto, la donna si assentò allontanandosi per alcuni
secondi e poi, come un fievole eco proveniente da una vallata di
montagna, la si udì alzare il tono della voce: «Carlo, ti vogliono
al telefono», e in pochi altri secondi il Sindacalista aveva già la
cornetta in mano.
«Pronto, mi dica, chi è che parla?», chiese col fiato ansimante
di chi si fosse affrettato nel rispondere a una chiamata. Chissà,
forse ne stava attendendo un’altra.
«Carlo, sono Fabrizio De Marco e chiamo qui dalla fabbrica
per informarti che ho fissato un appuntamento con il Direttore,
per discutere…», inizialmente lo informai, e poi aggiunsi: «Tu
hai il turno del pomeriggio vero?».
«Sì, questa settimana incomincio alle due del pomeriggio, e
anche oggi», rispose confermando la mia memoria.
«Perfetto Carlo, allora verso le ore… ci troveremo in portineria e daremo una sistemata al Faraone, perché quello che sta accadendo è inconcepibile e tu, tra l’altro, sai benissimo che quella comunicazione scritta è un raggiro, un inganno», aggiungendo poi: «Quell’informativa che il Beduino ha richiesto di firmare soltanto per presa visione è un imbroglio burocratico in cui si
capisce benissimo che si tratta di ordini.».
La sua risposta fu: «Ah! Adesso ho capito! Ti stai riferendo a
quell’ordine scritto che mi hai mostrato… e del quale contesti…
e, in aggiunta, una mancanza di sicurezza.».
«Sì, esatto. E ora mi è pervenuta una contestazione perché mi
sto rifiutando di firmare il documento», annunciai per informarlo del motivo per cui gli richiedevo di assistermi.
Con l’atteggiamento di chi ha compreso la circostanza, e sapendo benissimo che il lavoratore contestato ha diritto di richiedere l’assistenza di un Sindacalista, rispose: «Va bene Fabrizio,
ci vediamo dopo e vedremo che cosa si può fare.».
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Il Sindacalista, quindi, era in casa, e spiegandogli di aver preso un appuntamento con il Faraone, accettò di assistermi. Circa
mezz’ora prima dell’inizio del suo turno e a mezz’ora dal termine del mio, si sarebbe reso presente nei pressi della portineria,
ma quando arrivò il momento, e come per magia, il colloquio fu
rimandato alla settimana seguente. Era venerdì e allora ci accordammo per il lunedì successivo, assicurandoci d’esser entrambi
presenti e con i nostri turni che «calzassero». Lunedì del suddetto neanche l’ombra, e così mi ritrovai a discutere, da solo, di argomenti poco chiari. Il tutto in una mesta discordanza e finché il
Faraone non raggiunse l’apice dittatoriale minacciandomi di licenziamento qualora non avessi firmato il documento.
Prima di varcare la porta dell’ufficio dirigenziale in cui lavorava il Faraone, passai davanti a quella sorta di vetrata che separava il corridoio dall’ufficio tecnico dei Ragionieri. Questa invetriata era fornita di una feritoia dove, come in un ufficio postale,
gli impiegati addetti alla burocrazia aziendale infilavano gli svariati documenti da consegnare ai lavoratori.
«Buon giorno Andrea, sono venuto per l’appuntamento con il
Faraone…», informai dapprima il Ragioniere-Sindacalista, seppur egli fosse già informato, e poi aggiunsi: «Ma sto ancora attendendo Carlo perché mi deve assistere…».
«Vieni, vieni, che ti accompagno io dal Faraone!», egli pronunciò come se fosse già al corrente che l’altro Sindacalista non
si sarebbe presentato.
A questo punto, gli chiesi: «Restiamo ad attendere che Carlo
arrivi, o vieni dentro tu con me?».
«Andiamo, andiamo che il Faraone ti sta attendendo», rispose
vanificando la mia illusione che almeno lui si sarebbe reso disponibile, malgrado la sua inabilità e la mancanza di competenza sindacale sull’argomento da trattare. Invece mi mollò davanti
alla porta socchiusa dell’ufficio a cui lui stesso bussò, per aprirla senza attendere una risposta dall’altro lato.
«Toc! Toc!», e appena la porta si aprì, Andrea mi annunciò al
Faraone: «Sono qui con De Marco che…».
Veramente stavo già comprendendo che si trattava di una farsa messa in piedi, e che i due Sindacalisti mi avrebbero mollato
nelle fauci di un Faraone assumente le sembianze di un famelico
e bavoso coccodrillo del Nilo, assetato d’onnipotenza aziendale.
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Infatti, il Faraone m’invitò ad accomodarmi e, dopo aver discusso e controbattuto a certe sue affermazioni interessate a ottenere la firma sul documento, mi concesse un’ultima possibilità. Nello stesso modo usato nei confronti di un dipendente che, a
causa della propria assenza, aveva firmato in ritardo perché non
gli era stata rilasciata una copia del documento, prese in mano
un foglio che mi ordinava di firmare dopo avermi fatto scrivere
sotto dettatura: «Sig. Faraone, non intendevo rifiutarmi di firmare, ne volevo solamente una copia per leggerla con calma.».
Se avessi aggiunto: «Bacimme le mani!», sarebbe andato in
sollucchero. Si trattava di un vecjo sadico abituato a comandare
e si percepiva che godeva nell’osservare le persone prostrate ai
suoi voleri. Era un individuo spregevole che saltellava nervosamente, come un coniglio selvatico, quando qualcuno, o qualcosa, andava a infilarsi nell’ordito che tesseva la sua sporca trama.
Inoltre, ricordo che lui era solito definire gli operai «i miei contadini», e come biasimarlo giacché una parte di questa categoria
di lavoratori è abituata a lavorare con gli escrementi!
Al mezzuccio ingegneristico, il Faraone integrava le seguenti
parole: «Se lei non firma questo documento, io telefono a Basiliano e la faccio licenziare, poi chiamo i miei Avvocati.».
Il documento era sì per presa visione, ma la locuzione giusta
sarebbe stata: presa per… l’ennesimo raggiro come, ad esempio,
l’abitudine di scrivere rep. FAR-NIT con un trattino che unisse
quelli che tuttalpiù erano due reparti distinti e distanti. Unendo,
però, le due Unità Produttive in una sola, si sarebbe potuto trasferire chiunque da un reparto all’altro. Si trattava di porcherie
burocratiche e/o grammaticali che a me non sfuggivano. Quindi,
per un’azienda dedita all’inganno, cominciavo a essere considerato pericoloso, ma i suoi ordini lo erano molto di più.
Il Faraone aveva, pertanto, intimato al sindacalista aziendale
C.C. di rimanere fuori dalla disputa perché, nel frattempo, aveva
ideato un espediente estorsivo per costringermi a firmare, simulando che volessi soltanto una copia.
Firmare il capzioso documento o rischiare il licenziamento?
Firmai guardando il Faraone con cipiglio, ma giurai a me stesso
che da quell’istante avrei iniziato a preparare tutto il necessario
per prendermi la rivincita nel momento in cui, e semmai, quella
situazione si sarebbe presentata di nuovo.
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La decisione era, inoltre, suffragata da un episodio disdicevole avvenuto prima dell’incontro col Faraone, perché quanto stava accadendo comportava il dovere d’informare le autorità che,
a livello nazionale, si occupavano e avevano la responsabilità di
tutto quello che riguardava i Generatori di Vapore e coloro che
li conducevano. Le autorità erano l’U.S.L. e l’I.S.P.E.S.L. Mentre la prima è un servizio appartenente all’Unità Sanitaria Locale, la seconda rappresenta l’Istituto Superiore per la Prevenzione
E la Sicurezza sul Lavoro, ma mi rivolsi soltanto alla prima.
Mi recai nella sede appropriata dell’U.S.L., e dopo aver conversato per un’ora con un preposto che era parecchio responsabile perché lo avevo già notato in azienda a ispezionare le caldaie, uscii da quella sede statale più scoraggiato di prima. Capii
subito l’ambigua situazione: c’era «del marcio in Danimarca».
Infatti, l’appuntamento fissatomi con un Ingegnere dell’U.S.L.
fu rimandato tramite una telefonata affinché, frattanto, il Faraone risolvesse la spinosa questione.
Il 16 novembre 1999, in fabbrica, il sindacalista A.C. mi consegna in mano la lettera con l’assoluzione in cui si legge:
«In conseguenza al colloquio intervenuto tra lei e il Faraone,
e alle giustificazioni presentate – volendo essere precisi: scritte
sotto dettatura del Faraone – relativamente ai fatti contestati
con la raccomandata… riteniamo, tuttavia, ingiustificabile il rifiuto da Lei espresso a sottoscrivere un documento – raggiro –
che regoli l’attività interna allo stabilimento, qualora le sia sottoposto per presa visione – e per presa per... –.». «Nonostante
ciò, la direzione non darà seguito a provvedimenti di carattere
disciplinare, – dato che ha firmato – ...».
Trascorsero alcuni mesi e comparvero altri documenti per cui
servissero le firme di noi Conduttori, ma, questa volta, prevedevano l’apposizione di due autografi distinti: uno per presa visione e l’altro per accettazione. Uno degl’incartamenti l’ho già descritto in precedenza e riguardava la designazione degli addetti
al servizio antincendio.
I documenti, comunque, seguitavano a essere ingannevoli, al
punto che, prima di firmare, con l’inchiostro ero spesso costretto
a dar di frego alle parti riguardanti quello che non era accettabile. Nonché vi era la presenza di continue pressioni del Beduino,
per costringermi ad un ripensamento. Ben poco potevo schivare
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quando, invece, i documenti erano collettivi e racchiudevano un
carnet di firme composto con quelle dei due reparti unificati in
modo burocratico. Uniti soltanto sulla carta, non nella realtà!
Siccome oramai le mie firme erano spesso oculate e la diffidenza regnava sovrana, i documenti aziendali diventavano sempre più complessi e pieni di astruserie. Quello stava accadendo,
mi costringeva a incastrare il furbo Faraone che, evidentemente,
era l’artefice dei misfatti ma sfruttava i suoi subalterni.
Un documento che scotta
Costretto a subire le prevaricazioni burocratiche, fu così che
le carte, quelle vere e autentiche, iniziai a riempirle io. Per mettere il Faraone di fronte alle proprie responsabilità, gli inviai un
fax spedendolo nell’ufficio dello stabilimento.
Il fax era necessario per mettere un freno alla moltitudine di
documenti ingannevoli che l’azienda «richiedeva» di firmare ai
lavoratori. Tra questi ce n’erano di veramente importanti che riguardavano la salute degli stessi, perché loro si stavano prestando come cavie per la sperimentazione di pericolosi prodotti che
all’azienda fruttavano molto.
Durante le riunioni, quasi sempre al loro termine, firmavamo
tutto ciò che i superiori ci mettevano sotto gli occhi. Infine, con
un noncurante atteggiamento ipocrita, gli impiegati o i dirigenti
raccoglievano. Il fax spedito con la data del 3 aprile 2000, riporta le seguenti parole:
«Egr. Faraone, da un po’ di tempo sto assistendo ad alcune
ingiustizie, allora ho deciso d’inviarle questa comunicazione faxata.». «Come lei potrà costatare, io sig. De Marco Fabrizio, lavoratore… ho firmato, senza aprire bocca, tutti i documenti delle varie riunioni, ma ora devo scriverle alcune segnalazioni e osservazioni.».
1. «Non considero giusto che nei documenti che ho firmato
ci fossero spazi bianchi, sia in qualche intestazione sia nei fogli
successivi, che sarebbero riempiti dopo la mia firma.».
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2. «Non reputo giusto che i documenti siano poco o mal rilegati.». «Alcuni mesi fa, fui costretto a reclamare perché non
erano neppure rilegati.».
3. «Non ritengo giusto che la firma dei verbali sia richiesta
in modo disgiunto dai documenti di questi ultimi, al termine delle riunioni, e che non siano ancora stati compilati quando il lavoratore è obbligato a firmare.».
4. «Pertanto, non considero neppure giusto che un lavoratore firmi il primo foglio, e la firma valga per altri tot fogli.».
5. «La invito, inoltre, a notare che lei, avvalendosi del grado
di Direttore dello stabilimento e con la funzione di responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione, benché abbia delegato
altre persone dovrebbe mettere due firme su ogni documento.».
Quest’ultimo punto era motivato dal continuo tentativo del Faraone di sottrarsi alle responsabilità, non apponendo nemmeno
una firma. Era il solito furbetto che si serviva dei colleghi dirigenti, o quadri, per evitare quelle responsabilità che sapesse gli
sarebbero costate care in caso di noie.
«I documenti collettivi che ho firmato additano come mio reparto di appartenenza il settore NIT/FAR o FAR/NIT, quando
piuttosto i due reparti, le due Unità Produttive NIT e FAR, sono
distinti e distanti.». «Ho motivi per ritenere che ci si stia servendo dei documenti e delle relative firme per incastrare i lavoratori
e aggirando in questo modo le Leggi che li tutelano.». «Sono sicuro che il tempo dimostrerà…».
Semmai il nuovo reparto, nato sulla carta, fosse stato indicato
col trattino che univa quelli che tuttalpiù erano due settori distinti, come peraltro accadeva in altri documenti, il risultato sarebbe rimasto inalterato. Questo perché l’abbreviativo «rep.»,
anche quand’era usato come sostantivo, si leggeva al singolare.
Nei casi in cui fosse utilizzato il termine «Unità Produttiva», il
risultato non variava perché quest’altro vocabolo avrebbe unificato, lo stesso, i due reparti.
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I turni scoperti
Al rep. 142, chiaramente riferendomi al Generatore di Vapore di tale reparto, cominciava, o ricominciava, l’intollerabile che
rappresentava l’ennesimo tentativo per mettere a repentaglio la
sicurezza dei Conduttori del reparto Nitrazioni.
Da quello che stava accadendo si denotava un morboso interesse del Faraone a verificare se i Conduttori di caldaie fossero
ancora sotto il suo dominio, oppure se lui non fosse più in grado
di sottometterli. Si trattava quasi di una questione personale per
non esser riuscito, in precedenza, a ottenere quello che voleva. E
allora, stavolta, mediante il trasferimento di un paio d’impiegati,
si serviva della motivazione che chi conduceva il Generatore di
Vapore del reparto 142 andasse a ricoprire una carica più elevata e importante.
Al rep. 142 e per un turno intero di otto ore, il Generatore di
Vapore Mingazzini rimaneva senza controllo. Di conseguenza,
mi vedevo costretto a riprendere contatto con le autorità esterne,
perché l’inadempienza causava un rischio tangibile. In certi periodi, l’inosservanza diveniva incuria grave a causa del maggior
numero d’ore di mancato controllo e provocava un aumento delle probabilità che succedesse un incidente di gravi proporzioni,
del quale avrebbero risposto i Conduttori.
Un Conduttore di caldaie del reparto 142 aveva beneficiato di
uno spostamento per sostituire un impiegato-caporeparto munito
di patentino per la conduzione dei Generatori di Vapore, e che
fungeva da Conduttore ausiliario. Il suo trasferimento era quasi
una promozione che non lo obbligava più a occuparsi della caldaia. Così il 7 marzo del 2000, all’I.S.P.E.S.L., scrivevo:
«Con la presente, io sig. De Marco Fabrizio rendo noti i nominativi dei Conduttori di caldaie – patentati – del rep. 142 e del
rep. Nitrazioni, appartenenti alla società Piramide.».
«Allo stato attuale i Conduttori di caldaie a vapore sono i seguenti: reparto 142 (S.V.; L.C.; E.C.; R.D.) e reparto Nitrazioni
(F.D.M.; G.B.; V.T.; 1R.M.; 2A.B.)».
1
È uno dei due capireparto declassati a: capiturno, preposti e operai. Dopo di me
lasciò l’azienda.
2
Fu assunto un anno prima di me ed è il secondo caporeparto declassato.
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«Il mio intervento è dovuto al motivo che uno dei Conduttori
titolari della caldaia del reparto 142 ha cambiato mansioni e orario di lavoro. Pertanto, un turno di controllo è rimasto sguarnito
comportando un rischio non indifferente.».
«Vi voglio altrettanto informare che i reparti 142 e Nitrazioni
distano cinquecento metri, e le caldaie di quest’ultimo forniscono, oltretutto, vapore all’adiacente rep. ICF 1.».
«Da qualche anno a questa parte, i Conduttori del reparto Nitrazioni sono messi sotto pressione in quanto il reparto stesso è a
rischio di chiusura.». «Inoltre, l’azienda, una volta eliminata la
caldaia Rhoss, pare che intenda proseguire con tre Generatori di
Vapore uni-tubolari Vaporax e tentando in tal modo di rimuovere i Conduttori.».
«Vi invito a prendere contatto con l’U.S.L.: struttura dove nel
1999 ho già avuto un colloquio riguardo alle troppe pretese che
l’azienda esigesse nei confronti dei Conduttori di caldaie. Ossia
l’espletamento di mansioni sempre più pericolose e aggiuntive a
quelle che già disimpegnavamo.».
Com’è stato già letto, in precedenza il colloquio con l’U.S.L.
non mi convinse, e l’appuntamento fissato con quell’Ingegnere
saltò in modo che il Faraone mi costringesse a firmare, cosicché
questa volta provai a rivolgermi all’I.S.P.E.S.L. Dovevo assodare semmai ci fosse stata un po’ più di serietà da parte di un ente
statale che, forse, era definibile superiore. Un ente il cui Ispettore non si rendeva mai presente, ma un giorno ebbi la possibilità
di comprenderne solamente il nominativo.
Il giorno in cui stavo spedendo un carico di acque reflue del
locale 117, sul registro della portineria dove mi ero recato per
pesare l’autotreno, lessi il nome e cognome dell’ispettore: F.S.
Si trattava di un’ispezione fissata per l’indomani e il cui orario
di inizio corrispondeva al conducente della vettura comparente
sul registro dei veicoli che il portinaio potesse lasciar entrare.
Il giorno dopo ebbi la possibilità di notare il veicolo e prendere gli estremi della targa, ma non avrei mai creduto che appartenesse all’ente statale. Il colore non era ministeriale perché era
un verde bottiglia, però il veicolo, negli anni novanta, era il top
di gamma ed era assodato che avesse una cilindrata di perlomeno duemila centimetri cubici. Questa classe di veicolo, sotto tale
cilindrata non era prodotta ma, forse, apparteneva all’Ispettore.
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Alcune informazioni riguardanti i nomi dei Generatori di Vapore e le
loro caratteristiche, sono indispensabili per spiegare che, ad esempio, i
Generatori uni-tubolari Vaporax fossero caldaie a produzione istantanea di vapore. Però, oltre a esser poco affidabili poiché spesso si trovavano sotto manutenzione, in caso di arresto dovuto a varie ragioni o
inconvenienti aziendali che potessero capitare, gli impianti e tutti i dispositivi dei reparti che utilizzassero vapore, in pochi minuti si sarebbero ritrovati con la pressione azzerata. La causa risiedeva nella motivazione che le caldaie Vaporax avessero una capienza di soli trecento
litri d’acqua, che erano contenuti in una lunga tubazione formante una
«serpentina» verticale avvolta a spirale. Per cui, non avendo a disposizione, come le altre caldaie, uno spazio interno per espandere il vapore prodotto a garanzia di una continua erogazione del vapore, quando
per qualche ragione – che non fosse il raggiungimento della massima
pressione di lavoro – si arrestavano, lo stabilimento rimaneva subito a
secco e le caldaie dovevano essere riempite d’acqua per essere riavviate. Ed ecco perché le caldaie Vaporax non avevano l’obbligatorietà
dell’assidua presenza del Conduttore, per controllarle. Tuttavia, oltre a
essere problematiche ed esigenti di una continua manutenzione, la durata della serpentina era limitata. Inoltre, producevano un vapore contenente molta acqua condensata – vapore umido – creante molto spesso problemi agl’impianti dei reparti, in particolar modo durante la stagione invernale. Gli altri Generatori di Vapore, denominati «Rhoss» e
«Mingazzini», erano installati: il primo nel reparto Nitrazioni, di fronte alle due Vaporax, e il secondo nel reparto 142. Le due caldaie erano
del medesimo tipo, ma la Rhoss prevedeva l’obbligo, per Legge, della
continua presenza del Conduttore. Mentre la Mingazzini, di moderna
concezione, era provvista di doppie sicurezze e perciò soltanto soggetta a controlli programmati nel corso della giornata. Nonostante questa
garanzia, sarebbe stato inopportuno governarla a distanza e senza poterla tenere sottocchio. I Generatori di Vapore erano tutti alimentati a
metano. In seguito, ci sarà spazio per altre delucidazioni.
Era stata presa, sempre più spesso, la brutta abitudine di richiedere ai Conduttori del reparto Nitrazioni di avviare il lunedì
mattino il Generatore di Vapore del reparto 142. La richiesta si
ripeteva quando al termine dell’ultimo turno settimanale notturno, la medesima caldaia era d’arrestare prima che lo stabilimento chiudesse per il fine settimana. Erano operazioni che richiedevano parecchio tempo perché, al contrario delle Vaporax che
erano formate da una serpentina contenente solamente circa trecento litri d’acqua, sia la caldaia Rhoss sia la Mingazzini ne contenevano migliaia. Durante le fasi di avviamento e spegnimento,
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all’esperienza era opportuno associare cautela e professionalità.
Eventuali errori commessi durante l’esecuzione di queste delicate operazioni, avrebbero rischiato di causare danni e/o d’influire
sulla durata del Generatore di Vapore. Esponendo, inoltre, il reparto 142 al rischio di restare in panne a causa della presenza di
una sola caldaia installata.
Si cominciava, pertanto, a comprendere che la caldaia Mingazzini, giacché era munita di maggiori sicurezze, dovesse finire
sotto l’ennesima responsabilità dei Conduttori del reparto Nitrazioni. Questo benché si trovasse a distanza considerevole e, dove, non sarebbero stati udibili neppure i dispositivi acustici che
interagissero qualora la caldaia andasse in blocco per avaria. Un
solo momentaneo blackout implicava, comunque, di dover riavviare il bruciatore della caldaia resettando gli allarmi che erano
scattati. Rischioso sarebbe stato se l’interruzione della corrente
fosse perdurata a lungo, e casomai imperversasse un temporale
con insistenti mancanze di energia elettrica, la situazione diventava ingestibile. Anche qualora i dispositivi acustici fossero stati
esterni, non sarebbero stati in grado di attirare l’attenzione di chi
si ritrovasse distante e impegnato in altri lavori. I Conduttori del
reparto Nitrazioni svolgevano già un’infinità di mansioni, perciò
non avrebbero udito nulla. Dopo le mie denunce del 2001, i dispositivi sonori furono spostati all’esterno dei locali in cui erano
installate le caldaie, ma la variazione sarebbe stata utile soltanto
a chi lavorava nelle vicinanze. E poi, sempre a seguito delle mie
denunce, molti altri dispositivi subiranno cambiamenti che, a distanza di tempo, non sarebbero più stati riscontrabili.
Fin dall’inizio era chiaro che il turno scoperto, da me denunciato, constava nel preludio annunciante che il Faraone volesse
appioppare ai Conduttori del reparto Nitrazioni, l’intera conduzione del Generatore di Vapore Mingazzini. Nondimeno perché,
in precedenza, egli aveva già eseguito un tentativo di cui provocai il fallimento, e i Conduttori di caldaie si ritrovarono con una
nuova e pericolosa mansione d’adempiere al reparto Nitrazioni.
L’ho accennata agl’inizi usando l’acronimo «I.C.A.N.», consistente nella gestione di un impianto che trattava acidi.
Nel mese successivo, il Faraone inizia a giocare a carte scoperte perché la mia lettera di reclamo inviata all’autorità, lo mette alle strette. Delega allora nuovamente i responsabili di reparto
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affinché ottengano le firme dei Conduttori di caldaie del rep. Nitrazioni. Dunque, si ripresentava la stessa situazione che avevo
già sperimentato in passato rischiando il licenziamento.
Ovviamente, non firmai l’ennesima comunicazione di precetto e rafforzai la mia renitenza informando le autorità esterne con
una nuova relazione in cui il 5 aprile del 2000 scrivevo:
«Il Direttore e responsabile S.P.P. (Servizio di Prevenzione e
Protezione), mediante delega, ha oltretutto appena “richiesto” ai
Conduttori dei Generatori di Vapore appartenenti al reparto Nitrazioni, di controllare la caldaia del rep. 142.».
«Siccome la richiesta, con obbligo di firma, non è soddisfacibile a causa di molti aspetti pratici e legislativi, io e i miei colleghi rimaniamo ad attendere un vostro editto-autorizzazione per
svolgere altresì questa mansione.».
«Chiaramente, qualora dovessero esser causati danni a persone e/o cose mentre i Conduttori fossero impegnati ad adempiere
mansioni lontano dal reparto 142, voi assumereste la responsabilità di ciò che accadrebbe.». «Casomai il Generatore di Vapore Rhoss non fosse in funzione, oppure versasse in un qualsiasi
stato d’inutilizzabilità, sarà comunque necessaria la vostra autorizzazione per poterci occupare altresì di quello del rep. 142.».
«Restiamo nell’attesa di una vostra autorizzazione timbrata e
firmata da un vostro dirigente-responsabile.».
L’autorizzazione che richiedevo si era, invece, trasformata in
un aut aut dove, evidentemente, la matassa da sbrogliare era stata consegnata, per l’ennesima volta, nelle mani della Piramide e,
quindi, in quelle dei suoi presunti dirigenti.
Il 10 aprile 2000 il Beduino, o responsabile D.M., consegna
ai Conduttori una nota di reparto per mezzo della quale, con alcuni accorgimenti effettuati solo sulla carta, la conduzione della
caldaia del reparto 142 diviene possibile.
Quello che il Beduino D.M. aveva scritto, anziché essere una
spiegazione esaustiva su come si potessero risolvere i problemi,
era piuttosto una formula magica delle «Mille e una notte», che
avrebbe spalancato le porte a un incompetente quadro.
Alle parole originali che il Beduino scrisse, l’anno dopo e, in
pratica, quando spedirò una copia alla Magistratura, aggiungerò:
«In questa informazione di precetto si costata l’incapacità in
materia e l’incompetenza di chi si permette di impartire ordini
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dove non ha titolo.». «Inoltre, si evidenziano ignoranze volontarie atte a rendere eseguibile quanto messo per iscritto. Il quale,
invece, contrasta e diverge dalla realtà.».
Il 10 aprile 2000, il Beduino D.M. dev’esser anche stato contagiato dal Faraone D.Z., affetto dalla «sindrome di Bugs Bunny», perché emette una seconda lesta e nervosa comunicazione.
Durante un’ispezione nel locale 117, compiuta dalle autorità
esterne, una valvola – meccanismo che: se aperto permette il
passaggio di un liquido all’interno di un tubo, ma chiuso blocca
lo scorrimento del liquido stesso – era stata trovata aperta.
Per ovviare all’accaduto, egli si servì di un escamotage cartaceo, un ripiego, per simulare una svista, un errore o, specificando meglio, una disattenzione. L’intento era di non lasciar trasparire che, piuttosto, la valvola era aperta perché durante la notte,
quando i polli dormivano, le acque reflue trattate andavano a inquinare la falda acquifera per ordine del Faraone.
Il trattamento chimico aziendale delle acque reflue consisteva
nella semplice 3neutralizzazione, dopodiché gli smaltitori esterni
si occupavano di bonificarle tramite lavorazioni più specifiche,
che servivano per ottenerne una «purificazione». Acqua che era
caricata sugli autotreni e trasportata negli smaltitori esterni, in
quantità assai inferiore di quella realmente prodotta. Ogni carico
spedito esternamente aveva un costo, e più «acqua» fosse finita
nel sottosuolo, maggiore sarebbe stato il risparmio con un ottimo gettito per l’azienda e le tasche dei dirigenti.
Protestavo spesso per ottenere l’aumento dei tir che venivano
a caricare le acque reflue, malgrado l’incarico avesse significato
un maggior lavoro poiché il compito del caricamento era stato
affidato ai Conduttori di caldaie. Ma era ben poco, rispetto alla
salvaguardia dell’ambiente in cui vive la popolazione, e il menefreghismo dei dirigenti non mi piaceva affatto.
Costoro curavano gli interessi di una florida azienda che non
doveva trarre utili attraverso il risparmio di migliaia d’euro. Ot3
La neutralizzazione è un procedimento chimico che serve per ottenere il passaggio di una sostanza da un ph acido, o basico, a un ph neutro come, ad esempio, lo
è l’acqua. Quando la sostanza è acida, la si neutralizza con una basica, e, viceversa,
qualora la sostanza da rendere neutra sia in origine basica, si utilizza un prodotto acido. Un’operazione di questo genere dev’esser compiuta da chi ha esperienza in materia: utilizzando le sostanze idonee, in un ambiente apposito. Non sono esperimenti da
eseguire in casa, poiché l’uso di una sostanza errata può causare incidenti.
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tenuto da milioni di litri d’acqua reflua annua che, anziché esser
trasportata e trattata all’esterno dell’azienda, finiva scaricata nel
sottosuolo.
Quello che avveniva in questo locale si reiterava al rep. 142,
dove i reflui che finivano nel canale Ledra non erano gli stessi,
ma trattandosi pur sempre di sostanze chimiche, forse erano più
contaminanti. Le quantità inquinanti sversate erano sensibilmente inferiori e possedevano una cadenza di smaltimento non programmabile, poiché dipendeva dai cicli produttivi.
Si tenga, inoltre, in considerazione che, per quantomeno una
ventina d’anni, le acque reflue di un prodotto il quale fu classificato come sospetto carcinogeno solamente dal 1992, continuarono a essere smaltite in uno dei pozzi a fondo perso situati nei
reparti o all’esterno di questi ultimi.
Negli anni successivi, riguardo alla sostanza in questione, si
raggiunse la certezza che non fosse più soltanto sospetta carcinogena. Ma prima d’esserlo per certa, il più «anziano» lavoratore del reparto che la produceva lasciò la pensione allo Stato. Nel
1995, all’età di soli cinquantatré anni, O.C. fu stroncato da un
cancro arrivato allo stadio terminale ed evoluto in modo rapido.
Talmente fulmineo che, noi colleghi, quasi non ci accorgemmo
della sua scomparsa fino al poco distante giorno dell’esequie. Il
suo fu un esempio di morte precoce avvenuta quando il lavoratore era ancora attivo, ma altri casi di cancro interesseranno lavoratori che potranno godersi la pensione per un breve periodo.
Se questi altri lavoratori avessero potuto andare in pensione soltanto al raggiungimento dell’età pensionabile attualmente prevista, anche loro avrebbero lasciato la pensione allo Stato.
Procedendo con l’argomento inquinamento, devo evidenziare
che se per qualche ragione naturale come, ad esempio, un lungo
periodo siccitoso, la falda acquifera avesse subito un abbassamento, l’acqua reflua scaricata nel sottosuolo avrebbe provocato
un concentramento di quella sottostante, rendendola molto pericolosa. Perciò le sostanze tossiche scaricate nel sottosuolo erano
diluite con l’acqua industriale o con quella proveniente dai pozzi autorizzati, i quali pompavano l’acqua aspirata a monte della
falda inquinata e che noi bevevamo a garganella o a giumella.
La diluizione con l’aggiunta di acqua nelle sostanze tossiconocive era insufficiente a evitare che eventuali animaletti come,
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per esempio, le rane, i rospi o i ratti, in qualche ora si ritrovassero galleggianti nelle vasche, stecchiti a pancia all’aria.
Non ci si meravigli troppo per quanto letto finora, perché la
prassi stabilisce che talune aziende chimiche e siderurgiche siano costruite nei pressi dei corsi d’acqua oppure vicino al mare,
in particolare sulle lagune dove sverseranno i loro reflui. I corsi
d’acqua, le falde acquifere, i mari e la stessa aria sono inquinati
da certe aziende che, potendo disporre di campionamenti saltuari effettuati dalle varie autorità, hanno a disposizione molte tecniche per eludere i controlli.
E, infine, accadrà come nella laguna veneto-friulana dove la
pesca dei mitili sarà bandita quantomeno per un decennio, e la
stessa forma d’inquinamento avverrà nel golfo di Taranto, mettendo altrettanto a rischio la pesca di cozze e vongole. Al Petrolchimico di Mestre, alla Caffaro di Torviscosa in Friuli e nel
noto stabilimento siderurgico Ilva del golfo di Taranto, l’invalso
malcostume di scaricare le sostanze tossiche nel mare era il medesimo. Non trattasi certamente di casi sporadici che hanno riguardato soltanto il coinvolgimento di due-tre colossi industriali. In tutti i casi elencati, l’avvelenamento delle acque marine risulterà provocato da metalli pesanti, più sostanze tossiche scaricate dalle aziende chimiche e siderurgiche. Tuttavia, questi sono
solo due-tre banali esempi, perché le contaminazioni dell’acqua
e dell’aria che respiriamo possiedono casi molto più frequenti e
poco conosciuti a livello nazionale.
Per esempio, nel golfo di Trieste è presente uno stabilimento
siderurgico che, già da parecchi anni, era sott’osservazione per i
continui sforamenti dei livelli di contaminazione dell’aria. Stava
compromettendo l’ambiente circostante rendendo l’aria mefitica
e metteva in pericolo la vita delle persone residenti entro un certo perimetro, quindi nel 2014 sarà messo in cantiere un progetto
di bonifica e riqualificazione dell’area.
Lentamente stanno emergendo tutti i casi d’inquinamento che
vanno a interessare tante regioni d’Italia, e si scoprono realtà locali che, essendo state trascurate, hanno comportato e continuano a causare decessi di persone che risiedono nelle vicinanze di:
stabilimenti, centrali elettriche, stazioni radio, termodistruttori,
eccetera. Benzene ed altri derivati dagl’idrocarburi, cromo esavalente, furani, diossine, asbesto, metalli pesanti, elettrosmog,
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ecc., sono considerati tra i principali responsabili di gravi olocausti e malattie che colpiscono la popolazione. Quando, però, a
essere in gioco sono i posti di lavoro, le autorità e i politici sono
costretti a chiudere gli occhi.
Inoltre, quando si verifica un caso d’inquinamento del mare,
provate voi a chiedere a chi vive di sola pesca, se il pescato è
buono! Vi risponderebbe certamente che non lo è mai stato così
tanto, e si tratterebbe dello stesso modo con cui la F.D.A. (Food
& Drug Administration) dichiarò innocue le polveri ingenerate
dall’abbattimento delle torri gemelle di New York, assicurando
che l’aria fosse salubre. Qualche anno dopo, i malati di: cancro,
leucemie e linfomi erano individuati, in particolar modo, tra gli
appartenenti alle Forze dell’Ordine, alla Protezione Civile ed ai
Vigili del Fuoco.
Oh, che sbadato! Questo ente mondiale che ha ingannato gli
Americani è il medesimo che stabilisce se i prodotti farmaceutici della Piramide siano in regola, perché l’azienda li esporta oltreoceano e ugualmente si comportano altre società italiane.
Alla Piramide di Mereto, i monitoraggi continui – ad esempio
riferendomi all’analisi dell’aria – non esistevano. Potendo divenire a conoscenza del giorno in cui sarebbero stati i controlli, in
azienda c’era chi si premuniva di convogliare in altre zone i vapori inquinanti, attraverso l’utilizzo di serrande e aspiratori dei
quali gli Ispettori sembravano ignorarne l’esistenza. Forse, però,
costoro non ignoravano l’esistenza ma lasciavano che le infrazioni fossero commesse, perché questo è il modo d’operare delle autorità italiane. In pratica, finché nulla di grave accade si lascia correre fingendo di non capire che l’azienda inquina. Si lascia correre fingendo di non essere consci che un’azienda lavora
in mancanza di sicurezza, perché nel momento in cui il controllo
è eseguito, tutto risulta regolare. Poi, però, non appena l’autorità
avrà varcato il cancello per uscire dall’azienda, quest’ultima ritornerà ad essere a rischio.
In caso di problemi esiste, inoltre, sempre la possibilità di ricorrere alla corruzione di qualcuno in grado di alterare i reali riscontri delle analisi effettuate. Chissà quante sono le perizie incaricate dai Tribunali e che finiscono col fornire una quantità di
dati manipolati! Quando emerge un’irregolarità, chissà in quanti
altri casi l’artificio ha permesso d’uscirne indenni!
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Molto probabilmente questi sono i motivi per cui in Italia tutto procede bene, finché nulla di grave accade. Incalcolabili sarebbero le conseguenze che scaturirebbero casomai qualcuno tra
gli Ispettori recantisi a eseguire i controlli, dimostrassero di possedere gli attributi.
Con il sistema corruttivo politico-aziendale con il quale molte ditte «lavorano» in Italia, un Ispettore severo si ritroverebbe a
dover passare alla fase due, ossia accettare la corruzione o doversi mettere contro i più alti in grado, che sono già consapevoli
del sistema.
Semmai alla Piramide si prospettasse il controllo da parte di
una commissione proveniente da Roma, l’azienda sarebbe avvisata molti mesi prima. Al sopraggiungere degl’Ispettori, si trasformerebbe in uno spettacolo di prestidigitazione.
Altre informazioni annunciate in precedenza, di basilare importanza e
che aiutino ad apprendere quest’argomento, diventano indispensabili
per proseguire la narrazione e per determinare la pericolosità di una
caldaia a vapore. I Generatori di Vapore sono come le caldaie per il riscaldamento a uso abitativo, ossia la loro tipologia può variare. La loro classificazione è stabilita principalmente in base: alla pressione interna di lavoro raggiungibile, al tipo di combustibile che bruciano, alla
quantità d’acqua contenibile, al modo con il quale quest’ultima è indotta a circolare internamente e alla loro conformazione interna. Senza entrare troppo nei particolari che rendano difficoltoso comprendere
certe peculiarità, s’intende, anzitutto, esplicare la differenza che esiste
tra una caldaia per uso abitativo e una per un utilizzo industriale, che
esige una persona patentata per poterla azionare e governare. La classica caldaia di casa, oppure quella condominiale, è un dispositivo che
producendo acqua calda non rappresenta un serio pericolo, eccetto che
la produzione del Monossido di Carbonio o l’eventuale scoppio, siano
ingenerati da problemi di combustione o fughe di gas. Quando si nomina, invece, il termine «Generatore di Vapore», volgarmente definito
«caldaia», ci si riferisce a un dispositivo che non produce acqua calda
ma vapore a una prestabilita pressione. Siccome in un recipiente aperto l’acqua bolle a 100 gradi centigradi alla pressione atmosferica, aumentando quest’ultima salirà anche la temperatura a cui bolle l’acqua.
Alla pressione di un’atmosfera, o un bar, l’acqua bolle a una temperatura di 120 gradi centigradi, ma quando la pressione interna della caldaia salirà fino a cinque bar, l’acqua bollirà a circa 160 gradi. Inoltre,
un chilogrammo d’acqua alla pressione atmosferica riempie il volume
di un litro, e seppure potrebbe sembrare strano o inottenibile, un chi-
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logrammo di vapore – sempre a 100 gradi e alla stessa pressione – occupa un volume di ben 1725 litri. Questo per puntualizzare che, se una
caldaia dovesse esplodere decomprimendo la pressione da cinque bar
a quella atmosferica, il potere deflagrante sprigionato dipenderebbe, a
questo punto, dalla quantità d’acqua contenuta allo stato di vapore. Il
vapore contenuto in una caldaia della capienza di circa cinquemila litri
d’acqua, nell’istante in cui questa esplodesse, provocherebbe un istantaneo ed enorme volume di gas, come se fosse scoppiata una bomba.
Tutto questo perché il vapore si ritroverebbe ad aver immediatamente
bisogno di 5000 × 1725 = 8.625.000 litri di spazio, e dove dati tecnici,
teorici, descrivono caldaie che, una volta esplose, sarebbero in grado
di raggiungere un’altitudine di due chilometri e mezzo. Trattasi di dati
teorici che, oltretutto, tengono in considerazione il peso della caldaia e
la forza di gravità terrestre, ma che rendono l’idea della potenza sprigionata da una caldaia che esplode. Tuttavia, la gravità degl’incidenti
che riguardano le caldaie si discosta poco dai calcoli teorici poiché, di
solito, un’esplosione non le scaraventa verso l’alto. Le induce a viaggiare radendo il suolo per molte centinaia di metri, distruggendo tutto
ciò che s’interpone sul loro percorso. Questo, però, non avviene sempre perché dipende dal modello di caldaia. Il bruciatore, avente forma
e dimensioni di un cannone, quando subisce il rinculo è scaraventato
nella direzione opposta e con la stessa potenza. Il numero di maggiori
incidenti con scoppi accade alle caldaie dotate di medie e basse potenzialità, perché le ditte trascurano il pericolo impegnando i Conduttori
in altri lavori. In sostanza sono quelle caldaie che si possono condurre
con i patentini che vanno dal quarto al secondo grado, perché il primo
è il più alto ottenibile e abilita alla conduzione di caldaie mastodontiche. L’acqua che è utilizzata per la produzione di vapore deve, inoltre,
essere sottoposta ad accurati trattamenti di addolcimento o di demineralizzazione e necessita dell’aggiunta di additivi antincrostanti. Il tutto
per eliminare quei sali che, una volta disciolti, andrebbero a incrostare
la caldaia corrodendo il materiale del quale è composta, e con conseguenti rischi di squarci ed esplosioni. Esplosioni che diverrebbero ancor più insidiose casomai la caldaia fosse alimentata da un gas, oppure
qualora quest’ultimo, esplodendo, riuscisse a danneggiarla in modo irreparabile. Un tragico incidente da ricordare accadde in un paese della
provincia di Bergamo, dove il Conduttore Rosario Spampinato trovò
la morte. Il grave fatto accaduto interessò una cartiera sita a Lallio, la
Ca-Ma, e la cui cittadinanza fu svegliata da un forte boato. Erano circa
le ore quattro di mattina del 25 novembre 2011 quando gli operai del
turno notturno credettero che fosse scoppiata una bomba. Dalle testimonianze raccolte dai reporter presenti sul luogo, apprendevamo che
l’onda d’urto scaturita, oltre ad aver danneggiato gli edifici circostanti, si era propagata per una ventina di chilometri.
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Capitolo Terzo
UN CONTINUO ABUSO DI POTERE
AZIENDALE
Nell’ufficio dell’assente Faraone
Il giorno 11 aprile 2000, avendo informato le autorità esterne,
lascio una nota scritta ai miei colleghi Conduttori invitandoli a
non eseguire gli ordini di chicchessia e precettanti mansioni che
riguardassero la caldaia del reparto 142. Era il comportamento
da mantenere fino a quando non fosse giunta in mano nostra una
risposta, possibilmente scritta, delle autorità esterne.
Avevo oramai da qualche tempo spedito, nella sede dello stabilimento, il fax per il Faraone e già scritto la nota dell’11 aprile
2000 nel quaderno delle consegne dei Conduttori. Improvvisamente però, pochi giorni dopo, verso la fine della settimana lavorativa sono convocato nell’ufficio del Faraone.
Mi trovavo in reparto quando sopraggiunse un capoturno, riferendomi: «Ti sostituisco io perché devi andare in direzione.».
«Per quale motivo?», gli chiesi.
«Non lo so», rispose il capoturno e poi continuò: «So soltanto
che ti devi recare in direzione. Ma dimmi, com’è la situazione
qui... c’è qualche lavoro particolare che stai eseguendo?».
«Sì, tieni controllato il livello del… che oramai è quasi colmo, al locale 117 sto…».
Infine, mi domandò: «E le caldaie funzionano bene?».
«Sì, nessun problema particolare», risposi mentre terminavo
d’elencare la situazione. Poi, tolsi la tuta da lavoro, mi diedi una
sciacquata, una sistemata ai capelli e uscii dal locale.
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Salito sulla bicicletta, percorsi quei settecento metri dividenti
il reparto dagli uffici della portineria, fino a quando arrivai nei
pressi di quest’ultima e notai che al posto dell’auto del Faraone,
c’era una grossa station-wagon della sede legale di Basiliano.
All’esterno non c’era anima viva e osservai che l’auto aziendale utilizzata dal Faraone proprio mancava, ma la porta esterna
che avrebbe consentito di accedere al suo ufficio senza passare
davanti agli altri, era stata lasciata un po’ aperta. Posteggio allora la bicicletta nei pressi dell’accesso laterale, ed entro nel corridoio che permette di accedere all’ufficio del Faraone. Anche la
porta dell’ufficio era ugualmente aperta, ma ad attendermi non
c’era il Faraone. Lo sostituiva uno scagnozzo aziendale operante
nella sede legale di Basiliano, che fu incaricato per «sondare il
terreno» e carpire maggiori informazioni possibili.
Egli, C.V., risiedeva nello stesso comune in cui, alle porte di
Udine, dimorava il Faraone ed era noto come una persona che,
per garantire gli interessi aziendali, avesse già ingannato parecchi: un ipocrita dal quale era meglio stare alla larga. Munito di
un adipe da scalda sedie, suggeva i liquidi dalle buste paghe e
frutto del sudore degli operai, favorendo se stesso dirigente e gli
altri altolocati aziendali.
Mi trovavo ormai a un passo dall’entrata dell’ufficio ed egli,
con un cenno della mano in segno di avanzamento, esortò: «Entri pure signor De Marco… sono C.V. dell’ufficio di Basiliano,
sono qui.. e vedo che ci sono alcune cose che non vanno bene.».
Rimanendo entrambi ancora in piedi, lo interruppi: «Io già la
conosco, non so se lei ricorda ma, tre anni fa, al pranzo aziendale di Santa Barbara abbiamo scambiato due parole...».
Col piglio di chi vuole dimostrare di aver una buona memoria, esclamò: «Ah! Sì, ora ricordo!», invece dissimulava per seguitare con un’espressione ruffianesca, aggiungendo «Ma cosa
mi combina signor De Marco! Cos’è questo fax che ha spedito e
cosa sono questi ordini che lei scrive sui registri di reparto!».
Arrivati a questo punto, lui si sedette e, non appena mi concesse di accomodarmi, gli spiegai che il fax inviato al Faraone
era motivato da documenti poco chiari. In mia presenza lesse i
punti che avevo scritto ma, poiché il Faraone era assente, lasciò
l’argomento in sospeso, pronunciando: «Guardi signor De Marco, chiarirà con il Faraone questo fax, ma io sarò costretto a tro41
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vare il sistema per lasciar credere di non esserne a conoscenza»,
dopodiché, astutamente, aggiunse «Ma lei ha un fax in casa, l’ha
spedito da casa sua?».
«No», risposi in maniera decisa. «L’ho inviato da un posto
pubblico a San Daniele del Friuli», aggiunsi troppo fiducioso.
«Ah! Lei non ha un suo fax personale!», esclamò lo scagnozzo fingendo d’esser sorpreso.
Purtroppo non mi ero ancora capacitato che questo mio sprizzo di spontaneità nel comunicargli la modalità di spedizione del
fax, avrebbe comportato conseguenze se in un giorno ben preciso non mi fosse capitato un grosso colpo di fortuna.
La conversazione nell’ufficio dell’assente Faraone prosegue.
Riferendosi a quegli scritti nel registro di reparto, C.V. sostiene
che ho impartito degli ordini, e allora asserisce: «Guardi che lei
è passibile di licenziamento, lei sobilla, lei fomenta, lei non può
dare ordini!».
Egli aveva con sé due libri e aveva preso in mano il Contratto
Collettivo Nazionale Lavorativo, dei chimici. Stava per aprirlo,
quando io sospesi l’azione dicendo: «Guardi che tra noi Conduttori è normale darci ordini gli uni gli altri, altrimenti non si potrebbero assicurare gli impegni lavorativi da svolgere», e infine
aggiunsi «Quello che ho scritto è un invito a mantenere una certa condotta, dopodiché ognuno è libero di fare come crede!».
A queste parole, egli rimase perplesso perché non si rendeva
conto di quello che comportava il lavoro a turno e di certi ordini
che diventavano obbligatori da impartire, o eseguire, per garantire un lavoro proficuo. Lui era un dipendente giornaliero. Sbaraccava la sera e rientrava l’indomani mattina, ma per certe mie
parole successive ebbe una reazione.
Aggiunsi allora queste parole: «E poi gli ordini impartiti dai
superiori sono illegali, sono nulli», integrandole con «Ed è per
questo che ho richiesto l’intervento dell’I.S.P.E.S.L.».
Con aria da super io e di chi rappresenta un’azienda che è in
grado di «comprare» tutto, egli rispose inizialmente con un tono
incerto. Infine, lui compitò queste parole: «Ehm! L’I.S.P.E.S.L.
ci ha informato... ma, sa com’è... noi per fortuna abbiamo ottimi
rapporti con le autorità e convincerle non ci costa tanto.».
Con codeste parole, lui voleva lasciar intendere che le autorità erano al loro servizio e che in azienda non avessero più potere
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di quadri e dirigenti. Poi, non appena aperse il contratto di lavoro, mi mostrò alcuni articoli. Uno di quelli contenuti riguardava
il licenziamento e non era stato scritto in egiziano demotico.
«Vede signor De Marco, questi articoli prevedono varie sanzioni da applicare per mancanze e recidive, e questo qui prevede
il licenziamento immediato per insubordinazione grave.».
«Appunto, nel caso d’insubordinazione grave, ma il contratto
non sta a sindacare la ragione per cui il lavoratore è tenuto a rifiutare l’ordine ed a non eseguirlo», risposi contestandogli le parole pronunciate.
«Ma cosa sta dicendo!», egli pronunciò alzando il tono della
voce. Infine usando un atteggiamento dittatoriale aggiunse: «Lei
deve sempre obbedire agli ordini dei suoi superiori… altrimenti
crea l’anarchia, e gli operai farebbero quello che vorrebbero.».
A quel punto, tentai di delucidarlo: «Guardi che lei confonde,
inoltre, il rifiuto dall’eseguire un ordine con l’invitare gli altri a
non eseguirlo!», integrando il discorso con «E poi, fino a quando le autorità non avranno espresso un loro parere, io posso invitare i miei colleghi a rifiutare gli ordini impartiti dall’azienda;
questa è una questione di sicurezza.».
Durante l’incontro, C.V. non riuscì nell’intento di lasciarmi
credere che fossi passibile di licenziamento, oltretutto dimostrai
di sapermi difendere, tuttavia riuscì a imbrogliarmi per ottenere
l’esatta posizione del luogo da cui avevo spedito il fax.
Le due frasi più compromettenti che lo scagnozzo pronunciò
durante l’incontro devo riscriverle, e la seconda merita di essere
commentata perché utilizzò le seguenti parole quando le autorità
esterne erano citate:
 «Sarò costretto a trovare il sistema per lasciar credere che
io – l’azienda – non sono a conoscenza di questo fax.».
 «Ma noi per fortuna abbiamo ottimi rapporti con le autorità esterne, e convincerle non ci costa tanto!».
Ricordo, per esempio, che, anni prima, quando l’autorità esterna unica
responsabile era l’A.N.C.C. (Associazione Nazionale Controllo Combustione), c’era un Ispettore che quando riscontrava qualcosa che non
fosse regolare, conosceva un modo per sistemare i conti con l’azienda.
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Da lì a poche ore, egli si sarebbe ritrovato insieme all’ex responsabile
della sicurezza aziendale, per consumare un lauto pranzo o una gustosa cena, ed era chiaro che potesse essere in tal modo. Al fotofinish, la
sua trippa avrebbe tagliato il traguardo un secondo prima, purché fosse in grado di correre. Ricordo che questo pingue Ispettore era, inoltre,
il docente che presiedeva alle lezioni per il conseguimento del Certificato all’Abilitazione della Conduzione dei Generatori di Vapore, o patentino. Mi aveva preso di mira poiché, io, giovane, alto, slanciato e
dal bell’aspetto, rappresentavo per lui un’utopia: un desiderio irrealizzabile. Senza trascurare che, prima d’iniziare a lavorare alla Piramide,
avevo un peso corporeo con dieci chilogrammi in più. Perdita che non
ho più recuperato nemmeno dopo esser uscito dall’azienda, perché ho
dovuto spesso «cibarmi» con pane e rabbia. Si comprendeva che quella palla di lardo celasse un senso di frustrazione e livore. Ossia che lui
covasse una condizione d’invidia tale che una sera mi domandò: «Ma
cosa vai a fare il Conduttore… lavorare in un’azienda chimica, fare le
notti... perché non presenti qualche richiesta come modello?». Anche
le altre persone presenti alla lezione rimasero basite, ed io non risposi.
Purtroppo mi aveva preso di mira, e probabilmente per costui ero come una bella donna che non possa essere altrettanto intelligente. Come conseguenza, i quesiti più complicati saranno spesso rivolti a me o
a chi stava seguendo il corso per conseguire il grado più alto raggiungibile, il primo. Grado più alto ottenibile soltanto per due ragioni: essere laureati oppure aver in precedenza condotto Generatori di Vapore
conducibili con la patente di un grado inferiore a quello che si volesse
conseguire con un nuovo corso. Era sua la decisione finale per stabilire quale sarebbe stato il grado da richiedere all’esame di Stato, e contuttoché avessi accumulato un bastevole numero d’ore di tirocinio, mi
mandò all’esame per conseguire un grado inferiore. All’esame statale
mi presentai per acquisire il secondo grado ma incominciarono a creare problemi, e nonostante avessi prestato sempre il tirocinio insieme ai
miei colleghi, sul libretto era stato dichiarato un numero d’ore insufficiente per conseguirlo, utilizzando il pretesto che nel mio caso ne servissero di più. Quindi, il grado che ottenni fu soltanto il terzo mentre i
miei colleghi raggiunsero il secondo e, se fossero usciti dall’azienda o
quest’ultima avesse installato una Caldaia più potente, non avrebbero
subito svantaggi. Io, invece, sarei stato penalizzato perché avrei dovuto ripetere il corso per conseguire un patentino di grado superiore.
Il 18 aprile 2000, in altre parole dopo il colloquio con lo scagnozzo dell’ufficio di Basiliano, l’azienda emette quella che può
essere considerata l’iniziale contestazione emessa ai miei danni,
perché la prima, già narrata, non riguardava il medesimo argomento.
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Queste le prime parole di un malcostume che stava nascendo:
«Che Lei, il giorno 11/04/2000 ha invitato i colleghi a non eseguire gli ordini di lavoro loro impartiti dai diretti superiori, scrivendo e firmando in calce a una nota interna di reparto…».
Non avendo commesso proprio alcunché per dovermi giustificare, non comunicai nessuna risposta e, il 9 maggio 2000, fui
sanzionato con un’ammonizione scritta.
La disputa non sarebbe certamente finita lì, perché i presunti
dirigenti dovevano smetterla d’insistere nell’emettere ordini che
continuassero a mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità
dei Conduttori di caldaie a vapore. Allora, un paio di giorni dopo, eseguo altre due note scritte per dimostrare ai dirigenti che
loro hanno il potere ed io qualcos’altro. Queste furono le parole:
 «Il sig. D.M. e i subalterni di 1M.D.C. sono pregati di non
continuare nel futile spreco di materiale cartaceo aziendale, mediante ordini di lavoro concernenti la caldaia del reparto 142.».
«Con la presente voglio intendere che gli ordini sono nulli e saranno cestinati automaticamente.».
 «Signori Conduttori, vi invito a richiedere l’annullamento
del documento che avete firmato in precedenza e di cui ho fornito una comunicazione alle autorità esterne.». «Esigete una copia
annullata e consiglio a D.M. d’ottemperare la richiesta.».
«P.S.: D.M. è pregato di firmare per presa lettura delle due note.».
Con quest’ultimo post scriptum era nelle mie intenzioni rendere la pariglia al responsabile di reparto, riguardo a quella famosa disposizione che nel 1999 mi mise a rischio di licenziamento. Era evidente che il Beduino D.M. non avrebbe firmato.
Quando un superiore valuta di esserlo perché un’azienda glielo
concede mediante un inquadramento aziendale che proviene più
dagli uffici Comunali che dall’organico di uno stabilimento, costui dispone di poteri che sovrastano quelli delle autorità esterne. Questo ugualmente avviene quando la materia non è di sua
1
Era il responsabile del reparto 142, e dopo il 2005 diventò Direttore dello stabilimento. Negli anni novanta, egli, dopo esser uscito dal laboratorio aziendale, cominciò a dirigere, uno dopo l’altro, tutti i reparti.
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competenza, perché queste categorie di lavoratori sono assai più
protette a livello aziendale e sindacale, permettendo loro di delinquere.
Fuga dall’«Egitto»
Il giorno seguente era il 12 maggio, sempre dell’anno 2000.
Di conseguenza, immediatamente o di seguito, l’azienda emetteva un’altra contestazione ai miei danni. L’argomento riguardava sempre la materia inerente ai Generatori di Vapore, in particolare quello del reparto 142. Nella contestazione, la Piramide
utilizzava le seguenti parole:
«Che Lei, nel giorno 11/05/2000 ha invitato i colleghi a non
eseguire gli ordini di lavoro loro impartiti dai diretti superiori e
riguardanti la caldaia del rep. 142, scrivendo di proprio pugno e
firmando, in calce, due note dove lei, arbitrariamente, stabilisce
che gli ordini sono nulli e saranno cestinati automaticamente.».
«La direzione ha costatato, a questo riguardo, che a tali parole sono seguiti i fatti.».
La contestazione era stata scritta in maniera subdola per renderla oltremodo similare alla precedente e omettendo che i miei
colleghi fossero stati circuiti. Una contestazione di questo grado
costituiva recidiva e il pretesto per procedere al mio immediato
licenziamento.
La contestazione, però, fu spedita quattro giorni dopo – il lettore memorizzi quanto scritto, per metterlo in correlazione con
il diverso modo di agire futuro – ossia il 16 maggio, pervenendo
a casa mia il giorno seguente.
Non potevo più subire una simile situazione. Dovevo reagire
subito per evitare che l’azienda avesse la meglio, cosicché il 18
maggio scrissi, e spedii, rapidamente le seguenti comunicazioni,
in un unico foglio, annunciando la mia assenza dal lavoro.
La prima comunicazione, scritta sul medesimo foglio, era diretta all’Amministratore Delegato, ovvero Sua Maestà Principe
«d’Egitto» P.O., e la seconda: alla scrivente, al Faraone D.Z. e
al Beduino D.M.
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Comunicazione n. 1:
«In data 22 aprile 2000 mi è pervenuta una sua contestazione,
firmata da lei, dov’ero accusato di non so cosa giacché ho solamente bloccato gli ordini, illeciti, dei superiori.». «Da un po’ di
tempo a questa parte, per impartire degli ordini, illeciti, si utilizzano sistemi perseguibili penalmente, e perciò i suoi colleghi dirigenti è meglio che prestino molta attenzione a quello che ordinano.».
«In data 12 maggio 2000 mi è pervenuta una comminazione
del Faraone. Il quale, come di consueto, per sfuggire alle proprie
responsabilità ha incaricato altri di firmare.».
«Non accetto la comminazione e, qualora lei non fosse disposto ad annullarla, sarò costretto a dimostrare le mie ragioni.».
Comunicazione n. 2:
«La vostra contestazione in merito all’11 maggio 2000 è oltremodo mendace ed a quelle provocazioni non rispondo.».
«Mi state perseguitando perché mi sono rivolto alle autorità
esterne.».
«Costatando il vostro comportamento sleale e disonesto, con
decorrenza 22 maggio inizio un periodo di ferie per restare lontano dalle vostre rappresaglie.». «Se non sarete disposti ad ammettere i vostri errori e poiché ho sessanta-settanta giorni di ferie accumulati per assiduità e costanza nel lavoro, queste ultime
continueranno fino a esaurimento.».
Il 24 maggio 2000 a casa mia pervengono, all’unisono e nello
stesso istante, tre raccomandate da parte della Piramide.
Avvertivo che qualcosa di strano stesse accadendo e, vista la
brutta fama aziendale spacciata per capacità burocratica, preferii
non fidarmi ad aprirle. Le misi in quarantena nel seguente modo. Presi le tre raccomandate e le avvolsi con un foglio di carta
sezionato in modo d’ottenerne una misura in lunghezza di circa
venti centimetri, per diciassette di larghezza. Al foglio che avvolgeva le buste delle raccomandate, applicai quindici punti di
cucitrice – disposti a ferro di cavallo – ponendo attenzione a non
rovinare timbri o bolli e poi scrissi con la penna:
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Sul lato A ● «Nella prossima busta paga mi restituirete £ 54
mila che mi avete trattenuto anziché indennizzato.». «Costituisce l’indennità per due sabati lavorati.». «Com’era stato preventivato dall’accordo sindacale del 18 gennaio 2000.». «Contiene
tre raccomandate non aperte.». Aggiunsi la data e la firma.
Sul lato B ● Apposi solo un’estesa firma che coprisse buona
parte del foglio avvolgente.
Fotocopiai, fronte e retro, il documento nato creando il foglio
per una raccomandata da inoltrare alla Piramide, dopodiché aggiunsi nello spazio rimasto sul lato A:
«Ho messo in quarantena le vostre ultime due raccomandate,
e nell’attesa di un intervento delle autorità di Udine che ho informato in merito al vostro comportamento, per la mia sicurezza
continuo a usufruire, lo stesso, delle mie ferie.». Aggiunsi la data e la firma, come in precedenza.
L’indomani, 25 maggio 2000, completai una comunicazione
che avevo già iniziato per, infine, spedirla alle autorità esterne.
La inviai all’I.S.P.E.S.L. congiuntamente a quella in precedenza
descritta, ossia inoltrandola insieme a quella ottenuta da un foglio riguardante la fotocopia di tre raccomandate messe in quarantena: per un totale di due raccomandate. Alle autorità esterne
responsabili dei Generatori di Vapore, scrivevo il seguente:
«Con la presente allego parecchio materiale per completare le
vostre analisi e valutazioni.». «Mi sono ritrovato costretto a utilizzare le ferie all’improvviso e, oltretutto, mediante un preavviso di quattro-cinque giorni. Rispettando, lo stesso, quello aziendale fissato in due giorni.».
«Non è pervenuta nessuna vostra autorizzazione, perciò io e i
miei colleghi non abbiamo eseguito gli ordini.».
«Vi aggiungo, inoltre, che la vostra autorizzazione ci obbligherebbe a compiere sacrifici e a sopportare seccature più fastidi, prendendo in considerazione tutto quello che potrebbe capitare.».
«Ora, io arriverei al punto di sostenere che, dato l’argomento,
l’azienda non potesse prendere provvedimenti nei miei confronti, giacché era ben informata.». «Trattasi certamente di vendetta
e non soltanto a causa dei Generatori di Vapore ma, in aggiunta,
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perché si sono messi contro un operaio/Conduttore del loro valore.».
«In attesa di un vostro intervento declaratorio, continuo a rimanere a casa dal lavoro e, in ogni caso, vi autorizzo a spedirmi
tutte le comunicazioni che volete.».
In data 06 giugno 2000 arriva a casa mia un’altra raccomandata, è datata 02 giugno e dove, una volta aperta, si legge:
«In relazione ai fatti contestati con la ns. del 22 maggio 2000
e alla totale assenza di giustificazioni, le comunichiamo che la
direzione ha deciso di sanzionare la sua condotta con una multa…».
Nel tardo pomeriggio del giorno 8 giugno 2000 arriva una telefonata.
Trattasi di A.S., ovvero il rappresentante sindacale territoriale
– esterno – C.I.S.L., che ormai per me rappresentava una persona ripugnante, per tutte quelle schifezze a cui avevo assistito in
azienda. Non mi sto riferendo solamente al reparto che fu chiuso, ai licenziamenti, alla messa in mobilità, eccetera. In quanto
voglio includere i contratti di lavoro sempre più «inflazionati»,
le condizioni di miglior favore che per i lavoratori erano soltanto sulla carta, privilegi e super favoritismi per quadri e dirigenti,
e «questo qui»... veniva a raccontarcela.
«Fabrizio, c’è qualcuno che ti vuole al telefono», mi comunicò mia madre dopo aver risposto alla chiamata.
«E chi mi cerca, di chi si tratterebbe?», le domandai.
«Dice di essere uno della Piramide... e che vuole parlare con
te», rispose mia madre.
Smetto allora di guardare la televisione in cucina e mi avvio
verso la sala in cui è installato il telefono, rispondendo: «Pronto,
chi è?».
«Pronto, sono Augusto della C.I.S.L., Andrea mi ha informato che sei assente dal lavoro e ti chiamo per spiegarmi che cosa
sta succedendo», domandò il Sindacalista territoriale.
«Augusto, l’azienda si sta servendo di documenti illegali per
ottenere quello che vuole, e ritrovatomi ingiustamente contestato, sono dovuto fuggire», lo delucidai, e poi aggiunsi: «Quei documenti lì sono ingannevoli e mettono a repentaglio la mia sicurezza e quella delle caldaie!». Risposi in modo deciso per permettergli d’intendere quello che, probabilmente, già sapeva.
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Ad un certo punto, lui pronuncia: «Ma cosa vuoi! Quelle caldaie là sono piccole, quella che tu svolgi è soltanto una mansione in più… e non puoi intervenire sulle decisioni aziendali.».
Stava cercando di delegittimare quella che, invece, era una seconda professione svolta chissà da quante altre persone.
Allora, risposi alzando molto il tono della voce: «Non ti permettere di sminuire la gravità di quello che sta accadendo!», aggiungendo poi «E se tu avessi veramente conseguito il patentino, non ti esprimeresti in questo modo. Non ti permettere assolutamente…», controbattei. Poi, ormai completamente imbufalito dall’inequivocabile atteggiamento permissivista del Sindacalista, e senza lasciarlo pronunciare un solo vocabolo, misi subito
i cosiddetti «puntini sulle lettere i».
«Ci sono due contestazioni che l’azienda deve annullare, perché io di andare contro la sicurezza mia e dei miei colleghi, non
ci tengo», aggiungendo subito e in modo perentorio: «Non rientro a lavorare e, per difendermi da questi attacchi sleali, usufruisco delle ferie accumulate.».
Allora, lui ordina e asserisce: «Devi rientrare subito al lavoro
perché non posso tutelarti le ferie, poiché questo non è contemplato nel contratto di lavoro.».
«No, finché l’azienda non avrà annullato le contestazioni, resterò a casa perché sono un Conduttore di caldaie e certe prevaricazioni non posso accettarle», inizialmente ribattei, e poi conclusi la conversazione con: «E se tu non vuoi tutelarmi le ferie,
allora mi arrangio da solo», fu così che chiusi la telefonata sbattendo rabbiosamente la cornetta.
Il colloquio telefonico fu nientedimeno che un’occasione di
scontro perché, codesto imbecille, s’illudeva di manipolarmi girandomi e rigirandomi come fossi un dado truccato. Arrivando,
persino, al punto di dichiarare che avesse conseguito il Certificato per l’Abilitazione alla Conduzione dei Generatori di Vapore, o patentino. Mettendolo alla prova, anche se nella precedente
conversazione non è espresso in modo esauriente, s’intuiva benissimo che era poco versato in materia.
Egli, inoltre, era un farabutto imbonitore di destra e considerava la professione del Conduttore di caldaie a vapore, una mansione dell’operaio da inquadrare in un banale livello retributivo.
Quando, in aggiunta, appurai che lui non stava tutelando le ferie
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che dovevo usufruire a causa del comportamento aziendale, gli
chiusi il telefono in faccia.
A parte il colloquio telefonico e avendo messo in quarantena
tre raccomandate, non avevo la più pallida idea a quale motivo
fosse dovuta quest’ultima comminazione inflittami tramite una
multa, ma era evidente la presenza di una persecuzione cartacea.
In quel periodo, il termine «mobbing» era ancora fantascienza, e poiché da questo punto di vista non esisteva ancora la tutela del lavoratore, le aziende s’infischiavano dei metodi che usavano nei confronti dei dipendenti.
Cosicché decisi di cogliere al volo un’occasione, la quale mi
avrebbe garantito d’ottenere due benefici. Il primo era prioritario e consentiva d’impedire che l’azienda mi perseguitasse, e il
secondo beneficio, e motivo, facilitava il godimento delle ferie
nel vero senso delle parole.
Era arrivata la bella stagione e allora andai in vacanza al mare, isolandomi da tutto, anche se col pensiero fisso su come affrontare la questione. Iniziavo a rendermi conto di ritrovarmi nel
mezzo di una potente realtà corruttiva. L’azienda si stava comportando come peggio credeva, i Sindacalisti erano mere marionette nelle sue mani, e le autorità esterne, mi domandavo: «Dove sono? Ma esistono?».
Mi recai in vacanza sul litorale di Lignano Sabbiadoro, e dopo alcuni giorni scrissi una raccomandata all’azienda. Dalla località balneare la spedii un paio di giorni più tardi della sua stesura avvenuta su di un bloc-notes portatomi da casa.
Non essendo informato dove fosse situato l’ufficio postale, e,
peraltro, individuare un esercizio commerciale che in quegli anni eseguisse fotocopie, potrebbe sembrare strano ma non era di
facile reperibilità, questi contrattempi produssero la conseguenza di un ritardo nella spedizione. Inoltre, le condizioni meteorologico-climatiche volgevano al bello dopo due giorni di tempo
perturbato, perciò mi godevo la spiaggia approfittando del clima
ristabilito.
Tutte queste ragioni hanno comportato un ritardo di due giorni nell’invio della raccomandata. Come sarà possibile accertare
nel corso della lettura, se l’avessi spedita subito, forse la vicenda avrebbe preso un’altra direzione. Nella raccomandata spedita
il 15 giugno del 2000, scrivevo:
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«In applicazione parziale della Legge sulla privacy vieto tassativamente di mandare in casa mia altre comunicazioni fino a
mio nuovo ordine scritto.».
«Oltre ad avere torto, vi state garantendo “giustizia” da soli
dove non è vostro compito.».
«Rettifico che dovete restituirmi £ 108 mila e non £ 54 mila,
come avevo scritto in modo frettoloso.». «Se, in aggiunta, credeste di potermi infliggere una multa, sappiate che non potevate
trattenermi più di tre ore su base mensile, e con £ 54 mila avete
già superato la cifra massima.».
«Ci risentiremo verso la fine di agosto, salvo che dovesse esserci un intervento chiarificatore delle autorità di Udine che mi
scriveranno.».
«P.S. Ultima lettera ricevuta il 6 giugno 2000.».
Domenica 18 giugno 2000 rientrai provvisoriamente qualche
ora da Lignano e trovai in casa due raccomandate pervenute durante la mia assenza vacanziera. Missive delle quali mia madre
mi aveva comunicato notizia telefonica ma soltanto quando arrivò la seconda, perché fui io il primo a prendere contatto da Lignano.
Ritenetti che si trattasse dell’ennesimo atto burocratico e persecutorio, ma avendo informato la Piramide di essere in vacanza, essa sarebbe stata consapevole che durante la mia prolungata
assenza aveva emesso due comunicazioni nulle. Una consistente
nell’ennesima contestazione e l’altra era la comminazione.
Le raccomandate, inoltre, non sarebbero potute essere in numero maggiore perché, quando fui informato dell’arrivo di due
lettere, ordinai a mia madre di rifiutare tutto e in virtù della comunicazione che da Lignano avevo spedito all’azienda. Tuttavia
un particolare lo notai ed era una strana coincidenza. La raccomandata che spedii da Lignano era pervenuta all’azienda nello
stesso giorno in cui a casa mia era giunta la sua. In sostanza sarebbe risultato che fossero state inoltrate, entrambe, il giorno 15
giugno e recapitate, consegnate, ambedue il giorno dopo.
Nel mese di luglio mi assentai ancora da casa per altre brevi e
lunghe vacanze recandomi, oltretutto, lontano con la famiglia, e
ad ogni rientro non c’erano più lettere a me spedite, né avvisi di
giacenza inerenti a raccomandate che mi riguardassero. Quando
rincasai dall’ultima vacanza, l’unico avviso di giacenza presente
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era per mio padre. Lui, dal sessantacinquesimo anno di età aveva maturato il diritto a percepire una piccolissima pensione per
aver lavorato in uno Stato estero, grossomodo per due anni. Durante l’assenza era, pertanto, pervenuta un’assicurata che conteneva il piccolo assegno pensionistico proveniente dallo Stato in
cui aveva lavorato per un breve periodo.
Tutto rientrava nella normalità perché, tra l’altro, dall’ultima
vacanza rincasai verso la fine del mese di luglio oppure ai primi
giorni di agosto, e avendo tra le mani un prospetto cartaceo delle ferie aziendali programmate, sapevo che la Piramide era chiusa. Restavano a lavorare solo gli addetti alle manutenzioni, nonché un impiegato per svolgere altresì un servizio come custode
giornaliero della portineria. Sicuramente in questo caso due professioni erano svolte nel contempo, ma imparagonabili ai gravosi incarichi che i Conduttori di caldaie erano costretti ad adempiere, e non per due-tre settimane!
Rientro al lavoro...
Il 16 agosto del 2000 scrivevo una comunicazione che spedivo all’azienda tramite una raccomandata suppletiva di fax, dove
esponevo il seguente:
«Con la presente v’informo che sono rientrato dalle vacanze
quando lo stabilimento ormai era chiuso per ferie, perciò ritirerò
le quattro buste paghe arretrate – giugno, quattordicesima, luglio e agosto – quando rientrerò a lavorare.».
«Vorrei, pertanto, che al telefono mi fosse comunicato il turno di rientro del giorno 28 agosto.».
«L’ultima vostra lettera che ho aperto è datata esternamente
06 giugno 2000 e le ultime due sono rimaste integre poiché sono
considerabili irrite. Voi conoscete il motivo e, quindi, sapete che
non posso aprirle.».
«In passato, formulai ancora richieste di ferie che non furono
accolte». «Nel 1999, a causa delle dimissioni del conduttore I.Z.
e la sua momentanea sostituzione, quasi un anno, avvenuta con
l’ausilio del capoturno R.M., non avanzai grosse richieste di fe53
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rie. Dopo, rimasi ad attendere che V.T. acquisisse dimestichezza
col nuovo lavoro.». «Avrei atteso altro tempo perché lui ancora
compicciava, ma poiché mi avete procurato gravi motivi, ho deciso di godermi le ferie che osate pagare senza richiedere il consenso del lavoratore.».
«Mi auguro che, nel frattempo, vi siate fatti un esame di coscienza e abbiate ponderato il tutto insieme alle autorità esterne,
compresi i vostri sindacati.».
Prima del 2000, alcuni ex dipendenti che conoscevo bene li
avevo rivisti dopo la loro uscita di scena. Uno di essi aveva ricoperto per un po’ di tempo la carica dello scomodo Sindacalista. Conversando, uno per volta, con entrambi, attirarono la mia
attenzione. Rividi, per primo, un mio collega Conduttore di caldaie, e solo di quest’ultimo narrerò. Quando lavorava ancora alla Piramide, un aneddoto che esaltava la sua potenza muscolare
era spesso raccontato perché lui era un leone che non si lasciava
intimorire. Una testimonianza raccontava che Ivan, un metro e
novanta di altezza per centoventi chilogrammi di peso, il giorno
in cui un nomade lo aveva avvicinato per depredarlo, gli avesse
sferrato un montante che lo sollevò da terra. Il predone si sarebbe ritrovato seduto sul cofano della macchina, tutto intontito e
con gli occhi strabuzzanti a mo’ dei film di Bud Spencer.
«Ehilà Ivan! Come stai…? Tutto bene con il nuovo lavoro?»,
gli chiesi perché sapevo che lui, uscito dalla Piramide, era andato a lavorare come Casaro.
«Ehi, ciao! Sto bene e certamente meglio che alla Piramide,
dove non ricordo più quante volte avevo implorato per un aumento che…», mi rispose rinfacciando all’azienda un comportamento irriverente e tenuto nei confronti di un gran lavoratore
come lui. Poi discutemmo della buonuscita che aveva percepito,
e mi riferì che aveva preso una stangata, pronunciando: «Le ferie che mi sono state pagate hanno subito una trattenuta pazzesca, mi hanno fregato molti soldi che sono finiti in tasse.».
«Per il resto tutto bene? La moglie, la macchina…», gli domandai perché lui aveva un «biscione» nel cuore: rosso, quadrifoglio verde, con alettone! Insomma... era un appassionato!
«Certo che sì, adesso io lavoro insieme a mia moglie, prendo
il furgone per eseguire qualche consegna, godo di quell’aria che
in una prigione come quella non si potrebbe mai respirare...», ri54
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spose quasi per solleticare un po’ e convincermi a cambiar lavoro, ossia che non valesse la pena rimanere in quel serpaio.
Coloro che, come me, avevano accumulato molti giorni di ferie, quando ricevettero la busta paga finale avrebbero accertato
un’ingente perdita di denaro dovuta al pagamento di quelle residue. Ingente perdita che costoro attribuivano a una trattenuta fiscale. Se loro avessero goduto le ferie, la trattenuta non sarebbe
stata applicata. Di conseguenza, usufruire delle ferie – altresì dal
punto di vista economico – sarebbe stato più remunerativo. Da
tenere, inoltre, in considerazione che casomai un lavoratore fosse in ferie era come se stesse lavorando, perché al termine di un
mese di lavoro la busta paga rimaneva speculare sia che il lavoratore fosse in ferie, sia nel caso si trovasse al lavoro. Resta, infine, il vantaggio che quando il lavoratore è in ferie ne accumula
altre perché è come se si trovi al lavoro.
Ed ecco che gli ex dipendenti da me incontrati avevano subito un danno che, a prima vista, si poteva presumere esser soltanto fiscale. Come sarà accertabile proseguendo la lettura, non era
solamente per questa ragione.
Dopo la mia comunicazione del 16 agosto e non avendo ricevuto telefonate che mi ragguagliassero sul turno di rientro, stavo
andando verso l’azzeramento delle ferie. Con una raccomandata
scritta e spedita nello stesso giorno, in pratica il 31 agosto, annunciavo all’azienda che sarei rientrato a lavorare, perciò scrivevo:
«Siccome non avete preso contatto per il mio rientro dalle ferie previsto per lunedì 28 agosto, oggi 31 del mese ho usufruito
di tutte quelle accumulate e dei giorni maturati in questi ultimi
tre mesi, per un totale di settantatré giorni.». «Ora mi rimangono
all’incirca settanta ore di riduzione d’orario di lavoro – sempre
ferie lo stesso – e, pertanto, domani primo giorno di settembre
rientrerò a lavorare nel mio turno che, in maniera provvisoria, è
stato occupato da R.M.».
Verso la fine di maggio incontrai casualmente R.M. a una festa
di paese, in cui m’informò che mi stava sostituendo. Poi lo intravidi di nuovo a un’altra sagra, alla fine di agosto, ma non
riuscii a parlarci perché quando stavo per andare a salutarlo,
era già andato via.
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«Resto in attesa di ricevere le ultime quattro buste paghe con
le dovute maggiorazioni e, considerando che non percepisco più
denaro dal mese di maggio nonché lasciandovi gli interessi, mi
auguro che abbiate già iniziato a provvedere per la consegna dei
quattro cedolini.».
L’indomani, primo giorno di settembre, alle ore cinque e quarantacinque mi presentavo al lavoro e la guardia giurata non mi
lasciava entrare. Pochi istanti dopo sopraggiunse il mio capoturno A.B. lasciandomi comprendere che ero stato licenziato.
A questo punto era chiaro che una delle due lettere pervenute
in mia assenza conteneva il licenziamento, ma le lasciai sigillate
perché non potevo permettere che l’azienda la passasse liscia.
Giunto al termine di questa prima parte devo evidenziare che
il motivo iniziale e scatenante questa disputa riguarda la materia
«conduzione dei Generatori di Vapore». Ed è proprio per questa
ragione che, in futuro, l’azienda si inventerà ulteriori capi di accusa per potermi licenziare.
I Conduttori, però, per quel che riguarda l’argomento caldaie,
possono essere sanzionati soltanto dalle autorità, dove in merito
esistono prestabiliti articoli di Legge. Siccome, invece, regna un
malcostume, le autorità si «disinteressano» lasciando la responsabilità ai dirigenti delle aziende. Tra queste ultime e le autorità
statali s’instaura allora una pericolosa complicità. I dirigenti non
saranno denunciati dagl’Ispettori e perciò, come si potrà costatare proseguendo la lettura, dovrà occuparsene il Conduttore. Tutto questo accade perché le autorità sanno benissimo che, in caso
di noie, altrettanto ci andrebbero di mezzo loro. Salvo, in seguito, dover scomodare compiacenti Magistrati.
Un’altra informazione fertile investe il Sindacalista C.C. che
diede forfait. Lui non era solamente uno dei responsabili sindacali-aziendali della sicurezza, perché pochi anni prima che fossi
licenziato aveva assolto il compito di capoturno del reparto Nitrazioni. Quand’era un mio superiore, lui rientrava tra i Conduttori ausiliari giacché munito di patentino per la conduzione dei
Generatori di Vapore.
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PARTE SECONDA
LA LEGGE AL SEVIZIO
DEL CITTADINO
Coloro che ricoprendo certi ruoli, dovrebbero
esser d’esempio nel modo d’operare e di trattare le persone, si riveleranno bensì per quel
che sono, ignobili. In aggiunta emerge il tornaconto economico-aziendale che rese conveniente il mio licenziamento anzitempo. Oltretutto, questo è il periodo in cui accadono molti
fatti gravi.
Le ingiustizie più crudeli vi erano così
antiche d’aver acquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento… La vita
degli uomini, delle bestie e della terra
sembrava così racchiusa in un cerchio
immobile saldato… naturale, immutabile,
come in una specie di ergastolo.
Ignazio Silone, FONTAMARA
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Capitolo Primo
CONTATTI CON PERSONE
SBAGLIATE
Continui tentativi d’inganno
Tornai a casa e provai a riprendere il sonno per dormire ancora qualche ora. Dovetti rinunciare perché i pensieri mi assillavano incessantemente per individuare una soluzione su come procedere. Inoltre, cercavo di prevedere quale sarebbe stata la prossima mossa, per vincere, dell’azienda.
Erano circa le ore undici e il postino aveva ormai consegnato
la posta anche nella mia cassetta, ma a mezzogiorno egli suona
il campanello di casa mia. Deve consegnarmi una raccomandata, che ricevo vista la sgradevole notizia avuta di mattino, ma in
quell’istante ho un’illuminazione e gli chiedo a bruciapelo: «Ma
perché non hai consegnato prima la raccomandata?».
Nell’attimo in cui fissandolo negli occhi pongo la fastidiosa
domanda, lui sbianca in volto e, con la faccia imbambolata di un
pupazzo di neve che imita l’opera «L’urlo» di Edward Munch,
indugiante pronuncia cincischiando una breve frase sulla quale
chiunque avrebbe ripiegato per non lasciar trasparire che... Poi,
quand’ormai sarà andato via, ricorderò che aveva richiesto ben
tre firme per ricevere il plico. Io, che di raccomandate non ne ricevevo da molto tempo, ci presterò attenzione più tardi.
Per svariati motivi, le raccomandate spedite dall’azienda erano state ricevute sempre da mia madre e da mio padre, giacché
ho sempre vissuto nella casa abitata dai miei genitori. Oltretutto,
loro ricevettero quelle spedite mentre soggiornavo a Lignano.
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Procedetti con l’apertura della raccomandata accertando che
la comunicazione dell’azienda era datata 30 agosto 2000. Allora
c’era la possibilità che essa avesse indicato una data falsa, di un
giorno antecedente rispetto a quella che scrissi e recapitai il 31
agosto. In questo modo, l’azienda avrebbe potuto lasciar credere
di averla scritta un giorno prima di me e, pertanto, di non essere
ancora informata sul contenuto riguardante la mia lettera del 31
agosto. La raccomandata riporta le seguenti parole suddivise in
due punti:
1. «Che lei – non credo proprio – dopo aver ricevuto la lettera di licenziamento, il giorno 16 giugno, ha di seguito – ossia
immediatamente dopo – rifiutato di ricevere (elemento del tutto
ininfluente dal punto di vista legale) – tu che scrivi si capisce
che il punto di vista legale è quello che vuoi propinare agli altri
– la nostra raccomandata contenente: il cedolino paga del mese
di giugno del 2000, l’assegno e il libretto di lavoro.».
2. «Che, per sicurezza, onde evitare un ennesimo rifiuto, tale documentazione, assieme al secondo e ultimo cedolino emesso nel mese di luglio del 2000 e riportante la liquidazione del
trattamento di fine rapporto più il corrispondente assegno circolare… si trovano in giacenza presso la sede di Basiliano.».
Leggendo quello che succederà in seguito, si potrà nondimeno
comprendere che questo secondo punto nasconde un inganno e,
dove, già qui s’incomincia a percepire che le parole «di seguito», usate al punto uno, non possono essere veritiere. L’azienda,
inoltre, non «invia» direttamente il materiale perché deve fingere la mancata conoscenza del contenuto della mia lettera del 31
agosto, che ha già letto, e perciò della mia presenza. Senza dimenticare che non fornendomi ancora gli assegni, nei suoi affari finanziari continueranno a esserci milioni di lire in più.
Fu allora che la mia battaglia continuò a suon di lettere raccomandate A.R., e quella iniziale, del 3 settembre 2000, era indirizzata all’azienda. Questo scrivevo:
«Con la presente annullo la vostra lettera pervenutami il primo di settembre alle ore dodici.».
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«Non ho nessuna intenzione di riscrivervi quello che ho già
scritto nelle precedenti, e ora non riesco a capire perché il portalettere abbia richiesto ben tre firme per una raccomandata, chiarirò con lui il motivo.».
«Un particolare, però, ora lo conosco, perché venerdì primo
giorno di settembre, alle ore cinque e quarantacinque: mi sono
presentato al lavoro, la guardia giurata mi ha lasciato fuori e, di
seguito, A.B. mi ha permesso di conoscere che ero stato licenziato.».
«Il vostro licenziamento, tuttavia sia in buona o cattiva fede,
non ha come decorrenza il 15 giugno, bensì il 9 settembre oppure il primo giorno di quest’ultimo mese, perciò mi dovete…».
«Inoltre, nel cedolino paga di settembre, oltre alle ferie residue mi retribuirete i restanti dodicesimi della tredicesima e della
quattordicesima con le spettanti maggiorazioni, nonché otto dodicesimi del premio di partecipazione negoziato.». «A cui integrerete ottanta ore del premio presenza: già riproporzionato perché le ore eccedenti sarebbero state ottantaquattro (quarantasei
lavorative e trentotto contrattuali, già riproporzionate).».
«Nella busta paga di luglio inserirete il rimborso fiscale del
Modello 730.». «Non dimenticatevi gli aumenti contrattuali, e di
seguito ritirerò il T.F.R. (Trattamento di Fine Rapporto o liquidazione) aggiornato.».
«Appena avrete tutto pronto mi telefonerete e verrò a ritirare
il tutto.». «Da oggi non mi spedirete più niente perché persino in
materia di privacy continuate a fingerne l’incomprensione.».
Seguirono un notabene ed un post scriptum. Nel primo precisavo che il premio presenza lo avevo conteggiato tenendo come
riferimento la data di fine rapporto lavorativo. Il quale sostenevo corrispondere al giorno in cui ero venuto a conoscenza del licenziamento, ossia il primo giorno di settembre.
Nel post scriptum ribadivo che non essendoci argomenti per
un licenziamento, associavo quest’ultimo a invalide ragioni per
averlo subito e ostentandone la validità.
La lettera che inviai loro era suffragata dal motivo che un licenziamento comminato il primo giorno di settembre del 2000,
a ferie quasi esaurite, non mi avrebbe causato la perdita di cinque milioni di lire. Si trattava di un’appropriazione indebita che
sarà accertata in futuro.
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Richieste di aiuto nel nulla
Su di una comunicazione datata 13 settembre 2000 e indirizzata ai Carabinieri di Basiliano, mi rivolgevo con le seguenti parole:
«Egr. Maresciallo dei Carabinieri… siccome ho calcolato che
per una totale liquidazione mancassero all’incirca cinque milioni lordi, in data 04 settembre ho spedito una richiesta di risarcimento alla Piramide contestando quello che c’era scritto in una
raccomandata datata 30 agosto 2000 ed a me spedita.».
«L’azienda si deve mettere in contatto perché ho diritto a riavere subito i documenti di lavoro e, per il momento, quattro buste paghe arretrate.».
«Conto sulla sua collaborazione in virtù del nostro passato
incontro, motivato dall’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori che
l’azienda non interpretava bene o si rifiutava d’interpretare correttamente.». «Le posso riferire, inoltre, che ho esaminato tutti i
motivi giuridici possibili per il mio licenziamento e non individuo uno d’associare al mio caso.». «Può essere che quando aprirò le buste mi ritroverò qualcosa d’inventato.».
«Le metto, qui sotto, una fotocopia della busta del mio licenziamento che, da com’è impostata, potrebbe sembrare una lettera di assunzione.».
L’ipocrisia aziendale l’aveva condotta a usare l’abbreviativo
di un termine d’intestazione giammai usato prima: «pregiatissimo». Solamente quando avrò le buste paghe in mano, alla fine
dell’anno appurerò che i cinque milioni mancanti erano netti.
Rimasi a lungo nell’attesa che i Carabinieri prendessero contatto, ma tutto taceva e fui preso, oltretutto, da un certo sconforto sorto per una seconda ragione, ossia che non conoscessi ancora alcun Avvocato.
I Carabinieri continuarono a latitare, e quando mi rivolsi a un
Avvocato, lui mi considerava spacciato perché, essendo trascorsi più di sessanta giorni dal licenziamento, non riteneva più possibile l’impugnazione. Allora, sfiduciato, scrissi una raccomandata al Sindaco del mio comune usando le seguenti parole:
«Con la presente, le chiedo se può svolgermi una commissione.».
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«Alla Piramide sita in Mereto di Tomba ma nella sede legale
di Basiliano, sono conservati i documenti e i soldi che l’azienda
mi deve.». «Senza dimenticare il resto, ossia minimo cinque milioni di lire che sta tentando di sottrarmi e, molto probabilmente,
non vuole restituirmeli.».
«Non voglio assolutamente più rivedere i loro volti e non ho
nessuna intenzione di mettere una firma in più di quelle che ho
già apposto sui loro documenti truccati.». «Quindi, le chiedo se
può incaricare una persona per ritirare il tutto.».
«Le allego una lettera della Piramide, datata 30 agosto, e due
mie, spedite: la prima all’azienda stessa, riportante la data del
03 settembre, e la seconda al Maresciallo dei Carabinieri di Basiliano.». «Ora, però, è intervenuta una variazione, ossia che alla
presenza di un Legale ho aperto le buste del mio licenziamento,
contestazione e comminazione.».
«Il Legale, appena analizzato il tutto, mi ha riferito che il licenziamento non fosse più impugnabile.».
«P.S. Con le parole “ho aperto”, intendo affermare e precisare
che le buste sono state aperte dal Legale con il mio consenso.».
Allegai un foglio in più consistente in un mandato scritto per
ottenere la richiesta eseguita e rimasi nell’attesa. Ma nondimeno
in questo caso tutto era fermo e i giorni passavano inesorabili, in
particolar modo quelli che erano previsti dalla Legge fissante un
limite massimo di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento. Limite che avevo appreso solo tramite un volume che
posseggo in casa, ma che, fino ai primi giorni di settembre, non
credevo trattasse, oltretutto e genericamente, la materia «Diritto
del Lavoro» e l’inerente licenziamento. Libro che, quando conscio d’esser stato licenziato consultai, permise di rendermi conto
che avevo prestato troppo affidamento sul solo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro: il C.C.N.L. dei chimici.
Il Contratto si rinnovava ogni quattro anni ed era, in sostanza,
un libro normativo di circa trecento pagine che i Sindacalisti territoriali consegnavano agl’iscritti. Ebbene, inverosimilmente, il
contratto non riportava una legge racchiudente un termine di decadenza talmente cruciale.
Il licenziamento non sarei stato ugualmente nelle possibilità
d’impugnarlo perché ne ignoravo l’esistenza, ma per tutti gli altri lavoratori l’informazione legale poteva assumere utilità.
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Legali ma non del tutto...
Era ancora il mese di settembre del 2000 e, prima di mettermi
in contatto con l’avvocato I.M. a cui autorizzai l’apertura delle
buste del licenziamento, mi venne in mente che una mia cugina
si era laureata in giurisprudenza. Informandomi, seppi che stava
svolgendo il praticantato, e allora mi misi in contatto telefonico
con lei. Il numero di telefono mi fu comunicato da mia sorella e
la sera lo composi. Accertatomi che lo studio legale in cui lavorava si prestasse alla mia causa, le spiegai l’accaduto.
«Pronto Giuliana, sei tu?», dovetti chiederle perché era tanto
che non la vedevo e la sua voce al telefono non la riconoscevo.
«Sì, ciao Fabrizio, tua sorella mi ha spiegato un po’ la questione e che hai bisogno di un Avvocato. Allora dimmi... quando sei stato licenziato?», fu una delle prime domande rivoltemi
dopo aver parlottato un po’ con lei.
Le risposi: «In teoria il 15 giugno, ma quando avvenne ero in
vacanza a Lignano, perciò non ho potuto difendermi da…». «Io,
inoltre, non posso stare a spiegarti gli episodi scatenanti il licenziamento, ma adesso sono già trascorsi tre mesi e ne sono venuto a conoscenza soltanto il primo giorno di settembre.».
«Scusa Fabrizio, ma tu sai che c’è un termine entro il quale il
licenziamento va impugnato?», domandò mia cugina.
«Sì», le risposi perché mediante il volume che ho in casa, ne
ero venuto a conoscenza.
«Ma porca miseria! Fabrizio, ti rendi conto che sono già trascorsi quasi tre mesi, e l’impugnazione del licenziamento ha un
termine perentorio di sessanta giorni?», lei puntualizzò.
Allora le spiegai tutta la trafila che mi aveva indotto a lasciare chiuse e sigillate le buste delle due raccomandate inerenti al
licenziamento, le quali m’impedirono di apprendere d’esser stato licenziato. Per di più, avevo ben tre mesi di ferie da godere e
avevo approfittato proprio per trascorrere alcune vacanze.
A un certo momento, lei mi chiede: «Ma siccome sei stato in
vacanza, hai in mano prove che…?», aggiungendo «Ma sei stato
in Hotel o in appartamento, oppure…?».
«Sono stato in appartamento, ma sai com’è, noi che abitiamo
poco lontano dal mare possiamo disporre di conoscenze e ami64
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cizie che ci locano o imprestano…», le rivelai con un tono confidenziale e fidandomi di lei che, dopotutto, sarebbe mia cugina.
«Eh, ho capito! Ma allora tu non hai niente in mano!», pronunciò in modo un po’ avventato e usando un tono di voce quasi
a sincerarsi che così fosse. Mi lasciò un po’ perplesso.
«Sai com’è, ti trovi in vacanza... ci sono le spese, qualche
sfizio e quindi... con un po’ di fortuna qualcosa in mano ti rimane», inizialmente la informai, e poi conclusi: «Io, tra l’altro, non
getto via subito quello che mi viene rilasciato. Per fortuna!».
Dopo questa diuturna telefonata della durata di pressoché tre
quarti d’ora e in cui le menzionai persino particolari che non riferii più a nessun altro – ad esempio: come e dove avevo svolto
il soggiorno a Lignano, quanti giorni mi ero fermato e le prove
che avevo – lei fissò un appuntamento per l’indomani pomeriggio. Il giorno seguente, verso l’ora di pranzo telefonò annullandolo. Affermando che lo studio legale in cui lavorava fosse piccolo e poco importante, mi suggerì nomi e cognomi di altri Avvocati a cui rivolgermi. Preferii non interpellare nessuno di quegli Avvocati perché il mio intuito garantiva che in quei nomi e
cognomi e nei luoghi in cui erano situati i rispettivi studi legali,
ci fosse in ognuno un elemento che vacillava.
Avendo da poco conosciuto un ragazzo al quale contraccambiai l’amicizia perché anche lui stava affrontando una causa da
lavoro dipendente, mi rivolsi allo stesso Legale che lo assisteva:
l’avvocato I.M.
Tre anni dopo, il mio amico perderà la causa e m’informerà
che si era rivolto a quest’Avvocato perché consigliato da un suo
conoscente. Il quale, dovendo affrontare una vertenza di lavoro,
riconoscerà nell’operato dell’avvocato I.M. l’impegno di un valido professionista che, in seguito, vincerà la causa.
Senza proferir parola col mio amico, anch’io mi rivolgerò al
suo Legale prendendo un appuntamento che sarà fissato per il 3
ottobre 2000, ma l’avvocato I.M. reputerà il licenziamento non
più impugnabile. Decorsa una settimana dall’incontro, il giorno
dieci dello stesso mese mi perverrà la sua fattura.
Io, tuttavia, ero piuttosto convinto che l’avvocato I.M. avesse
torto nel reputare il licenziamento non più impugnabile e, decidendo di ascoltare un altro parere, la volta successiva opterò per
un Avvocato che esercitasse in uno studio legale situato in una
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zona urbana defilata. Lo sceglierò tra quelli che avessero un cognome sconosciuto e che non destasse sospetti o fosse uguale ad
altri nominativi. Così, al termine di un certo numero di tentativi
telefonici, sarò indirizzato verso l’avvocato P.C.M.
Prima, però, c’erano alcuni problemi da risolvere perché, ad
esempio, il Sindaco non si degnò di mettersi in contatto per recuperare il materiale che gli avevo, cortesemente, commissionato. Inoltre, l’avvocato I.M., nella fattura aveva banalmente usato
il termine «consultazione orale». Lui non forniva espressa menzione di aver schiuso due lettere fondamentali e riguardanti il licenziamento.
Solo due, perché nonostante avessi con me le tre raccomandate pervenute all’unisono e messe in quarantena, non gliele lasciai aprire, e fu un bene. Le raccomandate rimaste integre e sigillate, in futuro permetteranno di scoprire risvolti impensabili,
che comproveranno la presenza di azioni delittuose.
Proseguendo questa vicenda, arrivato a questo punto decidevo di prendere contatto, di nuovo, con lo studio legale dove mia
cugina stava svolgendo il praticantato. Mi orientai allora verso
quella che, durante il colloquio telefonico, lei definì esser la più
esperta dello studio legale e per affidarle, indi, il compito di recuperare quello che i Carabinieri e il Sindaco stavano omettendo. Rivolgendomi a lei per questo incarico, avrei tenuto segreto
all’azienda il mio prossimo Legale. Così, tramite una semplice
lettera in bollo di posta prioritaria, come peraltro quella inviata
ai Carabinieri di Basiliano, il 14 ottobre del 2000 all’avvocata
A.F. scrivevo:
«Il 15 giugno 2000, una società denominata Piramide mi ha
licenziato.». «In seguito, tutta una serie d’interessi e d’ignobiltà
da parte dell’azienda mi ha precluso la possibilità di rientrare in
possesso degli assegni, più i documenti, che ora sono ancora custoditi nella sede legale di Basiliano.».
«Con la presente le conferisco l’incarico di recuperare il materiale, nonché di accertare che tutto sia valido, in ordine, e non
ci siano altre ignobiltà.».
«Le annetto, oltretutto, la copia di due mie dichiarazioni che
acclusi assieme a un’altra serie di comunicazioni: allegate e rilegate.». «Il tutto inserito in una lettera raccomandata indirizzata
al Sindaco di Mereto, ma che servì a niente.».
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«Documenti da ritirare…». «Le allego, in aggiunta, una lettera in bollo di posta prioritaria che spedii al Maresciallo dei Carabinieri di Basiliano.».
Accadde che su mia prenotazione l’avvocata A.F. mi fissasse
un appuntamento, ma non ci fu nessun colloquio. Non appena la
conobbi ebbe l’onestà professionale, denominata altresì «etica»,
di informarmi che, avendo già rapporti con la Piramide, non potesse essermi di sostegno. Mi riconsegnò il materiale che le avevo spedito, ma non la busta, timbrata, con il francobollo.
L’Avvocata non era stata completamente trasparente, e allora
le stesse parole che sono state appena scritte nei precedenti capoversi muniti di caporali, le riportai a penna nella seconda metà del foglio datato 14 ottobre. Creai una seconda comunicazione; annerii tutti i vocaboli che avessero permesso un rintracciamento; nacque un documento criptato che, mediante fax, trasmisi all’ufficio Comunale di Udine, riportante la data del 28 ottobre 2000.
Il benservito dell’avvocata A.F. scaturiva molte conseguenze
perché mia cugina svolgente il praticantato nel medesimo studio
legale, sapeva troppe cose. Non essendo ancora Avvocata, forse
era ancora svincolata dall’obbligo al segreto professionale. Molti fatti che avverranno, in futuro, permetteranno di comprendere
che l’azienda sapeva troppo. Nel proseguimento della lettura, ci
si potrà renderne conto.
A questo punto, non avevo risolto il primo problema perché
tutto il materiale rimaneva ancora nella sede legale, e per affrontare il secondo considerevole dilemma e riguardante le omissioni dell’avvocato I.M., agii tramite fax.
Gli trasmisi un fax e uno simile in seguito, perché non ottemperava a quanto richiestogli nel primo. Il fax, iniziale, del 18 ottobre riporta le seguenti parole:
«In data 03 ottobre 2000, io e lei abbiamo avuto un colloquio
in merito al mio licenziamento.».
«Abbiamo analizzato il tutto, E LEI MI HA INFORMATO
CHE IL LICENZIAMENTO NON ERA PIÙ IMPUGNABILE,
E ALLORA LE HO FORNITO IL CONSENSO PER APRIRE
LE LETTERE DEL LICENZIAMENTO…».
«Le ho liquidato subito l’onorario per il consulto, e in data 10
ottobre è pervenuta la sua fattura.».
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«Una persona che ho conosciuto e con la quale ho instaurato
una leggera amicizia, pronunciò il suo nome e perciò la preferii
per avere un colloquio.». «A questo motivo s’integrava la coincidenza che lei lavora nella stessa via dell’I.S.P.E.S.L.».
«Spero che ora capisca la ragione per cui devo provare quello
che ho scritto nelle precedenti che ha letto e, quindi, devo chiederle di firmare la presente a conferma di quanto ho evidenziato
in carattere stampato maiuscolo.». «Questo perché la sua testimonianza scritta ha più valore di qualsiasi altra».
«P.S. Lettere intese come buste sigillate».
Dopodiché, aggiunsi una seconda comunicazione completando il foglio e integrandolo con una precisa richiesta:
«Secondo me urge portare avanti un’indagine, al limite decida lei se sia utile oppure non lo sia.». «Sospetto che la lettera di
licenziamento sia stata portata a Mereto di Tomba, ovvero non è
stata spedita.». «Chiaramente è stata trasportata dopo che è arrivata la mia raccomandata da Lignano.». «Le lascio i numeri delle raccomandate che ritengo sospette e le relative date di spedizione affinché, mediante dei controlli, lei abbia la possibilità di
verificare quelle precedenti e le successive.».
Fornii all’Avvocato gli estremi di tre raccomandate che alimentavano sospetti e risultavano spedite tutte da Campoformido
(il 21 aprile; il 15 giugno; il 31 agosto).
Per quel che riguarda la lettera di licenziamento della Piramide, pervenuta in casa mia durante l’assenza vacanziera a Lignano, domandai a mia madre se ricordasse l’orario in cui il portalettere consegnò la raccomandata, e lei confermò l’arrivo durante l’ora di pranzo. Riguardo alla raccomandata del 21 aprile, ricordavo molto bene che erano all’incirca le dodici e trenta. Stavamo pranzando quando, all’improvviso, il campanello suonò e
mia madre si recò sull’uscio di casa.
A questo punto, casomai il mio modo di agire durante questa
circostanza fosse bensì stato valido, ovvero che l’avvocato I.M.
avesse errato nel reputare il licenziamento non più impugnabile,
rischiare di perdere un’opportunità così importante sarebbe stato
da fessi. Quindi, prima che scadessero i fatidici sessanta giorni
di tempo per l’impugnazione, che continuavo a sostenere avere
decorrenza dal primo giorno di settembre, in data 25 ottobre lo
impugnai con la seguente comunicazione alla Piramide:
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«OGGETTO: impugnazione stragiudiziale del licenziamento
datato 15 giugno del 2000 ma avente come validità e decorrenza
il primo giorno di settembre del corrente anno.».
«Con la presente, io signor De Marco Fabrizio impugno il licenziamento che ha validità e decorrenza il primo giorno di settembre e v’informo che, in uno studio legale, in data 03 ottobre
ho aperto le buste del licenziamento.».
Finalmente un Avvocato... forse
Arrivò il giorno 3 novembre 2000 e per il quale mi era stato
fissato l’appuntamento con l’Avvocato brevemente accennato in
precedenza: l’avvocato P.C.M. Ossia quello per ascoltare un altro parere: il Legale che scelsi poiché operante in una zona urbana defilata.
L’Avvocato era un loquace trentaduenne dai capelli mori e lisci, con una scriminatura centrale e un viso arrotondato. Calzava
un paio d’occhiali come quelli di Harry Potter ed era alto come
quando l’attore, che lo impersonava, appariva nei primi film da
ragazzotto. Lavorava nello studio di una casa antica, probabilmente sua o, forse, dei suoi genitori, insieme ad altri professionisti Legali. Aggregato c’era un Consulente del Lavoro che, per
il nominativo impresso sulla targa fissata da un lato della porta
d’ingresso allo studio legale, sarebbe potuto sembrar lavorare lì.
Invece era distante suppergiù cento metri, in un altro ufficio.
La sera del 3 novembre, mi presentai alla porta dello studio
legale e una segretaria m’invitò ad accomodarmi in una piccola
sala d’aspetto antistante agli uffici, dove resto un quarto d’ora e
poi sono chiamato per entrare in quello dell’Avvocato.
Dopo i dovuti convenevoli, accertai che lui non fosse un Avvocato appartenente a qualche sindacato, chiedendoglielo direttamente: «Lei è forse un Avvocato dei sindacati?».
«No, assolutamente», rispose, e rimasto incuriosito dalla domanda, aggiunse: «Ma perché me lo chiede?».
«Perché con i Sindacalisti non vado d’accordo e... a proposito, un Sindacalista può impugnare il licenziamento di un lavora69
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tore?», gli domandai perché in questo caso c’era un Sindacalista
completamente informato della vicenda.
«Certamente, perché esistono casi in cui il lavoratore sia impossibilitato a farlo», lui rispose, e poi mi domandò: «Perché lei
il licenziamento non l’ha ancora impugnato?».
«Sì, l’ho impugnato, ma non entro i sessanta giorni dal licenziamento e agendo soltanto quando ne sono venuto a conoscenza», inizialmente spiegai.
«Ma, mi scusi eh... lei ha ricevuto la lettera di licenziamento?», chiese l’Avvocato.
«Guardi le carte che ho al seguito, qui ci sono due comunicazioni.. una è la contestazione e l’altra è la comminazione. Quando giunsero, mi trovavo in vacanza perché avevo tante ferie accumulate… e le lettere furono ricevute dai miei genitori…».
Poi spiegai con precisione la disputa che mi vedeva coinvolto
in una questione riguardante i Generatori di Vapore, lo informai
che l’avvocato I.M. aveva schiuso le lettere di licenziamento ed
esposi il problema derivante dai soldi, più i documenti, ancora
trattenuti dall’azienda.
«Senta Avvocato, ma siamo sicuri che l’azienda non stia cagionando questo danno per trattenersi dei soldi al fine di pagarsi
le eventuali spese legali della causa?», chiesi sollevando un sospetto.
«È possibile, ma ora per prima cosa io mando una lettera in
azienda per recuperare le spettanze, e restiamo ad attendere come risponde. Nel caso che… ricorreremo a un’ingiunzione.».
Conversando ancora per parecchio tempo, egli sciolse il suo
riserbo dovuto alla mia conoscenza, e analizzando la situazione
si addivenne alla conclusione che avevo agito correttamente.
Il licenziamento era contestabile, e la mia impugnazione stragiudiziale rendeva possibile citare l’azienda in Tribunale. Tutto
questo grazie a una deroga di Legge che considerava valido un
licenziamento solamente quando il lavoratore ne sarebbe venuto
a conoscenza.
Queste furono le sue parole. Tra l’altro, lui stesso si meravigliò del comportamento ravvisato nel precedente avvocato I.M.,
con il quale ebbe un colloquio per comunicargli che avesse sbagliato. Raccomandai all’avvocato P.C.M. d’evitare contatti con i
sindacati, con i quali non scorreva buon sangue.
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Andai a casa felice e in visibilio perché finalmente la vicenda
stava prendendo la giusta direzione. L’avvocato P.C.M., inoltre,
si sarebbe subito occupato di recuperare il materiale che giaceva
ancora nella sede legale dell’azienda, oltretutto impedendomi di
trovare un altro lavoro.
Conoscevo l’Avvocato venerdì 03 novembre 2000, e nei primi giorni della settimana successiva egli aveva già rimediato a
inviare una «letterina» alla Piramide, per recuperare le mie spettanze. Questa notizia mi fu comunicata entro la metà di novembre e direttamente dalle labbra dell’Avvocato. Al telefono mi fu
passato dalla segretaria e dopo che presi contatto con lo studio
legale. Ma alla fine della stessa settimana, però logicamente seguente il mio primo incontro con l’Avvocato, provate a indovinare chi telefonò in casa mia?
Si trattava del Sindaco, che avendo incaricato una Consigliera delegata, quest’ultima parlò al telefono con mia madre. In seguito, mia mamma mi riferì riguardo alla disponibilità del Sindaco a recuperare il materiale che giaceva in azienda.
Non richiamai assolutamente perché la fiducia in lui era scemata lasciando emergere che il suo inopportuno e tardivo intervento era connesso alla motivazione che l’azienda avesse ricevuto la lettera dell’Avvocato.
Essa, pertanto, assoldò il Sindaco, che si dimostrò una persona non libera in quanto condizionata da chissà quali interessi, e
definirlo «uno zerbino» sarebbe un termine appropriato. Oppure
un fantoccio nelle mani di quegl’imprenditori che, a livello locale, erano i più quotati e potevano avvalersi di mezzi per comprare chicchessia.
Per impedire che l’azienda tentasse di servirsi del primo cittadino per continuare a ritardare la consegna del materiale spettante, inoltrai una raccomandata. Volevo scongiurare che la mia
richiesta, inviata al Sindaco, fosse d’intralcio all’Avvocato. Così, il 14 novembre 2000 e forse nel medesimo giorno in cui dal
Legale ricevetti la conferma di invio della lettera recapitata alla
Piramide, a quest’ultima spedivo una raccomandata riportante il
seguente contenuto:
«La mia richiesta datata 05 ottobre 2000, inviata al Sindaco
di Mereto, è da ritenersi scaduta nel momento in cui vi è pervenuta la comunicazione del mio Legale.».
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«Il mio mandato scritto, consistente in due mie dichiarazioni
olografiche, datato 05 ottobre e inserito nella raccomandata indirizzata al Sindaco, è da ritenersi scaduto e annullato nel momento in cui vi è arrivata l’informativa del mio Legale.».
«Il signor Sindaco risparmi le telefonate quand’ormai la relazione del mio Avvocato vi è già pervenuta.».
Una causa lavorativa di licenziamento prevedeva, prima del
suo inizio, un obbligatorio tentativo di conciliazione. In maniera
più appropriata bisognerebbe definire «conciliabolo», perché si
trattava di un patto che la maggior parte delle volte consisteva in
un fantomatico accordo per favorire e non penalizzare le aziende. Questo perché puntava a costringere il lavoratore a desistere
dall’avviare una causa o lo risarciva mediante un indennizzo che
spesso era insufficiente a ripagarlo. Oppure, in caso di pace fatta, si limitava a una riassunzione. La solita porcheria che il lavoratore deve subire per scoraggiarlo dall’avviare una causa, e dove molto spesso a guadagnarci è più l’Avvocato che lui. Il tentativo di conciliazione era obbligatorio ma non era doversi presentare, ci mancherebbe altro! Siccome sembrerebbe che questa trafila dovrà ripetersi non appena sarà pronta la nuova riforma del
processo del lavoro, i lavoratori dovranno per forza avvalersi di
un Avvocato che disbrighi le pratiche: quattro scartoffie che anche un poppante gestirebbe se realmente esistessero i sindacati.
Io, oltre a preoccuparmi del tentativo di conciliazione obbligatorio, non riuscivo più a ristabilire un contatto con l’avvocato
P.C.M., e il 26 novembre scrivevo, e inviavo, una raccomandata
alla Piramide. La missiva era quasi inutile perché avevo equivocato un articolo letto sul contratto di lavoro.
Sempre il 26 novembre del 2000 scrivevo, oltretutto, un’altra
raccomandata. Destinata al rappresentante sindacale territoriale
(A.S.) della C.I.S.L., contiene le seguenti parole:
«Di recente ho avuto la certezza riguardo a un sospetto in cui
presumevo lei avesse delle responsabilità.». «Mi riferisco al dovere legale che aveva d’impugnare il mio licenziamento entro i
sessanta giorni previsti e per evitarmi complicazioni, anziché disinteressarsene.».
«Sulla base dell’acceso dibattito telefonico avuto con lei sui
Generatori di Vapore, sono certo che ne fosse informato.». «Un
confronto dove, pur sostenendo di avere la patente, si è rivelato
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incompetente.». «Io ero ancora ignaro riguardo al licenziamento
e al relativo limite d’impugnazione, perché mi sono fidato troppo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei chimici, che
non indica il termine di decadenza dei sessanta giorni.».
«Ordino a lei e a tutti i rappresentanti sindacali di restare fuori da tutto quello che mi riguarda.». «Con tutte le schifezze a cui
ho assistito alla Piramide negli ultimi cinque anni, non la reputo
più un Sindacalista degno di essere chiamato con questo titolo, e
la sola sua/vostra presenza mi urterebbe.».
«Spero che, oltretutto, lei non abbia scordato di avermi impedito la candidatura alle elezioni R.S.U. (Rappresentanza Sindacale Unitaria aziendale) nel 1997, e ora sarebbe stato l’esatto periodo delle nuove votazioni ed elezioni.». «Sommando tutto, inclusa questa vicenda, non è difficoltoso intuire il tipo di rapporto che voi Sindacalisti avete con le aziende.».
«Un dipendente mi ha avvertito che l’azienda ricerca il mio
numero di cellulare tra i dipendenti, ora!».
Arrivato a questo punto della situazione, dopo molteplici tentativi riesco a ristabilire i contatti con l’avvocato P.C.M. Il quale
commette gravi mancanze lascianti comprendere che il non riuscire più a interpellarlo, fosse dovuto all’aver, purtroppo, conosciuto l’azienda…
Riesco, finalmente, a prendere un appuntamento e porto con
me alcune comunicazioni che devo consegnargli per aggiornare
la documentazione. Dopo aver parlottato un po’ con una persona che stava aspettando in sala di attesa perché aveva un appuntamento con un Legale, entro nella stanza dell’avvocato P.C.M.
Mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va, lui è amorfo
e quasi ammutolito, accenna una parola soltanto e sempre dopo
che ho parlato per primo. Aveva già preparato un foglio per mostrarmi il contenuto della «letterina» inviata alla Piramide, che,
però, era postdatato al 29 novembre. Voleva sfacciatamente rifilarmelo, ma non appena si accorse di quello che c’era scritto sul
ragguaglio che gli dovevo consegnare per l’aggiornamento della
documentazione, ritrasse di scatto il braccino che teneva in mano la copia della «letterina» e la mise nel cassetto.
Uscito dallo studio legale, dalle mie gote scendevano lacrime
perché una persona retta, quale sono io, non poteva più tollerare
che dopo molte seccature la corruzione continuasse a regnare.
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Finalmente il 20 dicembre 2000 l’Avvocato entra in possesso
del materiale che l’azienda stava trattenendo, e quando mi viene
da lui consegnato nelle mani, riscontro che l’assegno del T.F.R.
riporta la data del 19 dicembre 2000.
La busta paga relativa, oltre a profumare di nuovo non si presenta minimamente sgualcita: neppure una piega, o una segnatura indicante l’inserimento in una busta. Infatti, è veritiero che il
T.F.R. mai sarà spedito, ma l’azienda non emetterà la busta paga per arrivare alla fine dell’anno, o quasi, senza esborsi giacché
la gestione dei suoi capitali è spesso vincolata dalle banche.
Era impossibilitata a consegnarmi il materiale racchiudente il
T.F.R. perché non era stato emesso. Peraltro era ipotizzabile che
questa mandria di abili imbroglioni avrebbe tentato di ricattarmi
servendosi di ciò che stava trattenendosi. Come? Semplicemente provando a richiedermi di firmare qualche documentino rimasto loro indigesto.
L’altro cedolino paga presenta piuttosto parecchie sgualciture
che indicano il probabile inserimento in una busta, ma l’assegno
è datato 27 giugno 2000.
Con tutte le buste paghe in mano era sopraggiunto il momento di analizzare i conteggi per comprendere quali fossero le ragioni che causassero un ammanco di quasi cinque milioni. Eseguendo i calcoli, emersero alcuni aggravi in cui l’azienda ometteva il pagamento di maggiorazioni dovutemi e di altre indennità. Ed ecco la motivazione per cui quegli ex dipendenti avessero
riscontrato un’ingente perdita di denaro provocata dal pagamento delle ferie residue.
Durante la consegna delle buste paghe e dei documenti, mi
ero accordato con l’Avvocato che avrebbe spedito la fattura durante le ferie natalizie, ma non rispettò l’accordo. Le porcherie
che stavano accadendo nello studio legale dell’avvocato P.C.M.
diverranno oggetto di contenzioso e mi costringeranno a consegnare alla Magistratura alcune registrazioni delle conversazioni
che accluderò alle denunce nei suoi confronti. L’inevitabile diffidenza nell’Avvocato, che in futuro costituirà il motivo per una
denuncia d’inaffidabilità, mi obbligherà a munirmi di un apparecchio audio e ad utilizzarlo per registrare le parole pronunciate
da lui e dalla sua segretaria. Non riuscendo più a sbarazzarmi di
quest’Avvocato rivelatosi inattendibile, ebbi un incontro con il
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Consulente del Lavoro che rientrava tra i professionisti del suo
studio legale. Me lo propose con parecchia insistenza, e per siffatto motivo mi sarà fissato un appuntamento per le giornate seguenti l’Epifania, onde valutare le ragioni degli ammanchi.
Durante l’incontro accertavamo che, effettivamente, mancassero perlomeno cinque milioni di lire, e allora gli lasciai il tutto
per una conferma. Dopo l’incontro con il Consulente del Lavoro, telefonai all’Avvocato e rimasi nell’attesa di una risposta che
non arrivava mai. La notizia sarebbe dovuta pervenirmi direttamente dalle labbra dell’avvocato P.C.M., ma figuriamoci se lui
avesse avuto tanta intenzione di prodigarsi. Dopo aver conosciuto la Piramide, si era rivelato una persona talmente falsa e promettente che non sarebbe più cambiata. Il profumo dei soldi facili ormai lo inebriava e, forse, non unico motivo per sfregarsi le
mani quando, oltre a una prebenda, un affare oppure un progetto
sarebbe andato in porto grazie alla corruzione.
Il giorno 29 gennaio 2001 prendo contatto con un Avvocato
della C.G.I.L., perché durante le festività invernali una persona
pronuncia il suo nome, e sull’ennesima raccomandata scrivo:
«Egregio avvocato A.V., io ritengo che ci siano persone che
adempiano bene il loro compito e altre che non meritino considerazione, perciò esistono bravi Sindacalisti ed eccellenti Avvocati, tuttavia queste lodi per altri non valgono.».
«Sul Sindacalista della C.G.I.L. non posso esprimermi perché
nell’azienda dove lavoravo tale sigla mancava, ma su quelli della C.I.S.L. e dell’U.I.L. ho già tratto sufficienti conclusioni.».
«Con la parola “eccellenti”, mi riferisco a quelle persone che
sentono scorrere nel proprio sangue principi e sentimenti nobili
elevati quali, ad esempio, Giustizia, lealtà, altruismo, eccetera.».
«Ovverosia persone incorruttibili ed esercitanti professioni pertinenti alla Giustizia ma che trovano soddisfazione e si battono
non soltanto per il fattore economico.».
«Sono in procinto di cominciare, finalmente, una causa contro una ditta che mi ha perseguitato, licenziato nonché buggerato, perciò voglio essere rispettato e risarcito...». «La vicenda è
assai complessa. Pertanto, qualora lei fosse d’accordo, vorrei affiancarla all’avvocato P.C.M.».
«Dal 7 novembre 2000, l’Avvocato possiede una copia della
documentazione aggiornata e completata il giorno 11 dicembre,
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ossia da quando ho dovuto rivederlo consegnandogli, oltretutto,
una copia della Legge sulla privacy che all’epoca non accettai di
firmare – in azienda – .».
«Il Rag. E.O. ha in mano, da circa venti giorni, le copie delle
mie ultime nove buste paghe per confermare uno dei due calcoli
che ho eseguito, dove mancano pressappoco cinque milioni netti.». «La Piramide, per licenziarmi pressoché tre mesi prima, ha
operato una serie di truffe con lo scopo d’estorcermi…».
«Ho già chiarito con l’avvocato P.C.M. i punti più importanti
della vicenda e mi ha spiegato che l’impugnazione del licenziamento è valida.».
Non potendo più prestare affidamento sull’avvocato P.C.M.,
suggerivo questa proposta all’avvocato A.V. e, senza usare una
sola parola sgradita, proponevo l’unione di un Avvocato privatista con uno sindacalista.
Avvenne che l’avvocato A.V. mai si degnasse di presentarsi,
e l’avvocato P.C.M. continuò il suo sporco atteggiamento di lurido e fittizio difensore dei lavoratori.
Un’altra informazione, in seguito, sortirà una motivazione di
sospetto nei confronti dell’Avvocato al quale avevo consentito
l’apertura delle buste inerenti al licenziamento: I.M. Dalla fattura, lui risultò risiedere proprio a Campoformido. Quindi, poiché
lo avevo incaricato per un’indagine sulle tre raccomandate sospette, credevo che la posizione della sua residenza avrebbe costituito un vantaggio per ottenere un risultato. Ma quella singolare coincidenza forse avrebbe, piuttosto, compromesso gli esiti
delle indagini reali e successive che fossero state eseguite.
L’Avvocato risiedeva in una zona troppo vicina a quella che
riguardava i reati commessi, e tra tanti Avvocati residenti nelle
svariate zone di provincia e nel capoluogo stesso, era strano che
fossi dovuto imbattermi proprio in lui. Mi sorse allora un dubbio
che non riuscii più a fugare con la prova. Quel mio nuovo leggero amico assistito dall’avvocato I.M., mi aveva forse avvicinato
per parlarmi proprio di questo Legale?
Molto probabilmente, negli anni successivi, l’avvocato I.M.
cambierà la residenza, perché il suo numero di telefono scomparirà dagli elenchi telefonici.
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Capitolo Secondo
LE AUTORITÀ GIUDICANTI
DI UDINE
Il Consiglio dell’Ordine (fase uno)
Eravamo giunti già al mese di marzo del 2001, e il tempo trascorso senza notizie non mi piaceva per niente. Inoltre, considerando che appena fossero stati pronti i conteggi del Consulente,
l’avvocato P.C.M. avrebbe dovuto mettersi in contatto con me,
mi piaceva ancor meno.
Egli, nel dicembre del 2000 confermava di voler agire in giudizio con due cause distinte, ma quella d’avviare per prima prevedeva il recupero dei cinque milioni malversati. La maniera di
agire non mi convinceva. La mia insistenza a voler incominciare
con la causa di licenziamento ed eventualmente proporre quella
per recuperare i cinque milioni mancanti, costringeva l’avvocato
P.C.M. a unificare le due vertenze. La variazione era un beneficio che, però, nascondeva un inganno, perché i conteggi avrebbero causato una perdita di tempo molto utile alla Piramide.
Quando il piccolo fantasma di Harry Potter, nelle sembianze
dell’avvocato P.C.M., mi apparve in sogno con la cravatta e una
sottana bianca che pareva una toga, sembrava di assistere a un
cult movie della risata, un film di «Stanlio e Olio». Quello in cui
loro, anziché andare al mare che avrebbe offerto a Olio una terapia al suo problema fisico, si recarono al congresso annuale
dei figli del deserto, a Chicago. La malattia di Olio non esisteva,
ma poiché le mogli volevano andare in montagna, i due corruppero un Veterinario che, spacciandosi per Medico degli umani,
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prima visitò Olio e, infine, suggerì una vacanza a Honolulu: nelle assolate spiagge delle isole Hawaii. Stanlio e Olio non si recarono al mare ma lasciarono credere alle rispettive mogli che si
sarebbero diretti là e, invece, si recarono a Chicago. Durante il
congresso ebbero un primo incidente di percorso dovuto ad aver
conosciuto, casualmente, il fratello della moglie di Olio. Trattandosi di un film dove qualcosa d’inverosimile doveva esserci,
i due non si conoscevano. Così al fratello, ovviamente, fu tenuto
nascosto che Olio fosse suo cognato. Questo primo intoppo accadde durante una telefonata che, scherzosamente, il cognato di
Olio eseguiva a sua sorella, passandogli subito dopo la cornetta
del telefono in mano. In questo caso scamparono il pericolo, ma
un altro grosso ostacolo li attendeva poiché quando rientrarono
a casa, la nave che avrebbe dovuto riportarli indietro era colata a
picco. Quando loro rientrarono, le mogli erano assenti perché,
essendo giunte dalla montagna prima del loro arrivo, erano venute a conoscenza del naufragio della nave e che i superstiti sarebbero rientrati a bordo di un piroscafo. Le mogli erano fuori di
casa perché recatesi alla capitaneria di porto per ottenere notizie
sul naufragio, e intanto i due furbetti... «♫ Honolulu baby…»,
cantavano… mentre Olio strimpellava il bangio dopo aver suonato il campanello di casa... ma le mogli non erano presenti. Entrati in una delle loro case, attraverso il giornale rimasto sopra
un tavolo, Stanlio e Olio appresero la notizia dell’affondamento
del piroscafo e, di conseguenza, furono costretti ad andare a nascondersi in soffitta. L’arrivo improvviso delle mogli li costringeva a nascondersi, ma poi, calata la notte, imperversò un violento temporale. Una saetta li colpì mentre dormivano sopra un
letto improvvisato e simile a un’amaca, costringendoli a uscire
sopra il tetto di casa a causa dello stato d’allerta in cui si ritrovarono le mogli svegliate dal baccano. Poi, fradici e con le sottane
grondanti d’acqua piovana, scesero lungo una grondaia dove ad
attenderli c’era un Poliziotto che, assistendo alla scena, li riconsegnò alle rispettive mogli. Continuando a fingere di essersi recati nelle solatie isole Hawaii, inscenarono allora di aver sofferto le pene dell’inferno e di ritrovarsi prodigiosamente salvati dal
naufragio… ma le mogli, prima di ritornare a casa, avevano già
assistito a un filmato mandato in onda e che mostrava dove loro,
anziché, si trovassero…
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Il sorriso beffardo del fantasma di Harry Potter che sognai in
camicia da notte e cravatta, era quello di uno squallido Avvocato che in modo dilatorio mi ostacolava per perdere quel prezioso
tempo che avvantaggiava l’azienda. Nonostante tutto, dopo aver
preparato una denuncia per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, pazientai ancora una settimana, prima di spedirla.
Il 7 marzo 2001, grossomodo a due mesi dall’incontro con il
Consulente del Lavoro, scrivevo:
«Il giorno 3 novembre 2000, l’avvocato P.C.M. è divenuto a
conoscenza del mio caso dimostrandosi una persona disponibile
e cordiale, sia nel conversare, sia nel darmi informazioni di carattere legale.». «Purtroppo, da quando ha conosciuto l’azienda
che mi ha licenziato, lui è cambiato favorendola: ostacolandomi
e perdendo tempo.». «Questo poiché ho potuto persino costatare
in lui la quintessenza dell’ipocrisia utilizzata nei miei confronti
quando il giorno 11 dicembre 2000 sono riuscito a rivederlo.».
«Ci riuscii dopo parecchi tentativi telefonici, e se non fosse
stato per aver nascosto, al ricevente, il mio numero di telefono
mentre lo componevo, avrei dovuto recarmi di persona. Addirittura solamente per prendere un appuntamento, richiesta che dovevo eseguire sempre almeno cinque giorni lavorativi prima.».
«L’Avvocato mi fa i dispetti, si nasconde dietro la segretaria,
si nega, interviene solo dopo che lo hai sollecitato varie volte e,
inoltre, esegue i compiti per metà.». «E pensare che intorno al 7
novembre egli era stato un fulmine nell’inviare, all’azienda che
mi licenziò, la lettera per riavere quello che quest’ultima si stava
trattenendo con l’inganno e la complicità di terzi.».
«All’incirca due mesi fa, l’Avvocato m’informava al telefono
– tramite la sua segretaria – che mi avrebbe chiamato lui.». «Mi
auguro che oramai qualcuno mi spedisca direttamente la lettera
contenente il documento – da firmare – per la convocazione al
tentativo di conciliazione, perché sono già trascorsi pressappoco
nove mesi dal licenziamento apparente.».
«La causa implicherà uno scontro su documenti, carte e prove, comportando l’intervento e la testimonianza di persone e autorità.». «Perciò tutto questo tempo perso porterà grossi vantaggi all’azienda che, frattanto, potrà falsificare, modificare, inventare, aggiungere, corrompere, ecc.». «Deve, per forza, rientrare
nei miei diritti l’azione immediata. Invece l’avvocato P.C.M. sta
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perdendo tempo apposta.». «Ora lui si serve dell’appiglio che ci
sono quattro conticini da eseguire. I quali, peraltro, saranno insabbiati dai burocrati aziendali e allo scopo di ottenere un ulteriore vantaggio temporale.».
«L’avvocato I.M. mi ha garantito telefonicamente la sua presenza all’udienza, ma preferirei una sua deposizione scritta o la
firma sui fax che gli ho inviato, ve li allego…».
«Sono mesi che ho i nervi “a fior di pelle” e sto perdendo la
pazienza che finora ho conservato contuttoché sia stata messa a
dura prova dal perfido comportamento dell’avvocato P.C.M.».
«Mi auguro che l’Avvocato non abbia perso tempo cosicché
da permettere che si giunga alla scadenza di termini, tempi legali a me sconosciuti, ed evitare azioni penali nei confronti dei dirigenti aziendali.». «Il tutto legato alla lettera che spedii e datata
18 maggio 2000, che vi allego.».
«Se sono arrivato all’estremo di commissionare all’avvocato
I.M. un’indagine postale, non è soltanto per le strane coincidenze ma, oltretutto, perché il postino del paese dove abito, in taluni casi portava la corrispondenza due volte.». «Verso le ore dieci e trenta-undici lui consegnava la posta normale. Però, in alcuni casi importanti, avvalendomi della conferma di mia madre,
posso confermare che si ripresentava verso le ore dodici-dodici
e trenta con la posta della ditta che mi ha licenziato.».
«Il primo giorno di settembre, quando gli ho chiesto il motivo
della doppia consegna, lui è rimasto momentaneamente terrorizzato.».
«Ho notato che negli ultimi tempi sta lentamente spostando
l’orario di consegna normale, sempre più verso le ore dodici.».
«Siccome io ignoro l’orario di recapito della posta nell’azienda
che mi ha licenziato e non potrò più provare quello che sospetto,
chiedo che da qui in avanti, – nella sede legale –, la corrispondenza le sia consegnata almeno a mezzogiorno, oppure dopo.».
«Tra le indagini postali bisognerebbe ora avviarne una nuova
per stabilire quando l’avvocato P.C.M. avesse spedito la lettera
all’azienda, perché il giorno 11 dicembre 2000 mi ha mostrato
una “letterina” che era datata, addirittura, 29 novembre 2000.».
«Quando ha visto, non tanto la comunicazione inviata al rappresentante sindacale territoriale A.S. della C.I.S.L., ma un fax indirizzato al Comune di Udine con allegati alcuni fogli che do80
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vevo consegnargli per aggiornare l’incartamento, ha prontamente trattenuto la copia della comunicazione recapitata all’azienda,
richiestagli durante l’incontro.».
«Nell’incontro successivo, l’Avvocato svicolò dall’impegno
preso, ossia di consegnarmi una copia della «letterina», più un
eventuale fax – qualora dopo la spedizione della lettera se ne
fosse servito –.». «Accludo la fotocopia di una lettera che inviai
all’avvocato A.V. Ritengo che ora comprendiate la vera ragione
per affiancare all’avvocato P.C.M. un altro Legale.».
«Vi autorizzo al sequestro, senza preavviso, di tutto ciò che
ha in mano…».
Incomincio a spiegare quanto sopraindicato e partendo dalla
lettera che l’avvocato P.C.M. inviò all’azienda.
Egli conobbe l’azienda dopo averle inoltrato una «letterina»
attorno al giorno 7 novembre del 2000. Essendo stato informato
che io avessi inviato una raccomandata scritta il 14 novembre e
suonandole al Sindaco, fu colluso per realizzare un documento
che riportasse una data successiva. Era un anacronismo compiuto cosicché la mia lettera risultasse precedente. La sua, infatti, la
pospose datandola, addirittura, 29 novembre, ma verso la metà
dello stesso mese avevo già ricevuto la conferma telefonica che
l’aveva inviata. Questo pupo siciliano era stato colluso per rendere la mia lettera del 14 novembre 2000 un’infamia, per meglio
specificare: una falsità contenente insinuazioni nei confronti del
corrotto signor Sindaco, e Medico, di allora.
Molti anni dopo e, in pratica, mentre stavo scrivendo questo
capolavoro, mi accorgerò di aver subito il furto delle prove concernenti la spedizione della raccomandata relativa al 14 novembre. Prima che accadesse, assistetti alla nascita di sistemi escogitati per propinare che la segretaria del Sindaco avesse telefonato in casa mia per altri motivi.
Dai documenti inviati, appositamente, nelle case degli abitanti di questo comune, si apprenderà la notizia riguardo alla nascita di un legame fiduciario tra quello che diverrà un ex Sindaco e
una ditta che aveva la sede legale situata proprio nella breve via
in cui l’avvocato P.C.M. prestava la sua opera.
Per quel che attiene al postino, era intuibile che la mia lettera
del 3 settembre 2000, spedita alla Piramide, e le indagini richieste all’avvocato I.M. avessero messo sul «chi va là» l’azienda e
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gli uffici postali. Così il postino: adagio adagio, lemme lemme,
minuto dopo minuto, cercando di non lasciare che si notasse e
iniziando ad alternare l’orario settimanale di consegna, lo stava
spostando avvicinandosi sempre di più a mezzogiorno, per concretare il primo tentativo d’insabbiamento.
La risposta del Consiglio dell’Ordine arrivò pochi giorni dopo e nella quale il Presidente stesso scriveva:
«Mi riferisco all’esposto, da lei presentato, nei confronti…».
«Mi riservo di designare il Consigliere incaricato di svolgere la
rituale istruttoria in merito ai fatti riferiti e, pertanto, di farle conoscere le decisioni che il Consiglio assumerà in merito.».
La Procura della Repubblica
In data 19 marzo 2001, rivolgendomi alla Procura della Repubblica di Udine procedevo, oltretutto, all’ineluttabile denuncia penale della Piramide, del Faraone e del Beduino D.M., con
le seguenti parole:
«Costatando lo strano e reticente comportamento mantenuto
dall’avvocato P.C.M., già indicato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati… la presente e rivolta a voi e all’I.S.P.E.S.L.».
«Intendo scrivere un racconto per chiarire e, forse, terminare
una mia denuncia iniziata nel 1999 ma senza sortire risultati positivi. Infine proseguita per inscritto nell’anno 2000, fino al mio
licenziamento.».
«Nel 1996, al reparto 142 fu installato il Generatore di Vapore Mingazzini, ma con l’inaugurazione di questo nuovo impianto
servivano, in aggiunta, maestranze per gestire questa nuova caldaia.».
«Il Faraone raggirò i Conduttori del reparto Nitrazioni imponendo d’occuparsi altresì della caldaia Mingazzini.». «Stabilì il
tutto asserendo che, essendo la caldaia automatica, bastava eseguire solo i controlli periodici.». «Noialtri Conduttori c’eravamo
talmente fidati di quelle parole, da non tenere in considerazione
che nel reparto avessimo una caldaia obbligante, per Legge, alla
continua nostra presenza.».
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«Il Faraone, inoltre, non volle prendere in considerazione che
noi Conduttori, durante il turno di notte, fossimo completamente
soli – una sola persona – nel nostro reparto, e sotto la nostra responsabilità avessimo molti altri impianti.». «I quali aumentavano di anno in anno mettendo sempre più a repentaglio la sicurezza, oltretutto intesa come incolumità nostra.».
«Dopo circa un mese e mezzo che, in aggiunta, ci occupavamo della caldaia Mingazzini, io fui il primo a comprendere che
il Faraone ci avesse raggirato, ma per convincere i miei colleghi
servì molto tempo perché temevano eventuali ritorsioni, vendette da parte dell’azienda.».
In particolare il mio collega conduttore G.B. che, in seguito, citerò perché divenuto una vittima di questo stillicidio che, prima
di lui, interessò il conduttore I.Z. costringendolo alle dimissioni
nel 1999. Sette anni prima toccò a P.Z., che colpito da problemi
famigliari non era più in grado di sopportare la grossa mole di
lavoro. L’impegno lavorativo era diventato estremamente stressante a causa della nascita di un nuovo prodotto, e per lui che
proprio in quel periodo era già colpito da complicazioni famigliari, fu fatale; subentrò una depressione che lo costrinse a licenziarsi. E per finire, dopo la mia uscita di scena, toccò rassegnare le dimissioni al capoturno e conduttore ausiliario R.M.
«Mediante la firma su appositi moduli, per un breve periodo i
capiturno ci rimpiazzarono durante i controlli alla caldaia Mingazzini del reparto 142, ma spesso su di loro non si poteva contare… e se ci fossero state emergenze nel medesimo reparto?».
«Affermare d’esser stati fortunati è conveniente.».
«Durante il turno notturno, si cercava di mantenere spenta la
caldaia Rhoss – quella che obbligava per Legge a… –, tuttavia
spesso non era possibile a causa di aumenti della richiesta di vapore o d’inaffidabilità delle caldaie Vaporax…».
«Per un posto di lavoro stabile eravamo, oltretutto, costretti a
svolgere altre mansioni, perfino molto lontano dalle caldaie.».
«Col trascorrere degli anni: la situazione peggiorava, aumentavano le produzioni, – degli altri reparti –, gli incarichi e gli
impianti da gestire, perciò qualcuno doveva intervenire per mettere un limite all’azienda.».
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«Quando, oltre all’arroganza, al dispotismo e alla prepotenza
del Faraone si sono unite pressioni, carte false e minacce pur di
raggiungere gli scopi illeciti, non ho resistito a lungo.». «Ho incominciato a denunciare, e malgrado la calunnia di cui si è servita l’azienda, non ho ingiuriato nessuno.».
«Oltre all’I.C.A.N. che già gestivamo come fosse una vendetta perpetrata nei nostri confronti per aver smesso di occuparci
della caldaia Mingazzini, il 19 ottobre 1999 il Faraone e il Beduino tentavano, in aggiunta, di schiaffarci il parco acido.». «E
allora in quel periodo mi rivolsi all’U.S.L… ma, nel frattempo,
il Faraone aveva già escogitato un sistema per obbligarmi a firmare, e il sindacalista C.C. al quale chiesi assistenza, diede forfait rivelandosi un doppiogiochista.».
«Solo quando ci fu l’elemento nuovo e consistente nel turno
scoperto alla Mingazzini, più una nuova congiunta insistenza del
Faraone con il Beduino, cercai voi dell’I.S.P.E.S.L. perché vi ritenevo superiori all’U.S.L.».
«Su quello che vi scrissi il 25 maggio 2000 si può rilevare un
importante errore.». «Non trattasi di Operaio/Conduttore, bensì
Operaio-Conduttore, in pratica di un lavoratore o, meglio, lavoratori che hanno svolto, nel contempo, due professioni di grossa
responsabilità e percependo un normale stipendio.». «Ossia lavori nocivi svolti a turno in condizioni climatiche e ambientali
proibitive, e oltre a queste il Beduino aveva preso la brutta abitudine di sbattere i Conduttori a lavorare negli essiccatoi.». «Ma
con me non poteva esigerlo… conoscevo i miei diritti.».
«P.S. Ci sarà un’autorità preposta al controllo su come le aziende impieghino i Conduttori di caldaie a vapore e quante siano le
mansioni extra loro imposte?».
In una successiva delazione aggiungevo tre punti per il completamento di questa iniziale, e il punto fondamentale informava
che la caldaia Mingazzini era stata installata nei primi mesi del
1996. La caldaia, però, fino al mese di settembre del medesimo
anno era stata governata da personale non patentato, molto probabilmente raggirato.
Alla denuncia allegavo il foglio datato 19 ottobre 1999, comprendente le precitate disposizioni d’inizio racconto, da firmare
per sòla «presa visione» che… e un prospetto settimanale contenente: i programmi produttivi dei due reparti con gli addetti e i
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responsabili, gli impianti e la loro dislocazione, i numeri dei locali, i turni degli operatori e tanto altro ancora.
In un’altra comunicazione, datata 27 aprile 2001, inserita nella seconda metà di un foglio e inoltrata, tramite fax, al Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati, incominciavo a proporre un sistema
per rendere più sicure le raccomandate da spedire. Il contenuto
era altresì rivolto alla Procura della Repubblica, quindi scrivevo:
«Girovagando per i vari uffici postali, ho costatato che le etichette riguardanti i tagliandi da riempire per: assicurate, raccomandate, eccetera, sono persino messe a disposizione dei clienti.». «Di conseguenza, le raccomandate non sono spedite in ordine cronologico, cioè in modo progressivo al loro numero identificativo.». «Questo potrebbe verificarsi solo negli uffici postali
dove si utilizzi ancora unicamente il normale timbro circolare.».
«Negli altri uffici, alla resa del modulo 22-R, quest’ultimo reca
impresso un timbro moderno che indica un numero progressivo
di spedizione, nonché data prezzo e località.».
«Pertanto, al fine d’evitare che qualcuno in qualche modo, ad
esempio corrompendo o sottraendo, entri in possesso dei timbri
circolari e dei tagliandi per utilizzarli in maniera fraudolenta, sarebbe utile che tutti gli uffici postali fossero dotati di un timbro
moderno per la vidimazione del modulo 22-R, incluso l’ufficio
postale di Campoformido.».
Analizzando le buste, i bolli, i timbri usati, le etichette e perfino la posizione delle graffette per cucitrice, mi ero accorto che
c’era un nesso tra la preparazione di alcune raccomandate speditemi e un impiegato che, oltretutto, poteva lavorare alla Piramide. Per questo scrissi ciò di cui è stato preso visione nel precedente paragrafo, perché gli uffici che non utilizzavano più i timbri manuali circolari erano solamente quelli ubicati in città e cittadine, comprese quelle balneari. I paesi del contado quali Campoformido e Pasian di Prato, esulavano ancora da quella lista.
Era iniziata una guerra contro gli uffici postali, una di quelle
che nessuno aveva osato affrontare, perché più passava il tempo
e più mi rendevo conto che l’azienda li avesse corrotti per ottenere servigi scandalosi. Concorsi, cooperazioni indecorose costituenti reati e che consentirono di licenziarmi, e nel complesso
formavano un circolo vizioso composto di chissà quali intrallazzi che non sarebbero più emersi.
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Costretto oramai al penale, mi dovevo altrettanto occupare di
denunciare l’ammanco dei cinque milioni di lire. Rivolgendomi
sempre alla Procura della Repubblica, integravo la primaria denuncia informandola riguardo all’esistenza di accordi, sottobanco, aziendali-sindacali. Queste erano le parole che usavo:
«I dipendenti della Piramide, fino al 1997 percepivano un cosiddetto “premio feriale” il cui importo era garantito uguale per
tutti.». «Era corrisposto nella busta paga di giugno e il dieci del
mese. Ogni anno nella bacheca compariva l’ammontare, il quale
era arrivato a un milione e trecentomila lire, ma da tre anni non
beneficiava di aumenti.».
«Per la distrazione di una persona scopro che gli importi garantiti non rispecchiano la verità e c’è un considerevole bottino
che l’ufficio della sede legale di Basiliano, insieme a quello direttivo di Mereto, spartisce chissà da quanti anni.». «Gli impiegati percepiscono quasi due milioni di premio feriale e i dirigenti probabilmente anche di più.». «Promuovo una denuncia orale
al sindacato che, poi, in collaborazione con l’azienda crea la finta 14ª mensilità.».
«Per formare più di metà della 14ª mensilità da creare, utilizzò il milione e trecentomila lire del premio feriale. Dopodiché,
per completarla, la cifra rimanente è stata ricavata così.». «Metà
dell’importo mancante per la formazione della 14ª sarebbe stata
ottenuta dalla decurtazione della metà del premio di produzione,
ed il resto lo avrebbe anticipato l’azienda ma non come fosse un
prestito.».
«Negli anni successivi, la 14ª sarebbe stata completamente a
carico dei lavoratori…». «La dicitura mensile “premio di produzione” scomparì dalla busta paga originando la nuova voce “superminimo collettivo”, composta perlopiù dal premio di produzione residuo.».
«A questo punto bisognerebbe controllare l’importo del premio di produzione decurtato a quelle sanguisughe che percepivano un premio feriale maggiore di quello riconosciuto ai veri
lavoratori.».
«La 14ª mensilità era ed è finta perché c’è solo una differenza
rispetto al premio feriale, in sostanza che l’ingente trattenuta fiscale che noi avevamo a giugno, ce la ritrovavamo nel conguaglio di dicembre e maggiorata.».
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Accadde, in pratica, che la 14ª mensilità fosse stata creata per
mascherare i premi feriali di suppergiù due milioni di lire. Chi
percepiva quest’importo, per raggiungere la cifra necessaria a
ottenere una quattordicesima avrebbe integrato una quantità di
denaro assai inferiore di quella che, piuttosto, avrebbe dovuto
aggiungere un operaio che si vedeva corrisposto un premio feriale di un milione e trecentomila lire. Questo stava a indicare
che la nuova voce «superminimo collettivo» avesse, inoltre, inglobato la precedente, «premio di produzione», non lasciando
trasparire quanto, effettivamente, impiegati e dirigenti contribuissero per la formazione della propria 14ª mensilità. Quindi
era come se costoro avessero seguitato a percepire perlomeno
due milioni di premio feriale inseriti, celati, nella propria quattordicesima.
«Non paghi di questo e per quel che riguardava il premio di
partecipazione, l’azienda e i sindacati concertarono dei parametri arbitrari per favorire, economicamente, le categorie più elevate dei lavoratori.». «I parametri violavano norme contrattuali
e legislative perché erano trattenuti sostanziosi importi a coloro
che fossero rimasti assenti ma aventi, comunque, diritto alla retribuzione ed ai premi.».
«L’azienda mi licenziò strappandomi molti dodicesimi della
13ª e della 14ª mensilità.». «Mi licenziò per non remunerarmi la
maggiorazione, del 19%, in tutti i casi dove il contratto contiene
espresso riferimento e cagionarmi la perdita di altre tre mensilità
maggiorate.».
«Non mi saldò i dodicesimi del premio di partecipazione che
era stato negoziato per quattro anni e poco prima del mio licenziamento, né lo liquidò usando l’importo dell’anno antecedente,
come aveva già praticato con altri dimissionari.».
«Mi obbligarono a pagare quindici giorni di assenza per danneggiarmi ulteriormente, in modo da cagionarmi la perdita di altri diritti contrattuali.».
«Queste perdite non le avrei avute in caso di dimissioni o licenziamento durante il mese di settembre, all’esaurimento delle
ferie, e senza dimenticare perlomeno quindici giorni di preavviso retribuito. L’azienda ha, da questo punto di vista, ugualmente
abusato.».
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«La Piramide mise in opera tutto il possibile per licenziarmi,
e lo lasciò comprendere il giorno che, in azienda, mandò un suo
tirapiedi della sede legale di Basiliano, con il quale ebbi un colloquio nell’ufficio del Faraone ma in sua assenza.».
«Eravamo nel mese di aprile e costui, contrattualmente, tentò
di raggirarmi mostrandomi vari articoli sul licenziamento.».
«Sapeva benissimo che non c’era stata alcuna violazione, allora farfugliò sostenendo che stessi creando l’anarchia, temendola perché la ritenevano una forma d’insurrezione della categoria operaia.». «Operaio e no corrotto tour…?».
«Alla seconda contestazione, formulata in maniera subdola e
astuta come se si trattasse di recidiva, decisi di salvaguardare e
di sfruttare le ferie per difendermi, perché sapevo che l’azienda
avrebbe avuto interessi economici, ai miei danni, nel pagarmele.». «Concessi ai dirigenti la possibilità di riconoscere i loro errori, e tanto prima li avessero ammessi, quanto prima sarei rientrato dalle ferie…».
«Io ritengo che la causa sia già compromessa, per questo ci
sono dei responsabili. Pertanto, fino a quando non sarà iniziata e
rimarrò privo di garanzie scritte, mi asterrò da ogni altro lavoro.
Ora rifiuto il tentativo obbligatorio di conciliazione.». «Sarò indisponibile a una soluzione diplomatica, disvorrò la mia iniziale
intenzione e non metterò più piede in azienda.».
Il lavoratore licenziato, nondimeno per motivi disciplinari, e
che in futuro vincesse la causa contro un’azienda, non dev’esser
condizionato dalla decisione di un Giudice del Lavoro. Il lavoratore deve rimanere quello che decide se accettare la reintegra
sul posto di lavoro, oppure se ottenerne un’indennità sostitutiva.
Com’era sempre stato e dovrà ricominciare ad essere.
Il Governo Tecnico del Professor Monti, non solo aveva proposto di sostituire la mobilità con un assegno mensile, in quanto
cercava, oltretutto, di obbligare il lavoratore ad accettare il successivo impiego offertogli per lo svolgimento di un qualsiasi lavoro. Un’eventuale opposizione del lavoratore avrebbe comportato la perdita dell’assegno. Questo si sarebbe chiamato ricatto.
Quando questo libro sarà a disposizione di chi vorrà leggerlo,
forse quello che ho suesposto non sarà attuato, ma se il proposito dell’ex Ministra Fornero fosse preso in considerazione da altri, resteremo ad assistere se i sindacati si opporranno.
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Il sostituto procuratore (?)
In calce al foglio racchiudente la comunicazione che conclude la precedente sezione di capitolo, è impressa ancora la dicitura «RACC. A.R.», ma la lettera non la spedii perché il 30 maggio 2001 la consegnai direttamente, in Procura, nell’ufficio che
raccoglie le notizie di reati.
La motivazione era dovuta ad una convocazione che al telefono un personaggio mi fissò presentandosi come incaricato dal
Pubblico Ministero e, quindi, suo sostituto.
Per consegnare quest’ultima denuncia mi recai in anticipo alla Procura della Repubblica di Udine. Quand’ormai avevo terminato, mi ero appostato vicino alla porta dell’ufficio giudiziario contrassegnato con l’insegna comunicatami telefonicamente.
Avevo bussato alla porta di quell’ufficio ma nessuno rispondeva, e allora rimasi lì un po’ di tempo nell’attesa che arrivasse
qualcuno. Dopo un po’, un barbuto e piuttosto trasandato, alto e
robusto, signore sulla cinquantina si avvicina pettoruto chiedendomi con un atteggiamento rozzo e sbrigativo: «È lei De Marco
Fabrizio?». Gli rispondo solo in modo affermativo: «Sì». Io, che
indossavo solamente una camicetta celeste a mezze maniche ed
un paio di pantaloni classici, ero molto più presentabile di lui.
A quel punto egli non si presentò, tuttavia estrasse un mazzo
di chiavi e provò alcune nella serratura, prima di riuscire a trovare quella giusta. M’invitò a entrare e ad accomodarmi mentre
accendeva il personal computer sul tavolo e approntava la sedia
su cui doveva assidersi.
«Allora signor De Marco, io l’ho convocata perché sono stato
incaricato dal Pubblico Ministero per ascoltarla e preparare una
sua deposizione scritta», poi aggiunse: «È tanto che stava aspettando?».
«No, perché ho perso un bel po’ di tempo davanti all’ufficio
che raccoglie le notizie di reati, giacché avevo una denuncia da
consegnare.».
Era così che lo informavo riguardo alla precedente consegna
che avevo eseguito, ma a quel punto egli sobbalzò dalla sedia,
esclamando: «Uffa!», e bofonchiante uscì lasciandomi solo, per
recarsi proprio nell’ufficio in cui avevo consegnato la delazione.
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S’intuiva chiaramente che in quella rozza persona c’era qualcosa di anormale, e la sua malacreanza nei miei confronti peggiorò
quando: una volta rientrato, sedutosi e iniziando a «trascrivere»
quello che gli esponevo, ci ritrovammo faccia a faccia.
A un certo punto e dopo vari battibecchi dovuti al trattamento
che io e i miei colleghi avevamo subito, cadde in errore lasciandomi intuire che avesse già avuto perlomeno un contatto con la
Piramide. Lo ammise solo dopo che glielo ravvisai, e allora uscì
allo scoperto dichiarando: «Ma avevate la bicicletta per spostarvi, anche se gli altri impianti erano lontani!».
Gli risposi: «Guardi che spesso era molto di più il tempo che
rimanevamo lontani dalle caldaie, di quello che sarebbe servito
per controllarle senza rischi!». In pratica, che il veicolo a pedali
avrebbe influito ben poco negli spostamenti.
Alla fine di quella che risulterà una breve deposizione scritta,
il tempo impiegato per scriverla fu elevato e al punto che ormai
era digià mezzogiorno e mezzo. In calce al foglio firmammo, e
dopo una sigla che non riuscii a leggere perfettamente – p.s. oppure p.m. oppure p.i. – lui aggiunse il suo nome e cognome.
La persona della quale in futuro ricorderò soltanto l’iniziale
del nome o del cognome, ovvero la lettera «esse», era un imbroglione che cercava di scrivere al computer qualsivoglia cosa volesse e andasse bene per un processo, un procedimento di parte.
Più che un addetto al computer, sembrava un «pianista» che,
invece di votare mediante i pulsanti degli altri politici, scrivesse
in favore della parte indagata. Lo dovevo continuamente riprendere perché utilizzava: parole con doppi significati, parole incastranti, parole sbagliate più periodi che non corrispondevano al
vero, fino al momento in cui stavo per perdere la pazienza conservata. Spesso dovevo riprenderlo per invitarlo a cancellare e/o
correggere quello che scriveva.
Si comportava in tal modo apposta perché evidentemente curava gli interessi della Piramide e di chi gli aveva commissionato l’incombenza. E poi, durante la deposizione, egli confermava
di aver già tenuto un colloquio con l’azienda. Infatti, era maldisposto e manteneva nei miei confronti un atteggiamento alquanto ostile. Aveva sempre qualcosa da obiettare sulle mie affermazioni, e se non ci fossimo trovati in una sede giudiziaria, l’avrei
pelato per bene fino a negargli la credenza di…
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Quest’irsuto damerino giudiziario era una persona snervante,
che con il suo atteggiamento lesto e approfittatore di chi sarebbe
dovuto cadere nei suoi tranelli lessicali, credeva di essere chissà
chi soltanto perché aveva l’onore di rappresentare uno Stato.
Uscire da un’azienda calpestato ed entrare nello studio di un
corrotto Avvocato, e poi sorbir uno scimmione ammaestrato, è
qualcosa che nessun mi ha augurato, ma poiché son morigerato,
il grugno intero gli ho lasciato.
Durante un colloquio che ebbi con la Guardia di Finanza, e di
cui accennerò in seguito, quest’ultima m’informò che la persona
incontrata in Procura fosse un funzionario dell’U.S.L. Seppure
mi paresse strano che costui possedesse le chiavi che permettevano l’accesso agli uffici di un foro giudiziario, e potesse altresì
disporre delle apparecchiature forensi, all’inizio credetti alle parole riferitemi dalla Guardia di Finanza. Se così fosse stato, sarebbe oltremodo grave di essere sentito, in un Tribunale, proprio
da chi nutriva un interesse a tutelare, coprire, le autorità responsabili dei Generatori di Vapore.
Da un secondo incontro che non fu propriamente casuale ma
dove costui, pur rimanendo distante, aveva un aspetto diverso da
quello che presentava il giorno della mia deposizione in Procura, compresi che i miei sospetti erano fondati. Probabilmente si
trattava di qualcuno appartenente alle Forze dell’Ordine, che voleva controllare se lo riconoscessi ancora. Durante l’incontro in
Procura, lui aveva l’aspetto trasandato di una persona che cura
poco il suo look. Con la barba folta e incolta, sembrava un barbone con la giacca appena uscito da una stamberga. Quando lo
rividi era, invece, più presentabile. Capelli più corti e non indossava più abiti lussuosi, però seguitava nell’ostentare quell’orrida
coprente peluria facciale: il vezzo di chi deve celare un’identità
o ha qualcosa da nascondere. Sicuramente molto da nascondere.
A livello nazionale sono successi due casi di una certa gravità
e che si potrebbero accostare all’episodio accadutomi in Procura:
 il primo è il caso riguardante l’omicidio di Chiara Poggi,
in cui l’unico accusato del delitto, Alberto Stasi, ogni volta che
riusciva a provare la sua innocenza, il P.M. modificava l’ora in
cui si era verificato l’omicidio. Queste incongruenze avvennero
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tre volte durante il processo di primo grado, rovesciando sempre
l’alibi di Alberto Stasi;
 il secondo è il caso Una-Bomber, in cui l’Ingegner Elvo
Zornitta, accusato di essere il bombarolo che in quasi vent’anni
ha disseminato nel Nord-Est molti ordigni sparsi in vari paesi, è
stato scagionato grazie a un lamierino. La lamina era stata manomessa tramite un paio di forbici che le Forze dell’Ordine avevano prelevato nel laboratorio dell’Ingegnere. Il Poliziotto Ezio
Zernar sarà accusato della manomissione e finirà sotto processo.
Riflettendo bene, anch’io sono incappato in qualcheduno che,
servendosi di metodi poco leali, tentasse di distorcere la verità e
non meno di volgere una causa in favore della ditta che mi aveva licenziato. Ma la gravità dell’accaduto risiede nel motivo che
per Alberto Stasi ed Elvo Zornitta esisteva, o esiste tuttora, un
processo a loro carico in cui erano, o sono, indagati. Mentre io,
semmai, rientro nella parte lesa. Perciò, a prescindere dal motivo che questi ultimi citati siano o non siano colpevoli, rimangono parecchio discutibili i metodi poco ortodossi che la Magistratura si permette di usare. Quando in questa maniera si comporta
con chi è parte lesa, è ancor più grave. In tal caso, il Pubblico
Ministero è colluso e connivente. Si serve, però, di terze persone
per mantenere una posizione defilata. Adottando lo stesso metodo usato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, affida, di proposito, le indagini alle corree longa manus affinché sbroglino la matassa e risolvano la spinosa questione.
Come sarà possibile leggere nella prossima sezione di capitolo e riscontrandolo, oltretutto, durante la lettura successiva, i responsabili degl’istituti scelgono a chi affidare le indagini, onde
evitare che enti statali di rilevante caratura risultino macchiati.
Questo nondimeno si verificò nel caso del presunto agente delle
Forze dell’Ordine oppure funzionario dell’U.S.L. o, persino, entrambi i ruoli. Tutelando, in questo modo, persino le aziende che
compivano azioni delittuose.
Usare la parola «compivano» è demagogico perché non credo
proprio che ora i reati rimangano incompiuti, né tantomeno alla
scomparsa di quei sistemi che gli enti istituzionali utilizzano per
parare qualcuno.
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Il Consiglio dell’Ordine (fase due)
È il 18 maggio 2001 e, con le parole sotto riportate, il consigliere M.C. – designato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati – delibera in merito alla mia denuncia nei confronti dell’avvocato P.C.M.:
«Letto l’esposto presentato in data 07 marzo 2001 dal sig. De
Marco Fabrizio, nei confronti… esaminate le contro-deduzioni
offerte dal precitato Avvocato e la documentazione presentata a
sostegno delle stesse; considerato come i sospetti genericamente
avanzati dal signor De Marco in ordine a una possibile infedeltà
nel patrocinio prestato dall’Avvocato, trovino ampia e convincente smentita nei documenti – falsi perché mai saranno consegnati al delatore – prodotti in atti, e dai quali si ricava la prova
di un’accurata tutela degl’interessi da parte dell’Avvocato; ritenendo pertanto che nella condotta serbata dall’avvocato P.C.M.
non è dato a riscontrare alcun elemento di possibile riprovazione
disciplinare: si delibera l’archiviazione dell’esposto del quale in
premessa.».
L’avvocato P.C.M. è un debosciato che continuerà a lavorare
grazie ai Sindacalisti, farabutti corruttori della Giustizia, che gli
concederanno un posto all’interno del sindacato C.I.S.L. Informazione che otterrò alcuni anni dopo perché, a bruciapelo, avrò
un primo incontro con l’avvocato G.P.C. Ossia uno degli Avvocati che, telefonicamente, mi saranno consigliati direttamente da
un Legale che non si occupava, in particolar modo, di Diritto del
Lavoro. L’argomento sarà trattato in maniera più dettagliata nel
corso della lettura e fornendo il contenuto del primo incontro.
L’avvocato G.P.C., non essendo ancora informato di questa
vicenda, mi fornirà in maniera involontaria informazioni particolari e probanti l’esistenza di perlomeno un tornaconto in favore del prezzolato avvocato P.C.M.
Non solo, ma il consigliere dell’ordine istruttore della pratica
(M.C.) era molto probabilmente un amico dell’avvocato P.C.M.
Durante una delle registrazioni audio che consegnerò alla Procura della Repubblica ed eseguita nell’anno 2000 dentro lo studio legale dell’Avvocato corrotto, si udirà che M.C. è menzionato in modo amichevole dalla segretaria dell’avvocato P.C.M.
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Lei entra per informarlo dell’arrivo di una chiamata telefonica, e
la forma scelta era talmente confidenziale che sembrava di udire
la voce di Roberto Benigni nel film «Il piccolo diavolo», quando rivolgendosi al consumato attore Walter Mathau, gridando,
chiamava: «Maurizio!».
L’avvocato consigliere M.C., designato dal Presidente, risulterà, inoltre, lavorare all’interno dello stesso stabile professionale dell’avvocato della C.G.I.L. (A.V.). Com’è stato letto in precedenza, il 29 gennaio 2001 fui costretto a prendere contatto per
tentare di affiancarlo all’avvocato P.C.M.
Intanto trascorrevano i mesi, e l’unico risultato che avevo ottenuto era il recupero di quello che l’azienda stava trattenendo,
dov’ero rimasto nell’attesa che l’Avvocato mi spedisse la fattura. L’importo si aggirava sulle duecento-trecento mila lire e doveva pervenirmi ancora durante le ferie invernali, ma considerando la denuncia prodotta, nei giorni seguenti quest’ultima. La
fattura che l’Avvocato avrebbe dovuto recapitarmi dopo Natale,
non pervenne perché sapeva benissimo che lo avrei scaricato.
Dovevo, a questo punto, ripartire da zero andando alla ricerca
di un altro Avvocato, e il 7 giugno accennai un iniziale tentativo
spedendo un annuncio in alcuni studi Legali:
«A.A. Offro Lavoro.».
«Operaio, licenziato, cerca Avvocato serio, professionale, tenace, sveglio, leale e che non si lasci corrompere.». «No a ipocriti e ingannatori.». «Se lei ritiene di appartenere a questa rara
categoria, prenda in mano la causa dopo aver preso in mano la
copia, parziale, della documentazione depositata negli uffici del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati…».
Nella comunicazione scritta su un altro foglio e datata sempre
07 giugno 2001, al Consiglio dell’Ordine scrivevo di voler entrare in possesso degli atti concernenti la documentazione prodotta dall’avvocato P.C.M. Cercava di cavarsela a buon mercato
e la vertenza non era affatto archiviata.
In seguito, eseguo una chiamata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, a cui risponde una donna che m’invita a richiamare dopo mezz’ora. Intanto, le lascio i miei estremi.
«Pronto, studio dell’Ordine degli Avvocati», risponde la stessa donna che mezz’ora prima…
«Pronto, sono De Marco Fabrizio», la informo.
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«Pronto, buon giorno, ci siamo sentiti prima no! E mi può un
attimino ripetere quando ha spedito… e che cosa aveva richiesto
qui all’Ordine…?», chiede l’addetta per rintracciare la pratica
che riguarda la mia controversia, e poi aggiunge: «No, siccome
non c’è la mia collega che protocolla… devo risalire…».
Evidentemente la persona al telefono non era una comune segretaria.
Allora le comunico il numero di protocollo, e sebbene sbagli
a indicarlo avvertendola che sul fax spedito non era riportato, lei
rintraccia la pratica concernente il fax e poi asserisce: «Questa è
una vertenza che viene riportata in Consiglio… penso in questa
settimana. Di conseguenza, lei deve attendere una risposta nella
prossima.».
Non riuscendo a intendere che cosa stesse a indicare la parola
«riportata», chiedo: «Come? Cosa significa riportata?».
Allora, ella mi delucida: «Siccome lei ha scritto un’ulteriore
segnalazione, il fascicolo ritorna nelle mani del Presidente o del
Consigliere e se ne riparla in Consiglio…».
«Guardi che mi è già pervenuta una lettera firmata da M.C.,
in cui scriveva che la vertenza era archiviata. Pertanto, ho inviato un fax rigettando l’archiviazione…», inizialmente la informo,
e lei comprende quello che sto esponendo, allora aggiungo: «Io
richiedo le indagini che sono state eseguite!».
Lei mi risponde: «Ed io le sto dicendo che in merito a questa
sua comunicazione, la pratica sarà ridiscussa… perché lei ha riscritto…».
«Sì, ho riscritto… tuttavia non è che abbia fornito motivi per
doverla riaprire!», le comunicai.
La sua risposta fu: «Ma, comunque, è una cosa che anche se
archiviata viene ripresa un attimino in mano... e vedremo quello
che deciderà il Consiglio… va bene?».
«Va bene un par de ciuffoli!», avrei voluto risponderle, e invece le risposi: «Però la decisione non cambia ciò che richiedo,
ossia…».
«Eh... ma io non so...! Non ho il fascicolo... qui sotto mano,
lei deve attendere quello che decide l’Avvocato Consigliere…
non so cosa dirle.».
Continuando la conversazione con quest’addetta, io metto in
evidenza che la ridiscussione della vertenza non sta comportan95
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do un’informazione, magari tramite una lettera e come avvenuto
inizialmente. Allora lei, un po’titubante, mi risponde con quelle
classiche paroline che gli Avvocati sanno ben usare per persuadere chi sta di fronte.
«Siccome lei sul fax fa sempre riferimento a quanto accaduto
con… non è riaperto! Ma è, comunque, una lettera che continua
la sua precedente... giusto?», lei gravemente afferma contraddicendosi e non lasciando più intendere quali siano i sistemi usati
in queste specie di…
Allora, puntualizzo ribadendo: «Vorrei avere in mano le motivazioni che hanno comportato l’archiviazione.».
«A questo punto il Consiglio deve rivedere... un attimino, poi
le verrà senz’altro inoltrata una comunicazione…», sosteneva la
segretaria.
«In caso, restiamo ad attendere questa nuova decisione… ed
a quel punto mi forniranno allegata la documentazione e le motivazioni in base a ciò che hanno deliberato», esigo io.
«Va bene, arrivederci!», rispose l’addetta.
Alla fine di giugno del 2001, inviai al Consiglio dell’Ordine
una comunicazione che riepilogava le gravi mancanze commesse dall’Avvocato. La inoltravo in virtù della telefonata che, in
precedenza, avevo eseguito al Consiglio dell’Ordine e in cui mi
era stato riferito che il 22 giugno 2001 avrebbero ridiscusso la
vertenza. Poi rimanevo in attesa di ricevere una comunicazione.
Siccome sul fax che avevo trasmesso non c’erano argomenti tali
da motivare una riapertura della vertenza, preparavo un elenco
per spedirlo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Inviavo, quindi, questa nuova informativa casomai il Consiglio dell’Ordine non mi garantisse ancora la ragione. Questi sono i punti salienti descritti nella relazione e non lascianti dubbi
in merito a quanto di grave era occorso:
 l’Avvocato pospose, ben una ventina di giorni, la data di
compilazione della letterina inviata alla Piramide, datandola 29
novembre 2000. Infangando la verità, favorendo l’azienda e salvando la faccia al Sindaco del comune in cui abito, che telefonò
in casa mia solamente dopo che la Piramide gliel’ordinò perché,
a quest’ultima, era arrivata la lettera del Legale, ossia l’avvocato
P.C.M.;
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 nella lettera riportante la data del 29 novembre 2000, mostratami quando, finalmente, riuscii ad avere un secondo appuntamento, lui richiedeva soltanto la parte economica. Quindi non
aveva indicato la restituzione dei documenti che l’azienda stava
trattenendo, i quali consistevano nel libretto di lavoro e la patente per la conduzione dei Generatori di Vapore;
 l’Avvocato mi ostacolava e voleva che intraprendessi, per
prima, un’altra causa giudiziaria per recuperare i presunti cinque
milioni di lire mancanti, e separatamente dalla vertenza primaria
di licenziamento;
 l’Avvocato trascurò la causa di licenziamento fino alla fine del 2000. Quando ai primi di gennaio del 2001 si accorse che
io volessi iniziare subito la vertenza giudiziaria riguardante il licenziamento – fissando il tentativo di conciliazione e preparando, nel frattempo, i conteggi per l’altra eventuale causa –, incominciò a esprimersi usando il termine «quantum». Da un giorno
all’altro emerse che non servisse più promuovere una causa separata e m’indicò il suo Consulente del Lavoro. Di cui, villanamente, storpiò il cognome;
 l’Avvocato decise di unificare le due cause nell’istante in
cui capì che stavo attribuendo la priorità a quella più importante.
Lui, sì, mi permetteva di ottenere un beneficio, ma causava anche la perdita di tanto tempo. Favoriva l’azienda, perché fino a
quando i conteggi non fossero stati pronti, la causa di licenziamento sarebbe rimasta in sospeso. Così l’azienda avrebbe potuto
procedere con tutti i suoi porci e sporchi comodi utili per osteggiarmi;
 il Consulente del Lavoro incominciò a farsi rincorrere, al
punto che mi misi persino a verificare casomai lui e l’Avvocato
fossero presenti. Certamente non erano a Honolulu, e nonostante il Consulente del Lavoro avesse perfino uno o due uffici in altri luoghi del Friuli, era presente ogni settimana. Attesi notizie
per all’incirca due mesi dall’ultimo incontro avuto con il consulente del lavoro E.O., dopodiché spedii la denuncia al Consiglio
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dell’Ordine. Nell’esposto puntualizzavo che doveva esserci, per
forza, un tornaconto in favore dell’Avvocato, con l’azienda che,
in aggiunta, si vide costretta a salvare la faccia del Sindaco.
L’avvoltoio P.C.M.
Il 9 agosto 2001, il messo del Giudice di Pace esercitante a
Udine timbrava l’atto di citazione che una tale B.B., probabilmente svolgente il praticantato nello studio legale dello squallido avvocato P.C.M., redigeva per conto di quest’ultimo. L’atto
contiene, annessa, una procura speciale alla lite, per assisterlo, e
della quale, per agevolare il lettore nel comprendere a quale razza vermiforme appartenesse il cavalocchio P.C.M., la parte che
ritengo essenziale riportare, qui sotto, sia questa.
«DIRITTO». «Le circostanze sopra riferite rendono evidente
da parte dell’Attore la necessità di procedere in via giudiziale
nei confronti del Convenuto, per conseguire il soddisfacimento
delle ragioni da lui vantate nei riguardi di quest’ultimo.».
«Per quanto riguarda la prestazione professionale svolta in
favore di De Marco, il credito vantato dall’Attore ammonta a lire 3.000.080 mila.». «Qualora l’ufficio accertasse la configurazione dell’ipotesi di reato a carico del Convenuto, l’Attore chiederebbe, inoltre, in più la liquidazione del danno morale da lui
patito, con l’importo ritenuto da giustizia e, tuttavia, entro i limiti della competenza per il valore dell’intestato ufficio.».
Dalle parole, non solo si evince che l’Avvocato, «poverino!»,
piange una situazione che lo dispera, ma si capisce, oltretutto,
che la cifra azzardata dallo stesso è un risarcimento per il mancato guadagno di una causa lavorativa che si può avviare. Eppure io con lui non mi ero ancora accordato per nessuna causa. Né
avevo firmato per il tentativo di conciliazione obbligatorio, a lui
ancora da demandare. Né tantomeno per una prima udienza che
di sicuro sarebbe slittata alle «calende greche». Per, al massimo,
un paio d’ore d’intrattenimento nello studio legale, in tre incontri, e una quarantina di minuti con il suo Consulente del Lavoro,
l’importo richiesto era da Legale di Berlusconi: un uomo vera98
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mente con la testa sulle bugie. Tre milioni di lire, ora sarebbero
tremila euro. Se, in aggiunta, dovessi valutare quanto corrispose
quel mio leggero amico che, tramite l’avvocato I.M., perse una
causa che perdurò tre anni, l’ammontare richiesto dall’avvocato
P.C.M. sarebbe il doppio della sua spendita.
Decisi di non presentarmi all’udienza fissata per il mese di
ottobre 2001, perché la condanna per contumacia era la soluzione preferibile da adottare in quella circostanza. Non avrei perso
tempo con una causa diuturna e, per di più, avevo in mano molti
elementi in più di quelli che l’avvocato P.C.M. potesse presumere essere in mio possesso. Tra l’altro, avrei dovuto trovarmi
un Legale che seriamente mi difendesse – ne dubito molto – in
una vertenza giudiziaria contro un suo simile.
La condanna per contumacia è una sentenza che si subisce
senza che alcuno ti possa giudicare dichiarando che avessi torto.
L’assenza di una persona che non si presenti può sempre esser
dovuta ad altri motivi, e questa forma di condanna non avrebbe
potuto pregiudicare gli esiti delle altre azioni penali intraprese,
ma quelle future, per la causa di lavoro, erano già compromesse.
Inoltre, l’assurdo risiedeva nel motivo che avrei dovuto affrontare una vertenza giudiziaria contro un Avvocato indubbiamente
coperto dal Consiglio dell’Ordine, non esaudiente le mie richieste sia scritte sia telefoniche. Il paradosso nonché risiedeva nella
motivazione che dovessi essere giudicato da un Giudice di Pace
esercitante nella stessa città dell’Avvocato e suo stretto parente
professionale. Senza trascurare che, direttamente o in linea trasversale, il Giudice possa conoscere l’Avvocato oppure qualche
suo particolare collega e/o amico. Così, infine, il giudizio finale
non sarebbe stato assolutamente integerrimo.
Io avrei dovuto promuovere una causa… condannandolo a risarcire tutte le mensilità, più i contributi, che stavo perdendo da
quando il tentativo di conciliazione fosse stato fissato, e procedendo come volevo io.
Alcuni mesi dopo l’udienza e costatando che la sentenza non
mi fosse pervenuta nel termine di sessanta giorni, tramite un vaglia postale pagai duecento euro all’Avvocato.
In data 19 aprile 2002, a casa mia perveniva una raccomandata dell’Avvocato, che mia madre rifiutò senza firmare alcunché.
Alcuni istanti dopo, il postino le rilasciò l’avviso di giacenza. Io
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ero fuori di casa, e paese, per spedire una raccomandata perché
non mi fidavo più a inviarle dall’ufficio postale di Mereto. Non
le spedivo più da molti mesi. L’ultima inviata risaliva al 31 agosto 2000. Proseguendo la lettura, si potrà capire il motivo.
In aggiunta, ero fuori di casa per una commissione e per recarmi al P.R.A. (Pubblico Registro Automobilistico) dove avevo iniziato a richiedere le visure di alcuni veicoli da me denunciati. Qualche giorno dopo il 19 aprile 2002 fornii al postino la
notizia che non mi sarei recato in posta. La lettera era considerabile rifiutata.
Alla fine di giugno del 2002, un Ufficiale Giudiziario fu incaricato di recarsi nella casa dove abito, ma io ero ancora assente.
Allora egli eseguì soltanto una perlustrazione e in modo da controllare se ci fossero beni da pignorare. Dopodiché, parlò al telefono con me perché mia madre si mise in contatto chiamandomi
sul telefono cellulare.
In data 07 luglio 2002 eseguii una richiesta d’estinzione del
processo esecutivo scrivendo un’iniziale lettera al Tribunale.
«Con la presente v’informo che non pagherò i tre milioni di
lire sentenziati dal Giudice di Pace, perché l’Avv. P.C.M. vanta
crediti inesistenti e ha parecchio da nascondere.».
«Io dall’Avvocato non ricevo niente, mi riferisco alla lettera
arrivata durante la mia momentanea assenza il 19 aprile, lasciata
in posta… e se le vostre prossime missive dovessero essere recapitate come la prima – contenente l’atto di citazione – cioè recanti posteriormente il timbro dello studio legale dell’Avvocato,
le rifiuterò.».
«L’Avvocato ha dovuto rivolgersi a voi, suoi conoscenti, dopo che avevo messo alle strette il Consiglio dell’Ordine che lo
stava parando e perdeva tempo per permettergli di preparare atti
e documenti gonfiati…».
«Voglio focalizzare l’aspetto probante che il Giudice di Pace
meno distante dal paese dove abito, esercita a Codroipo e non è
quello della città di Udine. Foro appartenente a una persona con
la quale l’Avvocato andrà, oltretutto, a pranzo insieme.».
«In due comunicazioni inviate a una quasi autorità nazionale,
io ricusavo il Giudice di Pace esercitante a Udine, sia per la sua
vicinanza con l’avvocato P.C.M., sia per la stretta parentela professionale…». «Tuttavia, ora sono informato che qualora doves100
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si vincere la causa, l’azienda mi risarcirebbe: gli anni di lavoro
persi, la reintegra e i contributi previdenziali.».
«L’avvocato P.C.M. sarà il responsabile della sentenza finale
nella causa contro la Piramide. Qualora dovessi perderla, non riceverebbe niente.».
«I miei genitori si oppongono al pignoramento di ogni bene
da loro posseduto o che si trovi all’interno della proprietà visitata in mia assenza dal vostro Ufficiale Giudiziario, Dr. P.».
Al termine di questa comunicazione, in pratica informavo asserendo che a causa dell’avvocato P.C.M. stessero allungandosi
i tempi, perciò il risarcimento s’incrementava. Quindi, prendevo
la scandalosa vicenda come un male che non fosse venuto tutto
per nuocere. Se avessi ottenuto un lauto risarcimento, avrei garantito all’Avvocato un regalo in lire pari a tre milioni.
Riguardo alla visita dell’Ufficiale Giudiziario, c’era un dettaglio di cui mia madre m’informò solo mesi dopo. Lei mi comunicò che alla fine di giugno del 2002, lui si presentò in casa nostra mostrando una firma che attestava il ricevimento della raccomandata pervenuta il 19 aprile 2002.
Era impossibile e assurdo che mia madre avesse firmato, e allora denunciai l’avvocato P.C.M e l’accaduto, alla Procura della
Repubblica. Si trattava di un’estorsione, una firma ottenuta dopo il 19 aprile, circonvenendo e imbrogliando mia madre che è
sempre stata una persona ingenua, credulona, e della quale molti
approfittano.
Prima di riportare uno stralcio della delazione trasmessa alla
Procura della Repubblica, racconto un aneddoto per permettere
di capire quant’è ingenua mia madre. Questo è un incentivo per
poterle attribuire logiche responsabilità.
Era una domenica e nella trasmissione «Mezzogiorno in Famiglia», in onda su Rai Due, c’era una persona nota fotografata
di spalle, la cui identità doveva essere indovinata dai partecipanti al gioco telefonico. Capitò che nessuno riuscisse a individuare
chi fosse il personaggio, e il gioco telefonico proseguì la domenica seguente. Siccome durante un’iniziale serie di telefonate, la
persona non fu indovinata, l’enigma riprese perlomeno a distanza di un’ora. Non appena un giocatore indovinò di chi si trattasse, il personaggio che dava le spalle si girò mostrando il viso ai
telespettatori.
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La fotografia era nient’altro che il fermo immagine di un filmato, però mia madre esclamò: «Ma povera, è dovuta rimanere
ferma e immobile tutto questo tempo sperando che qualcuno indovini... chissà che rottura di scatole!».
Allora le risposi: «E sì, pensa che è lì ferma e immobile dalla
scorsa settimana.». Poi, ovviamente, dovetti spiegarle quello che
chiunque avrebbe capito.
Il 14 aprile 2003, scrivevo l’ennesima denuncia alla Procura
della Repubblica:
«Di recente, mia madre mi ha riferito riguardo a un episodio
grave.».
«L’Ufficiale Giudiziario del Tribunale di Udine, presentatosi
in casa mia… mostrò a mia madre una firma che lei non aveva
messo e la quale attestava il ricevimento di una raccomandata.».
«Il giorno in cui arrivò la lettera, mia madre non la ricevette
perché fu riportata in posta. Poco dopo, il portalettere le consegnò l’avviso di giacenza che lei mi fornì non appena tornai a casa.». «Alcuni giorni dopo, comunicai al postino di rimandare la
lettera al mittente… e ora mi chiedo… come mai gli avvisi di
giacenza sono rilasciati senza la data completa – che includa altresì l’anno – o, ancor meglio, senza un timbro con la data?».
«Non tollero, inoltre, quello che è stato intentato nel Tribunale – Palazzo di Giustizia – in cui si è svolto un processo, di parte, da ritenersi nullo. Luogo dove, per poterlo tenere, si è dovuto
violare la Legge sulla competenza territoriale del Giudice di Pace e quella sul diritto territoriale del convenuto.».
«Tutto quello che è accaduto dopo la sentenza di un processo
di parte, nullo, non è sicuramente degno di persone che rappresentino quella Legge dov’era stato accertato, in modo obbligatorio, che mancassero i requisiti legali per lo svolgimento.».
«Io non sono tenuto a impugnare la sentenza, giammai vista,
di un processo nullo, bensì le mie contestazioni devono comportare l’avviamento di un procedimento penale, e disciplinare, nei
confronti di chi lo ha richiesto a Udine non potendo ignorare le
Leggi che avrebbero evitato un processo ampiamente di parte.».
Il 25 agosto del 2003 e dopo esser divenuto a conoscenza riguardo a una specifica azione giudiziaria che potevo avviare, in
modo definitivo misi termine alla controversia. Inoltrai una seconda lettera al Tribunale, in cui scrivevo:
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«In base alla precedente inviatavi e sommando i motivi indicati alla spettabile Procura della Repubblica, richiedo ed esigo
l’annullamento del processo che è stato intentato ai miei danni
dall’avvocato P.C.M. Di conseguenza, si provveda alla revocazione della sentenza che oramai e passata in giudicato.».
«Voglio intendere che il Giudice di Pace ha emesso una sentenza senza sapere e – forse – senza che fosse obbligato ad accertare che il sottoscritto non era tenuto, per Legge, a partecipare all’udienza e, quindi, al processo.». «Perciò, ora addotto questo tipo d’impugnazione.».
La revocazione è un metodo d’impugnazione con il quale ci
si avvale di un particolare motivo di annullamento della sentenza, costituito da un vizio della volontà del Giudice, formatasi su
presupposti errati. Revocazione esprime, appunto, il concetto di
«rimozione» della sentenza da parte dello stesso organo che l’ha
pronunciata. La revocazione, termine che rappresenta un mezzo
d’impugnazione usato assai di rado, oltretutto è proponibile, in
certi casi, contro sentenze passate in giudicato.
Dopo la lettera del 25 agosto 2003 che inoltrai al Tribunale,
l’Avvocato alzò completamente bandiera bianca. Scomparve per
sempre nonostante, oltre a essersi rivelata una persona squallida,
avrebbe potuto riprendere la causa citandomi nel foro giudiziario di Codroipo, ma non poteva più illudersi di vincere. Gli elementi a suo carico erano oramai tanti, e se anziché fornirli alla
sola Procura della Repubblica, li avessi portati a Codroipo e accresciuti, il successivo Giudice di Pace avrebbe potuto condannarmi solamente rivelandosi di parte.
L’argomentazione presentata deve fungere da deterrente affinché non si continui a procedere alla riduzione del numero dei
Giudici di Pace. La maggior parte di quelli che si sta togliendo
di mezzo è proprio quella che esercita all’interno dei fori giudiziari posti fuori dai capoluoghi provinciali. Fori Giudiziari minori in cui per di più lavorano quei Giudici che potrebbero ancora garantire che la corruzione non regni. Ossia nel caso che certi
Avvocatuccoli si servano di Giudici che lavorino nelle: grosse,
medie e piccole città come Udine, in cui esercitano la loro professione. Tuttavia, con la scusa di risecare i costi si stanno sopprimendo i diritti del cittadino e si appoggiano i Giudici che, per
tale motivo di vicinanza appena descritto, conoscono e permet103
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tono agli Avvocati di ottenere processi o procedimenti di parte e
sentenze in proprio favore. Processi aumma aumma che potrebbero nascere anche quando a citare sia un conoscente che risieda
nella stessa città del Giudice.
Gli incidenti
Nell’estate del 2001, un informatore mi comunicava la notizia che nell’azienda in cui avevo lavorato era accaduto un grave
incidente a un mio ex collega Conduttore. Si trattava di G.B., lo
stesso Conduttore che, per ultimo, smise di occuparsi della caldaia del rep. 142 dopo che gli altri avevano già smesso. Non era
stato in grado d’opporsi ai voleri aziendali e stava pagandone le
conseguenze. La mia mancanza sul posto di lavoro, determinata
dall’essersi sbarazzata di un lavoratore che avrebbe tenuto a bada l’esagerato sfruttamento dei Conduttori di caldaie, concedeva
«carta bianca» all’azienda e l’autorizzazione per ricominciare a
«dettar legge». A pagarne le conseguenze per primo sarebbe stato G.B., perché costretto di nuovo a sopportare le prevaricazioni
dei dirigenti e i loro diktat.
Non avendo sufficienti informazioni sull’incidente, e preoccupato per le sue condizioni, mi recai in visita quand’ormai era
in convalescenza da mesi. Fui informato tardi e allora potei soltanto recarmi dove abitava, distante suppergiù sei chilometri da
casa mia.
G.B.: un ragazzo dal capo di rosso chiomato, di media statura, dall’animo buono e troppo acquiescente per un’azienda abituata ad approfittare dell’altrui disponibilità, lui nutriva una passione smisurata per il body building o culturismo.
Dotato di un fisico possente, se ne prendeva cura con maniacalità e stava sempre attento all’alimentazione, questo perché il
body building non era per lui solo un hobby. Non è uno dei tanti
palestrati che si esibiscono sulle spiagge per mostrare i muscoli
alle pupe, ma è uno che praticava questo sport per passione. Partecipava a gare, tornei e portava a casa trofei che fiero mostrava
a noialtri colleghi e a qualche altro lavoratore. Poi, lavorando in
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un’azienda come la Piramide, di certo la prestanza fisica non era
disprezzata quando per compiere determinati lavori servissero i
muscoli. Quindi il mio ex collega G.B. era, oltretutto e oltremodo, sfruttato per caricare e scaricare gli essiccatoi. Ovverosia un
genere di mansione che, a causa della doviziosa quantità di polveri dispersa nell’aria, obbligava a un incessante impiego della
maschera facciale congiunta a una speciale tuta usa e getta.
G.B. stava eseguendo un intervento di manutenzione, smontava una 1flangia e allentava i bulloni che la tenevano unita. Per
qualche motivo a lui sconosciuto, la tubazione era in pressione e
si ritrovò investito da una copiosa quantità di acido nitrico avente un elevato potere corrosivo.
Di solito, quando si procedeva allo smontaggio di una flangia
era per sostituirne la guarnizione piazzata al centro e che, a causa dell’acido, sapevamo non possedere una lunga durata. Oppure smontavamo una flangia se la tubazione aveva qualche perdita. Attraverso il distacco delle due piastre che la tenevano unita,
ottenevamo una sezione di tubo da riparare. Questi erano i motivi fondamentali, tuttavia potevano anch’esserci degli altri.
Il giorno in cui mi recai in visita a Gianni dovetti faticare un
po’ per trovare dove abitava, perché la sua dimora era situata in
fondo a una stradina delimitata lateralmente dai muri delle altre
case. Giungo con l’automobile notando che nel cortile c’è la sua
posteggiata, allora parcheggio la mia e scendo. Poi, a un signore
un po’ anziano, suo padre, che passeggiava lì vicino, chiedo: «È
in casa Gianni?».
«Sì, sì, è qui», risponde suo padre, ma la moglie di Gianni,
udendo il rumore di un’auto e le parole pronunciate, si trovava
ormai sull’uscio di casa nonostante stesse accudendo il piccolo
pargolo, l’ultimo nato da una splendida relazione matrimoniale.
«Ciao Paola, sono venuto a trovare Gianni per sincerarmi su
come sta.».
«Ciao, Ehm! Ah, sì! Fabrizio vero?».
«Esatto, ciao come sta Gianni?».
«Entra pure… Gianni è qui dentro, è a casa... entra pure», lei
m’informa e invita a entrare, così dopo pochi passi mi ritrovo
1
Giuntura formata da due piastre di metallo saldate o avvitate ai rispettivi tubi,
che bloccate una di fronte all’altra, di solito tramite dei bulloni, consente di unire due
tubazioni per ottenere il passaggio del fluido da un tubo all’altro.
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già davanti agli occhi un grazioso bebè all’interno di un box o
un girello, con il papà vicino.
Lo sguardo amareggiato mentre dolorante tentava di muovere
un greve passo per venirmi incontro, si abbassò all’improvviso
lasciando emergere in lui una certa rassegnazione alla grave situazione che lo colpiva e, sicuramente, nondimeno affranto per i
suoi quadricipiti che, a livello agonistico, erano importanti.
Non appena mi avvicino posandogli una mano sulla spalla, lo
saluto: «Mandi Gianni, e allora... come stai e cosa ti è accaduto!», e poi aggiungo: «Mi dispiace per il ritardo ma l’ho saputo
da poco...».
«Come vedi sono in convalescenza e mi reggo in piedi a malapena», rispose con gli occhi languidi dei cani di Green Hill.
Dopo un po’ che conversavamo riguardo al piccolo nascituro,
il tutto per smorzare la tensione argomentando con altre piccole
divagazioni, Gianni pronuncia: «Ora ti mostro l’intervento che
ho subito», poi aggiunge esclamando «Guarda che disastro!».
Gianni indossava i calzoni di una logora tuta ginnica, e sottostante aveva alcune garze ancora applicate per assorbire le suppurazioni che la pelle continuava a secernere sotto forma di pus
e altri liquidi. Le cosce erano completamente rovinate e le bruciature si estendevano fino all’inguine. A queste diffuse lacerazioni si sommavano altre piccole scottature perché la protezione
tessile, indossata, non era stata in grado di resistere nemmeno ai
copiosi schizzi provocati dall’acido, in pressione, fuoriuscito.
«Stavo smontando il tubo che passa davanti a… hai presente
quello davanti alla cisterna… per fare la miscela…? Il tubo era
ostruito, quindi dovevo allentare i quattro bulloni che tenevano
unita la flangia, quando all’improvviso...», mi spiegò Gianni.
«Sì, Gianni, adesso ho capito quali sono il tubo e la flangia»,
gli confermai.
«Eh...! Però sai… io non stavo indossando la tuta antiacido,
portavo i calzoni… quelli blu da officina», m’informò il mio ex
collega senza il coraggio di guardarmi negli occhi. Io, purtroppo, a quelle parole non potevo credere. Erano troppi gli elementi
che portavano a comprendere si trattasse del solito espediente di
cui l’azienda si serviva per pararsi le terga. Prendendo in considerazione la mia conoscenza riguardo ad altri incidenti che erano accaduti… per finire poi manipolati, sapevo che…
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Gianni mi spiegò che l’incidente era avvenuto al parco acido,
e quando capitò era completamente solo. La fortuna, tuttavia, lo
assistette perché il caso volle che pochi istanti dopo, il responsabile del reparto ICF 1 passasse, quasi casualmente, dappresso
al luogo che fu teatro dell’incidente, soccorrendolo. Quando mi
recai in visita, lui difatti mi mostrò i danni che le cosce, in particolare, ormai malconce avevano subito. Poi, per ricostruirgliele,
avevano staccato strati di pelle da altre zone del corpo, in modo
da trapiantarla.
C’è chi, in questo caso, potrebbe pensare: «Come in uno dei
tanti interventi chirurgici di rifacimento estetico, di cui si sente
tanto pettegolare negli ultimi tempi…». Purtroppo no! O meglio
non solo, perché il suo calvario che di sofferenze ne provoca già
parecchie prima di arrivare in ospedale e d’esser sedato, sarebbe
continuato ancora. Quando un tipo di acido estremamente corrosivo, ovvero contenente una piccola percentuale d’acqua che lo
rende ancor più potente, inizia ad aggredire, intacca la pelle ancora per molto tempo poiché penetra nelle profondità dei tessuti.
Quando una persona sembrerà guarita, avrà ancora recrudescenze future perché questa sostanza continua a mangiarti lentamente la carne fino a raggiungere l’osso.
Ma G.B. ebbe un’altra gran fortuna. La prima era dovuta al
fortunoso passaggio di R.G (il responsabile del reparto ICF 1),
la seconda di possedere gambe forti – due tronchi di quercia che
permisero di rallentare l’azione corrosiva dell’acido – e la terza,
come lui mi riferì, che stava smontando una flangia collocata a
un’altezza inferiore al metro. Questa fu la sua più grossa fortuna, perché semmai la flangia si fosse trovata a un’altezza superiore e anche soltanto di mezzo metro, l’esito sarebbe stato esiziale. Gianni sarebbe rimasto vittima o avrebbe pagato le conseguenze per tutta la vita. Credo sia chiaro che quando ci si riferisce a una quantità di acido proveniente da una flangia collocata
a un’altezza superiore, il rischio che vada a investire organi del
corpo più importanti e vitali, sarebbe assai più elevato.
Alla presenza di sua moglie e alternandosi con lei senz’alcun
disaccordo, G.B. mi intrattenne con un piccolo aneddoto. Paola
che, oltretutto, anni prima aveva lavorato alla Piramide ma perse
il lavoro quando fu chiuso il reparto citato ancora all’inizio con
il nome di «Dinamiteria», era ugualmente piuttosto affidabile.
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Alcuni dirigenti-quadri si recarono in visita a G.B. mentre si
trovava ricoverato in Ospedale. Mi raccontò che in quel giorno
restò molto deluso dal comportamento che tennero nei suoi confronti… Sua moglie annuì quasi schifata. Lei era sdegnata, non
solo perché dopo alcuni anni aveva rivisto certe facce, ma anche
per aver osservato che il grave incidente accaduto al marito, era
minimizzato. I dirigenti-quadri recantisi in visita nel nosocomio,
si erano precipitati là per un’altra ragione.
Tra questi si annoverava il suo ex responsabile di reparto, divenuto, in seguito, diretto superiore del marito: il Beduino D.M.
Mi raccontarono che gli altolocati aziendali, anziché sincerarsi
delle condizioni di Gianni, del suo stato fisico e mentale e, perché no, accennando parole di conforto e d’incoraggiamento che
dimostrassero un rammarico per l’accaduto, invece gli chiesero:
«Che cos’hai riferito alle Forze dell’Ordine nella denuncia…?».
Ma ci rendiamo conto che l’azienda, e in particolare certi dirigenti, si preoccupasse più delle parole da lui messe per iscritto,
o verbalmente trascritte, piuttosto che delle sue condizioni?
Questo stava a indicare che le mie denunce e il mio licenziamento avessero un notevole peso sul grave episodio accaduto, e
sicuramente l’azienda avrà trovato qualche scappatoia per uscire
dalla pregiudizievole situazione sfuggita al controllo. Circostanza che costituiva la cronaca di un incidente preannunciato, perché da me denunciato.
Ma poiché l’azienda doveva uscire dal compromettente guazzabuglio, come avrà agito?
Principalmente, gli Ispettori avrebbero dovuto accertare se il
Generatore di Vapore Rhoss fosse stato in funzione. Ma qualora
emergesse, la falsificazione di un documento o un’aggiunta che
bensì ne attestasse il suo stato di spegnimento, sarebbe stato un
gioco da ragazzi. Oppure – persino dopo l’incidente accaduto e
sempre nel caso in cui il Generatore di Vapore Rhoss fosse stato
in funzione – tramite l’utilizzo di un dipendente patentato si sarebbe potuto compilare, e firmare, un apposito modulo usato assai di rado. A un’eventuale verifica, il modulo avrebbe garantito
che la sostituzione del Conduttore era stata effettuata ma sebbene non fosse avvenuta oppure fosse stato falso. Il Conduttore risultante come sostituto avrebbe dichiarato una menzogna e, attraverso quest’ultima, la Giustizia all’italiana avrebbe imperato.
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Peccato soltanto che i moduli fossero anni che erano inutilizzati,
e, quindi, rendendo necessario un concreto utilizzo non sporadico, sarebbe stato inverosimile costatare l’esistenza di documenti
riempiti con un’insolita frequenza e/o che risultassero compilati
proprio nel preciso giorno dell’incidente.
La causa sarebbe risieduta nel Beduino che, dopo il suo arrivo, ne avrebbe cessato l’utilizzo perché i capiturno patentati non
appartenevano più soltanto al reparto Nitrazioni e raramente disponevano di tempo a disposizione per avvicendarci. Loro erano
in grado di rimpiazzarci soltanto attraverso una programmazione, oppure quando un’indispensabile sostituzione era preceduta,
nonché di poco, da un’informazione.
Semmai ci fosse stata una qualche forma d’ammissione di responsabilità da parte del mio ex collega conduttore G.B., il quadro scagionante il Faraone, il Beduino ed i responsabili della sicurezza sarebbe stato bastevolmente ingannevole. Per esempio,
avrebbe inciso sull’accaduto se lui avesse ammesso che durante
l’incidente non stava adoperando uno o più dispositivi di protezione, compresa la tuta antiacidi che nondimeno noi Conduttori
indossavamo sempre.
Eppure sarebbe stato molto improbabile che G.B. non stesse
indossando perlomeno i calzoni estivi antiacidi, perché la divisa
estiva era composta da un completo di giacca e pantaloni. Conoscendo le sue abitudini, secondo me indossava almeno i calzoni.
I tessuti della tuta e della divisa estiva avevano, però, dei limiti
legati alla concentrazione dell’acido. Maggiormente l’acido fosse stato concentrato, minore sarebbe stata la resistenza del tessuto impregnato. E, tra l’altro, questi tessuti riuscivano a proteggere il lavoratore in caso di modici schizzi, ma quando le quantità
erano elevate, la prima azione da compiere appena si fosse investiti dall’acido era quella di togliersi, prima possibile, la tuta o la
divisa. Pertanto, in ogni evenienza la divisa non avrebbe potuto
garantire l’incolumità di G.B. investito da una copiosa quantità
di acido avente un notevole potere corrosivo. Si sarebbe impregnata rapidamente rendendo complicato potersela levare, perché
l’incollatura alla pelle sottostante avrebbe reso difficoltoso sbarazzarsene.
La spiegazione fornita diverrebbe ancor più valida casomai
G.B. avesse indossato solamente i calzoni estivi sorretti da una
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cinta. Forse, però, non sussistevano ancora condizioni climatiche talmente afose da costringerlo a utilizzare solo i pantaloni.
La precedente spiegazione fornita assumerebbe ancor più valore qualora la divisa utilizzata dal mio collega conduttore G.B.,
rientrasse tra uno dei due tipi in dotazione. Di conseguenza fosse una di quelle che noi sapevamo esser meno resistenti. Questo
perché le divise erano di due colori distinti e noi eravamo a conoscenza di qual era la meno consona all’impiego nella manipolazione degli acidi, ma non era proibito utilizzarla.
Una delle due tipologie di divise era, però, color blu scuro, e
l’innalzamento della temperatura comportava, oltretutto, la sua
trasformazione in un’accaldata sauna. Sotto il sole cocente e nei
locali molto caldi non si resisteva, e allora si apriva la cerniera,
si sfilavano le braccia, si annodavano le maniche della tuta al girovita e si arrotolava il mezzo busto superiore fino ai fianchi.
Qualsiasi genere di divisa G.B. avesse indossato, avrebbe costituito sempre una blanda protezione al tipo d’incidente occorso. L’elemento più importante d’acquisire era quello di appurare
se il Generatore di Vapore Rhoss fosse stato in funzione. In tal
caso ci sarebbe stato un concorso di reato perché le mie denunce
avevano reso manifesto l’illecito sfruttamento dei Conduttori di
caldaie a vapore, eppure tutto era stato zittito.
Se i metodi aggiranti che finora ho spiegato fossero stati usati
per uscire dalla situazione, sarebbe stato alleviato persino il carico di responsabilità che gravava sulle autorità esterne. Nonché
sull’ignobile Procura della Repubblica di Udine, certamente non
meno responsabile per quanto di grave accaduto. Tutti se la sarebbero cavata facilmente, e le mie denunce che nel dimenticatoio erano state sbattute, là sarebbero rimaste: sempre grazie alla
Procura della Repubblica, ma come appureremo in seguito. Ora
è arrivato il momento di narrare del secondo incidente.
Agl’inizi di questo racconto avevo enunciato che la Piramide
era in una fase di conversione delle produzioni, e da fabbrica di
prodotti esplosivi stava trasformandosi in una ditta farmaceutica. Essa includeva una polveriera per lo stoccaggio di materiale
esplosivo, che era distante pressappoco, in linea d’aria, un paio
di chilometri e situata nel limitrofo comune di Basiliano.
Questa postazione era composta da bunker e terrapieni dove i
prodotti esplosivi erano stoccati all’interno e al riparo dal calore
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del sole: posizionati in luoghi freschi e asciutti affinché non nascessero rischi di autocombustioni e conseguenti esplosioni. Gli
esplosivi stoccati erano i prodotti finiti ottenuti dalle lavorazioni, più le materie prime.
L’azienda, però, oramai produceva essenzialmente intermedi
chimici farmaceutici e, di conseguenza, il sito non era più indispensabile. Tant’è che nel 1998 fu ceduto a una ditta che fabbricava prodotti pirotecnici. La società che acquistò il sito era una
cliente della Piramide che comprava le polveri per produrre petardi e fuochi d’artificio, perciò trasformò la zona di stoccaggio
in un complesso di casematte.
Martedì 18 settembre 2001, praticamente una settimana dopo
l’attacco alle torri gemelle di New York, era una splendida giornata, l’aria appariva tersa ed era quasi giunto mezzogiorno. Ossia il tranquillissimo giorno di una zona rurale campagnola. Qui
la parola «traffico» era completamente forestiera, ma negli anni
futuri «qualcuno» si permetterà di renderla conosciuta.
Uno straniero magrebino con una vistosa sacca in spalla sta
incamminandosi verso casa mia, quando un boato riempie l’aria.
Allora lui si affretta a giungere davanti al cancello della mia abitazione, credendo che sarei uscito sulla strada. Un’onda d’urto si
propaga provocando un leggero tremolio dei muri delle case e le
vibrazioni dei vetri delle finestre. Tutt’intorno ammutolisce, non
si ode più un cinguettio né un cane che guaisce. Il brivido pervade l’anima, e l’atmosfera è avvolta da un silenzio spettrale.
Il mio primo pensiero conduce alla Piramide, dove potrebbe
essere scoppiata una caldaia o un impianto. Poi, arrivato sul terrazzo, prendo visione che una colonna di fumo nero si staglia in
cielo. Il fumo sollevato si stava espandendo perché soffiava una
lieve brezza che lo dirigeva verso Sud-Ovest. Era fumo causato
dall’esplosione di polvere da sparo o volgarmente definita «polvere nera», e allora era poco probabile che riguardasse la Piramide.
La direzionalità della colonna di fumo levatasi in aria, lentamente si espandeva dirigendosi verso Sud-Ovest lasciando presumere che lo scoppio riguardasse proprio la fabbrica di fuochi
pirotecnici. Li produceva una ditta che talvolta testava i prodotti
sparandoli in aria quand’era buio e creando spettacoli improvvisati dove ci si allietava con una sorpresa inattesa.
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Quello del 18 settembre 2001 non aveva, però, la parvenza di
essere uno spettacolo di fine estate, né alludeva all’affinamento
delle tecniche da esperire per sparare in alto i fuochi pirotecnici.
Per chi è a conoscenza delle persone che lavorano in una ditta
di fuochi d’artificio, è un continuo stare in pensiero unito a preghiere rivolte al cielo. Dio, la Madonna, gli Angeli custodi e tutti i Santi intercessori preservino coloro che lavorano nei luoghi
pericolosi, e i famigliari sono di certo i primi che invocano queste entità mistiche religiose.
«Ho sentito l’esplosione che ha fatto tremare i vetri della casa
e ho avuto un orribile presentimento», riferirà Fausto De Marco.
Salito sulla sua auto, Fausto si precipitò alla fabbrica di fuochi d’artificio in cui mio cugino, suo figlio, lavorava senza che
ne fossi ancora informato. Al papà, Fausto, quel lavoro non piaceva e creava spesso pensieri così angosciosi che stava cercando
un’occupazione meno rischiosa per mio cugino. Sebbene fosse
conscio del pericolo, Michele era fiero del lavoro che svolgeva.
Dopo l’esplosione, lui e la moglie furono i primi a precipitarsi sul luogo dove lavorava il figlio. Abitando soltanto a un paio
di chilometri, in men’ che si possa ritenere si ritrovarono tra le
macerie di quel disastro.
Fausto e Giuliana chiamarono e cercarono tra quelle macerie,
ma quando si accorsero che stavano invocando invano il nome
di Michele, iniziò il loro scoramento. Lo strazio accompagnato
dalle prime lacrime che stavano versando sapendo che niente sarebbe stato più come prima, si confondeva con le sirene dei Vigili del Fuoco che, col piede a tavoletta, ormai stavano per arrivare in ritardo. Non sarebbero mai potuti giungere prima di Fausto e Giuliana residenti a poca distanza, e così occupare il luogo
divenuto teatro dell’incidente, allontanare gli estranei ed evitare
a loro due uno scenario di tale gravità. Nonché impedire ai genitori di affrontare una dura realtà che, sommata all’orrore scaturito dall’atroce spettacolo di quel film drammatico, sarebbe rimasta impressa in modo indelebile nelle memorie di chi aveva quel
solo figlio. Come tutti i genitori, erano molto orgogliosi del loro
unico figlio che aveva regalato tante soddisfazioni, ma la consapevolezza del pericoloso lavoro svolto, li tormentava tenendoli
sempre vigili e in stato di allerta. Pronti a muoversi nel caso che
l’imprevisto accadesse.
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Michele lavorava in quella ditta da quasi sette mesi e, come
tutti i ragazzi nell’attesa di un’occupazione fissa che li soddisfi,
in modo provvisorio svolgeva quell’insidioso lavoro. Lui era un
bel giovanottone di ventisei anni che, terminati gli studi, aveva
svolto alcuni lavori prima d’iniziare ad assolverne uno così pericoloso.
Con lui c’era Piero Rutigliano, un altro ragazzo qualche anno
più anziano e, insieme, producevano quei fuochi pirotecnici che
servivano ad allietare le serate di sagre e feste popolari. Ma loro
erano soltanto i due operai della ditta, perché i titolari sono figli
di persone che possedevano un’azienda principale nei pressi di
Tarcento. In futuro, le due società si fonderanno in una sola.
La prima telefonata ai Vigili del Fuoco partì sette minuti dopo mezzogiorno, e in pochissimi altri minuti il caposquadra Ornello Ferro e i suoi compagni pompieri erano digià a bordo degli
automezzi. Pronti a schiacciare l’acceleratore per coprire il tratto di strada che separa Udine da Vissandone.
Arrivati sul luogo del disastro, compresero subito che qualora
ci fossero stati dei lavoratori, non sarebbero riusciti a scampare
il pericolo. La sciagura avrebbe, difatti, assunto le connotazioni
di una tragedia.
La scena che si presentava davanti ai loro occhi era quella di
una devastazione totale, un’area ricolma di macerie e materiali
d’ogni tipo scagliati in un raggio di cinquanta metri dal bunker
scoppiato. Pochi erano i metri interessanti la zona, perché la deflagrazione non era stata dirompente ma verso l’alto e come doveva verificarsi per non creare rischi al territorio limitrofo. Nello stesso modo in cui anni prima era accaduto alla Piramide.
Alcune persone si trovavano là e tra queste c’erano i genitori
di Michele che ormai erano, purtroppo, consapevoli della perdita del loro figlio. Ai Vigili del Fuoco rimase il compito di mettere in sicurezza i rimanenti bunker, allontanare i curiosi che stavano affluendo e scavare tra le macerie per estrarre quel che era
rimasto dei due sfortunati giovani. Rinvennero un corpo carbonizzato e l’altro ridotto a brandelli dall’esplosione.
Tre ore dopo lo scoppio cominciarono ad arrivare i famigliari
di Piero Rutigliano, avvertiti in ritardo. Prima giunse la sorella,
che si accasciò a terra per mancanza delle forze. Lei, presa dalla
rabbia, lanciò un urlo di disperazione e, alla fine, dovette essere
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riaccompagnata a casa poiché era troppo provata per riuscire a
guidare. Dopodiché arrivò il padre. Lui, non riuscendo a reggersi, crollò a terra preso da un malore e per il quale fu indispensabile l’intervento dei sanitari del 118 con l’autoambulanza.
Piero Rutigliano aveva solamente trent’anni, e, come Michele, prima d’iniziare questo pericoloso lavoro, ne aveva svolti altri. Vent’anni fa la sua famiglia emigrò dalla Puglia e si trasferì
a Udine per motivi di lavoro, luogo dove viveva amata e stimata
da tutti quelli che conoscevano i membri che la componevano.
Per alcuni anni il sito in cui si producevano i fuochi pirotecnici fu chiuso, l’area sottoposta a sequestro, e all’incidente seguì
un processo. Trascorse poco tempo dal momento in cui il sito fu
riaperto con un altro nome, al giorno in cui si ricominciarono a
udire gli scoppi, ma indubbiamente questa volta non c’erano vittime. La ditta che li produceva non aveva più lo stesso nome societario di quella in cui erano rimasti vittime i due ragazzi, oppure gli scoppi riguardavano la Piramide. Essa, quando nulla di
grave accadeva, aveva sempre le spalle coperte se si verificava
l’imprevisto, e le notizie divulgate, in seguito, sui giornali erano
incomplete: mezze verità.
Mi ricordo, ad esempio, il giorno in cui all’interno di un reparto farmaceutico divampò un incendio, a pochi metri si trovava insaccato un prodotto che, oltretutto, è considerato esplosivo.
Il giorno seguente, i quotidiani riportavano notizie frammentarie, incomplete e non rispecchianti il vero. Ovverosia quelle notizie sotterranee che le aziende possono permettersi di pubblicare su compiacenti giornali di destra, più emittenti appartenenti al
medesimo orientamento politico.
La quantità dichiarata di acetone puro stoccato era sì e no di
un ventesimo, rispetto a quella realmente presente in quel giorno. Giornali e Media, in generale, non riferirono nemmeno che
il prodotto presente nel reparto farmaceutico era considerato un
esplosivo. E se l’acetone puro incendiato, quantomeno due migliaia di litri, fosse stato quello che si trovava in fusti e piccole
cisterne situate a pochi passi dall’incendio, «l’indomani» i lavoratori avrebbero incrociato le braccia. L’incendio si propagò durante una giornata festiva mentre lo stabilimento era chiuso per
il week-end. Così toccò a una guardia giurata lanciare l’allarme
che fece precipitare là i Vigili del Fuoco.
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PARTE TERZA
PROSEGUENDO
NEL TERZO MILLENNIO
Questa fase non è soltanto il periodo nel quale
avvengono altre omissioni da parte di chi dovrebbe garantire la Giustizia, perché è quella
in cui una particolare persecuzione collettiva
prende il sopravvento.
… Tutto è male. Cioè tutto quello che è
male, è male: che ciascuna cosa che esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin
di male; l’esistenza è un male e ordinata
al male; il fine dell’universo è il male;
l’ordine e lo Stato, le leggi, l’andamento
naturale dell’universo non son altro che
male, né diretti ad altro che al male.
Giacomo Leopardi, ZIBALDONE
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Capitolo Primo
PORCO IL MONDO
CHE HO SOTTO I PIEDI
Il modello C.U.D.
Per rispettare la sequenza degli avvenimenti accaduti nei vari
settori, soltanto ora narro che, durante la mia assenza, il 31 marzo 2001 arriva l’ennesima raccomandata. Purtroppo è stata ricevuta a causa della memoria di mio padre che non funziona più
bene, oppure perché lui è irrispettoso del mio volere.
La lettera contiene il modello C.U.D. per la dichiarazione dei
redditi da lavoro dipendente. È incollato alla busta e allegato c’è
un foglio troncato nella parte superiore. In pratica è come se io
piegassi un foglio in tre parti per inserirlo in una busta rettangolare da ufficio. Dopodiché tagliassi, togliessi via, due terzi dello
stesso, lasciando scritta solo l’intestazione della società e i miei
estremi che traspaiono dalla finestra della lettera. Il foglio, allora, nei due terzi mancanti avrebbe potuto contenere altre informazioni o, perlomeno, indurre a crederlo. In apparenza, però, si
sarebbe potuto credere che quel terzo di foglio fosse stato utilizzato solamente per usufruire di una busta con finestra: un tipo di
busta che era sempre stato usato dall’azienda, per spedizioni in
casa mia.
A questo punto, assistendo all’ennesimo sotterfugio per precludermi la possibilità di contrastare l’azienda, spedii il modello
C.U.D. alla Procura della Repubblica di Udine.
Nella mattinata di domenica 24 giugno 2001, mi ero appena
svegliato e i Carabinieri di Basiliano si presentarono a casa mia.
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Erano stati incaricati dalla Procura della Repubblica di rendermi
il modello C.U.D. che avevo spedito a quest’ultima. Peccato solamente che sul foglio che firmai loro, non scrissero: «Accetta la
resa del modello C.U.D.», bensì «Accetta il modello C.U.D.», e
questa seconda maniera di scrivere credo che in molti alimenterebbe sospetti. Inoltre, come spiegherò su un multi-esposto che
consegnerò in Procura nel 2003, i Carabinieri di Basiliano in divisa, il Sindaco e il Parroco celebrante la messa di Santa Barbara erano sempre presenti ai tavoli degl’invitati ai pranzi aziendali dicembrini, i quali si tenevano nei ristoranti.
E fu proprio nell’estate dell’anno successivo al mio licenziamento che, un giorno in cui rientrai a casa da Lignano, notai affisso un quadretto pertinente al Giubileo svoltosi nel precedente
anno. Chiedendo informazioni ai miei genitori, mi riferirono che
era stato consegnato durante la giornata.
«Ma siamo alle solite... possibile che non si salvi uno!», pensai per quel che riguardava la maniera di scrivere dei Carabinieri, e allora dovetti simulare la mia incapacità nell’individuare la
sede giusta. Tramite una comunicazione del 25 giugno 2001, rispedisco il modello C.U.D. alla Guardia di Finanza, più un fax
contenente le seguenti parole:
«… ieri ho accettato la riconsegna del modello C.U.D. ma disconosco il contenuto, perché dietro a quest’ultimo si nasconde
una serie di reati. Quindi, qualora questa non fosse ancora la sede giusta per depositarlo, …». «Il modello C.U.D. che vi spedisco è incastrante ai fini della data di licenziamento, la quale ho
già contestato all’azienda. Alcuni motivi sono in mano alla Procura della Repubblica…».
Quello che scrivevo, dovevo spedirlo tramite fax recandomi
nel solito posto pubblico che utilizzavo e situato a una decina di
chilometri da casa mia, nella ridente località di San Daniele del
Friuli e tanto famosa per la produzione del rinomato prosciutto.
Una cittadina in cui verso la fine di giugno c’è «Aria di Festa»,
ossia una festante kermesse di quattro giorni che, ogni anno, da
ogni zona d’Italia raduna un elevatissimo numero di partecipanti
per degustare una delle specialità friulane.
Un grosso colpo di fortuna che, tra l’altro, descrissi nella seconda metà del foglio-fax e prima di spedirlo alla Guardia di Finanza, mi aveva permesso di «prendere in castagna» un dirigen118
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te-quadro aziendale, perché lo notai quando con l’auto passavo
davanti al punto-fax di San Daniele del Friuli.
Lo scorsi proprio mentre usciva dal punto-fax durante un orario in cui egli, invece, avrebbe dovuto trovarsi al lavoro. Proprio
per quel motivo rimandai la spedizione di qualche giorno, cambiando zona onde non essere più controllabile.
Con tanti dipendenti lavoranti all’interno della Piramide, come avrei potuto scorgere V.D.L., ossia un dirigente-quadro che
abitava in tutt’altra zona rispetto al luogo in cui era posto il punto-fax? La sua presenza non era da prendere alla leggera. Considerando che lo scagnozzo aziendale della sede legale di Basiliano, con cui ebbi quel colloquio nell’ufficio del Faraone, era riuscito a estorcermi il luogo da cui trasmettevo i fax, il sentore era
che l’azienda tenesse, come minimo, sottocchio quello che spedivo.
Alcuni mesi dopo, era il 21 agosto e fui convocato negli uffici della Guardia di Finanza dove acconsentii alla restituzione del
modello C.U.D. Prima di firmarne la riconsegna, ai graduati che
mi ricevettero richiesi di scrivere le seguenti parole:
«Accetto la restituzione del modello C.U.D. 2001 a me intestato; in merito al contenuto, mi riservo di dimostrare le mie ragioni tramite le vie legali».
Questa volta mi fu rilasciata una fotocopia autentica, mentre i
signori Carabinieri di Basiliano, una volta ottenuta la firma concernente l’accettazione del modello C.U.D., non mi riconsegnarono mai più niente. Parimenti si comportò S. il meridionale, ossia il presunto agente o scimmione o puzzone che mi convoco in
Procura per quella famosa «lunga» deposizione scritta.
I primi casi di mobbing-stalking
Intanto era davvero trascorso un anno da quand’era iniziata la
fase del licenziamento, con la mia assenza da casa perché stavo
godendo della vacanza a Lignano. Assenza della quale mia cugina – ormai diventata Avvocata – sapeva troppo. Essendo a conoscenza che le prove nelle mie mani fossero aggirabili, oppure
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qualcuno in futuro si sarebbe occupato di sottrarmele, contribuì
a rendermi bersaglio di particolari azioni iniziali.
Nel gennaio del 1997, durante i week-end avevo incominciato a frequentare un locale poiché avevo degli amici che risiedevano in quella zona. Distante pressoché una decina di chilometri
da casa mia, il ritrovo non era particolare né oltremodo frequentato. Io, fino a tutto l’anno 2000, mai avevo notato al suo interno: persone della mia stessa zona, ragazzi del paese in cui abito,
miei colleghi e neppure dipendenti della Piramide o ditte affini.
Arrivò il 2001, e nel locale che frequentavo iniziai col notare
due persone inserite nel sociale, nel politico e certamente conoscenze del Sindaco. Poi, durante il mese di maggio sarebbe stato
impossibile non riconoscere la sua auto. Quando un gruppetto di
ragazzi uscì dal locale, mi accorsi che uno di loro la guidava.
Ma questo non fu l’episodio più preoccupante, poiché una sera accadde qualcosa di assai strano. Uscendo dalla delimitazione
appartenente al paese del ritrovo che frequentavo, la mia attenzione fu attirata da un’automobile imboscata. Dettaglio che notai mentre transitavo con la mia auto e un amico a bordo. Qualche ora più tardi, quando io e il mio amico rientravamo per ritornare al locale, la stessa auto si trovava piazzata pressappoco a
settecento metri dal punto in cui la scorsi al primo passaggio.
Osservai che queste due posizioni permettevano una particolare visuale dei cartelli stradali delimitanti i centri urbani e contenenti le nomenclature dei paesi. Mi sorse allora il sospetto che
le persone all’interno del luogo di ritrovo fossero state ingaggiate per la fornitura di testimonianze false, e l’auto fosse stata sistemata in quei due punti strategici per acquisire alcune immagini da spacciare per l’anno prima. Chissà, forse usando una data falsa risalente a quando, invece, ero in vacanza a Lignano.
Gli episodi non furono gli unici perché ne capitò un altro, ma,
in precedenza, un mio amico residente nei pressi del locale, mi
mise a conoscenza riguardo alla presenza di persone del paese
in cui abito. Chiedevano notizie su di me e senza che avessi proferito una sola parola concernente quello che finora ho descritto
in questi ultimi paragrafi, perciò costoro simulavano di non essere informati riguardo alle mie denunce.
L’ultimo sabato di giugno mi trovavo nel locale e guardavo il
parcheggio del medesimo, quand’iniziò a piovere e sopraggiun120
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se una piccola automobile che eseguì strane manovre. Le azioni
m’insospettirono perché la bianca utilitaria: dapprima si avvicinò alla mia auto, poi uscì dall’area di parcheggio in cui l’avevo
posteggiata. Alcuni secondi dopo, si fermò a una cinquantina di
metri e vi rimase a lungo con il, oppure la, conducente a bordo.
Quando uscii dal ritrovo, pur non riuscendo a intravedere la
persona all’interno, agii cosicché da prendere almeno gli estremi
della targa. Dopodiché, denunciai l’occorso ma prima di procedere alla visura del numero.
Ottenuto il nome del proprietario, si trattava di una ragazza,
appurai che era a me sconosciuto e, durante successive denunce,
formulai addirittura vaghe ipotesi. Solamente molto tempo dopo
mi capaciterò che la residenza della proprietaria era posta solo a
un paio di chilometri da un luogo di mia saltuaria frequentazione estiva, ma distante perlomeno venti chilometri da dove abito.
Il luogo è un caratteristico territorio di fiume, però dotato di:
bar, ristorante e bed & breakfast. Nel 2003 sarà impreziosito da
un chiosco in mezzo al verde, che molti giovani cingeranno per
sorseggiare una bevanda o un cocktail di quelli tra i più in voga
negli ultimi periodi. La pergola, inoltre, sarà rifornita di tavoli e
panchine che permetteranno di sedersi in compagnia e assaporare una specialità della casa considerata un’eccelsa pietanza della
culinaria friulana. Il frico, ossia una prelibatezza ottenuta tramite due comuni alimenti: il formaggio e la patata, che scelti con
cura e particolare esperienza, una volta cotti insieme esaltavano
la sapiente maestria degli chef. Non appena questa prelibatezza
era pronta, la rotondeggiante portata di frico era appoggiata sui
palmi delle mani da leggiadre e avvenenti gentil donzelle che la
portavano in tavola accompagnandola con fette di polenta. Dopodiché, la succulenta pietanza era tagliata a spicchi o in tranci
che bramosi commensali si spartivano. Questa squisitezza si può
cucinare in una seconda maniera che la trasforma in una sorta di
friabile sbrisolona serbante il gusto e l’aroma di formaggio che,
nell’istante in cui si stacca un pezzo dalla portata, prima si sbriciola tra le mani e, infine, si scioglie in bocca. A pochi metri dal
chiosco si iniziarono a tenere serate musicali a tema, nonché festevoli congreghe di partecipanti aventi, però, rimarchevoli scopi e per il bene della collettività. Il tutto con il beneplacito di un
Sindaco avente a cuore il territorio descritto dal fratello Poeta.
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Il fiume porta il nome di «Tagliamento» ed è quello al quale
l’insigne Pier Paolo Pasolini riservò una pagina di un suo libro
poetico degli anni quaranta. Egli trascorse l’infanzia e uno scorcio dell’adolescenza a Casarsa della Delizia – cittadina poco distante dal fiume – e dove poi, con la bicicletta, si spostava nella
località di Rosa per raggiungere gli amici nel fiume Tagliamento. Pasolini nacque a Bologna ma la madre era di Casarsa della
Delizia e svolgeva la professione di Insegnante. Il padre agli arresti per alcuni debiti di gioco obbligherà Pier Paolo a dimorare
per un periodo nella casa materna in Friuli. La carriera militare
del padre lo costringerà a spostarsi spesso ed a frequentare svariate scuole, nonché a dimorare in altri luoghi, incluse di questa
regione. Abiterà per un po’ a Sacile ma non perderà mai la passione per quel luogo di fiume in cui i suoi ricordi riaffioreranno
ogni volta che la bella stagione farà capolino, e allora nell’estate
si trasferirà per trascorrervi le vacanze. All’insaputa del papà ed
a causa delle proprie tendenze omosessuali, Pasolini dovrà fuggire a Roma con la madre, ma quel tratto di fiume Tagliamento
continuerà a frequentarlo perfino quando avrà conseguito la laurea. A Casarsa della Delizia, Pier Paolo instaurerà solidi rapporti
di amicizia che, in futuro, si espanderanno interessando il Friuli
quando conoscerà altre persone condividenti le sue passioni.
In questo fiume, anch’io mi reco per trascorrere alcune ore in
compagnia di amici e amiche, e l’idilliaco paesaggio congiunto
alla tranquillità che regala un simile luogo, sono una delizia che
appagherebbe chicchessia. Trattasi di un posto in cui è possibile
starsene un po’ al sole senza dover percorrere il triplo di chilometri per raggiungere l’arenile di Lignano Sabbiadoro. Località
dove, se non sei in vacanza o se ti rechi nei giorni feriali, difficilmente conosci persone residenti in provincia e magari vicino
a te, così la giornata diventa noiosa.
Ad esempio, fino al 2010, se mi recavo al mare in un giorno
né festivo né agostano, mai capitava di conoscere ragazze residenti in provincia o nelle province friulane. Se, invece, mi trovavo in vacanza era molto più probabile, e proprio nel giugno
del 2000 conobbi Michela. Addetta in un fast-food, lei abitava a
circa cinque chilometri da casa mia e risulterà essere la figlia di
una ex dipendente della Piramide. Soltanto una volta giunti nel
2011 conoscerò, in un giorno feriale, un’altra ragazza. La quale
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mi riferirà di avere una sorella maritata nel Comune di Mereto,
perché sposata col figlio di un ex Vicedirettore della Piramide.
Elena è una viaggiatrice ma non è una Hostess, solca i mari
poiché lavora sopra una nave da crociera. Non una nave qualunque… è la Love Boath, perché anche lei e al pari della Moldava
Domnica Cemortan, era unita in modo sentimentale a un membro dell’equipaggio. L’avevo accostata a Cristina del Basso perché i tratti somatici erano simili a quelli della concorrente prosperosa del Grande Fratello dieci e che, oltretutto, sarà presente
nell’edizione numero dodici. Nondimeno lei, come Cristina, era
dotata di quella sensualità pescina che ti perviene in dono grazie
all’ascendente, alla posizione della luna o del nodo lunare nord.
Le persone sono composte di due fattori che si sommano tra loro: uno genetico-atavico e l’altro astrologico. Nello stesso modo
con il quale mi angosciai quando esplose la fabbrica pirotecnica
e andando, dapprima, a preoccuparmi per i miei colleghi, il mio
primo pensiero condurrà a lei quando l’Isola del Giglio sarà interessata dal disastro della nave Concordia. Lo stesso timore per
la sua incolumità si ripresenterà quando la seconda nave da crociera, la Allegra, della medesima compagnia, sarà interessata da
un incendio mentre navigherà nell’oceano indiano.
Dopo gli episodi narrati in precedenza e verificatisi nel locale
di mia frequentazione, ci fu un altro quando – uscito dopo aver
salutato e messomi alla guida – mi accorsi di esser tallonato da
un’auto il cui conducente era quasi certamente il medesimo che
all’incirca mezz’ora prima era entrato nel ritrovo.
Nella descrizione fornita alla Procura della Repubblica, puntualizzai che si trattasse di un ragazzo molto assomigliante al responsabile del reparto Nitrazioni, ovvero il Beduino D.M. Qualche altro episodio, da me denunciato, si verificò sempre sul percorso che portava al locale di mia frequentazione, però non fu il
solo tratto di strada interessato.
Lignano Sabbiadoro è una località balneare di una certa bellezza, e ancorché non ci si riesca a specchiare, tuttavia l’acqua è
pulita. Rispetto a molte altre località italiane i costi sono contenuti, ma in estate è parecchio caotica sia nel mese di agosto, sia
negli anni in cui le popolazioni germaniche sfruttano le loro feste religiose quando coincidono con il periodo caldo. Gli alberghi e gli hotel sono moltissimi, per tutte le tasche, e difficilmen123
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te sono tutti esauriti da non poter trovare posti liberi. Il litorale
marino si estende per circa otto chilometri, tanto da offrire delle
zone che, per chi predilige la tranquillità, permettono di rilassarsi. Chi, come Ernest Miller Hemingway, ama la solitudine può
scrivere e/o meditare. Tra discoteche, luna park, parchi giochi e
acquatici, una doggy-beach, campi da golf, allestimenti per tornei di beach volley, centri per l’equitazione, piste di pattinaggio,
un’arena per i concerti e tanti altri divertimenti, non primeggia,
però, per la vita notturna. Vanta belle discoteche ma non è considerabile la capitale del divertimento notturno sfrenato, né una
località da vip incalliti. Mancano, inoltre, scogliere e faraglioni,
eppure si sta bene. La spiaggia è bella e spaziosa; la sabbia è pulita; il servizio è ben gestito, quasi impeccabile. La nutrita quantità d’uffici spiaggia, o bagni, permette servizi igienici, cabine e
docce in gran quantità. Col trascorrere degli anni è stata sempre
più apprezzata, sia dai turisti italiani sia dagli stranieri includenti quelli nuovi perché provenienti dall’Est-Europa. Ossia da chi
ha potuto beneficiare dall’apertura delle frontiere. Sì, sì, è vero
che sto promuovendo la località balneare, ma merita.
Da casa mia, Lignano dista grossomodo sessanta chilometri e
con l’auto servono circa quaranta minuti per arrivarci. Nel 2000,
per raggiungere questa località turistica s’impiegava un’ora perché soltanto negli anni seguenti saranno eseguiti una serie di lavori che permetteranno di evitare alcuni centri urbani.
Mi accorgevo che quando andavo a Lignano c’erano dei veicoli che si tenessero a distanza e, nell’istante in cui si rendevano
conto che rallentassi affinché mi raggiungessero, diminuivano la
velocità e accostavano. Oppure, nel caso fosse possibile, svoltavano all’improvviso.
Un giorno, mentre stavo percorrendo la strada che conduce a
Lignano, riconobbi un veicolo di colore blu e si trattava proprio
di un’auto aziendale. Era una grossa station-wagon di proprietà
della Piramide ma assegnata allo scagnozzo C.V. Lui, ormai super indiziato, non guidava più quella grigia per evitare di essere
riconosciuto, oppure ne approfittava perché era stata sostituita.
Questo tipo d’incursioni lo avevo già individuato nella piena
estate dell’anno precedente, quando a Lignano mi ero recato pochissime volte. Fino al giorno in cui assistetti a una vera e propria task-force di personale e di auto impiegate. Talmente mas124
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siccia che durante il mese di agosto del 2001 fui costretto a segnalare l’accaduto, scrivendo:
«Quel giorno notai un dispiegamento esagerato di personale e
di auto della Piramide, senza trascurare ulteriori veicoli che non
avrei potuto riconoscere.». «Non è possibile che mi rechi a Lignano una volta la settimana e quasi mai nello stesso giorno settimanale, ma durante l’andata o al ritorno incrocio sempre auto
della Piramide.». «Altre volte tentarono di pedinarmi, come già
segnalato in passato.».
«Non mi sto riferendo a un qualunque dipendente che si rechi
a Lignano, ma di movimenti atti a non so cosa.». «Non riesco a
capire il perché di tutte quelle manovre giacché possiedo le prove del mio soggiorno a Lignano, nonché quelle delle mie villeggiature in altri luoghi.».
Siccome la distanza da casa mia alla località balneare di Lignano non è eccessiva, molto probabilmente l’azienda, inizialmente, tentava di dare a divedere che avessi dichiarato di essere
in vacanza quando, tuttalpiù, stessi usufruendo delle ferie come
un pendolare. Pertanto, si prodigava in un pedinamento talmente
insistente. All’inizio, quello che accadeva non era molto chiaro.
In seguito, però, compresi che, oltretutto, l’azienda stesse insistendo molto da questo lato poiché verosimilmente interessata a
conseguire un raggiro che nel locale da me frequentato non era
più ottenibile a causa delle mie denunce.
Quando un giorno di novembre si verificò un episodio simile
a quello che avevo denunciato in precedenza, il 19 gennaio 2002
scrivevo ancora alla Questura per segnalare l’ennesima intrusione nella mia vita privata. Queste erano le parole che utilizzavo:
«È arrivato il momento di rivolgermi ancora a voi giacché ho
altri episodi da segnalare.».
«Pochi giorni fa ho notato nel parcheggio della Sfinge – ditta
appartenente alla Piramide – un’auto dal colore assai particolare: verde chiaro.». «Solamente adesso posso confermare di aver
già visto quel veicolo in un giorno ben preciso.».
«Il 10 novembre del 2001, pressappoco le ore sette e trenta,
con i miei genitori ero andato a riportare all’aeroporto di Venezia un mio parente.». «Lui era rimasto nostro ospite per la seconda volta, giacché non meno presente quattro mesi addietro.
Fermandosi da noi per un totale di circa due mesi.».
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«Al momento della partenza, ma dieci minuti prima, notavo
un furgoncino che scorrazzava continuamente lungo la via in cui
abito, probabilmente per tenere sotto controllo la direzione che
prendessi.». «Fra Codroipo e Roveredo di Varmo mi accorgevo
dell’assidua presenza di un’auto che si teneva molto distante da
me, la cui marca e colore corrispondevano a quella che osservai,
in seguito, nel parcheggio della Sfinge.».
«Percorsa una curva immediatamente successiva a un incrocio che, a chi seguiva, non lasciava una visuale, rallentai parecchio fino quasi a fermarmi.». «L’auto di color verde che presumevo stesse seguendomi, prima di raggiungermi svolto bruscamente al bivio, per cambiare strada.».
«All’aeroporto di Venezia era presente il signor A.C., ovvero
Assessore Regionale all’ambiente e domiciliato nella frazione di
Pantianicco, quindi richiedo un controllo sul suo telefono cellulare, in compagnia di chi era, più la prenotazione dell’aereo.».
L’unico parcheggio della Sfinge era, in sostanza, una piazzola corta e stretta in grado di ospitare un numero limitato di vetture. Quell’auto color verde chiaro che scorsi, non era lì per rimanervi a lungo, perché transitai nuovamente a distanza di poco
tempo ed era scomparsa. In futuro, poi, modifiche strutturali e il
nuovo capiente parcheggio realizzato posteriormente, avrebbero
potuto occultare qualsivoglia vettura della Sfinge in espansione.
Una ditta confinante e situata all’interno dello stesso recinto
produceva cosmetici ma, in futuro, sposterà la sede e le produzioni a una decina di chilometri, permettendo così alla Sfinge di
cambiare radicalmente volto e trasformandosi in una fabbrica di
e del lusso.
L’azienda s’ingrandì e aumentò il numero dei dipendenti, non
solo grazie alla vendita di parecchi farmaci omeopatici, cosmetici biologici, ecc., ma persino mediante la speculazione operata
su certi principi attivi di capillare importanza. Eccetto la presenza di equivoci, alcuni erano collocati tra i farmaci salvavita.
Auto di quella marca, modello e colore verde particolare, ce
n’erano poche in circolazione, e una quantità molto limitata appartenente a quella tipologia di vettura finirà nella mia agenda
semmai in futuro si fosse resa necessaria qualche altra indagine.
Siccome, all’aeroporto, l’Assessore Regionale era in compagnia di altri tizi vestiti in maniera meno appariscente, l’auto che
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scorsi alle mie spalle mentre proseguivo verso Latisana, poteva
essere messa in collegamento con i signori che lo accompagnavano.
L’Assessore, però, non era uno qualunque, oltre a essere responsabile politico ambientale regionale, possedeva uno studio
per Geometri. Lo studio era situato nello stesso palazzo ed a pochi passi da uno degli Avvocati che quella mia cugina, svolgente il praticantato, mi suggerì. Quando al telefono, mentendo, reputò non adatto lo studio dov’era impiegata.
Il pedinamento raccontato si era svolto su di una strada che
procede verso il casello autostradale di Latisana-Lignano e, data
la direzione da prendere, non avrebbe potuto proseguire né iniziare sulla statale, a quattro corsie, che conduce a Lignano. Come, contrariamente, avveniva quando le auto della Piramide mi
pedinavano proprio sul tratto a quattro corsie che sbocca alla località balneare.
In una serata d’inverno del 2002, giacché eravamo a gennaio,
mentre rientravo a casa dopo essermi recato dalla mia ragazza,
un’auto mi seguiva. Inizia suppergiù a tre chilometri di distanza
dalla mia abitazione e persevera prendendo, agl’incroci, sempre
la mia direzione. Arrivato in via De Marco, entro nel cortile della mia dimora ma senza scendere dall’auto. E il conducente del
veicolo che sopraggiunge alle mie spalle, come si comporta?
Dopo pochi metri, esegue un’inversione di marcia transitando
di nuovo con quell’inconfondibile modello di auto bianca.
Di conseguenza, nondimeno denunciai questo episodio. Nella
visura eseguita al P.R.A., il veicolo risultava intestato a un magrebino residente nel Veneto e perlomeno a ottanta chilometri di
distanza. Bisognava, pertanto, appurare se, al contrario, egli fosse dimorante, domiciliato o assiduamente presente nella provincia di Udine.
Un altro caso riguardante le prime azioni persecutorie portate
a segno contro di me, conduce direttamente al Beduino. Tuttavia
questo lo scoprirò soltanto moltissimi anni dopo e quand’otterrò
le visure di altre targhe già segnalate.
Il riferimento è inerente a un originale veicolo che cominciò
a essere presente nel luogo di fiume in precedenza descritto, ma
che per un mio iniziale equivoco non sarebbe risultato coinvolto, poiché era un altro. Era un originale modello che, oltretutto,
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aveva iniziato a circolare nella via in cui abito, attirando la mia
attenzione perché supponevo di averlo già notato proprio in quel
luogo di fiume. Col trascorrere del tempo, mi renderò conto che
il colore dell’auto era scuro e simile. Ma il veicolo, seppur fosse
del medesimo modello, non era quello posteggiato al fiume. Un
giorno, infatti, il giovane conducente si manifestò in una sorta di
piccola disfida. Partendo ambedue da un crocevia in cui egli era
giunto casualmente alle mie spalle, mi «fece mangiare la polvere» superandomi mediante una probabile cinquantina di cavalli
motore in più. Allora in quel giorno mi accorsi che il conducente non era lo stesso che, sempre insieme a una seconda persona,
iniziava a esser presente in quel luogo di fiume. Quando, inoltre,
il proprietario smise di trasportare l’amico, quest’ultimo incominciò a presentarsi con uno scooter. Il motivo della loro separazione era dovuto alla conoscenza, e successivo fidanzamento,
che il conducente dell’auto aveva avuto con una ragazza. Quindi, essendo impegnato, il suo amico avrebbe dovuto arrangiarsi.
Ad un certo punto, segnalai alla Magistratura l’equivoco che mi
aveva indotto a specificare gli estremi della targa di una vettura
similare. Ed ecco che i due occupanti il veicolo presente al fiume, scomparvero. Il conducente, nonché proprietario dell’auto,
riapparve molti anni dopo, mentre il furbetto che egli trasportava sparì definitivamente. Erano trascorsi parecchi anni, ma non
appena avrò eseguito delle indagini sul suo conto, verrò a comprendere che, ancora una volta, c’era lo zampino del Beduino. Il
furbetto trasportato agl’inizi, ma che infine condurrà lo scooter
del quale negli anni precedenti mi ero annotato gli estremi della
targa, lavorava in una ditta di pneumatici. Il Gommista e titolare
della società è il cognato del Beduino D.M. In aggiunta, il proprietario dello scooter selezionato per controllarmi, dimorava su
quel tratto di strada che avrei dovuto percorrere per raggiungere
quel luogo sul fiume Tagliamento. Costui aveva, quindi, un duplice incarico perché, lavorando a giornata, avrebbe potuto usufruire delle prime ore pomeridiane, più quelle serali, per controllare un mio eventuale passaggio su quel tratto di strada. Avrebbe potuto dichiararlo benché non fosse vero, e a maggior ragione riferendosi al mese di giugno dell’anno 2000. Qualunque altro periodo sarebbe stato altrettanto utile e, smascherato lui, una
sua sostituzione non era escluso che fosse stata eseguita. Infatti,
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come spiegherò durante la prossima narrazione, inizierò a notare
altri tizi dall’atteggiamento alquanto sospetto. La ditta appartenente al cognato del Beduino diverrà oggetto di una mia segnalazione riguardo alla sostituzione di due pneumatici, ma la spiegherò nel prossimo capitolo.
La corruzione mette le ali
Queste particolari molestie continuarono a intercedere per parecchio tempo, perché un’inaudita e sempre più opprimente persecuzione iniziava a prender piede causandomi molte sofferenze
e insofferenze.
Scrivendo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati segnalavo,
addirittura, che in piena estate del 2000, ossia nel mese di agosto, due velivoli avevano preso la brutta abitudine di sorvolare
la mia casa e li definivo «U.F.O.».
Non era chiaro il motivo per cui gli aeroplani dovessero sorvolare la mia casa, spesso a bassa quota. In seguito, però, e proprio perché mi accorgevo che un piccolo velivolo tentava di seguirmi, scoprivo l’esistenza di un prato verde che fungeva da pista per il decollo e l’atterraggio. Si trovava solo a un chilometro
da dove risiedo e frammezzo la campagna. Vicino a uno dei due
lati corti del rettangolare prato c’era un’aviorimessa, che per la
forma oblunga avrebbe potuto contenere due velivoli. Ogni volta, però, che ad esser utilizzato era quello posto in fondo, l’altro
velivolo posteggiato, all’inizio, doveva esser portato fuori.
Siccome la pista di partenza e d’atterraggio era la stessa, i velivoli prendevano sempre una direzione opposta a quella che, in
linea d’aria, avrebbe condotto verso la mia casa. Giacché sorvolare la mia dimora non aveva senso, denunciai la loro presenza
narrando del giorno in cui un aereo mi seguiva perché il pilota
mi aveva visto uscire di casa. Scoprendo dov’era atterrato, ebbi
la possibilità di prendere gli estremi di targa dell’auto del pilota.
In una denuncia immediatamente successiva segnalerò, oltretutto, che tra gli U.F.O. – ormai uno non lo era più – ci fosse un
elicottero delle Forze dell’Ordine che, proprio nella tarda serata
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del 15 giugno 2001, sorvolò la mia casa. Come? Eseguì un passaggio oltremodo radente invertendo, pochi istanti dopo, la direzione di marcia e sorvolando di nuovo a bassa quota la mia abitazione. In quale modo? Puntando nel mio cortile un faro potente che emanava una luce azzurra. Ugualmente questi erano episodi alquanto strani, poiché giammai verificatisi prima!
Il giorno 11 maggio 2002, in una successiva denuncia che costituiva un’integrazione al multi esposto del 3 aprile dello stesso
anno, richiedevo d’indagare sul sig. G.V. perché una circostanza
mi aveva messo sulle sue tracce.
Ero riuscito a prendere gli estremi della targa di un’auto che
stava giungendo alle mie spalle mentre guidavo, e il cui conducente si dimostrava timoroso cercando di restare distante da me.
Fingendo di non aver osservato il suo comportamento, proseguii
diritto lasciandolo svoltare a destra e in modo da seguirlo senza
che fosse in grado di accorgersi. Andandone celermente alla ricerca, lo trovai parcheggiato nel cortile di un’abitazione privata
in una frazione del comune di Basiliano.
Procedetti alla visura dell’auto perché l’occorso non mi aveva convinto e, da una mia piccola indagine successiva, scoprirò
che l’intestatario della vettura era nientedimeno che il proprietario del secondo velivolo. Quest’altro apparecchio constava in un
deltaplano a motore e lo avevo persino fotografato quando, nella
piena estate del 2000, notavo che sopra il cortile della mia casa
ci fosse proprio quest’ultraleggero che persisteva a rotearvi come un avvoltoio pronto ad avventarsi sulla carogna.
In seguito, poiché non ne ero ancora informato, G.V. risulterà
essere un parente stretto di un Consigliere Regionale della Lega
Nord, che in futuro diventerà Assessore. L’indagine, tra l’altro,
non fu rapida perché, di primo acchito, sembrava che il proprietario G.V. provenisse dalla lontana città di Trieste. Si trattava,
però, solamente di un dettaglio fuorviante e incompleto, perché
stampato sul certificato della visura automobilistica.
Nonostante il certificato del P.R.A. indicasse come residenza
tale distante città, il cognome dell’intestatario del veicolo era tipico di questa zona. Inoltre, l’auto sostò nell’abitazione posta in
una frazione limitrofa del comune di Basiliano. Quindi, per chi
proveniva da Trieste, transitare sulle strade del comune di Mereto non avrebbe determinato un senso logico.
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In questa vicenda si stava sempre più evidenziando una presenza, una matrice di tipo politica e chiaramente di destra. Questo comune non aveva mai sentito pronunciare i nomi di: Bertinotti, Fassino, Cofferati, Bordon e Damiano. Figuriamoci, poi,
quello accadrebbe se Grillo salisse sul palco, lo lapiderebbero!
Saranno trent’anni che qui comanda la destra del capitalismo, la
destra delle aziende, la destra che influisce sulle scelte dei Comuni, la destra dei sindacati delle marionette: pagati per muovere i fili politici che devono rendere onnipotenti le imprese locali.
Nel 2002 mi accorgevo che i velivoli, pur continuando a svolazzare sopra la mia casa, stavano prendendo persino altre direzioni, ma la motivazione non risiedeva in una nuova pista allestita, e allora scrivevo il seguente:
«Riguardo ai velivoli, devo ammettere che quest’anno si sono
comportati diversamente dagli anni scorsi.» «Non ho idea se volare sopra la mia casa, o vicino, oppure sorvolare un’auto sia dipeso dal cercare d’ottenere un risultato o semmai fosse solo per
infastidirmi.». «Qualunque possa essere la ragione, reputo insicuro che gli aeromobili volino sopra i centri abitati.».
«Quest’anno avevano preso l’abitudine di manifestarsi spesso
al crepuscolo, oppure talvolta mi è capitato di notare che piombassero all’improvviso coperti dal rumore di un camion, un trattore, ecc., di passaggio.». «Certe volte, persino il rumore prodotto dai vicini impediva di udire il loro arrivo…».
«E le cose non terminano qui, perché ho notato che quando
mio padre era alla guida o mio cognato utilizzava l’auto dei miei
genitori, un minuto prima e, in taluni casi, quasi in modo simultaneo al loro arrivo a casa, si udiva e, a volte, si osservava volare un aereo che proveniva dalla loro stessa direzione.».
«Così, il giorno in cui fui io a uscire con l’auto dei miei genitori, anziché rientrare subito a casa mi nascosi nel riordino fondiario agricolo.». «Indovinate chi mi passò quasi sopra la testa e
arrivando dalla mia stessa direzione?».
Il pedinamento aereo continuò ancora, e un giorno mi accorsi
d’esser seguito mentre alla guida della mia auto stavo rientrando
da quel luogo acquatico di mia frequentazione saltuaria. Ad un
certo punto, l’aereo che mi seguiva tornò indietro perché costatava che tardassi il ritorno a casa, ma io lo avevo lasciato andare
cosicché da poterlo riprendere con una telecamera. Ripercorren131
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do la medesima rotta era ritornato per cercarmi, così approfittai
per filmarlo.
Della sua presenza mi ero accorto qualche chilometro dopo, e
allo stesso modo avevo altrettanto notato che tra l’aereo e il deltaplano ci fossero scambi d’informazioni. Uno aveva il compito
di controllare la mia casa e l’altro di volarmi sopra la testa. Tuttavia certamente, e nondimeno, esistevano degl’informatori. Essi comunicavano i miei movimenti attivando rapidamente il piano aereo, e questo sicuramente nei luoghi di mia frequentazione.
G.V., ossia il proprietario del deltaplano, era una persona con
più di quarant’anni e residente a Tomba, una frazione di Mereto.
Compì altre azioni vessatorie servendosi d’informatori, per incontrarmi di persona. Il motivo era provocato dalla descrizione
che fornii riguardo al giovane che notai, timoroso, sopraggiungere alle mie spalle mentre ero alla guida: quello che, infine, seguii. Quasi certamente si trattava di suo figlio, che data la giovane età non poteva assolutamente essere il proprietario del veicolo, perché l’intestatario risultava aver superato i quarant’anni.
Così, più tardi, in sella a una bicicletta, G.V. incominciò, oltretutto, a frequentare alcuni miei vicini.
Le spie sono persone informate dei fatti. Loro avvertono, informano, telefonano e riferiscono dove poterti intercettare a chi
ha losche intenzioni. Questo modo di operare, negli anni a venire diverrà oggetto di qualche mia denuncia nonché nei confronti
d’elementi di spicco appartenenti alle Forze dell’Ordine. Peraltro già scandalosamente coinvolte in questa vicenda e per di più
collegabili alla Piramide.
Nel 2006, il pilota del piccolo aereo perse la vita sfracellandosi al suolo durante un volo con un altro aeroplano, non da lui
pilotato. Quindi, probabilmente, fu sostituito da un terzo pilota o
dallo stesso G.V.
Alcuni anni prima del drammatico incidente, giacché eravamo nell’estate del 2003, fui costretto a segnalare la presenza di
un aereo che nottetempo volava nei pressi della mia abitazione,
sfruttando le notti di luna piena.
Dal 2009, soprattutto durante i week-end, un velivolo iniziò a
sorvolare la mia casa già alle otto del mattino, e quest’orario valeva persino per l’autospazzatrice del Comune, della quale narrerò nel prossimo capitolo. Un paio di passaggi dell’aereo, un
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solo transito del veicolo Comunale e poi, per parecchie ore oppure per molti giorni, degli stessi non restavano neppure le ombre. Era, pertanto, ovvia la presenza di qualcuno che andasse alla ricerca di qualche innovazione tale da permettere azioni creative e furtive.
Il piccolo aereo utilizzato per le incursioni sopra la mia casa,
non era di proprietà del pilota deceduto. Apparteneva a un Medico in pensione, al quale era rimasta l’insita passione di volare
e, allora, lo concedeva in comodato a chi fosse in grado di pilotare al suo posto perché più giovane e in salute.
L’Istituto Nazionale Precedenza Società (I.N.P.S.)
Nel 2004, l’I.N.P.S. inviava nella mia casa un aggiornamento
dell’estratto conto pensionistico che s’interrompeva il 16 giugno
2000. Giorno in cui, formalmente, il mio licenziamento fu convalidato.
Provvedevo pertanto a rendere conosciuta la posizione da me
assunta riguardo a quello che era successo nell’anno 2000. Servendomi degli appositi moduli recapitati dall’ente stesso, i quali
prevedevano la possibilità di aggiornamento dei contributi e denunce per quelli mancanti, inoltravo l’istanza. Il tutto per ricavarne un vero adeguamento dell’estratto pensionistico, che si otteneva barrando semplicemente alcune caselle e poi rispedendo
i moduli firmati.
Il 12 agosto del 2004, un funzionario dell’I.N.P.S. (R.Z.) invia una missiva in cui m’invita a fornirgli dei documenti che mi
premuro di procurare. Infine, li spedisco recandomi in un ufficio
postale fuori Mereto.
Nella lista che inserisce sono comprese richieste non esaudibili, perché dal 17 giugno del 2000 non ho più niente che comprovi un rapporto di lavoro. Tra l’altro, l’informativa mi sarà recapitata ben dopo cinque mesi che avrò già trasmesso la richiesta dell’aggiornamento pensionistico. È impensabile che un ente
di rilievo quale l’I.N.P.S. non fosse stato in grado, nel frattempo, di compiere accertamenti.
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La risposta che devo inoltrare all’I.N.P.S. ha una scadenza di
trenta giorni, e poiché devo accludere il materiale richiesto, preparo rapidamente tutto il necessario e mi reco in un ufficio postale dove invito l’impiegata a spedire il materiale tramite posta
prioritaria.
Il primo giorno di settembre, nel limite delle possibilità, con
solerzia mi affretto a spedire il materiale richiesto. Al quale aggiungo un quantitativo di fogli indispensabili alla comprensione
dell’argomento. In totale, i fogli erano tredici. Alcuni giorni dopo, spedisco all’I.N.P.S. un fax di spiegazioni e scrivo:
«Le richieste inoltratemi servirebbero a nulla e porterebbero
da nessuna parte se non alla chiusura della pratica.».
«Da quello che ormai dovrebbe esservi pervenuto, vi renderete conto che i documenti sono in mio possesso solamente dal 22
dicembre 2000.». «Questo dev’esser stato un fattore talmente rilevante che l’avvocato P.C.M. si dimostrò, dapprima, reticente
nell’ufficializzarne la mancanza.».
«Già il primo giorno di settembre del 2000 sarei dovuto entrarne in possesso, in coincidenza con il rientro dalle mie ferie
sul posto di lavoro.». « Nella lettera inviatami e datata 30 agosto
2000, però, la Piramide trovava i più abili pretesti uniti ad astute
falsità per non consegnarmi i documenti, il T.F.R., ecc.». «Allora iniziò la mia serie di azioni per potermene impossessare, fino
ad arrivare alle vie legali.».
«C’è, quindi, da tenere in considerazione che, se per sei mesi
non avrei potuto ottenere il versamento dei contributi lavorativi,
sarebbe stato impensabile poter percepire sei mensilità.». «Senza documenti, non solo ero inabile a lavorare presso un altro datore di lavoro, ma anche a iscrivermi all’ufficio di collocamento
per percepire sei mesi di disoccupazione con le relative indennità.». «Voi, di sicuro, conoscete le Leggi prima e meglio di me.».
«Io ritengo che voi abbiate “voce in capitolo” per dare una sistemata ai signori della Piramide, ma dubito molto che vi prodigherete.». «Questa, secondo me, è la strada principale che dovete seguire per ottenere il pagamento dei contributi previdenziali
di quasi tutto l’anno 2000, richiesta oramai minimizzata rispetto
al danno reale e complessivo.».
«Se voi riuscirete a ottenere quello che ho denunciato, in futuro il Giudice del Lavoro lo detrarrà dal danno totale.». «Que134
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sto nel caso che un Avvocato si decida a condurre i signori della
Piramide di fronte alla Legge, sebbene io preferisca direttamente dietro alle sbarre.».
«Voglio, oltretutto, lo stesso mostrarvi quali siano le ragioni
per cui continuerò a ritenermi licenziato il primo giorno di settembre del 2000, e perciò vi ho inviato tredici fogli…».
«Quindi, sul foglio n. 11 (B1) ho richiesto i contributi fino al
primo giorno di settembre del 2000, però sulla terza casella del
medesimo foglio ho denunciato la mancanza per l’anno 2000, e
ora preciso: fino al 20 dicembre.».
Avendo fornito sufficienti spiegazioni a chi dovrebbe tutelare
i lavoratori ma, come si potrà di seguito costatare, cura gli sporchi interessi delle aziende e dello Stato, rimanevo pacifico ad attendere buone notizie.
Il giorno 08 ottobre 2004 l’I.N.P.S. e nelle veci di C.M. non
m’invia una cattiva notizia che denota un’assurda richiesta, eppure chiude la pratica in questa maniera e utilizzando le seguenti parole:
«Con il modello ECO 2 lei ha richiesto l’accredito dei contributi da lavoro dipendente per l’anno 2000.».
«Le comunico che mi è impossibile soddisfare la sua istanza
perché la signoria vostra non ha presentato nei termini la documentazione richiesta in data 12 agosto 2004.».
«Contro la suddetta decisione è sua facoltà presentare ricorso…».
Sulla base dei precedenti capoversi ritengo che chi abbia letto
stia considerando quello che, all’epoca, sostenevo. Stanno simulando di non esser divenuti in possesso dei tredici fogli che ho
inviato loro, perché avendoli recapitati mediante il semplice bollo di posta prioritaria, mancherebbe la prova.
In effetti, l’apporto di fiducia riversato nell’I.N.P.S. fu un errore. Anche presentando un ricorso, questa gente che ignobile si
era dimostrata, sarebbe continuata a rimanere. Qualunque altra
azione non avrebbe più fornito esiti corretti, perché un ente apparentemente creato per infondere una speranza nelle menti di
tanti illusi lavoratori, avrebbe continuato a salvaguardare, e alimentare, gli interessi di chi ogni anno versava milioni nelle sue
casse. Alimentando lo Stato che mantiene l’I.N.P.S., pagandolo
per truffare chi a questo ente si affida. Un ente in cui sono stati
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assunti, e strapagati, fior di dirigenti per derubare la gente, più
alcuni impiegati che si strafogavano di porchetta durante le ore
d’ufficio. Con la prima tipologia di persone, l’I.N.P.S. avrà evitato di finire in bancarotta perché versava in una condizione di
disavanzo e, quindi, cercava di raggranellare tutto il necessario
per pareggiare un bilancio diventato insanabile. Tuttavia, con i
suoi gretti comportamenti che favorivano le aziende, si accaparrava chissà quali altri «elogi».
Sarebbe stato per me controproducente non spedire quei documenti perché era un mio interesse ottenere dei risultati, quindi
credo che qualsivoglia persona sia in grado di raccapezzarsi che
l’I.N.P.S. li ricevette. Disgustato dallo squallido comportamento
assunto dall’I.N.P.S., trasformai il loro foglio contenente la comunicazione, in un fax in cui inserii, a penna, due piccole risposte firmate:
1. «Prova non superata, si è verificato quello che avevo previsto.». «Vi comunico che sarete giudicati dall’opinione pubblica e, forse, da un Giudice.». «Spedizione dei documenti avvenuta dopo una lunga attesa in un ufficio postale dotato di telecamere.». «Posta prioritaria del primo giorno di settembre.».
2. «Se sapete solo lavarvi le mani, continuerete a puzzare.».
Alcuni mesi dopo, poiché eravamo nell’aprile del 2005, e basandomi su di un dato sicuro, scrivevo di nuovo all’I.N.P.S. per
eseguire una ben precisa richiesta suffragata dall’avere prestato
in modo congiunto due distinte professioni. Due differenti lavori
che erano stati reputati come fossero uno solo. Per giunta c’era
chi, nonostante fosse stato assunto dopo di me e svolgendo soltanto l’operaio, aveva un livello d’inquadramento uguagliante il
mio. Senza tralasciare che chi oltre a lavorare era bravo a leccare, aveva buone possibilità di veder incrementare il suo stipendio. Questo perché, oltre al livello d’inquadramento lavorativo e
ai cinque scatti di anzianità maturabili – che s’incrementavano
quasi una miseria ogni due anni – c’erano altre voci in busta paga. Erano a discrezione dell’azienda e della sua più totale libertà
remunerativa individuale e sperequativa, perciò variavano in base alla «simpatia» che un dipendente potesse suscitare.
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Una voce, in particolare, denominata «superminimo», per un
semplice operaio poteva variare dalle dieci alle trecentomila lire. Superando, addirittura, in certi casi le cinquecento. Avevamo
compreso che l’importo alla voce «superminimo» stava ad indicare quanto quel dipendente era «simpatico» all’azienda. Gli interessi clientelari erano, oltretutto, in grado di rivestire un ruolo
determinante per l’attribuzione degli emolumenti da stabilire per
un dipendente. Nell’azienda era, quindi, inclusa una presenza di
lavoratori servili e abbietti che sapeva nient’altro che strisciare.
Ingraziandosi chi comandava, lo adulavano. Infine, mediante leziosaggini e leccatine varie, i corrispettivi mensili delle loro buste paghe s’incrementavano, compreso il superminimo. Ovverosia vi era una presenza di lavoratori che senza avere arte né parte, aveva gli stipendi di alcuni laureati e inquadrati come quadri
dirigenziali. Tuttavia accadeva persino l’inverso, ossia responsabili di un settore che erano stati assunti per rimpiazzare quadri
andati in pensione, finivano per essere lasciati con uno stipendio
al minimo: trascurati in modo che l’azienda traesse profitto.
Dunque, il 7 aprile 2005 mi rivolgevo di nuovo all’I.N.P.S. e
scrivevo il seguente:
«Mi riferisco alla vostra lettera del giorno 8 agosto 2004 e in
cui non capisco con quale coraggio, ma sicuramente con molta
faccia tosta, rigettavate la mia richiesta per aggiornare l’estratto
conto pensionistico.».
«Risposta che avete già certamente ricevuto qualche mese fa
mediante un altro fax del vostro stesso foglio che…».
«Se andassimo a ricercare i veri motivi della vostra respinta,
sono convinto che una querela nei vostri confronti sia necessaria, ma non credo che vi spaventerebbe più di tanto.». «Interessi
e conoscenze portano sovente gli invisibili che si rivolgono ad
autorità, istituzioni, ecc., a ricoprire il ruolo delle persone inutili
perché le loro rimostranze non potrebbero mai prevalere su…».
«Ora, accertato il vostro primo fallimento nei miei confronti,
vi concedo una seconda possibilità.». «Vi affido – meglio scrivere solo af. – il compito d’ottenere la corresponsione di undici
anni contributivi, perché alla Piramide ho svolto due professioni
in modo congiunto per un tot numero di anni.».
«Ho svolto l’operatore chimico più il Conduttore dei Generatori di Vapore, e all’inizio – nei primi anni – i lavori erano sop137
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portabili, ma poi, dal 1992, le due professioni prestate in modo
simultaneo comportavano…».
In questa istanza richiedo il versamento di ventitré anni contributivi perché posso sostenere di aver svolto, in maniera congiunta e per circa undici anni, due professioni. Oppure, qualora
fossero stati pagati i danni quantificati in ottantatremila euro, mi
sarei accontentato di cinque anni contributivi pieni e in sostituzione di altrettanti lavorativi persi.
Non mi sarà mai fornita una risposta. Evidentemente e per la
seconda volta avevo toccato un tasto dolente che condannava il
torvo e disonesto comportamento assunto da una mandria di dirigenti aziendali non aventi intenzione di rispondere degli abusi
compiuti. Grazie a corruzione e conoscenze sapevano di stare in
una botte di ferro.
In seguito, inoltre, provai a recuperare gli importi accumulatisi tramite il sussidio di disoccupazione, richiedendoli in forma
ufficiale al Centro per l’Impiego della Provincia che, purtroppo,
dipende anche dall’I.N.P.S. Anche in questo caso non mi fu mai
fornita una risposta, ma poiché ero costretto a inoltrare le comunicazioni servendomi di raccomandate semplici, per l’ennesima
volta sarebbe stato possibile negare l’esistenza di documenti ricevuti. A cagione di un ufficio postale inaffidabile e controparte, ero spesso obbligato a privarmi dei riscontri.
Le tessere del mosaico
Il Friuli Venezia Giulia confina uno Stato che solamente dal
2004 rientra tra le nazioni dell’Unione Europea. Molti anni prima che incominciasse ad appartenerne, gli enti politici crearono
una tessera per la distribuzione di carburante agevolato. Il motivo fondamentale era dovuto al confinante Stato sloveno dove il
prezzo della benzina, alla pompa, era molto più basso. Era divenuto impossibile introitare una grossa spendita regionale, perché
la maggior parte dei Friulani andava a rifornirsi in Slovenia.
In Slovenia, non era soltanto il carburante a esser conveniente ma persino le sigarette, la carne e tanti altri generi alimentari,
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perciò molti di coloro che varcavano il confine di Stato, approfittavano per approvvigionarsene.
Il Governo Regionale, allora, creò un sistema cosicché il possessore di un veicolo fosse munito di una propria tessera magnetica ed usufruisse di uno sconto, stabilito per fascia, basato sulla
distanza che la sua residenza avesse dal confine di Stato.
Questo sistema che ricevette l’approvazione di Roma e Bruxelles, punta a promuovere la vendita e l’utilizzo del carburante
italiano, nonché a scongiurare che gli esercenti regionali continuino a serrare. Il fine è rimasto quello di sbaragliare la concorrenza d’oltre confine.
Col passare degli anni, lo sconto si ridusse sempre più perché
il costo del carburante sloveno era in progressivo aumento, fino
a quando la Slovenia entrò in Europa e il prezzo si approssimò a
quello italiano.
Nel 2011, gli esodi ai distributori d’oltre confine ricominciarono poiché il Governo Monti, aumentando le accise sui carburanti, aveva provocato una differenza di pressoché quaranta centesimi tra la benzina italiana e quella slovena. Lo scenario degli
afflussi di autoveicoli che si recavano oltreconfine, anche quello
austriaco, riapparve quando il prezzo al litro ricominciò ad aumentare fino a sfiorare i due euro. L’aumento aveva reso conveniente recarsi di nuovo oltre confine. In cui, addirittura, parecchi
generi alimentari possedevano un costo inferiore.
I gestori delle stazioni di servizio ripresero a entrare in crisi,
e quelli posti vicino alla fascia confinaria a chiudere. Tra l’altro,
erano trascorsi pochissimi mesi da quando la Regione era riuscita a istituire fasce di consumo con uno sconto fisso, ovvero che
non variasse in base al prezzo del carburante, che fu vanificato
quel lavoro per assicurare un minimo di abbuono.
Era un giorno di fine maggio del 2002 e mia madre rientrò a
casa idrofoba perché la benzinaia dell’unica stazione di servizio
a Mereto di Tomba, le aveva erogato una quantità in litri corrispondente all’importo di cinquantamila lire. La donna, però, sapeva benissimo che i miei genitori spendevano sempre ventimila lire. Come sempre, l’importo da erogare era stato comunicato.
Quel che era avvenuto non m’infondeva alcun sospetto, e solamente quando alcuni mesi dopo accadde qualcosa di anomalo,
decisi di denunciare l’episodio.
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Forse era un periodo in cui la mia auto accusava malfunzionamenti e allora utilizzavo quella dei miei genitori. Così la sera
in cui mi fermai alla stazione di servizio indicata in precedenza,
accadde un episodio che aveva dell’incomprensibile:
«Buona sera, mettimi trentamila lire di benzina», richiesi alla
titolare della stazione di servizio, consegnando in mano la tessera dopo esser sceso dall’auto.
Lei prese in mano la tessera, la inserì nella macchinetta e poi
immise la benzina nel serbatoio. Terminata l’erogazione, compì
un gesto di stizza quando tentò d’estrarre la tessera, pronunciò:
«Uff! Cosa c’è adesso che non funziona!».
Apparentemente non riuscendoci, richiese il supporto del marito. Lui prese in consegna la macchinetta con la tessera ancora
inserita e si avviò verso un bugigattolo posizionato grossomodo
a una decina di metri dalle pompe per l’erogazione.
«C’è qualche problema?», chiesi alla benzinaia.
«Ehm, sì! Perché non so, la tessera non esce», lei rispose.
Costatando che il marito non si decidesse più a uscire, mi recai verso quello stambugio lumeggiato solamente da un barlume
di luce artificiale esterna ed assistetti all’estrazione della tessera
da una seconda macchinetta.
«Combinato?», gli chiesi.
«Sì, sì, ora è tutto a posto», rispose il marito compiendo dei
gesti rapidi con le mani.
E fu così che, dopo aver salutato, risalii sulla mia auto accorgendomi che lo scontrino consisteva in un duplicato, ma questo,
forse, era solo un elemento fuorviante. Un’anomalia del genere
non mi era mai successa in anni di rifornimenti e neppure in altri distributori, perciò era parecchio strano che dovesse capitare,
e proprio a Mereto di Tomba. Denunciai, allora, l’accaduto allegando una copia dell’atipico scontrino ottenuto, forse, con la seconda macchinetta e consistente in un duplicato. Purtroppo, subito dopo di me non c’erano clienti che avessero potuto assistere
alla scena, o sceneggiata. Stavo comprendendo che fosse in atto
un tentativo di truffa per ottenere la possibilità d’insinuare che
nel mese di giugno del 2000 non fossi stato in vacanza. Per questo motivo alla stazione di servizio c’era chi doveva ricreare una
falsa prova per insinuare che nel giugno del 2000 stessi usando
l’auto dei miei genitori.
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La mia tempestiva denuncia provocava il fallimento del tentativo. Solamente quando accadde qualcos’altro in un’altra stazione di servizio, guarda il caso, della stessa compagnia petrolifera, preparai e spedii un’altra istanza alla Procura della Repubblica. Contiene le seguenti parole:
«Richiedo che la signora M.P. e il consorte siano nuovamente
indagati, perché qualcuno è stato commissionato per controllare
dov’eseguo il rifornimento di carburante.». «Non a caso proprio
a un Gestore… e chiaramente lontano da Mereto di Tomba, mi è
stato rilasciato, al fulmicotone, un duplicato dello scontrino non
fiscale.». «Tutto questo per ingannarmi, ma già nel 2004 e prima che fossero rimpiazzate le macchinette, avevo ottenuto una
prova della truffa – o rimasta solo tentata – al distributore posto
a Mereto di Tomba».
«Questo tentativo d’inganno è sicuramente fallito perché nel
2004, protestando con un gestore per aver ricevuto una quantità
di carburante inferiore a quello che mal si leggeva sullo scontrino, rimasi allibito.». «Lo stupore mi permeò quando i miei occhi
notarono che per ottenere un duplicato dello scontrino, non servisse un’altra macchinetta e neppure reinserire la tessera.».
«La tessera era nella mia mano quando il gestore, schiacciando dei tasti della stessa macchinetta, ottenne un duplicato garantendomi la ragione sulla minor quantità di benzina erogata.».
«Durante il mese di luglio del 2005 transitavo nella cittadella
di Spilimbergo e, dopo essermi fermato in un distributore dove
si potesse usufruire della tessera, in sbaglio consegnavo al giovane pompista quella della mia auto.». «Ma il veicolo che stavo
conducendo era quello dei miei genitori; autovettura che sto utilizzando continuamente dal mese di febbraio perché…».
«Il gestore non mi avvertì che la tessera fosse quella sbagliata, come in precedenza fecero altri gestori che me lo segnalarono. Purtroppo, me ne accorsi quand’ormai ero lontano.».
«Ricontrollando meglio lo scontrino, oltre a consistere in un
duplicato, i dati non riguardavano l’auto dei miei genitori.».
«Sempre nel 2004, mi accorgevo che la mia tessera sanitaria
era stata rinnovata insieme a quella dei miei genitori, esattamente quando mi trovavo in vacanza a Lignano.». «Tra la truffa tentata nel 2002 e quest’ultima constatazione, forse c’è un legame:
i miei genitori potrebbero essersi riforniti di carburante al distri141
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butore di Mereto, per recarsi di seguito a rinnovare le tessere nel
distretto sanitario.». «Poi sarebbe stato più che sufficiente sostituire la matrice di uno scontrino con uno uguale ma di cinquantamila lire, o persino meno.». «Scontrino ottenuto tramite la tessera dell’auto dei miei genitori e durante un rifornimento mentre
soggiornavo a Lignano.».
«Chissà se la Guardia di Finanza abbia in mano un riscontro
del 13 giugno 2000, giorno in cui risultano rinnovate le tessere
sanitarie?».
Gli scontrini emessi nei distributori di carburante non avevano un valore fiscale, ma erano controllati lo stesso perché, come
in tutte le cose, c’era sempre il furbetto che avrebbe potuto tentare d’ottenere una mangeria a scapito degli utenti e dello Stato.
Sebbene gli scontrini fossero controllati dalla Guardia di Finanza, la quale doveva monitorare i movimenti per impedire le frodi e, per questa ragione, controllava anche questa tipologia di ricevute, mai qualcuno si degnò di fornirmi un responso.
Tra i lettori c’è sicuramente chi si starà chiedendo come mai
riguardo al rinnovo delle tessere sanitarie, mi accorsi solamente
nel 2004. Ebbene, le tessere sanitarie cartacee erano conservate
da mia madre. Le forniva a me o a mio padre quando servivano
per effettuare visite mediche, oppure per ottenere i farmaci prescritti attraverso le ricette.
Un’ulteriore domanda che il lettore si starà ponendo è come
mai quando in un’altra stazione di servizio sarà emesso direttamente un duplicato dello scontrino, io sarò ancora una volta alla
guida dell’auto dei miei genitori. Semplice, quando scrivevo la
denuncia sopraccitata, stavo sostituendo la mia vecchia auto che
accusava problemi meccanici ed era sprovvista dell’aria condizionata, come peraltro quella dei miei genitori.
Si tenga in considerazione che, per il rapporto Lira-Euro, ormai cinquanta euro non equivalgono più a centomila lire; vedi la
dedica a questa banconota nella poetirica seguente le appendici.
Negli anni 2000 e 2001, tramite la tessera e uno sconto in quarta
fascia, con cinquantamila lire era possibile immettere nel serbatoio all’incirca trenta litri di benzina verde. La fascia più avvantaggiata era quella vicina al confine, che oltre alla tessera poteva
usufruire di buoni a costo fisso. I quali, per un limitato quantitativo annuo dimezzavano il prezzo del carburante.
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Si tenga in considerazione che cinquantamila delle vecchie lire, era l’importo che spendevo quando eseguivo il rifornimento
di carburante. Quando usavo l’auto dei miei genitori, immettevo
lo stesso importo in litri di carburante.
Le cinquantamila lire in benzina potevano ugualmente costituire la somma di due importi, ossia ventimila lire dei miei genitori più trentamila lire mie, ed è per questo che scrissi: «… con
uno uguale ma di cinquantamila lire o persino meno». In quanto
accadeva che spendessi trenta-quaranta mila lire quando sapevo
che per un periodo avrei usato l’auto dei miei genitori. Essendo
io a percorrere più chilometri di loro e poiché avevano un basso
chilometraggio annuo, non sarei andato a intaccare le esigue risorse che destinavano all’auto.
Pertanto, l’azienda aveva interesse a creare uno scontrino fallace perché per andare e ritornare da Lignano avrei dovuto percorrere circa centoventi chilometri al giorno e avrebbe comportato il consumo di una quantità di carburante smisurata.
Siccome l’auto dei miei genitori aveva un consumo prossimo
a quello di una normale utilitaria, per la Piramide avrebbe rappresentato l’ideale per insinuarne un mio utilizzo. Ancor di più
qualora quest’ultima avesse mirato a propinare che avessi fatto
il pendolare. Inoltre, non sarebbe stato possibile reperire scontrini emessi in zona e riguardanti la tessera della mia auto, perché ero in vacanza a Lignano e, quindi, sarebbero inesistiti.
Giacché nel 2004 non erano ancora state rimpiazzate le macchinette usate per la stampa degli scontrini, non appena eseguita
la denuncia alla Guardia di Finanza, quest’ultima sarebbe andata
alla ricerca di quelli che, fino al 2004, sarebbero rimasti leggibili all’istante. Questo perché più tardi, mi pare dal 2005, le macchinette saranno sostitute, e poiché inizieranno a stampare su un
tipo di carta termica identica a quella utilizzata per gli scontrini
fiscali, col trascorrere del tempo l’inchiostro sarebbe sbiadito.
Chissà perché siano state sostituite le macchinette, per emettere, più tardi, degli scontrini che a distanza di tempo non sarebbero rimasti più leggibili? Lo stesso è avvenuto per quel che riguarda gli scontrini fiscali, ma il motivo potrebbe essere, in entrambi i casi, che quelli stampati su carta semplice siano facilmente falsificabili e, forse, che l’inchiostro inquini.
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Capitolo Secondo
PUNTI DEBOLI O SCOPERTI
Le auto sportive
Da quello che stava accadendo specialmente quand’ero fuori
di casa, si capiva che stavo diventando la vittima di un originale
stalking solamente perché la Piramide aveva interesse a insinuare che nel mese di giugno del 2000 non fossi andato in vacanza
a Lignano.
Stava agendo in questa maniera perché sarei potuto ricorrere
al Giudice del Lavoro. Avendo impugnato il licenziamento, da
quel momento avevo cinque anni di tempo per sbatterla in Tribunale, con conseguenze penali.
Avendo iniziato a bloccare le sue azioni che si tenevano a distanza dalla mia casa e riconducevano a un dilettantismo privato
che, oltretutto, avevo smascherato, un’azienda di quel calibro si
ritrovava costretta a sguinzagliare i suoi mastini. Segugi che dovevano portare avanti altre azioni ma senza essere scoperti.
La strada dove abito era sempre stata la placida via di un piccolo paese in cui passavano pochi veicoli. Non c’era un particolare viavai notturno e, all’occorrenza, la mattina si poteva dormire fino a tardi senza essere disturbati. Pertanto, i pochi veicoli
che transitavano erano quasi regolarmente gli stessi. La presenza di un tir o di un’auto sportiva sarebbe stata notata subito, non
soltanto per il rumore provocato.
Sebbene avessi la camera situata sopra la strada provinciale,
quindi sopra il cancello di casa mia, e malgrado che alla Pirami144
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de lavorassi a turni, potevo sempre contare su di un soddisfacente numero d’ore di riposo.
Un giorno notai un’auto sportiva che procedeva lentamente,
e, infine, stazionò per alcuni istanti dinanzi al cancello della mia
casa. Denunciai l’accaduto e mi procurai una visura del veicolo.
In seguito, mi accorgevo che altri due veicoli molto simili avevano incominciato a transitare in questa via. Tutti e tre i veicoli
c’entravano assai con la Piramide, e la loro precipua peculiarità
consisteva nell’esser molto ribassate. Il che forniva una ben precisa possibilità di azione giacché il cancello di casa mia non offriva solo una visualità a un’altezza superiore al metro e settanta, ma perfino sotto i sessanta centimetri della parte sottostante.
Bisognava solamente che l’azienda trovasse chi, disponendo di
un veicolo dotato della suddetta caratteristica, transitasse lentamente davanti al mio cancello. Infatti, questi veicoli che furono
i primi a transitare, cominciavano ad avere una sistematicità che
li rendeva presenti persino durante i giorni feriali.
Il proprietario del secondo veicolo, del quale ottenni una visura, risultò risiedere nella frazione di Pantianicco e avere come
parente prossimo l’ex Sindaco di questo comune. Indagini successive mi permetteranno di scoprire che possedesse un’azienda
situata proprio vicino alla sede legale della Piramide. La ditta di
cui si occupa effettua la manutenzione dei carrelli elevatori, definiti in gergo «muletti». In aggiunta disponeva, e dispone ancora, di furgoni che iniziarono a transitare nella via in cui abito.
Altre auto sportive, di cilindrate persino inferiori ma purché
ribassate, cominciarono a transitare parecchio tempo dopo, perché trascorsero alcuni anni: prima che questa scandalosa vicenda raggiungesse il momento culminante. Questi erano i segnali
primari che mettevano in evidenza una persecuzione che, avendo fallito in altre zone, doveva proseguire nei pressi di casa mia.
Avrebbe potuto proseguire anche lungo quei percorsi non ancora denunciati, ove nulla era ancora successo.
All’iniziale potente auto ribassata, se n’era aggiunta un’altra.
Sempre rossa e dello stesso modello, da sboroni stradali. Tuttavia più recente e che, non appena produssi le prime denunce di
questo tipo, scomparve nel nulla. La seconda auto sarebbe stato
possibile accostarla a quella mia cugina doppiogiochista, oramai
addivenuta Avvocata, addirittura penalista.
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Le utenze
La casa in cui abito ha un punto debole che sta nel cancello,
ma qualcosa di peggiore mi stava attendendo e lo compresi ben
presto.
Eravamo ancora nel 2001, e come la maggior parte delle società che gestiscono le utenze domestiche, inviano i loro addetti
a leggere i contatori. Finché un giorno, il letturista del contatore
del gas suonò il campanello della mia casa. È un’operazione di
normale routine che accade in molte case: tutte quelle munite di
almeno un contatore installato all’interno dell’abitazione.
Il letturista del gas entrò, eseguì la lettura del contatore e poi,
appena mia madre fu distratta da un motivo estemporaneo, con
una scusa avanzò rapidamente nel cortile della mia dimora, anziché limitarsi a uscire dal cancello. Percorse una decina di metri, dopodiché si fermò per sbirciare in giro e verificare semmai
ci fosse stata la mia auto parcheggiata nel box, lanciando altre
occhiate rapide e furtive.
Notai all’istante che quell’atteggiamento approfittatore di una
donna ingenua qual era mia madre, non era normale. Ma costui,
essendo impossibilitato a vedere me e la mia auto, uscì dal cancello della mia casa credendo di averla passata liscia.
Capii subito che ci fosse lo zampino della Piramide, in cui tra
le numerose conoscenze doveva, oltretutto, per forza rientrare la
società del gas. Con la sostanziosa bolletta che la Piramide staccava, era impossibile che non esistesse un rapporto di «collaborazione» tra essa e la società del gas.
Io non credo che il lettore abbia una vaga idea su quanti metri
cubi di gas la Piramide consumasse e, di conseguenza, i milioni
di lire che ogni mese versasse. Diventando in tal modo una delle
migliori ditte pagatrici, se non la maggiore in assoluto.
A questo punto, prima di denunciare la «piccola» défaillance
nel quale l’addetto del gas incorse, attesi nuovi sviluppi cercando di raccapezzare quello che l’azienda-complice stesse escogitando.
Nel mese di novembre del 2001, mi accorgevo che la lettura
del gas non era più eseguita nella seconda quindicina del mese,
come avveniva da sempre, perché la società stava anticipandola
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di quindici giorni. Questo era, pertanto, il secondo indizio che la
società del gas stava preparando un piano. Tra l’altro, essa cambiava il giorno destinato alla lettura del contatore, leggendolo il
lunedì. Inoltre, per simulare d’ignorare il contenuto di alcuni fax
che le inviai, continuò a leggerlo in tale giorno settimanale.
Quando la società del gas fu informata di una mia denuncia,
iniziò a compiere persino del lavoro straordinario eseguendo le
letture dei contatori nelle giornate di sabato e domenica. I giorni
che scelse per attuare le inopportune letture del contatore furono, chiaramente, quelli di metà giugno. Prima che fosse attivata
la telelettura del contatore, la società del gas incomincerà persino a presentarsi per eseguire rare letture del medesimo, che non
risulteranno registrate nelle bollette. In aggiunta, poiché la bolletta di giugno del 2000 era stata emessa il giorno cinque, la ditta del gas inizierà a differire, di mesi, le emissioni future. Il tutto
affinché risultino poco distanti dalla successiva lettura del contatore, che eseguirà pure dopo le emissioni.
Prima di eseguire la denuncia, trasmisi alla società del gas un
fax dove protestavo per alcuni disservizi e, il 13 febbraio 2002,
ne scrivevo un secondo che finì in mano alla Procura della Repubblica ma solamente quando mi fu restituito alterato. Il fax mi
era stato reso dopo che il contenuto aveva subito un particolare
trattamento frodante e consistente in una manipolazione adottata
allo scopo di renderlo illeggibile.
Mediante un abile sistema fotocopiante, peggiorativo, oppure
con l’ausilio di uno scanner alterato, la ditta del gas aveva trasformato il mio fax in un documento illeggibile. Riusciva, però,
a salvare la data, il cognome e nome stampati, più la mia firma.
Qualcosa d’inattendibile, ma la società del gas poteva contare,
insinuando, sul motivo che io, non avendo ancora un computer
per scrivere, utilizzavo una macchina dattilografica che creava il
documento di un colore più tenue. Si trattava di una furberia che
proverò nelle denunce successive e avverrà quando in quella che
produrrò, inizialmente, alla Procura della Repubblica, il letturista non mi aveva ancora restituito il foglio-fax alterato. Egli, però, era già stato incaricato di riferire che il fax non fosse leggibile, ma erano anni che conoscevo l’utilità di eseguire una copia
del documento da trasmettere. A maggior ragione quando il nastro della macchina per scrivere iniziava a consumarsi.
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Nel multi-esposto del 3 aprile 2002, contenente quindici fogli
che, in aggiunta, comprendevano un certo numero di fax inviati
alla Questura, scrivevo:
«Da alcuni mesi sono alle prese con la società del gas di Basiliano, ma con sede principale a San Donà di Piave.».
«Ormai ho raggiunto la certezza che la Piramide sta creando
e preparando una truffa mediante la collaborazione della società
del gas, ossia un futuro raggiro attraverso la falsa testimonianza
del letturista, e perciò mi ritrovo costretto ad agire.».
«Il letturista del gas, in futuro, avrebbe dovuto testimoniare il
falso. Nel frattempo, la società del medesimo si sarebbe occupata di creare, approntare, documentazioni con le coincidenze opportune.». «Con le quali e risalendo a ritroso fino alla primavera-estate dell’anno 2000, sarei stato posto di fronte a qualcosa di
sicuramente spurio ma difficile da provare e refutare.».
«Al momento giusto, la Piramide avrebbe dichiarato che nel
giugno del 2000 si sarebbe servita della lettura del gas approfittandone per assoldare il letturista.». «Quest’ultimo avrebbe – in
qualche modo – affermato di aver costatato la mia presenza durante l’invio delle comunicazioni riguardanti il licenziamento e
quando, contrariamente, ero a Lignano.».
«La società del gas iniziò a inviare bollettini sempre meno
riempiti – non più contenenti informazioni basilari – contando
di mettere in discussione quelli vecchi – che molto difficilmente
sarebbero stati conservati assieme a quegli eventuali e futili allegati che nelle case finiscono distrutti – e, per ottenere lo scopo, apportò altri cambiamenti che voi costaterete nelle indagini
che eseguirete.».
«Ora è chiaro perché la società del gas ha interesse a creare
un periodo di consumo maggio-giugno, il bimestre luglio-agosto
indicato sul bollettino non è mai esistito!». «In questo modo, la
società del gas avrebbe potuto anticipare la lettura del contatore,
come attuò nel bimestre ottobre-novembre del 2001, ma ormai è
tardi.». «Tutta questa manovra è stata organizzata per invalidare
la mia impugnazione del licenziamento…» «Sono sicuro che la
società del gas ha letto i fax ricevuti e sta utilizzando nient’altro
che il medesimo stratagemma usato dallo scagnozzo della Piramide, che scandì le parole: “Sarò costretto a trovare il sistema
per far credere di non esserne a conoscenza.”, il fax scottava.».
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«Oltretutto, comincio a nutrire molti dubbi sulle date di emissione delle bollette e sul luogo delle spedizioni, che sembravano
eseguite da San Donà di Piave. Ma ora, essendo le buste prive di
timbri anteriori e posteriori, non si capisce più niente.».
Le utenze in un’abitazione sono varie e includono nondimeno
la linea telefonica che, però, rispetto alle altre non richiede persone che eseguano la lettura del contatore. Eppure questo tipo di
servizio è quello da cui possono nascere perfino raggiri.
Coloro che assistono a talune trasmissioni televisive avranno
assistito a casi nei quali il cittadino si sia ritrovato con contratti
giammai stipulati. Ottenuti, pertanto, con l’inganno da chi pur di
lavorare non lesinava più di tanto sul bon ton. Operatori telefonici che, pur di raggiungere un target di telefonate, non si chiedono se sia regolare. Alla stregua di certi Vigili Urbani che, per
avanzare di grado, esauriscono i blocchetti rosa impinguando le
casse dei Comuni.
Accorgendomi, quindi, che qualcosa di strano stesse non meno accadendo sulla linea telefonica di casa mia, verso la fine del
2002 in un’ennesima denuncia scrivevo:
«E ora un nuovo argomento che finora non ho trattato rimanendo a osservare quello che stava verificandosi.». «Vorrei avviaste un’indagine telefonica in merito a quello che vi espongo,
perché sono pervenute telefonate strane. Di alcune ho potuto ottenere i numeri attraverso il servizio 400, il quale fu inventato e
attivato nel 2001.».
«Parto da tre telefonate, in cui la prima è stata ricevuta in mia
assenza e, in seguito, ripetuta quattro giorni dopo. Si trattava di
un tizio che apparteneva a… – una di quelle ditte che vendono
prodotti a domicilio durante le assemblee programmate che si
tengono nelle case – in cui egli asseriva di avermi conosciuto in
un bar a Mereto.». «Gli spiegai fossero secoli che non mi recavo
nel bar, ma lui insisteva sostenendo d’esser informato che lavoravo alla Piramide.».
«Il secondo caso si riferisce a una telefonata ricevuta da mia
madre, dove a metterla in contatto è una persona di sesso femminile.». «Costei si occupava d’organizzare corsi d’informatica,
però servendosi di domande strane.».
«Il terzo caso è una telefonata che ho ricevuto io il giorno 09
giugno 2001 a causa di una donna, o ragazza, che sbagliava nu149
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mero quando prendeva contatto con il bar…». «Le cifre formanti il numero di telefono, salvo le prime due, erano assolutamente
diverse da quelle di casa mia e perciò m’insospettii.».
«Ritenendo che fosse assurdo sbagliare numero, presi subito
contatto con il bar per ottenere gli estremi di chi aveva chiamato.». «Dal nominativo inserito nell’elenco telefonico, ritenni che
potesse abitare vicino al luogo di residenza della mia ragazza.».
«In principio formulai l’ipotesi che lei avesse commissionato un
accertamento.».
«Chiamai quel nominativo ma la voce era dissimile da quella
che aveva telefonato nella mia casa, e parecchio tempo dopo mi
accorgerò che corrispondeva a una persona abitante vicino al pilota precipitato con l’aereo non da lui pilotato.».
Ora gas e telefono erano posti sotto inchiesta, ma rimanevano
l’energia elettrica e l’acqua potabile. Per quel che riguardava il
contatore dell’energia elettrica, non ci sarebbe stato alcun problema e giammai si manifestò. La lettura del contatore era eseguita una volta l’anno e da moltissimi anni era ottenuta nel mese
di marzo. Rimaneva, però, ancora l’acqua potabile, e la primaria
avvisaglia che nondimeno per quest’utenza stesse verificandosi
l’impensabile, la riscontrai nell’estate del 2003. Percorrendo la
«superstrada» che raggiunge Lignano, notai un’auto bianca e il
suo conducente. Con tanto di logo regionale impresso sulla portiera, mi superò assai lentamente e si voltò a guardare nello stesso modo con cui Babbo Natale osserva ai suoi fianchi il passaggio delle nuvole.
Io mi accorsi di quella persona della quale continuai a ricordarne l’aspetto barbuto, ma prima di passare all’azione ella attese il mese di dicembre. Nel febbraio del 2004 alla Procura della
Repubblica, in aggiunta, scrivevo:
«In data 02 dicembre 2003 ebbi la possibilità di scoprire chi
fosse il nuovo letturista della società dell’acqua, che aveva suonato il campanello di casa mia e si era dileguato.». «Devo sostenere che, secondo me, è lo stesso che conduceva la… bianca segnalata al foglio…».
«Nel giorno della lettura del contatore fui costretto a braccare
l’addetto fino in piazza Della Vittoria – dove aveva posteggiato
il furgoncino – e perciò lo costrinsi a ripresentarsi dopo pranzo
quando, invece, parcheggiò a venti metri dalla mia abitazione.».
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Questi sono stati gli episodi iniziali in cui mi accorgevo che
in ognuno dei settori cominciavano a verificarsi circostanze imponderabili.
Con l’azienda del gas inizierà un’estenuante battaglia che, oltretutto, chiamerà in causa Poste Italiane perché molte porcherie
aziendali avevano in comune il sistema. In sostanza, le tecniche
per imbrogliare usate dalle società si assomigliano perché le ditte si conoscono e, per questo motivo, utilizzano gli stessi metodi
e le stesse strategie delinquenziali che, ai più, sfuggono.
Il reparto notte e i vicini
Avevo in precedenza spiegato che la mia stanza da letto è situata sopra la strada provinciale, ma non avevo ancora precisato
che il pezzo di casa formante il reparto notte è staccato dagli altri vani.
Per accedere alle camere devo uscire di casa e salire una scalinata esterna costruita all’uopo nel cortile e che dopo due rampe raggiunge il terrazzo da cui si accede al reparto notte. Terrazzo sul quale devo ugualmente mettere i piedi quando il mattino
mi alzo per, infine, eseguire il percorso all’inverso rientrando in
casa.
Siccome non avevo più notato alcunché di anomalo perché in
precedenza mai era accaduto qualcosa che attirasse la mia attenzione, agl’inizi di agosto del 2002, tramite raccomandata, scrivevo un’altra denuncia alla Questura, avente le seguenti parole:
«A distanza di parecchi mesi mi rivolgo di nuovo a voi e dopo che i fax inoltrati al vostro ufficio sono finiti in mano ai Procuratori della Repubblica.».
«Un mese e mezzo fa iniziai a notare alcune automobili che,
quando il mattino mi alzavo e mettevo piede sul terrazzo, erano
là: pronte a ripartire prima che potessi scorgerle e identificare.».
«Si trattava di appostamenti poco distanti, ma non sempre, e tra
i quali erano, oltretutto, presenti taluni furgoni che cercavano di
restare nascosti sfruttando qualcuno dei pochi punti rimasti scoperti e offerenti una visuale di casa mia.».
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«Alcuni, essendo alti e cabinati, potevano ottenere una visuale dal disopra del cancello della casa, e altri veicoli cominciavano a manifestare la presenza…».
«Il 25 luglio 2002, all’imbrunire, mi trovavo in un determinato luogo d’incontro con la mia ragazza, e nel momento in cui lei
arrivava con la propria auto, da un’utilitaria parcheggiata lì vicino scendeva una tipa che ritengo si fosse nascosta al mio arrivo.».
«Io giunsi nel luogo dell’appuntamento quindici minuti prima
e passando vicino all’utilitaria, eppure non notai la ragazza che,
infine, scese dal suo veicolo e salì su un’auto fastosa guidata da
un giovane molto abile…».
«La scena non convinceva e allora annotai gli estremi di targa dell’utilitaria, rimanendo ad attendere sviluppi futuri.». «I risultati sono arrivati prima di quanto credessi perché, la sera del
30 luglio, della stessa auto ne ho costatata la presenza nei pressi
della mia casa. In aggiunta, c’era una monovolume ed entrambe
erano posteggiate.».
«Se non fosse stato per gli appostamenti ed i blitz a cui avevo
assistito da casa mia, avrei dovuto presumere che la ragazza con
l’utilitaria fosse soltanto stata ingaggiata per soddisfare la curiosità dei miei vicini.». «Come ho spiegato alla mia ragazza, non
ritengo che questo sia l’unico motivo.». «Mi riferisco ai seguenti vicini… e alcuni hanno una visuale nel cortile di casa mia.».
«Allo stesso modo, alcune auto mi hanno fornito dei sospetti
giacché sembravano appostate lungo il percorso che conduce alla residenza della mia ragazza e diventato un luogo caratteristico
di mia frequentazione.». «Poi, pressappoco un mese fa, un’auto
tentava di seguirmi da…».
«Nel foglio successivo scriverò tutti gli estremi di targhe delle auto e le causali dove non avessi specificato in precedenza.».
«Ora, però, devo fare un’osservazione.».
«Pur percorrendo annualmente pressoché lo stesso numero di
chilometri, nel 2002 sono stato fermato più spesso dalle Forze
dell’Ordine.». «Nel 2000 sono stato fermato solo una volta, dalla Polizia Stradale e in piena estate, ma nel 2002 – ossia in circa
sette mesi – ho raggiunto le quattro volte: sempre per controllo
documenti.». «Niente da obbiettare, ma mentre prima mi capitava di passare davanti a una pattuglia e di essere lasciato passare,
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adesso, invece, sono sempre io a essere fermato, quindi non chi
mi segue né chi mi precede: questo per me è anormale.».
Dopo questa segnalazione ritornò quella consuetudine che era
mancata nei primi sette mesi del 2002, perché il 2001 era stato
da questo punto di vista delle fermate, ugualmente un anno nella
norma.
Lo spiazzo in cui m’incontravo con la mia ragazza di allora e
dove apparve la sconosciuta con l’utilitaria, si trova a Fagagna.
È il parcheggio di un locale in cui già da parecchio tempo fissavamo i nostri appuntamenti, e casomai qualcuno ci avesse notato, avrebbe avvertito qualcun altro. La signorina che conduceva
l’utilitaria sarebbe, infine, stata ingaggiata. Da una visura automobilistica eseguita dopo le denunce, si evincerà essere residente a Campoformido e non estranea alla Piramide.
Nello stesso modo risultarono complici della Piramide parecchi altri veicoli inseriti nella lista fornita alla Questura, e alcuni
avevano molta attinenza con il responsabile di reparto o Beduino D.M. Questo posso affermarlo poiché negli anni successivi,
assolutamente non influenzato da dubbi riguardanti le denunce
eseguite, procedetti alla visura di molti veicoli costatando che il
mio fiuto non aveva fallito.
Nella denuncia di agosto del 2002 avevo segnalato un veicolo
condotto da una ragazza che, il 17 giugno 2002, nel momento in
cui mettevo in moto la mia auto e stavo oltrepassando il cancello di casa, attendeva la mia uscita per pedinarmi. Lei partì dalla
proprietà privata di alcuni miei vicini e, in modo inaspettato, me
la ritrovai alle spalle. Il serbatoio della mia auto era quasi a secco, di conseguenza dovevo eseguire il rifornimento.
Quando mi fermai alla stazione di servizio per rifornirmi di
carburante, lei altrettanto sostò. La stessa auto compì un’azione
furtiva in cui scorsi un uomo nascosto dietro ai cespugli e ad un
muretto, sbucar fuori mettendo un congegno in tasca. Sembrava
un apparecchio audio-video, dopodiché la persona salì sull’auto
che, questa volta, era condotta da un uomo, non più dalla ragazza. Il giorno in cui accadde l’episodio mi ero già alzato di buon
mattino. Pertanto, forzando la persona a prolungare l’azione, assistetti alla scena mediante un binocolo. Questo non è tutto, perché nella delazione segnalavo l’inizio della presenza di un’auto
che si recava in modo sempre più assiduo da un altro vicino.
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Entrambi i veicoli dei quali ottenni la visura automobilistica
erano intestati a parenti stretti di lavoratori del settore FARmaceutico, diretto dal Beduino. A queste persone, oltretutto, si aggiungevano altre che avevano un legame con ulteriori dirigenti o
quadri e nei confronti dei quali ho utilizzato sempre lo pseudonimo «Beduino».
Il risultato ottenuto denotava che una cricca i cui capi erano
dei «Beduini», si era recata dal Faraone pronunciando: «Tu dare
moneta e noi portare cammello.». Il cammello, però, si rivelò
un cavallo zoppo che non andò lontano e si perse tra le «oasi».
Si tenga parimenti in considerazione che il periodo, iniziale,
in cui si erano svolte quelle anormalità urbane, cessò per alcuni
mesi e senza che i miei vicini e/o gli stessi ingaggiati fossero a
conoscenza di una denuncia nei loro confronti. Tra l’altro, li deferii quasi due mesi dopo gli episodi primari. Si trattava, quindi,
di una missione per un demarcato tempo e da mettere in relazione collimante con il periodo della mia vacanza a Lignano. Sicuramente sarebbe stata riproposta.
Circa due mesi or sono, inviai la delazione. Alcuni giorni dopo, assistetti a un ultimo isolato episodio che comportava la presenza di un veicolo dai miei vicini, ma erano trascorsi due mesi!
Lo misi, comunque, per inscritto in una successiva denuncia.
Durante tale intervallo di calma non assistetti più neppure a
una ben precisa manovra stradale consistente in un’inversione di
marcia. Anch’essa l’avevo segnalata perché ne avevo assistito a
una in quel circoscritto periodo persecutorio.
Alcuni anni dopo, provai a richiedere la visura del veicolo al
P.R.A. ma non mi fu concessa perché, stranamente, avrei potuto
richiederla soltanto nella provincia d’immatricolazione. Lascio,
pertanto, la facoltà d’immaginare a quante inversioni di marcia
s’incominciò ad assistere dopo la mia segnalazione. Era tangibile che avevo individuato l’insolita presenza di qualcuno.
Io credo che chiunque, con un veicolo, si rechi alla ricerca di
un’abitazione posta in un luogo del quale non ha una particolare
conoscenza, proceda lentamente eccetto che sia infastidito o distratto da qualcos’altro. Ma se dovesse accorgersi di aver oltrepassato il numero civico dell’abitazione che sta cercando, come
si comporterebbe? Eseguirebbe un’inversione di marcia per trovare il numero che gli è sfuggito. Questo fu un tipo d’errore che
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mi spronò a denunciare, addirittura, un paio di stranieri perché,
durante la consegna di un dépliant, uno dei due inferse un colpo
a una persiana di casa mia. Solo molto tempo dopo mi accorgerò, oltretutto, di possedere alcune immagini che mostrano i due:
transitare con l’auto dinanzi a casa mia, compiere un’inversione
di marcia e poi scomparire. È assai probabile che questi due fossero stati ingaggiati per coprire il precedente straniero, ossia il
magrebino che residente, forse, a ottanta chilometri e nel confinante Veneto, iniziò a seguirmi al buio. Quello che mi tallonava
con una ben distinguibile automobile bianca e, quand’entrai dal
cancello di casa mia, effettuò un’inversione di marcia.
Ecco, allora, che tentativi d’insabbiamento erano ugualmente
eseguiti in questo caso, ma queste presenze, forse, erano motivate perché alla Piramide, e non solo, cominciavano ad assumere stranieri che avessero origini estere e privi di parentele in Italia. Fino a quando lavoravo nello stabilimento, all’interno c’era
soltanto un operatore straniero. Dall’Albania era emigrato in Italia. Nonostante fosse laureato, esercitava con la qualifica di operaio perché era inserito nella categoria più bassa.
Col trascorrere degli anni, le visure automobilistiche che eseguirò saranno sempre più rare. Non a causa della penuria di motivi per denunciare, bensì perché gli episodi successivi che andrò a narrare rientreranno nella fase due e riguardante i necessari insabbiamenti più depistaggi.
Parecchi dei veicoli denunciati erano ormai sotto i miei occhi
attraverso le visure, e pochi erano rimasti quelli da verificare. In
qualche raro caso un certo dubbio ero cosciente di poterlo nutrire. Essendo stato attaccato in questo modo persecutorio, sconfinare nell’immaginazione e perdere la cognizione della realtà per
addentrarsi nel fantasmagorico, in certi rari casi era possibile.
Le visure quasi cesseranno nondimeno perché nei primi anni
del 2000 si poteva ottenerne una con quasi tre euro. In seguito,
però, il tempo intercorso avrebbe comportato la vendita dei veicoli, evidenziando i relativi passaggi di proprietà. La visura da
eseguire non sarebbe stata più un’I.S.G.A. (Ispezione dello Stato Giuridico Attuale), perché bisognava effettuare un E.C.G.N.
(Estratto Cronologico Generale Normale). Quest’ultima visura
non avrebbe costato solo circa tre euro a veicolo ma quasi sedici, perché attraverso il documento sarebbero emersi tutti i pro155
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prietari che avessero posseduto quel mezzo di trasporto. Quindi
non solamente il possessore finale, come dapprima era bastevole
all’indagine. In seguito, per un E.C.G.N. non saranno più sufficienti sedici euro poiché ne serviranno quasi ventuno. Ai sei euro e venti da pagare per una visura, sarà aggiunta un’imposta di
bollo pari a quattordici euro e sessantadue centesimi. Nel 2014,
una visura I.S.G.A. costerà più del doppio: sei euro, furti statali.
Il Municipio e gli enti collegati
Le denunce proposte dovevano risultare delle mie invenzioni,
e allora in questi casi si sarebbe agito in due modi. Specificando
meglio, insabbiando i reati commessi nel passato e aggiungendo
altri metodi per successive azioni.
In antecedenza, mi ero soffermato a descrivere le azioni persecutorie che mediante pedinamenti, appostamenti, controlli dei
luoghi di mia frequentazione, sfruttamento dei punti luce e delle
utenze, avevano minato la mia serenità.
Altri tipi di seccature, tuttavia, iniziarono ancora nell’autunno
del 2000, ossia quando i proprietari di un antico stabile patriarcale confinante con la mia stanza da letto, provocarono lo spostamento di una piccionaia. Così la nuova abitazione dei pennuti
divenne una vecchia soffitta trascurata. Adiacente a quest’antico
rudere, però a un piano inferiore, c’era la mia stanza da letto che
iniziò a esser interessata dai rumori provocati dal risveglio mattiniero di tortore e piccioni, costringendomi a svegliare presto.
Questi volatili erano stati costretti a insediarsi in una vecchia
soffitta dismessa perché, evidentemente, erano stati scacciati da
qualche altro luogo in cui prima soggiornavano. I proprietari di
quest’antico casato patriarcale hanno a disposizione migliaia di
metri quadri, e una dimora per ospitare gli uccelli, per loro, non
costituiva un problema.
A malincuore, ma recavano disturbo. Considerando, inoltre,
che eravamo ancora nell’autunno del 2000, figuriamoci le conseguenze che sarebbero sorte quando il sole avrebbe albeggiato
prima. Con il levar del sole sempre più presto, di conseguenza i
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rumori avrebbero anticipato il loro inizio, rispetto alla stagione
invernale oramai alle porte.
La loro durata, inoltre, non era di pochi minuti perché si prolungava quantomeno un paio d’ore lasciandomi insonne e in una
condizione di dormiveglia impedente di riprender bene il sonno.
Ovviamente c’era una presenza di uccelli uscenti dalla soffitta e un’altra di volatili entranti, con tortore e piccioni che andavano a urtare un aggeggio provocante rumore.
Quando i pennuti sbucavano dalla soffitta, non era sicuro che
si sarebbero allontanati, ed essendo in numero elevato, alcuni si
soffermavano a tubare appoggiati sopra i travicelli del sottotetto.
I rimanenti avrebbero preso il volo e le tortore sarebbero andate
a posarsi sulle antenne televisive delle abitazioni, per emettere
quei continui fastidiosi versi di richiamo che, inoltre, sarebbero
stati in grado d’interrompere il sonno degli abitanti dotati di un
buon udito.
Se anziché trovarmi a casa dal lavoro, fossi stato a lavorare e
avessi avuto bisogno di riposare in base ai turni svolti, sarebbe
stato peggiore. Forse, però, queste seccature non sarebbero iniziate perché la loro esistenza era molto probabilmente causata
dall’informazione del mio licenziamento che, oramai, si era diffusa. Essendo svanita l’estate, la mia presenza in casa era troppo
assidua e, non potendo più approfittare del bel tempo per recarmi in vacanza, c’era chi si chiedesse come mai ero sempre nella
mia abitazione.
Queste nuove presenze di volatili, oltretutto provocavano una
conseguenza. Siccome in modo perpendicolare a quei trenta metri di sottotetto che i pennuti sfruttavano per nidificare, c’era il
marciapiede su cui sarebbero caduti gli escrementi, quest’ultimo
si sarebbe insozzato diventando una lordura. Poi, si sarebbe resa
necessaria la pulizia. La quale, infatti, iniziò a esser eseguita ma
non da una persona qualunque.
Un netturbino del Municipio fu incaricato, ogni week-end, di
pulire grattando il marciapiede intaccato dagli escrementi. Operazione che eseguiva di mattina pressoché per due ore, in prevalenza il sabato.
Era evidente che la situazione non fosse più sostenibile, e allora i miei vicini furono avvertiti varie volte riguardo al problema insorto. Ogni volta che erano interpellati, i rumori cessavano
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per alcuni giorni e poi sovente per settimane, al punto che spesso il busíllis sembrasse risolto.
Fino a quando, dovendo seguitare a subire questi fastidi, denunciai ai Carabinieri quello che stava accadendo. Tuttavia loro
non intervennero e nessun altro in divisa si attivò al loro posto.
Cosicché nel multi esposto del 3 aprile 2002 inserii perfino una
delazione alla Procura della Repubblica, accludendo le tre scritte e inviate ai Carabinieri.
Non trascorse molto tempo da quando avevo trasmesso la denuncia alla Procura, al giorno in cui i Carabinieri si recarono dai
miei vicini ed eseguirono il sopralluogo. Il giorno in cui fu, finalmente, accertata la presenza dei volatili, eseguii una foto del
tetto di casa mia che era pieno di tortore e piccioni scacciati fuori dalla soffitta dei miei vicini.
Dopo il sopralluogo furono chiuse le fatiscenti e danneggiate
ante delle finestre, ma queste, proprio per il motivo di non essere integre, consentivano ancora l’ingresso ai disturbatori. Allora
furono applicate alcune reti che risolsero gran parte dei problemi. Il sottotetto, però, continuerà a essere abitato da qualche volatile che sarà presente ogniqualvolta i miei vicini chiuderanno
l’accesso al primo luogo da cui gli uccelli erano stati scacciati in
massa. Quando il mattino ci si ritroverà svegliati dal verso delle
tortore, significherà che è stato escogitato un altro sistema.
Non paghi dei fastidi provocati e quando i problemi determinati dalla presenza dei pennuti furono risolti, quasi sotto la finestra della mia camera una stanza fu adibita a laboratorio officinale. Così a causa dell’uso di varie attrezzature, il luogo era fonte di altri rumori molesti. Ossia trambusti ai quali s’integrava la
presenza d’estranei che, dalla finestra al pian terreno, avrebbero
potuto sorvegliare l’uscita di casa mia. Poi, un giorno, un’altra
stanza adiacente fu adibita allo stoccaggio di legna da ardere.
Nel 1999, quest’antico stabile patriarcale fu sfruttato per una
festa tradizionale patriottica che si svolse esattamente nel mese
di giugno. Nello stesso mese ma del 2000, però, non si era svolta alcuna festa, e la conferma l’ebbi quando, non appena rientrato dal soggiorno a Lignano, lo domandai ai miei genitori. La festa non si tenne oppure fu spostata in un altro luogo caratteristico e come avvenne nel 2001, ossia un vecchio mulino abbandonato e trasformato in un rustico conviviale: il mulino Romano.
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Nel mese di luglio del 2001, all’interno del cortile patriarcale
situato dietro la mia casa, cominciarono a festeggiare l’avo Notaro che aveva fornito i natali ai miei vicini detentori del casato.
Negli anni seguenti, una biblioteca privata in espansione ed a lui
intitolata iniziava ad aprire i battenti proprio nel mese di giugno.
Nell’anno 2002, però, era già iniziata una bagarre di feste, alcune importanti e altre meno, ma per una di queste fu ideato di
tenerla in coincidenza con il periodo del mio licenziamento. Lascio soltanto immaginare quello che comporta il periodo in cui
fervono i preparativi. Non era tanto la festa in se stessa che suscitasse sospetti, perché un evento di questo genere durava due
o tre giorni, ma tutto ciò che implicava installazioni e rimozioni
di: impianti, apparecchiature, sedie, tavoli, ecc. Era un viavai di
persone che si capiva non esser là per caso. In aggiunta c’era chi
quando in maniera fortuita t’intercettava fuori di casa e paese, si
comportava come certi persecutori e pedinatori già descritti.
Negli anni successivi, i pedinatori diventavano oltretutto persone che approfittavano di circostanze propizie perché favorenti
l’individuazione del mio veicolo posteggiato. Fuori dagli esercizi pubblici in cui mi fermavo casualmente, oppure nei parcheggi
dei centri commerciali, costatavo la presenza di estranei rimasti
nell’attesa che salissi sul mio veicolo. Certe facce quando si accorgevano che li stavo prendendo alle spalle!
Incontrare qualche persona che quando sei fuori zona tenta di
seguirti, e ti accorgi che, in quel periodo, gli stessi conducenti si
trovino nei pressi di casa tua, significa che continua a esserci il
coinvolgimento dei vicini. Non soltanto per quest’ultima ragione ma, oltretutto, perché se, ad esempio, l’ultima festa si fosse
tenuta nel 2002 e la successiva nel mese di giugno dell’anno seguente, varie attrezzature sarebbero rimaste nell’ultimo luogo in
cui erano state utilizzate. Il recupero nell’anno venturo avrebbe
provocato un viavai di persone, e mezzi, per realizzare un precedente che, contrariamente, non era esistito, perché nel 1999 le
attrezzature erano state rimosse. E poi, giacché la mia abitazione
confina con il territorio in cui si tenevano le feste, c’era sempre
la possibilità di dichiarare menzogne. Di aver udito la mia voce
o, addirittura, il motore della mia automobile. Tutto questo benché fosse falso, ma sarebbe stato conveniente propinarlo perché
la visuale è sempre stata ostacolata dai muri di confine.
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Questa denuncia la promuovevo a luglio del 2003 e quando,
per il secondo anno consecutivo, nel mese di giugno continuava
a coincidere una festa, non per forza la stessa. Dovette arrivare
il 2014 per riuscire a capire il motivo di tutte le feste finora descritte. Durante il mese di giugno, il Comune di Mereto fu incaricato di affiggere uno stendardo sul quale erano indicate le date
di nascita e morte dell’avo Notaro. L’anno 2000 coincideva con
il trentennale della morte. L’affissione, molto tardiva, di questo
gonfalone campeggiante in via De Marco costituirà, quindi, uno
degli espedienti utilizzati per tentare d’incastrare il protagonista,
provando a lasciar intendere che conoscesse già questi dettagli.
Nel 2004, tuttavia, cessarono talune feste, però c’era qualcuno che stava preparando un sistema per aggiungerne altre. Consisteva nella ristrutturazione di una grande sala che sarebbe stata
sfruttata per raduni e banchetti, inclusi quelli della Lega Nord.
Era chiaro che il Comune stava per prendere possesso, o pagare l’affitto, di un locale che consentisse di portarvi all’interno
persone per qualsivoglia ragione voleva, e allora il salone fu oltremodo sfruttato per: ricorrenze, onorificenze, disco-party, degustazioni ed alcune manifestazioni comprendenti competizioni
sportive. Ma l’elemento grave era che, usando termini impropri,
si cercasse di attribuire allo stanzone un’attinenza storica e non
lasciando dubbi che, col passare degli anni, ci sarebbe stato chi
ne avrebbe osannato un suo utilizzo remoto.
Questi termini impropri emergevano quando gli organizzatori
affiggevano manifesti e cartelli per indicare il giorno e il luogo
in cui si sarebbe tenuto un festeggiamento.
Questi termini impropri emergevano perfino in modo subitaneo quando una manifestazione racchiudente l’ambito sportivo,
era fissata e resa nota da un opuscolo propagato dal Comune di
Mereto.
Per la consegna sia di questo e sia di altri opuscoli era stata
scelta proprio una persona che da qualche anno era in pensione
dopo aver lavorato per trenta anni alla Piramide, come unica responsabile del refettorio. Questa figura era stata altrettanto scelta cosicché assiduamente si recasse dai miei vicini, molto probabilmente includendo alcuni imparentati con lei. Prima che segnalassi l’arrivo degli opuscoli Comunali, sia lei sia i suoi familiari, però, erano quasi mai stati presenti.
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Questa sala avrebbe altresì permesso lo svolgimento di quelle
manifestazioni che, in precedenza, si sarebbero potute tenere solamente all’aperto, come valeva per certe particolari scampagnate di scolaresche, ma rimaneva da stabilire quand’erano iniziate.
Le denunce che riguardavano le feste nel territorio patriarcale, più la segnalazione inerente all’allestimento di uno stanzone
che da sempre era stato inesistente e inutilizzabile, provocavano
il fallimento dei piani.
In questo territorio s’incominciò, quindi, ad assistere a gruppi
di scolaresche che trascorrevano una mattinata, un pomeriggio o
una giornata usufruendo dell’ampio spazio messo a disposizione. Nel 2004, dapprima una scolaresca di Basiliano iniziò a recarsi con lo scuolabus, e poi, a distanza di pochi mesi, cominciò
il viavai di un certo numero di veicoli. Le automobili sono presenti perché i genitori, gli zii o i nonni devono trasportare e, infine, andare a riprendere i pargoli partecipanti alla scampagnata.
Alcuni, tuttavia, si fermano insieme ai figli. In tutto saranno stati all’incirca una ventina di veicoli, eppure avevano inscenato un
incessante andirivieni, quasi per controllare la strada.
Non promossi mai una denuncia per ciò che avvenne, ma nel
2006 inserii le targhe di quella ventina d’auto, in una lunga lista
di ottocento veicoli. Aguzzando bene la vista, sarebbe stato possibile individuare tredici delle venti targhe. Prima che qualcuno
fosse in grado di comprendere il modo in cui inserii le auto nella
lista della delazione, trascorsero pressappoco due anni. Poi, solo
una volta giunti nel 2008, incominciarono i soliti depistaggi.
Fu allestito un piccolo parco giochi con: scivoli, giostre e piscine gonfiabili, e il tutto fu sistemato in un ampio spiazzo verde. Quando quest’ultimo non era utilizzato dai bambini per giocare, fungeva d’area di parcheggio per le autovetture presenti a
pranzi e cene luculliane della Lega Nord.
Queste iniziative insabbianti che erano diventate una consuetudine, giungevano con parecchio ritardo rispetto alle precedenti
e iniziali. Che sì, non erano ancora state segnalate o denunciate,
ma gli estremi delle targhe che avevo inserito nella lista avevano oramai attirato l’attenzione di chi era in grado di capire.
Le classi della prima scolaresca presente con le auto, non solo potevano essere state selezionate perché tra i genitori, i nonni,
ecc. – dei bambini – ci fossero affiliati alla cerchia della Pirami161
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de, ma, addirittura, perché fosse importante la loro età. Quella di
prendere la lista formata da un tot numero di persone e inserirvi
all’interno una quantità di mafiosetti aziendali, si sarebbe potuta
spacciare per casualità, o probabilità, matematica.
La mia convinzione, però, era che fosse insufficiente, quindi
richiesi di procedere al controllo di quante persone erano state
scelte, appositamente, affinché potessero essere ricondotte al periodo del mio licenziamento. Soltanto in questo modo sarei stato
in grado di trasformare quella che, erroneamente, era considerabile casualità matematica, in azione tendenziosa tramite lo sfruttamento dei bambini e, dal 2008, dei loro genetliaci.
Per ottenere un risultato comprovante la mia denuncia, sarebbe stato sufficiente controllare la prole dei proprietari e i parenti
stretti degl’intestatari dei veicoli. Casomai costoro fossero stati i
genitori, gli zii o i nonni di un bambino avente almeno otto anni,
oppure di un altro che, nel 2000, ne avesse minimo quattro, sarebbe andato a sfavore di chi, nel 2004, incominciò a presentarsi
con figli o nipoti. Qualcosa doveva essere emerso poiché queste
scampagnate ripresero ben quattro anni dopo e iniziarono a essere sfruttati i bambini di altre scuole. Questa delazione metteva
termine a quanto accaduto anteriormente, ma era inutile perché
la mia casa necessitava di controllo e sfruttando ogni occasione
che potesse costituire un motivo per portavi estranei.
Era l’anno 2007 e fu assunto un factotum che si occupasse di
dedicarsi al caseggiato patriarcale. Egli si occupava di curare il
territorio, rastrellare la ghiaia del cortile, spaccare la legna – che
altri estranei incominciarono a trasportare – e, infine, trasferirla
una volta recisa. Allo scopo d’ottenerne un formato trasportabile
e combustibile, l’impiego di una sega circolare rappresentava lo
strumento e l’attrezzo ideale al conseguimento del risultato finale. Si inizierà ad assisterne a un suo utilizzo come vale per quello che menzionerò nel capoverso a seguire.
Un giorno egli, il tuttofare, salita la lunga scala telescopica
che all’uopo era stata acquistata per realizzare questi e altri lavori, fece capolino dall’alto fastigio di un muro divisorio e confinante. La scala nuova era composta in lega leggera, probabilmente alluminio, e permetteva di raggiungere altezze considerevoli. Tramite le lame acuminate, con un paio di forbici per potare stava recidendo dei rametti inerpicatisi fino in cima al muro.
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Come l’edera che lentamente avanza avviluppandosi a tutto quel
che incontra e invadendo ogni spazio consentito, queste piccole
fronde avevano sconfinato dall’altro lato, quello della mia casa.
Ero nel cortile, e insieme a mia madre stavo eseguendo un lavoro di manovalanza varia. Quand’egli, il giardiniere improvvisato, la saluta.
«Mandi Nila!», pronunciò col timbro di chi ha una voce dal
tono basso e stentoreo, alzando il braccio e agitando la mano.
«Mandi, mandi», rispose mia madre ricambiando il saluto.
A quel punto, però, rendendomi conto che lei ricambiò il gesto di cortesia senza pronunciare il nome di chi l’aveva salutata,
dovetti chiederle: «Mamma, chi è il signore che hai salutato?».
E lei rispose: «È Luciano!».
Completamente in dissensione con le parole riferitemi, contestai quello che stava affermando in modo inesatto, e un po’ seccato le risposi: «Ma mamma! Saranno suppergiù vent’anni che
non vedo Luciano… ma son sicuro che se fosse stato lui l’avrei
riconosciuto! E che diamine!».
«Ma guarda che è lui, l’ho riconosciuto!», insistette mia madre. E allora dovetti risponderle mediante un secco: «No, assolutamente non è lui.».
La mia convinzione era che, invece, si trattava di una persona
assomigliante a Luciano, forse un suo parente. La voce, inoltre,
non era uguale, e sia la corporatura sia l’altezza non corrispondeva.
Il factotum che in quel giorno rivestiva i panni di giardiniere,
salutò mia madre ma non me. Luciano, invece, si sarebbe comportato diversamente. E poi costui lo avevo già battezzato come
impostore, perché un giorno lo colsi in flagrante mentre col padiglione auricolare accostato al muro confinante con le stanze di
casa mia, origliava i rumori provenienti dall’interno. Oltretutto,
Luciano che parecchi anni prima era stato un affittuario dei proprietari dell’antico caseggiato patriarcale, non avrebbe mai tenuto una condotta del genere. Nel 2011, inoltre, ebbi la possibilità
di vederlo e lo riconobbi subito.
Durante la fase post-licenziamento si costatava che un Sindaco era, in pratica, agli ordini della Piramide, e tra i vari persecutori che, in seguito, incominceranno a operare nel luogo ove risiedo, di conseguenza si aggiungerà il Comune. Oltre ad agire in
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modo che, per quel che riguardava i visitatori del 2002, ci fosse
qualche suo veicolo presente, il Municipio cominciò ad adottarne uno ben preciso. Lo segnalai all’inizio del 2004 perché la sua
presenza era sistematica ma a volte inutile, e con questo veicolo
si potevano svolgere altri lavori, persino fuori dai centri abitati.
Si trattava di un’autospazzatrice utilizzata per la pulizia delle
strade che, transitando pianin pianino, forniva ai conducenti una
prolungata visuale del mio cortile ottenuta dall’esterno del cancello di casa mia. Tuttavia questo veicolo aveva altre funzioni e
una di queste consisteva nell’esecuzione degli spurghi di taluni
pozzetti. Era una seconda funzione che, abbisognando di molto
tempo per l’intervento da compiere, assicurava l’autospazzatrice
presente per lunghi periodi nella via in cui abito.
Tra gli altri lavori che questo veicolo potesse compiere c’era
lo sfalcio dell’erba cresciuta sui cigli delle strade, ma questo incarico non riguardava quelle provinciali. Pertanto, con la mancanza di questo mezzo nel parco veicolare comunale, il Comune
non avrebbe potuto dimostrare che falciasse l’erba, perché a occuparsene era l’ente provinciale. Incarico che lo rendeva presente persino all’interno dei cartelli stradali delimitanti il centro urbano, per cui non falciava l’erba solamente sulle strade provinciali, ma anche all’interno dei centri abitati.
Nella maggior parte della gente un’autospazzatrice non produrrebbe alcun interesse ma, al contrario, trattasi di un veicolo
appartenente a un ente pubblico, perciò può supportare trasferimenti. Se, inoltre, a distanza di anni qualcuno cercasse le prove
di uno spostamento non le troverebbe, così l’automezzo sembrerebbe appartenuto sempre a quel Comune. E allora, il veicolo in
questione il cui utilizzo iniziò solamente nel 2002, poteva esser
spacciato per operante nel 2000. Più tempo fosse stato lasciato
trascorrere senza eseguire una segnalazione, maggiore sarebbe
stato il rischio d’incappare nell’ennesimo raggiro anacronistico.
Un nuovo indizio l’ebbi quando venni a conoscenza di chi lo
guidava. Per l’ennesima volta, la persona scelta c’entrava molto
con la Piramide perché lui è il consorte di una ex dipendente del
reparto, Dinamiteria, che serrò. Quando venni a saperlo, avevo
già da qualche tempo prodotto una denuncia con tanto di video
che lo filmava mentre era alla guida del veicolo comunale. Molto tempo dopo che avrò spedito il plico inerente alla segnalazio164
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ne, il conducente dell’autospazzatrice irromperà all’improvviso
nell’ambulatorio medico in cui mi ritroverò, dichiarando d’esser
il marito di… e d’esser lì per ritirare una ricetta della moglie.
Avendo intravisto la mia auto parcheggiata fuori, intanto che
con quella spazzatrice stava effettuando la pulizia della strada,
approfittò per irrompere nell’ambulatorio. Entrò indossando la
divisa arancione mentre stavo argomentando con il medico e ritirò una ricetta. Era una condotta da piccolo privilegiato che, attraverso una minuscola agevolazione, avrebbe tenuto dopo mezzogiorno per, infine, fermarsi e riprendere il lavoro dopopranzo.
Ma c’era l’interesse di vedere il protagonista!
Per quel che attiene all’autospazzatrice, c’era dalla mia parte
una targa che, oltre a esser sbiadita e poco leggibile, si riferiva a
un veicolo immatricolato molto prima dell’anno 2000. Di conseguenza, il veicolo proveniva da un altro ente o Comune senza
richiedere il passaggio di proprietà. Soltanto in seguito alla mia
segnalazione, forse qualcuno avrà rimediato preparando un artificioso documento di locazione e/o di acquisto. In entrambi i casi, se vi fosse presenza, i documenti ricorderebbero quelli truffaldini del cavalocchio P.C.M. Oppure di altri episodi che, costituenti reati anacronistici, saranno esposti nei prossimi capitoli.
Un veicolo che a Mereto di Tomba fu utilizzato anni dopo la
sua immatricolazione, è stato il primo scooter postale. In questo
caso si trattava nientedimeno che di un mezzo intestato a un ente statale che poteva trasferirlo senza che qualcuno fosse in grado di accorgersi e capire. Avevo stimato che lo scooter postale,
iniziale, avesse già tre anni quando, nel 2002-2003, il portalettere cominciò a utilizzarlo. Il successivo, invece, iniziando ad apparire nel 2006, per la targa posseduta significava che era nuovo
e il rumore del motore lo testimoniava.
Il Consigliere occulto, e non il solo...
Io abito con mia madre che è sempre stata una donna ingenua, ma possiede la partita I.V.A. perché è la titolare di una minuscola azienda agricola.
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Lei, dopo quasi trentacinque anni di lavoro, è finita col percepire la pensione di vecchiaia anziché quella di anzianità, della
quale avrebbe beneficiato versando solamente dieci mesi di contributi in più, che non è escluso le siano stati sottratti per…
In televisione si sente sempre più spesso che ci sono persone
che abbiano truffato l’I.N.P.S., ma certamente non ci si esprime
quando, viceversa, a truffare i lavoratori è questo ente. Attraverso la Guardia di Finanza e altre Forze dell’Ordine si smascherano finti invalidi, finti ciechi e possessori di pensioni anomale o
appartenenti a persone decedute. Ma non apprendiamo mai che
l’I.N.P.S. e coloro che lo gestiscono, abbiano truffato stolti e ingenui lavoratori. Figuriamoci se un ente rappresentante lo Stato
finirebbe inquisito da chi gli permette di curarne gli interessi!
Al fine di ottenere la pensione massima, sarebbe bastato che
mia madre avesse versato ancora una decina di mesi, invece lei
permise all’I.N.P.S. di raggirarla. Ad aprile del 2000, compiuti
sessant’anni, andò in pensione con settecentomila lire al mese,
anziché un milione. Se non fosse stato per la pensione, «da nababbo», che mio padre percepiva per aver lavorato un’intera vita come muratore, la fame sarebbe stata patita.
Sono certo che, per quanto accaduto e includendo tutte le altre persone che hanno subito un tale maltrattamento, l’I.N.P.S.
abbia delle risposte. Si tratterebbe di meri sofismi ed io non risponderò dei cervelli che resteranno ad ascoltare questo ente che
va condannato al risarcimento dei contributi versati in eccesso.
Ai quali andranno aggiunti gli adeguamenti del denaro al costo
del carovita, più gli interessi. Tutto questo per rendere Giustizia
a coloro che, come me, non avranno più una vera pensione.
Mia madre: una donna ingenua, una credulona, una persona
che spesso s’infervora per alcune banalità e bensì non muove un
dito per argomenti più importanti. Una donna che punta il dito
sui peccati o gli errori degli altri e sorvola, con auto-indulgenza,
su quelli da lei commessi. Una donna che negli ultimi anni ha
preso l’abitudine di replicare o commentare, nondimeno a voce
alta, qualsivoglia giuccheria ascoltata dalla televisione. Semmai
qualcuno nel 2011 avesse finto di telefonare dalla non distante
base di Rivolto, ove ha sede la pattuglia nazionale delle Frecce
Tricolori, usando le parole: «Ma signora… abbassi la voce che
sta disturbando il segnale radio dei nostri aviogetti in volo!».
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Mia madre avrebbe risposto: «Figliolo... si ritenga fortunato,
perché lei al massimo ascolta male la radio, mentre io non riesco più a guardare bene la televisione», e poi avrebbe aggiunto
«Non è colpa mia se da quando è arrivato il digitale terrestre, ci
sono tanti canali che trasmettono molte sciocchezze, e durante
tutto l’anno è diminuito il segnale di quelli che pago allo Stato.
Dopo lo switch-off interessante il digitale terrestre, le immagini
baluginano continuamente.».
E fu proprio a cagione della scomparsa del segnale televisivo
che un giorno mia mamma rimase con gli occhi spalancati proprio nell’istante in cui Julia Roberts stava ammiccando durante
una réclame del caffè. Il fermo immagine rimasto impresso sullo schermo era di una donna scialba, con un occhio semichiuso
e dall’aspetto quasi inebetito. Al punto che mia madre esclamò:
«Oh mame me! A la Roberts e je vignude une parèsi.», che si
traduce in «Oh mamma mia! Alla Roberts è presa una paralisi.».
Mio padre, però, era colui che si occupava dell’azienda, e oltre alla parte di granoturco che costituiva l’alimentazione degli
animali da cortile, c’era una quantità che, essendo eccedente, era
venduta. Un giorno, dopo aver trasportato a destinazione un carico di granoturco trebbiato, si accorse che uno pneumatico del
trattore era forato, e allora prese contatto con una ditta per eseguire una riparazione provvisoria.
All’incirca un mese dopo fu avvicinato da un abitante in Mereto di Tomba con il quale aveva un vago rapporto di conoscenza e che gli suggerì di servirsi della tal società per sostituire gli
pneumatici posteriori del trattore. Mio padre, però, aveva già un
gommista del quale servirsi, e gli pneumatici usurati da sostituire, quand’erano nuovi li aveva installati dallo stesso che glieli
aveva venduti.
L’ultima sostituzione degli pneumatici avvenne, invece, nel
cortile di casa mia, ma io rimasi nascosto nella mia stanza perché in questo caso sentivo altrettanta puzza di bruciato. Una volta ricevuta la fattura ed effettuata una piccola indagine privata,
beneficiavo dell’informazione che la ditta entrata nella mia abitazione era intestata al cognato del Beduino D.M.
In base a ciò che si stava verificando, si ergeva il sospetto che
dietro all’avvenuto convincimento di mio padre tramite il conoscente incaricato di avvicinarlo, vi fosse un consigliere occulto.
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Ben presto divenne con la «c» maiuscola. Si tratta di un parente
prossimo del Beduino D.M., che operava nel Comune di Mereto
perché inserito nell’ambito politico. Questa rivelazione apriva a
molti scenari per quel che riguardava particolari seccature accadute e sull’interesse nutrito dalla Piramide a proteggere uno dei
suoi Beduini avente tanta arte e poca parte.
Molto probabilmente, per convincere mio padre a rivolgersi
alla ditta appartenente al cognato del Beduino, era stata sfruttata
una motivazione di convenienza economica. Questa esca, però,
non sarà l’unico segnale che i miei genitori fossero stati adescati
da persone che, in seguito, entrassero nella nostra abitazione.
Dopo che avevo denunciato quanto avveniva dai miei vicini,
chissà perché non avrebbero dovuto esserci persone entrate nella mia casa! Il tutto per creare il dubbio che gli abitanti di questa
via fossero stati abbindolati.
Ed ecco che nel settembre del 2002 una coppia d’estranei entra nella nostra casa, e come forma di ringraziamento si presenta
con un incantevole vaso di ciclamini. Questo perché mia madre,
per loro due ha prenotato i posti a una cena di paese che si consuma all’interno di una piccola palestra scolastica poco frequentata, quasi dismessa.
Ma qual era la vera motivazione riguardo alla presenza di due
coniugi che risiedono a una distanza maggiore ai trenta chilometri, costituiva ancora un mistero. Iniziando a conoscerli, fummo
informati che il figlio fosse lo strumentista di un discreto gruppo
folk che suona nelle feste e sagre di paese. La figlia si stava laureando in giurisprudenza o era inserita nel settore legale. Solamente negli anni successivi e quasi certamente per aver segnalato quest’infiltramento, fummo resi conoscenti che la donna aveva una sorella residente in una frazione di Mereto ed era, inoltre,
stata una dipendente della Piramide.
Quando la donna chiedeva a mia madre di prenotarle due posti alle cene di paese, forniva il cognome del marito non destando così alcun sospetto che potesse esserci un legame con la Piramide.
Negli anni successivi, la cena di paese fu persino anticipata di
mesi, spostandola per un anno a fine giugno, e questo costituiva
indizio che, probabilmente, ci fosse stato il tentativo di sfruttare
questo simposio. Io, però, giammai vi avevo partecipato, ma un
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giorno due persone mi trascinarono all’inaugurazione di una ditta trattante attrezzature agricole. Luogo in cui, secondo entrambe, non avrebbe dovuto esserci altra gente del comune di Mereto. Sebbene non avessi una grossa conoscenza delle persone abitanti in questo comune, notavo lo stesso la presenza di parecchie
facce già viste.
Trascorsi alcuni mesi dall’inaugurazione della ditta, accadde
qualcosa d’insolito che, ancora una volta, riguardava un veicolo
ben preciso ed a bordo del quale riconobbi subito il conducente.
Una circostanza fortuita lo portò ad approfittare, manifestandosi, di una mia presenza, ma verosimilmente lui si comportò in
tal modo apposta. Passò due volte davanti a me, proprio per farsi riconoscere. Quando si comportò in quel modo, avevo già segnalato alla Procura della Repubblica di esser stato «trascinato»
all’inaugurazione di una ditta trattante attrezzi agricoli, sita alla
periferia di Udine.
Si trattava certamente di una persona che avevo già visto a
quell’inaugurazione, e allora per lui valeva lo stesso. Tuttavia, il
giorno in cui, manifestandosi, lo riconobbi alla guida di un veicolo, stava conducendo quello della ditta in cui lavorava. Questo
mezzo gli permette un certo anonimato perché, tramite la visura,
scoprirò che il furgoncino non è suo ma la ditta è di Basiliano.
Ma chi era codesta strana persona di sesso maschile presente
all’inaugurazione della ditta di attrezzi agricoli?
Era un addetto alle vettovaglie che si occupava di allestire i
barbecue. Si offriva per cuocere la carne alla griglia e preparare
quei manicaretti che, infine, sarebbero stati serviti ai commensali di piccole e grandi feste, forse da lui stesso. Quelle piccole e
grandi feste avrebbero incluso talune svoltesi nei cortili del mio
vicinato, in particolar modo quelli del territorio patriarcale. Non
era neppure da escludere che per lui fosse stato ricercato un ruolo da ricoprire all’interno delle cene di paese o in altri conviti a
cui, però, non avevo mai partecipato.
La sgradita onnipresenza di un pachiderma con il quale non
legavo, già dal 1995 mi costringeva a rifiutare ogni invito. Perdendone l’interesse, non mi recai neppure ai banchetti dove lui
era mancante. La sua invadenza, già negli anni novanta mi aveva altresì costretto a non frequentare più bar e locali del paese in
cui abito.
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Qualcuno, essendo informato dei dissapori che avevo con tale
impudente persona, cercava di scaricare su di lui le responsabilità che, contrariamente, erano dovute a persone ingaggiate dalla
Piramide. Si cercava pertanto di alleviare i carichi delle denunce, ma persino in questo caso fui, ben presto, in grado di comprendere che lui, l’invadente, non fosse estraneo al misero tentativo. Egli era consenziente a creare un capro espiatorio in favore
degli accusati. Così sarebbe stato possibile scagionare alcuni indiziati, per tentare di attribuire a se stesso la responsabilità delle
loro azioni e non meno presenze.
Prima che i due estranei coniugi avvicinassero i miei genitori:
nessun altro si era prodigato, loro partecipavano da soli alle cene e non c’erano neppure conoscenti o parenti, eccetto mia sorella. Non si può quindi escludere che, dopo le mie denunce, altri abbiano iniziato ad avvicinarsi per sfruttare ancora mia madre e le sue amicizie che, a loro volta, avrebbero potuto essere
adescate allo scopo d’ingaggiare altre persone a noi sconosciute.
Le segnalazioni e denunce che mettevo per inscritto hanno sempre comportato successive azioni riparatrici e l’ingaggio di altre
persone. Accadeva, però, altresì che le accuse afferenti un orario
subissero una variazione, ad esempio anticipandolo.
Certamente dopo le mie denunce e poiché l’addetto al barbecue conduceva un veicolo appartenente a una ditta, avrà trovato
un sistema per tentare di lasciar credere che avessi già in mano
qualche informazione su di lui. Si rendeva conveniente dichiararlo perché la sede della ditta in cui lavorava era sita a Basiliano, ossia il paese in cui la Piramide aveva la propria, legale, più
un’altra piccola ditta affiliata. Oppure, successivamente, il mezzo che utilizzava potrebbe averlo scambiato con quello di un altro dipendente adoperante un veicolo non sospettato e appartenente alla stessa ditta.
Il risultato fu che una tecnica esposta alla Magistratura e consistente nel lasciare i veicoli, da me denunciati, fuori dalla propria casa o all’esterno di talune sedi e bene in vista, sarà adotta
anche in questo caso. Il furgoncino della ditta comincerà a essere spesso parcheggiato nei pressi di un’abitazione ben precisa.
L’abitazione era quella di un ex assistente del Beduino D.M.,
ma che non sarà trasferito nel reparto dove lavoravo. Sarà destinato al comparto manutentivo. Prima che il reparto Dinamiteria
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chiudesse, era già stato promosso capofficina. Pure in questo caso, come in quello del Beduino, lui rimpiazzò un dimissionario.
L’abitazione in questione emerse quando procedetti alla visura degli estremi di targa perché, il giorno in cui mi recai a saldare la quietanza riguardante l’assicurazione della mia auto, notai
un giovane che tergiversava rimanendo a lungo nel parcheggio.
Egli era in piedi, fuori dall’auto, e in compagnia di una seconda
persona con la quale confabulava trascorrendo il tempo.
Rinunciai a recarmi nella sub-agenzia assicurativa che si trovava a soli trecento metri da casa mia, proprio perché quel comportamento lo ritenessi troppo attendista. Inoltre, notai che non
appena il giovanotto accertò la mia direzione di provenienza, mi
scrutò. Così lo strano comportamento mi costrinse, in seguito, a
identificarlo tramite l’ennesima visura automobilistica.
L’auto non era intestata a lui ma a un suo familiare residente
nell’abitazione situata nei pressi del luogo in cui il veicolo condotto dall’addetto al barbecue cominciò a spuntare. Da quel che
accadeva, apprendevo che alcune persone erano state gestite per
coprire i turni durante gli orari di apertura della sub-agenzia assicurativa. Sub-agenzia che, aprendo tre volte la settimana e solo per un paio d’ore, permetteva alla Mafia Aziendale di mettere
a disposizione persone da piazzare al fine di avere qualcuno in
grado di riconoscermi. Negli anni precedenti, infatti, avevo segnalato che nel giorno in cui mi recavo a saldare il premio assicurativo dell’automobile, capitavano fatti strani che rasentavano
la prova che c’era chi attendeva proprio quel periodo.
Quello che stava accadendo mi costrinse a spostare: la polizza, le quietanze, i rapporti, ecc., nella sede principale sita a dieci
chilometri di distanza.
Quello che era stranamente avvenuto nel parcheggio antistante alla sub-agenzia assicurativa, accresceva il mio sospetto che
si verificasse per negare la presenza di mie immagini. Le quali,
negli anni successivi al mio licenziamento sarebbero state sfruttate, o distribuite, per incrementare il numero dei persecutori.
Sapevo perfettamente che c’erano perlomeno due dipendenti
dell’azienda aventi qualche mia immagine. Allora, in quelle che
furono denunce successive e che spiegherò nei prossimi capitoli,
ventilerò la possibilità che ci fosse stata una divulgazione o anche solo una banale visione. Tra le mie immagini detenute spic171
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cavano quelle afferenti le foto scattate durante le gite aziendali,
e una di quelle in cui comparivo era nelle mani del Sindacalista
C.C. Inoltre, all’inizio degli anni novanta un viaggio vacanziero
all’estero vedeva uno dei tre Ragionieri rientrare tra un gruppetto di amici che vi aveva aderito. E poi, effettivamente, il modo
in cui mi scrutò quel giovanotto che confabulava nei pressi della
sub-agenzia assicurativa, comprovava che mi avesse già visto in
fotografia. Eseguita una segnalazione di questo genere, era matematico che i dipendenti in possesso d’immagini che mi ritraevano, dovevano essere preservati affinché l’azienda risulti pulita
ed estranea alle apparenti fughe di materiale fotografico.
È molto probabile che, per risolvere il problema, siano state
ingaggiate delle persone per trovare quelle immagini che mi assicuravano ritratto, o ripreso, in qualsiasi luogo e includente parenti o amici. Proprio per non fornire possibilità di questo genere, per molti anni rifiutai di lasciarmi fotografare e filmare. Tra
l’altro, agli inizi degli anni 2000 il boom delle fotocamere digitali non era ancora esploso e i rullini erano sviluppati negli studi
fotografici in cui la Piramide avrebbe potuto avere accesso. Allo
stesso modo con cui si era ingerita nel punto-fax di cui mi servivo, avrebbe potuto ugualmente intromettersi laddove qualcosa
fosse stato utile e alla sua portata. Figuriamoci, poi, putacaso lo
studio fotografico, anziché esser posto nella distante cittadina di
San Daniele del Friuli, fosse situato a circa un chilometro dalla
sede legale della Piramide e sempre nel paese di Basiliano. Trattandosi di uno studio fotografico considerabile l’unico coprente
un’estesa area geografica, all’interno sarebbe stato possibile reperire le immagini di molti lavoratori. Lo studio, essendo il più
agevole per la minima distanza a cui si trovava, era utilizzato da
tante persone residenti in queste zone.
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Capitolo Terzo
LA VICENDA SI COMPLICA
A spada tratta contro le Poste
Era cominciata un’estenuante battaglia contro le Poste, che si
prodigava per ottenere documenti falsi e successivi. Li otteneva
tramite le firme che obbligava mia madre ad apporre e che erano
susseguenti a quelle che furono indispensabili per il ricevimento
di raccomandate e di documenti incriminati. Questo perché mia
madre era e resterà una donna ingenua e facilmente abbindolabile da chi la avvicina esortando: «Deve firmare qui!». Oppure la
ingannano nei luoghi dove si reca, non solo negli uffici postali.
Le mie denunce stavano garantendo l’emersione di una vera e
propria associazione per delinquere che riguardava l’operato di
un ente statale corrotto. Riuscire, però, a provarne il fradiciume
era un’impresa assai ardua per tutte le possibilità che un ente di
quel calibro avesse per insabbiare i reati commessi.
Credo che sia stato afferrato quello che in precedenza, ossia
dopo le denunce inoltrate alla Procura della Repubblica, asserivo. In sostanza, sostenevo che le buste delle raccomandate, per
la modalità di preparazione sembrassero l’opera compiuta da un
addetto delle Poste impiegato sia nell’ufficio postale di Campoformido, sia in quello a Pasian di Prato. Le raccomandate, invece, erano state preparate da qualcuno appartenente alla Piramide
e in possesso di materiale postale.
Da un’analisi iniziale e in base ai numeri scritti nelle etichette
applicate sulle buste delle raccomandate, era matematico che la
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Piramide possedesse uno stock di tali targhette adesive. Quindi
fossero i suoi impiegati a preparare i plichi: compilando il modello 22-R dal quale staccavano l’etichetta da applicare alla busta. Da qui ad arrivare a sostenere che essa detenesse il possesso
di francobolli e timbri, solo un’irruzione nei suoi uffici avrebbe
potuto provarlo. E, tra l’altro, semmai la Piramide avesse disposto del materiale occorrente, avrebbe dovuto prestare attenzione
anche nell’applicare gli aumenti della bollatura che, periodicamente, incidevano sul costo delle raccomandate. Come si verificò su quella del 31 agosto 2000, che da 4.800 lire passò a 5.600.
L’addetto alla preparazione delle raccomandate era aziendale,
ma non avendone la certezza, inizialmente richiedevo alla Procura della Repubblica di garantire che tutti gli uffici postali fossero dotati dei timbri più moderni. Così, semmai qualcuno avesse detenuto quelli circolari, sarebbero diventati inservibili. Purtroppo non menzionai d’impedirne l’uso quand’erano adoperati
per le raccomandate, dove tramite pretesti e altri motivi sarebbero stati ancora sfruttati. Allora, nell’aprile del 2003, sempre alla
Procura della Repubblica di Udine scrivevo:
«Ho costatato che avete… o se non siete stati voi, significa
che qualcuno ha tolto i timbri descritti in precedenza.». «In due
uffici postali in cui prima lo avevano utilizzato, non mi è stato
più apposto.». «Mi riferisco a quello specifico timbro che, sebbene più recente, è usato da molti anni e vidima il modello 22-R
delle raccomandate; un marchio che, oltre a garantire l’integrità
delle timbrature, non serve ripetere.».
Ma sempre nella denuncia di aprile del 2003 dovevo aggiungere persino altro che riguardava ancora la materia di spedizione, perché costatavo che una particolare busta stava prendendo
piede. Questa varietà di buste poteva celare qualsiasi marioleria
e, per di più, l’avevo già segnalata tempo addietro, perciò questo
era quello che scrivevo:
«Le buste P.E.I.E. Postel continuano a circolare, e una in particolare è molto gettonata .». «Una volta era usata soltanto dalla
banca, poi l’I.N.P.S. iniziò a utilizzarla, dopo fu il turno dello
“scadenziario fiscale tributario”.». «Ora, persino l’assicurazione
e la bolletta dell’acqua pervengono con tale busta che sul bollo
ha impresso: tassa pagata, contratto del 3 maggio 1999». «Chiaramente non si riesce a individuarne la provenienza e neppure si
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potrebbe provarla casomai…; la busta è completamente anonima.».
Lo scadenziario fiscale tributario fu un imponente surrettizio
che coinvolse migliaia di persone truffate, nonché la trasmissione televisiva «Mi manda Rai Tre» se ne occupò mostrando il tipo di busta che era stato usato per la spedizione. Il plico conteneva un bollettino di pagamento postale che molte persone tratte
in inganno credettero provenire dall’Agenzia delle Entrate. Saldarono l’importo stampato sul bollettino, accluso, credendo che
potesse trattarsi di un pagamento per la Camera del Commercio.
Invece era soltanto un abbonamento annuale a un periodico che
si occupava di materia fiscale. La busta usata per la spedizione
del bollettino era proprio identica a quella che avevo denunciato
poiché totalmente anonima.
Ma questa delazione di aprile del 2003 non era ancora terminata, perché le Poste stavano incominciando a insabbiare seriamente i reati commessi e tentando di rendere innocue le mie denunce. Dovetti allora segnalare, in primis, l’arrivo di un secondo
portalettere che talvolta portava la posta a distanza di un’ora dal
postino di ruolo. Perciò avanzai l’ipotesi che uno dei due consegnasse le raccomandate. Poi, riproposi che nel 2000 c’era un solo postino che recapitava la posta. E ritornava, come minimo, a
mezzogiorno con quelle precise raccomandate delle quali avevo
anteriormente sospettato. Mi riferisco al giorno in cui richiedevo
di effettuare un’indagine all’avvocato I.M.
Nella medesima denuncia e senza essere ancora a conoscenza
che una nota società di corrieri espressi, la SDA, appartenesse al
gruppo di Poste Italiane, preferivo segnalare che mia madre era
stata incaricata di ricevere del materiale spedito nell’abitazione
di mia sorella e di mio cognato. Esternai la mia riprovazione riguardo alle firme che il corriere richiedesse, a mia madre, per il
ricevimento di merci, e dove ad un tratto non gliele richiese più
perché le apponeva lui stesso.
Di fronte alla mia dimora si trova l’abitazione di mia sorella,
e la stessa tecnica iniziò a esser sfruttata dal portalettere quando
la casa di lei era vuota. Negli anni successivi, il postino iniziò a
suonare in casa mia per servirsi delle firme di mia madre, adescandola cosicché d’obbligarla a ricevere il materiale indirizzato
nell’abitazione di mia sorella. Il tutto anziché rilasciare l’avviso
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di giacenza nell’abitazione stessa, ossia un cartoncino che permette di ricevere il materiale nell’ufficio postale.
Stizzito, diffidai mia madre dal ricevere materiale che riguardasse l’abitazione di mia sorella e la invitai a svegliarsi. Questa
tecnica che, inizialmente, non denunciai, ricominciò anni dopo e
continuerò a spiegarla quando, dovendo snocciolare un determinato argomento, sarà opportuno trattarne.
Ho già descritto il modo in cui mia madre diveniva una facile
preda. Quanto accadde durante la visita dell’Ufficiale Giudiziario, è una prova irrefutabile. Le firme di mia madre possedevano
un valore molto elevato per chi fosse ancora malintenzionato ad
assicurarsi la riuscita di frodi.
Un episodio capitato a gennaio del 2003 e inerente alle truffe
che la Piramide aveva perpetrato ai miei danni, mi aveva portato
a mettere per iscritto – nello stesso mese – che la bolletta del gas
era pervenuta in soli tre giorni. Tra l’altro, e in realtà, i giorni
erano due perché quello di spedizione non andava conteggiato.
Per questo motivo, in una comunicazione inviata alla Guardia di
Finanza preferivo segnalare che la bolletta, come le precedenti,
avesse gli stessi timbri e francobolli. Tutte le bollette antecedenti impiegavano, però, dai sette ai dieci giorni per coprire il tratto
di strada che separa San Donà di Piave da Mereto. Pertanto, nella denuncia di aprile del 2003, alla Procura della Repubblica, in
aggiunta, scrivevo:
«Le società dotate di un certo potere si permettono di “convincere” gli uffici postali ad apporre i timbri sulle buste che, infine, portano a destinazione tramite mezzi secondari, riducendo
o azzerando i tempi delle consegne.». «Sarebbe assai grave che
le società possedessero i timbri.». «La lettera del mio licenziamento è stata ugualmente portata a destinazione con altri mezzi,
alla quale è stato applicato un timbro con una data di spedizione
anteriore e nessuno mi convincerà a cambiare idea.».
Questa mia delazione, come scriverò su di una successiva nel
febbraio del 2004, creava conseguenze sia per la società del gas
sia per la Piramide, e allora le seguenti due bollette riprenderanno a pervenire in una settimana abbondante.
Dal mese di luglio del 2003 in poi, le bollette ricominciarono
a pervenire in tre giorni, ma non perché la società del gas avesse
ripreso a portare le bollette tramite altri mezzi, bensì perché fu
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emanata un’ordinanza che imponeva alle lettere con francobollo
ordinario, di pervenire entro tre giorni. Assistendo allo scampato pericolo che un’autorità stava permettendo – con cinque mesi
di ritardo – all’azienda del gas, nondimeno quest’ultima iniziò a
servirsi delle sicure buste. Mi riferisco a quelle in cui non si riuscisse a risalire a certi dati: Postel, tassa pagata, contratto del 3
maggio 1999. Per di più scomparvero persino i timbri posteriori
che erano soliti applicare gli uffici postali riceventi le lettere da
consegnare ai destinatari. Un giorno, quando l’ufficio postale di
Mereto fu sostituito, o rimpiazzato, da quello di Basiliano, produssi una denuncia a causa dell’omissione alla timbratura, in retro, di una raccomandata subdola.
Le raccomandate contraffatte pullulavano, d’altronde: un inganno, o un raggiro, o una frode per truffare mia madre, erano
stati ricercati per procacciarsi una firma da spacciare per il ricevimento della raccomandata del 19 aprile 2002. I sistemi utilizzati erano più di uno e variavano dal consegnare raccomandate
A.R. che, invece, erano semplici, al recapito di buste che non si
comprendeva neppure fossero raccomandate. In passato era pervenuta una raccomandata che aveva la ricevuta di ritorno, Avviso di Ricevimento, che sembrava un manufatto casalingo. Capii,
oltretutto, che la mancanza di chiarezza riscontrata su talune buste avrebbe consentito la nascita di anacronismi. Questo nel caso che lettere raccomandate e altre in bollo semplice fossero state spedite a distanza di tempo e il cui contenuto interno non specificasse la forma di spedizione utilizzata.
Non so se quando l’Authority stabilì una riduzione dei giorni
di consegna riguardante una lettera in bollo semplice, intervenne
di proposito per parare la società del gas, ma un giorno mi recai
a San Donà di Piave e mi auto-spedii una missiva. Una volta ricevuta, non recava il timbro di quest’ultimo paese come, invece,
risultava per la bolletta del gas, bensì quello di Venezia.
In una futura delazione, perché eravamo oramai nel mese di
maggio del 2007, scrivevo:
«Per quel che attiene alla società la quale ha assorbito quella
del gas… che portava le bollette a destinazione con altri mezzi
e, in pratica, senza spedirle, c’è da tenere in considerazione che
a causa delle mie denunce si ricercò un metodo per ridurre sempre di più i giorni necessari per la consegna, velocizzandola.».
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«La diminuzione dei tempi di consegna non avrebbe più messo in luce il sistema, perché con un semplice bollo ordinario da
quarantacinque centesimi, le lettere pervenivano, ormai, in due
giorni.». «Mi sto allora chiedendo quale possa essere il vantaggio della posta unica prioritaria che ora paghiamo più cara, dato
che i risultati erano già stati ottenuti con un semplice francobollo da quarantacinque centesimi.».
Con le parole che usavo per attirare l’attenzione della Magistratura, si costatava che l’Authority era intervenuta senza motivi ed a sproposito. Inoltre, il sistema unico di spedizione ordinario-prioritario applicato anni addietro, fosse nient’altro che una
mera speculazione. Anche se, a causa dell’ennesima fusione con
una nuova società, la sede era stata spostata nella regione lombarda, l’azienda del gas cessò di usare il servizio postale e iniziò
a consegnare le bollette tramite un proprio latore.
Nella medesima denuncia di maggio 2007 e quando sessanta
centesimi era ancora il costo di un francobollo, aggiungevo che
ci fosse una ditta che da soli venti chilometri di distanza avesse
spedito una semplice busta. Era da ufficio e racchiudeva solo tre
fogli, affrancata con ben due francobolli da settanta centesimi.
Nell’anno 2011 la società del gas ristabilì la sede a San Donà
di Piave e ricominciò a spedire le bollette, ma la prima recapitata in casa mia aveva un lembo della busta strappato. La porzione
mancante era quella in cui si applicava il timbro con il bollo. La
successiva bolletta, invece, era integra, però la busta era affrancata con ben 1,40 euro. Siccome all’interno della busta era stato
compiegato un altro foglio, l’affrancatura diveniva più del doppio. Questa volta recava il timbro di Venezia, non più quello di
San Donà di Piave. A gennaio 2012 la società del gas riprenderà
a consegnare le bollette di persona, e dal 2013 le buste indicheranno la sigla del corriere espresso «TNT».
Sempre nella stessa denuncia di maggio del 2007 proponevo
di ripristinare il francobollo da quarantacinque centesimi e che
avesse valore prioritario regionale. La società del gas, in precedenza e spendendo lo stesso importo, «recapitava» le bollette in
due giorni soli. Credo che la mia proposta sia andata di traverso
a coloro che intendessero oramai speculare su di una simile opportunità che, inoltre, aveva funto da pretesto per parare la società del gas; occasione per le Poste, e lo Stato, di lucrare.
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Spero che non si dubiti delle mie parole soprattutto quando,
all’inizio, asserivo che una lettera impiegasse dai sette ai dieci
giorni per coprire la distanza di settanta-ottanta chilometri. Questi erano, una volta, i tempi delle consegne per quel che riguardava l’utilizzo di un francobollo ordinario. Tra l’altro, le denunce non le produssi senza tenere in mano le prove di ciò che andassi a riferire. Giammai qualcuno me le domandò, e allora questa è una procedura da variare, perché se la signora Procura della Repubblica è capace di convocarti soltanto quando ha interesse a fregarti... Beh! Quest’Italia che resta alla finestra è marcia.
Quando, per operazioni di sportello, mi recai per l’ultima volta nell’ufficio postale a Mereto di Tomba era il 31 agosto 2000
ed ebbi uno strano incontro che non riuscivo ancora a collegare
bene.
Poi, non appena valutai bene la situazione, nella denuncia di
febbraio del 2004 aggiunsi la possibilità di aver individuato come la Piramide potesse consegnare le raccomandate non spedite.
Così mi rivolgevo di nuovo alla Procura della Repubblica, con
le seguenti parole:
«La comunicazione riportante la data del 30 agosto 2000, che
la Piramide mi spedì, è possibile che, in origine, fosse datata 29
agosto.». «Quindi fu sostituita oppure spedita sempre il 30 agosto.». «Il 31 agosto, la Piramide ebbe un incidente di percorso,
perciò la busta della raccomandata, come minimo, fu rimpiazzata.». «La lettera che, di primo acchito, sembrerebbe spedita il 31
agosto 2000 è stata portata a Mereto di Tomba il primo giorno
di settembre e dopo aver aperto la mia datata 31 agosto 2000.».
«Lo stesso metodo è stato usato per la lettera di licenziamento.».
«L’incidente di percorso era dovuto a un colpo di fortuna capitato il 31 agosto 2000, perché mi era successo d’incontrare la
latrice incaricata di trasportare la lettera a Mereto di Tomba.».
«Quella persona sopraggiunse nell’ufficio postale verso mezzogiorno e quarto, il quale purtroppo era senza clienti.». «Mentre completavo l’operazione di spedizione, avvertivo in sala la
presenza di una tensione che si tagliava con il coltello.». «Fissai
quella persona, la memorizzai, e l’indomani smascherai il postino. Ma alla giusta comprensione di quanto accaduto, giunsi parecchio tempo dopo.». «Dato l’incontro verificatosi in posta, mi
sembrava alquanto strano che la raccomandata dell’azienda non
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mi pervenisse il 31 agosto.». «Evidentemente, semmai la consegna in casa mia fosse stata eseguita nel medesimo giorno, ci sarebbe stato il rischio che avessi potuto intuire il motivo del fortuito incontro. E poi l’azienda voleva informarsi su ciò che avevo scritto.».
«La persona incaricata era una donna sui quarant’anni, assai
abbronzata, con rughe a zampa di gallina sotto gli occhi, abbastanza snella e alta meno di un metro e settanta.». «Impugnava
una borsetta priva di maniglia e tracolla, una pochette poco più
grande di una comune lettera d’ufficio, e portava i capelli piuttosto corti, color castano chiaro.». «Data la mia presenza, fino a
quando rimasi nell’ufficio postale lei non aprì la pochette perché
le pareva di tenere in mano una bomba.».
A marzo del 2008 fornivo ulteriori spiegazioni, informazioni
e precisazioni a quant’era accaduto, balenando una seconda possibilità ma alquanto improbabile.
Nella spiegazione iniziale specificai di non riuscire più a ricordare se in posta mi fossi recato in bicicletta o con l’auto. Casomai avessi utilizzato quest’ultima, allora avrei dovuto recarmi
in altri luoghi. Non trovando riscontri che la provassero, scartai
la seconda ipotesi seppure solo parzialmente. Se quel giorno mi
fossi recato nell’ufficio postale con la bicicletta, o la donna non
avesse visto o riconosciuto la mia auto, all’improvviso si sarebbe ritrovata me davanti a lei. Non a caso mentre compilavo i documenti postali, con la coda dell’occhio sinistro notai un cenno
dell’impiegata che ammiccò per avvertirla: «Occhio è lui!». Poi,
la donna non si decideva mai a estrarre il materiale inserito nella
pochette, per effettuare l’operazione allo sportello. In quel momento ero l’unico cliente, e sebbene a fianco a me ci fosse uno
sportello: libero, operativo e con una seconda impiegata, lei non
lo utilizzò. È molto probabile che i prodotti Banco Posta fossero
già presenti, ma non c’era ancora uno sportello adibito per quel
tipo d’operazione postale. In pratica era possibile eseguire quel
genere d’operazione, o quell’altro, a un qualunque sportello, eppure la donna rimaneva imperterrita ad attendere che terminassi
la spedizione e uscissi dall’ufficio postale.
La seconda possibilità, o ipotesi, della quale ho accennato in
precedenza, e di cui soltanto ora rapidamente descrivo giacché è
l’unica che potessi avanzare prendendo in considerazione la mia
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presenza in macchina, non accomunerebbe con l’ammiccamento
dell’impiegata alla donna con la pochette. Cadrebbe, pertanto, la
teoria che la donna, riconoscendo la mia auto, avesse finto qualche azione per potermi adocchiare.
Sarebbe stato impossibile non notare la mia auto perché, oltre
a possedere un colore acceso e ben preciso, era tuttavia un modello particolare e dotato di un tocco d’originalità impresso dal
progettista. Senza tralasciare che l’area di posteggio dell’ufficio
postale, pur essendo il prolungamento di quella del Municipio,
era quasi vuota. Poi, per scrutarmi non sarebbe stato necessario
entrare nell’ufficio, perciò quel giorno c’era qualcosa di losco.
Io continuerò a tenere in considerazione l’episodio avvenuto
nell’ufficio postale di Mereto, ma se chi stia leggendo sia scettico, allora non scordi che sia alla Piramide sia in casa mia pervengono ancora una volta, globalmente e nel medesimo giorno,
due raccomandate.
A quest’altra coincidenza incastrante ma comprovante, si aggiunga che il primo giorno di settembre corrisponde a quello in
cui la Piramide diviene a conoscenza della mia presenza in casa.
La apprende a causa del mio fallimentare tentativo di rientro sul
posto di lavoro e dove acquisisco la notizia relativa al licenziamento. Per la terza volta e credendo ugualmente di averla passata liscia quando mi licenziò, l’azienda agisce con recidiva e mediante un’aggiuntiva azione frodante.
Si evidenzia, inoltre, un fazioso interesse a lasciar credere, in
modo tendenzioso e fornito di precedente, che la lettera di licenziamento sia stata «spedita» in seguito a un accertamento della
mia presenza. La Piramide, invece, si attivò soltanto quando la
mia lettera da Lignano le pervenne e, in futuro, comincerà a perseguitare il protagonista per dare ad intendere di aver controllato
la sua presenza. L’azione più nota che ne conseguì fu delittuosa,
e chi finora ha letto la conosce.
Prima di continuare quest’argomento perché ci si possa rendere conto di tutti gli artifizi ai quali gli uffici postali e i relativi
postini ricorreranno, devo, anzitutto, terminare quello che ha riguardato la città di Udine e, in tutte le sue sfumature, la sua mala Giustizia.
Per proseguire la narrazione in modo da rispettare un ordine
cronologico dei fatti accaduti, devo inserire degl’intermezzi che
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spiegheranno episodi non meno importanti, per alla fine giungere al capitolo che continuerà quest’argomento.
Io Avvocato di me stesso e gli ultimi Legali
Prima di seguitare nel descrivere tutte le azioni di chi dovesse
tentare d’uscire dalle scandalose situazioni, a questo punto parto
con l’elencare tre motivi che avrebbero comportato un annullamento del licenziamento:
1. quando la fase del licenziamento fu messa in atto ero in
vacanza a Lignano e, essendo assente da casa, non avrei potuto
difendermi dalle accuse scritte sulla contestazione del licenziamento, ossia due pagine di tacce infamanti;
2. partendo dal ricevimento della contestazione, il licenziamento è stato comminato durante il quarto giorno lavorativo, e,
pertanto, la Piramide mi licenziò senza che nemmeno fosse trascorso il medesimo giorno dal ricevimento di quest’ultima. La
Legge contrattuale, semmai esistesse ancora o se, grazie ai sindacati, è permesso alle aziende di «papparsela», afferma che dal
ricevimento della contestazione devono trascorrere cinque giorni, prima di poter comminare. Siccome il giorno intero termina
a mezzanotte, quest’ultima dev’esser trascorsa per considerare il
quinto giorno terminato, ossia si dev’esser giunti alle ore 00.00
del sesto giorno, e probabilmente lavorativo, per poter comminare. A nulla varrebbe che la Piramide asserisca di non avere la
conoscenza che talune raccomandate impiegassero due giorni a
pervenire in casa mia. Come, ad esempio, quand’erano spedite
da Pasian di Prato, mentre quelle spedite da Campoformido impiegavano solo un giorno. Con le parole che scrissi sulla raccomandata del 18 maggio 2000, i dirigenti e la scrivente costatavano che le raccomandate spedite da Pasian di Prato impiegavano un giorno in più. Infatti, costoro iniziarono a inviare le contestazioni da Pasian di Prato e le comminazioni da Campoformido. Attenzione! Non sempre inviare;
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3. la mia lettera da Lignano, che impiegò un solo giorno a
pervenire all’azienda, la obbligava a «bruciare le tappe». Perciò
assegnò mandato a Poste Italiane per procedere con l’ennesima
truffa postale. Se, l’azienda, anziché «spedire» la lettera giovedì
15 giugno – come apparentemente potrebbe sembrare – l’avesse
recapitata, concretamente, venerdì 16 e senza che fosse ancora
trascorso il quinto giorno dal ricevimento della contestazione, la
raccomandata sarebbe riuscita a influire sulle conseguenze che
avrebbe comportato qualora fosse pervenuta a casa mia sabato
17 giugno? Sì, perché la mia lettera spedita da Lignano e pervenuta all’azienda venerdì 16 giugno 2000, l’avrebbe resa consapevole che non ero presente, cosicché la procedura sarebbe stata
interrotta. È chiaro che la Piramide avrebbe potuto inoltrarla attendendo il mio ritorno, ma non potendo sapere quando sarebbe
avvenuto, questo manipolo di soverchiatori avrebbe rischiato di
dovermi «mantenere» senza potermi depredare, derubare o defraudare dei tanti giorni di ferie che avevo a disposizione. Giorni di ferie che per i mestieranti dirigenti aziendali costituivano
un bottino economico sul quale mettere le loro sporche e luride
mani di porci calpestatori dei diritti di chi lavorava. Avidi suini
ben pasciuti che durante certe riunioni aziendali sfoggiavano la
cravatta serica e assumevano atteggiamenti da: «Noi rappresentiamo l’azienda, quindi il suo parere non c’interessa perché qui
non conta nulla.». Questo accadeva quando quel qualcuno aveva
alcune idee o trovava qualche soluzione che garantiva vantaggi
per gli operai. Tuttavia, ci sarebbe stato un altro sistema per non
interrompere la procedura. Come? Comportandosi da «gnorri» e
come con il fax che trasmisi al Faraone. Pertanto, sarebbe bastato che l’azienda avesse affermato di aver spedito la lettera di licenziamento nel medesimo giorno ma prima che le pervenisse la
mia da Lignano, così l’ennesima menzogna avrebbe accontentato tutti. Essa, però, si recava in Posta dopo mezzogiorno, e dapprima controllava se fossero pervenute lettere che, una volta lette, potessero richiedere una risposta o una frode, poi attendeva
anche fino alla pausa pranzo per spedirle o «spedirle».
Con quanto fosse successo e provandolo sulla mia pelle, era
chiaro che, all’atto del licenziamento, le ferie non erano tutelate.
Nell’anno 2003, rimasto all’insaputa nei riguardi di una Legge
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che era stata emanata, ne preparavo una io. Il giorno in cui divenni a conoscenza di questa nuova Legge, oramai avevo già da
qualche tempo trasmesso la mia proposta, e fu così che mi resi
conto di aver sprecato il mio tempo.
La Legge in questione, a tutela delle ferie, era stata approvata
nel 2001 e appoggiava il comportamento che avevo tenuto, ma,
purtroppo, era successiva. Non potendo considerarsi retroattiva,
era inapplicabile al mio caso nonostante fosse già attiva a livello
Europeo.
Solamente quando conobbi l’avvocato G.P.C. mi resi conto
che la mia proposta di Legge era ancora valida perché, sebbene
e finalmente in Italia fosse entrata in vigore, lui m’informo che
non tutelasse le ferie all’atto del licenziamento. La mia proposta
di Legge consistente in una prassi da rispettare affinché le ferie
del lavoratore licenziato divenissero intoccabili, era valida. Salvo che l’Avvocato avesse mentito perché, chissà... forse a Strasburgo ci avrebbero pensato.
Non credo che sarebbero sorti problemi nel poterla applicare,
ma probabilmente la inviai a un orientamento politico sbagliato.
Casomai fosse stata riferita ai sindacati, non credo che costoro si
sarebbero prodigati per promulgarla.
Se paragonassimo i bambini alle aziende, i sindacati sarebbero come la cioccolata nelle loro mani, e vatti a fidare degli Avvocati. Anche l’Avvocato del sindacato C.G.I.L. (A.V.), che avvicinai per affiancarlo all’inaffidabile avvocato P.C.M., mi procurò una delusione. In questo caso, però, scaricare la responsabilità sul sindacato non sarebbe leale, perché la mela marcia era
l’Avvocato.
Prendendo un appuntamento, l’avvocato A.V. lo riavvicinai
al telefono nel 2003. Ma questo coniglio senza zampe, in collaborazione con la segretaria tentò di associarmi a un idiota o a un
addormentato che non ode, e capisce, bene. All’incontro che mi
fissò, lui non era presente o, forse, all’iniziata metamorfosi gli si
aggiunse la coda che lo tramutò in un topo dei bassifondi, con
due lunghe orecchie di asino, ragliante, che lo costrinsero a nascondersi.
Usò la sua perfidia servendosi della segretaria per riferire che
avessi sbagliato settimana, ovvero che l’appuntamento fosse per
lo stesso giorno ma di quella successiva. Il giorno della settima184
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na seguente non combaciava affatto con il numero mensile prefissato, perciò finsi di abboccare alle parole e, dopo sette giorni,
aspetta e spera.
Il giorno della prescrizione per la causa civile di lavoro si avvicinava sempre più, costringendomi a ricercare un altro Avvocato. Dovevo assolutamente avviarla entro il mese d’ottobre del
2005, in sostanza entro cinque anni dalla decorrenza del termine
di decadenza che, in pratica, era il mese in cui avevo impugnato
il licenziamento.
Era il mese di ottobre del 2003 quando prendevo contatto con
un Avvocato che mi fissava un appuntamento. L’incontro, però,
mi lasciò molto perplesso perché non voleva saperne di deroghe
legislative. Inoltre, rovistava tra i fogli rimestandoli per raccozzare quelli che gli andavano bene. Si ergeva il sospetto che dopo
la disputa con il cavalocchio P.C.M. fossi stato inserito nella lista del cosiddetto «libro nero» e le mie azioni legali fossero frenate dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Così, sempre allo
stesso Avvocato e nel medesimo mese, a D.C. scrivevo:
«Il colloquio che abbiamo avuto è iniziato trattando l’aspetto
lavorativo continuando, poi, con la vicenda del licenziamento e
dal punto di vista della validità dell’impugnazione.». «Ritengo
che la scelta dei fogli operata alla rinfusa e senza un ordine progressivo, abbia determinato trascuratezze.».
«Come premessa, le espongo che nella contestazione iniziale
che l’azienda “inviò” in casa mia durante la vigilia di Pasqua, la
Piramide stava adottando un sistema di ferie denominato “ponte
lungo”.». «Il periodo andava dal 22 aprile 2000 al primo giorno
di maggio. In questo caso e prima d’inviarmi la comminazione,
attese dieci giorni dal mio rientro sul posto di lavoro.».
In pratica, la decorrenza dei cinque giorni in cui il lavoratore
contestato può difendersi, era slittata al giorno susseguente il
primo di maggio. Pertanto, i giorni di ferie avevano prorogato
la decorrenza della contestazione, perché l’azienda non era in
grado di essere a conoscenza se fossi andato in vacanza. Nelle
identiche condizioni essa si ritrovò quando, costatando che non
stava ricevendo risposte alla contestazione del licenziamento inflittomi, era obbligata ad attendere il mio ritorno a casa. La mia
raccomandata da Lignano gliel’avrebbe imposto.
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«Pertanto, nella contestazione del licenziamento, la Piramide,
invece, mi licenziò prima che fosse raggiunto il quinto giorno –
poiché non erano ancora trascorse le ore ventiquattro – e con
troppa fretta di concludere.». «Allo scopo d’ottenere il risultato,
si servì di una frode postale giacché non poteva sapere quando
sarei ritornato a casa dalla vacanza.». «Tutto questo perché io da
Lignano le spedii una raccomandata che l’avrebbe bloccata, ma
continuando a considerarmi un mantenuto anziché un lavoratore
che ha diritto di usufruire delle proprie ferie residue, mi licenziò
con una lettera.». «La missiva che da Lignano inviai all’azienda
risulta esser pervenuta congiuntamente a quella del licenziamento, perciò non credo più trattasi solo di una coincidenza.».
L’Avvocato mai si espresse, e percepita la parcella: m’invio
la distinta, chiuse la pratica e chi s’è visto s’è visto.
Allora nel 2004 telefonai nello studio di un altro Legale, per
richiedere un consulto. La chiamata iniziale non andò a buon fine perché il Legale era assente. Al secondo tentativo, la segretaria si mise in contatto con l’Avvocato e me lo passò.
«Pronto», egli rispose al telefono.
Immediatamente lo misi a conoscenza di ciò che mi serviva:
«Pronto, buona sera, io avrei bisogno di un Avvocato che si occupi di Diritto del Lavoro.».
La sua risposta fu: «Eh, dipende, se si tratta di vicende complesse... siccome è una materia che non tratto molto...», e infine
mi domandò «Di che cosa si tratta? È una storia complessa?».
«Beh, sì.», affermai poiché la controversia in cui ero coinvolto non era molto semplice.
A questo punto lui fermamente enunciò: «E allora no, la indirizzerei verso qualche altro collega, sa perché... mi dispiace ma
per non affrontare una materia che non è la mia.».
«Ma sempre del suo studio?», gli chiesi perché quando telefonai alcune ore in precedenza e per la prima volta, la segretaria
dell’Avvocato m’informava riguardo alla presenza, nello studio,
di un Legale che trattava «Diritto del Lavoro».
«No, qui, dello studio, nessuno fa specificatamente... e se la
vicenda fosse complessa, non so... sarà forse il caso che lei vada
dall’avvocata V.B. oppure da G.M. o se vuole dall’ex Giudice
del Lavoro, che adesso esercita soltanto come Avvocato: il Dottor G.P.C... che ha lo studio in via…».
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Questi tre affermati paladini legali che suggeriva l’avvocato
G.V.D.E. rappresentavano il meglio sul mercato per quel che riguardava l’attività forense in materia di Diritto del Lavoro, ma
nessuno dei tre rientrava nella rosa degli Avvocati consigliati da
mia cugina. Quella che prima mi tenne al telefono per tre quarti
d’ora e, infine, diede forfait. Uno dei Legali che lei propose risulterà, però, inserito nella lista dei venti «Paperoni» provinciali
per quel che era pertinente alla professione di Avvocato.
Grazie alle informazioni resemi nel mese di marzo del 2004,
prendevo un appuntamento con l’avvocata V.B. che, inoltre, mi
riferiva di aver affrontato una causa per il riconoscimento di una
figura professionale non ancora riconosciuta ma svolta da un lavoratore o da una lavoratrice.
Anche questa Legale sostenne che l’impugnazione del licenziamento era tardiva e non prese in considerazione la deroga di
Legge. Eppure, quest’ultimo termine è definito in gergo «cavillo» e dovrebbe costituire il pane per i denti degli Avvocati, ma
perfino questo qui non voleva saperne di complicazioni.
Durante l’incontro, le avevo lasciato il fascicolo affinché valutasse i documenti allegati. Costatando che non si degnasse mai
d’informarmi, dopo un mese telefonai nello studio legale.
«Studio B., Buongiorno», rispose la segretaria dell’Avvocata.
«Buon giorno, c’è l’Avvocata?», io chiedo.
«No, ha dei clienti, chi parla?», a sua volta lei mi chiede.
«Sono il signor De Marco Fabrizio e avevo lasciato un fascicolo all’Avvocata», le rispondo.
Immediatamente lei mi domanda: «Quando?».
«Adesso è esattamente un mese e glielo avevo lasciato affinché potesse valutare alcune cose... e poi, al limite, rivederci.».
«Lei, quindi, aveva già avuto un appuntamento qui da noi!»,
si accertò la segretaria.
«Sì, sono già stato una volta», le risposi, e poi aggiunsi: «Mi
fissa un altro appuntamento... al limite.».
«Un attimo solo... quanto tempo fa mi diceva…?», domanda
la segretaria mentre sfoglia l’agenda.
Poi, non appena rintraccia il giorno in cui ebbi l’incontro con
l’Avvocata, la segretaria mi comunica il mio numero di telefono
affinché lo convalidi al fine di evitare che possano esserci equivoci d’omonimia. Alla fine, m’informa: «Sì, io glielo posso fis187
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sare un nuovo appuntamento per…», e poi mi chiede «Qual è il
nominativo della controparte? Tanto io sono la segretaria, non si
preoccupi», e poi aggiunge «Probabilmente il fascicolo è sulla
scrivania e lo sta vedendo...».
Fu così che la segretaria fissò un appuntamento che si sarebbe tenuto all’incirca quindici giorni dopo perché, come lei mi riferì, l’Avvocata aveva scadenze da rispettare.
Un giorno della settimana successiva, però, accendo il telefono cellulare e noto una chiamata persa. Il numero corrisponde a
quello dello studio legale in cui avrei dovuto recarmi per il secondo appuntamento, e allora eseguo la chiamata a cui risponde
la medesima segretaria.
«Pronto, studio… buon giorno.».
«Buon giorno, sono De Marco Fabrizio.».
«Sì, buon giorno, l’avevo chiamata… non so se ha trovato sul
suo telefono…», dapprima mi informa la segretaria, infine e per
conto dell’Avvocata aggiunge: «Perché lei mi aveva telefonato,
poi io ho chiesto all’avvocata... e dice che non c’è niente da fare
per lei, per cui l’appuntamento fissato è da annullare.».
Appresa la notizia rimasi angustiato al punto che la segretaria
non riusciva a capire se fossi ancora in linea e dovette accertarsene con un lapidario: «Pronto?», e non appena si rese conto che
manifestavo ancora segni di vita, aggiunse «L’Avvocata dice di
passare a ritirare tutta la documentazione, e sono euro… e magari prima di… dia un colpo di telefono per avvertirmi, perché
sono io che disbrigo la contabilità…».
Dopo aver saldato l’onorario alla segretaria, quest’ultima mi
consegnò la fattura. Nel medesimo modo con cui avevo agito in
precedenza, parimenti a quest’Avvocata inoltrai una lettera nella
quale la informavo di aver inoltrato denuncia all’I.N.P.S.
Con una serqua di parole e, ovviamente, non le uniche usate
per il riempimento di un foglio datato 07 luglio 2004, esponevo
la mia disapprovazione nei confronti dei dirigenti della Piramide. Contestavo che loro avessero prevaricato una mia decisione,
e scelta, inerente alle ferie. In cui, addirittura, una Legge di poco
successiva che l’Avvocata stessa mi aveva riferito, assicurava la
mia ragione. La Legge condannava la truce condotta assunta da
una mandria di presuntuosi e protervi dirigenti farabutti distruttori e calpestatori della dignità dei lavoratori.
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In aggiunta, ero obbligato a non usufruire delle ferie a causa
della doppia professione che esercitavo per rendere due servigi
all’azienda, e allora fissavo un importo pari a settantanove mila
euro. La invitavo a richiederlo all’azienda o questa vicenda sarebbe finita molto male.
In data 19 luglio 2004, l’Avvocata si toglieva d’impaccio con
le seguenti parole:
«La ringrazio per la fiducia accordata ma mi trovo costretta a
declinare l’incarico affidatomi, e perché l’attuale mole di lavoro
m’impedisce d’occuparmi con la dovuta attenzione del suo caso
assai complesso, e perché presenta aspetti penali.». «Trattasi di
una materia che ignoro e della quale non mi occupo, attenendomi esclusivamente all’applicazione del Diritto Civile.».
Le motivazioni che l’Avvocata avallava erano solamente pretesti perché, come scrissi in precedenza, i miei estremi anagrafici erano finiti su di un libro nero per aver attaccato un Avvocato
corrotto. Si può comprendere da soli che l’avvocata V.B. avesse
innanzi a sé un anno di tempo per organizzare un’azione legale.
Io, di sicuro, non le avrei messo fretta, perché avevo impostato
azioni penali che avrebbero potuto comportare una proroga della causa civile di lavoro.
Nella seconda volta, il suo modo di liquidarmi contraddice le
parole che aveva utilizzato quando si servì della segretaria, perché inizialmente reputava che non c’era più alcuna possibilità.
Poi, però, e dopo la mia raccomandata, nella lettera si serviva di
ben altre «motivazioni» per non occuparsi del mio problema.
Sebbene quando scrissi all’Avvocata ero venuto a conoscenza che la Procura della Repubblica avesse archiviato tutti i procedimenti penali, la prescrizione della causa civile di lavoro era
ancora lontana.
L’Avvocata, oltretutto, si trincera dietro al motivo che ignorando l’aspetto penale non mi può aiutare, ma di certo conoscerebbe qualcun altro che possa occuparsene. Riaprendo i procedimenti penali tramite un, oppure una, collega, avrebbe disposto
di tutto il tempo necessario per dedicarsi all’aspetto civile.
Allora, mediante lo stesso sistema che usai con il fax spedito
all’I.N.P.S., sopra la comunicazione spedita dall’Avvocata aggiunsi due piccoli interventi e la trasformai in un fax che le trasmisi. Contiene le seguenti parole:
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1. «Gli Avvocati, essendo esentati dall’obbligo di assistere
quelli che a loro si rivolgono – come, per esempio, hanno i medici –, ricercano i più abili pretesti per prendere in mano solo
cause facili. Soprattutto che non causino danni penali, economici, eccetera, a titolari e dirigenti delle aziende perché, difendendole, tutelano altresì i loro interessi…».
2. «La Procura della Repubblica non punisce i dirigenti di
una florida azienda per un banale licenziamento.».
Il punto uno l’ho, in sostanza, già spiegato, ma il punto numero due è ancor più grave perché la Procura della Repubblica
non punì nessuno e archiviò sei procedimenti penali. Il comportamento tenuto dalla Procura della Repubblica era da ente istituzionale corrotto perché essa, mediante le archiviazioni, mascherava il oppure i P.M. corrotti. Tra l’altro, sarebbe stato sufficiente che avesse seguitato con i procedimenti più importanti: quelli
che garantivano ancora la possibilità per una causa di lavoro. Ad
esempio, quello dove aver provato la corruzione dell’ente postale avrebbe, di conseguenza, coinciso con l’annullamento del licenziamento. Non solo perché con il dolo era stata interrotta una
procedura, ma, in aggiunta, per il motivo che la mia raccomandata spedita da Lignano avrebbe obbligato la Piramide ad attendere il mio ritorno a casa. L’azienda sarebbe stata impossibilitata a sapere quando sarei rincasato e non avrebbe potuto appropriarsi delle mie ferie. Non era importante che la sentenza fosse
giunta con la condanna a un’ammenda di soli cento euro oppure
con la reclusione a un solo giorno di gattabuia, ma di essere stata emessa. Invece, quest’inqualificabile istituzione italiana buttò
tutto nel famoso dimenticatoio e poi, nonostante la mia denuncia al Consiglio Superiore della Magistratura a Roma e lo spostamento dei procedimenti penali a Pordenone, nulla accadde.
I signorotti che operano in questi istituti sono persone che già
conoscono quali e quanti casi riguardanti le aziende devono sfociare in processi. L’Italia vive attraverso le aziende, e gli operai
devono creparvi all’interno o andare in pensione più tardi possibile, prenotando la bara all’I.N.P.S. Quest’ultimo comincerà ad
aprire agenzie di pompe funebri contigue agli uffici dei Direttori
aziendali, così potranno scambiarsi le informazioni.
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«Ohé cumpà! Nun è ca oggi tènissi un rappatu operaiu ri
vurrucari?», chiederà al Direttore il funzionario dell’I.N.P.S.
Traduzione: «Ehilà Compare! Non è che oggi hai un decrepito operaio da seppellire?».
«Sì, ni tènni uni ca è appena arrivatu â cinquantina e nun mi
rènni chiù!», risponderà il Direttore.
Traduzione: «Sì, ne ho uno che è appena giunto alla cinquantina e non mi rende più!».
Nell’autunno del 2004, a bruciapelo, interpellavo l’avvocato
G.P.C. brevemente accennato ad anteriori, ed egli mi fornì le informazioni che furono di cruciale importanza per raccapezzarmi
della gravità di ciò che stava accadendo.
Come avevo già accennato in precedenza, lui mi rivelerà che
l’avvocato inaffidabile P.C.M. avesse ottenuto almeno un tornaconto. Inoltre, sempre in modo involontario, nondimeno mi riferirà che persino l’avvocato I.M., ossia colui che aprì le lettere di
licenziamento ma giammai firmò i miei fax, appartenesse a uno
studio di consulenza ben definito e preservativo delle aziende.
Il giorno in cui rincontrai quel mio leggero amico che, assistito dall’avvocato I.M., aveva perso la causa di lavoro, gli chiesi:
«Ma tu che ti sei rivolto a codesto Avvocato ingaggiandolo perché qualcuno te lo suggerì giacché aveva vinto una causa di lavoro tramite la sua assistenza, non è che per caso quel qualcuno
possieda un’azienda?».
La risposta fu affermativa e ad onor’ del vero me l’aspettavo,
perché era impossibile che un Avvocato degli operai dichiarasse
un reddito di poco inferiore ai trecentomila euro l’anno, entrando nella classifica dei primi venti Avvocati «Paperoni» provinciali. Quando l’avvocato G.P.C. mi riferì che il suo collega I.M.
lavorasse per un tal studio aziendale, il redditometro suggellava
quello che sospettavo riguardo all’avvocato I.M. A questo punto
era indubbio che anche in questo settore era stato stabilito un sistema. L’avvocato G.P.C., in aggiunta, lo classificherà come un
buon professionista. Significa che di questi tempi la competenza
di un Avvocato e proporzionale alla parcella che percepisce, vedi Nicolò Ghedini e Giulia Bongiorno.
Il giorno che, a bruciapelo, avvicino l’avvocato G.P.C., la sua
segretaria gli comunica la mia presenza, e lui le risponde: «Sentiamo che cosa vuole no!».
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Poi chiedo alla segretaria se posso accomodarmi, e una volta
entrato nella stanza dell’Avvocato, mi presento: «Mi scusi, buon
giorno, sono Fabrizio De Marco.».
«Piacere», mi risponde protendendo il braccio per lo scambio
di mano.
«Niente, lei mi è stato indicato da un Avvocato che la conosce… e si chiama G.V.D.E.». Questo era per informarlo in merito a un motivo della mia presenza.
Poi continuammo conversando per alcuni minuti dei genitori
dell’avvocato G.V.D.E. Mi comunicava che il padre era deceduto già da parecchi anni ed io ero certo che non meno la madre lo
fosse, mentre a lui non risultava. Purtroppo non ci riferivamo alla stessa persona perché un caso d’omonimia mi aveva condotto
sulle tracce della persona sbagliata. L’avvocato G.V.D.E., che al
telefono mi consigliò alcuni legali tra i quali pronunciò il nominativo dell’avvocato G.P.C., non era la persona che supponevo.
Lo scoprirò solamente quando, un paio di anni dopo, gli telefonerò di nuovo affinché mi fissasse un appuntamento. Intanto, la
conversazione con l’avvocato G.P.C. prosegue.
«Mi dica», pronuncia l’Avvocato non appena ho terminato il
chiarimento che gli devo per esser lì.
Fissandolo negli occhi, gli rispondo: «Io ho un serio problema di lavoro, molto grosso...».
«Sì, va bene!», esclama interrompendomi, poi aggiunge: «Ma
non mi lasci carte, deve prendere un appuntamento…».
Gli rispondo: «Perché... vede, io posso anche prendere un appuntamento con lei, ma le dico che sono già passato da quattrocinque Avvocati… e stare a eseguire sempre la trafila... a me...».
Egli, tuttavia, m’interrompe ancora e puntualizza: «No, però,
stia attento, non è un problema di… io sono abituato a far parlare il cliente che mi descrive tutto», dopodiché aggiunge «E poi
devo registrare quello che mi lascia! Così, a scatola chiusa...!».
«Non si preoccupi... lei può registrarlo anche adesso, tanto è
una documentazione dove c’è tutto dentro», lo rassicurai.
«E allora facciamo così: lo consegni alla segretaria, si faccia
fissare un appuntamento... ma io ho bisogno di parlare col cliente, perché certe sfaccettature poi non risultano nei documenti!».
Gli risposi: «Chiaro, però gli aspetti legali lei li vede già nella
documentazione.».
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Allora lui mi esortò: «Lei mi dica il problema ed io…».
Lo interruppi subito con: «È un problema di licenziamento…
ed è una cosa grossa.».
Dopo un respiro profondo, con un atteggiamento serafico egli
continua.
«Allora... il licenziamento è un argomento serio e si tratta di
una delle materie che ho trattato per tutta la vita... perciò, per
me, non rappresenta problemi, capito!».
«Eh! Lo so, però...», risposi interrompendolo per una frazione di secondo.
Ma lui continuò, ribadendo: «Se lei mi parlava di una vicenda
che fosse di difficile... non tanto interpretazione, ma d’uso raro,
allora magari dovrei aggiornarmi, invece qui...». Poi, interrompendo la sua spiegazione, mi chiese: «Da chi è stato?».
«Come Avvocati?», domandai.
«Sì, le dico subito se è gente in gamba o meno eh... qui si sa
tutto!», dopodiché, col tono perentorio di chi vuole essere messo
a conoscenza, lui interruppe le parole che stavo per aggiungere,
e così ripeté: «Chi, da Chi?».
E allora per soddisfare la sua curiosità, risposi alla domanda.
«Prima sono stato dall’avvocato I.M.».
«I.M. non è male!», egli affermò.
«Poi sono andato dall’avvocato P.C.M.», continuai.
«P.C.M. è un Avvocato del sindacato, è uno dei Legali della
C.I.S.L.», rispose.
Comprendendo all’istante perlomeno un tornaconto che presumevo, in qualche maniera, avesse ricevuto l’avvocato P.C.M.,
chiedo: «Adesso lo è divenuto?».
«Non lo so... io lo conosco da ehm!... quanto sarà...», risponde incerto e balbettante l’Avvocato.
Costatando che precisamente l’avvocato G.P.C. non riuscisse
a collocare la data in cui aveva conosciuto il collega, chiedo subito: «Quattro anni fa lo era?».
«No, non lo era», lui assevera usando un tono certo, dopodiché aggiunge: «Perché quando P.C.M. divenne un Avvocato del
sindacato era con…», pronunciando il nome di un Legale con il
quale P.C.M. lavorava insieme ed a me sconosciuto.
La conversazione proseguì ancora qualche minuto e dov’egli
affermava, tecnicamente e giuridicamente, che non aveva biso193
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gno di prepararsi, definendo semplice l’intervento giudiziario da
sostenere. Secondo me, lui non solo si esprimeva con troppa sicumera e sottovalutava tutto ciò che non avrei potuto spiegargli
in dieci minuti e contenuto nel fascicolo, ma nondimeno era ancora a corto d’informazioni riguardo alla vicenda. Ormai era arrivato il momento di salutarci e m’invitò a consegnare il fardello
di carte alla segretaria, la quale mi passò in mano un modulo da
firmare.
Durante il proficuo incontro con l’avvocato G.P.C. fissammo
un appuntamento, e il giorno in cui mi recai da lui costatai che il
fascicolo di carte lasciatogli nel primo incontro, era rimasto intonso all’interno della grande busta incollata e, da me, firmata.
L’Avvocato non l’aveva schiusa lasciandola nelle stesse condizioni in cui gliel’avevo consegnata, eppure lui era privo di pretesti per non aprirla perché era un conosciuto esperto. Le sue parole suggellavano quello di cui ero già venuto a sapere attraverso l’avvocato G.V.D.E.
L’avvocato G.P.C. era un ex Giudice del Lavoro, al quale lui
aggiunse d’esserlo addivenuto poco dopo la riforma del Processo del Lavoro svoltasi nel 1973. Siccome aveva lasciato intonso
il fascicolo di carte, evidentemente aveva già preso informazioni
a sufficienza.
Nonostante il suo indubbio passato giuridico, l’unica azione
giudiziaria che voleva intraprendere era quella per mobbing, ossia una causa che sarebbe equivalsa a «tarallucci e vino» rispetto a tutto quello che l’azienda avrebbe dovuto pagare.
Non accettai assolutamente la proposta, e l’argomentazione
la continuammo all’interno di un bar lì vicino dov’egli m’invitò
a prendere un caffè. Non appena entrato nella caffetteria ebbi la
forte sensazione che quel nettare aromatico addolcito fosse reso
amarognolo da sgradite presenze che stessero in disparte ma con
un occhio attento a noi due. Chissà, all’interno del bar avrebbe
potuto esserci l’Ufficiale Giudiziario o l’Avvocato Consigliere
designato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine, che lavorava
in uno studio nei paraggi, o qualche altro Legale o persona scorretta. Cosicché, nel mese di novembre del 2004 gli scrivevo:
«Egregio Avvocato, vorrei per un attimo rivestire i suoi panni. Pertanto, qualora io fossi un Legale, quali sarebbero le azioni
che potrei intraprendere.».
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1. «Dal punto di vista di una causa per mobbing, io proporrei al mio assistito questo tipo di azione solamente se il risarcimento che richiedessi fosse sufficiente a ripagarlo degli anni di
lavoro persi, più i contributi previdenziali.». «Chiaramente, qualora costatassi che lui si ritrovi sempre più oppresso da una società guidata dall’azienda che l’ha licenziato, e che quest’ultima
eserciti nei suoi confronti un: particolare, pericoloso, fastidioso,
lesivo mobbing extra-lavorativo causato dal singolare licenziamento patito, richiederei molti altri danni.». «Il mio assistito starebbe tuttavia penando una continua vessazione dovuta alla posizione che la sua residenza possiede, e poiché collocata a pochi
chilometri dall’azienda in cui ha lavorato, per quest’ultima costituisce un vantaggio per sfruttare le conoscenze.».
2. «Io, come Avvocato delle cause perse, potrei azzardare di
promuovere una causa per il licenziamento subito, perché il mio
assistito ha sopportato una privazione.». «Il mio assistito è allora un lavoratore che ha un diritto di cui godere, definito “ferie”,
che ha una certa durata ed è stato frutto di sacrifici e rinunce.».
«Mettendo nero su bianco il suo desiderio di usufruirne, questo
non dev’esser alienato da un sopruso, vessazione, o abuso di potere che interrompa la propria soddisfazione personale.». «Pena
la nullità e l’inefficacia del provvedimento adottato a danno del
mio assistito, ossia il licenziamento.».
3. «Andrei alla ricerca della persona che lui vide portare una
lettera nell’ufficio postale di Mereto, indagando e cercandola tra
il personale femminile che lavora in questi tre luoghi: Piramide,
Sfinge e ufficio postale di Campoformido. Controllando, inoltre,
se ci siano persone che corrispondano alla descrizione.». «Siccome molte donne cambiano di continuo il loro aspetto, procederei a un riconoscimento all’americana oppure acquisirei le fotografie del personale femminile che lavorava da giugno a settembre nei tre luoghi predetti.». «Procederei poi: richiedendo lo
stralcio inerente alla sentenza d’archiviazione emessa dalla Procura della Repubblica, avvierei la causa di licenziamento e fisserei il tentativo di conciliazione.». «Alla prima udienza non si
potrebbe procedere perché bisognerebbe attendere l’esito definitivo del processo per truffa postale aggravata.». «Seppure, intan195
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to, il reato dovesse prescriversi, si procederebbe, comunque, per
ottenere una sentenza efficace da utilizzare alla stregua del processo civile di lavoro.». «Totale anni persi undici; massimo risarcibile ottantacinquemila euro; contributi previdenziali da pareggiare; spese da definirsi.».
«Egregio Avvocato, m’informi se vuole procedere in uno di
questi tre modi, perché nel 2005 la vicenda si complicherà ancor
di più.».
«La ringrazio per il caffè al bar, per il colloquio gratuito e le
lascio il mio numero di telefono cellulare.».
Nello stesso modo in cui si comportarono i precedenti Legali,
l’Avvocato non si espresse. Così, nel 2005: scaddero i tempi per
l’azione giudiziaria, le complicazioni aumentarono e fui in grado di reagire soltanto nel 2006 perché avevo scelto il sistema di
provare quello che stava accadendo.
Prima d’incominciare a descrivere quel calvario che continuò
la mia persecuzione, intendo terminare l’argomento riguardante
la Mala Giustizia di Udine. Riporto, quindi, di seguito uno stralcio della denuncia che proposi al Consiglio Superiore della Magistratura e il cui responsabile era l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. In quei giorni scrivevo:
«Ero costretto a rivolgermi alla Procura della Repubblica di
Pordenone dopo che ben sei procedimenti penali avviati in circa
quattro anni, subivano altrettante scandalose archiviazioni.».
«Nel 2001 accaddero situazioni ugualmente scandalose e delle quali non proferii parola con nessuno, attendendo di avere in
mano altri elementi accusatori.».
«Cosicché, a un certo punto e dopo sei dirette archiviazioni,
ho detto basta!» «Tutte le mie denunce sono state archiviate e
perciò il sottoscritto sostiene che ci siano troppi e ripetuti casi in
cui, per non procedere contro: enti, aziende, istituti e conoscenze, si utilizzi il sistema delle archiviazioni.». «Alle quali, secondo me, si arriva in seguito all’intervento di personaggi influenti,
magari con la cravatta, e posti a tutela dei sopraccitati.». «In sostanza, le archiviazioni sono sentenziate dai Procuratori quando
ci sono di mezzo le conoscenze di questi ultimi, ma se ad essere
accusate non sono più persone conoscibili, allora arrivano i cravattati.».
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«Questo genere di archiviazioni, che considero un reato, possiede l’aggravante di aver gravemente leso la mia integrità mediante un’aggiunta che funge da motivazione per archiviare, dipingendomi come un mitomane.». «Come avrete capito, il motivo è l’infondatezza delle mie denunce.».
«Riferendomi ad altri organi o istituti posso aggiungere che
gli stessi, per impedire l’avviamento di procedure, si arrampicano sugli specchi fingendo di non aver ricevuto: le lettere, il materiale, i fax, o, addirittura, di non essere stati in grado di leggerli.». «Tutto questo per evitare fastidi ad aziende, enti, ecc.».
«Questi tipi d’ignoranze – delle quali ha oltretutto abusato la
Procura della Repubblica, tramite le archiviazioni – nascondono il favoreggiamento e sono doppiamente lesive perché concedono ai trasgressori il tempo e la possibilità di riparare ai crimini commessi.».
«Questo avviene perfino due anni dopo i reati che hanno originato le denunce, e l’elemento scandaloso è che la riparazione
del precedente reato si tenti di assicurarsela commettendone un
altro.». «Il comportamento tenuto dalla Procura della Repubblica, non solo garantisce l’avviamento di nuove azioni riparatrici,
ma ugualmente permette la nascita di altre dettate dalla creatività e dalla perversa genialità per ledere il sottoscritto.».
Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati (M.P.) finì sottoterra, e quando lo seppi stappai una bottiglia di spumante sebbene
oramai avessi «perso il treno» che portava al Tribunale. Quando
il suddetto crepò erano, purtroppo, decorsi i cinque anni che la
Legge prevedeva per adire in giudizio, e così un altro scampato
pericolo continuava a favoreggiare la Piramide.
Questo farabutto che teneva in pugno gli Avvocati parandoli
quando compievano azioni delittuose, si era schiantato. Non ricordo se da solo o contro un altro mezzo, certamente con la moglie a bordo. Forse un’infame come lui. «Almeno Dio esiste!».
Un bel dì, l’avvocato P.C.M. fu convocato per tenere un comizio, una lectio magistralis, agli studenti che avevano scelto la
sua stessa facoltà ma era anche il medesimo ateneo in cui aveva
conseguito la laurea. Peccato solo che dietro a tanta demagogia,
gli studenti non potessero sapere che l’Avvocato predicava bene
e razzolava male lasciandosi coinvolgere nei più squallidi meccanismi corruttivi al servizio dei potenti. Non aveva alcunché da
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insegnare a quegli studenti che, ascoltando i suoi discorsi, fossero all’insaputa riguardo al suo modo di agire dietro a una facciata di specioso rappresentante della Giustizia.
Il rischio ambientale
Non sarebbe nelle mie intenzioni zompare da un argomento
all’altro, ma è necessario per seguire la cronistoria dei fatti susseguitisi, nondimeno perché alcuni legano tra loro. Pertanto, non
posso tralasciare di narrare quest’indispensabile argomento che
permette di comprendere le pericolosità che nascono da particolari candidature. In particolare quando le stesse riguardano i dipendenti di una determinata azienda che, in questo caso, interessa il settore chimico-farmaceutico. Non è da escludere che possano essere prese in considerazione altre realtà imprenditoriali.
Eravamo nel 2004 ed a Mereto di Tomba era tempo di nuove
elezioni per stabilire chi fosse il nuovo Sindaco. Io che mi disinteressavo riguardo alla Politica locale perché, come alla Piramide, qui l’opposizione pareva non esserci, ne ero all’oscuro giacché una ben precisa lista fu occultata. Per alcuni mesi non seppi
chi fosse il nuovo Sindaco. Considerando, però, i precedenti, il
seguente sarebbe stato sempre uno di destra. Al massimo avrebbe mascherato la propria provenienza con qualche bel nome da
affibbiare al partito, in cui «stucco e pittura fan bella figura».
Tuttavia, nel dicembre del 2004 dovetti intervenire perché un
opuscolo messo in circolo dal Comune e del quale era Presidente-responsabile il Consigliere Comunale occulto e parente stretto del Beduino, cercava «d’indorare la pillola». L’intenzione era
quella d’ottenere il consenso delle maestranze per la costruzione
di un inceneritore. Il quale avrebbe dovuto smaltire i reflui prodotti dalla Piramide, i rifiuti solidi urbani del comune e le schifezze di chissà quanti altri comuni e quante altre ditte, forse, italiane. Intervenni consegnando nelle case degli abitanti in Mereto
di Tomba, un volantino riportante le seguenti parole:
«Incomincio a esporvi, nonostante sembrerà strano, che fino
ai primi giorni di luglio, 2004, io non sapevo neppure chi fosse
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il nuovo Sindaco perché in casa mia, per quel che riguarda lui e
la sua lista, neppure si conosceva il nome del candidato.».
«Qualcuno allora si è premurato, si è assicurato, che non arrivasse niente tra le mie mani.». «Siccome c’è chi, mediante un
grimaldello, s’intrufola tra i miei effetti personali, posso intuire
la ragione della mancata campagna elettorale nella mia dimora,
per l’elezione del nuovo Sindaco.».
«Un anno fa, stavo scrivendo una proposta di Legge per impedire che le più grosse e/o pericolose aziende di un comune e
di una provincia, avessero parenti dei dirigenti, della stessa, inseriti in un ente pubblico politico.».
«Avevo similmente considerato che, laddove fossero insediate grosse aziende chimiche e/o farmaceutiche, sia agli stessi dipendenti sia alle persone affini come: medici, periti, laureati in
chimica, ecc., fosse preclusa la candidatura a Sindaco e altre designazioni Provinciali e Regionali.».
«Questa proposta utile per arginare la corruzione statale era
ancor più estesa, ma preso dalle mie seccature rimandai tutto.».
«A questo punto ritengo che sia inutile spiegarvi la posizione
in cui è stato messo il nuovo sindaco A.C., per favorire la Piramide.». «L’intento ormai lo conosciamo tutti mediante le “due”
righe scritte sul “Lo spaventa passeri”.».
«Visto e considerato che, oltre ai nostri politici, anch’io sono
aggiornato su quello che accade alla Piramide, è arrivato il momento d’informarvi.». «In passato si udivano sempre più di rado
degli scoppi, ma dal 1996 noi siamo a rischio di nube tossica.».
«Con quello che si vuole costruire ora saremo ancor più esposti,
e, pertanto, il signor A.M. non può ordinare di scrivere la frase
“Noi non puntiamo il dito contro l’inceneritore…”, perché il dito va puntato immediatamente giacché, dal 1996, alla Piramide
sono cambiate le produzioni.».
«Ma ora partiamo proprio dal 1996 quando l’azienda fu convertita quasi totalmente in farmaceutica con scandali riguardanti
licenziamenti, mobilità, ecc.». «Grazie ai sindacati e alla fusione
con una società di Milano in cui non era più possibile produrre
certi prodotti, la Piramide convolò a nozze morganatiche è si unì
in matrimonio d’interessenza.».
«Lo stabilimento di Milano era troppo vicino alle abitazioni
e, in caso d’incidente, l’impatto ambientale sarebbe stato deva199
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stante.». «Così Sua Maestà Monsignor Principe “d’Egitto” P.O.
divenne Amministratore Delegato della Piramide trasferendo la
produzione delle sue schifezze a Mereto di Tomba.».
«Voglio farvi notare che l’azienda è in forte espansione grazie alla cessione di terreni e v’informo che i prodotti utilizzati e
ottenuti dal 1996 hanno un fattore cancerogeno.». «Sono considerati, però, allo stesso modo in cui al petrolchimico di Marghera era trascurato il Cloruro di Vinile Monomero che molti anni
dopo porterà al processo tuttora in corso.».
«Pertanto, la Piramide produce prodotti dei quali si presumono conseguenze dopo venticinque anni. Nel frattempo, i lavoratori sono obbligati ad eseguire esami su esami – clinici – perché
stanno prestandosi come cavie.». «I dirigenti, inoltre, richiedono
di firmare molti documenti per coprirsi le spalle.».
«Come comprenderete, la risultante innesca un circolo vizioso dovuto alle schifezze che fruttano molto all’azienda.». «Così
quest’ultima, continuando a distribuire dei normali stipendi agli
operai, può permettersi di comprare chicchessia, espandersi e licenziare chi troppo capisce e non scende a compromessi.».
Il nuovo Sindaco (A.C.) eletto era, quindi, il Sindacalista della C.I.S.L., ma prima della sua nomina il posto era occupato da
un Medico (F.N.). Proprio per questo la Piramide aveva sempre,
a capo del Comune, qualcuno che le avrebbe reso molti servigi,
persino illegali. Nel 2014, una Legge impedirà al Sindaco A.C.
di svolgere il terzo mandato. Quindi bisognerà rimediare per garantire l’egemonia di destra e gli appoggi politici necessari alla
Piramide. Un secondo parente stretto del Beduino D.M. si candiderà a Sindaco e sarà eletto. Anche in questa «seconda» tornata elettorale, in casa mia non perverrà niente che riguardi la sua
lista. All’incirca dieci giorni prima delle votazioni perverrà la lista dell’altro candidato, contenente il programma politico. È stato, quindi, usato lo stesso sistema delle elezioni del 2004, in cui
il protagonista doveva essere tenuto all’oscuro riguardo al nuovo burattino della Piramide. Attenzione però! Nondimeno l’altro
candidato avrebbe garantito gli interessi dell’azienda. Egli è un
dirigente della Sanità pubblica, perciò avente un interessamento
per la Medicina e la Farmaceutica. Il Sindaco uscente sarà ricollocato nella nuova giunta del neoeletto M.M., così proseguirà il
proprio cammino politico al servizio della Piramide.
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Qual è il fulcro di questo breve sunto espositivo? Durante il
periodo elettorale ci si può ritrovare con più candidati appartenenti al medesimo schieramento politico, perché mascherato dal
termine «lista civica». Qualunque candidato avessero votato gli
abitanti del comune di Mereto, la Piramide e la Sfinge avrebbero, in ogni caso, vinto le elezioni.
La mia proposta di Legge, nel 2004, doveva fermare questo
servilismo, ma non riuscii a prepararla in tempo e… che il nuovo Sindaco era già stato eletto. Figuriamoci, poi, se queste mozioni sarebbero state prese in considerazione giacché a Montecitorio potevano, o possono ancora, entrare i delinquenti. Trattasi
proprio di quei mestieranti che dovevano, o devono, approvare
le Leggi atte a interdire i percorsi che loro stessi avevano già intrapreso.
Il responsabile Presidente dell’opuscolo «Lo spaventa passeri», A.M., per di più proponeva di creare una commissione ambientale. Intenzione che bocciai motivando che sapendo come si
lavorasse alla Piramide, la commissione sarebbe stata comprata.
A.M., lo stretto parente del Beduino, era un finto oppositore che
si serviva di un periodico, «Lo spaventa passeri», per convincere le maestranze. Infatti, durante il secondo mandato del Sindaco «voltò gabbana» per divenirne un suo Assessore.
Siccome l’impianto da realizzare all’interno del recinto della
Piramide comportava un’approvazione del Comune e, infine, alcuni nullaosta degli enti provinciali e regionali, il Sindaco fu costretto, anzitutto, a richiedere un parere agli abitanti. Fu indetta
una riunione nella sala consigliare del Municipio in cui la maggioranza delle frazioni interpellate espresse voto contrario, ossia
sfavorevole alla realizzazione dell’impianto di smaltimento. La
capra era stata salvata ma mancavano i cavoli perché, al rifiuto
di costruire l’inceneritore, la Piramide iniziò a minacciare licenziamenti di massa. Con l’ausilio dei mass media si mise a dipingere scenari economico-aziendali non corrispondenti alla realtà.
Nei limiti del possibile, mi occupai persino di questo.
In un futuro immediatamente seguente si assisterà al declino
del reparto Nitrazioni, così la Piramide sarà convertita totalmente in azienda farmaceutica. L’holding nata nel 1996 tramite la
fusione con la società di Milano, nell’ottobre del 2000 sposterà
la sede, e le produzioni, in un nuovo stabilimento sito nella pro201
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vincia di Varese. Sede dove, evidentemente, Sua Maestà Monsignor Principe «d’Egitto» P.O., Amministratore Delegato, possedeva qualche legame territoriale, forse politico.
La Piramide limiterà la propria responsabilità societaria, però
continuerà a detenere la maggior parte delle azioni. In sostanza,
essa acquisirà, o assorbirà, la società di Milano trasferitasi a Varese. Il Faraone sarà sostituito da M.D.C. e si trasformerà in una
mummia vivente, pronta per il giorno in cui le sue ceneri saranno riposte in un canopo, ossia un’urna cineraria egizia.
M.D.C. è laureato in chimica e ha diretto, uno per volta, tutti
i reparti farmaceutici, e perciò una persona oramai esperta. Egli
iniziò lavorando nel laboratorio di analisi e ricerca ma, in seguito, diresse anche il reparto in cui avevo lavorato. Devo puntualizzare che, sebbene possedesse ottime capacità gestionali, purtroppo difettava nel capire le persone.
Siccome non è nelle mie intenzioni procurare sconti ad alcuno, non posso lesinare sulla sua natalità e su certe commissioni
che provenissero proprio dalla città che gli fornì i natali. Nemmeno posso trascurare che lui, probabilmente, sia parente stretto, oppure un famigliare, di un pezzo grosso dell’Esercito, ossia
un Generale di Roma. Questo, all’epoca, era quello che si vociferava in azienda. In futuro lascerà il posto, di Direttore, a T.S.
L’assedio e il traffico organizzato
«Che bel finale!», si potrebbe esclamare riferendosi alla precedente sezione di capitolo. Aggiungendo poi: «E vissero tutti,
gli altri, felici e contenti». Infatti, fu il mio caso. Non per niente
questo capitolo porta un titolo che è indice di molteplici complicazioni.
Ci si stava addentrando nei meandri della più vile società che,
non potendo gradire d’esser stata colta in flagranza di reato, anzi
di reati, doveva mettere in atto una strategia difensiva per osteggiare le mie denunce. Pertanto, insabbiamenti e depistaggi prendevano piede insieme a una massiccia persecuzione che, per un
certo lasso di tempo, fui costretto a subire imperturbato ma con
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l’irrefrenabile desiderio di passare all’azione non appena le circostanze si fossero delineate. Non potevo permettere altro, e appena ebbi in mano tutto il materiale indispensabile, procedetti
tramite altre denunce. Purtroppo, nel frattempo, avevo pagato lo
scotto della decisione assunta. La scelta compiuta mi obbligò a
frenare il desiderio di scendere in strada e mi costò gravi ripercussioni psicofisiche che andarono a colpire la mia natura gioviale. Col trascorrere del tempo le mie condizioni peggioravano.
Il mio aspetto psicofisico cominciò a risentirne assieme a organi
di vitale importanza, i quali furono colpiti a causa delle continue
variazioni umorali che avevo dovendo continuare a sorbire una
situazione inaudita. Alcuni anni dopo, rividi persone che faticavano a riconoscermi. All’insaputa di quanto stava accadendomi,
si chiedevano se fossi depresso.
Notavano cambiata la mia personalità, che da persona scherzosa e ilare era passata a nutrire una diffidenza totale negli altri,
perché avevo iniziato a rendermi conto di quello che rinchiuso
all’interno di un recinto lavorativo non era possibile accorgersi.
Un mondo storto, una società: malata, corrotta, vile, perfida e
dove niente ti era concesso. Tra l’altro, la natura di destra della
località in cui risiedo era una concausa assai fastidiosa che continuava ad accrescere un odio profondo in questa fazione. Per di
più, la situazione stava peggiorando perché, oltretutto, a livello
provinciale, quella destra che favorisce gli imprenditori e osteggia chi si preoccupa veramente degli operai, era salita al potere
creando problemi futuri.
Già nel febbraio del 2004 iniziavo a segnalare che i miei vicini avessero notevolmente incrementato le persone recantisi da
loro, e quelle che prima erano sporadiche e alquanto rare inversioni di marcia, divenivano sempre più assidue. Continuavo, però, a ritenermi spettatore per questo genere di manovre alle quali
stranamente iniziavo ad assistere solamente dal mese di maggio.
Quindi, c’era la possibilità che perfino in questo caso fossi riuscito a individuare precedenti comportamenti tenuti da persone
inerenti alla Piramide. Aumentando le persone recantisi da loro,
i miei vicini avrebbero potuto operare cosicché i conducenti dei
veicoli, prima o dopo il loro arrivo, eseguissero un’inversione di
marcia. Eppure, le azioni che avevo denunciato nel 2002 non si
erano svolte con la stessa dinamica!
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Il proprietario di un veicolo che aveva incominciato a recarsi
da una residente, era spesso presente nonostante risultasse abitare a più di trenta chilometri di distanza da Mereto di Tomba. La
stranezza era che egli, contrariamente a un certo numero di «visitatori», non effettuava mai inversioni di marcia ma transitava
davanti alla mia casa. A rigor di logica, la sua presenza era presumibilmente dovuta a due motivi e uno di questi lo conduceva
in altri luoghi ma fuori da Mereto di Tomba.
In seguito accaddero due circostanze strane che riguardavano
proprio la residente nella via in cui abito.
La prima fu l’assunzione della stessa, oppure un incarico lavorativo nello stabilimento e procuratogli dalla Piramide, la seconda fu la cessione, a lei, del veicolo spesso presente.
Dalla visura ebbi modo di accertare un prezzo di vendita parecchio più basso di quello che una valida quotazione di mercato nazionale stabiliva per la vendita tra privati. La differenza di
prezzo, però, variava qualora ci si affidasse al listino europeo di
Eurotax anziché a quello nazionale di Quattroruote.
Negli anni seguenti, i fatti riguardanti queste presenze di persone estranee che, dopo un po’ di tempo, cedevano i loro veicoli
e scomparivano, si ripetevano nelle case di altri. Probabilmente,
dovevano mascherare quello che, agli inizi, era successo. Tuttavia solo inizialmente, perché movimenti di questo genere per la
cessione di veicoli, giammai erano avvenuti. L’occorso lasciava
presumere, con certezza, che fino a quando non segnalai i casi,
taluni miei vicini avessero dei tornaconti.
Eravamo nell’estate del 2004 e assistevo a un’improvvisa variazione forzata, organizzata in maniera pretestuosa, del traffico
veicolare esistente nella via in cui abito e del suo proseguimento. Sempre in quell’anno, nondimeno notavo che in quegli orari
in cui, molto tempo prima, avevo iniziato a transitare indisturbato, il traffico era notevolmente aumentato perché era in atto una
colonizzazione di codesta via e strada provinciale.
Parecchi dei veicoli impiegati erano gli stessi che prima erano soliti transitare in altri orari, perciò c’era chi si attivava affinché i vari mezzi stradali moltiplicassero i transiti. Tra questi
veicoli ce n’erano di indiziati in precedenza ma per altre ragioni.
Così, a un certo punto assisto al loro rimpiazzamento perché accortisi che li avevo notati.
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Eravamo ormai nel 2005 e, addirittura, assistevo all’arrivo di
veicoli mai visti prima, i quali transitavano sì e no una volta al
giorno. Ma già nel 2004 mi ero accorto che il tempo intercorso
tra il giorno in cui i conducenti di veicoli beneficiati dalla fortuna di avermi incontrato lontano da casa, e l’istante in cui iniziavano a transitare in modo sistematico, era relativamente breve.
Per un certo numero ero nella possibilità di sostenerlo perché,
essi, avendo compiuto manovre sospette si erano esposti, ma per
altri veicoli avevo perfino delle loro immagini che, a volte, erano occasionali. Come, per esempio, il giorno nel quale stavo riprendendo alcuni lavori stradali in un altro comune, un’auto che
rimase immortalata iniziò a bazzicare nella via in cui abito.
Chi ha letto codeste parole si starà chiedendo perché filmassi
i lavori stradali. Allora, io, a questa ipotetica domanda rispondo
che prima di procedere alla denuncia dei veicoli ingaggiati per
ottenere una colonizzazione della strada in cui abito, girai mezza provincia per accertarmi che la cantieristica stradale non fosse responsabile di quello che accadeva in questa via.
Anche l’installazione di nuovi semafori avrebbe potuto comportare un aumento del «traffico esistente», ma poiché non ebbi
nessun riscontro, nemmeno questa motivazione era valida. Inoltre, affinché non fossero realizzabili truffe tecnologiche tramite
ennesimi anacronismi, nelle strade e nei territori di mia frequentazione immortalavo tutto quello che subiva variazioni.
Tra le persone presenti in questa via, che cominciavano a frequentare i miei vicini, c’erano quelle che avevano sortito della
fortuna d’incontrarmi lontano da casa mia. Senza trascurare che,
a un certo punto, i loro veicoli erano lasciati posteggiati, di proposito, distanti per transitare, a piedi, davanti a dove abito.
Allora dovetti iniziare a immortalare tutte le persone che mettevano piede in questa strada, in modo da contrastare l’ennesima
astuzia escogitata per impedirmi d’ottenere gli estremi delle targhe dei veicoli. Chi aveva la possibilità usava persino, o soltanto, la bicicletta. Come G.V.: il pilota del deltaplano. Col passare
del tempo, verrò ad apprendere che i furbetti erano persone che
c’entravano parecchio con la Piramide.
In precedenza era capitato di segnalare un furgone commerciale che transitava spesso in questa strada. Successivamente mi
ero reso conto che questo tipo di veicoli spuntasse come funghi.
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La loro presenza si sommava a quella dei rari mezzi commerciali che già si palesava a posteriori e che, essendo in numero limitato, aveva contribuito a rendere distinguibili questi nuovi veicoli commerciali mai visti prima. I veicoli aziendali erano nuovi, non perché le loro targhe fossero recenti, bensì giacché questa via non la impegnavano proprio. Soltanto col trascorrere del
tempo costaterò che perfino in questo settore avevo visto giusto!
I veicoli appartenevano a ditte che avevano le loro sedi vicine, o
attaccate, a quella della sede legale della Piramide. Addirittura,
certe negli stessi comuni o nelle stesse frazioni in cui risiedevano i dirigenti, incluso lo scagnozzo.
Questo non era ancora tutto perché alcune delle società gestivano commesse proprio a Lignano. Fino a quando un giorno notai che il furgone di una ditta che cominciava a transitare in questa via, avesse riconosciuto la mia auto mentre mi trovavo a pochi chilometri dalla località balneare. Alcune di queste ditte, oltretutto, agirono in modo d’occupare la zona di fiume: quella in
cui andavo a trascorrere qualche ora di rilassamento insieme ad
alcuni amici.
Sempre per fatti strani che avvenivano proprio in questa zona, ero costretto a segnalare, addirittura, che alcuni stranieri trovassero il sistema per esser presenti al mio arrivo. Queste strategie non erano utilizzate solamente da costoro, perché includevano altre società. Col trascorrere del tempo mi accorgevo, sempre
più, che la presenza di tutte quelle persone al luogo di fiume era
inconsueta. Comprendevo, persino, che talune mi avevano avvicinato proprio perché fossero informate ed erano state ingaggiate per… Luogo di fiume dove, in principio, mi vedevo con una
ragazza perché lei fu una delle prime persone che conobbi. Solamente negli anni seguenti mi ritroverò con degli amici. Qualcuno lo conobbi io, altri mi avvicinarono loro e tanti altri ancora
si uniranno al gruppo molti anni dopo.
Come, per esempio, quando durante un caldo giorno di agosto del 2006 un paio di amici mi chiedevano con insistenza: «Ci
sarai domani?». Ed io rispondevo: «Sì, va bene, ci sarò domani!», ma trovando strana questa petulanza, non aggiungevo «Ma
guardate che se insistete tanto, porterò la videocamera.».
Infatti, l’indomani, al gruppo che formava gli amici si erano
integrate due nuove presenze. Parlottavano tra di loro. Dopo che
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una di queste si era aggregata ancora qualche volta, scomparve
definitivamente. L’altra persona riapparve anni dopo, ma a precederla furono i primi che conobbi, ossia suo padre e sua madre.
La professione dichiarata dal babbo non era vera. Quest’ultimo
si unì al gruppo insieme a un Ispettore bancario e dichiarando di
svolgere la stessa professione. Invece si trattava di un Poliziotto
appena andato in pensione, e la persona immortalata alcuni anni
prima, suo figlio, ha la stessa vocazione.
Non rifiutai, lo stesso, queste nuove amicizie purché fossero
dotate di quel pregio definito «lealtà». Tuttavia, a mentire sulla
professione svolta non furono i primi. Nell’anno precedente, un
certo Paolo mi comunicava di abitare in un paese e d’esser occupato in un’azienda poco distante, invece lavorava in un’altra.
Era ormai sicuro che fra i miei nuovi amici si nascondessero
degl’infiltrati tra i quali, forse e in aggiunta, qualche portalettere, perché un giorno del 2005 fui avvicinato persino da una postina. Lei iniziò a recarsi nel fiume con la figlia. In seguito, circostanze di vita la obbligheranno a ritornare sempre da sola. La
figlia, una volta divenuta maggiorenne, intraprese un’attività lavorativa e si trasferì altrove, quindi la madre portalettere inizierà
a recarsi senza la figlia.
Queste persone mi avevano avvicinato alcuni anni dopo, rimpiazzandone altre quand’ormai avevo già prodotto denunce nei
confronti d’estranei che, a causa dell’insolita presenza, non erano riusciti a ingannarmi. Uno di questi estranei, una ragazza, risulterà imparentato con l’intestatario dell’auto sportiva di grossa
cilindrata, il quale possedeva una ditta di carrelli elevatori e un
ben definito parente stretto. Quest’ultimo, in passato, aveva ricoperto la carica di Sindaco del comune in cui abito.
Lei risiede a San Daniele del Friuli ma è originaria di Pantianicco D.O.P. (Denominazione di Origine Pantegana), una frazione di Mereto in cui, oltretutto, dimora l’intestatario dell’auto
sportiva. Lei, per recarsi nel paese natale, doveva transitare davanti alla mia casa, e il suo passaggio permise di confermare il
mio sospetto nei suoi confronti non appena iniziai a notare che
l’auto era la stessa sfruttata, al fiume, in un giorno ben preciso.
Ancora una volta, l’indiziata era una giovane ragazza cimentatasi in una vile azione furtiva, però quest’ultima non risiedeva
più nel paese d’origine. Viveva poco distante dal luogo di fiume
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da me frequentato. Dimorava nelle vicinanze, proprio come nel
caso della proprietaria di quel veicolo avvicinatosi alla mia auto
posteggiata nel parcheggio del locale di mia frequentazione.
Quest’altra ragazza era stata assoldata per sostituire e togliere
d’impaccio quella inizialmente denunciata, ossia l’intestataria di
quell’utilitaria che, durante una serata piovosa, tenne uno strano
comportamento nel parcheggio del locale da me frequentato.
Avendo denunciato un veicolo e la corrispondente targa, non
era possibile provare che in quella notte piovosa l’auto coinvolta
fosse stata utilizzata dall’intestataria. Pertanto, qualora la situazione l’avesse reso conveniente, lei avrebbe potuto asserire che
la conducesse un suo familiare o il fidanzato, proprio come sarebbe potuto essere. Di chiunque si trattasse, le automobili erano
intestate sempre a due persone del gentil sesso e, perlopiù, residenti vicino a quel luogo estivo di fiume che frequentavo.
Si stava delineando un’operazione aleatoria ma in grande stile mediante lo sfruttamento di molte persone. Ciò che stava succedendo in questa via degenerava sempre di più e questa nuova
linea di azione andò gradualmente a coprire tutta la giornata.
Potendo contare su tante persone, furono stabiliti dei turni e
si notava, ad esempio, che quando mensilmente ci si avvicinava
al periodo attinente alla fase del licenziamento, anche l’assedio
aumentava. Attraverso le conoscenze, qualsiasi pretesto diveniva utile per alimentare di transiti questa via, e chi fosse rientrato
in qualche altra strategia – anche se mi avesse visto mesi o, addirittura, anni dopo – sarebbe scomparso, o quasi. I conducenti
dei veicoli che non riuscivano ad ottenere risultati, si rivolgevano ai miei vicini instaurando con loro rapporti che, però, erano
fugaci. Non potevano correre il rischio di essere scoperti, perché
l’intento era di lasciare credere a una sempiterna, o solo a priori,
frequentazione. Tuttavia accadeva persino l’inverso, ossia individui che dopo aver avuto con loro anche un solo contatto, iniziavano a transitare in questa via.
Eravamo arrivati al punto che nulla era più scontato, e la causa di quello che stava accadendo era provocata dagli episodi che
avevo segnalato. Dopo le denunce che presentai nel 2002, i miei
vicini tentarono di occultare persone all’interno delle loro proprietà, fino a quando mi accorsi che avvenisse, addirittura, nottetempo.
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Le denunce prodotte nel 2002 ed a maggior ragione quelle riguardanti i veicoli che in modo anomalo presenziavano in questa via, furono tempestive. Procedetti alla denuncia solo quando
la situazione si normalizzò, attendendo che cessassero gli episodi. Situazione che, in seguito, lasciò un discreto periodo di calma. Tutto questo era possibile perché avevo il controllo di questa via fin dall’anno 2000, ed essendo a conoscenza degli scarsi
movimenti che c’erano dai miei vicini, ebbi in più la possibilità
di notare un forte aumento delle persone e dei veicoli presenti.
Nei primi quattro mesi del 2003 – tramite simulazioni, scene
pittoresche, tentativi d’occultare auto o, addirittura, di provare a
spacciarle per proprie, fermate insolite e ripartenze – incominciò
l’insabbiamento dei reati commessi nel 2002. Inoltre, autotreni e
rimorchi erano stati lasciati parcheggiati, di proposito, in questa
via. Uno scuolabus comunale, dal 2013, per interi week-end e/o
per qualche altra ora, durante la settimana posteggerà occupando un’intera piazzola di sosta. Questa via era diventata un «circo
di Pinocchio», in cui c’erano persino veicoli che rimanevano in
panne dinanzi al mio cancello o erano lasciati negli stessi spazi
dove, inizialmente, altri avevano delitto. Mancava soltanto uno
speaker che acclamasse: «Avanti, avanti, siore e siori... abbiamo
di tutto... attrazioni comunali, intercomunali, saltimbanchi, giocolieri, menestrelli e pagliacci.». Il tutto per insinuare che avessi
equivocato le presenze dei veicoli denunciati nel 2002, ma non
era come loro volevano lasciar intendere per uscire dalla situazione. In questa iniziale sessione di insabbiamenti e di depistaggi erano stati coinvolti una quarantina di mezzi mai visti prima.
Il numero dei veicoli lo avevo ottenuto senza tenere in considerazione tutti quelli che furono presenti a: cene di gruppo, feste, manifestazioni, ecc. Pertanto, si trattava di mezzi che erano
presenti singolarmente, spesso a turno.
Il dispiegamento di personale impiegato in questa massiccia
operazione diventava in numero sempre maggiore, fino a quando fui in grado di sostenere che, per parare i miei vicini, era stata portata in questa via una caterva d’estranei. Centinaia di persone assoldate con lo scopo d’ottenere risultati quali simulazioni, depistaggi e diversivi. Ai quali s’integravano provocazioni e
vessazioni, perché chi aveva pianificato l’invasione, ovviamente
non poteva ignorare il fattore lesivo dell’azione persecutoria.
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Le abitazioni dei miei vicini sembravano diventate delle case
d’appuntamento, e allora per me divennero case da puntamento.
Fui costretto a sorvegliare assiduamente quella marea di persone
mai viste in precedenza e, sicuramente, ingaggiata per ottenere
degl’insabbiamenti. Frammezzo a queste azioni invasive si evidenziavano, inoltre, tentativi ben organizzati ove lasciar credere
che nel 2002 si sarebbe potuto agire più astutamente tramite il
coinvolgimento diretto dei miei vicini.
Siccome durante una delazione avevo messo per inscritto che
quando partivo dalla mia residenza non incontravo un essere vivente per chilometri, ecco che forme di vita primordiali iniziavano ad apparire dai miei vicini, e in altri luoghi, ogni volta che
rientravo a casa. Oppure, vicini e conoscenti, con una scusa incominciavano a entrare nella mia dimora quando nella loro arrivava quella data persona o ditta, o se in qualche altra zona c’era
stato un contatto. Semmai ci fosse stato un riscontrabile, ma casuale, incontro con una persona riconducibile alla Piramide, essi
si sarebbero prodigati nel fabbricare un precedente ove propinare che avessero astutamente eseguito il controllo del protagonista o della sua casa.
Tutti questi sono soltanto degli esempi, perché la mente perversa della specie umana era in grado di comportarsi in maniera
peggiore, e questo non è il tipo di documento per aggiungere altro. C’erano persone che nell’arco di una settimana oppure di un
mese presenziavano, pochissime volte, nelle loro abitazioni e in
modo pretestuoso o teatrale. Poi scomparivano per lunghi periodi. Al punto di assentarsi per un anno o anche più, perché le persone assoldate erano divenute talmente tante da consentire una
vasta gamma di azioni da compiere. Non era neppure da escludere che potendo avvalersi di molte persone, in questa via fossero state convocate talune che avessero una ricorrenza da festeggiare durante il mese di giugno: persone attinenti alla Piramide.
Poi tra i miei vicini c’è un docente, ‘o Professor. Il quale, oltre alla materia scolastica, ai suoi alunni non potrebbe insegnare
altro. Egli si rivelò uno stratega, un provocatore ed una persona
che, a seguito dei servigi prestati alla Mafia Aziendale, vide inserita la moglie in un ente politico statale.
Questo Copperfield ne combinava a iosa e tre esempi li posso
tranquillamente enunciare; sfruttò e spostò le ricorrenze affinché
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le successive fossero festeggiate in concomitanza con la fase del
mio licenziamento; iniziò a convocare persone in casa sua ogni
volta che c’erano eventi sportivi riconducibili ad altri tenuti nel
giugno del 2000; iniziò a tenere ripetizioni a persone segnalate
in precedenza o ai loro figli che, in alcuni casi, dovevano essere
accompagnati alla sua abitazione perché erano giovani e non dotati di mezzi per il trasporto.
I miei vicini avevano bisogno di lasciar credere che nel 2002
avessi equivocato l’accaduto e, quindi, urgeva scalfire la credulità popolare composta dalle persone traslate ma perbene, delle
quali si sarebbero serviti per uscire dalla questione giudiziaria.
Non avevano, tuttavia, ancora sistemato i conti con il diretto interessato che, aguzzando la vista, aveva assistito alle differenze
intercorse tra quello che era stato premeditato nel 2002, e gli accadimenti depistatori successivi.
A tutta questa baraonda iniziarono a sommarsi, sempre più
sovente, molteplici lavori svolti nelle case dei miei vicini, assistendo spesso a ditte e singoli artigiani che causavano l’arrivo di
parecchi estranei mai visti prima. Questo si verificava perché, in
precedenza, gli interessati avevano compiuto un’irregolarità che
aveva attirato la mia attenzione. Di conseguenza, c’era qualcuno
che si rendeva disponibile per occuparli dai miei vicini e sebbene anteriormente non fossero stati presenti.
Non solamente dopo il mio licenziamento, ma ancor di più in
seguito alle mie denunce, le case dei miei vicini si erano tramutate in pezzi di groviera. Quasi ogni giorno, e in particolar modo
nelle abitazioni di quelli denunciati, c’era sempre da ricostruire,
sistemare e rattoppare. Le dimore sembravano costruite sopra un
cimitero che, a causa dei cedimenti provocati dalle tombe sprofondanti quando i cadaveri vanno in decomposizione, provocasse movimenti tellurici. Al punto che ci fosse ogni settimana bisogno di artigiani o dell’idraulico. Infatti, un parente di ‘o Professor incominciò a essere presente sempre più spesso e sicuramente esentasse: dichiarando, probabilmente, d’eseguire i lavori
gratuitamente. In assenza dell’Idraulico, nel territorio patriarcale, e/o da altri vicini, c’era sempre qualcuno a rimpiazzarlo realizzando un turn-over per eseguire lavori di manovalanza varia.
Si trattava di tecniche per coprire coloro che avessi individuato,
di conseguenza i miei vicini incaricavano l’esecuzione dei lavo211
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ri a certe ditte scelte e, così, sarebbe stato possibile continuare a
perseguitare il protagonista. Società a cui si integrava un incremento della frequenza di ditte e singoli artigiani che prima erano assai di rado presenti. In questo modo, i miei vicini aggravavano la loro già precaria condizione perché sarebbe emerso che
la piccola impresa locale era al cospetto della grossa Mafia Politico-Industriale comunale.
Nell’articolato complesso persecutorio accadeva che parecchi
veicoli aventi gli estremi delle targhe somiglianti a quelle di altri spariti, giacché denunciati, tentavano d’occuparne il loro posto perfino recandosi dai miei vicini. Di conseguenza, il traffico
urbano accrebbe, ma la presenza di tanti veicoli dai miei vicini
non era l’unica fonte di persecuzione, perché si sommava quello
che stava accadendo su questa strada divenuta pericolosa.
Il numero degli stranieri qui presenti incominciò a crescere, e
questo canale che scorreva attraverso la vendita da porta a porta,
in aggiunta riguardava la consegna di volantini pubblicitari per
opera delle medesime persone.
Queste persone iniziarono a presentarsi ogni dì, e più volte al
giorno. Erano presenti molto spesso e come se i dépliant fossero
stampati in modo incessante, seppure le ditte commerciali adottanti questi sistemi di consegna costituissero ancora una piccola
parte. Ovverosia, non c’era ancora il mare magnum di volantini
che circolerà con il trascorrere degli anni, perché molte ditte andranno ad aggiungersi col passare del tempo.
Poi avevo notato vere e proprie incursioni eseguite da più individui stranieri che, a bordo di vari veicoli, credevano di passare inosservati. Nel complesso, per esser presenti il più possibile
in questa via, utilizzavano mille pretesti.
L’aumento di queste persone aveva provocato persino quello
delle Forze dell’Ordine, che con la scusa di controllarle mi sorvegliavano tenendo sottocchio la via più l’uscita di casa mia.
Era il mese di luglio del 2005 e denunciai i primi centosettanta veicoli, segnalandone altri ottanta distintisi nel presenziare in
questa via. Fornivo in modo parziale gli estremi delle targhe alla
Magistratura, perché l’elenco non era terminato e riguardava solamente quelli che erano stati presenti fino a gennaio del 2005.
La motivazione di questa fornitura parziale era causata da un
superlavoro che mi toccava eseguire perché, oltre a scovare quei
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veicoli che non si trovassero per caso in questa via, ero di fronte
a un pozzo senza fondo.
Nei primi dieci mesi del 2005 dovetti raccogliere una quantità di dati doppia. Nell’ennesima denuncia, che riporta la data del
7 novembre 2005, aggiungevo:
«Per quel che riguarda le mie precedenti querele e dove avrei
dovuto consegnarvi una seconda tranche di veicoli persecutori,
tra pochi mesi fornirò direttamente la terza che ho denominato
“super-buffoni”, o insabbiatori.». «Tranche di veicoli ingaggiati
già dal mese di settembre del 2005, che oltre a raggruppare molti giammai visti prima, includerà altrettanti immatricolati nuovi.».
«Provocando l’incremento del numero dei veicoli e inducendo la scomparsa, o quasi, di molti dei primi centosettanta buffoni, si sarebbe potuto mettere in dubbio che li avessi scelti perché
riconosciuti tra migliaia di altri che transitavano in una settimana.».
La terza tranche fu una lista di circa ottocento veicoli, ma essendo stati inviati su questa strada per coprire i primi centosettanta segnalati, solo una parte avrebbe riguardato quelli distintisi. E allora, nella denuncia del 25 aprile 2006, inviata alla Magistratura, scrivevo:
«Come in precedenza avevo promesso, ecco a voi i primi ottocento estremi di targhe o super-buffoni che, tuttavia in questo
caso, hanno contribuito a produrre un bel minestrone».
«Molti di questi equivalgono a individui sfruttati per “togliere le castagne dal fuoco” ai primi centosettanta buffoni deferiti,
ai quali andranno sommati quelli della seconda tranche e contro
di cui bisognerà procedere alla condanna.».
«All’interno di questi ottocento super-buffoni si nascondono
sicuramente dei buffoni che, mandati su questa strada con validi
motivi premeditati per ottenere la mia persecuzione, continuano
con il comportamento.». «Chi, invece, transitava con un veicolo
“di sabbia” è stato allontanato o quasi.».
«Prendendo come riferimento il periodo d’osservazione producente i transiti di questi ottocento veicoli ed equiparandolo al
medesimo periodo dell’anno precedente, è rilevabile un traffico
sei volte maggiore.». «Addirittura triplicato rispetto ai mesi antecedenti la mia denuncia iniziale.». «Mi sono altrettanto assicu213
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rato che la stimata triplicazione dei passaggi non dipendesse da
strade interrotte, deviazioni e qualsivoglia altra circostanza inerente alla circolazione stradale.».
«Per alcuni motivi tecnico-personali, sono stato costretto a ritardare questa delazione.». «Non essendo ancora nelle condizioni di analizzare i dati concernenti la seconda tranche di veicoli,
mi riservo di declassare un tot dei super-buffoni a buffoni semplici.».
Soltanto a maggio del 2007 riuscii a completare la lista che,
sommando entrambe le tranche, suggellava il coinvolgimento di
all’incirca duecentocinquanta veicoli bazzicanti su questa strada
in modo persecutorio. Se non fosse stato per quel che continuava ad accadere impedendomi di completare la lista, sarei riuscito a terminarla nel 2006. Ossia l’avrei completata nell’anno precedente e garantendo la tempistica indicata alla Magistratura.
Era stato per me assai difficoltoso completare questa serie di
denunce, perché l’ira causata per quanto stava accadendo grazie
a una società assai malata, mi spingeva a denunciare una simile
oppressione ma avrebbe richiesto parecchio tempo. Poi c’erano
altri episodi gravi che costringevano a tenere desta la mia attenzione. Nella totalità, le seccature provocarono conseguenze alla
mia persona.
La tensione accumulata fino a marzo del 2005 non era più
sopportabile, e nel mese susseguente dovetti recarmi d’urgenza
al Pronto Soccorso: accusavo una stanchezza psicofisica provocante crisi da sincopi. Quando andavo a letto, il mio corpo disteso continuava a tremare, per ore, perché avvenivano movimenti
coreici consistenti in contrazioni involontarie dei muscoli. Alle
quali si integrava una prolungata sensazione di freddo e questo
accadeva seppure la temperatura corporea fosse normale.
Al Pronto Soccorso, la dottoressa M.D.F. comprese rapidamente che si trattasse di una complicazione cardiaca, e da esami
successivi emerse il cedimento di una valvola. Ritrovare una discreta forma fu lento, servì molto riposo. Inoltre, dovevo prestare attenzione al sopraggiungere della stagione calda creante insofferenze. Già le primissime giornate di caldo registratesi verso
la fine di aprile m’indebolivano oltremisura.
Dovetti rinunciare a un invito propostomi per recarmi a poche centinaia di chilometri, perché i trenta gradi centigradi rag214
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giunti rappresentavano un’insofferenza che riacutizzava il problema fisico nato. Non sarei stato più nelle condizioni di guidare
per percorrere la distanza separante dal luogo in cui avrei dovuto prendere parte all’evento. All’insofferenza provocata dal caldo si sarebbe sommata una condizione di stress dovuta al lungo
viaggio, che mi avrebbe provocato ancora crisi di deliquio con il
rischio di subire un malore. Il recupero fu molto lento ma superai, lo stesso, questa logorante condizione. In seguito, continuerò una battaglia avente acquisito sempre più intensità.
Una volta prodotte le denunce penali riguardanti, anzitutto, i
primi duecentocinquanta veicoli persecutori, presi di nuovo contatto con l’avvocato G.V.D.E.
Oramai la causa di lavoro era improbabile che sarebbe iniziata, ma dovevo affrontare questa persecuzione veicolare, così telefonai ottenendo un appuntamento attraverso la segretaria.
Il giorno nel quale mi recai allo studio legale dove l’avvocato
G.V.D.E. svolgeva la sua attività, ebbi una piccola sorpresa dovuta alla conoscenza della sua segretaria. Non sapevo che lei lavorasse per uno studio legale, tuttavia solo come segretaria, perciò per entrambi fu un evento inatteso. Eccetto che quando presi
l’appuntamento, il mio numero di telefono fosse apparso tramite
l’identificativo del chiamante, e mi avesse risposto lei.
A causa dei precedenti accaduti con gli altri Avvocati, quando presi l’appuntamento fornii un nome falso, più un numero di
cellulare non proprio esatto. Il giorno in cui mi presentai, forse
lei ritenne che io fossi informato del suo impiego in quello studio. Bensì mi ero rivolto a quest’Avvocato credendo che si trattasse del figlio di una ex datrice lavorativa di madre, ossia una
casa signorile in cui lei prestò servizio quand’era giovanissima.
Pertanto, si trattava solamente di un fattore d’omonimia che non
avrei potuto comprendere quando mi trovavo nello studio legale
dell’avvocato G.P.C. ed emerse solo dopo che con il suo collega
G.V.D.E. avessi discusso l’argomento.
Anch’egli si trincerò dietro alla denuncia penale, in sostanza
avrebbe acconsentito a procedere in sede civile solamente quando la Magistratura avesse emesso una sentenza in mio favore e,
forse, definitiva.
Quest’ennesima riprova rende evidente, ancora una volta, che
il penale è d’ostacolo al civile, fuorché gli Avvocati si servano
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di queste motivazioni accampandole come pretesti per non procedere in tale sede. Per questo motivo, l’argomento sarà oggetto
di mia attenzione nelle appendici.
Quando produssi le precedenti denunce penali, il termine dei
cinque anni riguardante la prescrizione civile di lavoro non era
ancora trascorso, ma la Procura della Repubblica di Udine aveva già archiviato tutto. Riaprire i procedimenti a Pordenone non
servì a nulla perché «cane non mangia cane». In pratica, la Procura di Pordenone avrebbe coperto quella di Udine continuando
a mascherarne la collusione.
Essere in grado di provare che la Magistratura è collusa non è
un’operazione semplice. I motivi più disparati che potrebbe addurre il Magistrato per giustificare, in modo pretestuoso, di aver
archiviato o sputato una sentenza che maschera la sua corruzione, gli permetterebbero sempre di salvarsi. In codesto caso, però, siamo di fronte a una realtà imprenditoriale collegata a una
Mafia Societaria che può ottenere qualsivoglia cosa, senza tralasciare che autorità statali si ritrovano coinvolte.
Inoltre, richiedere la riapertura di un procedimento archiviato
è come definire il Magistrato un inetto, ma per quello che è stato
sentenziato a Udine: «se non è zuppa è pan bagnato». In sostanza, se il Magistrato non è stato corrotto significa che è un incapace. Egli, però, può essere corrotto due volte quando è succube
del sistema giuridico. Ossia nel caso che la sentenza del Magistrato giunga mediante gli scandalosi strumenti che lo Stato fornisce permettendogli di mascherare la corruzione.
Questo caso è ben diverso da quello occorso, nel 2011, proprio in questa provincia. In cui la esercente titolare di un locale,
ogniqualvolta denunciava tali persone che non pagavano il corrispettivo, si ritrovava con una sentenza di archiviazione. Salvo
che la Magistratura si sia servita di questa esercente esattamente
per mascherare proprie anteriori omissioni o reati. Come? Spedendo alla titolare una lettera in cui sentenziava che il fatto non
sussistesse.
Finché, ristuccata dal ricorrente pressapochismo rivoltole dalla Magistratura, la titolare del locale si affidò a un’emittente televisiva per sputtanare l’operato della Procura di Udine. Giusto
che così fosse, se non altro per esporre ai cittadini un malcostume giudiziario.
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Piccoli delinquenti crescono
L’indirizzo scolastico che intrapresi alle scuole medie superiori era prammatico. Durante il primo anno, la gran sala adibita
alla materia pratica era molto ampia. Potendo questa contare un
elevato numero di macchinari e di banchi lavorativi personali, le
classi che utilizzavano detta struttura erano due alla volta. Spesso, però, il docente che controllava le classi era solamente uno.
La classe che frequentavo prestava l’attività pratica in modo
congiunto ad un’altra e che, per un caso assai raro a riscontrarsi
poiché si trattava di una propensione scolastica prettamente maschile, vedeva inserita l’unica ragazza avente preferito un orientamento pratico.
Lei era pezzo di pane, una ragazza: carina, dolce, con un fisico esile, dal carattere socievole e molto buono. Fin troppo tollerante certi elementi che la importunavano, ma non tutti alla stessa maniera. C’era chi provava ad avvicinarla con qualche battuta che lo rendesse simpatico e attirasse la sua attenzione, e chi ci
andava piuttosto pesante. Tra questi ultimi, tre teppistelli scolastici, tre piccoli delinquenti che la importunavano molto, fino al
momento nel quale uno di loro iniziò un gioco a lei assai sgradito. Lei, però, come ho spiegato prima, era una ragazza buona e
più di tanto non protestava.
Tre di questi piccoli delinquenti erano studenti che appartenevano alla stessa classe in cui anch’io ero iscritto, e uno in particolare aveva preso un’abitudine che si reiterava ogniqualvolta
il Professore si assentava. Ma avveniva ugualmente nel caso che
l’assistente fosse distratto o lontano, oppure se quest’ultimo era
mancante congiuntamente al docente. Quando la loro lontananza dallo stanzone di attività pratica si protraeva per mezz’ora o
di più, questa frale creatura costituiva il passatempo di certi maschietti, in particolare dei tre teppistelli.
Come se lei non fosse già vittima di altre ragazzate, uno di
questi tre aveva iniziato nei confronti della giovane un gioco pesante. Lui brandiva un utensile da lavoro come, ad esempio, una
grossa lima e, una volta appoggiata un’estremità al corpo della
ragazza, le imprimeva un senso rotatorio. La lima puntata contro
la tuta indossata dalla ragazza era torta in modo che le si attor217
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cigliasse addosso e andasse a bloccarle i movimenti in modo da
impedirle di divincolarsi dalla presa.
Tant’è che un giorno ella, nolente, dimenandosi nel tentativo
di sfuggire alla presa del piccolo molestatore, rovinò persino in
terra. Questo gioco incominciato dal teppistello prese ben presto
una connotazione più molesta. Ad un certo punto, lui non si accontentò più solamente d’infastidire la ragazza e continuò il suo
morboso passatempo andandole a posizionare le lime sulle parti
intime. Quest’accanita apoteosi lasciva proseguì per molti mesi,
finché le lime divennero ben presto di ogni forma e dimensione.
Ma poiché la più grossa in dotazione era definita «bastarda», il
sostantivo in quella circostanza lo aveva acquisito proprio da chi
se ne serviva per soddisfare la sua patologica concupiscenza.
Uno dei tre piccoli teppistelli ce l’aveva con me perché rientravo tra chi non gli passava le informazioni quando c’erano dei
compiti in classe. Un giorno, dopo essersi gustato due brioches
che il baracchino vendeva durante la ricreazione, si presentò davanti a me, calzò un paio di guanti in pelle e: «Patapum!», sferrò un gancio contro il mio viso.
Mi centrò con una brutale veemenza alla mascella superiore
destra perché era un mancino, e credo sia rimasto tale. Il mio fisico non si spostò di un millimetro e al punto che lui rimase con
lo sguardo impietrito. Non accusai minimamente il colpo, e senza proferire parola né gesto alcuno, ma squadrandolo come bullo da strapazzo e uno spaccone, lo lasciai prendere le distanze.
Infatti, da quel giorno si tenne sempre alla larga da me.
Terminò l’anno scolastico e non rividi più due dei tre piccoli
delinquenti perché il primo anno furono respinti e dovettero ripeterlo. Tuttavia, prima che arrivasse il periodo delle vacanze, il
numero dei tre bambocci da riformatorio era salito a sei.
Alcuni poi, una volta promossi nella prima superiore ripetuta
l’anno successivo, presero altri indirizzi professionali e così persi completamente i contatti con loro. Contatti che, francamente,
non mi attiravano, però un giorno, all’improvviso, di uno dei tre
teppistelli ebbi un avvistamento.
Era il giorno 11 maggio del 2006 e mi ero recato a circa sette
chilometri da casa mia, in un paese che porta il nome di «Sedegliano». Andavo in questa località poiché dovevo fermarmi dal
Parrucchiere. Mentre mi trovavo all’interno del salone, in attesa
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che arrivasse il mio turno, un’utilitaria grigia s’immetteva nella
via in cui avevo posteggiato la mia auto, avvicinandola. Esegue
questo accostamento sebbene ci fossero vari posti liberi per posteggiare. Per esempio, dietro alla mia auto c’erano almeno altri
venti metri di spazio libero, perciò questo era già il primo indizio che in quel giorno stesse accadendo qualcosa di anomalo.
Il veicolo è condotto da un militante nelle Forze dell’Ordine,
è in divisa e m’insospettisce, ma provate a indovinare chi arriva
pochi secondi dopo? Conduce un’auto che neppure sapevo possedesse. È il mariolo delle Poste. Lui, per non correre il rischio
di mostrarmi il veicolo che guida, forse acquistato di recente, si
allontana per nasconderlo. Dopodiché, entra nel salone dove sono in attesa che arrivi il mio turno.
All’interno del salone si comporta con disinvoltura ma io non
la bevo, è un delinquente statale che lavora per le aziende, e la
presenza dell’altro veicolo indicava, senz’ombra di dubbio, che
in quel giorno i malfattori statali presenti erano due.
Pensa e ripensa, spremo le meningi e soprattutto la memoria
perché quei tratti somatici, esterni alla divisa, li ho già visti.
«Ma sì! È lui, è D.C. il piccolo squinternato scolastico», pensai. Ma quale fosse la ragione della sua presenza in quel luogo,
congiuntamente al postino, non era chiara.
Segnalai alla Magistratura che il postino avesse un confidente
nelle Forze dell’Ordine e, in seguito, segnalai l’occorso.
Non l’avessi mai fatto! L’auto grigia presente dal Parrucchiere cominciò a manifestarsi nella via in cui abito e in coincidenza
con il transito del postino mentre guida lo scooter postale. Lui è
in servizio, quindi denunciai anche questo tentativo di depistaggio che mirava a lasciar credere, per l’ennesima volta, che avessi già intravisto quella vettura grigia. Bisognava, pertanto, insinuare che sapessi a chi apparteneva.
Indagando sul militante D.C., scoprii che era diventato parente stretto di un dipendente della Piramide. Per giunta, egli risultò
abitare nello stesso paese in cui risiede il postino. Questo particolare è il comprovante indizio che l’ennesimo informatore, talpa, avesse eseguito una telefonata a uno dei due delinquenti statali. Li mise a conoscenza che in quel giorno ero dal Parrucchiere, e… Sono certo che la Magistratura abbia scoperto chi fosse.
Eseguii una visura dell’auto grigia che iniziai a scorgere nei pa219
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raggi di casa mia, la quale risultò intestata a una società prestanome che, seppure non lo fosse stata, impediva il rintracciamento del presunto Maresciallo, o Tenente, D.C. Chissà perché una
comune vettura, autocivetta, non può essere rintracciabile quando appartiene a qualcuno in divisa? Che la usa in modo illecito.
Negli anni seguenti, un’informazione riservata mi metteva a
conoscenza che persino un secondo alunno molestatore della ragazza, respinto anch’egli in prima superiore, era entrato nei corpi delle Forze dell’Ordine.
Proprio dei begli esempi avevamo a rappresentare lo Stato, e,
in futuro, uno dei quattro molestatori della ragazza, quando crescerà avrà problemi con la Giustizia. Questo significa nientedimeno che all’interno dei corpi appartenenti alla Giustizia possono rientrare persone che chissà grazie a chi, o a che cosa, hanno
ottenuto il posto statale.
Nel 2005, un ufficiale della Polizia Municipale di Fagagna fu
uno dei responsabili concernenti un episodio poco chiaro e che
avvenne mentre ero alla guida dell’auto dei miei genitori. Accadimento in cui presunsi che il proprietario alla guida di un potente e costoso S.U.V. (Sport Utility Vehicle), oppure un crossover, fosse stato riconosciuto e, per questo motivo, non fermato
a una postazione per la rilevazione della velocità.
Di codesto ufficiale non posso conoscere il suo passato adolescenziale, ma nel 2011 finì agli arresti domiciliari con l’accusa
di aver acquisito, in modo poco pulito, il grado di Comandante
della Polizia Municipale di San Daniele del Friuli.
Dell’episodio accaduto e riguardante la contravvenzione inoltrata, che non sarà più saldata perché proporrò ricorso al Prefetto, argomenterò nel prossimo capitolo, ossia quando tale vicenda costituirà per qualcuno un pretesto per…
Un’azione previdente
Nel mese di maggio del 2006 interpellavo la Telecom richiedendo i tabulati telefonici. Volevo, oltretutto, vederci chiaro per
quel che riguardava le chiamate effettuate al numero telefonico
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di casa mia. Con solerzia li richiedevo, sia perché volevo prendere conoscenza delle chiamate inoltrate nella mia dimora e che
avevo segnalato, sia per entrare in possesso di un riscontro inerente a quelle partite dal mio apparecchio telefonico.
Richiesi i tabulati telefonici che decorrevano dal mese di giugno del 2000 e arrivavano fino al 2006, perché avevo bisogno di
provare parecchie situazioni che avevo denunciato. Come sempre, nessuno si era espresso in merito alle mie denunce e segnalazioni riguardanti le anomale chiamate telefoniche, lasciandomi
così a corto di notizie. Figuriamoci, poi, quante altre azioni con
depistaggi siano susseguite alle denunce mettenti in luce la presenza di persecutori!
Nell’anno precedente, giacché eravamo ancora nel luglio del
2005, ero costretto a segnalare altre stranezze che stavano accadendo. L’argomento riguardava sempre le linee telefoniche ma,
precisamente, i fax e i posti pubblici dai quali li avevo spediti.
Come promemoria, voglio ricordare che uno scagnozzo della Piramide scandì le compromettenti parole: «Sarò costretto a trovare il sistema per far credere di non esserne a conoscenza.». Il
fax, egli lo aveva in mano nell’ufficio del Faraone ed era leggibilissimo. Poi, un gran giorno, ebbi l’immenso colpo di fortuna
nel scorgere V.D.L., un altro Beduino, mentre usciva dal puntofax di cui mi servivo. In tempi successivi sarà la società del gas
che, cercando di cavare d’impaccio la Piramide, proverà a insinuare che i fax inviati fossero illeggibili. Essa otteneva il risultato alterandone il contenuto affinché il fax sembrasse illeggibile,
invece lo era divenuto grazie a qualche trattamento frodante.
A causa della presenza di V.D.L., per sicurezza avevo incominciato a servirmi di un altro punto-fax, posto nel paese di Fagagna. Eppure un giorno, mentre ero alla guida della mia auto e
distavo una cinquantina di metri dal punto-fax, incrociai il Sindacalista che diede forfait (C.C.). Lui guidava la sua auto, e non
avendo certezze preferii tralasciare l’episodio perché la sua presenza non era sicura come, piuttosto, quella nel punto-fax di San
Daniele del Friuli. Anche in questo secondo caso, la sua presenza si rendeva visibile perlomeno a una decina di chilometri dalla
Piramide e ad una ventina dal luogo della sua residenza!
La combinazione di rivedere proprio in determinati luoghi, e
momenti, persone coinvolte quando, al contrario, moltissime al221
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tre non le avevo più riviste o notate da qualche parte, era qualcosa che lasciava certamente parecchi dubbi riguardo a quei casuali incontri. Allora, per sicurezza, cambiai ancora punto-fax e
iniziai a spedirli da più punti che si trovassero in zone diverse.
Fino a quando mi accorsi che, con il trascorrere degli anni, stavano avvenendo mutamenti, variazioni poco chiare.
I punti-fax avevano tutti subito, perlomeno, un cambiamento,
che era il cambio di gestione e/o del numero di fax e/o del tipo
di fax utilizzato e/o della specifica carta utilizzata per i rapporti
di comunicazione. Passando, per esempio, da una carta lucida a
una comune, e viceversa.
Oltretutto, c’erano più parametri che persino in un solo punto-fax avevano subito variazioni, e per questo rendevo evidente
la necessità che esistesse un elenco contenente i numeri. Cosicché divenissero riscontrabili dopo parecchi anni, sempreché fossero stati conservati.
La mia accortezza, seppure potrebbe apparire un eccesso di
zelo, era motivata dagli scontrini fiscali che, rilasciati dopo la
spedizione, in certi punti-fax erano generici. Quando si pagava,
alcuni punti-fax rilasciavano uno scontrino fiscale recante la dicitura «fax», ma molti altri indicavano generalmente il termine
«rep.». Quest’ultima generica definizione avrebbe potuto riferirsi a qualsiasi oggetto in vendita e riguardante l’identico reparto
dei fax. Altri punti-fax, sullo scontrino stampavano solamente la
data più l’ora e l’importo pagato, e trovai persino chi indicava la
vendita di un articolo.
Un altro inghippo era che, non essendoci l’obbligo di stabilire che l’orario sul rapporto di comunicazione del fax coincidesse con quello del registratore di cassa che stampava lo scontrino,
persino questi altri dati non avrebbero collimato. Qualora uno di
questi due meccanismi, che imprimono l’ora, avanzasse o ritardasse o, peggio ancora, se uno avanzasse e l’altro ritardasse, la
confusione sarebbe stata totale. L’incertezza sarebbe aumentata
ancor di più casomai un solo meccanismo fosse stato aggiornato
allo scattare dell’ora legale, oppure di quella solare.
Avevo il sentore che in questo campo continuassero a persistere tentativi di boicottaggi. L’anno seguente, quando alla Telecom richiederò i tabulati telefonici della linea di casa mia, capirò che la denuncia era stata molto utile. La Telecom, però, non
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fornì il necessario alla comprensione di quello che fosse accaduto e si barricò dietro a una Legge sulla privacy che giovava più
ai delinquenti e ai politici anziché alla gente comune.
Nella risposta che nel mese di agosto dell’anno 2006 la Telecom inviava, m’informava che i dati riguardanti le loro linee telefoniche erano conservati solamente per cinque anni. Pertanto,
non avrei più potuto accedere a quelli dell’anno 2000, che ormai
erano in mano ai Procuratori della Repubblica di Udine. I tabulati telefonici che la Telecom m’inviò riguardavano solo le telefonate eseguite, ma non tutte quelle inerenti ai periodi richiesti.
La Telecom soddisfò la mia istanza solo quando fui costretto a
spedirle un sollecito.
La richiesta eseguita, fin dalla prima bolletta mi permetteva
d’esser messo a conoscenza delle chiamate fatte e di continuarne ad avere un dettaglio. Un giorno, però, durante una delazione
dovetti evidenziare che qualcuno fosse in grado di manipolare i
dati Telecom aggiungendo telefonate inesistenti e, forse, agendo
per ottenere la scomparsa di quelle compromettenti.
Prima di riportare il contenuto del sollecito spedito nel 2006,
voglio evidenziare che nel luglio del 2005, se non avessi eseguito quella precisa denuncia riguardante le variazioni che intervenivano nei punti-fax, persino i fax che avevo spedito sarebbero
stati messi in discussione. La motivazione era dovuta allo scadere del quinto anno, in cui alla compagnia telefonica non sarebbe
più rimasta traccia. Le spedizioni dei fax sarebbero rimaste garantite soltanto dagli scontrini conservati, che sarebbero divenuti refutabili. Nel sollecito alla Telecom scrivevo:
«L’ennesima per sollecitare l’invio di tutti i tabulati telefonici…». «Non credo che l’inadempienza sia originata dalla Legge
sulla privacy poiché, a questo punto, non garantirebbe un servizio d’utenza trasparente e in cui il vostro cliente ha diritto di sapere chi telefona o chi lo avesse chiamato.».
«Non c’è privacy che tenga di fronte a tale diritto che rende
un servizio sicuro e trasparente.». «Casomai qualcuno telefonasse in casa mia, sarebbe un mio diritto saperlo nonché dopo dieci
anni. Dopodiché diverrebbe un mio problema stabilire o provare
se fosse un conoscente, un furbo, un truffatore, un malintenzionato oppure qualcuno che realmente avesse sbagliato numero.».
«Quella che voi definite opzione “chi è”, che mi chiama, dovrà
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essere gratuita per chiunque la richieda e non abbisognare di costi per il mantenimento.».
«Guardate che i tabulati telefonici servono ugualmente per i
procedimenti civili, non solo per quelli penali!». «Quest’ultima
tipologia di processi è volontariamente tralasciata per non creare
grane agl’importanti pezzi grossi, oppure ai politici e nondimeno a tutti quelli che si servono di: pedoni, alfieri, deleghe, provider, minorenni – Maggiordomi politici e Bosatelli –.».
«Vi invito a notare che voi non garantite agli utenti un servizio sicuro come vale per i telefonini cellulari.». «Gli utenti sono
ancora impossibilitati nel decidere gratuitamente se rispondere o
non a una o più persone che li importunino, magari nascondendo il numero o chiamando da un posto pubblico.».
«Vi invito e autorizzo a custodire i tabulati telefonici del numero di casa mia per trent’anni, e ho valide ragioni per ritenere
che parecchi dei dati da me richiesti siano nelle mani di persone
alle quali li avete forniti.». «Pertanto, non credo che per voi sia
impossibile recuperarli, ma qualora fosse l’inverso sarebbe assai
grave.».
«La vostra precedente ha subito un’apertura della busta prima
della consegna al destinatario, ossia il sottoscritto.». «Alla faccia della privacy!».
Il lembo della busta contenente il materiale inviato dal gestore telefonico non era più appiccicato bene all’estremità opposta.
Non era stato incollato male, era stato aperto e richiuso provocando, in aggiunta, piccoli strappi. Questa, però, non era la prima volta che accadeva. Un giorno mi accorsi persino che le buste utilizzate per la spedizione erano state, in certi casi, sostituite. Uno dei motivi ipotizzabili era che fosse provocato dalla tentata apertura avente causato lo strappo, ma stranamente accadeva solamente alle lettere a me spedite.
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PARTE QUARTA
… PER LEI LA PERSECUZIONE...
CONTINUA
Emerge la certezza che una Mafia Aziendale
operi in collaborazione con una Statale. Persistono tranelli comprovanti la corruzione di
ulteriori società, liberi professionisti e amministrazioni pubbliche. Tutti quanti riconducono alla Piramide.
… perché nessuno gli scriveva mai, e se
non fosse stato ogni tanto per
un’ingiunzione di pagamento della luce
o del gas, la sua cassetta non sarebbe
servita proprio a niente.
Italo Calvino, MARCOVALDO
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Capitolo Primo
MACHIAVELLI SI RIVOLTA
Luci della ribalta
Quelle azioni che in precedenza ho descritto quando al capitolo «I punti deboli o scoperti» inserivo una sezione avente come titolo «Il Municipio e gli enti collegati», non furono le uniche di cui il Comune si rese partecipe. Quest’altra condotta che
ora spiego, per la sua singolarità merita di essere inserita in questo capitolo dove s’incominciano a intravedere veri e propri disegni machiavellici.
L’argomento che tratto ora iniziò nell’anno 2000 e andò a interessare parecchi degli anni successivi. Riguardava un’arguzia
che solo un cervello malato sarebbe stato in grado d’escogitare,
e una mente preparata di afferrarla.
Nell’autunno del 2000 il Comune interveniva nella via in cui
abito, rendendola più luminosa.
L’intervento fu eseguito nel dicembre del 2000, ma incominciai a segnalarlo solamente tre anni dopo. Il potenziamento dei
lampioni era stato ottenuto sostituendo tutte le vecchie lampadine con altre che, probabilmente, offrivano un risparmio energetico. La luce, emanata, da gialla divenne bianca.
La luminosità delle ultime lampadine installate era maggiore
delle prime, al punto che una lampada bianca accesa equivaleva
a due gialle che prima lumeggiavano la via. La maggiore illuminazione della via non andava, però, a incidere sull’orario di
spegnimento programmato del 50% dei lampioni. In altre parole
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quelli che, a una certa ora, continuavano a restare accesi uno sì e
uno no.
Grossomodo nella metà di aprile del 2006 il 50% dei lampioni non si spegne più verso le ore ventitré, la disattivazione è posticipata pressoché due ore. Seppur questi fossero periodi in cui
si sentisse tanto parlare di risparmio energetico, in questa strada
il principio non assumeva importanza benché la via fosse scarsamente popolata da veicoli notturni.
Uno dei lampioni illuminanti la via dove risiedo appartiene al
restante 50% che rimane acceso tutta la notte. Questo lampione,
però, è quello che, salendoci sopra, offre la migliore visuale del
cortile della mia casa e, nondimeno, consente l’inverso.
Alla fine di luglio del 2006 un fortunale si abbatté su Mereto
di Tomba causando danni ai residenti. Inconvenienti dovuti a un
violento temporale che metteva fuori uso alcuni elettrodomestici, più due lampioni offerenti una visuale del cortile di casa mia.
I lampioni fuori uso furono riparati solo tramite la banale sostituzione dei fusibili. Io assistetti all’intervento manutentivo, dopodiché per alcuni mesi nessuno mise più le mani.
All’inizio di dicembre del 2006 fu allestito un presepio che,
per l’enorme assorbimento della corrente prelevata dalla stessa
linea elettrica alimentante i lampioni, provocava notevoli sollecitazioni. Nonostante gli sbalzi della corrente elettrica riuscissero, persino, a provocare quel classico brusìo che una lampadina
produce quando resta sospesa tra lo spegnimento e la flebile accensione, i lampioni non subirono danni.
La sera del 13 dicembre 2006, un lampione è di nuovo fuori
uso e trattasi proprio di quello che offre maggiormente la visuale del cortile di casa mia. In precedenza, però, mai avevo assistito alla sostituzione di lampadine per supporre che ora il problema fosse il medesimo.
Dopo le mie segnalazioni notai un aumento della presenza di
tecnici comunali, e i loro interventi erano, forse, dovuti alle mie
note scritte che, oramai, erano state lette.
La sera del 14 dicembre 2006 il lampione fuori uso funziona
nuovamente e la sua riparazione è stata eseguita durante la mia
assenza che, tuttavia, dipende dalla volontà altrui. Si trattava di
uno spostamento imposto e inusuale, che mi lasciò dubbioso ancor prima di compierlo. Alcuni giorni prima fu, addirittura, in228
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crementato di un’ora lo spegnimento del 50% dei lampioni stradali. I quali, di conseguenza ripresero a spegnersi all’una di notte perché, con il cambio dell’ora del 29 ottobre 2006, si spegnevano a mezzanotte. Non avendo più sortito variazioni, nel successivo ripristino dell’ora legale, ossia il 25 marzo 2007, lo spegnimento del 50% dei lampioni si attivava quand’erano pressoché le ore due del mattino. Dall’inizio del periodo pasquale fu di
nuovo ridotto di un’ora.
Tutte queste manovre m’insospettirono, e la presunta sostituzione della lampadina al lampione che offre maggiormente una
visuale del cortile di casa mia, alimentava i sospetti nei confronti del Comune. Addirittura, quest’ultimo, era arrivato al limite di
centellinare i minuti d’aggiungere allo spegnimento dei lampioni stradali, giocando persino sui quindici-venti minuti in più. Il
comportamento stava avallando una mia teoria. Inoltre, si verificavano rare intere giornate in cui i lampioni dotati di autospegnimento rimanevano accesi tutta la giornata. A cui si sommava
l’accensione anzitempo delle lampade provocata dal precursore
oscuramento serale del cielo, per l’arrivo di un temporale.
Erano state sicuramente eseguite manomissioni ed era molto
probabile che il fortunale avesse spento, mettendolo fuori uso, il
lampione che offre una visuale del mio cortile. Di conseguenza,
aveva acceso la testa di qualcuno trasformandola in un lampone
che mi pappai tramite l’ennesima denuncia.
Nel maggio del 2007 accadde che le lampadine dei lampioni,
una dopo l’altra, smisero di funzionare. Il Comune, però, prima
di sostituirle, temporeggiò almeno quindici giorni in modo che
si arrivasse proprio alla seconda settimana, intera, di giugno.
A questo punto era evidente che i continui cambiamenti degli
orari di spegnimento del 50% delle luci erano stati ottenuti con
l’intenzione di lasciar credere che le lampadine fossero state sostituite nel mese di giugno del 2000. Siccome le lampade installate sui lampioni avevano una durata di sei anni, quelle dotate di
spegnimento programmato avrebbero dovuto funzionare per anni sedici. Era, pertanto, probabile che ci fosse stato un frodante
montaggio di lampade usate e/o altre aventi una durata inferiore.
Per colmare il divario consistente nei mesi in più di accensione,
che non consentivano di arrivare al mese di giugno del 2007, bisognava incrementare le ore in cui il 50% dei lampioni rimanes229
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sero accese. Gli astuti calcoli, però, non furono eseguiti in modo
preciso. Inoltre, le continue manomissioni avevano creato incognite «temporali», le quali anticiperanno ulteriormente gli spegnimenti delle lampadine giunte alla fine delle loro durate. Il futuro ricambio delle medesime lampadine, esaurite, avverrà il 22
maggio 2015. Ma già il 30 dicembre del 2012, la lampadina del
lampione sospetto sarà di nuovo l’unica sostituita. La lampadina
del lampione offerente la miglior visuale del mio cortile fu probabilmente sostituita il 14 dicembre 2006, perché apparteneva a
quelle che rimangono sempre accese durante la notte.
Le lampadine degli altri lampioni, incluse quelle appartenenti
a quel 50% che, a una certa ora, si spegne, potrebbero aver subito, in precedenza, un ricambio. Quindi, la sera del 14 dicembre
2006 non dovevo assistere alla sostituzione di una sola lampadina e appartenente al lampione più visibile da casa mia.
Dagli episodi accaduti si rendeva evidente che, dall’alto, non
erano solo i velivoli in grado di nuocere, e al tentato raggiro descritto si unirono altri che, questa volta, riguardavano l’utilizzo
dei tetti delle case abitate dai miei vicini. Ritengo deleterio fornire anche le descrizioni che hanno riguardato tali episodi laddove estranei sbucavano dai tetti delle case dei miei vicini o dalle loro più alte vedute. Trattasi di azioni che non sono degne di
note com’è stata, piuttosto, quella del Comune corrotto.
Che Poste vi colga!
Era il mese di luglio del 2005 e mi trovavo fuori di casa alla
guida dell’auto appartenente ai miei genitori quando, a un certo
punto, notavo che un veicolo mi stava seguendo. Si teneva a distanza e prendeva le mie stesse direzioni. Nel tentativo di provare a scrollarmela di dosso, aumentai la velocità andando a pigiare sull’acceleratore, ma questo era insufficiente per la scarsa potenza del motore che non permetteva di distanziare il veicolo alle mie spalle.
Cominciai allora a prendere una strada alternativa, dopodiché
ne imboccai una regionale e la percorsi a velocità sostenuta. La
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mantenni finché, giungendo a un crocevia, mi ritrovai alle spalle
di un’auto potente che riusciva a disimpegnarlo restando davanti
a me. Allora m’incollai a essa e percorsi, insieme al conducente,
un tratto di strada che passava in mezzo a un centro abitato dove
il limite di velocità era fissato in cinquanta chilometri l’ora.
Avendo davanti a me questa prestante auto, ossia un potente
S.U.V., o cross-over, che procedeva a velocità sostenuta facendo da apripista, la seguivo a ruota. Così non mi accorsi che, in
modo quasi simultaneo, eravamo passati davanti a una postazione comunale provvista di autovelox. Qualche centinaio di metri
più in avanti, un agente della Polizia Municipale si era appostato
per fermare i veicoli.
Ed ecco che succede l’inspiegabile: il potente veicolo che mi
precede è lasciato passare e sono fermato solamente io. A questa
anormalità non presto immediatamente attenzione perché mi ritrovo preso da quella situazione in cui mi rendo conto che la velocità tenuta mi mette a rischio. In ballo non c’è solo una contravvenzione, ma in più la possibilità che mi sia sospesa la patente. Siccome la velocità rilevata risulterà poco inferiore ai novanta chilometri l’ora, il secondo pericolo l’avevo scampato, però la sanzione sarebbe rimasta. Infatti, nei mesi seguenti, la contravvenzione fu inoltrata al mio domicilio e, quest’ultima, costituiva un pretesto del quale qualcuno stava per approfittare.
Di chi potrebbe trattarsi se non degli uffici postali e del relativo postino? Prima di narrarne l’accaduto, devo assolutamente
indietreggiare di un po’ per motivare che perfino in questo settore vi era la necessità di ricorrere a insabbiamenti e inganni.
In un precedente capitolo segnalavo alla Magistratura che si
cominciasse ad assistere a una seconda consegna della posta che
avveniva a distanza di un’ora, ma questo era soltanto l’inizio.
Nel 2003, oltretutto, mi accorgevo che qualcuno stesse ricercando un sistema per consentire al portalettere di avere sempre
del materiale da consegnare in casa mia, ogni giorno. Allo scopo, tempo dopo e in aggiunta, si arrivava tramite la consegna di
volantini pubblicitari. Al punto che alcuni di questi riportavano,
stampati sulla carta, bolli postali aventi date autorizzanti o concessive risalenti, addirittura, ad all’incirca cinque anni prima. Il
paradosso rendeva evidente che, di dépliant, per un lustro non se
n’erano mai visti, e poi, segnalata l’incongruenza, inizieranno a
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pervenire persino quelli che sul timbro postale non avessero impresso una data di decorrenza autoritativa. Senza trascurare che,
quando mi accorsi che stesse avvenendo, questa forma di materiale pubblicitario era consegnata solamente ai miei vicini. Durante il medesimo periodo mi accorgevo che il postino stava riprendendo a effettuare la consegna di una parte della corrispondenza a distanza di un’ora. Il recapito di tante lettere, inutili, e i
volantini pubblicitari fornivano, di nuovo, al postino un appicco
per eseguire doppie consegne, ma non era l’unico motivo.
Il carteggio da consegnare nella via in cui abito era scarso e,
per adottare un esempio, nella mia abitazione si riceveva sì e no
un giorno su cinque. Questa circostanza sfavorevole non avrebbe consentito a Mariolino una condotta da stalker statale, perciò
bisognava trovare alcuni motivi per aumentare le sue presenze.
La consegna dei volantini postali in casa mia iniziò dopo le
denunce che confermavano un’inesistenza remota, inclusa quella nelle abitazioni dei miei vicini. Inoltre, quando eseguii la segnalazione non era trascorso neppure un mese dal giorno in cui
erano cominciati a esser consegnati da un mariolo dell’altezza di
poco superiore al metro e settanta.
Ottenendo un aumento della posta da consegnare, sottigliezza
che segnalerò durante una denuncia, casa mia sarebbe stata più
controllabile da chi, in piedi, avrebbe potuto scrutare da sopra il
cancello.
Queste azioni che differenziavano dal solito, lasciavano presagire che «Peste Italiane» avesse iniziato il percorso insabbiante i reati commessi e percepisse lo schiacciante peso di denunce,
querele e segnalazioni varie.
Era presumibile che «Peste Italiane» avesse, oltretutto, bisogno di porre rimedio per quel che riguardava lo scandalo narrato
in precedenza e che documentava il coinvolgimento: di un Tribunale, dell’avvocato P.C.M. e del postino di ruolo. Mi riferisco
alla raccomandata non ricevuta da mia madre il 19 aprile 2002,
che alcuni giorni dopo comunicai al postino di rimandare indietro. Alcuni mesi dopo, si presentò in casa mia un Ufficiale Giudiziario che mostrò a mia madre un autografo comprovante il ricevimento di una raccomandata giudiziaria. Atteneva a una firma che lei non aveva apposto, e perciò costituiva un motivo per
estorcerle, perlomeno, un’ulteriore. Quale altra miglior occasio232
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ne sarebbe mai capitata senonché una contravvenzione diventasse oggetto per sancirne il recapito da un Comune limitrofo?
Durante la mattinata del 18 ottobre 2005 ero intento a eseguire alcune riprese audio-video della via in cui abito, perché nonostante le varie denunce inoltrate, nessuno si era preso la briga di
controllare quel che accadeva in questa via. I miei vicini inaffidabili e le condizioni di traffico create ad arte, mi costringevano
a trascorrere ore per riprendere la strada in cui abito.
A una certa ora transita una portalettere incaricata di consegnare la posta, poiché temporanea sostituta del postino di ruolo.
La postina non consegna niente dove io risiedo e, inoltre, evita
di suonare il campanello della mia abitazione; sia io, sia i miei
genitori siamo presenti. Questa portalettere è «carne fresca», ossia una giovane ragazza incaricata d’eseguire uno sporco lavoro,
perché alle porcherie statali in favore di altri non ci si può sempre affidare al postino di ruolo. Lui, probabilmente, è ancora indagato, e allora il compito d’ottenere la firma su di un documento che Peste Italiane ha manipolato con furbizia, è stato assegnato a lei. Per raggiungere l’obiettivo, Carne Fresca deve simulare
l’assenza del destinatario.
L’indomani, 19 ottobre del 2005, lei si presenta in casa mia,
suona il campanello e mia madre appone una firma per il ricevimento di un documento alquanto strano. Trattasi di un modulo
postale che l’ufficio medesimo ha trasformato in raccomandata
A.R., e per riceverlo/a servono stranamente due firme. Il modulo riporta gli estremi di una notifica che, in questo caso, riguarda
la contravvenzione inviata a mio padre, giacché intestatario del
veicolo da me condotto il giorno in cui fui fermato dalla Polizia
Municipale. Il modulo in questione è adottato per la notifica di
atti amministrativi e giudiziari, per cui l’ufficio postale lo utilizza parimenti nel caso in cui il richiedente sia un Tribunale o un
Avvocato. Queste disposizioni sono scritte sul modulo.
Questo documento, però, è stato rispolverato dopo che ho denunciato quanto accadde nel 2002, anno in cui qualcuno sosteneva di aver ottenuto da mia madre la firma per il ricevimento
della raccomandata A.R. spedita dall’avvocato P.C.M. Ma per
centrare l’obiettivo tramite l’inganno o la mera frode e parare le
terga: dell’avvocato P.C.M., dell’ufficio postale e del postino di
ruolo, c’era bisogno di una motivazione che fungesse da prete233
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sto per ritardare la consegna del modello trasformato in raccomandata. Il modulo, pertanto, era null’altro che uno stratagemma il quale prevedesse un suo utilizzo nei casi in cui la raccomandata non fosse stata recapitabile o consegnabile.
Sul modello erano state stabilite quattro motivazioni a causa
delle quali non sarebbe stato possibile rilasciare la raccomandata. Oltre al rifiuto era, oltretutto, prevista l’assenza. Parola, oppure casella, che Carne Fresca spuntò marcandola come pretesto
per il mancato recapito della raccomandata, e firmando.
Sul modulo firmato da Carne Fresca, in aggiunta, erano indicate due modalità, due sistemi, per consegnare l’avviso di giacenza, o cartoncino, che lei asseriva di aver rilasciato barrando
la voce «immesso in cassetta». Questa era un’altra dichiarazione
falsa che, purtroppo, era improvabile, ma trovava ampia smentita poiché lei non avrebbe potuto inserire il cartoncino nella cassetta delle lettere. I miei genitori si sarebbero recati subito a ritirare la raccomandata vanificando, così, il tentativo di frode. Loro, quand’erano messi a conoscenza che c’era qualcosa da ritirare nell’ufficio postale, erano molto celeri nel ritiro del materiale
spedito.
Il modulo utilizzato alludeva a una Legge del 1980 e prevedendo, verosimilmente in modo arbitrario e di convenienza, che
per il ritiro del materiale c’era un termine di sei mesi. Stabilendo, addirittura, che la notificazione sarebbe stata considerata valida non appena decorsi dieci giorni dalla consegna.
Ritengo che ora ci sia chi sta chiedendosi: «Ma chi è che si è
bevuto il cervello stabilendo questi assurdi dettami?». Sarà forse
l’ennesimo dirigente strapagato per salvaguardare gli interessi di
Equitalia? O bensì trattasi di sistemi che, arbitrariamente, Peste
Italiane utilizza quando si ritrova ad aver di fronte qualcuno che
non si lascia mettere nel sacco?
Come ho scritto nei precedenti paragrafi, il 18 ottobre 2005
ero assorto nell’effettuare alcune riprese audio-video, e col piffero che Carne Fresca avesse provato a recapitare la raccomandata! Costei era, pertanto, stata incaricata di simulare la nostra
assenza, per mettere in circolo un documento che sopperisse alle
frodi anteriori di cui si erano resi partecipi i suoi «colleghi».
Era stata così creata la raccomandata della raccomandata, ossia un documento che nel 2002 mia madre non avrebbe assolu234
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tamente visto, e una volta osservato nel 2005 non appena tolte le
graffette che lo sigillavano, a lei era sconosciuto. Si trattava, allora, di un espediente pretestuoso per camuffare l’ennesima frode postale, e perciò creai, rebus sic stàntibus, una copia del materiale video necessario a provare la mendacità di Carne Fresca.
Alla fine mi recai nell’ufficio postale di Codroipo, per la spedizione. Al materiale video ottenuto, integrai una copia del modulo che era stato trasformato in raccomandata e spedii il tutto alla
Polizia Postale. Anche in questo caso avvennero alcune anormalità alle quali sarebbe stato possibile formulare delle ipotesi, ma
che sarebbero confluite in un’unica direzione. La raccomandata
A.R. che spedii da Codroipo risulterà pervenuta alla Polizia Postale di Udine ben cinque giorni dopo che l’avrò spedita. Eppure
avevo osservato degl’indizi che convogliavano verso una teoria.
Ero in grado di sostenere che entro le ore dieci del 21 ottobre
2005, l’ufficio postale di Mereto non fosse solo già a conoscenza della denuncia ma persino sul contenuto del DVD. Lo segnalai alla Magistratura, ed ecco che esattamente il 21 ottobre 2010,
essendoci stato, pure in questo caso, qualcosa di losco, una missiva i cui motivi erano poco plausibili per comportarne una spedizione, la subirà. La raccomandata arriverà in casa mia il 23 ottobre 2010, però l’ufficio postale apporrà, sopra il plico, un timbro recante la data del 26 ottobre. Ovviamente c’era l’intenzione
di lasciar credere a un banale errore compiuto dall’ufficio postale che consegnò la mia raccomandata alla Polizia Postale. Oppure propinare la presenza di un disguido che originò un rallentamento nella consegna. Il tutto per occultare che l’ufficio postale
di Mereto non era stato avvertito in modo tempestivo. Era ancora da stabilire chi fosse stato.
Quando rientrai a casa da Codroipo, mia madre aveva già ritirato il plico nell’ufficio postale aggiungendo una firma per il ritiro. Significava che durante la consegna del modulo, il 19 ottobre le era stata richiesta una firma in anticipo. Non le chiesi, però, se avesse intravisto il postino di ruolo. Avrei potuto chiederglielo giacché, lui, durante la provvisoria presenza di Carne Fresca, ingaggiata due settimane prima, non era sempre stato assente. Sarebbe rimasto da appurare se ciò fosse dovuto ad assenza o
semmai si mirasse a un suo occultamento al fine di lasciare alla
nuova arrivata l’incombenza d’eseguire questa nuova frode.
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Apporto un breve riepilogo incominciando a rammentare che
sono stato licenziato con una truffa postale ben riuscita, perciò
giammai smascherata né punita. Col trascorrere del tempo scopro la verità. Ma, in seguito, accade un episodio grave svelatomi
parecchio tempo dopo. Trattasi della raccomandata del 19 aprile
2002, che due mesi dopo e senza che in quel remoto giorno nessuno avesse firmato alcunché, porta l’avvocato P.C.M. e il relativo Tribunale a inviare in casa mia un Ufficiale Giudiziario. Per
quel che accadde, inoltrai una serie di denunce sostenendo che a
mia madre doveva esser stata estorta una firma, la quale sarebbe
servita per danneggiarmi. Sarebbe… ma le mie denunce lo impedirono inguaiando le Poste, cosicché tre anni dopo nacque il
modulo-raccomandata che, molto probabilmente, fu ufficializzato e usato dopo le mie notifiche. Se così non fosse, ossia dopo le
mie notifiche, sarebbe stato ipotizzabile che qualora altri moduli
risultassero utilizzati prima e nonostante potessero sembrare del
1995, fossero state ottenute altre firme tramite ulteriori estorsioni o mediante la corruzione d’utenti.
Il tempo che era intercorso dall’invio della raccomandata del
2002 superava i tre anni, e figuriamoci quante manipolazioni si
sarebbero, nel frattempo, potute eseguire. Tuttavia, mi rendevo
conto di ritrovarmi nel bel mezzo di un déjà vu in cui per ottenere l’imbroglio si sfruttava qualcosa di nuovo che allacciasse con
qualcos’altro di vecchio.
In una precedente denuncia segnalavo che la società del gas,
durante la lettura del contatore simulasse la nostra non presenza.
Lo scopo era d’immettere nella cassetta delle lettere un tagliando-cartolina da compilare annotando la lettura del contatore. Infine, spedirlo. Era un cartoncino simile a un avviso di giacenza
postale che, sebbene fosse trascorso parecchio tempo da quando
l’azienda del gas aveva cambiato ragione sociale, recava ancora
il marchio di quella iniziale e attiva nel giugno del 2000. A seguito dei miei esposti-denunce, la società rettificò, aggiornandolo, il nome scritto sul tagliando, ma da lì a poco – quasi per magia, nera – essa cambiò di nuovo il nome. Le continue variazioni
facevano da contraltare per osteggiare le mie denunce, non certo
prive di fondamento e che ora rinuncio a specificare nei dettagli.
Non continuo a specificare l’argomento perché quello che ora
sto affrontando riguarda le frodi postali che un ente statale con236
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tinuerà a reiterare pur di saltar fuori dal labirinto dov’è andato a
intrappolarsi. Si era illuso di avere come antagonista uno sprovveduto che, svolgendo l’operaio, più di tanto non potrebbe capire. L’accaduto costerà a questa specie d’istituto statale che contava chissà quanti uffici malfamati, molte altre denunce per gli
assidui tentativi operati al fine di togliersi d’impaccio e riacquistare il finto perbenismo di un oscuro latebra.
Con quello che continuava ad accadere, gli uffici postali non
dovevano più permettersi di richiedere autografi, perché stavo
dimostrando che erano inattendibili. Essi richiedevano firme per
un incarico che sfacciatamente asserivano di aver eseguito, ma
per chi subiva l’inganno non sarebbe stato semplice dimostrarne
il contrario. Sarebbe stato difficilissimo contestare gli argomenti
che avessero messo nero su bianco, richiedendo firme per qualcosa di sconosciuto. E senza poter sapere se fosse stato eseguito,
o bensì ultimato diversamente da quanto professavano, da quanto sostenevano, da quanto scrivevano.
Questo modo d’operare si sarebbe potuto ugualmente mettere
in relazione con il fax che trasmisi al Faraone, all’interno di cui
avevo inserito cinque capisaldi. Quello dove si comprovava che
in azienda si firmava un documento del quale non era garantito
che il contenuto sarebbe rimasto intonso: un assegno in bianco.
Come i documenti postali ai quali accennerò nella prossima sezione di capitolo.
Un labirinto di... specchi rotti
Dovevo correre ai ripari per fermare l’attacco sferrato da Poste Italiane. Dopo la denuncia alla Polizia Postale lasciatomi assai perplesso per l’incongruenza temporale verificatasi, e quella
alla Magistratura, emisi un comunicato che diramai nel novembre del 2005.
Questo era, in sostanza, il contenuto dell’informativa che fui
costretto a divulgare per denunciare agli abitanti del comune in
cui abito ed a quelli dei paesi limitrofi, un’incresciosa situazione
che solo in apparenza sarebbe sembrata innocua:
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«AVVISO ALLA POPOLAZIONE».
«Per i seguenti motivi costituenti reati e arrecanti grave nocumento»:
1. «Licenziamento mediante truffa postale e relativa corruzione o Mafia Aziendale (anno 2000).».
2. «Tentata estorsione, pecuniaria, da parte di un Avvocato
corrotto dalla Piramide e relativo Tribunale, mediante truffa postale (anno 2002).».
3. «Creazione e messa in circolo di un documento falsificato
tramite anacronismo storico, da parte dell’ufficio postale a Mereto di Tomba (anno 2005).».
«I residenti di via De Marco a Mereto di Tomba non riceveranno più niente che comporti l’apposizione di una firma, onde
evitare tentativi di truffa.».
«L’ufficio postale è già stato avvertito, minacciato, e la Magistratura di Pordenone è stata avvisata dell’inevitabile decisione. Assunta dopo le nutrite denunce e querele alla Procura della
Repubblica di Udine che, piuttosto di assicurare la Giustizia, ha
operato contro di me.».
«In futuro sarà possibile accertare che è permesso a: società,
enti, istituti, ecc., di perseguitare, accanirsi e agire contro il singolo individuo – tutelando i primi indicati – purché e perché costoro proseguano a garantire l’operato nei confronti dei restanti
che, in sostanza, siete voi.».
«Corruzione e conoscenze, più Mafie Societarie, assicurano
che il sistema rimanga stabile permettendo che stupidi e ingenui
siano ingannati e truffati.». «Nei casi in cui ci siano persone che
non appartengano a queste ultime due categorie, scatta la persecuzione sociale.».
«Possa questa vicenda servire a chi dovesse ritrovarsi contro
colui che latita tramite le conoscenze e/o il denaro, per procedere direttamente alla sua condanna senza perdite di tempo.». «La
Giustizia è malata perché dietro a questa si cela un losco traffico
capeggiato da grossi esponenti con la cravatta.».
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«Non c’è tuttavia da meravigliarsi se nei Tribunali e nelle sedi sindacali sono piazzate le bombe, oppure quando un Avvocato finisce giustiziato, o quando a certi Giudici ingiusti e che esulano da quelli che combattono la Mafia e il terrorismo, sono tesi
agguati.». «Non c’è da meravigliarsi nemmeno che esistessero o
esistano tuttora: le Brigate Rosse, i N.T.A., i Black Bloc, eccetera».
Il lettore ricorderà che prima di essere licenziato misi in quarantena tre raccomandate pervenute tutte nel medesimo giorno e
all’unisono. Le raccomandate erano rimaste sigillate e inviolate
perché all’avvocato I.M., dopo che gli lasciai aprire le lettere del
licenziamento, non concessi, però, l’autorizzazione per schiudere le rimanenti tre. Nel 2006, quand’ormai i tempi previsti per
un’azione legale-civile di lavoro erano decaduti, ma non intenzionato a lasciar qualcosa d’intentato e incompleto, dissigillai le
tre buste.
Il lettore, oltretutto, rammenterà che incominciai a sospettare
vi fosse una presenza di raccomandate portate a mano, ossia che
non erano state spedite, pertanto c’era bisogno di ottenere chiarezza. Come ottenerla? Semplicemente ricontrollando le tre raccomandate lasciate in quarantena. Dovevo esaminare se persino
sopra queste tre raccomandate ci fossero evidenti segni, indizi,
comprovanti altre truffe postali. Dovevo accertarmi semmai anche queste lettere presentassero una modalità di preparazione attribuibile. Le difformità, che riscontrerò, procureranno il motivo
per sostenere la sussistenza totale di ben quattro truffe postali.
Dissigillai le raccomandate togliendo i quindici punti applicati con la cucitrice e levando il foglio che le teneva insieme. Non
appena me le ritrovai in mano, sciolte, mi accorsi all’istante che
non erano tutte identiche. Una busta era completamente diversa,
non soltanto lasciando il dubbio di aver subito una «spedizione»
successiva, ma che neppure fosse avvenuta nello stesso giorno.
Era, infatti, strano che, per fornire banali informazioni, la Piramide avesse dovuto usufruire di ben tre raccomandate. Allora
formulai l’ipotesi che essa si fosse ritrovata con un’urgenza talmente impellente da doverla costringere, ancora una volta, alla
consegna manuale della posta.
L’ufficio postale di cui l’azienda si era servita era quello sito
a Pasian di Prato, in cui una raccomandata impiegava due giorni
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per raggiungere Mereto. Era un tempo di consegna che avrebbe
permesso l’aggiunta di una raccomandata che non avesse subito
una spedizione. Ed è proprio per siffatta ragione che le raccomandate pervennero tutte e tre all’unisono e in quello che era il
normale orario di consegna, senza poter destare sospetti. Nessuno avrebbe potuto presentire quello che non era ancora possibile
comprendere, ma questa nuova rivelazione metteva in evidenza
che nondimeno l’ufficio postale a Pasian di Prato fosse marcio.
Metteva in luce che la consegna ritardata della posta, e in particolare quella delle raccomandate consegnate dopo mezzogiorno,
non fosse l’unico indizio di truffa postale aggravata perpetrata ai
miei danni. Quest’ultima frode e su cui potevo nutrire una certa
sicurezza, era racchiusa in una delle tre raccomandate che avevo
messo in quarantena, il tassello mancante.
Le anormalità concernenti le doppie consegne che il postino
eseguiva ed alle quali si sommavano i ritardi nella distribuzione
della posta, inizialmente avvenivano solamente quando la Piramide recapitava le raccomandate. Dopo le mie segnalazioni, tali
anomalie andranno a interessare tanti altri abitanti.
Molto tempo dopo, poiché avevo già prodotto le denunce dovute a questa nuova scoperta, aprii la busta dell’anomala raccomandata appurando che, attribuendole un’urgenza, ci avevo preso. La busta della raccomandata conteneva una nuova contestazione, l’ingegnosa invenzione burocratica di una lurida azienda
che accampa pretesti per licenziarmi.
Nell’ennesima contestazione ero accusato di affermazioni ingiuriose nei confronti del Beduino D.M., e alle quali erano integrate le seguenti parole: «Con gravissima recidiva», che falsamente erano utilizzate giacché non si era mai verificato un episodio. E allora in questo libro attuo quello che questi imbecilli
sostenevano, ma mi pronuncio senza produrre i completi nominativi… e così: dalle loro parole, seguiranno i fatti.
In questa fase, avendo un’altra eloquente prova che rinforzasse la mia teoria, restava soltanto di attribuire la metodica di consegna manuale che, a seconda dei casi, era usata. Prima di spiegarla è necessario continuare a descrivere le argute strategie insabbianti che il mariolo delle Poste e gli uffici postali attuavano.
Eravamo ancora nel 2006, ossia un anno ciclico in cui le date
numeriche, dei giorni annuali, coincidevano con le giornate set240
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timanali dell’anno 2000. Quindi, altrettanto le festività cadevano
nello stesso giorno, sia numerico sia settimanale. Per esempio, il
22 aprile 2006 sarebbe caduto nella giornata di sabato, e questa
data avrebbe collimato con quella dell’anno 2000. Il 22 aprile
2000 era uno dei giorni in cui a casa mia era pervenuta una raccomandata e rientrava tra una delle tre che, agli albori di questo
racconto, avevo segnalato come assai sospette all’avvocato I.M.
In uno dei due fax che gli inviai, richiedevo un’indagine.
Nello stesso giorno ma del 2006, qualcuno si adoperò in modo che nella mia abitazione arrivasse una raccomandata, e perciò si trattava di una spedizione prestabilita affinché potesse nascere una coincidenza. Questa volta, però, Mariolino consegna il
piego con all’incirca due ore di anticipo rispetto a quello recapitato nell’anno 2000, quasi a voler lasciar intendere che sia stato
mantenuto lo stesso orario utilizzato in quell’anno. Inoltre, anticipa di parecchio quello che col trascorrere degli anni era diventato l’orario di consegna. Tuttavia, l’ultima raccomandata inoltrata è firmata da un Prete e parte da Basiliano. Pur provenendo
da un paese che, probabilmente, per il trasporto della posta usufruiva degli stessi automezzi usati per quella di Campoformido,
non essendo partita dalla sede legale della Piramide, era logicissimo che sarebbe pervenuta a casa mia in orario. Siccome, però,
c’era la necessità d’insabbiare, Mariolino non la consegna mantenendo lo stesso orario di quella pervenuta nell’aprile dell’anno
2000. La consegna eseguita in quello che era il normale orario,
anzi anticipandolo ulteriormente per provare ad associarlo al 22
aprile del 2000, si rivelava una «spada di Damocle». Oppure un
boomerang che peggiorava la situazione delle Poste e del mariolo, non appena eseguita la denuncia. A quest’errore si aggiunsero altri tentativi di depistaggi in cui: postini, mezzi per la consegna negli uffici postali, secondi uffici postali coinvolti con i relativi postini, erano sfruttati col fine d’insabbiare o depistare, in
sostanza non finire sul patibolo.
Fu così che all’inizio del 2006 incomincio ad assistere a una
manovra ben organizzata e compiuta da Mariolino che, per mesi, persevera con quella condotta. Poi, accortosi che sto controllandolo, cessa di mantenere un preciso modo di «lavorare».
Per un certo periodo, egli mantiene un modus operandi che lo
rende quasi regolare nella consegna della posta, verso le undici
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e un quarto, dal lunedì al giovedì. Sistematicamente, però, il venerdì non lo si osserva né ode transitare, e la sua prima apparizione la manifesta dopo mezzogiorno e in svariati modi che lui
utilizza solamente il venerdì: consegnando la corrispondenza solo in una o, al massimo, due abitazioni, transitando senza consegnare niente, oppure arrivando quatto quatto e infilandosi in vicolo Filzi per, infine, scomparire. Vicolo Filzi è un viottolo che
collega via De Marco con la parallela 11 Febbraio.
Mariolino stava realizzando un insabbiamento tentando di dare a divedere che, quando non c’era posta da consegnare o ce ne
fosse stata poca, potesse ritardare la consegna nonché il transito
nella via in cui abito. Era arrivato persino al punto di consegnare il carteggio nel normale orario di recapito ma per un piccolo
tratto della via e, poi, ritornare indietro per concludere la consegna dopo mezzogiorno. Approfittando del motivo che, abitando
pressoché a metà via, non avrei potuto assistere alla distribuzione della posta per un piccolo tratto o, addirittura, solo all’inizio,
sarebbe stato per me complicato verificare, e asserire, che il postino ritornasse indietro anziché proseguire completando via De
Marco. In questo modo lui provava a lasciar credere che non sarebbe stato presente solamente al secondo giro, e poiché tentava
di nascondere i reati commessi, cercava di mascherarli con una
mia svista lasciando lo scooter celato alla mia visuale. Per occultare il mezzo postale, lo lasciava posteggiato in piazza Bertoli. Infine portava la posta solo in un’abitazione di via De Marco.
Oltre alle lettere di licenziamento, altre missive compromettenti erano pervenute nelle giornate di venerdì e sabato, di conseguenza questi giorni settimanali rendevano indispensabile una
copertura. Io, però, capii e denunciai l’accaduto. Inoltre, avanzai
l’ipotesi che il postino Mariolino stesse attuando una contromanovra casomai avessi esposto certe parole… ossia quelle che col
viso raggelato, e imbambolato, cincischiò il primo giorno di settembre del 2000 nell’istante in cui lo sbugiardai. Integrando che,
secondo me, lui era già stato interrogato e aveva fornito una motivazione falsa o negando il contenuto delle denunce.
Egli, tra l’altro, simulando di non rientrare tra chi fosse a conoscenza del «Avviso alla popolazione», creava il bello e il cattivo tempo, secondo quanto comodava e conveniva. Come? Inserendo, o non, l’avviso di giacenza nella cassetta delle lettere,
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dopodiché suonava il campanello pur essendo consapevole che
avrei rifiutato sempre tutto. Non solo, ma gli avvisi di giacenza
erano compilati in modo vago, certe volte indicavano il mittente, a chiare lettere, e altre non. E allora, tramite un fax trasmesso
all’ufficio postale di Udine, fui costretto a prescrivere un modus
operandi per i portalettere, che non avrebbero più dovuto suonare il campanello della mia casa. Essi dovevano soltanto inserire
l’avviso di giacenza e senza, in questo modo, importunare alcuno. Nel predetto fax stabilivo altri capisaldi e, generalmente, che
nelle abitazioni le lettere dovevano essere inviate a un solo destinatario e il contenuto doveva riguardare quest’ultimo. Chiunque altro volesse ricevere una raccomandata, non per lui stesso,
doveva esibire una delega scritta per il ricevimento, revocabile.
Se la raccomandata fosse stata ricevuta da una persona priva
di autorizzazione, la consegna non solo sarebbe stata nulla, ma
con l’aggiunta di tentata truffa. Fino a quel giorno, chi fosse entrato in possesso di una o più lettere ricevute da altri e, magari,
durante la propria mancanza, era costretto a rifiutarne l’apertura.
L’azione sarebbe servita per dimostrare che, non avendola ricevuta lui stesso, era l’unica maniera per opporsi al ricevimento, o
accettazione. La piccola procedura risultava, quindi, utilissima.
È molto grave che in una casa chiunque sia autorizzato a ricevere le lettere degli altri componenti, senza un’espressa autorizzazione scritta da colui che delega. Perciò, era e continuerà a
essere una dichiarazione falsa comunicare ai cittadini che il ricevimento, o non, di una lettera sia ininfluente dal punto di vista
legale. Vedi: la mia assenza mentre ero in vacanza a Lignano; il
modulo AG 95 che Carne Fresca doveva rimettere in circolo per
ingannare; il sistema con il quale l’I.N.P.S., per curare gli interessi aziendali e statali, raggira chi vanta diritti e crediti.
Prima che trasmettessi questo fax, Mariolino si era reso ancora protagonista poiché costretto a ripartire da zero a causa delle
mie denunce che, annientandolo, avevano provocato la sua disfatta e uno sfacelo di tutti i tentativi d’insabbiamento. Ed ecco,
allora, che si comincia ad assistere a una serie di astute tecniche
di consegna della corrispondenza. Il fine è di rendere Mariolino
latitante da questa via e di tenerlo altresì lontano dall’ufficio postale, da mezzogiorno in poi. Quest’arguzia prendeva piede dal
momento in cui le Poste furono informate di una mia denuncia,
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quella in cui rivelai un oscuro incontro avvenuto nell’ufficio postale. Siccome quella donna con la pochette la incontrai verso le
ore dodici e un quarto, ecco che Mariolino cominciò: dapprima
a evitare l’ufficio postale da mezzogiorno in avanti e, in seguito,
a esser presente in questa via entro le ore dodici e un quarto, per
infine sparire.
Il minestrone, tuttavia, stava continuando a cuocere lasciando
emergere quelle patate che divenivano bollenti perché le latitanze del portalettere coincidevano con la consegna di raccomandate. L’esempio assumeva valore per i recapiti nella via in cui abito, ma non era da escludere l’interessamento di vicolo Filzi e di
via 11 Febbraio, parallela a via De Marco. Ossia la presenza di
un loro coinvolgimento o sfruttamento per azioni ingannevoli.
Era ovvio che fossero state ricercate motivazioni pretestuose,
e frodanti, per evitare zone e orari che scottavano, cercando con
l’inganno di convincere che, dopo le consegne delle famose raccomandate, Mariolino non fosse più transitato in questa via. In
questa maniera non sarebbe esistita la doppia consegna della posta, ma una sola regolare dalle ore dieci e trenta alle undici. Siccome poi Mariolino, reso latitante, fino alle due del pomeriggio
non sarebbe più transitato, tale astuta condotta diventava un pretesto per continuare a compiere, in taluni casi, doppie consegne
della posta. Questa volta, però, il secondo recapito era last minute, e il meccanismo puntava nel lasciar credere che le doppie
consegne fossero sempre esistite. A provocarle avrebbero potuto
influire errori nello smistamento, trascuratezze o chissà quale altra furberia e/o invenzione di percorso sfruttata da Mariolino.
Nel 2007, la postina Carne Fresca era stata ancora ingaggiata
e aveva preso il vizio di transitare per la seconda volta in questa
via, dopo che aveva consegnato la posta. Ritornando, quindi, indietro attraverso via 11 Febbraio e imboccando di nuovo via De
Marco. Si trattava di una banale tecnica per provare a mettere in
discussione il filmato che, il 18 ottobre 2005, la ritraeva mentre
simulava la nostra non presenza nell’abitazione, e allora denunciai il tentativo d’insabbiamento.
Le tecniche aumentavano sempre più e al punto che, durante
una denuncia, ipotizzavo esserci stato il coinvolgimento, più la
complicità, del secondo ufficio postale sito a Plasencis: una delle frazioni di Mereto. Ben presto, e nondimeno, questa teoria si
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rivelerà azzeccata perché i due uffici postali avevano proceduto,
inizialmente, a uno scambio delle frazioni dove recapitare la posta, dopodiché alla cessione di una delle frazioni da coprire. La
frazione interessata era quella di Tomba e rientrava nel percorso
che Mariolino era solito eseguire quando, una volta transitato e
consegnato i carteggi nella via in cui risiedo, per raggiungere la
frazione: percorreva ancora un tratto della provinciale, svoltava
a sinistra e passava davanti allo stabilimento della Piramide (figura 1).
Cedendo l’incombenza al postino del secondo ufficio postale,
oppure lasciando la consegna della posta di Tomba per ultima e
dopo mezzogiorno, sarebbe diminuito il rischio che la Piramide,
avente oramai l’ufficio legale adiacente, operasse altre truffe. In
questo modo, però, non sarebbe stato più possibile accertare se
il mariolo delle Poste avesse l’inveterata abitudine di sostare allo stabilimento. In particolar modo quando durante il primo giro
di consegne, anche nel 2000, passava davanti alla Piramide per
raggiungere la frazione di Tomba. In sostanza sarebbe stato impossibile capire se lui si fermasse allo stabilimento per portarvi
la posta ed eventualmente ritirasse le raccomandate non spedite.
Le quali, dalla sede legale di Basiliano sarebbero state trasportate nella fabbrica della Piramide.
A tutto quello che stava accadendo si verificavano alcune differenze nella modalità di consegna della posta, che includeva gli
orari di transito tra Mariolino e i postini supplenti. Questi ultimi
riuscivano a transitare ancora prima di mezzogiorno – al secondo giro di consegne – nella via in cui risiedo, mentre Mariolino
non si era mai comportato in questo modo. Lui transitava sì entro mezzogiorno ma durante il primo giro di consegne, quando
col passare degli anni porterà la posta sempre più tardi. Questo,
pertanto, giammai accadeva, salvo che qualcuno suonasse mezzodì in ritardo attraverso le campane. Sarebbero stati sufficienti
una decina di minuti per creare l’illusione temporale che Mariolino fosse transitato prima di mezzogiorno. In particolare quando doveva eseguire il secondo giro di consegne che, utilizzato in
tal modo, l’avrebbe tenuto lontano dall’ufficio postale.
In seguito alle mie denunce sul suo operato, lui tentò persino
di sfruttare quell’intervallo di tempo che separa mezzogiorno da
mezzogiorno e un quarto. In aggiunta, iniziò a palesare in questa
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Figura 1: il perimetro della zona verde rappresenta, grossomodo, il tratto più importante che percorso in senso antiorario, costituiva il primo giro di consegne.
via senza la copertura delle campane ritardatarie ma non appena
venne a conoscenza della mia segnalazione. Le campane suonavano in ritardo senza motivi che potessero esser, per esempio, le
celebrazioni di matrimoni e funerali. Casi in cui, al termine della cerimonia in chiesa, c’è l’abitudine di suonare le campane per
annunciare l’uscita degli sposi o del feretro. Per non rischiare di
diffondere un segnale equivoco, in quell’ora si evita di suonare
mezzogiorno. Oppure suonavano per annunciare la nascita o la
morte di qualcuno che, qualora ci fosse stata, probabilmente non
sarebbe stata fornita in quell’orario, evitando di suonare mezzogiorno. In questi ultimi due casi allora sì che il campanaro, residente a pochi metri da casa mia, avrebbe ingenerato confusione!
Il ritardo del suono delle campane non aveva neppure una con246
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nessione con i ciclici cambi dell’ora legale di marzo e ottobre,
perché suonavano in ritardo solamente in coincidenza con quelle rarissime apparizioni di Mariolino, subito dopo mezzogiorno.
Le differenze evidenziatesi fra Mariolino e i supplenti, per quel
che atteneva alle modalità e agli orari di consegna della posta,
lasciavano presumere, anzitutto, che si cercasse di rendere irresponsabile il postino di ruolo. Ossia che almeno un postino supplente fosse stato incaricato di recapitare talune particolari vecchie raccomandate. A causa di ciò che stava accadendo, dovetti
segnalare una grave lacuna avvalorante quest’ultima teoria. Fui
costretto a segnalare che nell’istante in cui al destinatario era richiesta la firma, ci fossero Avvisi di Ricevimento accostabili a
un assegno in bianco, perché erano privi di date, timbri postali e
firma del postino.
Per quel che costatai, non vorrei che chi stia leggendo creda a
una mia invenzione, perché arrivai al punto di richiedere perfino
la requisizione dei documenti postali conservati: limitatamente a
quelli firmati dai residenti delle due vie finora menzionate, più
vicolo Filzi. Richiesi una confisca riguardante i documenti degli
ultimi cinque anni ipotizzando che i precedenti fossero già stati
sequestrati, o copiati, in seguito alle mie denunce.
Le variazioni intercorse mi costringevano, oltretutto, a precisare qual era il solito percorso di consegna della corrispondenza
in queste tre vie, nei primi anni del 2000. Dovevo evidenziarlo
perché, in questo caso, il percorso era stato ugualmente stravolto
invertendone le direzioni di marcia e di consegna. Queste variazioni intervennero dopo che Mariolino incominciò a condurre lo
scooter, anziché il motorino. Si trattava, però, di modifiche che
erano state apportate prima di ogni altro cambiamento ed erano
anteriori allo scambio riguardante la consegna della posta nelle
frazioni del comune. La nascita di due stabili condominiali stava
altresì fungendo da pretesto per integrare altre mutazioni di percorso sommatesi a quelle che Mariolino aveva già eseguito senza ragione.
L’alterazione apportata rendeva Mariolino presente nel modo
in cui era «conveniente», non rispettando più il vecchio percorso. Quello in cui durante il primo giro di consegne recapitava la
posta nelle vie di Mereto, e percorrendo per penultima, o terzultima, via 11 Febbraio, copriva vicolo Filzi (figura 2).
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Questo vicolo, nel primo tratto, è più percorribile se si accede
da via 11 Febbraio, e i modicissimi residenti abitano tutti entro i
primi cinquanta metri. Al termine di via 11 Febbraio, Mariolino
eseguiva un’inversione di marcia perché la via prosegue con una
strada campestre che conduce verso Pantianicco. Ripercorrendola all’inverso usciva per, infine, entrare nella strada in cui abito,
via De Marco. Ma prima d’imboccare via De Marco, e una volta
ultimate le percorrenze di via 11 Febbraio e via Zorutti, lasciava
sia il ciclomotore sia lo scooter parcheggiati vicino a un pozzo,
per recapitare la posta in piazza Cadorna. Trattasi di uno spiazzo
formato dall’incrocio di tre vie racchiudenti da un lato una piccola piazzola che ospita un pozzo.
Terminata, in via De Marco, la distribuzione della corrispondenza relativa al primo giro di consegne, lui procedeva diritto. E
dopo esser transitato davanti alla Piramide, consegnava la posta
nella frazione di Tomba. Infine, rientrava all’ufficio postale passando attraverso la frazione di Castelliere, e fino al secondo giro
di consegne non transitava più in questa via. Secondo giro che
eseguiva per portare la posta in un’altra frazione distante da Mereto, quella di Pantianicco. Quest’ultima informazione, purtroppo, non la fornii rapidamente, e ugualmente in questo caso ci fu
chi tentò di approfittarne.
Incominciai a notare che Mariolino eseguiva, in certi casi, la
consegna della posta in un’unica soluzione rimanendo molto distante dall’ufficio postale. Durante questi giorni, aveva ripreso a
recapitare la corrispondenza nella frazione di Tomba lasciandola
per ultima poiché la eseguiva dopo che aveva portato quella della lontana frazione di Pantianicco. In seguito iniziò ad anticipare
la consegna della posta in quest’ultima frazione, ossia eseguendola durante il primo giro di consegne e proseguendo, alla fine,
con quella di Mereto.
Un giorno mi accorsi che il suo ritardo era alquanto insolito,
cosicché ipotizzai, per il lungo periodo di assenza, fosse rientrato tardi per essersi recato a Basiliano (figura 3 o 1). Oppure in
altri uffici postali, per ritirare quantomeno una raccomandata da
consegnare l’indomani. Dopo questa primaria segnalazione evidenziante un caso sporadico, Mariolino cominciò a rientrare tardi sempre più spesso. Fino a quando iniziò a posticipare la consegna dei carteggi, in queste vie o a Mereto di Tomba, quasi alle
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Figura 2: pianta topografica del capoluogo comunale contenente, in aggiunta, alcune
strade campestri, o rupestri, che non devono trarre in inganno, poiché procedono o
terminano in aperta campagna. Come, per esempio, quelle che proseguono verso Savalons, Tomba e Pantianicco.
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ore quindici. Era una consegna parecchio tardiva e che non eseguiva ogni giorno, ma quando iniziò a servirsene, l’ufficio postale di Basiliano aveva già assorbito quello di Mereto. Perciò si
trattava di un’azione riparatrice intempestiva. Egli, infatti, poco
prima che ci fosse una transitoria unione dei due uffici postali,
eseguiva i giri di consegne insieme a una nuova postina conducente lo scooter dell’ufficio postale di Basiliano. Ufficio che si
beccò la mia ennesima denuncia per un’omissione, volontaria,
riguardo a una raccomandata timbrata in modo incompleto. Tuttavia, la presenza di questa postina era dovuta a un altro motivo.
Come il lettore rammenterà, in una sezione del secondo capitolo
della seconda parte riportante il titolo «Il Consiglio dell’Ordine
(fase uno)», asserivo di non conoscere l’orario di consegna della
corrispondenza nella sede legale di Basiliano. Quello che scrissi, però, funse da pungolo per eseguire dei controlli.
In seguito, ma quando la sede legale della Piramide non era
ancora stata trasferita a Mereto di Tomba, iniziai a controllare
gli orari di recapito della corrispondenza. Nella sede legale della
Piramide, la posta era consegnata verso le ore dieci-dieci e trenta, e questo era il consueto orario di recapito seppure certe volte
subisse il ritardo di quasi un’ora. Quest’ultima variazione avveniva senza la presenza di un nesso come, ad esempio, qualora la
consegna dopo un’ora fosse eseguita soltanto in certi giorni settimanali. No, era casuale, mai interessava lo stesso giorno settimanale perché non si ripeteva nella settimana seguente.
Negli anni successivi, mi accorgevo che l’orario di consegna
sulla strada in cui era sita la sede legale della Piramide, era stato
spostato alle ore tredici circa ed era costante. Quando, finalmente, la sostituzione dell’orario fu effettuata, la Piramide aveva già
rimediato a trasferire la sua sede legale all’interno dello stabilimento, perciò quella variazione era tardiva. Il cambiamento era
possibile che fosse stato ordinato a causa delle mie denunce, ma
prima che qualcuno imponesse a Mariolino di portare più tardi
la posta, compresa quella nello stabilimento di Mereto in cui si
era insediata la sede legale, erano trascorsi anni. La modifica fu
attuata con molto ritardo perché eravamo ormai giunti nell’anno
2007, e casomai l’azienda avesse necessitato di realizzare ancora frodi o qualche bella simulazione insabbiante, avrebbe disposto di tutto il tempo necessario.
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Figura 3: cartina panoramica comprendente altri comuni coinvolti o menzionati.
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Adesso era evidente che le variazioni intervenissero per ordine della Magistratura di Pordenone, che stimolata dalle mie denunce di reati, si attivava per impedirne altri. Nonostante tutto,
lo spostamento dell’orario di consegna nel precedente luogo in
cui aveva sede, prima d’esser spostata, legale la Piramide, non
durò e si rivelò un palliativo. Non ci furono lamentele per quello
che stava accadendo a Basiliano e, al massimo, a lamentarsi potrebbero esser state soltanto le aziende che erano site nella zona
in cui era ubicata la sede legale della Piramide. Solamente qualche anno dopo e quando lo spostamento d’orario cominciò a interessare di nuovo le ore pomeridiane, ci fu un’altra protesta.
Questa volta a occuparsene, di persona, è il Sindaco di Basiliano, il quale tramuta la protesta in evento mediatico locale da
comunicare tramite l’utilizzo di locandine, più inserzioni di articoli su periodici che trattano in prevalenza argomenti locali.
Il Sindaco di Basiliano fu un mio compagno di classe delle
scuole elementari e, poiché risiedeva nella località di Castelliere, aveva vissuto la sua infanzia nel comune di Mereto. Comune
in cui rimase per molti altri anni fino a quando si spostò a Basiliano. Il Sindaco di Basiliano, tuttavia, vanta strette conoscenze
inserite nella Piramide gettando il sospetto che il suo intervento
fosse commissionato dall’azienda che mi licenziò. Ad esempio,
una stretta parentela del Sindaco di Basiliano è il nuovo capofficina, trasferito e addivenuto dopo aver lavorato come assistente
del Beduino D.M.
Agendo, il Sindaco di Basiliano avrebbe reso un servigio alla
Piramide, nonché a quelle aziende che avessero ottenuto un vantaggio, illegale, nel ricevere presto la corrispondenza.
Chiusa la parentesi sul Sindaco di Basiliano, si arriva al punto in cui Mariolino è costretto a ricercare qualche altro sistema
per tentare d’uscire da una scandalosa vicenda che lo vede coinvolto. Situazione che, seppur fosse terminata con la prescrizione
dei reati, avrebbe rivelato qual era l’oscuro di un ente statale.
Era assai probabile che Mariolino, consapevole di poter contare su di un solo accertato caso di doppio recapito della posta,
avesse iniziato a sfruttare e utilizzare la distribuzione ritardata,
perché degli altri due casi si conosceva soltanto che le consegne
erano state eseguite dopo mezzogiorno. Io, tra l’altro, comunicai
con un certo ritardo che nel giorno della prima frode, ossia il 22
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aprile 2000, lo avessi sentito transitare. Percorso che egli compì
senza consegnare nulla in casa mia, fino all’istante in cui, al secondo giro, era giunto mezzogiorno e mezzo quando ritornò con
la raccomandata, ma era troppo presto per capire la truffa.
L’incontro che ebbi nell’ufficio postale con quella donna che
teneva in mano la pochette, era soltanto un esempio di consegna
manuale della posta. Modalità e orari erano rimasti da finire di
stabilire. Bisognava, pertanto, determinare quando Mariolino si
fosse fermato allo stabilimento della Piramide dopo l’arrivo delle raccomandate trasportate lì dalla sede di Basiliano, e quando,
al contrario, le medesime fossero giunte in azienda più tardi del
suo passaggio. Stabilimento che, indubbiamente, riceveva anche
lettere, le quali Mariolino consegnava al primo giro di consegne
e prima di arrivare nella frazione di Tomba, in cui continuava la
consegna. Indizio che, salvo contrattempi, per fare la spola dallo
stabilimento all’ufficio postale di Mereto, potevano essere stati
assoldati, per esempio, i Ragionieri. Eccetto che tra il personale,
altresì dirigenziale, dell’ufficio postale di Mereto e la sede legale di Basiliano ci fossero rapporti di conoscenza. Ed ecco allora
che, a questo punto, il mio incontro nell’ufficio postale avrebbe
avuto un valore nel caso che, essendo troppo tardi giacché mezzogiorno abbondante, qualcuno si fosse personalmente occupato
di trasportare subito, alle poste, la lettera da consegnarmi. Se poi
s’ipotizzasse che alla Sfinge qualcuno conoscesse il sistema utilizzato, si potrebbe scoprire che la donna incontrata nell’ufficio
postale rientri tra i dipendenti della seconda ditta, affiliata.
Quest’ultima era nondimeno un’ipotesi assai remota. La tesi
più valida e avvalorante era quella che fosse stato affidato tutto,
o quasi, a Mariolino: accordatosi per fermarsi allo stabilimento
e apportando in tal modo un margine di sicurezza estremamente
elevato. Talmente rassicurante che, a un certo punto, per seguitare a contrastare le mie denunce, entro mezzogiorno aveva già
finito di consegnare la corrispondenza in tutte le frazioni di Mereto. Poi, non appena terminata la consegna della corrispondenza nella via in cui abito e iniziando dal termine della medesima,
lui rientrava nell’ufficio postale senza più uscire. Era, pertanto,
stato organizzato qualche pretestuoso motivo che, al contrario di
quando latitava, lo costringesse a soffermarsi nell’ufficio postale per le restanti ore di lavoro.
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Tutte queste erano situazioni giammai viste ma che sarebbero
state facilmente plausibili in caso di un mio avvertimento, asserendo che lui era stato impiegato per altri lavori. La mia segnalazione avrebbe, perlomeno, impedito la creazione di precedenti
che non esistevano.
Il contagio
Chi finora ha letto rammenterà che dovetti diffidare mia madre dal ricevere e, chiaramente, firmare raccomandate per il materiale spedito nell’abitazione di mia sorella residente di fronte a
casa mia. In particolare, questo capitava quando Mariolino, costatando l’assenza dei destinatari residenti in casa di mia sorella,
incominciava a prendere la «brutta piega» di cercare mia madre
per indurla a firmare qualcosa.
Questa brutta abitudine di richiedere firme iniziò, addirittura,
quando una domenica del 2001 lui consegnò nelle mani di mia
madre i nuovi certificati elettorali. Le richiese ben cinque autografi perché aggiunse quelli destinati all’abitazione di mia sorella che, in quel giorno, era persino presente.
Era ancora il 2006 quando segnalavo inconsueti episodi che
riguardavano il recapito di due raccomandate portate da Mariolino in casa di due abitazioni a me vicine. Negli anni successivi
mi rendevo conto che un particolare stratagemma era utilizzato
sempre di più e l’azione si verificava ogni volta che riuscivo ad
assistere alla consegna di una raccomandata.
Non sempre la mia presenza si poteva ritenere scontata, ma
spesso lo era proprio per controllare Mariolino. Soltanto usando
parecchia accortezza compresi che stesse mettendo in piedi una
furberia per il motivo che, durante una denuncia, non specificai
bene un dettaglio. Il particolare era attribuibile alla raccomandata che fu spedita dall’avvocato P.C.M.
Era il 19 aprile del 2002, io non ero in casa e mia madre rifiutò la lettera ricevendo in mano l’avviso di giacenza che il postino compilò. Nella delazione non specificavo bene che il cartoncino le fosse stato rilasciato subito, il tempo di compilarlo. Uti254
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lizzavo le parole «poco dopo», e quest’imprecisione si sarebbe
potuta interpretare come dopo un’ora o di più.
Quello che scrissi aprì uno spiraglio consistente nel lasciare
credere che Mariolino avesse almeno un pretesto per presentarsi
due volte a casa di un destinatario. La tecnica messa in atto era
la seguente. Per infondere il credo che Mariolino avesse sempre
utilizzato il sistema di presentarsi due volte a casa del destinatario trovato assente al primo giro di consegne, i miei vicini dovevano esser mancanti da casa. Sapevano di dover volatilizzarsi, o
sparire. Mi accorgevo, infatti, che quando costoro erano i destinatari di raccomandate che, tra l’altro, ricevevano di rado, erano
puntualmente assenti, con la casa vuota, oppure si dileguavano.
Tutto questo cosicché Mariolino eseguisse un secondo tentativo
di recapito e, verosimilmente, più tardi un terzo quando alle ore
quattordici circa rientrava dal secondo giro.
Mariolino avrebbe dovuto consegnare subito l’avviso di giacenza, immettendolo nella cassetta della posta. Oppure, in caso
di assenza del solo destinatario, lasciarlo nelle mani di chi non
fosse ancora stato munito di delega per il ricevimento. Siccome
alcune di queste furberie, salvo che ricordi male, si verificarono
prima del modus operandi che spedii all’ufficio postale di Udine, in alcuni casi sarebbe stata sufficiente la presenza di una sola persona.
Non era affatto comprensibile perché Mariolino potesse servirsi di quest’atipica tecnica quando, viceversa, i postini ausiliari si comportassero diversamente da lui e da Carne Fresca. Lei,
simulando la nostra assenza, l’avviso di giacenza non lo consegnò proprio, attestando il falso sopra un documento.
Arriviamo, intanto, al 25 marzo 2008. Verso le ore undici e
mezza Mariolino distribuisce la posta del primo giro di consegne. Lo esegue tardi perché, col passare degli anni, quest’ultima
incrementa il ritardo della consegna afferente il primo giro. Poi,
però, un’ora dopo si ripresenta con una missiva dell’I.N.P.S. La
raccomandata reca, sul retro, il timbro del paese di Basiliano, e
durante il recapito riferisce a mia madre, destinataria, che quando lui transitò nel primo giro di consegne, lei era a fare la spesa.
Glielo lascia credere simulandone l’assenza, quando semmai lui
emula Carne Fresca perché loro stanno cercando, in modo reciproco, di «togliersi le castagne dal fuoco».
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Mia madre, avendo ricevuto il plico indirizzato a mio padre e
contenente la contravvenzione consegnata da Carne Fresca, doveva fungere da capro espiatorio.
Come? Semplicemente imputandola di essere altrettanto a fare la spesa in quel remoto giorno. Io, che questo secondo infimo
tentativo me lo aspettavo, tenevo sotto controllo gli scontrini fiscali. Fu così che accertai una variazione probante la complicità
del negozio di generi alimentari, il quale cesso l’attività qualche
anno dopo e di cui mia madre era cliente da moltissimi anni.
Recuperando velocemente lo scontrino fiscale del giorno che
Mariolino simulava l’assenza di mia madre in casa, mi accorgevo che qualcuno si era premurato d’impedire che la data e l’ora
fossero impresse. I precedenti scontrini fiscali, invece, erano regolari e lo stesso valeva per quelli successivi, emessi nei giorni
seguenti.
Quello che stava accadendo attraverso la tecnica di simulare
l’assenza del destinatario, celava il fine di lasciar intendere che
Mariolino usufruisse di un iter che, tuttavia, non avesse validità
per i postini ausiliari. Infatti, i postini supplenti rilasciavano subito l’avviso di giacenza e senza ritentare più il recapito, rispettando una prassi. Il comportamento, però, era attribuibile al loro
incipiente lavoro, o perlomeno si tentava di propinarlo. Mariolino, essendo un datato postino di ruolo, ossia un portalettere scaduto e marcito, avrebbe goduto dell’opportunità di approfittarsi
di talune libertà ovvero «confidenze». Questo era il bersaglio al
quale la subdola tecnica mirava tentando di associarla alla consegna di altre passate e, oramai, conosciute raccomandate. Non
a caso in certe abitazioni ma in particolar modo in quella di ‘o
Professor, dopo le mie denunce iniziarono a girare «sitcom» dal
titolo «Casa Celentano»: scene da fiction televisiva dove Mariolino sembrasse uno di casa.
Celentano è il soprannome che Mariolino possiede offendendo il supremo Adriano dello spettacolo. Questo pseudonimo non
gli è certo garantito per esser molleggiato quando salta sulle sospensioni dello scooter, né per le sue qualità artistiche. Sarà, invece, per la voce roca di accanito fumatore, oppure il motivo risiede nel suo fischiettare. Agitando l’ugola, muoveva le labbra
emettendo suoni gutturali. Tuttavia, riuscivo a comprendere che
lui si comportasse in quel modo quando, preso dall’ansia di sa256
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per che non stesse agendo in maniera corretta, doveva scaricare
la tensione. Comunicando al suo turpe subconscio: «Stai calmo,
tutto procede bene, sta filando tutto liscio.», ma non sarebbero
trascorsi molti giorni per accertarne l’illusione.
Era solo una questione di tempo, quello che serviva per preparare l’ennesima denuncia dove evidenziare che, nella sitcom,
Mariolino era l’attore protagonista. A cui aggiungevo che il basista era ‘o Professor e le belle sceneggiate si giravano nella casa di quest’ultimo. Mancava solamente di menzionare un addetto alla cinepresa, era quasi futile ma lo indicai comunque.
Oltre a queste libertà che gli furono concesse, era chiaro che
la tecnica del doppio tentativo di consegna della posta fosse un
espediente non meno utilizzato per l’ottenimento della copertura
di Carne Fresca. Così verificai, segnalando, che i casi d’effettiva
assenza del destinatario nella consegna di raccomandate in casa
mia, erano stati al massimo tre. Questo valeva con decorrenza il
primo giorno di settembre del 2000 e, conteggiando anche il caso Carne Fresca dove ci fu soltanto il ritiro del piego nell’ufficio
postale, copriva grossomodo un lungo periodo di sette anni. Era
un intervallo di tempo dov’erano pervenute perlomeno altre tre
raccomandate l’anno e per le quali in precedenza avevo balenato
il sospetto che alcune fossero state inviate senza motivi apparenti. In pratica che avvenisse proprio perché a «Peste Italiane» occorresse creare dei precedenti per tentare di scaricare le proprie
colpe su spedizioni successive.
Escludendo il caso Carne Fresca, le rimanenti altre due consegne riguardavano Mariolino, ma sarebbero rimaste inappurabili. Quando qualcuno si recava in posta per ritirare una raccomandata, consegnava il cartoncino equivalente all’avviso di giacenza, e l’addetta forniva la lettera. L’avviso di giacenza non ritornava più nelle mani di chi si era recato in posta per il ritiro
del plico, perché rimaneva trattenuto dall’impiegata postale. Allora, per dichiarare il numero dei casi, dovetti affidarmi ai ricordi congiunti al materiale accumulato nel tempo.
I due casi in cui, effettivamente, le raccomandate furono ritirate nell’ufficio postale riguardavano Mariolino, il quale rilasciò
subito l’avviso di giacenza, al primo giro di consegne, e non si
ripresentò più. In seguito, i miei genitori si recarono nell’ufficio
postale e presero le raccomandate mentre lui stava eseguendo il
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secondo giro di consegne. Ci fu una raccomandata che Mariolino diede a mia madre ma non la tenni in considerazione perché
gliela consegnò in mano il giorno in cui fu convocata in una ditta di Mereto. Era il 7 novembre del 2006, e dopo che mia madre
rincasò, Mariolino transitò per effettuare il primo giro di consegne. Per compierlo, ripristinò l’orario delle dieci e trenta, dopodiché non latitò come, contrariamente, si comportava proprio in
quel periodo.
C’era allora la possibilità che mia madre continuasse a esser
sfruttata per l’ottenimento d’escamotages da utilizzare, altrettanto, per creare precedenti non esistiti, e lei sarebbe sicuramente
stata avvicinata da altri mistificatori. Infatti, molto tempo dopo a
quanto spiegato nello scorso paragrafo, accadde che nel pomeriggio di un giorno corrispondente al 14 del mese di Giugno, lei
ricevesse una telefonata dalla stessa ditta che la convocò il giorno 7 novembre del 2006. Mi riferisco al giorno in cui Mariolino
le consegnò, in mano e lontano da casa mia, una raccomandata
ma poi non latitò. Il titolare della ditta era un Assessore Provinciale di Forza Italia, e in seguito alle mie segnalazioni e denunce
che riguardavano il trasporto manuale della posta timbrata a San
Donà di Piave, attraverso un calendario mi sarà messo sotto gli
occhi che avesse una filiale a Noventa di Piave. Quella busta affrancata, inutilmente, con ben due francobolli da settanta centesimi e indicata nel Terzo Capitolo della Parte Terza alla sezione
intitolata «A spada tratta contro le poste», fu spedita proprio da
questa ditta che aveva una filiale in un paese vicino a San Donà
di Piave; cittadella in cui c’è la sede della società del gas. Poteva trattarsi, però, solamente di una coincidenza e non si poteva
conoscere se ci fossero stati altri contatti prima che la filiale nascesse. Poi, chissà, forse c’erano altre persone che, frequentando
tale zona, avrebbero potuto trasportare le bollette.
Nella telefonata del 14 giugno s’informava mia mamma che
l’indomani scadeva quel dato termine, e per siffatto motivo doveva assolutamente recarsi, nella mattinata, a firmare… La ragione per cui lei sia stata avvertita solamente all’ultimo minuto,
credo che per chi, finora, ha letto e compreso, oramai sia chiara
ma la spiego comunque. Il miserrimo tentativo d’insinuare che
mia madre fosse assente da casa per fare la spesa non poteva più
reggere, e allora bisognava sfornare altri motivi per giustificare,
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mascherare, la consegna ritardata della posta: inclusa quella del
15 giugno 2000. Continuando a servirsi di chi con la propria sola mente non avesse i requisiti per comprendere gli astuti stratagemmi, sarebbe stata l’ideale per tentare qualcosa di nuovo. Se
lei, per esempio, avesse avuto l’inveterata abitudine di recarsi il
pomeriggio dalla Parrucchiera di Mereto, gradualmente qualcuno avrebbe, perlomeno, tentato di stravolgerla. Dal 2010 in poi,
per corruzione dell’acconciatrice, mia madre si recherà nel salone altresì nella mattina e l’esordio di questa nuova convocazione
avverrà proprio in un venerdì mattino di metà giugno. Siccome,
inoltre, lei si sarebbe recata in bicicletta lasciandola posteggiata
fuori dal salone, ecco che Mariolino avrebbe goduto di un pretesto per tentare di giustificare la mancata consegna della posta in
casa mia. Assistendo alle prenotazioni eseguite, anche con molto anticipo, da mia madre odo che, sebbene lei cerchi d’ottenere
un appuntamento pomeridiano, le comunicano di avere l’agenda
piena: c’è posto solamente il mattino. Dopo che quest’ultima informazione, appena spiegata, sarà trapelata mediante le case editrici, mia madre, dapprima, comincerà a essere convocata in tardissima mattinata, dalle ore undici in poi, in modo che fosse superato quello che, agli antipodi, era l’orario di consegna normale della posta. In seguito, gli appuntamenti le saranno prefissati
affinché alterni gli orari: inclusi quelli mattutini e pomeridiani,
questi ultimi anticipati. Inoltre, quando rientra a casa, spesso mi
racconta che all’interno del salone trova la madre della mia cugina fedifraga oppure lei stessa in persona. Queste due persone,
guarda il caso, devono esserci quasi ogni volta che mia madre si
reca ad acconciare i capelli. Ovverosia un trattamento abbellente
che, a causa dell’età che avanza, ormai da tantissimi anni esegue
ogni quindici giorni intrattenendosi nel salone almeno due ore.
Per tutto quello che finora ho descritto è importante tenere in
considerazione che nella nostra casa c’era sempre qualcuno, e le
tecniche combinate che, a seconda della convenienza, erano utilizzate, prevedevano lo sfruttamento di tante altre persone coinvolte. Ci furono persino coloro che arrivarono al punto di servirsi d’elementi scorretti appartenenti alla razza umana e ingaggiati
allo scopo di simulare l’esistenza d’inconvenienti tecnici.
Incominciai ad accorgermi della presenza di persone che, dietro alle mancate visite e, altrettanto, quando in casa mia non ero
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presente soltanto io, scaricavano le loro colpe sul campanello di
casa. Il congegno elettrico funzionava alla perfezione e com’era
sempre stato, allora due anni dopo e nello stesso periodo annuale gli staccherò i fili per metterlo fuori uso. Qualche giorno più
tardi, qualcuno ne notò il malfunzionamento. Viceversa, nel periodo in cui c’era chi simulava l’inconveniente, l’assurda ipotesi
sarà formulata dopo settimane. D’altronde doveva essere trovato
un valido motivo pretestuoso per mascherare i tentativi multipli
dei due portalettere, e allora perché non iniziare persino a propinare che appuntamenti irrinunciabili e improrogabili costituissero motivi di assenze dei destinatari? In particolar modo quelli di
mia madre che, non avendo la forza d’opporsi al ricevimento di
raccomandate, sarebbe stata ancora sfruttata. Non è mica impossibile sapere quando lei dovrà prestare una visita medica, oculistica o altro ancora. Inoltre e per quel che riguarda gli appuntamenti che le sono fissati fuori paese, lei non guida più e sovente
la devo accompagnare. Di conseguenza mi è preclusa la possibilità di assistere ad altre viltà compiute in questa via.
Mio padre sarebbe potuto esser coinvolto assai meno poiché
lui, oltre a essere ancora in possesso della patente di guida, firmò soltanto per il ricevimento di una o due raccomandate, molto
meno pericolose. Tra l’altro, quando la pantomima messa in atto
per inscenare le assenze di mia madre fu evidente, mio padre –
in due anni – se l’era già portato via il cancro.
La probabilità di assistere a qualcosa d’inconsueto e compiuta unicamente da Mariolino, sarebbe stata molto inferiore. Tuttavia riuscii ad accorgermi, denunciandola, che dopo quella che
potesse esser considerata una forma di consegna prioritaria della
posta, era nato il recapito privilegiato di quest’ultima. Dopo un
singolare episodio di rientro tardivo nell’ufficio postale da parte
di Mariolino, descritto nella precedente sezione di capitolo, iniziai a rendermi conto che era nata la consegna privilegiata. I postini cominciavano a viaggiare da un comune all’altro azzerando
completamente i tempi delle consegne. Si trattava di lettere che
pervenivano nello stesso giorno in cui risultavano timbrate, ma
non riguardavano più solamente il comune di Basiliano e il relativo ufficio postale.
Gli uffici postali dei Comuni che provocavano l’arrivo delle
lettere spedite nello stesso giorno cominciavano, infatti e in ag260
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giunta, a stravolgere gli orari, i percorsi abituali dei portalettere
e l’ordine di consegna delle frazioni. Il tutto in modo da potermi
intercettare quando percorrendo al pomeriggio quel preciso tratto di strada, mi fossi recato al luogo di fiume.
In toto, come si potrebbe definire, a questo punto, l’accaduto
che racchiude un abile sfruttamento dei cartoncini, oltretutto in
passato «utilizzati» da altre società che erano coinvolte in questa
vicenda? Sicuramente una malattia contagiosa trasmissibile attraverso le vie aeree.
Eravamo arrivati agl’inizi del mese di aprile del 2008 quando
mi accorsi, comprendendolo, che Mariolino era già stato messo
in guardia riguardo alle denunce di contagio, o corruzione, degli
abitanti di questa via. Lo dedussi poiché aveva reagito immediatamente ed eseguendo, incautamente, un banale tentativo di depistaggio facilmente riconoscibile. Si era speso all’improvviso e
in maniera frettolosa anche forse per timore di qualche provvedimento nei suoi confronti, dettato dall’impulso e dalla mera illusione di riuscire a trarsi d’impaccio.
La sua reazione, a rompicollo, era stata improvvida ed era la
certezza di un’informazione tempestiva spifferata dall’interno di
un ufficio giudiziario. Inoltre, e sempre nel mese di aprile, Mariolino scompare per due settimane perché sostituito dall’arrivo
di un supplente che aggiunge un’altra discrepanza, ossia un’altra
diversità di consegna in suo sfavore.
Nell’ultima denuncia spedita, il primo giorno di aprile richiedevo che fosse trasferito, possibilmente a Gaeta, o diffidato dal
consegnare le raccomandate. Valutando, però, il comportamento
di Carne Fresca, qualunque portalettere avesse distribuito la posta avrebbe per me sempre comportato un rischio perché il marcio era nell’ente statale. Durante l’assenza Mariolino disporrà di
tutto il tempo utile a ricercare un altro metodo per continuare le
azioni insabbianti e riflettere per adottare un sistema in grado di
aggirare le mie ultime denunce. Al rientro, infatti, sono trascorse due settimane dalla sua pausa di riflessione ed egli inizia con
una tecnica specifica. Si trattava di un’arguzia alla quale avevo
già assistito ma, non avendola segnalata, era presumibile che mi
fosse sfuggita, e allora perché non ripeterla?
Questa tecnica consiste nel temporeggiare, e già nel mese di
maggio inizia a essere adottata. Quest’astuzia sarebbe stata, ol261
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tretutto, sfruttata per porre rimedio ai continui fallimenti causati
dalle mie segnalazioni e denunce. Quando ci fosse stata una raccomandata da consegnare, perdendo tempo, sarebbero stati presi
più «piccioni con una fava». Nel caso, poi, la tecnica sia sfruttata dal lato della via dove la visuale è nascosta e il rumore di uno
scooter si può neutralizzare transitando assieme a qualsiasi altro
veicolo, la probabilità d’esser sgamati diminuisce.
Un giorno, infatti, egli entrò nell’androne di una vecchia casa
e vi rimase per una ventina di minuti abbondanti, ma questo non
fu l’unico caso. Assistetti ad altri. Fin quando ne compì uno assai evidente. Non stavo equivocando. Con questo sistema attendista che continuava a sfruttare i residenti, Mariolino otteneva:
1. un’attesa a causa dell’assenza del destinatario, di cui poteva attenderne il ritorno almeno per una ventina di minuti o anche mezz’ora;
2. il controllo di questa via, che sarebbe stato altrettanto utile casomai mia madre si fosse recata a fare la spesa, commissione che non eseguiva ogni giorno;
3. uno spostamento dell’orario di consegna della posta pari
circa a mezz’ora, e poiché quest’ultima ormai era eseguita verso
le undici e trenta, avrebbe ripreso la distribuzione del materiale
postale a mezzogiorno;
4. seppur avendo atteso mezz’ora, il destinatario non fosse
ritornato disbrigandosi da qualche impegno, Mariolino avrebbe
eseguito un altro, o ultimo, tentativo pressoché alle ore quattordici cercando di non lasciarsi individuare;
5. l’inutilizzo dell’avviso di giacenza e/o quello del modulo
95 qualora il mittente non fosse un comune mortale, in pratica si
trattasse di un Tribunale, un Avvocato, eccetera.
Sarebbe rimasto da accertare se le assenze dei residenti fossero dovute a cause di forza maggiore o, semmai, avvenisse con il
loro coinvolgimento, come accadeva in precedenza. C’erano alcuni abitanti che di solito erano sempre in casa, ma quando do262
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veva pervenire loro una raccomandata, evento che si verificava
di rado, in quel preciso giorno, guarda il caso, non erano presenti. Queste, però, non erano le sole due possibilità, e perciò voglio ricordare che qui siamo di fronte a una Mafia Aziendale che
opera congiuntamente a una Statale. Mediante un’adeguata preparazione e premeditazione una qualunque persona sarebbe sparita da questa via, in coincidenza con l’arrivo di una raccomandata per lei stessa. Non per niente, in precedenza, emisi un comunicato dal titolo «Avviso alla popolazione», per cominciare a
risvegliare dal torpore una parte della cittadinanza. Se, infine, il
comunicato fosse stato altrettanto utile per spronare quelli che
non si attivavano per combattere i meccanismi corruttivi, allora
l’utilità diveniva doppia. Chissà, forse trattasi di persone remissive o troppo realiste.
Un mucchio di fatti
Raggiunto questo traguardo, le scappatoie che Poste Italiane
continuava a cercare erano sempre più complesse perché, oltretutto, si assottigliava sempre più la possibilità di riuscire a ottenere un insabbiamento. Pertanto, c’era bisogno d’escogitare un
metodo più semplice ed efficace, che possibilmente non lasciasse spazio ad altre denunce: qualcosa di latente.
Ad alcuni mesi dall’invio dell’ultima denuncia, iniziai ad accorgermi che l’ufficio postale di Mereto era interessato da «visite» di veicoli e mezzi riportanti l’insegna «Paste Italiane». Questi mezzi incominciavano a trasportare il materiale postale più
tardi della posta solitamente consegnata nell’ufficio medesimo.
Dopo la consegna normale e mattutina della posta, più tardi avveniva un secondo deposito mediante un carico di «paste», che
nell’ufficio postale di Mereto «calavano». Leccornie che gli addetti assumevano, in ufficio, e spacciavano per mascherare i reati commessi in favore di quelli che, agl’inizi, le avevano prodotte e fatte distribuire.
L’orario di consegna della corrispondenza, al primo giro, era
ormai giunto a mezzogiorno, e qualora un carico di «paste» fos263
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se pervenuto verso le dieci e trenta del mattino, sarebbe stato, lo
stesso, smerciato verso le ore dodici.
Quest’innovazione avrebbe portato una certa tranquillità e un
sacco di sicurezza in chi aveva delitto, perché la consegna della
posta verso le ore undici non esisteva più. Nel giorno in cui fosse arrivata una «pasta», sarebbe stato impossibile comprenderlo.
Ma siccome in un vecchio spot televisivo, in modo pittoresco, si
recitava «... two gust is mell che uan.», «Paste Italiane» preparava, in più, un piano d’emergenza e alternativo. Poiché il carico
di «paste» avrebbe potuto c’entrare con talune azioni che Mariolino cominciò a compiere di rado, ora tratto l’argomento.
È il 22 settembre 2011 e lui si trova nell’ufficio postale, non
si conosce il lavoro in cui è impegnato, ma all’improvviso suona
la campanella. L’allarme è scattato. La campanella, però, non è
di modeste dimensioni, è molto grande ed è sorretta da un campanile che rintocca mezzodì. Questa volta mezzogiorno rintocca
e poi suona in orario, così Mariolino con due scartoffie in mano
salta fuori dall’ufficio postale per imbracciar lo scooter.
Trattandosi di un breve giro che lo lascia rimanere nel capoluogo comunale, non indossa la divisa verde né quella arancione, e in men’ di dieci minuti è già in questa via. Esegue soltanto
due recapiti e, purtroppo, per entrambi c’è bisogno del destinatario: uno lo trova, ma l’altro... maledizione che sfortuna! Si sa
che non è in casa perché la scuola è ripresa. L’abitazione vuota
è quella di ‘o Professor, la quale assicura l’assenza di due residenti lavoratori statali. Mariolino estrae una cartellina bivalve da
cui toglie un documento per immetterlo nella cassetta delle lettere. Poi avendo, forse, sul vassoio qualche altra «buona pasta»
da consegnare, entra in vicolo Filzi e scompare.
Egli, verso le ore tredici transita di nuovo per compiere il secondo giro, e poi sono già trascorse le ore quindici quando torna
in questa via per consegnare gli elenchi telefonici. Già, i famigerati elenchi telefonici dei quali aveva cominciato a servirsi per
eseguire una doppia consegna della posta. Distribuzione che già
nel 2010 aveva iniziato a spostare, ritardandola di un mese. La
consegna era stata eseguita a cavallo tra agosto e settembre anziché tra luglio e agosto. Questa volta, ossia nel 2011, la distribuzione giunge col ritardo di un mese rispetto a quella del 2010,
e lascia intuire che l’inizio sia stato posticipato ancora di un al264
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tro, per un totale di due mesi. Siccome eravamo il 22 settembre
2011, l’inizio della consegna era stato posticipato all’incirca due
mesi e cominciando a esser eseguita per prima in questa via. La
distribuzione, come nel 2010, includeva ambedue gli elenchi telefonici: le Pagine Bianche e Gialle.
Alla fine di gennaio del 2011 mi accorgevo che era sfruttato
un secondo elenco, giammai visto prima, per eseguire la consegna – ancora una volta – come nel 2010. Ovvero esattamente a
quattro mesi di distanza dalla data di aggiornamento indicata in
ognuno degli elenchi.
Alla fine di agosto del 2011 avevo trasmesso un fax alla società titolare di un elenco mai visto prima (Pagine Sì! S.p.A.) e
puntualizzando che, nonostante fossimo nel 2011, il suo elenco
era attivo dal 2005 e l’iscrizione al Tribunale risaliva al 1998. Il
file lo avevo aperto pochi giorni dopo la consegna degli elenchi
telefonici, avvenuta alla fine di gennaio del 2011. Sulla comunicazione rimarcavo che l’incarico inerente alla distribuzione degli elenchi era stato affidato di nuovo a «Paste Italiane».
Segnalavo che negli anni prima del 2010, Mariolino eseguisse la rateazione della consegna degli elenchi telefonici. In futuro, invece, avesse incominciato sia a spostarne di quasi un mese
la distribuzione, sia a compiere giri in più solamente per consegnarli. Rateando le consegne, lui distribuiva gli elenchi telefonici assieme alla posta, bensì nel 2010 iniziò a eseguire alcuni giri
in più solamente per recapitarli. Operando con questa metodica,
egli non riprendeva soltanto a eseguire doppi e tripli transiti ma
raddoppiava le consegne cominciando a giungere, fermandosi in
questa via, già alle dieci e trenta del mattino.
Considerando che l’elenco telefonico del 2011 – Elenco Sì! –
fosse già arrivato alla fine di gennaio, non avrei mai creduto che
quello solito – Pagine Bianche – sarebbe pervenuto. Le Pagine
Gialle, qualora fossero state redatte, sarebbero state consegnate
da terzi. Come incominciò a verificarsi nel 2003, ossia il periodo in cui per alcuni anni gli elenchi telefonici Pagine Bianche e
Gialle furono consegnati da ragazzi volenterosi che, molto probabilmente, per distribuirli si servivano di propri veicoli. Invece
gli eventi non proseguirono in quel modo e poi, a causa del fax
oppure per evitare di richiamare l’attenzione, ad agosto Mariolino spostò la data d’inizio distribuzione. La ritardò suppergiù un
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altro mese ma effettuando ancora doppie consegne anziché recapitare gli elenchi congiuntamente alla posta. Questa volta, però, lui agisce con estrema scaltrezza indossando, o non, quello
schifo di divisa che porta infangando il nome di uno Stato.
Ciò nonostante, la diversità di azione non era comprensibile:
senza divisa per consegnare la posta, con la divisa per distribuire gli elenchi, e invertendo anche l’ordine tenuto nelle precedenti consegne di gennaio-febbraio 2011 e agosto-settembre 2010.
Ossia quando, inizialmente, consegnò gli elenchi verso le dieci e
trenta e, infine, la posta un’ora dopo. Era, a questo punto, verosimile che la fornitura degli elenchi telefonici «Elenco Sì!» fosse stata concordata di proposito.
Il ritardo di circa un mese che comporta lo spostamento della
consegna al 22 settembre, rispetto a quella del 2010, forse era
dovuto, ancora una volta, alla tempestiva informazione fornita a
«Paste Italiane» che avessi scoperto l’orpello. Oppure era dovuto a una consegna posticipata, di quasi un mese, per non attirare
l’attenzione e montando sullo scooter postale un portapacchi anteriore molto capiente.
A tal proposito, ritengo utile specificare che quest’accessorio
è iniziato a comparire sul secondo scooter postale, qualche anno
dopo la sua immatricolazione. Sul primo scooter e sul ciclomotore usato nell’anno 2000 non era installato e, pertanto, potrebbe
trattarsi di un accorgimento celante l’ennesimo inganno anacronistico e/o il solito escamotage per contrastare le mie denunce.
Ed ecco che venerdì 30 settembre 2011, Mariolino ha di nuovo una pila d’elenchi sul portapacchi dello scooter. Elenchi che,
questa volta, recapita insieme alla corrispondenza di questa via,
ma gli stessi non riguardano più il capoluogo comunale poiché
consegnati la settimana precedente. Infatti, egli indossa la divisa
arancione che lo condurrà fuori dal capoluogo comunale. Ancora una volta lui si serve della divisa, e questo stratagemma lascia
presupporre che «Paste Italiane» sia stata informata in merito al
fax che ho trasmesso alla società dell’elenco telefonico «Elenco
Sì!». Pertanto, Mariolino non solo è costretto a invertire l’ordine
di consegna tra il capoluogo e le frazioni, ma inizia a spogliarsi
di una divisa che indossava da alcuni anni. Certamente da quando arrivò l’obbligatorietà del giubbotto rifrangente da utilizzare
di notte o fuori dai centri abitati. Considerando che al primo gi266
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ro di consegne, il 22 settembre 2011 Mariolino avesse un vassoio di «paste», si continuò a percepire l’odore della scia, ovvero striscia, lasciata: un profumo di frode che ubriacava tutti solamente con la sua graveolenza. Lezzo che neppure l’indomani
scomparve quando, «probabilmente» dimenticatosi di recapitare
un elenco il giorno prima, eseguì una doppia consegna fermandosi al secondo giro. Poi effettuò, in aggiunta, una terza fermata
dopo le ore quindici, alla stessa ora del giorno precedente. Questa volta, però, aveva una raccomandata da consegnare. Trattasi
di un’altra «pasta», o del secondo tentativo di consegna che un
postino stantio esegue? Verosimilmente, era una «pasta». Nella
consegna del primo giro e durante il passaggio del secondo, lui
non stazionò in quell’abitazione. Al terzo «giro» era, di nuovo,
senza divisa ed elenchi ma con una raccomandata da recapitare.
Questa pantomima cominciò a ripetersi quando nella seconda
settimana d’ottobre del 2011, a esser distribuiti erano i moduli
per il censimento della popolazione. Incarico che, questa volta,
era stato assegnato alle Poste. Le «paste» potrebbero essere state
consegnate approfittando della distribuzione degli elenchi, forse
ugualmente durante quella dei moduli per il censimento. Quando, però, lo smercio si verificava senza l’ausilio di queste coperture, scoprirne la presenza sarebbe stato assai difficoltoso, quasi
impossibile.
Nell’anno seguente il 2011, l’elenco telefonico «Elenco Sì!»
fu distribuito per la seconda volta, ma poiché oramai anche questo tentativo era stato individuato, lui transitò quasi ogni giorno
con un carico di elenchi sul portapacchi. In questo caso, la consegna ebbe inizio verso la metà di gennaio e si protrasse per una
decina di giorni perché, rispetto al primo elenco del 2011, la data di aggiornamento era stata anticipata di due settimane.
Alla fine di agosto del 2012 e tramite il portapacchi anteriore
rimontato sullo scooter, Mariolino transitava quasi ogni ora pomeridiana in questa via. Quando, però, portava la posta di mattina alternando, pertanto, i giorni in cui recapitava solo la corrispondenza, mi accorsi che nella cassetta delle lettere del destinatario non trovato presente, rilasciava un piccolo pizzino precompilato. Il contenuto sicuramente avvertiva che il pomeriggio
si sarebbe ripresentato e, pertanto, di farsi trovare in casa. Questo pizzino, in principio, serviva per mascherare precedenti por267
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cherie. Le quali comprendevano quelle commesse da Carne Fresca, più l’omissione degli avvisi di giacenza. Più tardi, però, e in
seguito all’informazione spiattellata da una o più case editrici,
sarà spacciato per un temporaneo avviso di giacenza da sostituire con uno nuovo. Lo scopo in entrambi i casi era frodante, e del
primo menzionato ci si sarebbe ugualmente serviti per recapitare una raccomandata il pomeriggio o il giorno seguente. Io non
sarei dovuto accorgermi di questo, eppure una tarda mattina osservai l’azione di una persona destinataria di una raccomandata.
Quasi imitando il gesto del prestidigitatore, cercò di occultare il
pizzino nel proprio palmo di mano, e il pomeriggio ritornò Mariolino. La persona in questione rientrava tra quelle che, in passato, doveva farsi trovare assente al primo tentativo di recapito,
e con gli altri, ignari, residenti si sarebbe proseguito a simularne
l’assenza. Ad esempio, fallendo la consegna iniziale. Con questi
metodi sarebbe stato possibile servirsi di quegli abitanti che, per
la loro età e/o dabbenaggine, sono facilmente abbindolabili.
La settimana seguente, dal giorno 3 al 8 settembre 2012, gli
elenchi telefonici furono consegnati ancora in modo tardivo, ma
con un ritardo eccedente ai cinque mesi. Il motivo era provocato
dall’aggiornamento dell’elenco telefonico Pagine Bianche, che
era stato anticipato di quaranta giorni. L’elenco non risulterà più
aggiornato alla fine di aprile, bensì il 20 marzo. Per completezza, quello distribuito nel 2000 era aggiornato al 30 aprile. Le ultime variazioni di consegna dovevano, quindi, occultare il misero tentativo di propinare che la distribuzione anticipata, o tardiva, degli elenchi non dipendesse dalle date degli aggiornamenti.
Nel 2013, Mariolino distanzierà di un mese la consegna tra le
«Pagine Gialle e Bianche» e passerà in questa via alle ore nove
del mattino di fine agosto. Ciò si ripeterà la settimana seguente.
Quand’escogitò l’utilizzo del modulo 95, «Paste Italiane» attese per tre anni la nascita di un motivo da usare per uno sfruttamento frodante, perciò è possibile che una futura raccomandata in casa mia possa consistere in una «pasta» o un cannolo. Eccetto che le case editrici abbiano già vanificato l’opportunità di
eseguire un primo tentativo, oppure un ulteriore.
Per quel che riguarda il comportamento da stalker statale che
Mariolino stava mantenendo, a un certo punto denunciai che lui,
verso le ore quattordici si fermava dai miei vicini più del dovu268
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to. Sostava da quei vicini che garantissero un occultamento suo
e dello scooter postale, che spegneva sperando ch’io uscissi di
casa. In seguito comincerà a consegnare le raccomandate ai miei
vicini posteggiando lo scooter in faccia al cancello di casa mia.
Azione compiuta a suo rischio e pericolo perché, come spiegherò nel prossimo capitolo, questa strada era divenuta pericolosa.
Arrivati a questo epilogo, a Mariolino non rimarrà che imitare il performer acrobatico e biker Brumotti, transitando davanti
al cancello di casa mia in piedi sul motociclo: «A bombazza!».
Oppure, potrebbe applicare al sedile dello scooter un regolatore
di altezza, ma rischierebbe di ritrovarsi con le gambe ciondoloni. Poi, per ancorarsi alla pedana del motociclo, sarebbe costretto a calzare scarpe provviste di zeppe e del vertiginoso tacco diciotto da entraîneuse aziendale con la pochette. E perché no, potrebbe ripristinare l’orario di consegna antecedente le ore undici,
o quello che in precedenza usava prima di mezzogiorno. Oppure
servirsene nei giorni in cui si renda conveniente un loro utilizzo
per seguitare a ingannare. Oppure, per raggiungere ancora degli
obiettivi frodatori e come nel caso di Carne Fresca, potrebbe essere ingaggiato un portalettere ausiliare per sostituire Mariolino
quando fosse utile o conveniente. Qualunque diavoleria potrebbe essere ancora sfruttata, ma la permanenza di capisaldi narrati
e spiegati in questo libro, ne renderebbe inutile un loro impiego.
Casomai egli provasse a «giustificare» una consegna dell’avviso
di giacenza che avveniva solo quando il recapito della posta era
eseguito tardi, sono certo che la nutrita quantità d’immagini che,
nel tempo, ho raccolto di lui in questa via, lo smentirebbe. Questo varrebbe sia quando transitava presto, sia nei casi in cui era
presente tardi e, altrettanto, se tentasse di servirsi del pretesto in
cui affermasse di sapere che non sarebbe più transitato.
Col trascorrere degli anni Mariolino, alla fine, andrà in pensione, tuttavia non reputo giusto che possa godersela, a maggior
ragione perché trattasi di una quiescenza statale. Io, quando avrò
raggiunto l’età pensionabile, avrò qualcosa che non sarà neanche definibile «pensione» perché non la richiederò. I contributi,
però, dovranno rifondermeli, ai quali andranno sommati gli interessi comprendenti l’adeguamento del denaro al costo del carovita provocato dalla moneta corrente. Restando in tema di questo privilegio di cui gli statali hanno beneficiato maggiormente,
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in futuro mi sarà fornita, di proposito, un’informazione riguardo
a una mia ennesima parentela. Non la conoscevo e neppure sapevo che lavorasse proprio in quel ufficio. L’informazione mi fu
fornita esattamente nel mese di novembre del 2012 ed erano trascorsi alcuni anni da quando avevo descritto l’incontro riguardante la donna che impugnava la pochette. L’indiscrezione portava a comprendere molti aspetti e, in particolar modo, ciò che
era capitato nell’ufficio postale il 31 agosto 2000. Un’impiegata
delle Poste è, purtroppo, una mia parente che, forse, acquisii, ma
io non la conoscevo né conosco. Guarda il caso, lei abitava proprio nel comune di Basiliano. Io, però, di codeste informazioni,
ribadisco, non ero ancora a conoscenza. A questo punto si spiega anche il losco incontro del 31 agosto 2000 alle Poste, il quale
garantisce ancor di più che il fiuto non mi aveva tradito.
Per concludere questo capitolo, posso aggiungere che la data
riportata sull’avviso di giacenza consegnato, in ritardo, dal postino, inizierà a collimare con quella del presunto ricevimento di
una delle sporadiche raccomandate che spedirò. La fantomatica
apparente coincidenza avverrà solamente nell’istante in cui spedirò, da pochi chilometri di distanza, una delle rarissime raccomandate con destinazione Udine. Infatti, l’avviso di giacenza mi
sarà consegnato con un ritardo di due giorni ma, tramite la data,
recherà la fraudolenta dichiarazione scritta, del postino, di averlo rilasciato il 24 aprile 2013. L’Avviso di Ricevimento afferente la raccomandata A.R. spedita il giorno 23 aprile indicherà che
quest’ultima non è pervenuta prima del 30 aprile.
Da quel che avviene, non solo si evince che c’è ancora la necessità di propinare che le raccomandate, scritte da chicchessia,
siano spedite in modo congiunto a quelle recapitate dal protagonista. Ma, per ottenere il risultato, ancora una volta si falsificano
le date di spedizione, retrodatandole. Inoltre, si desume che continua a esserci un interesse nel dare ad intendere che la consegna
delle mie raccomandate avvenga dopo cinque giorni, postali, lavorativi. La ricevuta di ritorno, invece, ne impiegherà solamente
due per tornare nelle mie mani. Al paradosso si aggiunge, quindi, l’esigenza di coprire la raccomandata che spedii alla Polizia
Postale, dove sono certissimo che non arrivò a Udine dopo cinque giorni, salvo fosse stata aperta prima.
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Capitolo Secondo
ANCORA NESSI CORRUTTIVI
La mia banca è differente
Chi finora ha letto, sarebbe forse in disaccordo nel ritenere
che tutte le strategie operate al fine di provare a scagionarsi, costituiscano una tangibile prova che espedienti illegali siano stati
utilizzati da gente furba, disonesta e in grado di conseguire iniziali frodi ai miei danni? Che poi sono continuate!
Episodi accaduti mi avevano obbligato a tagliare i ponti con
coloro che si erano rivelati corrotti, terra bruciata che in alcuni
casi mi creava disagi. Come, ad esempio, non potermi più rifornire di carburante a Mereto e nelle stazioni di servizio del medesimo gestore petrolifero, così un giorno rischiai di rimanere senza benzina, in panne. Poi ero costretto a non usufruire più della
sub-agenzia assicurativa di Mereto e bensì servendomi di quella
principale sita a dieci chilometri di distanza. Alla quale, nel mese di febbraio del 2005 spedii un fax per informarla della variazione. Di questa terra bruciata non posso tralasciare il bar in cui
mi ritrovavo di solito con gli amici. Giacché trasformatosi in un
obiettivo, smisi di frequentarlo senza più recarmi in altri limitrofi perché, altrimenti, la persecuzione, alla fine, sarebbe ripresa.
Alla lunga lista nera dovetti sommare il salone per acconciature
dov’ero solito recarmi, e prima d’individuare un altro che soddisfacesse le mie esigenze, fui costretto a provarne alcuni. I costi
da sostenere furono maggiori, sia a causa del prezziario, sia perché dovevo diffidare dal scegliere un salone in zona.
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Erano atteggiamenti di diffidenza che dovevo tenere per non
rischiare di alimentare altre possibilità per ottenere risultati ingannevoli, com’era stato tentato in precedenza. Pertanto, ero costretto a rivoluzionare quelle che erano le mie abitudini.
A tutto questo, aggiunsi quel tipo d’inviti in luoghi dove insieme a parenti e conoscenti ci si recava per un pranzo o una cena all’interno dei locali addetti alla ristorazione. La motivazione
era dovuta a un tranello tesomi appositamente tramite l’utilizzo
di persone, a me vicine, che tradirono portandomi alla visione di
altre nutrenti un interesse lesivo. In seguito, apprenderò che tra
l’ambiente ristorativo, consistente in un agriturismo, e la società
appartenente all’Assessore di Forza Italia, c’era un evidente legame. Tra le persone che in quel giorno notai spiccava una donna della frazione di Pantianicco. La riconobbi tra una ventina di
invitati a un evento che la riguardava. Persona che poteva essere
la stessa conducente del veicolo fermatosi subito dopo di me alla stazione di servizio quand’ero uscito di casa con la mia auto e
lei partiva dal vicinato.
Non credo, inoltre, che sia possibile rendersi conto di quello
che significhi avere come recapito un ufficio postale inaffidabile, e mediante altre persone è in grado di controllare il materiale
che spedisco. Le ricevute di ritorno delle raccomandate che inviavo avrebbero costituito sempre un’informazione molto utile,
per cui dovetti spedire quasi tutti i pieghi senza usare gli Avvisi
di Ricevimento, ovvero ricevute di ritorno. Sovente, proprio per
non rischiare di esser controllato, spedivo le raccomandate cambiando l’ufficio postale per allontanarmi sempre più da quello di
Mereto.
Il potere corruttivo aziendale in grado di controllare i fax che
spedivo, mi aveva insegnato a diffidare dall’utilizzare solo qualche ufficio postale perché, ora, la delinquenza era mutata in statalizzata.
I fax che avevo trasmesso rappresentavano un problema per
coloro che avessero un interesse nel propinare il falso. Riuscire
a suggestionare che per qualche motivo i fax non erano stati letti, costituiva una priorità. Il motivo, non era dovuto al sol mettere in discussione quanto scritto sulle comunicazioni inviate, ma
in più al cercar di negare l’esistenza di rapporti corruttivi tra le
varie società.
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Un fax spedito, fino a quando qualcuno non si lamentasse del
ricevimento, costituirebbe sempre un rischio. Ci sarebbe sempre
stato chi ne avrebbe osannato l’incomprensione o avuto problemi nel riceverlo. Inspiegabilmente, però, accadeva ogniqualvolta quella persona, giuridica, aveva rapporti con la Piramide. Non
era assodato che il rapporto corruttivo riguardasse solamente la
Piramide poiché, in aggiunta, la società del gas continuava a nutrire un interesse fuorviante. Entrambe erano state denunciate, e
ambedue avrebbero sparso la notizia che, se fosse giunto un mio
fax, il ricevente da loro istruito simulasse qualche problema.
Un giorno ad esempio, dopo che trasmisi un fax telefonò una
persona, ma questa voleva soltanto alcune spiegazioni orali inerenti a quello che aveva letto perfettamente. Anzi, una telefonata
come questa si ripeté ed io fornii tutte le delucidazioni che il ricevente volesse sentir specificare mentre mi leggeva il contenuto del fax. Purtroppo arrivò il momento in cui le cose andarono
diversamente. Stavolta riguardavano proprio una società che sicuramente c’entrava con la Piramide. Per quel che accadde, però, non era da escludere il coinvolgimento della società del gas.
Eravamo nel 2005 e il Direttore della banca presso la quale
intrattenevo un rapporto finanziario, si adoperava recapitando in
casa mia un biglietto augurale natalizio-calligrafico. All’interno,
il biglietto ne conteneva un secondo, da visita, e sopra il quale
erano riportati gli estremi bancari. Uno di questi dati era un numero di fax che sugli elenchi telefonici non appariva perché gli
stessi erano sprovvisti dei numeri di fax della banca.
Giacché avevo una comunicazione da spedire, il 25 gennaio
2006 usufruivo del numero di fax bancario. L’argomento principale riguardava una spesa, o commissione, che era stata applicata senza il mio consenso, dopodiché avevo altre piccole proteste da enunciare.
Successivamente, la banca telefonava nella mia abitazione. In
seguito, mia madre mi riferiva che la stessa non fosse in grado
di leggere il fax spedito. Per giunta, l’istituto bancario integrava
l’informazione richiedendo una copia della comunicazione, oppure una spedizione sotto un’altra forma.
Ancora una volta c’era chi cercava di mettere in discussione i
fax da me spediti, ma era evidente che si trattava sempre di persone istruite. Tra il personale impiegato nella banca lavoravano
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parenti e conoscenti dei dipendenti della Piramide, perciò si trattava di conoscenze aziendali appositamente corrotte per simulare problemi con i fax.
Quanto accaduto rivelava l’esistenza di un’altra società che
curasse gli interessi lesivi della Piramide. La banca, inoltre, negli anni precedenti il mio licenziamento aveva rapporti finanziari con la Piramide. Pertanto, non era scartabile la supposizione
che il favore svolto nei confronti di quest’ultima avesse le sembianze di uno scambio d’interessi. Dato, inoltre, che da sei anni
ero disoccupato e, logicamente, non avevo più percepito altri assegni, era ipotizzabile che la Piramide potesse aver riallacciato i
rapporti con codesta banca. Istituto con il quale aveva intrattenuto un rapporto finanziario fino a metà degli anni novanta. Se,
infine, si volesse aggiungere un altro fattore rilevante, era costatabile che esistesse una ben precisa filiale della stessa banca. Era
sita proprio di fronte a quella che oramai era divenuta una subsocietà del Gas, che simulò problemi con i fax che le inviai.
Per evitare altre sorprese chiusi il conto corrente che, oltretutto, si materializzava come una forma di vendetta nei miei confronti e provocava l’azzeramento degl’interessi. Richiesi il rilascio del restante saldo su un assegno, e per un po’ di tempo continuai a recarmi in un’altra filiale della medesima banca. Dove,
all’occorrenza, sostituivo l’assegno con un altro di importo inferiore. La differenza tra i due assegni me la facevo liquidare per
avere a disposizione un contante.
Fino a quando mi stancai di questa trafila che incominciava a
essere oltremodo seccante poiché c’erano sempre più documenti
da firmare, e allora presi contatto con la filiale di un altro istituto di credito. Lo avevo scelto nella cittadina di San Daniele del
Friuli per la comodità che aveva quando passavo da quelle parti,
ma quello che pareva essere l’avvio di un normale rapporto finanziario, s’interruppe d’incanto.
Mi recavo in codesta banca con il fine di aprire un libretto di
risparmi e versare l’ultimo assegno rimastomi in mano. Conobbi
il signor A.B., il quale all’interno svolgeva la funzione di Consulente. Al termine di un colloquio tenuto per prendere accordo
sulle operazioni iniziali da espletare allo scopo di ottenere il libretto, gli lasciai una copia dell’assegno e dei documenti personali richiestimi. Nella settimana successiva avrei, quindi, aperto
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il libretto di risparmi tramite l’accreditamento dell’assegno, ma
la banca iniziò a creare numerose difficoltà. A.B. si mise in contatto con me per propormi un’anomala transazione in cui avrei
dovuto firmare un’informativa per acconsentire alla banca di riscuotere l’assegno. Solamente quando quest’ultima fosse entrata
in possesso del credito da me vantato, avrei potuto attivare il libretto di risparmi.
Non riuscivo ad attribuire la ragione di una simile richiesta e
potevo associarla solamente al fatto che una banca o, addirittura,
entrambe stessero tentando di crearmi problemi o, persino, arrecarmi danno.
Serviva, ora, una decisione tempestiva e ufficializzata per disdire l’appuntamento successivo. Mi servii di un fax in cui scrivevo le seguenti parole:
«Sono spiacente di comunicare la mia rinuncia all’apertura di
un libretto di risparmi, perché quest’ultima doveva essere condizionata dall’automatico trasferimento dell’assegno di cui rilasciato a voi una copia per accertamenti…».
«Non avendo, tuttavia, garantita l’apertura del libretto di risparmi tramite l’immediato accreditamento dell’assegno, reputo
insicura la transazione propostami attraverso la firma di un documento non ancora ricevuto né visionato…». «Pertanto, mi ritengo senza tutela nei confronti di un’altra banca che, a causa di
un rapporto troncato, potrebbe creare problemi per lasciarmi con
un libretto di risparmi vuoto e senza sapere fino a quando.».
«… non comprendo quale problema possa creare a una banca
l’accreditamento immediato dell’assegno… e può farsi trasferire
subito l’importo on-line, mentre io potrei ritrovarmi a non possedere adeguati “argomenti” per obbligare la mia ex banca…».
«Infine dovrei rivolgermi a chi compete, con conseguenti seccature, noie legali, e un libretto di deposito risparmi che continuerebbe a rimanere vuoto.».
Nello stesso giorno in cui inviai il fax, il consulente A.B. richiamò in casa mia e, dopo una discussione dove si addiveniva
alla conclusione che non avessi torto nel temere quello che sarebbe potuto accadere, l’accordo saltò.
Alcuni giorni dopo, gli spedii l’autorizzazione firmata per il
trattamento dei miei dati personali perché, nel primo e unico incontro, si scordò di utilizzarla.
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Mi rivolsi a un’altra banca ma con l’intento di non concedere
alla mia, ormai ex, altre possibilità d’intervenire per tentare un
danneggiamento. Allora, dapprima aprii un libretto di risparmi.
Poi, senza il minimo accenno del possesso di un assegno, qualche settimana più in avanti lo versai ottenendo l’antitetico risultato che mi fu accreditato immediatamente.
L’attivazione del libretto fu immediata e senza che avessi dovuto versarci sopra un importo per l’apertura, e non fu neppure
richiesto un quid per l’attivazione. Ossia un atteggiamento completamente diverso da quello pretenzioso che al telefono il consulente A.B. manifestava. Quindi è certo che qualora non avessi
dato subito forfait, ci sarebbero state conseguenze provocanti relative seccature.
I fax che spedivo continuavano a tenere desta l’attenzione di
coloro che, per primi, avevano sempre avuto un interesse a contestarne la lettura o la ricezione. Così alcuni anni dopo e sempre
una società con la quale intrattenevo dei rapporti, si comporterà
malissimo. Dopo la banca, l’impiccio continuò con l’agenzia assicurativa perché c’era un costante lesivo interesse a perseguitare il protagonista e ad interferire nei suoi affari.
In seguito a un lieve sinistro capitato, prendevo contatto con
l’agente assicurativo e, pochi giorni dopo la consegna del modulo per la costatazione amichevole, spedivo a quest’ultimo un fax
contenente una dichiarazione aggiuntiva. In calce al fax inserivo
un breve codicillo nel quale diffidavo la compagnia assicuratrice dall’inviarmi raccomandate. Essa, invece, pochi giorni dopo
mi spediva proprio una raccomandata. Della quale Mariolino, il
gran servitore di azienda privata, attendeva di rendermi nota soltanto se per qualche caso, fortunato o ricercato, mi avesse visto.
Lui recapitava l’avviso di giacenza quando gli conveniva, cosicché non informandomi subito, insieme ad altri avrebbe potuto
servirsi di azioni per controllare il protagonista. Manovra compiuta insieme ad accertamenti che in qualche astuta maniera violassero la privacy, sia prima sia dopo l’invio della raccomandata. Comportamento che lui non meno tenne durante la consegna
di una precedente raccomandata ma successiva al fax che spedii
nell’ufficio postale di Udine. Ossia quando attese quasi una settimana, prima di consegnare l’avviso di giacenza attinente a una
missiva antecedente all’incirca sette giorni.
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L’avviso di giacenza lo consegnava una settimana dopo ma
dichiarando di averlo immesso nella cassetta delle lettere nello
stesso giorno in cui la raccomandata sarebbe pervenuta al destinatario, ossia io. Ed è certo che lui non fosse stato, nel frattempo, assente per qualche siffatta ragion tale da costringerlo a imbucare in ritardo l’avviso di giacenza. No, lui era onnipresente e
ogni volta attendeva prima d’introdurre l’avviso di giacenza nella buca delle lettere, onde non informarmi, e intanto…
L’agenzia assicurativa ricevette una mia immediata risposta,
tramite raccomandata, in cui scrivevo:
«Con la presente, io sig. De Marco Fabrizio residente in Mereto di Tomba e intestatario della polizza in oggetto, riferita a
veicolo targato… comunico disdetta immediata poiché non mi
sento da voi tutelato e, per giusta causa, proseguo all’immediata
rescissione del contratto assicurativo.». «Considerando che non
ho mesi di ferie da usufruire, ma avendo emesso una quietanza
che assicura per altri tre mesi il veicolo, la rescissione di questo
contratto, seppure per giusta causa, è come se fosse per giustificato motivo.». «Mi riservo, inoltre, qualsivoglia altra contestazione possibile e persino nei vostri confronti.». «Mi riferisco in
merito al lieve sinistro accaduto e all’inaffidabilità che state dimostrando verso di me.».
Il Servizio Sanitario Nazional-aziendale
Avevo in precedenza accennato che Mariolino, ogniqualvolta
fossi mancante da casa per accompagnare mia madre a eseguire
le visite medico-specialistiche, avrebbe beneficiato della fortuna
di architettare qualche azione ingannevole. Tuttavia, quando per
assistere mia madre, bisognosa, dovevo assentarmi, il giorno si
presentava incerto perché alla lontananza da casa s’integrava la
possibilità d’esser intercettato in sala d’attesa. Riguardo a queste
stranezze mi ero già accorto anteriormente quando a necessitare
del mio sostegno era stato mio padre.
A Mariolino si aggiunsero i lettori delle varie società, corrotte, stacca bollette. Una in particolare, quella dell’acqua potabile,
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si presentava ogni volta che mia madre dovesse prestare una visita medica o, per esempio, un vaccino da inoculare in ambulatorio. Praticamente, tale società era presente sia il mattino sia di
pomeriggio e quando mia madre era assente per effettuare visite
mediche. Si trattava di coincidenze inverosimili, assurde. Fino a
quando un giorno e imitando una passata condotta della società
del gas, quella dell’acqua potabile si presentò nella mia dimora.
Ad aprire il cancello al letturista fu mia sorella perché era appena rientrata dall’ambulatorio dove aveva lasciato mia madre, così la lettura del contatore fu eseguita durante la nostra assenza.
In precedenza avevo, inoltre, scritto che per la Mafia Aziendale non rappresentasse un problema essere a conoscenza che io
e mia madre, in quel preciso giorno, saremmo stati fuori di casa.
E non avrebbe neppure costituito una difficoltà infilare qualche
paziente nella lista di attesa del giorno destinato alla visita specialistica. Questo nondimeno valeva per le visite che effettuavo
io, e una volta ottenuta l’impegnativa e prenotata la visita, una o
più persone interessate ad ottenere qualcosa erano inserite nello
stesso giorno e nel medesimo orario in cui toccava a me.
Avevo iniziato ad accorgermi che quando mi recavo a eseguire una visita medica, la Mafia Aziendale si univa a quella Statale violando la mia privacy. Alla mia prenotazione sarebbe susseguita quella di qualche persona interessata a «riconoscermi».
Quest’ultima sarebbe stata infilata nella lista dov’era inserito il
mio nominativo per, infine, ritrovarmela come minimo in sala di
attesa. Non crederete mica che per ottenere una visita medica a
breve termine, sia solamente una questione di soldi?
Il Servizio Sanitario Nazionale ha prescritto dei tempi da rispettare per ogni tipo di prestazione, entro i quali non si potrebbe andare oltre. Spesso, però, sono i medici, compresi quelli di
base, che possono interagire affinché ai pazienti siano fissati dei
giorni ben precisi per eseguire visite, esami, ecc.
Se nel momento in cui devi eseguire una visita in Ospedale,
prima e/o dopo di te, ogni volta, entra una persona che possiede
il nome e cognome di chi risiede nel tuo comune, è chiaro che
sono lì di proposito perché imbucati nella lista di attesa. Sono lì
perché qualcuno li ha piazzati, ma una di queste due persone potrebbe esser stata sfruttata di proposito. Nel caso che una di queste due persone, delle quali ascolti i nomi e cognomi pronunciati
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da un’infermiera che li invita a entrare in ambulatorio, risulta risiedere vicino a un ex Vicedirettore della Piramide, è sicuro che
vi sia presenza di qualcosa che non quadra. Se, infine, la seconda persona dispone di un grosso e alto mezzo agricolo che sfrutta in prevalenza da giugno a settembre per transitare nella via in
cui abito, il mistero s’infittisce. Ci s’incomincia a domandare se
nella sala di attesa ci fossero altri interessati a riconoscerti. Nel
caso in cui a queste bizzarrie inizi ad assistere dopo anni che hai
eseguito particolari denunce e, prima, tali anomalie non si erano
mai verificate, è chiaro che il sospetto cresce.
Tutto questo premeditare succederebbe perché una persona è
stata ingaggiata per vedermi, oppure potrebbe essersi verificato
un accertato precedente. Pertanto, un ignorante paziente sarebbe
sfruttato alla sua insaputa da un abile sistema mafioso aziendale-statale, che si serve di lui per parare qualcun altro. Questi due
sistemi potrebbero anch’esser usati congiuntamente. Infine, non
bisogna trascurare che chi mi avesse adocchiato in qualche immagine, non potrebbe più servirsene. A quel punto affermerebbe
di avermi notato grazie a quell’infermiera che pronunciò il mio
nome e cognome per invitarmi a entrare in un ambulatorio.
Ci sono Medici corrotti dalle aziende ma nessuno ha un caso
simile al mio, perciò difficilmente si accorgerebbe di ciò che potrebbe interessarlo, coinvolgere.
Tutto questo avviene perché l’uomo è continuamente soggiogato dalle altrui volontà che operano alla sua insaputa: talora nel
bene, altre volte nel male.
Certi Medici sono corrotti o non andranno lontano, come accade nelle aziende che devono avvalersi di una figura denominata «Medico di Fabbrica».
In un’azienda, più si allunga il tempo di permanenza occupato da un Medico che visita i lavoratori, e più aumenta la certezza
che quest’ultimo sia sceso a compromessi con la società.
Era il 1995 e alla Piramide c’era un Medico di Fabbrica che
si prendeva veramente cura dei lavoratori. Al punto che, giacché
ero colpito da problemi d’irritazione alle mucose del cavo orale,
lui si prestava per preservare la mia salute.
Mi riferiva che non appena fosse terminata la serie di visite
periodiche, programmate, che i lavoratori eseguivano affinché il
Medico di Fabbrica avesse un resoconto dello stato di salute, si
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sarebbe reso disponibile per discutere col Faraone. Terminato il
ciclo periodico delle visite programmate, avrebbe consigliato al
Faraone di trasferirmi per alcuni mesi in laboratorio e nei locali
dello stesso. In cui non sarei più rimasto a contatto con certe sostanze che avrebbero potuto aggravare il quadro clinico. Non sarei più rimasto a contatto o, tuttavia, costretto a respirare vapori
acidi e polveri d’Idrato di Calce che rendevano insalubre l’aria
respirata e provocante sulla pelle un fastidioso pizzicore.
Chi finora ha letto, sicuramente conosce l’effetto di un acido
che, oltre ad ustionare la pelle, lesiona le mucose orali. Ma, forse, non sa che una sostanza basica, l’opposto di una acida, è pur
sempre caustica. Nella stessa maniera con cui il concetto assume valore nominando la Soda caustica, per l’Idrato di Calce ottenuto dalla calce spenta il principio rimane identico malgrado il
termine chimico non sia esauriente.
È il ph a determinare se una sostanza sia acida o basica, e si
misura attraverso uno strumento denominato piaccametro. Grossolanamente si può individuare anche mediante la cartina di tornasole. Se una volta intrisa dalla sostanza la cartina diventa rossa, significa che il ph è acido. Qualora la cartina assuma una colorazione viola, allora il ph della sostanza è basico.
Queste due colorazioni costituiscono i due estremi raggiungibili di un ph, ma è possibile anche ottenere tonalità intermedie.
Una di queste è il ph neutro contraddistinto dal color verde che
l’acqua conferisce alla cartina di tornasole.
Dopo questa piccola parentesi tecnica, arriva il momento in
cui il Faraone è informato dal Medico di Fabbrica delle intenzioni di trasferirmi in laboratorio, e all’improvviso sono convocato d’urgenza in direzione.
Con addosso ancora la tuta mi reco in portineria perché il Faraone vuole incontrarmi immediatamente, e in men’ che si possa
ritenere mi ritrovo già davanti alla porta del suo ufficio. Intanto,
un Ragioniere gli ha già annunciato la mia presenza. Sudaticcio
perché era un pomeriggio d’estate e con la tuta non proprio pulita, busso alla porta socchiusa dell’ufficio dove lui mi sta attendendo col fumo che gli esce dalle orecchie.
Mi rendo immediatamente conto che tira un’aria Fantozziana
e l’incontro pare assumere le sembianze di un’ormai celebre parodia televisiva.
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«Avanti, venghi, venghi pure signor De Marco... si siedi e mi
dichi pure, mi spieghi qual è il problema!», richiese il Faraone
assiso e con aria da super io che finge di non capire e sapere.
«Mi scusi eh! Buon giorno signor Faraone», inizialmente risposi, aggiungendo poi: «Beh, signor Faraone, come le avrà riferito il Medico di Fabbrica, io ho dei problemi dovuti alla continua esposizione agli agenti chimici.».
Con aria seccata egli replicò: «Ma come...! Abbiamo gli aspiratori, le cisterne sono sicure, avete a disposizione i sistemi di
protezione individuale, e lei si lamenta…?».
«Sì è vero ma sono insufficienti al mio disagio, perché quando, ad esempio, a causa di condizioni meteorologiche avverse il
cielo è nuvoloso e c’è bassa pressione atmosferica, si forma una
cappa umida che rende l’aria irrespirabile…», e poi continuai:
«A maggior ragione quando l’aria si miscela ai vapori acidi che
si liberano nell’atmosfera, oppure quando al locale 117 devo restare a contatto con le polveri di calce. Non pretenderà mica che
indossi per tutto il turno di lavoro la mascherina antigas?».
A questo punto e senza mezzi termini, egli adirato come un
leone in gabbia rispose: «Se non le va bene il lavoro che svolge,
là c’è la porta… e lei può andarsene che io non la trattengo!».
Termino qui il dialogo poiché sarebbe superfluo proseguirlo.
Il Faraone si dimostrò indisponente, irremovibile e indisponibile
a spostarmi per un po’ in laboratorio. Chissà se l’attore-scrittore
Paolo Villaggio continuerà ad esserlo nei confronti dei Friulani,
dopo che avrà letto quanto scritto per lui qui sotto? Mettendolo,
però, nei panni di un sottoposto della Piramide:
«Vabbè, illustrissimo mega Direttore galattico, ma guardi che
all’opposto di quanto sostiene il suo Ragionier Fantozzi, il mattino io bevo una scodella di tè, o caffè, o caffelatte, come peraltro credo prendano gli altri Friulani.». «A volte, di pomeriggio,
riempio la tazza con una bevanda a base di cacao, non di “caccao”!». «E poi, il suo sottoposto sarebbe forse pronto a smentire che in Liguria non ci sia produzione di preminenti vini? Come peraltro in Friuli Venezia Giulia.».
L’incontro col Faraone fu breve, e quand’egli si dimostro così recalcitrante, gli riferii che io tenessi al mio lavoro e che avrei
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risolto i problemi da solo. Non so se lui intese le mie parole perché spesso la sensibilità di comanda viene a mancare. In sostanza, con dolcezza lo mandai a «quel paese».
Esula dalla mia personalità utilizzare certi termini peggiori, e
perciò ritengo che questa locuzione mi sia concessa perché, di
solito, se non trattasi di uno scrittore affermato o di una persona
conosciuta che può involgarirne persino il titolo, come ha compiuto Oliviero Beha in una sua opera, certi vocaboli sono censurati. Se, infine, questa persona mettesse soltanto il proprio nome
perché le proprie opere librarie sono il frutto di plagi o scritte da
altri, allora non servono commenti. In questo momento ignoro la
ragione che abbia indotto questo scrittore a utilizzare un termine
facilmente sostituibile con un altro meno scurrile, ma se quando
nominando tale parte anatomica si fosse riferito alla regione Puglia, non avrei nulla da eccepire.
L’Italia è il paese dei furbetti, e anche la sua conformazione
geografica ne rende l’idea. Se qualcuno traccia due linee rette e
parallele che dalla regione Lazio raggiungono la Sardegna meridionale, e prolunga il Salento fino al Peloponneso cosicché da
ricavarne una coda, ottiene la figura di un noto cartone animato.
Quella di un furbo felino che ne combina di tutti i colori ma non
incorre mai in punizioni: la Pantera Rosa.
Nonostante ci fosse personale a sufficienza per sostituirmi, il
Faraone non si dimostrò disposto a trasferirmi per un periodo in
laboratorio affinché potessi trarne giovamento. E allora non mi
rimase altro che attendere tempi migliori. I quali sopraggiunsero
nel momento in cui trovai un metodo di lavorazione, ossia un sistema per evitare di usare, perlomeno, l’impianto che esponeva
al contatto con l’Idrato di Calce.
Per quel che riguardava i vapori acidi, non era nelle mie possibilità poterli schivare, e poiché avessi informato il Medico di
Fabbrica, il Faraone lo portò nel reparto per fornirgli una subdola dimostrazione che quanto riferivo non fosse vero. Chiaramente, lasciarlo credere era nelle disoneste intenzioni di un vile Direttore di azienda che è pagato per curarne gli interessi. Quel viscido piccoletto dall’aria di grande saputello convocò il Medico
di Fabbrica nel reparto Nitrazioni mentre avevo il turno di notte.
Questo venditore di fumo aziendale portò il Medico di Fabbrica nel reparto in cui pareva fosse appena passato un esercito
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d’arbre magique. Lavorazioni nocive subiranno un’interruzione,
i boccaporti saranno sigillati, aspiratori e ventilatori devieranno
i fumi inquinanti, dispersioni di vapori acidi finiranno coll’esser
stagnate, ecc. In sostanza, suppergiù quello che accadeva quando c’erano delle visite di controllo da parte degl’Ispettori.
Siccome il Medico di Fabbrica non era ingenuo né corrotto,
si accorgerà dell’orpello preparato dal Faraone e sarà destituito
dall’incarico. Il Faraone lo soppianterà con tale A.B. residente a
San Daniele del Friuli. Quest’ultimo diverrà Medico di Fabbrica
e assolverà l’incarico per molti anni.
Essendo un oscillante fantoccio nelle mani di un’azienda, ma
che sapesse d’esserlo poiché assentiva a squallidi compromessi
con quest’ultima, si preoccupava dei propri interessi economici
e di quelli del Faraone.
Durante certe riunioni aziendali si capiva che era stato pagato
per «sballare», ossia sminuire gli effetti tossico-nocivi provocati
da talune sostanze, o materie prime, e alcuni prodotti finiti. Non
solo dichiarava l’innocuità di certi prodotti che, addirittura, erano cancerogeni, ma durante le visite mediche consigliava ai lavoratori, scomodi, di licenziarsi. Il suggerimento era stato, oltretutto, offerto a me e questo era avvenuto proprio quando avevo
cominciato a denunciare il comportamento del Faraone, che stava mettendo a repentaglio l’incolumità dei Conduttori di caldaie
a vapore. Un lavoratore, però, non deve in nessun caso permettersi di contestare le disposizioni aziendali, altrimenti pagherà le
conseguenze. Le acuminate proposte di dimissioni che il torbido
medicastro avanzava, non avvenivano per ragioni di salute. Erano, invece, consigliate gratuitamente quando interessavano persone che al Faraone, in pratica all’azienda, fossero scomode.
Che razza di Medico del Piffero! E pensare che quello precedente, per mezzo della sua munificenza, ti informasse, addirittura, che grazie agli anni di lavoro svolti avessi diritto a goderti un
periodo di riposo alle terme. Luogo in cui trascorrere un periodo
per disintossicarti ed evitare così d’incorrere nell’effetto prodotto dal mitridatismo. In sostanza, si tratterebbe di un pericolo in
cui il lavoratore incorre quando essendo costretto a esporsi sempre alle lavorazioni di taluni prodotti, rischia di non accorgersi
che il suo corpo si assuefà assorbendo ogni giorno piccoli quantitativi di sostanze tossiche-velenose.
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Il Medico di Fabbrica che ti informava di particolari tuoi diritti era un bravo Dottore avente veramente cura dei lavoratori.
L’ultimo era tuttalpiù paragonabile all’ex Sindaco di Mereto, e
anch’egli Medico: un burattino nelle mani di un’azienda pericolosa.
E io pago!
Approccio ora un’equazione matematica in cui paragonando:
le Assicurazioni allo Stato, l’A.N.I.A. (Associazione Nazionale
fra le Imprese Assicuratrici) alle Regioni, i Carrozzieri ai Comuni e il cliente al cittadino, si ottiene il seguente.
ASSICURAZIONI : CARROZZIERI = STATO : COMUNI
Ossia: le Assicurazioni stanno ai Carrozzieri come lo Stato
sta ai Comuni. Ma, a questo punto, bisogna chiedersi: «E allora
a cosa possiamo paragonare le Province?».
Ovviamente alla moltitudine di Periti assicurativi raggruppati
all’interno dell’A.N.I.A.
Quando per eseguire un lavoro il Carrozziere utilizza i soldi
del cliente o il Comune si serve di quelli dei cittadini, quel dato
lavoro, quella data opera ha un costo. Quando, viceversa, il lavoro da eseguire c’entra con l’A.N.I.A. e, pertanto, con le Assicurazioni nel caso dei Carrozzieri, o c’entra con le Regioni perciò con lo Stato nel caso dei Comuni, i costi dei lavori lievitano.
Io non sono convinto che le spese aumentino soltanto a causa
di un ente intermedio quale il Perito Assicurativo oppure la Provincia. Credo, invece, che ci sia un aggravio e, per quel che riguarda i Comuni, uno spreco di denaro pubblico che sfocia nelle
speculazioni.
In passato, avendo subito un incidente, richiesi d’eseguire un
preventivo orale del danno – tutto compreso – recandomi in una
carrozzeria poco distante dal punto in cui subii il sinistro, alle
porte di Basiliano. Si trattava di tamponamento posteriore poco
violento e che permise di raggiungere la carrozzeria più vicina.
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La mia auto non era malconcia perché aveva solamente subito un lieve sinistro a velocità ridotta, pertanto inizialmente omisi
d’informare il Carrozziere che il danno lo avevo ricevuto. Ossia
non lo avvertii che ci sarebbe stato l’intervento della compagnia
assicuratrice, per cui richiesi solo un preventivo orale.
Non appena egli terminò di valutare il costo della riparazione, m’informò che ammontava pressoché a due milioni e mezzo
delle vecchie lire, tutto compreso e perciò I.V.A. inclusa. Il preventivo orale del Carrozziere mi lasciava abbastanza tranquillo
perché sul listino dell’usato del mensile «Quattroruote», la mia
automobile era stimata all’incirca ottocentomila lire in più.
Quando il preventivo fu messo per inscritto dal Carrozziere,
il costo lievitò di un milione e questo accadde dopo che il Perito
assicurativo, insieme all’autoriparatore, avesse eseguito la perizia riguardante la stima del danno. Così il preventivo della riparazione oltrepassò la valutazione dell’usato e ci fu il tentativo di
mandare a rottamare il mio veicolo che, non era costruito di recente ma neppure vecchio. Il tutto era possibile perché la compagnia assicuratrice stimava il valore dell’automobile basandosi
sull’usato del listino Eurotax. Quello del mensile «Quattroruote» era stato reputato sovrastimante e, per questo motivo, trascurato.
Siccome la situazione non convinceva, e ritrovatomi con un
preventivo dei lavori maggiorato, sapevo che dall’autoriparatore
avevo lasciato un’auto in grado di raggiungere un’altra carrozzeria. Allora, disgustato da quello che stava accadendo, la ritirai
per portarla da un altro Carrozziere e al quale, come al primo interpellato, in primis richiesi un preventivo orale del danno. Soltanto dopo lo informai che, avendolo subito, sarebbe intervenuta
la compagnia assicuratrice. Anch’egli stimò il danno in pressappoco due milioni e mezzo di lire. L’intervento del Perito assicurativo, però, per la seconda volta provocava il lievitare del costo
della riparazione da effettuare tramite il preventivo scritto.
I parametri dei preventivi compilati dai due Carrozzieri collimavano col danno che, oralmente, entrambi valutarono. Ossia:
tutti i pezzi da sostituire, i costi della manodopera e le imposte
I.V.A. erano stati citati sia nei preventivi orali sia in quelli scritti. Allora, nuovamente seccato da quello che stava succedendo,
mi recai dall’agente assicurativo per dimostrare le mie ragioni.
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Arrivammo a un accordo grazie a una valutazione complessiva
del veicolo usato ma che tenesse in considerazione altri elementi
ignorati da Eurotax.
A questo punto, chiedo di prestare attenzione perché quando si
tratta di normative che vanno a toccare gli interessi economici
delle società, allora i parametri europei assumono valore mettendo in disparte quelli nazionali. Quando, viceversa, quei parametri europei che trattano Leggi per la tutela delle ferie dei
lavoratori sono già attivi a livello europeo, in Italia non valgono ancora. Queste deficienze giuridiche non emergono soltanto
trattando l’argomento «lavoro».
Quello che era accaduto riguardo al costo per la riparazione
della mia vettura era indice che ci fosse un tariffario che subisse
un’alterazione, ossia un incremento che spuntava nell’istante in
cui l’A.N.I.A. e le compagnie assicuratrici intervenivano. Addirittura si sarebbe, oltretutto, potuto ipotizzare la presenza di una
mera speculazione apportata ai danni della compagnia assicuratrice rispondente del sinistro, e che le assicurazioni stessero giocando a scannarsi l’una con l’altra.
Certamente l’A.N.I.A. si stava rivelando un ente che, agendo
da intermediario tra le assicurazioni e i Carrozzieri, provocasse
un aggravio sul costo dei lavori, ma rimane da chiedersi se trascorsi gli anni che ci dividono da quel che avvenne, l’atmosfera
sia cambiata. Io ritengo di no, e ancor meno valutando gli stratosferici aumenti dei veicoli nuovi e le conseguenti svalutazioni.
Alla fine del secondo millennio non ero solamente io ad aver
saggiato questa condizione lesiva e speculativa. Le testimonianze di altre persone che conoscevo confermavano che si trattasse
di casi frequenti.
Nei giorni nostri si addossa un peso agl’incidenti che devono
essere risarciti, eppure è proprio su questi che campano le assicurazioni. I conducenti virtuosi non è che siano proprio visti di
buon occhio, come ogni persona potrebbe erroneamente credere.
Quando un automobilista per molti anni non provoca né causa
incidenti, è quasi un peso per un sistema assicurativo che ha assistito alla sua iniziale variazione negli anni novanta e raggiungendo le diciotto classi.
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Mi riferisco al sistema bonus-malus che, col trascorrere degli
anni, ha comportato un aumento delle classi di merito perché in
pochi anni, senza causare incidenti, gli automobilisti raggiungevano quella più bassa e comprendente uno sconto del 50% sul
premio.
L’argomento finora descritto e riguardante l’A.N.I.A. e i Carrozzieri, non è escluso che possa essere preso in considerazione
e assumere valore, per le Regioni, quando i Comuni eseguono i
lavori sovvenzionati da queste ultime.
Eravamo giunti al termine del 2009 e, stancatomi di assistere
ai vari inganni che provocavano l’aumento del traffico in questa
via sottoposta a un’invasione lesiva, spedivo un piano antitraffico. Lo preparavo dopo aver ponderato attentamente i motivi che
lo provocavano e ne fornivo, insieme a una denuncia, una copia
aggiuntiva alla Magistratura. Un j’accuse, perché il traffico su
questa strada era causato volontariamente da certe amministrazioni pubbliche e, in più, dalle ditte che, oltretutto, si servivano
di veicoli rumorosi per disturbare la quiete pubblica.
Non appena capii le direzioni dalle quali proveniva il traffico,
mi mossi alla ricerca di un percorso campestre da rivalutare per
beneficiare di una deviazione della circolazione stradale, in maniera da alleggerire la provinciale passante per casa mia.
In una bozza del piano antitraffico presentato al competente
ufficio Provinciale di Udine, postulavo di asfaltare alcune strade
campestri e di ampliare un ponticello. In più, addirittura, suggerivo un altro percorso, il quale avrebbe condotto i mezzi da una
strada statale a una regionale e permettendo, così, di accedere a:
un vasto polo industriale, un frequentato comprensorio scolastico fuori zona e quello più piccolo, di Pantianicco.
Non assistetti più all’inizio dei lavori richiesti, e monitorando
l’ambiente incominciai ad accorgermi che fossero in corso alcune azioni di boicottaggio delle quali si erano resi partecipi amministrazioni comunali, proprietari terrieri, enti locali e, persino,
apicoltori che avevano ottenuto permessi particolari. Tutti a remare contro affinché mai iniziasse una serie di lavori utili per lo
smaltimento del traffico stradale. In modo più dettagliato tratterò quest’argomento nel prossimo capitolo.
Un giorno giunse la notizia che per innalzare un altro ponticello, di ben poca utilità, il Comune avesse ottenuto un sovven287
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zionamento di ben duecent’ottantacinque mila euro. Prima, però, approfittando delle alluvioni che interessarono il Veneto e il
Friuli occidentale, l’amministrazione Comunale cominciò a praticare un subdolo terrorismo idrogeologico cartaceo e andando a
rivangare un’alluvione accaduta novant’anni prima. Agì inviando un periodico nelle abitazioni del comune di Mereto e contenente un articolo celante l’ennesimo inganno anacronistico: una
retrodatazione asserente che l’opuscolo informativo fosse stato
stampato molto tempo prima dell’alluvione, ma non era vero.
La consegna, infatti, fu inoltrata a metà novembre del 2010,
mentre l’alluvione si era verificata il primo giorno dello stesso
mese. Nell’intermezzo temporale si sarebbe inserito un periodo
più che sufficiente per scrivere e stampare, sicuramente con celerità, un ulteriore articolo da integrare all’opuscolo che sarà recapitato nelle case degli abitanti del Comune di Mereto. Il tutto
per creare un clima di terrore determinato dagli accadimenti recentissimi: porcherie politiche intimidatorie.
Per continuare a celare l’inganno anacronistico e contrastare
le mie intuizioni oramai giunte agli occhi delle maestranze, saranno stampati dépliant successivi che subiranno l’ennesimo ritardo nella consegna. In cui, addirittura, manifestazioni preventivate negli opuscoli saranno ormai già state svolte. Documento
che chissà quante persone come mia madre avrebbe tratto in inganno, come chissà quanti protocolli e incartamenti sono il prodotto di manipolazioni negli uffici statali e privati. Per omettere,
omertare, falsificare, modificare parando i deretani di dirigenti,
quadri, Ispettori, Avvocati e Sindaci corrotti, figuriamoci quante
carte spurie siano state create in questa vicenda.
C’era, però, un particolare del quale non tutti erano informati
e riguardava un preciso lavoro che era stato eseguito per evitare
l’esondazione del torrente Corno. Al termine degli anni novanta
si ultimarono i lavori di un canale scolmatore sotterraneo avente
la funzione d’ottenere il deflusso dell’acqua in eccesso causante
l’ingrossamento del torrente durante le piene.
Lo stesso modello di progetto che avrebbe messo in sicurezza
Genova e impedendo al rio Ferreggiano di esondare, qui fu realizzato e là rimase solo sulla carta. Negli anni seguenti, Genova
e il litorale ligure saranno ancora interessati da piogge torrenziali. Resta da chiedersi se le manutenzioni dei corsi fluviali avreb288
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bero consentito il deflusso di tutta l’acqua caduta, bombe incluse. In caso contrario, Genova rimarrebbe a rischio, salvo che…
Il torrente Corno, che avrebbe potuto esondare allagando la
frazione di 1Pantianicco D.O.P., pertanto era già stato messo in
sicurezza dieci anni prima.
Disporre di un canale scolmatore che costituisce una sicurezza non deve, però, indurre la popolazione a credere che, data la
sua presenza, si possa trascurare o interrompere la manutenzione del corso d’acqua. Questo vale in particolar modo per il bacino antistante all’ingresso del canale scolmatore, che dev’esser
ripulito quando si verifica una piena provocante un conseguente
trascinamento di materiale vario. Quest’ultimo, se non rimosso,
rischierebbe di andare a impedire l’accesso dell’acqua al canale
artificiale costruito e rendendolo inefficiente.
Qui, in Friuli Venezia Giulia, ci sono battaglie ventennali che
si combattono per scongiurare la realizzazione di dighe e casse
d’espansione sul fiume Tagliamento. Sindaci di tutte le provenienze politiche, W.W.F., Legambiente, più altre varie associazioni locali, si unirono allo scopo d’impedire che i propri territori fossero interessati dalla costruzione di opere superflue. Opere
faraoniche che, oltre a creare scempi ambientali, metterebbero a
rischio e pericolo il territorio e l’ecosistema ma alimenterebbero
le lobby del cemento. Costruzioni molto onerose e sulle quali si
esercita pressione sulla loro realizzazione ogniqualvolta accada
un avvenimento alluvionale, persino che non riguardi questo territorio. Insorgenti disastri territoriali ai quali si è diventati capaci di attribuirne la sola responsabilità alle precipitazioni e tralasciando le altre concause come, ad esempio, gli sghiaiamenti e
le manutenzioni che sono stati eseguiti sempre meno. Ai quali si
sommano gli abusi edilizi e piani regolatori che hanno concesso
1
Mereto di Tomba deriva dal latino «Meleretum Propre Tumbam», che si traduce in: «gli alberi di mele vicino alle tombe». Nonostante quest’idioma, Pantianicco è
il paese in cui ogni anno si svolge la mostra regionale della mela, a cui partecipano in
prevalenza esponenti di destra. Una leggenda metropolitana narra che in un giorno di
piogge torrenziali, il torrente Corno avesse assunto una colorazione molto scura: quel
colore marrone che l’acqua assume quando il fango è trascinato a valle da una piena.
All’acqua fangosa trascinata, si aggiunsero centinaia di ratti che uscirono dalle sponde del torrente e poi girovagarono nei terreni ricchi di meleti. La frazione di Pantianicco possedeva, rispetto a Mereto di Tomba, un numero maggiore di abitanti, perché
la leggenda racconta che i ratti usciti dal torrente, quando trovarono i meleti salirono
sugli alberi e, una volta addentate le mele, si tramutarono in abitanti del paese.
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di ergere fabbricati, abitazioni e costruire strade. Il tutto: troppo
vicino ai corsi d’acqua, sotto le colline e dai lati in cui il corso
fluviale aveva già esondato in precedenza. In talune città è stata
riscontrata una manutenzione fognaria inesistente perché i denari era preferibile assegnarli ad altri scopi. Ogni zona territoriale
possiede motivi che abbiano provocato una o più gravi sciagure,
e l’uomo ha avuto la sua fetta di responsabilità.
Nel 2011, in aggiunta, fu integrata un’opera che garantì una
sicurezza in più per il torrente Corno. Essendo già a conoscenza
del lavoro iniziale, proposi di utilizzare cinquantamila euro per
demolire il piccolo ponte conformato male, vetusto, malsicuro e
quasi inutile. La cifra rimanente sarebbe bastata per allargare il
secondo ponticello di cui suggerii la modifica all’ufficio provinciale. Nel 2013 mi rivolgerò alla Prefettura, perché se una bomba d’acqua fosse caduta a valle del canale scolmatore, avrebbe...
Il Comune perse l’occasione di poter speculare sopra un ponte e rimase ad attenderne altre. Una delle quali fu la ristrutturazione di piazza Della Vittoria, in cui la Regione avrebbe stanziato per i lavori ben un milione di euro. L’opera, però, non fu realizzata. Una variazione da apportare per l’importo prestabilito in
un milione di euro, il quale doveva essere stato stanziato in favore del restauro della piazza, sarebbe stata quella di sostituire il
nome di «piazza Della Vittoria» con «Bonaventura».
«Oh ragazzi!», diceva qualcuno. Aggiungendo: «Un milione
di euro sono circa due miliardi delle vecchie lire!».
Ma qualcun altro controbatterebbe: «Un milione di euro, cosa
volete che sia cribbio!.. è quello che inizialmente ho regalato alle mie amichette…». «Permetterete che dalle plusvalenze di novanta milioni di euro che nel 2011 mi sono ritrovato investito in
B.T.P. europei, un milioncino me lo sia sputtanato!». Poi, forse,
aggiungerebbe, ma poiché probabilmente, in seguito, lui si sarebbe astenuto, allora avrei dovuto aggiungerlo io: «Io non sono
mica come quel baluba di Balotelli, che in campo avrà un certo
valore ma a periodi frequenta Milano con una rossa fuoriserie e
come fosse a casa sua.». Berlusconi, se potesse, smentirebbe di
averlo definito «una mela marcia». Entrambi sono mele marce!
Ci sono in giro proprio certi spacconi che, grazie a quello che
«guadagnano», credono di stare in cima a chissà cosa o di essere
una rarità quando in televisione si cimentano usando gli atteg290
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giamenti di chi tiene la grana, con la quale si comprano tutto o
molto più di quello che la gente comune può permettersi. Ed è
ora di finirla con questo tipo di persone che, già guadagnando
bene, continuano ad arricchirsi a scapito di chi potrebbe ricoprire qualche loro ruolo profumatamente compensato dalle società
che li retribuiscono per pubblicizzare prodotti di qualsiasi genere; vedi la seconda dedica poetirica, seguente le appendici.
Rimanendo in tema di compensi faraonici, forse non tutti sono a conoscenza che ci fu un’edizione del Grande Fratello in cui
il vincitore si assicurò pressappoco la cifra che ora sto argomentando. L’edizione trasmessa era la sesta e, nel 2006, Augusto De
Megni grazie, tra l’altro, a un trascorso non proprio fortunato, in
circa tre mesi portò a casa quasi novecentomila euro. Poi, il suo
cammino di vita proseguirà con qualche comparsata oppure piccole partecipazioni all’interno di trasmissioni televisive registrate in alcune emittenti private. Tanto lui era già benestante. Perciò, come al solito, «è piovuto sul bagnato». Ritengo che sia risaputo cosa sono novecentomila euro in questi tempi di crisi.
Non intendo divagare troppo riguardo a questi furti che non
sopporto e potrebbero rientrare tra gli argomenti di un futuro libro, quindi ora vorrei che ci rendessimo conto che quando i soldi provengono dallo Stato e, infine, tramite le Regioni sono assegnati, i costi lievitano? Come mai?
Nel 2005, una mia zia residente in una frazione di Basiliano
decedette lasciando tutti i suoi averi alla Parrocchia di Vissandone, sotto la curia di Udine. Tra i quali due terreni agricoli che
mia madre aveva in locazione, il cui contratto scadeva nel 2006.
Negli ultimi due anni, il canone fu saldato alla Parrocchia di
Vissandone, e il primo di questi ultimi due fu il Prete in persona
a riscuoterlo, ma l’ultimo anno arrivò in casa mia un Geometra
(M.F.). Quest’ultimo, non era stato incaricato unicamente per riscuotere il canone di locazione, ma, oltretutto, di trattare la vendita dei due terreni giacché incaricato direttamente dal Prevosto
P.G. Due anni dopo le mie denunce, il prete sarà trasferito nella
diocesi di Udine perché, come dappertutto, c’è chi rubando poco
va in galera e chi sottraendo tanto fa carriera.
Durante la trattativa ci si accordava, quindi, per la cessione di
uno dei due terreni a un costo finale di diecimila euro, però a un
certo punto il geometra cominciò a farsi rincorrere, a servirsi di
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dichiarazioni false, a simulare la nostra non presenza in casa, a
dichiarare di trovarsi all’estero e, persino, a scaricare sul campanello di casa la responsabilità della sua mancata visita. Ossia
un altro mariolo che, al pari di certuni Avvocati già menzionati,
alla fine scomparirà ma acquisendo la nomina di Direttore foraneo della Parrocchia di Basiliano.
Trascorse del tempo e poi altre due persone entrarono in casa
mia lasciando comprendere a mia madre che il prezzo del terreno era triplicato. Le giustificazioni adottate erano insufficienti a
rendere plausibile un simile aumento, se non quello che costoro
avessero ottenuto i dati riguardanti il conto corrente bancario di
mia madre. Lei continuava a mantenerlo nella stessa banca corrotta dove, in precedenza, lo tenevo anch’io.
Il Geometra che si prese il compito d’ottenere la firma di mia
madre sul contratto di vendita, oltre a portare lo stesso cognome
del Carrozziere di Basiliano, divideva lo studio con un altro libero professionista possedente il medesimo cognome di un mio
ex collega Conduttore ausiliario. Qualora non sia ancora sufficiente per comprenderne la «direzione», si aggiunga che lo studio per Geometri era posto vicino alla sub-agenzia del gas dove,
dirimpetto, era situata un’altra filiale della banca corrotta e, fino
al 2011, la stazione dei Carabinieri.
Quando all’improvviso il costo del terreno che eravamo interessati ad acquistare triplicò, mio padre era passato a un’altra vita e mia madre s’incaponì a tal punto che, per timore di perderlo, spese più di trentamila euro. Prima, però, lei stipulò un fittizio e limitato contratto di locazione con cui le fosse garantito il
diritto di prelazione, che lasciò il terreno incolto per un anno.
Denunciai l’occorso, non solo evidenziando che a mia madre
era stato venduto un terreno agricolo al costo di uno edificabile,
ma che si trovava in una zona considerata rurale ed appartenente
al riordino fondiario.
Col trascorrere degli anni mi renderò, inoltre, conto che alcune persone dimostratesi interessate a incontrarmi di persona, o
che per altre ragioni finiranno su certe mie liste, erano i proprietari di ben precisi appezzamenti agricoli. Aventi, inoltre, parentele strette ben definite o particolari conoscenze.
Il terreno che mia madre acquistò aveva, inoltre, piantato sui
tre quarti della sua lunghezza il traliccio di un elettrodotto, e per
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questo motivo sarebbero sicuramente esistite Leggi in materia e
distanze da rispettare che, nel complesso, avrebbero inciso provocando una svalutazione del terreno. A maggior ragione quando un giorno, con l’approvazione di un nuovo piano regolatore,
l’appezzamento fosse stato considerato edificabile, ma chissà tra
quanti anni lo sarebbe divenuto.
La crisi odierna non risparmia neppure il settore edilizio, e i
Comuni sono tra i primi a rinunciare alla cementificazione della quale, tra l’altro, nel corso degli anni se n’è abusato comportando un calo delle produzioni destinate al fabbisogno alimentare. Tra le peggior motivazioni di queste deficienze si evidenzia
lo sfruttamento dei terreni per altri scopi come, per esempio, le
centrali a biomasse che favoriscono il depauperamento del territorio e delle proprie colture, nonché deforestazione e consumo
di cereali. Per produrre energia elettrica e carburanti biologici,
società e Comuni speculano bruciando i cereali e il patrimonio
boschivo, ma ai quali poi si dovrà sopperire con l’importazione
di quei prodotti che già producevamo. Derrate che, inoltre, non
è detto siano sicure come le nostre, mentre noi, invece, consumiamo prodotti non garantiti dal punto di vista delle specifiche
salutistiche. Tuttavia, questo è il business che favorisce gli accordi internazionali d’import-export e il consumo di carburante
per alimentare: autotreni, aerei, autostrade, le casse dello Stato
e le tasche di chi estrae, produce e vende gli idrocarburi derivati dal petrolio. Così, nel contesto globale, si fornisce un’energia
ritenuta pulita ma che, sommando il tutto, non impedisce il consumo di quella ormai considerata sporca: troppi interessi. Come riprova è possibile citare l’aumento del numero di veicoli a
gasolio sulle nostre strade, che anziché determinare un abbassamento del relativo prezzo, ha sortito di un’azione speculatoria. Questo sta nondimeno accadendo sia per le forme di spedizione in bollo ordinario, sia per le raccomandate. Da inchieste
di mercato apprendemmo che nel 2012 ci fu un notevole incremento di spedizioni, ma anziché calare i prezzi di francobolli e
raccomandate, nel 2013 li aumentarono. Il costo di spedizione
prioritario passerà da sessanta a settanta centesimi e quello di
una raccomandata sfiorerà i quattro euro. Non saranno gli unici gravami, perché trattasi di ladri legalizzati dallo Stato.
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La Mafia Statale-Giudiziaria, un processo-farsa
Il 26 settembre del 2009 arrivavo al fiume Tagliamento e costatavo la presenza di automezzi della Protezione Civile, sanitari
del 118 e un nugolo di autoambulanze.
Si trattava di un’esercitazione spettacolarizzata che prevedeva l’utilizzo di un elicottero del 118. Il velivolo, però, non stava
solamente attirando l’attenzione dei curiosi, ma anche le ire di
chi, avendo programmato di accedere al greto del fiume, era costretto a subirne il fracasso assordante e l’aria spostata dalle pale
dell’elica. Con persistenti andirivieni e atterraggi effettuati soltanto a qualche centinaio di metri, molestava gli stoici bagnanti
che si erano dovuti spostare per accontentarsi di uno spazio distante dal corso del fiume, vicino alla sponda. I ripetuti passaggi
dell’elicottero erano malsicuri perché durante l’esercitazione si
spostava soltanto di duecento-trecento metri, atterrando alternativamente in mezzo all’alveo del fiume e sopra un prato dove rischiava di collidere contro gli alberi ad alto fusto.
Io non scesi subito nel greto perché rimasi ad assistere a quella buffonata svolgentesi dapprima che arrivassi sul luogo. Così,
prima di scendere sul letto del fiume Tagliamento per raggiungere i miei amici, attesi che l’esibizione terminasse. Mentre stavo filmando la manifestazione, incontro un amico e gustiamo un
gelato, a testa, insieme.
Premetto che avendo assistito varie volte alle esibizioni acrobatiche svoltesi a Lignano Sabbiadoro, non notai differenze con
quella in corso sul greto del fiume se non per l’assenza di aerei
e, in questo caso, la mancanza di una benché minima previa informazione. Alle quali s’integrava la mancata attuazione di una
qualsivoglia misura di sicurezza idonea a scongiurare incidenti.
L’unico fattore rilevante era la presenza di un congruo numero
di autoambulanze, lì non tutte per ragioni di sicurezza!
Utilizzando la parola «informazione», non mi riferisco ad una
pubblicità attuata in modo esteso e tale da attirare sul posto molte persone. Fine al quale indubbiamente non si mirava. Ma al rispetto nei confronti di chi, avendo letto uno straccio di cartello
informativo applicato nei giorni precedenti, sarebbe stato avvisato. Siccome quella manifestazione era stata organizzata setti294
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mane prima dello svolgimento, con un’informazione antecedente i bagnanti sarebbero stati avvisati che il greto era occupato. In
più, della presenza di una telecamera professionale, parrebbe di
Rai Tre, che avrebbe ripreso la buffonata.
Essendomi perso la parte iniziale dello spettacolo e, inoltre,
soffermandomi per un po’ ad assistere allo stesso, sceso sul greto del fiume mi riferivano che l’elicottero non era stato usato solamente per l’esibizione. Il mezzo statale era stato utilizzato per
soddisfare la curiosità, più il desiderio, di persone comuni tra le
quali c’erano alcuni bambini. Così tutti salivano sull’elicottero,
alla spicciolata, ed erano portati a fare un bel giretto a spese dello Stato. Adulti e bambini non erano casuali perché rientravano
tra quelli del gruppo esibizionistico-buffonesco, di sicuro erano
parenti, amici, ecc.
I miei amici mi raccontarono, inoltre, che i bagnanti rimasti
avevano inveito contro i protagonisti della manifestazione esibizionistica che, a reality appena iniziato, aveva costretto altri ad
andarsene. Tutti compatti esortarono quelli dell’elicottero a togliersi dai piedi, poi una sguattera del 118 si prodigava per mantenere alta la tensione minacciando l’intervento dei Carabinieri.
Quando divenni a conoscenza di questi ultimi particolari, non
feci in tempo a capacitarmi di quanto fosse accaduto, che arrivarono i Carabinieri. Guarda il caso, loro giunsero quand’ormai la
manifestazione era conclusa. Nel momento in cui arrivarono era
sicuramente trascorsa più di un’ora, anche due, dall’inizio della
buffonata, e i partecipanti erano digià belli e svaccati nei pressi
del chiosco in mezzo al verde dove tracannavano una bevanda.
Sicuramente i Carabinieri, al loro arrivo, saranno stati avvicinati dai partecipanti e dev’esser stato rivelato il nominativo del
più coriaceo tra i miei amici, che non permetteva ai manifestanti
di maltrattare i bagnanti.
A un tratto, dall’alto della piccola altura dalla quale si accede
al fiume gretoso, odo la voce di un esaltato che, a squarciagola,
grida il cognome del mio amico. Mi volto guardando di sottinsù
e distinguo le divise blu di due Carabinieri. Uno dei due urlava:
«Iannaccone! Iannacone!».
«Cosa c’è?», rispose a voce alta il mio amico.
«Iannaco’ Gino! Venga su, venga su!», gridava uno dei due
Carabinieri.
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Fu così che intervenimmo noialtri, suoi amici, consigliandolo: «Gino, ma digli che vengano giù loro, tu sei in costume!».
Allora il mio amico gridò: «Venite giù voi!». E Gino non è
uno che possiede una voce da cinedo, la sua è fragorosa.
«Iannacco’! Iannaco’! Venga su, venga su!», ripeté berciando
e sbraitando, come un cane selvatico, uno dei due Carabinieri.
A quel punto, noialtri in coro gridammo: «Venite giù voi!».
Ma i due Carabinieri insistevano: «Iannaco’! Venga su, non
si preoccupi che non la arrestiamo!».
A queste ultime parole, noi tutti, ci guardammo negli occhi e
ci spendemmo in una sghignazzata, esclamando a voce alta: «Ci
mancherebbe altro!», ossia chi credono di essere questi qui?
Gino è un uomo alto, forte e fervoroso, ma preso da quella situazione era intenzionato a salire prostrandosi al volere dei due
reprobi in divisa. Si era alzato e aveva percorso alcuni metri del
breve sentiero accostante in modo parallelo il greto, quando noi
gli gridammo: «Non andare, lascia che vengano giù loro!».
Così Gino si ritrovo impigliato tra l’andare e il rimanere manifestando quelle caratteristiche movenze a scatti che uno compie quando tentenna. Dal rialzo si continuava a sentire: «Venga
su! Venga su!», e dal greto noi che lo esortavamo «Non andare
Gino, lascia che vengano giù loro!». Allora Gino ritornò da noi.
Siccome lo sfrontato comportamento dei due servitori statali
m’irritava, e senza dimenticare le onte che avevo subito in passato, gridai: «La Procura della Repubblica deve fare bene il suo
lavoro anche quando a richiederlo non siete voi!».
Il sentiero che divideva noi bagnanti dai Carabinieri non era
impervio né scosceso, raggiungerci sarebbe stato semplice. Eppure costoro non volevano rischiare di sporcarsi le babbucce che
calzavano, né di fare un saltino per guadare il minuscolo ruscelletto che scorreva parallelamente alla sponda del fiume, un filo
d’acqua.
Ad un certo punto, costatando che stavano perdendo la battaglia, percorsero un tratto del sentiero e, gravemente, asseverarono: «Voi vi state rifiutando di fornire le generalità!».
A quel punto, con un tono di voce alto, io dissi loro: Ma cosa
state dicendo! Venite qua voi, e noi ve le forniamo!». Aggiungendo «Non mi pare che ci stiamo sottraendo alla vostra presenza, fuggendo.». La situazione diventava kafkiana, da barzelletta
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sui Carabinieri, e per questo da non sottovalutare. Fu così che,
non appena i Carabinieri raggiunsero la fine del sentiero «amazzonico», approntai il telefonino cellulare per filmarli nella memorabile impresa di raggiungerci, nel caso che un giorno…
Loro di questo non si accorsero, e quando si avvicinarono a
noi lasciai che il telefonino continuasse la registrazione verbale.
Uno dei due, però, se ne avvede, e con un atteggiamento impositore tenta d’ordinarmi di spegnerlo. Mi rifiuto e gli contesto in
modo deciso quello che gravemente sta affermando. Discutendo
animatamente con me abbassano le alette di impettiti galletti italiani statali-meridionali. La conversazione prosegue con dei rapidi botta e risposta nondimeno d’ordine legale e, infine, dimostro loro che, prima d’interpellarmi, era meglio se avessero praticato un approfondito corso di aggiornamento.
Della conversazione audio registrata non posso partecipare il
contenuto, ma, infine, questi due chiacchera e distintivo si permisero di affermare che, se avessimo avuto qualcosa da obiettare in merito alla manifestazione, potevamo trasmettere un esposto alla Magistratura. Ovvero, loro erano intervenuti unicamente
per la chiamata eseguita da una sguattera del 118 o, forse, da un
capocuoco, tutelando soltanto gli interessi di quelli che, in divisa, svolgevano un lavoro statale. Inoltrai una denuncia-querela.
Nel fiume Tagliamento eravamo rimasti in tre maschi e due
femmine, e una di queste ragazze aveva il telo mare che affiancava il mio. I documenti furono richiesti soltanto a me e al mio
amico, ma poiché li custodiva nello scooter, per lui furono sufficienti le generalità. La ragazza vicina a me era una che, anche
lei, non aveva tenuto la bocca chiusa e, in ogni caso, si trattava
di una mia amica: nell’anno seguente le accadrà un guaio serio.
Mancavano un paio di chilometri prima di arrivare a casa sua,
e, al buio, la fermano: guarda il caso sono i Carabinieri. Ha alzato un po’ il gomito, e l’etilometro rivela il superamento del limite di alcool consentito. Le sarà ritirata la patente per nove mesi.
Da quello che mi raccontò e in base alla maniera con cui si svolse il fatto, afferrai che ci fosse stato lo zampino di qualcuno perché, tra l’altro, non le era mai capitato altre volte. Molto probabilmente la stavano attendendo, ma con una sceneggiata stradale
finsero di non conoscere quello che era stato organizzato per lei.
Forse la controllavano tramite i movimenti del telefonino.
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Nel mese di maggio del 2012, con la mia auto mi ero fermato
in una stradina laterale di campagna nei pressi di Majano, quando dalla strada principale sopraggiunge un’autopattuglia dei Carabinieri, arrivandomi alle spalle. Apro la portiera e scendo perché dallo specchietto retrovisore intravedo che l’autopattuglia è
ferma. Un Carabiniere smonta dalla macchina. Dapprima saluta
e poi, in modo assurdo, mi chiede: «Che cosa sta facendo qui?».
Avrei dovuto rispondergli: «Ah, niente, sto attendendo quella
zoccola che ha messo al mondo un tale esempio di persona che
mi sta di fronte.». Oppure avrei potuto rispondergli: «Ah, niente, mi ero fermato per “cambiare l’acqua al canarino”, ma vedendo lei... ormai è tardi.». Invece, lo informai: «Sto decidendo
che cosa fare, e nel frattempo…». Allora lui m’invita a favorirgli i documenti ed io glieli consegno, così va in auto a trasferire
i dati con il collega che, però, non è la stessa persona presente al
fiume Tagliamento il 26 settembre 2011. Dopo alcuni minuti ritorna e mi restituisce il tutto dicendo: «Quindi, non ho... non ho
ancora capito cosa fa qui.».
Gli rispondo: «No, niente, stavo facendo un giro perché è una
bella giornata... e stavo valutando...».
Afferro all’istante che le parole usate dal Carabiniere non sono ben delineate e con le quali lui simula, inoltre, di non riconoscermi quando, invece, oramai di me sa tutto, incluso l’auto che
possiedo.
Quel che era accaduto non mi convinceva perché non riuscivo ad attribuirne una valida spiegazione logica, e allora lo inserii in una relazione che parecchio tempo dopo spedirò al Prefetto. Quando raggiunsi un certo numero di argomenti da segnalare, in uno di quei dieci stilati, al Prefetto, scrivevo:
«Continuo segnalando che il 18 maggio 2012 stavo eseguendo una fermata in una stradina laterale posta nei pressi di Majano, quando mi accorgo che alle mie spalle si ferma un’auto dei
Carabinieri». «Dall’autopattuglia scende un agente calvo, e uno
più giovane con i capelli mori e lisci rimane seduto alla guida.».
«L’ultima volta che ebbi un incontro con due agenti dei Carabinieri era l’ormai lontano 26 settembre 2009. Guarda il caso,
uno dei due agenti che in quel remoto giorno mi aveva controllato la patente richiedendomi le generalità, era il medesimo che
è sceso dall’auto il 18 maggio 2012.».
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«Se i Carabinieri dovessero controllare ogni persona che si
ferma in una stradina che, tra l’altro, offre un’ottima visibilità a
chi transita sulla strada principale, allora i loro taccuini sarebbero pieni e stracolmi di nomi.». «E poi erano all’incirca le quindici e trenta, non era notte!».
«Il secondo agente presente il 26 settembre 2009, quello che
inveiva e sbraitava come un cane selvatico contro il mio amico,
non c’era. Al suo posto compariva quello appena descritto: una
persona che mi ricorda qualcuno ma, probabilmente, trattasi soltanto di una somiglianza.».
Alla fine di Aprile del 2013 mi reco in visita al mio pugnace
amico perché era tanto tempo che non lo incontravo. Alcuni diverbi sfociati con un ragazzo della compagnia lo avevano allontanato, e nella calda stagione precedente aveva frequentato altri
lidi. Il giorno in cui riesco a trovare il luogo dove abita, mi saluta assurgendosi a tanta contentezza e mi fa entrare in casa.
Parlando con lui, venni a sapere che gli era arrivata una raccomandata dalla Procura della Repubblica e in cui si dichiarava
che noi due eravamo stati condannati. Mi chiese se anche a me
fosse pervenuta una lettera ed io gli risposi che oramai da secoli
non ricevevo più niente che riguardasse l’apposizione di firme
sui documenti postali. Leggendo quello che gli avevano spedito,
apprendevo che la sentenza di condanna era stata emessa dopo
un silente processo in cui gli accusati non erano stati informati
né sentiti. Figuriamoci se sarebbero state richieste tangibili prove che avrebbero contraddetto le parole dei due burattini in divisa! I quali, come lo scimmione, credevano di essere chissà chi.
Quindi si trattava di un processo-farsa in cui «il credo» lo stabilivano i Carabinieri, e la Procura della Repubblica aveva nominato un avvocato-mercenario statale (F.P.) per condannarci.
L’episodio accaduto con i due Pinocchi statali pertanto costituiva un pretesto per condannare me che, negli anni precedenti,
avevo proclamato il lurido, schifoso e indicibile atteggiamento
rivoltomi dalla Procura della Repubblica di Udine. Per condannare me che, però, nell’episodio al fiume ero solamente una persona informata dei fatti, bisognava condannare il mio amico Gino. Sicuramente una piccineria giuridica è stata l’ideale per prevalere, ma ciò che Gino avanzava insieme al drappello di persone protestanti e relegate nel fiume, era nient’altro che un diritto.
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Il motivo della condanna era provocato da un’invenzione che
i due lestofanti statali avevano, gravemente, dichiarato. La Procura, consapevole, approfittava per vendicarsi di chi, in passato,
aveva denunciato fradiciume e servilismo. È presumibile che, il
18 maggio 2012, il Carabiniere si fosse fermato dietro alla mia
auto per servirsi di qualcosa da usare nel processo, ma…
Ed ecco che la frase gridata ai Carabinieri trovava riscontro!
Quando a portare argomenti sui tavoli della Giustizia sono persone in divisa, allora si procede con tutte le boiate. Mentre dopo
sei procedimenti, un individuo normale non assiste nemmeno a
uno che sia preso in considerazione. Questo perché il foro giudiziario, nel contesto, è colluso e connivente. Da tenere in considerazione che sono moltissimi i casi in cui sentenze-porcherie
abbiano, poi, comportato gravi conseguenze. Ma a questi signorotti statali non interessa, anzi: meglio così. Se dovessero accadere gravi episodi, si garantiscono il lavoro e il futuro sulla pelle
degli altri e stipendiati dai parenti che si ritrovano qualcuno ucciso a causa della loro impunibilità.
Gino ed io trascorremmo un pomeriggio in cui mi portò a visitare luoghi che non conoscevo. Poi, come un anfitrione, la sera
m’invito a cena. Un mese dopo replicammo passando ancora un
pomeriggio insieme. Così approfittai per preparare una controffensiva giudiziaria al fine di annullare il processo-farsa.
Durante il primo incontro costatavo che lui si era preso a cuore la traversia che vedeva anche me condannato e, sentendosi in
colpa per una sentenza che mi coinvolgeva, voleva consegnarmi
l’importo della pena detentiva commutata in sanzione pecuniaria. Allora gli spiegai che il ragionamento corretto era l’inverso
di quello che lui eseguiva, ossia che i soldi glieli dovevo io perché la Procura: per condannare me, aveva condannato lui. Buttando via i soldi dei cittadini e perdendo tempo quando c’è gente che muore o subisce gravissime lesioni a causa delle loro «archiviazioni». Loro e dei Carabinieri, vergogna!
Io ritengo che le Forze dell’Ordine vadano trasferite restando
nel proprio settore d’Italia. Taluni che provengono dal Sud fanno i gradassi perché tanto qui nessuno li conosce e non hanno
nemmeno un tesserino appuntato al petto. Sono sicuro che se al
Sud costoro osassero permettersi gli atteggiamenti che tengono
al Nord, si ritroverebbero con una pistola puntata alla testa.
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Capitolo Terzo
CHE TRAFFICO CHE FA
Il traffico pilotato
Dopo le mie denunce di quello che, per assumere il controllo
della via in cui abito, si potesse definire un traffico organizzato
ove lasciar credere che il medesimo fosse attuabile nel 2000, il
traffico scomparve. Allo stesso modo, la quantità di veicoli presenti dai miei vicini subì un notevole calo, e nel 2006 una buona
parte del traffico era svanita lasciando una certa calma che, nel
2007, aumentò in modo disarmante.
La nuova situazione creata non convinceva, e allora andai alla ricerca di quali erano i motivi che la provocavano. Ben presto
giunsi alla conclusione che, a turno, le amministrazioni comunali miravano a effettuare determinati lavori pubblici, proprio per
simulare che in precedenza avessi equivocato.
Si passò, quindi, da una condizione di traffico che nemmeno
era giornaliera, giacché prima iniziava a tarda ora, a una situazione di calma quasi piatta. C’era, allora, il fine di lasciar intendere che i veicoli fossero scomparsi perché erano cessati dei lavori stradali che li inducevano a transitare in questa via. Dopodiché sarebbero incominciati altri, successivi, lavori che avrebbero comportato la sparizione di ulteriori veicoli includenti tutti
quelli che, piuttosto, svanirono in seguito alle mie denunce.
Questa serie di lavori creò una calma quasi piatta che iniziò
nel 2007, perdurò parecchi mesi e mi autoconvinse che si stava
passando da un traffico organizzato, iniziato nel 2004, a uno pi301
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lotato. Ossia, approfittando dei lavori stradali ci si sarebbe organizzati cosicché da azzerare o da alimentare il traffico in questa
via in cui, anteriormente, a causarlo era bensì stato uno stalking
di massa. Una persecuzione dove una mafiosa società al servizio
di una società mafiosa – la Piramide – aveva manifestato la presenza di perlomeno duecentocinquanta veicoli.
Tuttavia urgeva alleggerire il carico di denunce che gravava
sui proprietari dei mezzi di trasporto, e allora bisognava incominciare a sperimentare dei sistemi per giustificarne la presenza. Dopo aver programmato un periodo di calma quasi piatta in
cui mediante l’apertura di numerosi cantieri stradali si costringevano i veicoli a deviare, sarebbe stato provocato l’effetto contrario. In sostanza sarebbero stati aperti quei cantieri che, tramite deviazioni forzate o indotte, avessero originato un nuovo incremento del traffico in questa via.
Ma cominciamo con quei cantieri che provocavano una calma quasi piatta. Si trattava in prevalenza di lavori d’asfaltature,
erano svolti nei punti nevralgici della viabilità e, infine, a questi
si aggiungevano: scavi per la messa in posa di tubazioni, ristrutturazioni di centri urbani, costruzioni di marciapiedi, ecc. Ovvero condizioni che comportavano deviazioni del traffico, oppure
inducevano a dissuadere dal percorrere quel tratto di strada perché interessato da ostacoli che ne rallentassero il passaggio.
Semafori provvisori, strade campestri da percorrere o personale in divisa – perfino i Vigili con paletta al seguito – provocavano contrattempi. Ovverosia quelle classiche seccature in cui ci
si armava di pazienza e/o s’inzaccherava l’automobile, altrimenti si cercava un altro percorso.
Rimaneva una stranezza che rendeva curioso come i lavori in
corso – uno di seguito all’altro, protrattisi per alcuni mesi – non
fossero stati in grado di incidere sul traffico delle ore di punta,
che andava dalle dodici alle quattordici e trenta, e dalle diciassette alle diciannove e trenta. Quindi si trattava di veicoli la cui
presenza fosse imputabile alle aziende. Questo perché nel primo
intervallo di tempo succitato, i lavoratori effettuavano la pausa
pranzo per, alla fine, ripartire alla volta del luogo di lavoro, ed i
turnisti si recavano al lavoro o ritornavano a casa.
Come mai transitavano ancora talmente tanti veicoli durante
questi due periodi di tempo? Tra l’altro, questo non succedeva
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assolutamente prima del periodo da me denunciato nel luglio del
2005. In seguito, era un fenomeno molto più limitato.
La risposta l’ebbi quando, non solo capii che ci fosse il coinvolgimento dei locali pubblici della zona, ma che persino commesse e assunzioni da parte di enti e ditte fossero mirate. Chissà, forse erano premeditate per convocare lavoratori che potevano anch’esser coscienti di rendere popolata questa via. Il personale da dislocare e assumere era stato selezionato sulla base della posizione geografica di residenza, cosicché recandosi al lavoro oppure rientrando da quest’ultimo, utilizzasse questa via.
Era ormai una certezza che il coinvolgimento degli enti e delle ditte costituiva una combutta per perseguitarmi, e le ultime citate furono nondimeno assoldate per provocare il disturbo della
quiete pubblica, assumendo precisi molestatori mattinieri. Questo, però, lo spiegherò nei prossimi paragrafi.
Intanto eravamo giunti al mese di settembre dell’anno 2007,
ed a causa di brevi lavori svolgentisi, guarda il caso, nei pressi
dell’abitazione del Beduino, una strada provinciale di notevole
importanza subiva la chiusura.
La conseguenza fu che una parte del traffico andò a riversarsi
sulla strada che, proseguendo nel centro abitato, arriva davanti a
casa mia. Strada che divenne provinciale alcuni anni precedenti
il 2000. A cui si sommò la scomparsa della strettoia posta in via
De Marco e del relativo segnale, ossia la presenza di un restringimento della carreggiata ma non più ritenuto tale. Strada ove fu
cancellata la linea di mezzeria per aggiungere la tracciatura delle malsicure linee, laterali, continue bianche, che all’interno dei
centri urbani devono servire soltanto a delimitare la carreggiata.
Queste linee saranno oggetto di scontro verbale tra me e un
Vigile urbano di Pantianicco, che minacciò la rimozione forzata
del mio veicolo. L’aumento del traffico in questa via aveva obbligato i residenti a non poter più lasciare le proprie auto in sosta, perché si doveva favorire lo scorrimento dei veicoli e il consequenziale aumento della loro velocità in transito.
I rapidi lavori che provocarono la chiusura della strada provinciale «beduiniana», non furono gli unici che individuai immediatamente. In seguito, altri brevi lavori rendevano evidente
che la Polizia Municipale del comune in cui abito, era stata deputata a regolare il traffico. Una ditta si occupava di posare una
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grossa tubatura scorrendola sotto il manto stradale di un’arteria
provinciale e, per alcune ore, gli agenti della Polizia Municipale
regolavano il traffico.
La provinciale che passa davanti a casa mia fu, di conseguenza, nuovamente interessata da un aumento del traffico che andò
a sommarsi ad altri lavori eseguiti nel limitrofo comune di Basiliano e provocando un incremento dei veicoli qui presenti.
Si trattò d’episodi di poco conto e che si sarebbero risolti in
breve tempo, ma nonostante la minima durata li avevo, tuttavia,
scovati e, in seguito, segnalati. Il capro espiatorio che la Mafia
Aziendale cominciò a utilizzare fu individuato appena messo in
atto. Era perciò stato creato «un grosso buco nell’acqua» in cui
comprendevo, addirittura, che veicoli precedentemente implicati, essendo informati dell’effettuazione dei lavori, arrivassero in
questa strada soltanto per contribuire ad aumentare il numero di
quelli presenti a causa delle deviazioni imposte.
Bisognava allora allontanarsi dal comune dove ho la residenza e urgeva coinvolgere altre amministrazioni locali, più quella
provinciale e, in aggiunta, quella regionale. Questo per impedire
che fossi ancora nelle possibilità di risalire ai luoghi da cui sarebbero scaturite le future motivazioni causanti un nuovo tipo di
traffico.
Nel mese di settembre del 2008 richiedevo l’attenzione della
Magistratura perché da pochi mesi il traffico era ripreso, eppure
quest’ultimo diversificava dal precedente denunciato nel luglio
del 2005. Il quale, essendo organizzato, puntava soltanto ad assumere il controllo di questa via, mentre quello presente in futuro provocherà persino il disturbo della quiete pubblica.
La motivazione risiedeva nel ricercare una serie d’espedienti
per ripopolare questa via, ma adottandoli erano emerse delle differenze rispetto a quella che, in origine, era la causa. Tra le differenze comparse, si notava che la velocità dei veicoli in transito
era aumentata. Dovendo sopportare le deviazioni o, tuttavia, un
allungamento del percorso, i conducenti incrementavano la velocità per sopperire al tempo sprecato. Poi, però, tra le differenze emerse ce n’era una peculiare che consisteva nella nascita di
un fastidioso, lesivo, traffico mattiniero.
Si incominciava ad assistere all’esistenza di veicoli che presenziavano in questa via già dalle ore cinque e trenta alle otto e
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trenta, mentre nel biennio 2004-2005, nonché negli anni seguenti, giammai si era verificata.
La presenza di veicoli iniziava solo verso le nove del mattino,
e, invece, dal mese di aprile del 2008, oltre ad esser presente al
canto del gallo, cominciava persino a interessare le ore notturne.
Quando denunciai questa nuova ricercata situazione, le scuole dovevano ancora riaprire e, allora, il periodo d’osservazione
riguardava la primavera-estate in cui mesi di normalità si alternavano con altri dov’era presente un traffico anormale. Il periodo che rendevo evidente era, tra l’altro, quello nel quale semmai
a causa del caldo opprimente e che seguitava durante le ore notturne, ci fosse chi dormiva con le finestre aperte, avrebbe dovuto sorbire i rumori notturni e mattinieri.
Al calar della sera ogni rumore si accentua. Figuriamoci, poi,
quelli che già durante il giorno recano fastidio, quali effetti provocano nelle ore notturne! Non per caso in questa via si registrarono episodi riguardanti residenti colti da infarto e altre conseguenze derivanti dall’eccessivo rumore sorbito.
Infatti, una ditta aveva ingaggiato il conducente di uno scooter, probabilmente modificato, cosicché entro le ore sei del mattino piombasse in questa via come un aereo a reazione, producendo un chiasso infernale e svegliando di soprassalto i paesani.
Dopo averne segnalata la molestia mattiniera, il conducente dello scooter sarà sostituito da un altro avente lo stesso veicolo, dal
rumore identico. Solamente che inizierà a provenire dalla direzione opposta del primo denunciato, e non solo a bruzzico.
Questo, però, fu per giunta il periodo in cui s’incominciava a
udire veicoli, soprattutto scooter, che producevano lo stesso rumore di quello delle Poste, usato da Mariolino. Era, tuttavia, palese che ci fosse chi tentasse di camuffare il rumore dello scooter postale tra altri simili e in modo da creare confusione.
Le molestie notturne non avevano più limiti poiché alla circolazione notturna e al rumoroso scooter mattiniero si aggiunsero,
per primi, un paio di «rombi di tuono». Erano due motociclette
stradali che, accelerando o transitando a velocità elevata, provocavano la fuoriuscita dei pistoni dai cilindri liberando nell’aria
quel classico urlo che Valentino Rossi, in modo onomatopeico,
imitava. Centauri che nel cuore della notte spalancavano il gas
come fossero in pista.
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«Vai piano imbecille, che c’è gente che dorme!», urlavano i
pistoni, ma i piloti delle moto non potevano udirli. Ognuno dei
due eseguiva gli ordini che una mafiosa società aveva impartito,
e i pistoni non potevano fermarli. Una società in cui Marco Simoncelli e Andrea Antonelli non sarebbero mai rientrati.
«Ciao super Sic e Squalo del lago, riposate in moto».
Il traffico forzato
Eravamo ormai nel 2009, e quest’alternanza di traffico parecchio moderato, solito di questa via, con una in cui era perlopiù
lesivo, non quadrava. I buchi temporali che, tra un periodo trafficato e l’altro, iniziarono a formarsi nel 2008 stavano giocando
un ruolo decisivo e confermante la nascita del terzo tipo di traffico. Si trattava di un’altra differenza nata in seguito ad altre denunce. La quale, infine, sarebbe scomparsa colmando i vuoti lasciati e rendendo ancora trafficata questa strada.
Nel 2008, mesi di traffico si alternavano ad altrettanti di una
certa tranquillità, e quello che stava verificandosi non si sarebbe
potuto mettere in correlazione con due anni di traffico continuativo presente nel biennio 2004-2005. In quel biennio, la presenza di molti veicoli in più e che moltiplicavano i transiti si poté
notare facilmente in una via dove il traffico era assai moderato.
Rimaneva evidente un’altra differenza rispetto al traffico organizzato ed era un problema tecnico che nasceva quando i veicoli pesanti giungevano in questa via. Per permettere lo smaltimento del traffico pesante che insieme a quello normale subiva
le deviazioni, bisognava levare alcuni impedimenti. Uno di questi era un’aiuola spartitraffico con al centro piantato un palo sorreggente il segnale di «stop» che, per il punto in cui era collocata, impediva ai veicoli pesanti di svoltare a sinistra.
Quando segnalai le conseguenze che i lavori eseguiti avessero in questa via, l’assessore comunale (R.B.), alla viabilità, che
levò gli impedimenti e domiciliato nella frazione di Pantianicco,
non era più in carica perché il sindaco A.C. ricevette la sua delega. L’Assessore dimessosi è un parente stretto di un lavoratore
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«beduiniano», e quasi sicuramente non estraneo a chi si prodigò
in talune azioni dai miei vicini.
Seppur molto tardiva, la mia segnalazione inerente all’aiuola
rimossa provava che l’aumento del traffico in questa via era stato forzato, e allora bisognava correre ai ripari. Un anno dopo, il
nuovo responsabile Comunale ordinò di svellere anche le aiuole
situate presso altri bivi: irrilevanti. Il tutto in modo da scaricare
su scuolabus e pullman la responsabilità dell’intervento che era
stato eseguito nella via in cui abito. Il successivo Assessore alla
viabilità e ai lavori pubblici, che sostituì il provvisorio Sindaco
delegato, fu il defezionista A.M. Voglio ricordare che, lui, non
era soltanto il Presidente dell’opuscolo «Lo spaventa passeri»,
perché nondimeno era parente stretto del Beduino D.M.
Per sovralimentare lunghi periodi di traffico, inizialmente ci
fu la necessità d’eseguire interventi futili, e ulteriori che potevano essere ritardati. Mi accorsi, perciò, non solo della presenza di
lavori d’asfaltature eseguiti in anticipo, ma che certi altri fossero
stati compiuti per causarne ulteriori a distanza di breve tempo,
andando a incidere sulla loro durata. Il fattore rilevante era che,
«giocando» con la qualità del bitume e/o con il suo spessore, si
andasse a pregiudicare la durata dell’asfalto. Però accadeva solo
a quelle strade che, a causa dei lavori, avrebbero causato un aumento del traffico in questa via. In seguito alle mie denunce, alcune furono riasfaltate. Non perché ci fosse la necessità, semmai
per l’impellenza di stendere uno strato di bitume. Bisognava incatramare, nuovamente, alcuni fogli di «cartacarbone» che avevo notato, segnalandoli, applicati su certe strade.
Stava nascendo un tipo di traffico che doveva sembrare continuamente alimentato da svariate motivazioni, alcune frodanti e
altre ricercate. Una di queste, e la più importante, era il traffico
che incominciò a rendere certe strade «gettonate», proprio quelle che appartenevano a enti comunali che avevano visto i propri
uffici postali denunciati. Alcune strade ugualmente riguardavano questo comune, fino a quando dovetti rendere evidente la differenza della durata dei lavori che si annoverava tra una strada e
l’altra. Le strade in cui i tempi dei lavori si prolungavano erano
sempre quelle che avrebbero comportato un aumento del traffico in questa via. Ma, in aggiunta, c’erano strade che appartenevano alla Provincia di Udine, alla Regione oppure agli enti co307
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munali in cui, tra Assessori e Consiglieri, erano inseriti persino
dipendenti della Piramide.
Nel complesso era un impero del male che ben presto avrebbe comportato una serie di lunghi lavori, provocando traffico in
questa via. Al quale, oltretutto, si approdava tramite l’utilizzo di
sistemi addottati per disincentivare il transito su altre strade, anche di grossa importanza regionale, dove in certi tratti iniziarono a comparire assurdi limiti di velocità.
Il Comune di Mereto non avrebbe potuto essere da meno e,
proprio nel 2009, per un biennio scolastico una piccola scuola
materna fu trasferita dalla frazione di Tomba al capoluogo comunale. Fu rioccupata l’ex scuola elementare che parecchi anni
prima era stata trasformata in una piccola biblioteca comunale,
ma in cui si continuavano a tenere i seggi elettorali per le votazioni. Sulla strada che passa dinnanzi alla Piramide compare un
limite di velocità che la impegna per tutta la sua lunghezza. Non
appena una o più case editrici avvertiranno il Comune riguardo
a quello che ho scritto, saranno aggiunti i cartelli stradali «fine
limite di velocità», a ridosso della Piramide. Molti altri ostacoli
saranno piazzati dal Comune in modo ostruzionistico e come disincentivo all’utilizzo di certe strade o all’obbligo di percorrerle
solamente in un senso. Alla fine del 2010, circa un centinaio di
tir impegnava questa strada nell’arco di qualche ora pomeridiana e, andando alla ricerca da dove provenissero, appurai che la
distanza era ragguardevole: quasi venti chilometri da casa mia.
Quasi tutto incominciava ad accadere da quando, e altrettanto
perché, nel 2009 presentai al competente ufficio Provinciale il
piano antitraffico e l’ennesima denuncia alla Magistratura. Ossia quel piano che prevedeva l’allargamento del ponticello posto
nei pressi della frazione di Pantianicco e l’asfaltatura di alcune
strade campestri. Per l’ufficio provinciale era come se chiedessi
di riutilizzare la linea ferroviaria normale quando bisognava costruire una T.A.V. La quale, se sarà costruita, produrrà minori
introiti nelle casse delle società e dello Stato, a causa di aumenti
e un calo dei consumi. Nel 2013 emergerà qualcuno che copierà
la mia iniziativa di sfruttare certe strade campestri, ma la realizzerà in una superfice che interesserà la Piramide e la Sfinge. Il
nuovo riordino fondiario agricolo permetterà la predisposizione
di quella che nella figura 2 è contrassegnata con la lettera «c».
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Nella mia richiesta di sfruttare talune strade campestri, c’era
l’intromissione del Comune di Mereto che, avendo un SindacoRagioniere della Piramide, non avrebbe mai acconsentito ai lavori. Agli ostacoli piazzati dal Comune si aggiunsero quelli dei
proprietari terrieri che cominciarono ad arare i terreni giungendo a filo delle strade campestri, affinché renderle più strette. Fino a quando notai che quattro-cinque arnie, che in due anni salirono a venticinque, erano state sistemate proprio nei pressi del
ponte d’allargare. La strada che procedeva dopo il ponte era stata boicottata da un palo piantato a poche spanne dal centro di un
incrocio, rendendo meno accessibile l’ingresso alla provinciale
passante per Pantianicco. Nei pressi del ponte erano stati interrati due pozzetti di aerazione che avrebbero costituito un pericolo per la circolazione nel caso la strada fosse stata asfaltata.
Durante il traffico forzato, quello pilotato era ancora attivo, e
giacché consisteva in lavori pubblici, la circolazione mattiniera
continuò a esser presente. In seguito interessò persino le ore notturne, in cui cessava dopo l’una di notte per riprendere verso le
cinque e trenta del mattino. Avevo stimato che il traffico veicolare nato avesse condotto in questa via una quantità di veicoli in
eccesso che variasse dal 93 al 95%. Denunciai, ancora una volta, all’incirca duecentocinquanta veicoli che erano presenti entro
le ore otto del mattino. Probabilmente, altrettanti lo erano dalle
otto alle nove e trenta. È sicuro che quest’altrettanta maggioranza in precedenza era inesistente, ma non la segnalai.
Alla fine del 2009, a tutto quello che stava accadendo si erano sommati cinque week-end consecutivi in cui una continuativa circolazione notturna perdurava fino alle quattro del mattino.
Quello che stava succedendo in questa via era inaudito e intollerabile, e stufo di attendere che il piano antitraffico fosse avviato proprio da chi il traffico lo aveva provocato, iniziai a minacciare la chiusura di questa strada. Se avessi messo in atto il
mio proposito, avrei rischiato uno scontro con persone in divisa
e, chissà, forse un bel T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Firmato da chi?
L’unico risultato che ottenni fu una riduzione dei veicoli presenti in alcune mattine, con l’aggiunta di un traffico intervallato
che, in modo variegato, si ripartiva nell’arco di sette giorni. Non
comprendeva ancora il lunedì e, alternativamente, interessava il
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sabato. Certe volte cominciava di martedì alle ore cinque e trenta-sei, l’indomani alle sette, infine dopodomani alle sette e trenta o di nuovo alle cinque e trenta. Permettendo, sì, un decremento dei veicoli transitanti ma che, subdolamente, lasciasse sottintendere alla preesistenza di tanti altri, in più, invece prima inesistenti. Tutto questo fino al giorno in cui ci fu il tentativo di riattivare le condizioni segnalate nel 2005, sommando quelle create
nel 2008 e tentando d’interessare tutte le ore della giornata.
Rendendo questa via bersaglio di numerosi raggiri che andavano ricercati, le amministrazioni non cercavano unicamente di
scagionarne «certe altre» denunciate, ma, in aggiunta, di rendere
inefficace il mio piano antitraffico. Il traffico iniziava a coprire
alcune mattinate dei week-end e, quando il sabato non era presente, spuntava insieme al sole del lunedì mattino susseguente.
Quelle giornate che, specialmente, il lunedì erano sempre state
sgombre da veicoli, incominciarono a esser alimentate da questi
ultimi. La diversità resasi evidente costituiva un’altra prova che
questa via era proprio stata trasformata in un bersaglio.
Le serrande del traffico erano aperte la domenica sera da un
lavoro straordinario di chi era addetto ad alimentare con veicoli
questa strada. Alla quale si sommavano altre domeniche in cui,
nel Municipio, si tenevano comizi con la partecipazione di molte persone informate. Riguardavano, però, quelle che, con i loro
passaggi, avrebbero alimentato di veicoli questa via. C’era, pertanto, un’attenzione a creare un tipo di traffico che, in aggiunta,
coprisse i giorni in cui non era esistito. Se qualcuno fosse venuto ad abitare in questa via avrebbe assistito a un traffico variegato e che in alcuni giorni della settimana iniziava prestissimo.
Negli altri giorni del 2010-2011 il traffico si alimentava verso
le sette e un quarto, poi continuava per un’ora e mezza. Siccome, però, in precedenza non era accaduto il lunedì, un nuovo residente, o un estraneo, avrebbe potuto ritenere che in questa via
il traffico di mattina fosse sempre stato presente. Il lunedì mattino iniziava ugualmente a esser sfruttato per alimentare di veicoli
questa strada, e il traffico cominciava prima delle sei e mezza.
Alla fine di marzo del 2011, mi rivolsi a un’associazione dei
consumatori, di sinistra, a cui mi ero iscritto in precedenza, con
il risultato che la situazione mutò riportando parecchia tranquillità. Durante il periodo incriminato e denunciato si era, oltretut310
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to, verificata una serie d’incidenti che comprendeva taluni aventi gravi conseguenze per l’investimento di persone.
Da aggiungere che nella tarda sera di un giorno autunnale del
2011, un’utilitaria percorreva questa via a velocità autostradale.
Immatricolata almeno dieci anni prima, lasciò sull’asfalto quarantacinque metri di frenata perché sprovvista del sistema antibloccaggio freni, o A.B.S. Il conducente, piombando in questa
via a velocità pazzesca e accorgendosi di non riuscire a fermarsi
prima del sopraggiungere ad un bivio, piantò il piede sul pedale
del freno. La piccola auto proseguì la corsa stridendo le gomme
sull’asfalto e oltrepassò la linea di arresto del segnale «stop»: rischiò di schiantarsi contro il muro di fronte. Il conducente, però,
all’ultimo istante, riuscendo nella manovra di curvare a sinistra,
urtò soltanto le ruote contro il marciapiede. Per fortuna non sopraggiunsero altri veicoli che, aventi il diritto di precedenza, in
quell’istante stessero impegnando l’incrocio.
Non scordiamoci che questi incidenti accaddero per aver favorito l’impiego selvaggio della segnaletica anti-sosta. La quale
annoverava l’uso e l’abuso delle linee laterali continue bianche,
perché tracciate con lo scopo d’obbligare a non poter più sostare
e imponendo ai residenti di togliere le auto dalla strada.
A questo punto accadde quello che ormai è diventato un malcostume e comportamento da tenere in questi casi: lasciare che
le acque si calmino per, infine, ricominciare. E siccome bisogna
dimostrare pure di avere apportato una qualche misura preventiva, si installa una serie di display luminosi andanti ad alimentare
le casse di quelli che li producono, come accadde con i contestati semafori «T-red». Il dispositivo digitale luminoso non diviene
altro che un tachimetro di riserva.
Rivolgendomi a quest’associazione, di sinistra, dei consumatori persi la possibilità di andare a votare perché la misi a conoscenza che non stavo più mettendo piede in Municipio. Nel caso
che il seggio si fosse tenuto ancora all’interno dello stesso, non
mi sarei recato nella sede Comunale per esprimere il mio parere
riguardo: al ripristino del nucleare, al legittimo impedimento, alla privatizzazione dell’acqua, alle infrastrutture inutili, ecc.
A tal proposito, e prima di giungere al termine di questa vicenda, ritengo doveroso soffermarmi a trattare quest’argomento
aggiungendo che il responso del referendum era paragonabile a
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una cinquina realizzata al gioco del lotto. Chissà se, però, un sei
al superenalotto avrebbe fruttato di più. Nel referendum poteva
essere incluso un altro quesito, così sarebbe stato possibile bloccare gli scontri in val di Susa. E, tra l’altro, taluni referendum si
potrebbero condurre in maniera territoriale quando coinvolgono
soltanto il Nord o solamente il Centro o il Sud, oppure solo due
di questi settori. Si eviterebbe in tal modo il rischio di voti contrari che giungerebbero solamente perché, non interessando quel
dato territorio, il problema sarebbe poco sentito. Siccome, inoltre, quest’inutile opera in futuro potrebbe coinvolgere i territori
veneti e friulani, gli scontri potrebbero continuare in queste zone in cui campeggiano altri movimenti «No T.A.V.», e il Piave
potrebbe riprendere a mormorare.
Nondimeno in questa tratta si voleva costruire tutto ex novo,
ma poiché, come in val di Susa, era stato sollevato il problema
riguardante la presenza di una linea ferroviaria sottoutilizzata, lo
Stato e la Regione stavano cercando dei metodi per incrementare il traffico su quella ordinaria. Il coinvolgimento di alcune imprese che si sarebbero avvalse di spedizioni utilizzando la linea
ferroviaria, avrebbe funto da capro espiatorio per avere la strada
spianata per la costruzione della nuova linea dell’alta velocità.
Per ottenere un maggior utilizzo della linea ferroviaria esistente,
non è escluso che in futuro saranno ricercati altri sistemi, oltre
ad altri appoggi politici locali. Tutto questo è ancora da verificare perché sembrerebbe che, finalmente, ci si stia rendendo conto
che quest’opera non è attualmente necessaria. È possibile che la
crisi stia soffiando sul collo di chi aveva intenzione di trasferire
il trasporto delle merci dalle strade alle rotaie, e così è scemato
l’interesse. Costi elevati, malcontento popolare, crisi economica
e tutti gli interessi ruotanti ancora attorno al traffico su gomma
ed aeroportuale, stanno giocando un ruolo decisivo per la realizzazione di quest’opera.
In questa regione, per la realizzazione della nuova tratta era
stata paventata la possibilità di costruire dei terrapieni in modo
da consentire alla T.A.V. di scorrere all’interno delle gallerie, ed
era stato bocciato il progetto di un Ingegnere. Lui, ritenendo superfluo costruire il tratto di un elettrodotto – perché oltre a causare un inutile esborso di denaro, ledeva ancor di più i latifondisti e comprometteva un ecosistema – suggeriva di sfruttare la re312
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te elettrica autostradale che procede in modo parallelo alla linea
ferroviaria comune.
La diatriba dell’Ingegner Aldevis Tibaldi finì al T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale) ed egli vinse la battaglia nei
confronti del colosso elettrico Terna. Nonostante il suo intervento giudiziario e il relativo successo riscosso, non rientrava nelle
sue possibilità arrestare l’avanzamento di quest’inutile e colossale opera. La sua azione giudiziaria, però, oltre ad aver evitato
uno scempio ambientale, aveva messo sotto i nostri occhi la testimonianza di un enorme spreco di quattrini. Siccome qualcuno
aveva tenuto testa a un colosso elettrico, dalle notizie successive
si apprendeva che l’opera sarebbe proseguita parallelamente alla
linea ferroviaria, non avrebbe più affiancato quella autostradale.
Queste erano le ultime informazioni aggiornate che riguardavano la T.A.V., perché in seguito non se ne sentirà più parlare.
Il progetto sarà accantonato, così la linea ferroviaria sottoutilizzata verrà potenziata per supportare i treni ad alta velocità. Auguriamoci, quindi, che non ci saranno più altre variazioni e che
qualcuno cominci a capacitarsi che, in futuro, il corridoio cinque
potrebbe trasformarsi in un percorso minato o una Capaci. Se un
giorno questo dovesse accadere, credo che ci sarà qualcuno che
incomincerà a rendersi conto che gli accordi internazionali non
devono prevalere sulla sovranità del popolo. In Europa dovranno imparare che, prima di attuare altri progetti come l’euro e la
T.A.V., dovranno essere autorizzati dai cittadini degli Stati interessati e non soltanto dagli Europarlamentari. Gli accordi europei violano la Costituzione Italiana e il diritto del popolo di potersi avvalere dei democratici referendum, è un dato di fatto.
A causa dello spostamento provvisorio della scuola materna
di Tomba in quella dell’ex elementare di Mereto, il seggio per le
votazioni fu spostato in Municipio.
A maggio del 2011 erano già trascorsi alcuni mesi dal termine dei lavori nella scuola materna di Tomba e, nel mese di marzo, gli alunni iscritti avevano beneficiato della riapertura. Allora
il Sindaco aveva comunicato l’informazione che il seggio elettorale per le votazioni dei cinque referendum sarebbe stato ristabilito nell’ex scuola elementare di Mereto. Non si sarebbe più tenuto nel Municipio. Mi sarebbe interessato andare a votare per
queste giuste cause, ma il signor Sindaco, mediante la probabile
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informazione pervenuta, in qualche modo, dall’associazione dei
consumatori, il 9 giugno 2011 innestava la retromarcia e ristabiliva il seggio nel Municipio.
Nel 2012, lo stabile sarà trasformato in una grossa biblioteca,
e il luogo in cui erano sempre stati svolti i seggi sarà, finalmente, ripristinato in occasione delle elezioni politiche del 2013. Le
votazioni Comunali antecedenti non mi ero recato a votare poiché sarebbe stato inutile, perché ogni forma di parere politico da
esprimere a livello Comunale sarebbe culminata sempre con una
vittoria della destra, come accadrà nel 2014. Poi, negli anni precedenti, meno persone incontravo, meglio era.
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Conclusione
La realizzazione di questo libro è maturata grazie ai numerosi
dati racimolati nel tempo, nonché al materiale comprovante che
ha permesso in tal modo di approfondire abbastanza la vicenda
occorsa.
Non è tollerabile che un lavoratore possa subire simili attacchi alla propria persona. Che, inoltre, debba incorrere in assurde
disavventure causate dall’egemonia di un’azienda e di uno Stato
che non temono niente, è inaudito e inconcepibile. Ma l’assurdo
emerge quando ci si accorge che a spadroneggiare è quella politica che rende le persone schiave del pensiero altrui.
Forse un titolo più appropriato per questo libro sarebbe stato
«La storia infinita», poiché nei miei confronti continuerà sempre
a esserci la presenza di angherie. Continueranno in eterno i tentativi d’insabbiamento perché, non essendoci state condanne, gli
accusati avranno sempre la necessità e la possibilità di provare a
pulirsi le mani. La loro coscienza deve risultare pulita agli occhi
di chi ignora... Pertanto, l’inganno continuerà a imperare, la Mafia Aziendale a dettar «legge» e i lavoratori a esserne succubi.
Questo racconto è soltanto una goccia nel mare dell’illegalità
in cui sguazzano le aziende che operano sotto l’egida della Giustizia. Trattasi di un sordido permissivismo al quale inorridiamo
prestandovi attenzione quand’occorrono incidenti gravi che causano la morte di più persone, ma che passa rapidamente davanti
ai nostri occhi se gli episodi riguardano un solo lavoratore coinvolto. Che sia rimasto incolume o soltanto ferito, questa disparità non deve verificarsi.
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Dopodiché c’è l’elemento tempo, che negli episodi gravi è un
guaritore delle ferite laceranti i famigliari delle persone morte o
di chi è rimasto disabile a seguito di un incidente, una malattia o
una sindrome rimasta incurabile. L’elemento tempo è nondimeno un fattore che gradualmente consente ai genitori dei bambini
scomparsi di riprendere la vita quotidiana dopo la traversia, ma
in cuor loro sperano sempre di poterli riabbracciare.
Quando la persona coinvolta è un giovane, che egli sia morto
in un incidente stradale oppure sul lavoro o per qualsiasi altra
ragione che potrebbe anch’esser un’attività agonistica, il tempo
quasi si ferma. Non mi riferisco soltanto ai più noti tragici accadimenti che finora hanno provocato le morti di: mio cugino Michele e Piero Rutigliano, Marco Simoncelli, Andrea Antonelli,
Doriano Romboni, Emanuele Cassani, Pier Mario Morosini, Vigor Bovolenta, Matteo Roghi, Alessio Miceli, Giorgio Castelli,
Pasquale Luongo, Francesco Pinna e Matteo Armellini, ma includendo le stragi del sabato sera, più i bambini ed i ragazzi investiti sulle strade. Senza dimenticare tutti quelli che sono rimasti vittime di: disastri ambientali, disgrazie, terremoti, rapine, attentati, sequestri, banali liti tra coetanei o più serie tra coniugi,
oppure stroncati da malori e infarti o inefficienze dove esiste la
responsabilità umana. E molto altro ancora come, ad esempio, i
giornalisti, i videoreporter e i giovani che periscono per amor di
patria durante le missioni militari all’estero, più quelli che perdono la vita perché uccisi da persone in divisa, e viceversa.
Tutti hanno lasciato un gran vuoto nei loro genitori, nei fratelli e/o sorelle, nei propri cari. Eppure il tempo si deve fermare
in tutti i casi nei quali ci siano delle responsabilità, in modo che
le sentenze dei Tribunali sembrino esser giunte il giorno dopo e
non sia concreto il pericolo d’esser dimenticati. Ed è per questo
motivo che per ottenere vere cause, la macchina della Giustizia
dovrà cambiare alimentazione; eliminare tante prescrizioni; triplicare i tempi delle rimanenti; fissare un limite di tre processi.
La Giustizia dovrà risalire i gradini di questa piramide riconquistandone quella vetta che si trova salda nelle mani di: industriali, bancari e assicuratori, seguiti dai politici piazzati immediatamente dopo, ossia sul secondo gradino. La Giustizia si trova solamente sul terzo gradino, e giungere terzi in una competizione nazionale è come arrivare ultimi.
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APPENDICI
La responsabilità penale dei Magistrati
Personalmente, non m’illudo al pensiero che una riforma della Giustizia possa contribuire a responsabilizzare i Magistrati, e
questo varrebbe altrettanto casomai Berlusconi – avendo subito
i loro attacchi, giustificati e non – riesca a migliorarne i sistemi.
Il monito dell’Europa all’Italia non riguarderebbe quei processi
dove la Magistratura abusa dei propri forti poteri. Il Magistrato,
nei casi meno importanti e dove siano poche le credenziali, continuerà imperterrito ad abusare, a sfruttare il nostro mediocre sistema giudiziario, a riservare dei «trattamenti all’italiana» ed a
sentenziare come meglio, o peggio, crede. Certi Magistrati sono
come taluni datori di lavoro, ancora troppo liberi!
Non si è mai appreso che un Magistrato, o un Giudice, sia finito in carcere rispondendo, penalmente, degli errori commessi.
Come, ad esempio, nel caso in cui un figlio fu arrestato dopo esser stato accusato di patricidio, e per l’accusa rivoltagli trascorse
quattordici mesi in carcere, da innocente, nell’attesa di una sentenza in suo favore.
Nicola Scanni rimase in galera questo lungo periodo, prima
che l’avvocato Valente si occupasse di salvarlo dalla morsa della Magistratura. Forse un giorno lui riceverà un risarcimento per
quanto subito, ma il Magistrato continuerà a essere libero. Nessuno penserà a sbatterlo nella stessa cella in cui è stato rinchiuso
Nicola Scanni, giacché in Italia Giudici e Magistrati apparten319
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gono a una di quelle caste intoccabili. E poi in questa nazione a
pagare non è chi sbaglia, ma chi «rompe»… i sistemi degli altri.
Il Consiglio Superiore della Magistratura si trova a Roma, e
qualora intervenisse sarebbe solamente per gravi motivi, e negli
altri casi disporrebbe, al massimo, un trasferimento.
Un altro caso di malagiustizia ancor più grave e del quale si è
sentito parlare di più, è quello di Giuseppe Gulotta. Egli ha trascorso ventun anni in prigione, da innocente. Un’esistenza completamente rovinata e in cui lo Stato dovrà certamente donarne a
lui una seconda, sotto forma di un copioso risarcimento. Anche
se non ripagherà più Giuseppe Gulotta della parte di vita perduta ed essenzialmente la più importante.
Sempre accaduto negli anni novanta si registra, oltretutto, il
deprecabile episodio capitato a Roberto Giannoni. Egli, per sei
anni e mezzo fu ritenuto appartenente alle cosche mafiose, e un
anno intero lo trascorse nel carcere, in regime di 41 bis, di massima sicurezza previsto per chi ha commesso questi gravi reati.
E come si potrebbero dimenticare i casi di Enzo Tortora, trasmesso in televisione sulle reti Rai, e quello di Gigi Sabani. In
un modo o nell’altro stroncarono le carriere di questi due celeberrimi e stimati Conduttori. Enzo Tortora morì un anno dopo la
fine del processo e Gigi Sabani fu colto da un infarto, sempre
l’anno susseguente la cessazione delle ostilità. Come si è potuto
apprendere dai titoli di coda che scorrevano al termine del film
TV su Enzo Tortora, nessuno rispose per quanto accadde. Chissà quanti altri casi d’errori giudiziari andranno a sommarsi con
il trascorrere del tempo, oltre a quelli già passati inosservati.
Grazie a Berlusconi, o all’Europa, forse si sentirà accennare
alla responsabilità civile soggettiva. In cui, tuttavia, sarà sempre
lo Stato a rispondere, in modo pecuniario, degli errori commessi
dai Magistrati, e riguardo alla responsabilità penale tutto ancora
tace. I Magistrati saranno ancora liberi di: condannare gli innocenti, liberare i delinquenti, impedire gli sghiaiamenti di fiumi e
torrenti che in futuro esonderanno uccidendo le persone.
È molto grave che costoro condannino quegli amministratori
locali che, per mettere in sicurezza il proprio territorio e garantire l’efficienza dei bacini fluviali, acconsentono agli sghiaiamenti dei corsi d’acqua. Qualora dovessero essere riscontrati casi in
cui i Magistrati avessero impedito gli sghiaiamenti, applicando
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«alla lettera» la Legge ma non sussistevano motivi per aver proceduto, costoro andrebbero condannati.
I due motivi che giustificherebbero un simile comportamento
dovrebbero disporre di un legame territoriale.
Il primo motivo sarebbe inerente alla pericolosità che operazioni di questo genere, eseguite nei pressi di caseggiati, avrebbe
sulle abitazioni edificate troppo attaccate alle rive di fiumi e torrenti. In questo caso, però, bisognerebbe indagare su come mai
fosse stato possibile costruire talmente vicino.
Il secondo motivo è il pericolo effettivo d’infiltrazioni mafiose locali che rischierebbe di creare un monopolio territoriale col
rischio di alimentare la malavita organizzata.
Qualora questi due motivi fossero inesistenti, i Magistrati andrebbero condannati perché il fatto, a loro discolpa, non sussiste. Inoltre, un riscontro lo troviamo in un grave episodio comprovante che Giudici e Magistrati hanno gravissime responsabilità. Non mi riferisco all’impegno prestato nelle aule dei Tribunali, bensì alle conseguenze che nascono a causa delle loro porcherie giudiziarie.
Giovanni Vantaggiato è responsabile dell’attentato alla scuola di Brindisi dove Melissa Bassi è rimasta vittima. Lui rimase
economicamente travolto quando le scuole che riforniva di gasolio, convertirono quegl’impianti che passarono dall’utilizzo di
combustibile liquido a quello gassoso.
La metanizzazione tolse a lui molte entrate, ma non è affatto
da trascurare che la sua condizione di persona in bancarotta era
causata da un secondo motivo. Lui vantava un credito che si aggirava attorno ai trecentocinquanta mila euro, e qualora la sentenza del Tribunale fosse stata pronunciata in suo favore, avrebbe avuto la possibilità di: gestire, investire o dosare questi introiti dei quali credeva di poterne rientrare subito in possesso.
È accaduto, invece, che lui non sia più rientrato della somma
per la quale ha subito una truffa, e allora ha messo in atto le sue
vendette. La ragione per la quale non abbia ottenuto il maltolto
posso solamente presumerla, e nei prossimi paragrafi la renderò
nota. Se la sentenza penale fosse stata sufficiente a garantirgli il
completo rientro economico, sarebbe gravissimo che non avesse
potuto rimettere le mani su tutto quello che gli era stato estorto
con l’inganno. Addirittura, si è potuto apprendere che a Giovan321
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ni Vantaggiato siano stati sequestrati tutti i beni, per un valore
di circa due milioni di Euro. Il tutto per risarcire le vittime, ma
se egli fosse stato indotto a compiere delle simili azioni a causa
dell’inettitudine di Giudici e Magistrati, allora era meglio che lo
Stato avesse solamente eseguito una confisca. Giudici e/o Magistrati dovranno pagare.
Rimane certo che Giovanni Vantaggiato abbia, dapprima, attentato alla vita di chi lo aveva truffato, poi ha sfogato una rabbia covata per anni e scaricandola contro quello che abbiamo di
più caro al mondo.
Alcune adolescenti sono rimaste gravemente ferite, e Melissa
Bassi è stata uccisa. Una ragazza che non c’entrava nulla ha pagato gravi conseguenze perché una piattola del sistema giudiziario italiano ha sputato una delle, ormai, tante sentenze-schifezza
che riempiono i Tribunali e che non garantiscono una completa
Giustizia. Una delle tante incomplete sentenze insufficienti a garantire di rientrare, subito, in possesso del maltolto, perché il sistema giudiziario prevede, e stabilisce, che si debbano spendere
altri soldi, a volte molti, prima che qualcosa ci sia restituito.
In tanti casi si deve procedere in sede Civile, si devono pagare Avvocati, Giudici e Tribunali per garantire un lavoro inutile
quando, invece, sarebbe bastevole che l’organo giudiziario pronunciante la sentenza di condanna, si preoccupi d’obbligare subito il condannato al pagamento. Nonostante questa non dovesse
essere la ragione che avesse impedito a Giovanni Vantaggiato di
recuperare il dovuto, sono sicuro che interessi altri bistrattati.
E poi l’Italia è il paese dei furbetti e degli escamotages che
sono lasciati a disposizione di chi è condannato, affinché possa
trovare i sistemi per eludere i pagamenti. Semmai la condannata
fosse un’azienda, figuriamoci a quanti ammennicoli e trucchetti,
o alle trafile, a cui quest’ultima ricorrerebbe pur di non pagare.
Nel caso di Giovanni Vantaggiato gli fu garantita la ragione
nel sostenere di aver subito una truffa, ma la sentenza era insufficiente a ripagarlo completamente o il cammino giudiziario sarebbe stato ancora lungo. Forse proprio per quest’ultima ragione
ha desistito dal proseguire in sede Civile dove chissà quanti anni
sarebbero ancora serviti.
Il sistema giudiziario italiano fa letteralmente schifo e auguriamoci che, con quel che di grave è avvenuto, si pensi a rifor322
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marlo eliminando certi parrucconi politici che scaldano le sedie
del Consiglio Superiore della Magistratura.
Ora, ad esempio, ci si è preoccupati d’eliminare o accorpare i
Tribunali minori, noncuranti o addirittura favorendo quella corruzione che prevarrebbe quando un Avvocato e/o un Magistrato
tentino di sfruttare le proprie conoscenze giudiziarie.
Tuttavia, semmai fosse necessario un accorpamento sarebbe
quello che permetterebbe d’unire due processi in uno solo, Civile-Penale, onde obbligare gli Avvocati a procedere e limitando
tante perdite di tempo.
E per continuare, il Tribunale penale che ha emesso la sentenza dovrà assicurarsi che sia rispettata, anziché costringere il
vincitore di una causa a: doversi rivolgere ancora all’Avvocato,
avviare decreti ingiuntivi o dover procedere, per forza, in sede
Civile. Il tutto quando una sentenza di condanna è stata emessa
in modo soddisfacente e, senza presenza di vizi, passata in giudicato. Ottenuto tutto questo, non dovremo più preoccuparci che
Giovanni Vantaggiato possa essere emulato.
Spesso le sentenze dei Tribunali sono nientedimeno che delle
provocazioni, come tutte quelle che sono continuamente costrette a subire i familiari delle vittime rimaste uccise sulle strade o
trucidate da stalker. Tutto questo avviene perché la Legge è divenuta un virus che ha ammalato la Giustizia, in quanto tra coloro che la rappresentano ci sono i portatori sani.
Sono certo che tra i lettori ci sia chi convenga con me che ai
Tribunali, e in particolare alle Procure delle Repubbliche, vadano tolti certi poteri non meno analoghi di quelli che ha il Re per
condannare il suddito sbattuto ai suoi piedi. Il servo almeno…
Sentenze poco chiare e Avvocati da catalogare
Questo libro riguarda in particolar modo la Giustizia, in tutte
le sue sfaccettature, cosicché intendo offrire il mio parere e fornire la mia opinione a quello che è stato uno dei casi d’omicidi
maggiormente discussi e che continua ad alimentare molta confusione.
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Durante la narrazione ho nominato i due Avvocati più pagati
d’Italia, ma ora limiterò a riferirmi a quello di sesso femminile:
l’avvocata Giulia Bongiorno. Inoltre, per chi finora avesse letto,
io ho reso evidente che i bambini e gli adolescenti sono, per noi
tutti, il fiore della nostra terra. Questo vale per Melissa Bassi e
altrettanto per Meredith Kercher, però non tutti i giovani sono
meritevoli. Com’è facilmente intuibile, dedico una parte di questa appendice per analizzare uno dei casi nazionali più gravi accaduti in Italia, distinguendosi per essere uno di quelli che è costato maggiormente. In toto, tra parcelle, perizie, onorari, consulenze, ecc., nei primi due gradi di giudizio si accennò che per la
causa era già stato speso un milione di dollari.
Se tenessimo in considerazione che l’avvocata Giulia Bongiorno è una degli Avvocati più pagati in Italia, perché la precedeva solamente Nicolò Ghedini, ancora una volta si assiste a un
processo in cui l’imputato è assolto. Entrambi, inoltre, occupano
una posizione politica, e questa funzione non può essere trascurata. Per cui, prima di proseguire intendo spiegare rapidamente
che cos’è il vero «legittimo impedimento». Questo termine inventato ad hoc da chi con la sua parlantina da mangia bagigi si
fregia di un titolo che io certamente non gli riconosco, dovrebbe
essere usato nei confronti suoi e di chi agisce come lui. A Tutti
gli Avvocati che svolgono una professione legale e cullano anche un ruolo politico, dovrà essere interdetto di assistere persone rientranti in quest’ultimo settore, a maggior ragione se appartenenti allo stesso schieramento. Ruolo spesso ottenuto grazie ai
servigi resi a persone politiche che, a loro volta, li ricompensano
rivestendoli di un titolo politico e piazzandoli proprio in un settore strategico ove siano utili ai loro porci comodi. E ciò non sarebbe definibile «conflitto d’interesse»?
Asserire che gli ultimi due Avvocati citati sappiano svolgere
la loro professione, sarebbe come definire incompetenti gli altri,
e poiché ogni processo ha un proprio svolgimento che lo rende
diverso da un altro, trarre una simile conclusione sarebbe inopportuno ed errato.
Il Processo Kercher, fino al primo grado d’Appello è costato
un milione di dollari. Il padre di Amanda Knox aveva a che vedere con la Legge, e una sua parente stretta era, addirittura, una
Poliziotta. Queste erano le notizie, forse errate o delle mezze ve324
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rità, che i mass media ci fornivano. Poi scopriamo che la sorella
di Raffaele Sollecito milita nell’arma dei Carabinieri, e che sarà
indagata assieme alla famiglia. Il nucleo famigliare è intercettato mentre escogita azioni corruttive, e proprio la Carabiniera sarà coinvolta. Ora resta da capire se il ruolo delle figure precitate
abbia inciso su di un processo che si è concluso con un verdetto
di assoluzione per non aver commesso il fatto. Tutte queste persone furono talmente importanti da determinare l’assoluzione di
Amanda Knox e di Raffaele Sollecito? Inizialmente fino al primo grado d’Appello, poi ci penserà la Cassazione.
Se così fosse, allora le conoscenze per scagionarci da un reato che non abbiamo commesso, diverrebbero talmente indispensabili che bisognerebbe chiedersi: «Ma poiché Amanda Knox e
Raffaele Sollecito furono assolti, quanti innocenti si trovano in
galera e quanti delinquenti, al contrario, sono liberi?».
Ma se Amanda e Raffaele fossero colpevoli, com’è possibile
che le figure precitate, più un Avvocato coi fiocchi, abbiano ottenuto la loro assoluzione persino in Corte di Cassazione?
Se queste figure, precitate, le considerassimo «amicizie» ed a
queste aggiungessimo: l’onorario percepito dall’avvocata Bongiorno, le spese processuali, più i compensi di vari Periti e Consulenti Legali, l’aforisma «con denaro e amicizia si compra la
Giustizia», troverebbe riscontro. Da aggiungere che la sentenza
di assoluzione emessa nel primo processo d’Appello è molto discutibile perché i due imputati non sono assolti per mancanza di
prove, bensì perché «il fatto non sussiste». Ma questo Tribunale
era assolutamente inadatto e, se non per altri motivi che rivelano
un malcostume giudiziario, ha sputato una sentenza scagionante.
Come spesso accade, la Cassazione ha dovuto annullarlo per ripeterlo; e giù soldi! Mi auguro che alla scagionante sentenza di
assoluzione «con formula piena», nel primo processo d’Appello
non siano giunti proprio perché gli imputati, di soldi, ne avevano già cacciati molti, e così potranno spenderne ancora. In modo
congiunto, questo caso è andato a colpire uno Stato potente con
il quale l’Italia ha rapporti di tutti i generi. Un potente Stato che
ha movimentato milioni di persone ad acclamare l’innocenza di
Amanda e senza avere un briciolo di conoscenza dell’accaduto:
basandosi soltanto sulla propaganda dei Media. Network televisivi, case editrici e testate giornalistiche hanno finora avuto un
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ruolo chiave in questa vicenda. In seguito, con la prosecuzione
della scandalosa causa, ebbero ancora molto lavoro per accalappiare l’attenzione degl’Italiani. È sufficiente notare che, sebbene
la causa non fosse ancora terminata, in America fu già trasmesso un film nel 2011 e, qui, in Italia andò in onda nel 2012-2013.
Con questi «colpi di teatro» il mondo intero si divise tra colpevolisti e innocentisti. Così l’Italia divenne ancor più bersagliata
dalle critiche riguardanti il proprio sistema giudiziario. Forma di
scenario che i nostri uomini di Legge non volevano e, allora, regalarono un’assoluzione provvisoria ai due imputati. Quella che
è stata emessa a Perugia è una sentenza scagionante che lascia
parecchi dubbi riguardo alla correttezza dei Magistrati. Condotta giudiziaria che andrà accertata perché uomini di Legge appartenenti a questo rango, non potevano ignorare le Leggi americane che avrebbero acconsentito ad Amanda Knox di svignarsela.
Quello che accadde è molto grave, perciò bisognerà accertare se
la decisione fu presa veramente dal Tribunale. Non è da escludere che l’ordine fosse partito dall’alto, dall’alto dei palazzi politici di Roma. Uno o più Ministri potrebbero essere intervenuti
per scongiurare la nascita di un caso internazionale che rischiasse d’incrinare i rapporti con lo Stato americano. Condizione che
avrebbe minato gli interessi che l’Italia ha con gli Stati Uniti. Di
ciò potrebbe essersi fatto carico addirittura lo stesso Berlusconi,
personaggio che in futuro noi ricorderemo come «il grande corruttore». Casomai in futuro dovesse essere eseguita qualche indagine sui Ministri con il risultato che ci furono ingerenze, tutti
dentro ed a calci… «A causa di quello che scrivo dobbiamo attenderci altri colpi di scena perché ora abbiamo altri Magistrati
da condannare». Sono le parole che scrivevo nel 2014. Mi pare,
quindi, di aver azzeccato le mie previsioni, perché la Cassazione
emise un verdetto che lasciò esterrefatti. Io, invece, me lo aspettavo.
Nella sentenza del primo grado d’Appello fu sputata una sentenza scagionante Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Nei confronti di lei fu emessa una seconda sentenza che la condannava
a tre anni di reclusione per una calunnia nei confronti di Patrick
Lumumba. Sarebbe stato un valido motivo per trattenerla in Italia nell’attesa del successivo processo d’Appello. Il Magistrato,
però, anziché emettere una sentenza che non considerasse la pe326
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na già scontata, riformò quella emessa nel primo grado di giudizio. Agendo in questo modo, egli produsse la conseguenza che
la decorrenza della pena iniziò dall’emissione della sentenza in
primo grado, invece che da quella del secondo. In base alle notizie mediatiche, Pratillo Hellmann incrementò la pena portandola
da uno a tre anni. Valutando che i due condannati erano in galera perché stavano scontando una pena per omicidio, la sentenza
in cui Hellmann riforma la prima, emessa a Perugia, doveva decorrere dal secondo grado di giudizio, ovvero Appello.
Pratillo Hellmann, più che il nome di un Magistrato assomiglia a quello di un fungo. Nome latino: Pratillus Hellmannum,
ossia una varietà fungina che intacca l’ambiente; una muffa che
nuoce gravemente agli ammazzati; nel mese di ottobre prolifera
avvelenando la Giustizia.
Amanda Knox dichiarò che non sarebbe più tornata in Italia.
Così avrebbe potuto continuare a latitare sostenuta da un popolo
che non acconsentiva alla prosecuzione del processo. Soprattutto qualora quest’ultimo fosse terminato con una sentenza finale
emessa in antitesi a quella della prima Corte d’Appello.
Al cittadino che non potendosi basare su prove o elementi di
accusa, quando questi languono gli resta soltanto d’esprimere un
proprio parere in base alle impressioni scaturite dal comportamento tenuto dagl’imputati. Il concetto vale ugualmente per me
che, non avendo dati certi, devo basarmi sulla psicologia del reo
inconfesso. Non vado, di sicuro, a contare sugli elementi di una
sceneggiata televisiva che copia il, ben diverso, caso del defunto
presentatore Enzo Tortora. Tuttavia, per assumere una posizione
in merito, devo mettere in evidenza che ho riscontrato alquanto
strano l’atteggiamento tenuto dagl’imputati.
Allo stesso modo in cui, a volte, io guardo certe trasmissioni,
credo che tra i lettori ci siano coloro che, talvolta, seguano «Un
caso in Pretura»: in onda su Rai Tre ma a un’ora della tarda serata. Una trasmissione che mette a nudo i colpevoli di vari casi
d’omicidi dove l’imputato, essendo colpevole, mantiene sempre
un comportamento composto: una certa aplomb che maschera la
sua colpevolezza, sfoderando un atteggiamento freddo e distaccato. E questa condotta continua a ripetersi quando dal P.M. gli
sono poste domande scomode, accuse sottintese che glissa o alle
quali risponde, avulso, come se non lo toccassero.
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Lo stesso comportamento l’ho notato nei tre imputati del caso
Kercher, e perciò ritengo che quando una persona sia estranea a
un delitto che potrebbe anch’essere un qualunque reato, ed è ingiustamente accusato, non resta imperturbato nel rispondere alle
domande. Figuriamoci poi se, inoltre, le interrogazioni dovessero esser insistenti e tendenziose, cosa succederebbe!
Una persona che sa di essere innocente si ribella o comincia a
schernire i Magistrati definendoli dei pazzi e, avendo a disposizione le telecamere, alza la voce per sputtanare l’operato della
Magistratura. Per questo reputo anormale l’atteggiamento tenuto
dai due imputati. Secondo me hanno mantenuto una condotta irreprensibile perché sapevano che le prove dell’accusa non erano
inconfutabili, ossia fossero contestabili.
Hanno lasciato che le amicizie e gli Avvocati difensori recitassero la loro parte, dopodiché hanno incominciato a esternare.
Soprattutto Amanda che, «solo» dopo quattro anni, alcuni giorni
prima della sentenza del primo Appello, inizia a piangere. Sinceramente il suo singulto mi è apparso quello di una persona che
ha paura di ritornare in galera e rientrare a scontare una pena per
un reato commesso, piuttosto che per non esser estranea alle accuse mossele e di finire in carcere da innocente.
Sono sicuro che per ciò che legge, il lettore abbia una spiegazione che giustifica i singoli comportamenti, ed è quella che non
siamo tutti uguali e per questo reagiamo in modo differente. Infatti, dopo il delitto di Cogne, Anna Maria Franzoni pianse fin
dai primi giorni, ma lei aveva perso un figlio ed era probabile
che il rimorso l’attanagliasse. Una contrizione che fosse talmente sentita da provocare in lei un’esternazione lacrimale. Eppure
non la si è mai vista rintuzzare le accuse, manifestando un comportamento, perlomeno, seccato e riluttante o poco conciliante.
Difficile poter sostenere se questo fosse dovuto al suo mite temperamento. Invece, in questo caso, Amanda e Raffaele erano assolutamente imparagonabili ad Anna Maria Franzoni. Nutrire un
dubbio su di lei era lecito, ma non sui due imputati.
Durante il processo di primo grado, tutti hanno appreso le vicissitudini che rendevano i due amanti così trasgressivi e appassionati, al limite della perversione. Amanda possiede una personalità molto controversa. Sono certo che se fosse stata fatta più
luce su questo aspetto, sarebbe stato possibile riscontrare, in lei,
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la presenza di una mente disturbata. Non sarebbe stata scagionata con formula piena.
Due persone così non sarebbero state in grado di «puntare i
piedi» durante il processo di primo grado e le prove a loro sfavore? Due persone così non sarebbero state capaci di mandare a
quel paese un Magistrato? Sollecito scrisse un libro per il quale
fu inquisito, ma era trascorso troppo tempo. Amanda Knox ormai era libera e la causa stava procedendo.
Se le prove a loro carico non fossero state congruenti, o false
come quando il Magistrato abusa dei propri poteri, allora perché
costoro per anni hanno taciuto attendendone lo smontaggio?
Smontate come? Da non trascurare che Amanda Knox accusò
Patrick Lumumba di essere il killer di Meredith Kercher. Chissà
perché avrebbe dovuto accusare qualcuno che non c’entra niente
e coprendo uno dei responsabili! Sarebbe stato facile per lei accusare Rudy Guede, invece si scagliò contro l’unica persona che
non c’entrava. Nel 2013 s’inventò: «Sono stata manipolata.». La
sua risposta arrivò dopo che io avevo formulato la mia osservazione.
Durante la prima intervista che la trasmissione «Quarto grado» riservò a Raffaele Sollecito, in lui notai l’occhio vitreo tipico di chi ha sangue freddo, ma il linguaggio del suo corpo fornì
segnali ben precisi. Questi ricomparivano sempre in determinati
momenti e quando si accennava a particolari molto rilevanti.
Dal mio punto di vista, il comportamento tenuto da Amanda
e Raffaele non è di persone del tutto innocenti, e la mia opinione
è che costoro sappiano più di quel che non vogliano, e possano,
dire. Per Amanda e Raffaele, l’esito dell’ultima sentenza ha determinato l’opportunità di richiedere i danni allo Stato. Occasione di lucrare che il signor Sollecito ha reso manifesta già in occasione della sua prima conferenza, e spalleggiato dall’avvocata
Bongiorno. Quasi in modo simultaneo appare un ansa in cui lui
avanza una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione, pari a 516 mila euro. Passano quindici giorni ed ecco che Amanda
Knox dichiara di essere «povera in canna».
Invito i lettori a notare che, nei film, chi è accusato ingiustamente si ribella, quindi il cinema non è sempre finzione. Anzi,
semmai vi sia chi, avendo assistito al film, ipotizzi l’esistenza di
condotte inscenate proprio perché quest’appendice fu stesa pri329
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ma che «la pellicola fosse impressa» e trasmessa, potrebbero essere contestabili dei reati.
Io non leggerò assolutamente i libri contenenti le biografie di
Amanda Knox perché si tratterà di opere menzognere che punteranno a descriverla come una persona linda, pulita ed estranea a
quanto di grave successe. Qualunque casa editrice li rediga, non
ne cambierebbe il posticcio contenuto. Idem per quello di Raffaele Sollecito, che ha afferrato la convenienza di servirsi dello
Stato americano, anche per la stesura di un libro. «Speriamo solamente che lui non stia ottenendo la cittadinanza americana.»,
sono le parole che scrivevo ancora all’inizio del 2013. Amanda
Knox dichiarò che non aveva soldi per venire in Italia, ma quattro furono i milioni di euro che si assicurò sulla pelle degli altri,
sulla pelle di Meredith Kercher. Pressoché un mese dopo la sentenza di proscioglimento emessa dalla Cassazione, in una rivista
americana appare la notizia in cui Amanda Knox dichiara che i
quattro milioni di euro sono stati spesi tutti per la causa. Quindi
costei stava già cercando di mascherare tutto l’ingiustificato arricchimento ottenuto da questa vicenda.
Nel 2013-2014, ossia durante il secondo processo d’Appello,
Amanda Knox e Raffaele Sollecito risposero a qualche domande che ponevo nel menabò, perciò fui costretto a cassare qualcosa e ad apportare alcune variazioni. Alle mie osservazioni hanno
risposto con una falsità dietro l’altra e dove, da un po’ di tempo
a questa parte, stavano giocandosi la carta del «Viso d’Angelo».
Le loro facce, però, non erano più le stesse che avevano quando
furono arrestati. Ancora una volta io rendevo evidente gli astuti
sistemi che loro due usavano per camuffare il marcio che li pervade, ed ecco che dopo pochi mesi i mass media li additano come persone appesantite, dai visi gonfi e più maturi. Lei assomiglia a una monaca di clausura e lui sembra un ebete.
Riguardo a ciò che accadde nelle ore successive alla sentenza
emessa a Firenze, ho già tratto sufficienti conclusioni. Sollecito
aveva già compreso che sarebbe stato condannato, quindi si recò
dalla sua nuova fiamma, a Oderzo. Non intendo aggiungere altro. So per certo che una persona può percorrere trecento chilometri per recarsi dalla sua ragazza, ma che assieme a lei ne percorra, come minimo, altrettanti di sola andata, m’insospettisce.
Se, infine, quei trecento-seicento chilometri aggiuntivi li percor330
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re con un veicolo quasi anonimo e durante un pomeriggio-sera
d’inverno, i sospetti decollano. Tra l’altro, c’è da tenere in considerazione che in quei giorni l’Italia e l’Austria erano interessate da precipitazioni temporalesche e nevose. Pertanto, non capisco che cosa ci fosse di bello da vedere in Austria! La macchina
condotta dalla fidanzata non aveva nemmeno il portasci, e poi
l’Austria non è mica uno dei caldi Stati tropicali adorati da Sollecito, per l’assenza della misura d’estradizione! Quindi, perché
mai recarsi fino là e stressarsi seduti su un sedile per percorrere
altri cinquecento-seicento chilometri col cielo che diluvia?
«Assolti per convenienza e per non aver commesso il fatto da
soli», questo è il verdetto che ho pubblicato sul mio profilo Facebook, Udine. Social Network che, attraverso insistenti sistemi
ingannevoli e ostruzionistici, ha continuamente ostacolato il mio
operato. Facebook e Twitter sono social network votati a potenti
che, tramite pretoriani, tengono sotto controllo quello che viene
scritto nei propri riguardi.
A seguito di quello che inizio a scrivere, mi auguro che i Legali della famiglia Kercher valutino l’opportunità di ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La sentenza emessa
dalla Corte di Cassazione italiana va impugnata presentando un
ricorso per richiederne l’annullamento.
«Assolti per non aver commesso il fatto» è il verdetto di proscioglimento della Corte di Cassazione. Rudy Guede ha ammesso di essere presente la sera del delitto. Inoltre, analisi periziali e
istologiche hanno rilevato la presenza del suo D.N.A. sul corpo
di Meredith Kercher. Il materiale biologico prelevato dalle parti
intime di Mez, provava l’incontestabile presenza del consumo di
un rapporto sessuale avvenuto tra lei e Rudy Guede. L’Ivoriano
ammise di averlo consumato in modo incompleto, ma non confessò l’omicidio. Rudy Guede andò in galera per scontare la pena inflittagli dopo il processo breve, e non rilasciò mai più alcuna dichiarazione. C’è chi sostiene che prese soldi per tacere, c’è
chi valuta che lui si è ormai rassegnato a scontare la pena, e c’è
chi formula altre motivazioni. Io, in merito al suo comportamento non espressi alcuna opinione e seppure ne avessi una ben precisa, ossia che lui fosse rimasto alla finestra ad osservare ciò che
sarebbe toccato agli altri due accusati. In pratica, lui avrebbe atteso che la causa fosse terminata perché s’illudeva che anche la
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Knox e il Sollecito sarebbero stati condannati. Giustappunto egli
s’illudeva allo stesso modo con cui il medesimo miraggio offuscava le menti di chissà quanti altri assertori della loro colpevolezza.
La sentenza della Cassazione scagiona i due imputati, ed ecco che Rudy Guede interviene pronunciando: «Se sono innocenti loro, allora anch’io lo sono.». Con queste parole, egli è come
se avesse sostenuto che se loro non sono colpevoli, allora non lo
è neppure lui. In codeste parole avverto in lui un gesto di stizza
per essere l’unico ad aver subito una condanna. Gli brucia il fatto di essere stato considerato il solo che nella sera del delitto era
presente, e nondimeno che l’accusa di concorso in omicidio sia
stata tralasciata. Peraltro, considerando l’accusa della Knox contro Lumumba e la tardiva mossa giudiziaria dell’avvocata Bongiorno, in quella casa perlomeno uno degli altri due accusati doveva esserci. La tardiva mossa fu quella di separare Raffaele da
Amanda, ma quand’ormai lei era in America. Il tutto per ottenere quantomeno l’assoluzione di Sollecito, ossia provare a salvare anche i cavoli. Soltanto Rudy Guede può sapere quanti fossero i presenti nella sera del delitto, e non credo che lui abbia interesse a dichiarare la falsa presenza di almeno uno degli altri imputati. Non riceverebbe in cambio uno sconto della pena, né alcun altro beneficio. Rischiare d’incrementarla con altri tre anni
di reclusione per calunnia e come accadde alla Knox, non credo
che sarebbe conveniente, e allora tace lasciando il caso insoluto.
Il capo d’imputazione di concorso in omicidio rimane valido
anche se la Cassazione, dopo averlo trascurato, lo avesse inserito nelle motivazioni di proscioglimento dal capo di accusa principale. Motivazioni che non prendo in considerazione perché sto
analizzando questo caso per valutare la condotta della Magistratura. Ora, però, bisogna analizzare i motivi, di convenienza, che
hanno comportato l’assoluzione della Knox e di Sollecito.
Durante la stesura ho già disquisito uno di questi motivi, che
è lo Stato Americano. Amanda oramai è libera e la sua vita prosegue negli Stati Uniti, dove se la spassa con quattro milioni di
euro lordi. Una condanna definitiva significa avviare farraginose e alquanto sempiterne procedure d’estradizione che, oltre instaurare conflitti tra le due nazioni, avrebbero rimesso alla gogna la Magistratura italiana. A tutto questo polverone che si sa332
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rebbe sollevato, condannare anche gli altri due imputati avrebbe
significato darmi ragione per quel che avevo scritto. Al contrario avrebbe garantito l’assoluzione di Pratillo Hellmann. Il quale
era, peraltro, stato attaccato dai colleghi che, come me, ne avevano condannato l’impenitente operato. Il signor Hellmann non
mancò l’occasione di esternare il tutto dal signor Bruno Vespa,
rimarcando che non c’era niente per accusare i due imputati. Invito i lettori a diffidare di queste trasmissioni che, spesso, sono
il frutto di argute strategie, sia per manipolare a proprio piacimento qualcosa, sia per garantirsi un’audience. Già in precedenza mi era successo di sconfessare la trasmissione «Quarto Grado», per idiozie pronunciate. Ora tocca a «Porta a Porta».
A questa trasmissione sono stati invitati i famigliari di Sollecito, e appare anche la sorella. Lei era una Carabiniera, ma quella trasmissione era stata appositamente studiata per denunciarne
la sua estromissione dall’arma. Come? Non di certo evidenziando che ciò fosse avvenuto a causa d’intercettazioni telefoniche,
che la vedevano coinvolta per azioni corruttive in favore di suo
fratello. Della causa riguardante il proprio licenziamento fu accusato, invece, il mancato superamento di un concorso al quale
lei avrebbe dovuto partecipare per acquisire il grado di Ufficiale. Durante la trasmissione si apprende che costei ha avviato una
causa per il riconoscimento del danno e per essere, quindi, reintegrata nell’Arma. La causa è arrivata in Cassazione, la quale le
ha dato torto. Allora lei l’ha impugnata alla Corte Europea, rimanendo nell’attesa che quest’ultima si pronunci. Ed ecco che,
proprio qui, si nota un’altra motivazione di convenienza per assolvere Sollecito. Il suo proscioglimento non avrebbe più creato
pregiudizi nei confronti della sorella, così il Tribunale dei diritti
dell’uomo, oppure la Consulta, avrebbe potuto annullare la sentenza della Corte di Cassazione italiana.
Ora intendo proseguire proprio con la Corte di Cassazione e
vagliarne il comportamento giudiziario tenuto. Comincio con il
primo giudizio che essa espresse dopo la prima sentenza di Appello che prosciolse Amanda Knox e Raffaele Sollecito. La Suprema stabilì che la sentenza di assoluzione pronunciata da Pratillo Hellmann non fosse adatta. Erano stati trascurati alcuni particolari; talune perizie erano state svolte in modo grossolano; la
Cassazione, pertanto, ordinò la ripetizione del processo. Il primo
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processo di Appello non era accettabile, infatti il secondo ribalta
la sentenza emessa nel primo. A questo punto, la Cassazione ha
ottenuto il risultato richiesto: i giochi sono fatti. Come il solito,
la sentenza viene impugnata e alla Corte di Cassazione resta solamente di confermarla. È tutto finito? Macché! Ecco che accade l’inspiegabile: dopo aver richiesto la ripetizione del processo,
emerge l’aspetto più contraddittorio di questa vicenda. La Cassazione assolve i due imputati. Ma come! Tu organo giudiziario
che dapprima ti esprimi per ripetere un processo al fine di ottenere una sentenza antonima, poi ti comporti in modo incoerente
ribaltando quella che tu stesso avevi richiesto?
Di questo comportamento la Cassazione dovrà rispondere di
fronte alla Corte Europea, perché ciò non è concepibile. La Cassazione non dovrà mai più permettersi di spostare, da una sezione all’altra, un processo che si svolge all’interno del proprio foro. È un pretesto spacciato per possibilità, quindi non per il fatto
di affidare il giudizio a persone diverse e con lo scopo di ottenere pareri diversi ma discordanti tra di loro, bensì all’artificio di
giustificare un verdetto opposto al precedente emesso dal medesimo supremo Tribunale. In precedenza, il lettore ha letto che ho
segnalato il malcostume giudiziario di ripetere i processi. Ebbene, ora io mi chiedo: se la Corte di Cassazione fosse stata obbligata a pronunciare la sentenza definitiva avvalendosi della stessa sezione che annullò il primo processo d’Appello, la causa sarebbe terminata con una condanna? La risposta è sicuramente sì,
a meno che in seguito non avesse sostituito i Giudici o aumentato il numero. C’è un’altra domanda che bisogna porsi perché riguarda Amanda Knox. Supponiamo che costei fosse stata assolta già durante il primo grado di giudizio, chi mai avrebbe potuto
costringerla a rientrare in Italia per affrontare il secondo grado?
Nessuno, ma non è detto che sarebbe rimasta in America. La seconda sentenza avrebbe potuto ascoltarla rimanendo sul divano
di casa sua! Dobbiamo anche chiederci che cosa sarebbe accaduto se fosse stato invertito l’intervento delle due sezioni giudicanti della Cassazione? Amanda e Raffaele ora sarebbero in galera? Probabilmente sì, quindi questo è un motivo impreteribile
per condannare l’operato di una Corte di Cassazione che dovrà
rispondere per manifesta incoerenza giudiziaria. Abbiamo un sistema giudiziario che fa acqua da tutte le parti e in cui la grossa
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banconota assume un ruolo preponderante nella prosecuzione di
una causa, e abbiamo politici interessati a garantire la ragion di
Stato che mantiene lo statu quo, quindi se ne fregano.
Questa sentenza della Corte di Cassazione dovrà essere impugnata davanti alla Corte Europea, perché sono emersi elementi comprovanti che questo processo è stato una «roulette russa».
I Tribunali hanno premuto il grilletto di un tamburo contenente
un solo colpo valido, avrebbe potuto anch’essere il secondo, ma
il tutto è stato condizionato dall’interesse di alleggerire le molteplici posizioni a rischio e dall’ottenere il protrarsi della causa.
Chi ha letto il menabò di questo libro, in pratica la bozza ancora da completare, è a conoscenza che della locuzione «ingiustificato arricchimento», io mi servivo digià quando si seppe che
Amanda Knox avrebbe incassato quattro milioni di euro. Ebbene, questo termine non lo sdoganai casualmente. Non sono due
parole buttate lì per il gusto d’impressionare il lettore, è un articolo del Codice Civile. È un articolo di Legge che deve riguardare tutti, inclusi gli Avvocati, ed è un Istituto Giuridico che risale, addirittura, all’epoca romana.
Non è nelle mie intenzioni approfondire l’argomento con nozioni conoscitive addentrandomi nei meandri del linguaggio accademico, perché mi basta esprimere qualche concetto aderente
alle circostanze. Quando Amanda Knox affermò di aver cacciato quattro milioni di euro per gli Avvocati e per le spese processuali, presumo che i creduloni pendenti dalle sue labbra fossero
pochi. Se avesse dichiarato di averli spesi in corruzione, sarebbe
stata molto più credibile. Costei, quindi, è andata in cerca di un
pretesto per giustificare l’arricchimento che le sarebbe stato sottratto semmai fosse stata condannata. Evidentemente, un azzeccagarbugli, anche donna, le avrà consigliato di raccontare questa
palla. Purtroppo, ciò avvenne con molto ritardo e quand’ormai,
io, avevo già scritto, nel menabò, che doveva esserle sequestrato
tutto l’ingiustificato arricchimento ottenuto. La sentenza di proscioglimento rende, pertanto, indispensabile aggirare questo articolo di Legge, e così scopriamo che Amanda Knox è «povera
in canna» ed io sguazzo nell’oro. Chi finora ha letto questo libro
sa benissimo che il primo caso è quello scorretto, e sa altrettanto
bene che esistono altri signori traenti fior di quattrini dai processi: gli Avvocati.
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Quando un Avvocato prende in mano una causa, si sviluppa
un rapporto giuridico chiamato «contratto di mandato professionale». Il mandato è un istituto giuridico in forza di cui qualcuno
– mandatario – ha ricevuto un incarico da qualcun altro – mandante – e assume l’obbligazione di agire in sua vece.
Il mandato, incluso quello professionale, è fonte di obbligazione anche per quel che riguarda l’ingiustificato arricchimento,
il quale potrà essere riconosciuto per procedere alla «ripetizione
dell’indebito»: è una restituzione regolamentata da un altro articolo di Legge.
Nel nostro caso, siamo di fronte a due persone che tenteranno
di trarre vantaggio dalle circostanze. Amanda Knox cercherà di
nascondere tutti i guadagni ottenuti, Raffaele Sollecito proverà a
ottenere un risarcimento per ingiusta detenzione. La Knox ora è
libera, e solamente la condanna avrebbe comportato il sequestro
dell’ingiustificato arricchimento. Con quei soldi avrebbe risarcito la famiglia Kercher, ai quali sarebbero stati aggiunti eventuali
proventi ottenuti da Sollecito. Tra l’altro, la Knox dichiarò che i
quattro milioni di dollari erano stati spesi tutti in Avvocati. Certo che ciucciano questi Legali! Ovvio, sono come le fuoriserie o
come le monoposto delle competizioni automobilistiche, mantenerli è roba da ricchi e soprattutto quando devi pagargli il silenzio. Le auto, però, tacciono se non le alimenti. Gli Avvocati, più
li alimenti e più tacciono. Durante un processo, un Avvocato sa
sempre da chi sta prendendo i soldi, perché gli Avvocati sono i
Preti confessori dei delinquenti, conoscono la verità. Comunque
sia, Amanda Knox potrebbe tuttalpiù richiedere i danni per un
solo anno d’ingiustificata detenzione, invece Sollecito ne ha altri tre da riscattare.
Secondo me bisognerebbe che lo Stato intervenisse nei confronti degli Avvocati traenti un ingiustificato arricchimento. Poco probabile è che un assistito possa procedere per richiedere la
ripetizione dell’indebito. Figuriamoci, poi, se dopo aver ottenuto l’assoluzione di un colpevole, quest’ultimo abbia interesse a
richiedere i danni al suo salvatore. Dovrà occuparsene lo Stato.
Avvocati come la Bongiorno, il Ghedini, il Coppi e tutti i divorzisti che hanno spolpato qualcuno, dovranno restituire il di più.
Gli Avvocati non hanno un tariffario che contenga il costo di
ogni singola prestazione, stabiliscono arbitrariamente ogni loro
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compenso legato ad un compendio. Ognuno richiede quello che
vuole approfittando di altri fattori. Sono stati messi sui piedistalli e credono, quindi, di potersi arricchire esigendo onorari esorbitanti e che li battezzino «Avvocati di nicchia». A quest’ultimo
termine mi verrebbe voglia di sostituire due lettere.
Basta! Gli Avvocati dovranno avere un tariffario e dovrà essere uguale per tutti perché, tanto, chi è benestante, fino in Cassazione ci arriva comunque. Un listino, però, garantirebbe a tutti
la possibilità di arrivarci, e gli Avvocati non potrebbero più lucrare sulle lunghe cause. Fondamentale sarà un prezziario commisurato a quello degli Avvocati che ciucciano meno: le utilitarie dell’avvocatura.
Continuo questa disquisizione spiegando i provvedimenti che
bisogna adottare per mettere fine all’ingiustificato arricchimento. Questo mercimonio non va ad interessare più soltanto il caso
Kercher, perché anche sul naufragio della Concordia c’è chi sta
tentando di speculare sulla pelle degli altri. Ovviamente il fautore dell’iniziativa di pubblicare un libro, è l’ex capitano Schettino. Non ho intenzione di commentare questa deplorevole iniziativa, né m’interessa catalogare una Giornalista che è complice di
un inquisito: voglio solo evitare che ci siano altri artefici.
Film, fiction, libri, partecipazioni a compenso e tutto ciò che
riguarda la pubblicazione di qualcosa che ha attinenza con una
causa non risolta tramite una sentenza definitiva, dovranno essere tassativamente vietati. Ovviamente non mi riferisco ai servizi
giornalistici, ma ai cachet che intascano persone non ancora state giudicate definitivamente. Se qualcuno vuole scrivere un libro
oppure girare un film, una fiction o altro ancora, deve essere libero di farlo, ma la pubblicazione potrà avvenire soltanto quando ci sarà una sentenza definitiva. Sarà, poi, la gente che deciderà se varrà la pena acquistare un libro perché il colpevole è stato
condannato, o se desistere perché l’assolto non merita di essere
commiserato; così come non è sicuro che l’ultimo grado di giudizio possa sempre essere quello della Corte di Cassazione, perché di fondamentale importanza sarà che siano decorsi i termini
per ricorrere in sede Civile-Penale, anche alla Corte Europea.
Poniamo il caso che l’esautorato capitano Schettino decida di
devolvere i proventi alle vittime, il libro diverrebbe talmente richiesto che si potrebbe risarcirle, ma gli rimarrebbe un’ipotetica
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cifra con la quale: salderebbe il conto degli Avvocati, pagherebbe le spese processuali e non intaccherebbe il patrimonio accumulato negli anni di servizio. Si tratterebbe soltanto di una mera
operazione commerciale per garantirsi dei ricavi qualora dovesse essere condannato. Non appena libero potrà godersi i ricavati
del libro venduto mentre stava in galera o, comunque, a scontare
una pena. Se poi costui dovesse essere assolto, ecco che i ricavati delle vendite finirebbero tutti nelle sue tasche. A riguardo fa
scuola il caso di Meredith Kercher. Ad Amanda Knox ed a Raffaele Sollecito sarebbero stati sequestrati tutti i ricavati ottenuti
da film, libri e quant’altro. Essendo, però, stati assolti, nessuno
glieli tocca più, eccetto che alla Corte Europea pervenga un ricorso contro la Corte di Cassazione italiana, condannandola. Ottenere un ricorso contro la Cassazione non è di mia competenza,
perché può essere presentato solamente dai Legali della famiglia
Kercher, altrimenti me ne sarei già occupato.
L’argomento che finora ho trattato è l’ingiustificato arricchimento, il quale non perverrebbe a Schettino se una Legge antisciacallaggio fosse emanata, anzitutto, dalla Corte Europea, per
essere in seguito applicata a livello mondiale. Ogni lettore di libri sa che un libro può essere tradotto e venduto all’estero, oltre
al fatto che può anche provenire da una casa editrice estera, perciò la censura deve essere adottata a livello mondiale. Dovranno
essere applicate pene per chi avrà interesse a trasgredire, le quali
saranno sia detentive sia pecuniarie. Insomma, la loro entità sarà
pesante al fine di dissuadere dal rendere pubblico qualcosa i cui
proventi possano essere intascati da uno o più accusati, intascati
anche indirettamente o attraverso auto-pubblicazioni. Purtroppo,
negli altri casi non sarà possibile evitare che questo accada. Ad
esempio, i libri scritti, e pubblicati, sul naufragio della Concordia sono già sei. Di fondamentale importanza sarà che sia preso
un provvedimento prima della pubblicazione, perché la maggior
parte dei millequattrocento commenti totalizzati in poche ore in
un post su Facebook, sono di sdegno, sono di indignazione, sono di rifiuto della specie umana, ed io che concordo insieme a
tanti altri Italiani, non posso più soprassedere rimanendo impassibile. Se c’è qualcuno che ha un conto da pagare allo Stato, allora il saldo dovrà avvenire tramite i proventi di qualcosa che è
stata ottenuta dopo la sentenza definitiva. Un libro, un film, una
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fiction, una partecipazione ad un reality e quant’altro, sarà concesso soltanto dopo la sentenza definitiva.
Termino qui l’argomento «ingiustificato arricchimento», con
le seguenti parole. Amanda Knox e Raffaele Sollecito non hanno il diritto di richiedere un indennizzo per ingiustificata detenzione, perché di soldi ne hanno già ottenuti molti e ogni loro parola è un’invettiva che scuote l’anima della sfortunata Mez.
Alcuni anni fa, Berlusconi propose che le carriere dei Magistrati fossero scisse, ed io propongo che il criterio includa quelle
degli Avvocati che si occupano di Diritto del Lavoro.
Un Avvocato non deve avere sempre la facoltà di decidere se
intentare una causa oppure desistere, considerando che a pagare
le spese è il cliente. Un Avvocato dev’esser obbligato ad avviare
la causa di un cliente che glielo richieda, eccetto che lui sia già
controparte. Il Legale può sbagliare ma può anche ingannare il
cliente per varie ragioni e una delle quali è proporre solo cause
facili che non gli creino complicazioni, le quali sono lasciate alle decisioni degli Avvocati in erba.
Se per un proprio punto di vista un cliente vuole andare fino
in Corte di Cassazione, l’Avvocato deve assecondarlo malgrado
il proprio parere sia discordante. Servono, quindi, delle imposizioni nei confronti degli Avvocati che, in taluni casi, rappresentano soltanto lo strumento obbligatorio che impedisce di avviare
una causa.
È alquanto scandaloso che una persona debba essere costretta
a cercare all’infinito un Avvocato concorde mentre, in certi casi,
diviene importante la tempestività di un’azione giudiziaria evitante conseguenze.
Sempre dal mio punto di vista, ritengo che gli Avvocati lavorino più volentieri per le aziende piuttosto che per i singoli lavoratori. I Legali sposanti la causa di un lavoratore – forse perché
trattasi di Avvocati giovani e col bisogno di crearsi una posizione economica – finiscono coll’esser corrotti dalle società. Ci sono onorari che un semplice lavoratore dipendente non potrebbe
mai permettersi di pagare. Per cui, in caso di causa complicata,
l’Avvocato troverebbe il sistema, oppure il pretesto, per esimersi dall’incarico. Eccetto, a causa conclusa o mai iniziata, mettersi in saccoccia una mercede offerta dalla controparte e/o un tornaconto per il favoreggiamento: definirsi «collusione».
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Le cause complicate portate avanti più volentieri dagli Avvocati sono quelle delle società che per qualche ragione si scontrano tra di loro o verso un ente o contro una persona benestante.
Hanno così la facoltà di remunerare i loro Legali mediante una
quantità elevata di quattrini. Sono quelle cause in cui le due parti si equivalgono grazie a propri personali Avvocati che sono retribuiti profumatamente e, per questo dogma, «onorati» affinché
si aggrappino a qualsiasi cavillo.
È ora di finirla! I Consigli degli Ordini dovranno separare gli
Avvocati che difendono le Aziende da quelli che assistono i lavoratori dipendenti. Coloro che saranno incaricati di rappresentare il popolo delle partite I.V.A. – industria e artigianato, i liberi professionisti, i commercianti e, oltretutto, aggiungendo i più
alti danarosi dirigenti aziendali pubblici e privati – non potranno
ugualmente assistere gli altri dipendenti pubblici e privati. Così,
finalmente, si potrà impedire che le partite I.V.A. comprendano
quelle dei lavoratori precari costretti ad associarsi per poter entrare a lavorare in un’azienda. Ricattanti mezzucci che, in questi
tempi di crisi, i lavoratori certamente subirebbero accettandoli.
Gli Avvocati assistenti le categorie inferiori saranno controllati per impedire che agli onorari percepiti dal patrocinio prestato ai lavoratori dipendenti, non vadano ad integrarsi mazzette o
qualsiasi altro «benefit» derivante da un esercizio corruttivo occulto.
E ora occupiamoci della Magistratura incominciando a rendere evidente che, in Europa, ci sono nazioni adottanti una misura
di Legge attribuente ai reati l’impossibilità di prescriversi. Mentre in Italia è valida solo per i reati più gravi.
Quando la denuncia o la notizia di reato giunge in Tribunale,
accade che: la prescrizione s’interrompe, il reato diventa imprescrivibile ed è lasciato tutto il tempo necessario per assicurare
alla Giustizia i delinquenti. In tali nazioni assicurare alla Giustizia, quindi, non significa soltanto portare in Tribunale qualcuno,
ma avere anche tutto il tempo che serve per ottenere una sentenza in proprio favore, possibilmente definitiva.
Contrariamente qui, in Italia, non solo esistono le prescrizioni
dei reati che impediscono d’ottenere Giustizia in tutti i casi dove
il cittadino la richieda, ma si abusa anche di una locuzione che
rende le sentenze delle vie di mezzo. Verdetti ostruzionistici che
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non sono «carne né pesce» e carenti di criteri per evitare di sputarli in faccia a chi si affida alla Legge, fidandosi. Sentenze che
quando giungono hanno ormai provocato un’adeguata perdita di
tempo per mettere un’ipoteca sull’agognata prescrizione che assolve e libera il delinquente dal reato commesso.
Trattasi delle sentenze di archiviazione, delle quali si sta abusando per non rendere Giustizia a molti e consentendo allo Stato
un grosso risparmio in termini di spese evitate, più carceri che
non scoppieranno per il sovraffollamento.
I reati minori non sono più considerati e, tramite le archiviazioni o un Avvocato che sappia perdere tempo, ben presto finiranno in prescrizione. Senza dimenticare tutte le altre schifezze
italiane: sconti di pena, indulto, certezza della pena in casa e super patteggiamenti. Posizioni da ignoranti che i Ponzi Pilati della Legge prendono non garantendo soddisfazione a chi querela o
denuncia. Altrettanto paradossale è che, ottenuta una sentenza di
archiviazione, la persona deferita possa proporre una controquerela passando, così, da probabile delinquente a beneficiata. Allora mi chiedo: «Chi ha denunciato senza poi riuscire a procurarsi
una vera e propria sentenza, perché dovrebbe ritrovarsi controquerelato?».
Senza una vera sentenza in favore del querelante, il querelato
che è stato inquisito rimanendo impunito non deve avere il diritto di proporre una controquerela. Mi riferisco ai casi in cui siano
state emesse sentenze di archiviazione: ibridi, trans, ermafroditi,
androidi, ecc.
La sentenza di archiviazione è un verdetto neutro, è come il
film «La corazzata Potёmkin», che non soddisfa nessuno o quasi. Siccome qualcuno ha querelato per primo, egli dev’esser preservato dalle azioni che potrebbero esser avviate senza che, con
una vera sentenza, si stata provata l’innocenza del querelato. Talune sentenze di archiviazione dovranno essere ritenute illegali,
ed i Magistrati dovranno imparare, pagandone personalmente le
conseguenze, che questo non sarà più lo Stato delle mezze misure, delle sentenze insoddisfacenti e degli sperticati, ripetuti, processi che ungono gli introiti dei Tribunali trasformandoli in slotmachine, macchine mangiasoldi. Tribunali che si spendono nello svolgere processi futili mentre ci sono urgenze ben maggiori,
ma che sono considerate come certe malattie rare: fino a quando
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non interessano un tot numero di persone, nessuno se ne occupa.
Come lo stalking che ha interessato molte donne vittime di omicidi e uxoricidi: tantissimi sono i casi di denunce archiviate.
L’ambiguità giudiziaria dove i Magistrati e i Tribunali sguazzano dovrà avere fine, e tre processi dovranno equivalere a tre
gradi di giudizio. Quando la Cassazione annullerà un processo,
il grado di giudizio dovrà essere considerato terminato. Così potremo, finalmente, assistere a grosse cause che si concluderanno
nel terzo grado ma in corte d’Appello. Ottenere prescrizioni che
siano sempre più lunghe è un grosso miglioramento, ma diverrebbe vano qualora le cause continuassero a durare molto. Anzi,
costituirebbe un motivo per prolungare anche i processi risolvibili in minor tempo. I Tribunali, sapendo che la prescrizione è
lunga, prolungherebbero le cause per i propri interessi. Bisogna
assolutamente ottenere la riduzione dei processi di una causa, al
fine di obbligare lo Stato ad accelerare lo smaltimento degli arretrati. Ho cognizione di cause che, dopo nove ripetuti processi,
non erano ancora giunte alla sentenza definitiva, scandaloso.
Che pensione sia
Sicuramente la vita delle persone si è allungata, ma dopo una
certa età prosegue negli ospedali dove c’è chi ci resta e chi comincia a entrare e uscire. Inoltre, un operaio a cinquant’anni è
considerato come fosse un vecchio e l’azienda si disfa di lui. In
particolar modo quando il lavoratore è stato dapprima spremuto
e poi di succo ce n’è rimasto poco.
Lo Stato aveva bisogno di aumentare l’età pensionabile perché, se si fosse comportato diversamente, sarebbe stato costretto a pagare molte pensioni in più e per persone che vivono più a
lungo. Bisognerebbe verificare in quale stato, in quali condizioni fisiche. E poi lo Stato deve liquidare le pensioni d’oro e quelle dei politici che, con qualche annetto di lavoro, percepiscono
migliaia d’euro al mese mantenendosi sempre giovani o rubizzi.
Con il precariato esistente, chissà quanti sono i lavoratori che
saranno ancora costretti a versare i contributi per pagare le pen342
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sioni d’oro, oppure certi privilegi a chi ormai ha raggiunto una
certa età e non farà altro che accumulare capitale. Quel contante
del quale un giovane non potrà più disporre ma che, al contrario
del privilegiato, gli servirebbe subito per sistemarsi. Invece, non
avendo nemmeno un lavoro stabile, giammai potrà pianificare il
futuro.
Iniziative del Governo Berlusconi si rivelarono dannose già
nel 2004. Come, per esempio, il SuperBonus Maroni che, oltre
a non esser riuscito a garantire l’aspettativa per la quale era stato ideato e consistente in un miliardo di euro in più nelle casse
dello Stato, diede adito alla sperequazione, al ricatto sociale, alla corruzione esercitata da un Ministro ed a favoritismi interessanti all’incirca ottantamila lavoratori che avrebbero ugualmente prolungato i tempi di pensionamento.
Il SuperBonus era nient’altro che un incentivo per prolungare il lavoro di chi ormai sarebbe potuto andare in pensione. Fu
appurato che gli aderenti all’iniziativa Maroni erano, quasi tutti,
signorotti vantanti di esercitare una professione appartenente alle più elevate categorie di lavoratori. Pertanto, senza tanto sforzo volevano continuare a garantirsi cospicue entrate di denaro.
Traendo esperienza da quel che accadde nel 2004, mi chiesi:
«Perché l’età pensionabile di un operaio deve essere analoga a
quella di un dirigente?».
Perché il Governo avrebbe dovuto stabilire degl’incentivi per
coloro che andassero in pensione dopo i 65 anni, e disincentivi
nei confronti di chi vi accedesse prima? Chi avrebbe aderito alla proposta sarebbe rientrato sempre tra una delle due categorie
di dirigenti «immolatesi» quando Roberto Maroni era Ministro
del Lavoro.
L’articolo 2070 del Codice Civile stabilisce che le principali
categorie dei lavoratori si suddividano in quattro gruppi: i dirigenti, i quadri, gli impiegati e gli operai.
Non c’è ancora qualcuno che abbia proposto di attribuire una
pensione di anzianità differente per ogni categoria di lavoratori.
Finalmente c’è chi ha stabilito che certe tipologie di lavori siano considerate usuranti, ma di mandare in pensione i lavoratori
in base alla categoria in cui rientrano, nessuno si è mai espresso. Perché non creare, quindi, un sistema pensionistico che vari
a seconda della categoria dei lavoratori?
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Continuando a garantire i 35 anni di lavoro che all’operaio
sarebbero serviti per il raggiungimento della pensione, si poteva
aumentarla, di tre anni, ogni volta che la categoria mutava. Siccome le categorie dei lavoratori sono quattro, gli impiegati sarebbero andati in pensione con 38 anni di contributi, i quadri
con 41 anni e i dirigenti con 44. Poiché la pensione di anzianità
salirebbe, si lascerebbe innalzare anche l’età pensionabile partendo da 55 anni per gli operai e incrementandola di cinque anni ogni categoria superiore. Arrivando, quindi, a 70 anni per un
dirigente che avrà certamente ancora un’età biologica inferiore
a quella di un operaio. Inoltre, il quadro e il dirigente sono oramai persone che hanno un titolo di studio elevato e, rientrando
tra quelli che potrebbero aver riscattato il periodo universitario,
dovranno andare in pensione per ultimi. Avendo iniziato a lavorare tardi per ottenere un lavoro dignitoso, il beneficio non dovrà incidere sugli anni di lavoro prestati, pertanto andranno in
pensione dopo le altre categorie di lavoratori.
Dato che nel 2018 il sistema previdenziale sarebbe diventato
definitivo, allora si dovevano prendere i contributi che servivano a formare una pensione delle categorie summenzionate, e li
si suddivideva per 35 o per 38 o per 41 o per 44. Il coefficiente
annuale emerso sarebbe stato quello che avrebbe contribuito alla formazione della pensione, ad esempio, di un operaio. Ma disponendo dei coefficienti delle altre categorie, qualora l’ultimo
menzionato la mutasse passando a quella impiegatizia, alla fine
si sarebbe potuto ricavare pure, ad esempio, una pensione raggiunta dopo 37 anni di lavoro. Questa ripartizione riguarderebbe indistintamente i dipendenti pubblici e privati. Tuttavia, non
possiamo tralasciare gli artigiani comprendenti le varie classi di
commercianti. Anche per questa categoria bisogna eseguire una
cernita tra queste tipologie di lavoratori e, in base al numero dei
dipendenti, stabilire un regime contributivo.
Se un artigiano svolge il suo lavoro insieme ai dipendenti, è
soggetto allo stesso tipo di mansioni. Il trattamento previdenziale, quindi, non può essere il medesimo di chi, invece, si limita a
impartire ordini e, pertanto, può disimpegnare un ruolo diverso
e più leggero. Spesso il numero dei dipendenti occupati nel contesto lavorativo fornisce già i dati sufficienti per stabilire qual è
l’impegno assolto dal datore di lavoro, ma molte altre volte bi344
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sogna accertarlo. Una volta verificati questi parametri si potrà,
nondimeno in questo caso, stabilire se equiparare l’artigiano al
dipendente oppure al dirigente, per infine determinarne il coefficiente contributivo e la categoria alla quale appartiene.
Siete disposti a presumere che nessuno abbia mai valutato un
metodo come quello che ho esposto? Se così fosse, allora siamo
ancora in tempo per diminuire gli anni di lavoro della categoria
operaia.
Restando in tema di pensioni, secondo me bisognerebbe cominciare a stabilire che semmai in una casa dimorino figli senza
un’occupazione lavorativa, e questi ultimi vivano con i genitori,
questi diretti discendenti possano godere del diritto alla reversibilità della pensione dell’ultimo genitore deceduto.
Il tasso di disoccupazione è elevato, e le separazioni più i divorzi che costringono una delle due persone sposate a ritornare
nell’abitazione dei genitori, sono tante. Qualora dovesse essere
accertato che, alla morte dell’ultimo genitore, il figlio e/o la figlia non dovessero avere adeguati mezzi di sostentamento, come un lavoro – nel caso che la persona sia giovane e disoccupata – o una quiescenza lavorativa d’importo almeno equivalente
a quella che percepirebbe attraverso la pensione di reversibilità
dell’ultimo genitore, codesti diretti discendenti dovranno avere
diritto alla reversibilità della pensione percepita dall’ultimo loro
diretto ascendente vivente in quella casa. Questo deve servire in
sostituzione della pensione sociale ma soltanto nella fattispecie
condizione finora spiegata. Ossia casomai qualcuno degli eredi,
diretti, si sia preso cura dell’ultimo genitore rimasto in vita. Nei
casi in cui la pensione percepita dal defunto, quand’era in vita,
risulti elevata, quella di reversibilità dovrà avere un tetto massimo oppure regredirne la percentuale. Ponendo l’esempio che
il genitore in vita percepisse tremila euro, allora la reversibilità
non dovrà essere maggiore del 50%. Casomai gli euro fossero
duemila si salirebbe al 60%, ma giunti a mille euro non si scenderebbe al disotto dell’80%. All’ulteriore decrescere della pensione del quondam, si risalirebbe poi in percentuale.
Qualora i figli che avessero vissuto con il genitore deceduto
fossero in numero maggiore di uno, riceverebbero una quota di
pensione ciascuno. La reversibilità sarà ereditaria solo per i figli, che semmai, a loro volta, abbiano della prole, quest’ultima
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non potrà avere diritto a un’ulteriore reversibilità. Non avranno
diritto a ereditare la pensione di reversibilità i figli che nei confronti dei loro genitori si sono macchiati di crimini, magari proprio per godere del beneficio.
Sono sicuro che manca ancora qualche clausola da applicare
nei confronti di chi potrebbe tentare di approfittare della situazione e magari giovani che invece di lavorare vivrebbero a spese dello Stato. Come, per esempio, chi si unisce a un’altra persona dovrebbe perdere il diritto alla pensione giacché dev’esser
solamente considerata un riconoscimento per chi resterà solo.
L’iniziativa è certamente da perfezionare affinché non ci sia
chi ne approfitti, ma è valida. Per quel che riguarda la suddivisione della pensione in base alla categoria di appartenenza, bisognerà che enti non corrotti accertino le posizioni lavorative.
Se telefonando…
Ai Gestori telefonici non conviene attivare, ai numeri fissi, il
servizio «chi è che mi chiama», altrimenti si verificherebbe una
perdita d’introiti. Quando agli utenti sono arrecati dei danni, le
compagnie telefoniche possono scaricare eventuali responsabilità sui cosiddetti «provider», così non risponderanno neppure in
caso di noie giudiziarie.
In senso figurato, il termine è traducibile in «sciacallo» e mi
riferisco a quelle società che gestiscono il televoto oppure i quiz
televisivi che sfociano in truffe. Le società che, telefonicamente,
ir-rompono nelle nostre case, più tutte quelle che si servono di
giochi ludici, compresi quelli televisivi celanti l’attivazione di
servizi indesiderati, consentono ai gestori telefonici il guadagno
di milioni d’euro. Spesso sono proprio i Gestori che attivano, in
modo arbitrario, tali servizi non richiesti né autorizzati. Sembrerebbe che ultimamente siano diminuiti i casi, ma spiego comunque che, in quelli finora descritti, l’utente si ritrova a pagare per
qualcosa che non interessa. Dopo certi tipi di attivazioni diventa
complicatissimo ottenere la disattivazione del servizio indesiderato e specialmente quando quest’ultimo preveda un pagamento
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mensile, perché nonostante si riesca a disattivarlo entro una settimana, si dovrà sborsare il costo complessivo di circa un mese.
Di solito trattasi di tariffe che già all’attivazione prevedono un
furto che si aggira dai venti ai trenta euro per ogni persona truffata. Sarebbero, piuttosto, i Gestori telefonici che dovrebbero rispondere delle truffe ugualmente perpetrate quando è il provider
a commetterle, perché il numero che è stato usato per ottenerle,
lo hanno fornito loro. Siccome, però, le compagnie telefoniche
percepiscono una percentuale su chiamate e sms, attribuiscono
le responsabilità ai provider non rispondendo dei danni cagionati all’utente, ma pappandosi parecchi euro. Vi sarete accorti, ad
esempio, che, con la chiavetta o tramite il cellulare, da quando è
stato stabilito il traffico Internet a consumo, i megabyte che utilizzate non rendono? Indubbiamente la tariffa a minuti rendeva
meno ai Gestori. È proprio un malcostume quello di non lasciare
che si arrivi alla fine del mese: gigabyte di ladri. Internet illimitato sì ma con la connessione a bassissima velocità e quando ci
hanno consumato rapidamente tutto il traffico a disposizione.
L’avvento degli smartphone ha segnato l’inizio di un periodo
in cui l’utilizzo della chiavetta internet è diminuito. I Gestori telefonici hanno iniziato a boicottarne l’uso. Come? Ebbene, essi
hanno iniziato a propinare che i gigabyte utilizzati con la chiavetta non durassero più. Anziché ritenere mezzi gigabyte quelli
usufruiti con lo smartphone o con il tablet, costoro hanno iniziato a considerare doppio il traffico a consumo eseguito con il pc.
Poi, giacché tra i contratti spiccavano quelli a consumo settimanale, gettavano l’esca invitando l’utente ad acquistare altri megabyte: «Compra megabyte, stupido, compra gigabyte, stolto.»,
e cosi gli utenti si trasformano in polli dai megabyte d’oro. Oppure e qualora l’utente abbia un contratto che preveda un serbatoio di alcuni gigabyte, ecco che si ritrova impossibilitato a utilizzare internet con la chiavetta. Ogni Gestore si serve di sistemi
per trarre profitti a danno degli utenti, non ci sono dubbi.
Per quanto riguarda le società che irrompono nelle abitazioni
e negli uffici, se il servizio, a pagamento, «chi è che mi chiama»
fosse reso obbligatorio e gratuito, loro non potrebbero più infastidire gli utenti. Accadrebbe, pertanto, che i loro numeri si leggano sui display di taluni telefoni fissi oppure sugli apparecchi
cordless, come avviene per i telefoni cellulari. L’utente, leggen347
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do un numero di telefono sconosciuto, oppure osservando che il
numero del chiamante non comparisse sul display, per sicurezza
potrebbe decidere di non rispondere. Tra l’altro, oramai da molti
anni, tutte chiamate internazionali che vanno a sommarsi alle altre, consentono altrettanto la comparsa del numero sul display.
Per cui, l’utente vessato, non soltanto eviterebbe le chiamate che
partano da numeri sconosciuti, ma anche quelle compiute da chi
occulta il proprio numero o chiami da una cabina telefonica.
Non si può assolutamente trascurare che l’utente messo nelle
condizioni d’evitare di rispondere alle chiamate in cui manchi il
numero sul display, impedirebbe al chiamante di capire se in casa ci sia qualcuno. Questo non è ancora tutto perché l’utente potrebbe così eludere le chiamate perpetrate allo scopo di stalking,
oppure tramite forme di minacce. Ai gestori telefonici è sconveniente attivare questo servizio, pertanto servirebbe il provvedimento di un’autorità che ne imponga l’uso gratuito, così l’utente
non sarà più costretto a subire questo spamming telefonico.
Qualora l’utente non fosse messo nelle condizioni di decidere
se rispondere a una chiamata, avrebbe altre due possibilità. La
prima sarebbe quella d’iscriversi a un servizio nazionale offerto
dalle associazioni dei consumatori: al registro delle opposizioni.
La seconda consiste nell’acquistare un telefono provvisto di segreteria telefonica vocale. In entrambi i casi, però, la sicurezza
dell’utente non è garantita.
Qualora il molestatore telefonico lasci dei messaggi vocali da
cancellare, allora servirebbe qualcuno che inventasse un dispositivo in grado di riconoscere il tipo di chiamata che è stata eseguita. Il ricevente informato attraverso un segnale, vedrebbe apparire sul display del proprio telefono, o del cordless, le parole
«non rispondere»: numero ignoto e non memorizzato. Il telefono, automaticamente ed entro l’attivazione della segreteria telefonica, chiuderebbe la telefonata.
Forse quest’ultima resterà un’utopia che, oltretutto, se fosse
realizzabile avrebbe un costo dovuto al singolare dispositivo installato. Quindi, le autorità potrebbero attivarsi per rendere obbligatorio, e gratuito, il servizio telefonico «chi è che mi chiama». Questo benefico servizio consentirà, finalmente, di mettere
il ricevente nelle condizioni di decidere se rispondere, o non, alle chiamate poco trasparenti.
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Per rimanere in tema di Gestori telefonici, quest’argomento
continua con Miss Italia e laddove la tecnologia a pagamento influisce sui potenziali candidati al titolo.
Miss Italia 2012 è stato un concorso manipolato e pilotato.
Federica Pellegrini, presidentessa della giuria che ha consentito
di passare da ottanta concorrenti a ventuno, ha dormito. La giuria tecnica iniziale, con i propri verdetti dettati da scelte campanilistiche, territoriali, salvaguardanti i propri interessi o formata
da elementi che in precedenza erano stati ingaggiati e retribuiti
dagli enti organizzatori stessi, ha indubbiamente creato parzialità e pilotato le finaliste del concorso.
Il resto lo provocò quel televoto che favorisce le regioni estese, ad alta densità di popolazione e/o aventi molti emigrati in altre zone d’Italia. Di conseguenza, le regioni piccole furono penalizzate, e le votazioni dei numerosi giurati presenti alla finalissima 2012, ininfluenti. Le finaliste erano già state cernite, decretando al 99% che avrebbe vinto una meridionale.
Durante la finalissima Max Giusti affermò: «Questo è il regolamento e, pertanto, accettiamolo…», ma lui si riempie le tasche
con i soldi di chi stabilisce il regolamento, e certamente nutre un
interesse per mettere una «buona parola», fuorviante. Evidentemente lui comprende i meccanismi, i sistemi, che contribuiscono a eleggere una miss, e ogni anno comportano furenti polemiche quand’ormai, però, la favorita è già stata eletta. Considerando l’argomento di scarsa rilevanza penale, non esiste un briciolo
di Magistratura né una Giustizia dello spettacolo, che siano capaci di levare taluni titoli Sanremesi ai vincitori, più le corone ai
papponi che da molti anni scelgono le miss che le indosseranno.
A questo punto, non è più permettibile che questi favoritismi
continuino a persistere per prendersi gioco delle altre disilluse
aspiranti al titolo. Già dal prossimo concorso bisognerà: tagliare
l’Italia in tre parti, non rivelare i cognomi e le origini delle miss.
Bisognerà svolgere tre sezioni di concorsi, formate da tre giurie separate e ognuna rappresentante una regione di quella fascia
territoriale perché nate e cresciute in quel settore d’Italia. Delle
ultime nove ragazze rimaste in gara, con un’unica votazione saranno eliminate le rimanenti sei, e le tre ragazze rimaste si sfideranno per decretare la vincitrice. Qualora dovesse essere presente una giuria finale, sarà composta di venti persone: nate e cre349
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sciute, ognuna, in ogni singola regione, non aventi ritorni economici attraverso ingaggi successivi al concorso e neppure aver
in precedenza rivestito ruoli attinenti agli enti organizzatori. Lo
scopo sarà, finalmente, quello di rappresentare con trasparenza
tutte le venti regioni d’Italia. Non com’è finora accaduto.
Importante sarà la scelta delle persone rappresentanti la giuria, la quale non dovrà assolutamente nutrire alcun interesse con
l’ente organizzatore né con il network televisivo. A ogni sezione
di concorso parteciperanno trenta aspiranti miss, ma per il Nord
si potrebbe arrivare anche a trentadue. Il televoto finale costituirà un’unica votazione con cui e in base al numero di voti raccolti, sarà decretata: la prima, la seconda e la terza classificata del
concorso.
La miriade di apparecchi telefonici fissi e mobili presenti in
Italia, dovrà consentire una sola votazione per ogni singolo telefono cellulare usato. Cinque voti concessi servono solamente a
riempire le casse dei gestori telefonici, senza tralasciare che più
sono le sim-card possedute da ogni singolo votante, e più preferenze si potranno esprimere rispetto a chi ne ha soltanto una. Un
numero maggiore di voti permessi alimenta, inoltre, la presenza
dei call center e ne permette un uso promiscuo rilevante al fine
d’ottenere una cospicua quantità di voti per taluni partecipanti.
Considerando già l’enorme numero di telefonini, ai telefoni fissi
sarà sufficiente concedere tre voti per ogni fase eliminatoria.
Il rischio maggiore sarà quello d’imbattersi in votanti che, attraverso il televoto, preferiranno una meridionale solo perché lo
sono le proprie origini. Sarebbe lo stesso un concorso più equo.
Non è pertanto un caso che ci siano state parecchie vincitrici siciliane e del Sud Italia.
Un’altra importante incognita consisterebbe nella manipolazione del concorso affinché possa vincere una ragazza del Nord
o del Centro, ma avente origini meridionali. Si tratterebbe di un
altro rischio da correre perché così non si può più continuare: il
concorso è diventato inguardabile e improponibile.
Mi sto oramai chiedendo come mai la trasmissione «Affari
tuoi» sia finita spesso in noie giudiziarie, ed a Miss Italia si continua a lasciare che, con un sistema o con l’altro, prevalgano le
manipolazioni. Forse perché in questo caso in palio c’è un solo
titolo l’anno, che comporta una sola trascurabile vincita. Infatti,
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da quando l’Italia entrerà in crisi, al superenalotto inizieranno le
vincite che riguarderanno premi di decine, o centinaia, di milioni che non saranno più vinti da singoli giocatori. Nessuno compirà accertamenti, perché a causa del periodo di ristrettezze economiche sarà giusto che i montepremi siano suddivisi in quote.
Chissà se questo sia avvenuto per volere del Monopolio di Stato
o, invece, perché molte persone in più giocheranno i sistemi collettivi? Ci sono parecchie vincite realizzate nella Capitale, e dintorni, che non sono al disopra del sospetto.
Intanto, però, giungeva la notizia che la Rai non avrebbe trasmesso il concorso di Miss Italia 2013, ma il motivo per cui essa
fosse l’unica emittente televisiva disponibile, era incomprensibile. Parecchio tempo dopo che il comunicato è stato diramato, la
Presidentessa della Camera, Laura Boldrini, interviene a sproposito e quasi glorificando la decisione assunta dai vertici della
Rai. Spuntano motivazioni che attengono al sessismo, alla mercificazione della donna, ecc. Quando, invece, gli scandalosi motivi per cui il concorso di Miss Italia non sarà poi trasmesso dalla Televisione nazionale, sono altri e molto più compromettenti.
Eugenia Mirigliani, in arte Patrizia, ossia la titolare della società che cura il concorso di Miss Italia, la Mirem, giudica destabilizzante l’intervento di Laura Boldrini, però non espone le
ragioni che hanno indotto la Rai a un dietrofront.
Il forfait della Rai costringe la Mirigliani a ricercare un altro
Network e un nuovo luogo in cui svolgere le finali del concorso.
Enrico Mentana, alla domanda: «Miss Italia a LA 7?», risponde
«Anche no, grazie», ma la finale del concorso sarà trasmessa lo
stesso. Dopo le rinunce, alla conduzione, da parte di Sergio Castellitto e Claudia Gerini, il compito passerà nelle mani di: Massimo Ghini, Cesare Bocci e Francesca Chillemi. Il luogo in cui
si svolgeranno le finali di Miss Italia 2013 sarà Jesolo e continuerà a essere incoronata una ragazza siciliana, grazie anche a
una striminzita giuria formata perlopiù da meridionali in grado
di falsare quelli che sarebbero stati gli esiti reali.
L’edizione 2013 di Miss Italia è quasi la fotocopia del concorso svoltosi nel 2008, quando sempre tramite il televoto degli
emigrati e una giuria di parte, due ragazze siciliane furono catapultate alla fase finalissima. In quell’anno, a essere privata della
corona fu Athina Covassi: un bocciolo della Carnia che dovette
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accontentarsi di un misero terzo posto. La stessa sorte toccherà,
nel 2013, alla Sarda Federica Ciocci.
Il concorso di Miss Italia 2014 sarà vinto, per l’ennesima volta, da una concorrente meridionale. Non a caso lei è, per giunta,
Siciliana. Infatti, in questo concorso «è stato cambiato tutto per
non cambiare niente». Delle cinque ragazze riuscite ad arrivare
al rush finale che, con un’unica votazione, ne avrebbe stabilito
la posizione, una sarebbe stata avvantaggiata. Trattasi della vincitrice, perché la spartizione dei televoti tra le altre quattro concorrenti, avrebbe creato ancor più disparità rispetto a quando le
finaliste rimanevano due-tre. Forte dei suoi emigrati in altre zone d’Italia, la Sicilia ha surclassato le restanti regioni. Neppure
il Veneto è riuscito a imporsi e, ancora una volta, si è fatto soffiare la Miss, sotto il naso. Questa è una certezza, grazie anche a
un precedente che è possibile citare. Nel 2009, Letizia Bacchiet
si classificò in terza posizione, alle spalle di una concorrente calabrese e di una campana. Calabria e Sicilia hanno molto spesso
piazzato le loro rappresentanti sulle posizioni più elevate. Addirittura, un anno accadde che ben tre Siciliane si piazzarono entro
i primi cinque posti. Non per questione di bellezza.
Miss Italia è sempre stato un concorso che, con un sistema o
un altro, è riuscito a pilotare le finaliste e, in certi casi, a stabilirne in anticipo le vincitrici. Sapevate, ad esempio, che il primo
concorso di Miss Italia, nel 1959, in cui Presidente era Enzo Mirigliani, si svolse a Ischia? Ma sapevate che Enzo Mirigliani era
Calabro e ad aggiudicarsi la corona di Miss Italia fu una ragazza
Campana che partecipava con la fascia di Miss Calabria? Se la
risposta è sì, allora sapete pure che si chiama Marisa Jossa.
Ventisette anni dopo, durante un concorso di Miss Italia, Enzo Mirigliani rivide Marisa Jossa prima delle finali ed i propri
occhi iniziarono a brillare non appena la riconobbe. Queste furono, suppergiù, le testuali parole che Patrizia Mirigliani usò durante una trasmissione televisiva. Quanto ella espresse va considerato un passo falso per aver rivelato questa indiscrezione, poco dopo la morte del padre.
Il concorso di Miss Italia 1986 fu vinto dalla figlia di Miss
Italia 1959, che l’anno dopo si classificò seconda al concorso di
Miss Universo. Lei porta il nome di Roberta Capua. Madre e figlia non vinsero, di sicuro, i titoli grazie solo all’indiscussa bel352
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lezza. È indubbio che ci fossero state altre concorrenti meritevoli ugualmente di vincere, non soltanto in quei due concorsi!
Se, infine, andassimo a vagliare le vittorie di altri concorrenti
siciliani, non potremmo tralasciare che Suor Cristina si aggiudicò l’edizione del 2014 di «The Voice of Italy». Trascorrono alcuni mesi, ed ecco che il festival di San Remo 2015 lo vince un
trio composto da due Siciliani e un Abruzzese. Durante il medesimo concorso di San Remo, il siciliano Giovanni Caccamo si
classifica al primo posto nella categoria degli emergenti o anche
definita «nuove proposte». Da buona meridionale, in una puntata di Pomeriggio Cinque, la conduttrice Barbara D’Urso cerca di
allentare la tensione svicolando con una boutade: «Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, neoeletto è Siciliano.». Ci fosse stato perlomeno uno che le avesse risposto: «Sì,
anch’io l’ho votato con lo smartphone!».
Durante il festival di San Remo 2015 ho rilevato qualcosa di
poco chiaro. Secondo me, Giovanni Caccamo era stato prescelto
per vincere nella categoria «emergenti». Egli avrebbe potuto essere di Napoli e dintorni, come il Caccamo eccelsamente interpretato da Teo Teocoli. Il cognome del cantante, però, sarebbe
stato fonte d’indizio per tante persone che non lo avrebbero votato. E allora che cosa si poteva fare? Semplicemente il paraculo
Conti avrebbe dovuto risaltarne le origini. Prima che ci fossero
le votazioni dei telespettatori, bisognava far rivelare ai cantanti
la loro zona di origine. Ovviamente, questo sarebbe andato a interessare anche il prescelto Siciliano, così avrebbe avuto molte
possibilità in più di vincere. Il fatto che l’abbia spuntata con un
risicato 52%, prova che il cantante è piuttosto scarso. Il conduttore Carlo Conti conosce uno dei segreti che, a Miss Italia, porta
quasi sempre una Siciliana al rush finale. Ritornando al festival
di San Remo, lui si è esposto perché lo pagano bene, ma anche
altri presentatori potrebbero aver usato questo metodo. Tutte le
vittorie esplicate devono mettere in stato di allerta gli Italiani, i
quali dovranno cominciare ad autoconvincersi che la liceità dei
concorsi non è garantita.
Era il 18 agosto 2015 e mi ero recato a Lignano Riviera per
assistere all’incoronazione di Miss Friuli Venezia Giulia. Il mio
intento non era solo quello di trascorrere una serata all’insegna
dell’avvenenza, perché includeva il fatto di mettere in guardia le
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ragazze. Avevo preparato diciannove biglietti da consegnare, e
dopo l’incoronazione li avrei distribuiti. Nei biglietti da consegnare alle ragazze avevo anche scritto che conoscevo un segreto
per indossare la corona finale. In precedenza, qualcuna delle ragazze presenti aveva di sicuro già ricevuto un precedente adesivo riportante in fronte la copertina del mio libro e, nel retro, una
piccola nota in cui evidenziavo che conteneva informazioni sul
concorso di Miss Italia. Tra le ragazze presenti, senza ombra di
dubbio c’era anche colei che diverrà Miss Friuli Venezia Giulia,
ovvero Elisa Caposassi.
In quel giorno, al Citta Fiera di Udine, lei concorreva per divenire la prima Miss che avrebbe avuto diritto a passare il turno.
Purtroppo, non ricordo se anche lei avesse ricevuto il mio adesivo, ma rammento molto bene di averlo lasciato nelle mani della
vincitrice. Rimasi folgorato dalla sua bellezza che mi colpi molto, incantevole. Stranamente, però, lei uscirà di scena e non sarà
tra le presenti a Lignano Riviera. Qualche mese dopo, indosserà
la corona di Miss Excellence e sparirà dal concorso di Miss Italia. È verosimile che possa aver cambiato tipo di concorso. Lei è
Vanessa Petocelli, e così come mi pareva di aver letto qualcosa
su quest’ultima, nondimeno riguardava Elisa Caposassi. Queste
due ragazze avevano in comune un legame con la citta di Roma,
ma forse era un errore giornalistico oppure un mio equivoco.
A Lignano Riviera la serata procede bene, Elisa Caposassi è
eletta Miss Friuli Venezia Giulia ed altre Miss vengono fasciate
da titoli inferiori. L’organizzatore di questa e di altre serate, ma
anche presentatore, conclude l’evento schierando sulla passerella le dieci pre-finaliste del Friuli Venezia Giulia. Poi ci sono le
rituali foto da pubblicare con lo staff, con i parenti, ecc. Ed ecco
che lentamente le ragazze cominciano a guadagnare l’uscita. Mi
preparo i biglietti da distribuire, e ogni volta che una ragazza se
ne va le consegno uno in mano. Ad un certo punto, noto che una
ragazza rientra nella zona riservata allo staff e ai camerini. Poco
dopo, una donna mi avvicina in modo minaccioso e strafottente,
come se lei fosse il Cristo in persona. Mi taccia di molestare le
ragazze, ingigantisce ancor di più la semplice azione da me portata avanti e, addirittura, sostiene che prima di rivolgermi loro,
io devo chiedere il permesso a lei. Credeva di potermi intimorire
e intortare. Mi bastò guardarla in faccia e scambiare quattro pa354
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role per capire chi mi stava di fronte in quel frangente: una donna che nell’armadio ha un intero ossario, una persona poco affidabile.
Mentre discutevo con questa maitresse che sfrutta le ragazze
come fossero meretrici e lo fa ovviamente per il suo tornaconto,
noto che la ragazza informatrice se la svigna ma non senza lanciarmi uno sguardo con gli occhi di Giuda. Durante la conversazione, dapprima una donna s’intromette per spirito femministico
o perché conosce la curatrice ma, in seguito, trovo anche persone che appoggiano la mia iniziativa. La maitresse si allontana ed
io da lei. Infine, completo la distribuzione dei volantini ma senza riuscire a distribuirli tutti. Le ultime ragazze ritardano molto
l’uscita o ce n’è una posteriore, così mi avanzano sei stampiglie.
Avendo già distribuito qualcosa nei mesi precedenti, ritengo
che la maitresse avesse già le orecchie rizzate temendo il giorno
in cui qualcuno avrebbe fatto saltare il sistema. Ed ecco perché
lei mi attaccò in quel modo, ma ormai era troppo tardi.
Tra le pre-finaliste che andranno a Jesolo c’è anche la traditrice. Un piccolo raffronto su Internet e scopro come si chiama:
Chiara Roman. Della maitresse, nell’immediatezza non trovo informazioni fino al giorno in cui sul sito di Moda Show risalgo al
suo nome e cognome: P.R. Facebook confermerà.
Andare a cercare il nome della curatrice diveniva essenziale a
causa di un fatto molto poco discutibile accaduto a Jesolo. Elisa
Caposassi non riuscì a piazzarsi fra le trentatré finaliste. Ahlam
El Brinis fu la prima ragazza che conquistò il passaggio, sia per
la sua bellezza, sia per un’impercettibile stratagemma che ormai
tutti sanno: un assioma intangibile ma da lei sfruttato. Le ragazze aspiranti a rientrare tra le trentatré finaliste erano inizialmente più di duecento, delle quali sei ragazze friulane e quattro venete. Mi sto chiedendo come mai anche qui, come nel calcio, il
regolamento non preveda un numero limite di stranieri o, addirittura, che le Miss debbano appartenere alla regione per la quale concorrono? Chissà se questo sia sempre stato concesso! Certamente era consentito quando Marisa Jossa portò a casa il titolo
sfilando con la fascia calabrese. Ritornando al concorso attuale,
dalle prefinali di Jesolo escono trentatré finaliste, una è friulana.
Ma ecco la sorpresa, Chiara Roman è la seconda finalista friulana. La votazione lascia dubbi, interrogativi e azioni penali da…
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Siccome sono sicuro che sia io sia il lettore abbiamo la facoltà mentale di capire quando si tratta di coincidenze, questa non
lo è. L’accaduto non è il frutto di casualità e ci rivela che P.R. è
in grado di influire sulla giuria che decide a Jesolo. Ovviamente,
là, lei possiede gli agganci con lo staff nazionale, il quale decide
le ragazze che possono accedere alla finale. Il servigio che Chiara Roman ha reso a P.R. è stato ricompensato tramite una promozione alla finalissima, e se in precedenza fosse stato stabilito
che due dovevano essere le ragazze friulane finaliste, la Roman
potrebbe aver sottratto il posto a un’altra ragazza. Tra l’altro, lei
e Ahlam El Brinis hanno surclassato anche Miss Friuli Venezia
Giulia. Sì, di sicuro la fascia regionale non assicura il passaggio
alla finalissima. Ma che tra le dieci concorrenti friulane, a passare il turno fosse proprio la Roman, non convince.
Essere in grado di corrompere una giuria nazionale è indice
che influire sulla giuria regionale sia ancor più semplice. Questo
concorso nasconde il marcio. Tra l’altro, spesso la mediocre avvenenza di una ragazza si annulla con altri fattori sempre più ricercati in questo concorso. Insomma, anche qui e come vale per
le case editrici, vige l’anti-meritocrazia perché si guarda sempre
di più alla provenienza sociale, a un titolo di studio elevato, alla
famiglia benestante e, forse, al fatto che la ragazza non provenga da uno sperduto paesino. Tutto questo, alla fine, penalizzerà
incantevoli ragazze e inciderà sul passaggio alla finale perché le
giurie possono essere manipolate, comprate.
Il 15 settembre 2015, il web decreta la vincitrice della fascia
di Miss Kia e che le avrebbe consentito di accedere alla finale di
Jesolo. La votazione su Internet fornirà un’altra prova di ciò che
sostengo. Ad aggiudicarsi la vittoria e il relativo contratto di lavoro sarà l’ennesima Siciliana, Martina Asia Galvagno.
A causa del vespaio che questo libro andrà a stuzzicare, negli
anni venturi assisteremo all’incoronazione di Miss Italia appartenenti alle regioni del Nord. Un contentino sarà loro lasciato e
che ricomincerà a essere inserito tra il predominio del Sud Italia.
Non è, però, da escludere nemmeno che potrà esserci una serie
di vittorie delle regioni del Nord e in modo da creare un effetto
antonimo a quello finora provocato. Infine, il tutto sarà condito
con lo sfruttamento di qualche vittoria che sarà ad appannaggio
del Centro, perché ci sarà la necessità di lasciar credere che fi356
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nora sia stato tutto casuale e frutto di meritocrazia: avvenenza in
questo contesto. Dal 2015 o dal 2016 dovremo attenderci i cambiamenti che questo libro imporrà a coloro che tengono in mano
le redini del concorso.
Concludo indicando le regioni che dovranno racchiudere ogni
fascia territoriale che consentirà di svolgere tre concorsi separati
da unificare con una sfida finale a nove ragazze.
Per le regioni del Nord: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria
ed Emilia Romagna.
Per le regioni del Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio,
Abruzzo e Molise.
Per il Sud e le isole: Campania, Basilicata, Puglia, Calabria,
Sicilia e Sardegna.
Niente di personale nei riguardi delle avvenenti e meritevoli
ragazze del Sud. L’iniziativa punta solo a ottenere una maggiore
equità, perché da parecchi anni sta mancando. Chi presume che
la minor quantità di regioni presenti nei settori del Centro e del
Sud, le penalizzi favorendo il Nord poiché dotato di otto regioni, allora rilegga come ho improntato il concorso e capirà che il
dettaglio è ininfluente.
Il segreto della quinta appendice
Quest’ultima appendice non rientra tra quelle fornite alle case
editrici, eccetto due con cui ebbi contatti informatici. Alcune case editrici sono situate a notevoli distanze chilometriche, altre in
città come Milano e Torino, e altre ancora nel Triveneto.
Le case editrici sono società controllate da potenti papponi, e
tramite il lavoro stipendiato da questi ultimi, controllano il traffico d’informazioni. A loro volta, le più grosse case editrici sono affiliate ad altre di minor rilievo ma tali da creare una specie
di monopolio che sovente possiede un’origine politica. Un grosso gruppo editoriale è contrapposto a un altro. Sarebbe utile, però, verificare fino a quale punto è disposto a esserlo. Quando il
titolare di un’importante casa editrice o, addirittura, di un grosso
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gruppo editoriale è un politico di spessore, una quantità spropositata di notizie passa davanti agli occhi di chi analizza la moltitudine di proposte editoriali spedite oggigiorno.
Che cosa ne consegue? Anzitutto un controllo delle informazioni che le più blasonate case editrici possono gestire come vogliono. In più la possibilità, ovvero l’obbligo, di rifiutare quelle
veridicità che rischiano di compromettere i piani, anche politici,
di qualche pappone o aggravarne la già precaria condizione del
momento. L’essenziale è proprio che sia superato quel periodo
critico, in modo che quella very normal person tanto prodigatasi
nell’esplicare malaffari o lerci meccanismi societari-statali, si ritrovi con l’aver scritto qualcosa che non incida più o che non influirà più come prima.
A tutto questo si deve, assolutamente, aggiungere che spesso
la provenienza di una proposta editoriale è rapidamente presa in
considerazione perché proviene da una persona nota. Che ne so,
se il cagnolino di Berlusconi che aveva sempre la lingua fuori,
Emilio Fido, oppure Bruno Vespa, inviasse una proposta editoriale a una casa editrice del signore di Arcore, non credo proprio
che li lascerebbero in attesa per sei mesi! E mi riferisco limitatamente al tempo di risposta per una valutazione, ancora da eseguire, dell’opera inviata.
Avete mai notato che in televisione ci sono persone che a malapena sanno parlare o interloquire, eppure sfornano capolavori
letterari, o quasi, e spesso attraverso case editrici non da poco?
Com’è possibile tutto ciò? Ebbene, tutto questo avviene perché
in questa nazione la meritocrazia non prevale neppure in questo
settore, ossia il denaro ha la precedenza.
Devo spiegarmi meglio? Prendiamo, come esempio, due proposte editoriali di uguale valore. La prima è stata scritta da una
persona famosa, e la seconda è l’opera di un, o una, giovane. La
prima persona ha possibilità economiche poiché è diventata un
personaggio che può permettersi agi, mentre la seconda è un ragazzo, o una ragazza, che possiede una scarsa disponibilità monetaria. La prima è soltanto diplomata ma possiede un trascorso
nel settore dello spettacolo, invece la seconda si è laureata e sta
cercando un’occupazione.
Arrivano le proposte che i due hanno spedito alla casa editrice, e la prima persona si presenta sfoggiando il suo celebre no358
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me di battesimo, o quello d’arte. Passano quindici giorni e la casa editrice gli risponde:
«Buon giorno sig. leccapiedi di Berlusconi, abbiamo già letto
la sua opera e, sa com’è... ci siamo portati avanti un tantino nel
lavoro.».
«Ah, bene bene», risponde la persona famosa sfregandosi le
mani, e poi chiede: «Allora, cosa ne dite del mio capolavoro?».
«Sinceramente dovremo metterci le mani sopra perché il contesto è misero e di scarsa appetibilità letteraria», aggiungendo poi:
«Comunque, non si preoccupi… noialtri metteremo le mani sopra il suo “capolavoro”, ma lei dovrà metterle al portafoglio».
«E quanto mi costerebbe?», chiede la persona nota e agiata.
«Siamo sui sei mila euro, senza contare… tanto lei può permetterseli vero?».
«Sì, sì, non c’è problema, l’importante è che poi il mio libro
sia pubblicizzato e comprato perché il mio conto corrente deve
incrementare anche se io già guadagno bene.».
Ora tocca al laureato non avente possibilità economiche e che
già da due mesi ha inviato la proposta editoriale.
«Signor… la invitiamo a trasmetterci una nota biografica ed
un compendio dell’opera», scrive la casa editrice allo sfigato.
«Ma cosa posso scrivere io che la mia vita l’ho dedicata tutta
allo studio?», pensa il laureato, tuttavia qualcosa trasmette.
«Ci dispiace, ma la sua proposta non è aderente alla nostra linea editoriale», risponde la casa editrice. L’equivalente di: «Vada a quel paese».
La casa editrice, però, non rivelerà mai che la proposta della
persona nota è stata accettata perché casomai il libro non dovesse mantenere le aspettative di vendita, almeno i soldi delle spese
sostenute non li rimetterebbe. Le case editrici non ammetteranno mai che molte opere librarie sono il frutto di rifacimenti per
accontentare persone conosciute, con la puzza sotto il naso e che
non sanno neppure tenere in mano una penna. Paraculati la cui
maestosità letteraria dipende dal lavoro di chi è pagato per tramutare i loro surrogati letterari, in capolavori. Insipienti imbrattacarte che, grazie alla loro notorietà, vedono aprirsi tutte le porte che vogliono lasciando comprendere che, ugualmente in questo settore, la meritocrazia è il frutto dell’illusione. Al limite del
peculato, o compiendone il reato, approfittano delle Televisioni
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che paghiamo e in cui lavorano, per presentare il loro ultimo nescaffè. Anche questo è un ambiente che va riformato e dovranno
essere stabilite regole a tutela degli Autori, sia nel campo letterario e cinematografico, sia in quello discografico. Basta con lo
sfruttamento del lavoro altrui! Inoltre, l’Autore che voglia stampare una propria opera dovrà beneficiare dello stesso trattamento I.V.A. agevolato che hanno gli Editori: il 4%.
Ci sono, inoltre, dei paradossi come nei casi di Autori che per
vedere pubblicata una loro opera devono sborsare tremila euro e
vendere perlomeno duecento iniziali copie per accedere al diritto alla pubblicazione. Trattasi di scrittori che hanno partecipato
a concorsi letterari e si sono ritrovati adescati da promettenti case editrici che gli hanno rifilato un contratto editoriale. La clausola vessatoria prevede che essi debbano anticipare tremila euro
per acquistare duecento copie che, in modo autonomo, dovranno
vendere. Solo se fossero riusciti a venderle, avrebbero ottenuto
la pubblicazione del libro e l’esposizione nelle librerie cartacee.
A parte il ricatto al quale lo Scrittore è assoggettato, tremila euro è il costo di almeno cinquecento copie.
Lupus in fabula. Una casa editrice con la quale prendo contatto, mi propone un contrattino che avrebbe comportato la pubblicazione di trecento volumi del mio libro ma previo pagamento di duemila e ottocento euro. Con soli quattrocento euro in più
avrei pubblicato cinquecento copie. La proposta era fatta senza
che l’Editore avesse ancora ricevuto il materiale da rivalutare.
Una delle varie case editrici, invece, pretendeva di apportare
tante modifiche all’opera, rieditandola. Il tutto avrebbe comportato tempi lunghi e un impegno economico non indifferente. In
sostanza, il mio libro avrebbe sortito proprio di quel rifacimento
descritto in precedenza, il quale avrebbe prorogato ulteriormente il giorno della pubblicazione. Credo che, a questo punto, la
maggior parte dei lettori si renderà conto che quel bel, o famoso,
libro letto da tanti non fosse il capolavoro di un Autore. Chissà
in quale stato versava l’opera originale consegnata alla casa editrice! I libri che sono stati rieditati, aumentando il numero delle
pagine ma diminuendo le righe, si possono distinguere perché la
maggior parte è stata ottenuta mediante, perlomeno, un carattere
tipografico editoriale. Certe case editrici riscrivono i libri usando un carattere tipografico che hanno scelto per se stesse.
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Chi si reca in libreria, adesso sa che, per non comprare un libro rieditato, anche scritto da un Autore straniero, dovrà prestare attenzione al carattere di stampa utilizzato. Il quale differisce
dagli altri persino nei numeri formanti le pagine stampate, nonché in quelli usati nel testo. Uno di questi è il numero tre e possiede una forma adunca e allungata nella parte inferiore, che lo
contraddistingue da quelli degli altri tipi di caratteri. Assomiglia
a un punto interrogativo. Forse, però, è meglio scrivere assomigliava, perché le case editrici dismetteranno l’impiego di questo
carattere. La mia intuizione costringerà le case editrici a scrivere
i libri usando alcuni dei più comuni caratteri da computer di casa. In questo modo, non sarebbe stato più possibile determinare
se i libri li avessero scritti loro al posto dei vip e/o di chi ha pagato millantando di essere un Autore-Scrittore. Quando, però, lo
Scrittore è già affermato, ecco che la casa editrice stabilisce un
contratto in cui lui deve impegnarsi a scrivere delle storie. Una
figura professionale denominata «Editor», e che può nondimeno
essere fornita a uno Scrittore in erba, previo pagamento affiancherà quest’ultimo occupandosi di tutto il resto. Il libro, alla fine, risulterà privo di errori, impaginato, arricchito, eccetera.
Ecco perché tanti pagliacci televisivi, vip, calciatori, tennisti,
motociclisti, piloti, ecc., pubblicano i propri libri. La casa editrice sa che questo tipo di persone ha già degli estimatori, quindi
non è essenziale che loro sappiano scrivere. L’importante è che i
libri fruttino anche se gli Autori sono «capre». Molto probabilmente, gli Editor sono gratis per gli Scrittori affermati e che abbiano un contratto con la casa editrice.
E così arriviamo all’ultimo Editore che, essendo anche il titolare di una tipografia, avrebbe dovuto rappresentare un vantaggio perché avrei saltato un passaggio intermedio. Questo Editore
on-line mi suggeriva che il 90% delle case editrici si trova nelle
mani di persone facenti «il bello e brutto tempo», secondo quanto conviene. Andando, però, a vagliare il contratto dei Diritti di
Autore che stabiliva inserendo articoli riguardanti la parte economica, si scopriva che il malcostume non cambiava. Egli stabiliva che quando le spese di stampa erano sostenute dall’Autore,
quest’ultimo avrebbe ottenuto il 40/60% del prezzo di copertina.
Siccome la stampa di ogni volume a me sarebbe costata otto euro, se, per esempio, avessi venduto il libro a quindici euro, avrei
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rischiato di rimettercene due per ogni libro se la percentuale attribuitami fosse del 40%. Oppure di guadagnare un euro qualora
la percentuale fosse del 60%. Io, al massimo, avrei guadagnato
un euro, e lui ne avrebbe ottenuto 14. Sicuramente da questi ultimi euro bisognava detrarre le modeste spese da lui sostenute.
C’era, però, una variante che prevedeva mi fosse attribuito il 5%
del prezzo di copertina qualora i costi di stampa fossero stati a
suo carico: l’ennesima proposta indecente di uno strozzino della
carta stampata.
Era il mese di luglio del 2012 quando Sonia Faccio, ossia una
signorina della notte rispondente al nome d’arte «Lea di Leo», si
ritrovava costretta a rinunciare alla propria autobiografia. La casa editrice, Imart, a cui lei si era rivolta, le aveva estorto i nominativi di persone molto note e con le quali aveva intrattenuto dei
«tête à tête», ma che non aveva citato nel manoscritto.
Ottenuti i nomi, la casa editrice prese contatto con le persone
famose e ricattandole una alla volta affinché non fossero inserite
nel libro pubblicato. La casa editrice estorceva almeno venticinquemila euro a ogni persona e la vicenda finì in televisione, dove la trasmissione «Le Iene» si occupò del caso. In seguito, alla
signorina Lea di Leo fu proposto d’indicare sul suo libro soltanto le iniziali, e garantendo in tal modo l’anonimato delle persone
coinvolte. Dovette declinare la proposta perché gravemente minacciata.
Le case editrici devono guadagnare riguardo a quello che arriva nelle loro mani e, le più disoneste, vendono le informazioni
che leggono sui manoscritti inviati dagli scrittori. Semmai qualcosa d’interessante fosse stato scritto, testate giornalistiche, persone di spessore e trasmissioni televisive ne beneficeranno.
È oramai palese che questo sia ugualmente accaduto per quel
che riguarda questo libro, perché oltre a non essere più riuscito a
trovare una casa editrice disposta a pubblicarlo, col trascorrere
del tempo arrivavano le riforme nazionali, e regionali, che rendevano inutile il mio lavoro. Non ultimo il decreto anti-stalking
del Governo Letta, riguardante il femminicidio. Inoltre, esattamente il giorno precedente, la Procura della Repubblica di Udine emetteva un provvedimento del quale proprio i Carabinieri di
Basiliano-Campoformido erano stati delegati di notificare a uno
stalker. Ed ecco che, per l’ennesima volta, il mio lavoro diventa
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ignoto, ma non lo casso affinché sia possibile sapere grazie anche a chi sono state prese queste misure. Dopo un’inedita prima
bozza di stampa del libro e/o un contatto con una casa editrice.
Inoltre, ho notato che incominciavano a verificarsi insabbiamenti concernenti gli unici argomenti resi noti sul manoscritto
inviato. Siccome i manoscritti che inviavo contenevano continui
aggiornamenti, spesso causati da altri tentativi d’insabbiamenti
e depistaggi, sono sicuro che sarei in grado di poter denunciare
le case editrici scorrette. Sarebbe possibile perché gli insabbiamenti riguardano quel preciso argomento, che è assente sul manoscritto non ancora aggiornato con quella determinata indicazione, mancante ad anteriori. A tal proposito, sconsiglio di eseguire accertamenti riguardanti il contenuto di questo libro, perché ormai le variazioni contenitive adottate allo scopo di pararsi
le terga e contrastare l’Autore, sicuramente si sprecano.
Era ancora il 25 giugno del 2012 e trasmettevo la mia proposta editoriale a una casa editrice. Dopo solo un quarto d’ora la
società mi risponde che aveva tutto esaurito, e perciò non aveva
tempo per me né per altri. Nei mesi seguenti non mantengo più i
contatti con questa casa editrice. Mi rivolgo ad altre che, una per
volta, respingono la mia proposta editoriale. Altre ancora, neppure si degnano di fornire una risposta.
Figura 4: immagine contenente quindici libri presi a caso ma scelti perché sono stati rieditati.
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Ritrovandomi di fronte a un totale menefreghismo, alla fine
di settembre del 2012 invio un’e-mail al giornale «Il Fatto Quotidiano», rivolgendomi a Marco Travaglio: Vicedirettore. Con
tale comunicazione lo informo che sto accorgendomi che qualcuno sta approfittando dell’opera trasmessa, e allora sicuramente c’è chi, oltre a svendere il frutto delle mie fatiche, mette in
stato di allerta quelle che potranno, vita natural durante, ritenersi
sempre mie controparti. Lo informo, inoltre, che avvenimenti attuali e futuri, a carattere nazionale, stanno rendendo e renderanno vani certi miei odierni sforzi e, pertanto, che c’è chi ha interesse, come minimo, a lasciarmi per ultimo. Né lui né i suoi colleghi rispondono, ma all’incirca quindici giorni dopo che ho inviato l’e-mail citando una casa editrice di Roma, accade qualcosa d’impensabile. La casa editrice, a sua volta, invia un’e-mail
dove m’invita a partecipare a un convegno culinario nella capitale, in cui pagando l’importo del convito si riceverà in omaggio
la copia di un libro di ricette. Per questa casa editrice sarebbe
stato meglio che non si fosse più manifestata perché, prodigandosi, è come se avesse qualcosa da nascondere, perciò le inviai
una risposta in cui scrivevo:
«Sono spiacente, ma la distanza che intercorre tra il luogo in
cui abito e il ristorante dove si è tenuto il convegno culinario è
ragguardevole e improponibile a chi dista ottocento chilometri.
Voi, però, ovviamente la mia proposta editoriale non l’avete letta, almeno così potrebbe, o potrà, sembrare.». «Si ringrazia, comunque, per l’offerta via e-mail di metà ottobre.».
Verso la meta di novembre 2013 mi accorgo che due trasmissioni sono state deputate a saccheggiare la mia opera. Un figlio
illegittimo delle zoccole di Berlusconi, partorito dal tubo catodico e corrispondente al nome di Paolo Bonolis, inizia a usare vocaboli che nemmeno conosce. Ben presto mi raccapezzo che sono quelli usati per scrivere la bozza di questo libro. Lui, però, in
precedenza non li aveva mai adoperati, e di questo mi ero accertato riguardando molte altre sue trasmissioni.
Lasciai trascorrere del tempo ma la situazione non migliorava, così a dicembre m’iscrissi alla S.I.A.E. e nel mese successivo denunciai le trasmissioni «Avanti un altro» e «L’Eredità». In
precedenza avevo già querelato Mediaset, d’ufficio. Ad un certo
punto, mi rendo conto che sia lo staff che prepara le domande a
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Bonolis, sia alcuni termini da lui utilizzati, sono i medesimi che
ho adoperato per la seconda stampa del libro. Non comparivano
nella bozza dalla quale erano stati attinti i primari termini sdoganati per inflazionare la mia opera, perché rientravano tra quelli che avevo accuratamente scelto per arricchire il libro. I nuovi
vocaboli erano stati, quindi, divulgati da qualcuno. Eppure, avevo diffidato la seconda scorretta stamperia che stava boicottando me e la mia opera, dal diffondere anche un solo capoverso.
Col trascorrere delle settimane mi renderò conto che la patata
bollente riguardante il terminicidio della mia opera, sarà tagliata
a pezzi e spartita coi commensali di format mediatici e telegiornali. Il primo di marzo 2014, Silvia Toffanin mostra il filmato in
cui è stata incaricata d’intervistare Paolo Bonolis. Nello studio
di registrazione della trasmissione «Avanti un altro», lei loda e
imbroda il conduttore foraggiandolo di complimenti per l’innata
capacità dialettica. A cui soggiunge il forbito linguaggio esperito dal facondo Presentatore, per la complessità dei vocaboli. Al
punto che la Toffanin ammette di essere costretta a prendere in
mano il dizionario. Certamente ha dovuto consultarlo da quando
Bonolis è stato assoldato per spogliare e violentare la mia opera,
farabutto lui e lo staff. Presumo che l’intervista fosse stata concordata per depistare dipingendo il signor Bonolis come un altolocato assertore del pensiero erudito.
Nel mese di gennaio del 2014 mi rivolgevo alla S.I.A.E. anche perché stavo riscontrando molteplici difficoltà a stampare il
libro. Non ho alcuna intenzione di stare a specificare tutto quel
che accadde, ma già agl’inizi di novembre 2013 mi attivavo per
stamparlo. Angherie, falsità, prezzi esorbitanti, pretesti e molto
altro ancora, pur di ostacolarne la stampa. Quando, finalmente,
riuscirò a ottenerla, il lavoro sarà eseguito cosicché presentasse
dei difetti visibili a occhio nudo e già sulla copertina. Dovetti rifiutare il carico e rimandarlo indietro.
Nei mesi di febbraio e marzo 2014, un’altra trasmissione si
occuperà di trattare argomenti del mio libro, che non sarà pubblicato. Alcuni giorni dopo le primarie trasmissioni, all’interno
del breve format «Leonardo» saranno ritrasmessi alcuni spezzoni della trasmissione «Ambiente Italia». Trattava argomenti che
nel mio libro avevo già inserito, addirittura, un anno prima: Ilva,
Caffaro e Ferriera di Servola a Trieste.
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Alle principali azioni di danneggiamento seguiranno, a ruota,
molte altre trasmissioni scomodate per coprire i ladri di libri, e
dietro ai quali restano nascosti i papponi dello spettacolo. Trasmissioni di tutti i generi, serie televisive di vario interesse e altri personaggi del settore mediatico faranno quadrato allo scopo
di proteggere questi mafiosetti e i loro mandanti. Al pusillanime
attacco da parte: del laido Bonolis, di Francesca Spangaro, dello
staff di «Avanti un altro» e de «L’Eredità», andranno a integrarsi «Le Iene», «Diario Mondiale-Notti Mondiali», «I fatti vostri»,
«Affari Tuoi», «TGR», «Geo & Geo», «Forum», «Quelli che il
calcio», «Striscia la Notizia», Gianfranco Mazzoni, Gianni Cerqueti più radiocronisti sportivi come Francesco Repice e Gianfranco Coppola, Diego Abbatantuono e tamarri cabarettisti che
diventano dotti, Geppy Cucciari, Alessia Marcuzzi, Noemi, presenzialisti da salotto, traduttori di lingue, doppiatori di edizioni
animate o per ragazzi, dialoghisti, concorrenti di talent e reality,
emittenti private sia televisive sia radiofoniche, testate giornalistiche, politici e insospettabili. Questo elenco potrebbe sembrare
inverosimile a chi non ha capito che il linguaggio è stato oggetto
di manipolazioni per danneggiare libri scomodi. Come una droga, siete stati gradualmente indotti ad ascoltare ed a parlare con
nuovi vocaboli che hanno sostituito altri. Inoltre, repetíta iuvánt.
Verso la fine di settembre del 2014, qualcuno s’introdurrà nel
mio computer e mi sottrarrà i vocaboli del secondo libro. Infatti,
nel mese di ottobre Il laido inizierà a sfruttare i nuovi vocaboli.
Inoltre, un file di astrologia riguardante il tema natale di Amanda Knox scomparirà. Presumo che Forze dell’Ordine e/o il server WIND abbiano gravemente violato il mio computer per saccheggiarlo su commissione. Lo scopo includeva anche un diversivo per coprire i veri autori dei precedenti ladrocini, ovvero le
case editrici, le tipografie e, molto probabilmente, la S.I.A.E.
L’ultimo giorno di settembre preparo una copia del nuovo libro e la archivio. Il libro lo stavo scrivendo random. Non seguivo un ordine cronologico. Avevo fissato taluni capitoli e scrivevo a volte pagine di un capitolo, a volte pagine di un altro. Saranno state al massimo una quindicina di pagine, eppure mi ero
già accorto che Il laido le stesse sfruttando. Inizialmente, ritenevo si trattasse di fortuite coincidenze, poi capii che non poteva
essere in tal modo. Qualcuno si era introdotto nel mio computer
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tramite la rete internet, e più volte. Nessuno avrebbe potuto accedervi meccanicamente. Il trascorrere dei giorni accresce il mio
sospetto iniziale. A metà novembre 2014, anche la trasmissione
«L’Eredità» incomincerà a sfruttare i vocaboli del nuovo libro.
L’anno precedente, invece, codesta trasmissione Rai fu assoldata verso le festività natalizie. Oltre alla sparizione del tema natale astrologico, grafico, di Amanda Knox, il programma di astrologia è stato oggetto di manomissioni. All’invio delle e-mail, gli
allegati svaniscono d’incanto e i messaggi vanno nelle «bozze».
Accadrà due o tre volte perché, poi, staccherò la connessione, a
bruciapelo, ogni volta che mi accorgerò dell’anormalità. Fino a
quando non cesserà questa stranezza, continuerò con questo metodo. La casella e-mail è controllata dai Berlusconi: Libero.it.
Arriva il mese di ottobre 2015 e mi accorgo che uno store ha
messo a disposizione grossomodo ottanta pagine del mio e-book
in formato pdf. Lo store è Google Play. Proprio in questo periodo mi accorgo che i giornalisti e le varie trasmissioni dove non
si citino vocaboli del mio libro sono divenuti merce rara, sia in
televisione sia in radio. Quest’ultima nefandezza, in una e-mail
la inserisco tra le motivazioni per rimuovere il mio e-book dagli
store. Dopo che ho inviato una e-mail alla casa editrice Youcanprint, Google Play interviene per primo perché gode persino di
una sorta di hashtag con il quale diviene a conoscenza di quello
che scrivi, non appena lo citi nelle e-mail. Inoltre, chi possiede
un account con Google può leggere l’e-book scorrendo le pagine anziché cambiare pagina con i pulsanti su cui cliccare. Come
se non bastasse, Google Play attribuisce alla mia opera il genere
«fiction». Così, nelle ore piccole del 19 ottobre e imbufalito per
la scoperta, ordino a Youcanprint di rimuovere l’e-book, in pdf,
dagli store. Google Play non rientrava tra gli store dove nei primi mesi il mio e-book compariva. Infine, mi accerto che questo
ladrocinio riguardi il mio libro e non altri che godono del famoso paraculatismo. Come riferimento, prendo e sfoglio un e-book
che abbia lo stesso numero di pagine del mio. Bruno Vespa, con
il suo Italiani voltagabbana, è l’ideale. Ebbene, le pagine messe
a disposizione del suo libro erano solo trentacinque. Sempre nel
mese di ottobre mi arriva il rifiuto di una casa editrice locale: la
goccia che farà traboccare il vaso affondando il mio secondo libro. Basta! Qualcuno si occupi di tutti questi farabutti.
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Le ottanta pagine delle quali, a volte, lo store ne metteva a
disposizione altrettante perché variava la posizione di inizio anteprima gratuita, sicuramente sono state l’ideale per dare il colpo di grazia alla mia scomoda opera. Infatti, pochi giorni dopo
acquisisco le prove che si tratta dell’ennesima porcata dei luridi
Berlusconi. Durante «Studio Aperto» del 22 ottobre 2015, Monica Gasparini comunica che Google e Mediaset hanno firmato
un accordo mediatico. Youcanprint e Google Play si sono venduti a Mediaset. Infatti, nelle e-mail, Youcanprint cerca di mediare per farmi credere che non c’è niente di cui doversi allarmare… In pratica, tenta di allentare la tensione cercando di convincermi che... Controllando se l’e-book, in pdf, è stato rimosso
dagli store e, anzitutto, da Google Play, noto che mi era sfuggito
un particolare. Siccome Google Play mette a disposizione anche
i titoli di parti, capitoli e sezioni di questi ultimi, mi accorgo che
la seconda appendice era stata tagliata e, ovviamente, prima della pubblicazione. La sede di Youcanprint si trova in Puglia, come i Sollecito. Da qui la mia decisione di concretare questa iniziativa per salvare il salvabile e denunciare il tutto. Ovviamente,
non è da escludere la presenza di altre espunzioni, né che a causa di questo libro ci siano stati passaggi di denaro e/o… per…
Riepilogando, la stampa del libro definitivo dove dietro si nascondeva un disegno lesivo, la pagherò grossomodo seicento euro. Eserciterò il diritto di recesso ma non riuscirò più a rientrare
della somma versata. A tutto questo va aggiunto che, per garantirmi una propagazione del libro, eseguirò un investimento pari
a cinquecento euro. Sugli store Internet, del formato in pdf non
venderò neppure un e-book, e quelli venduti sulla piattaforma di
Amazon non mi saranno pagati. Considerando che dal 2000 non
guadagno nemmeno un euro, voglio vedere stramazzare al suolo
tutti gli abbienti che hanno interferito nella totale riuscita del libro, servendosi di manutengoli. Siano frantumati gli imperi mediatico-editoriali. Finiscano in rovina loro e disoccupati tutti gli
schiavetti, i leccapiedi e i cagnotti come Bonolis. Se non avesse
avuto la grossa fortuna di lavorare nello spettacolo, sarebbe stato un delinquente. E voi siete così stupidi da non capire che tutti
i suoi interventi durante la trasmissione «Avanti un altro» sono
stati concordati? Lui, a seconda delle circostanze, recita la parte
del colto o dell’ignorante. Conosce tutto ciò che accadrà durante
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la trasmissione da presentare, deve solo inscenare con qualcuno
dello staff o assieme ad altre persone con le quali dissimula eseguendo messinscene, gag e pagliacciate varie. Conosce anche le
domande che saranno fatte ai concorrenti. Vi consiglio di verificare le definizioni che la televisione rilascia al fine di omettere
altri significati o travisarne quelli già esistenti. In taluni casi, però, la parola viene lanciata proprio perché l’ignaro acquisisca gli
altri significati che, spesso, il vocabolo possiede.
Nei mesi di settembre e ottobre 2015 stavo arricchendo questa terza stampa inserendo con dovizia di cura nuovi vocaboli e
la stavo preservando da «sguardi» indiscreti. Volevo proporvela
subito e in modo che non ci fosse il tempo di saccheggiarla ulteriormente, ma il giorno 08 novembre ebbi un incontro che compromise i miei piani. Lui è un mio amico d’infanzia, lo informo
di aver scritto un libro e gli spiego dov’è pubblicato. È interessato a leggerlo. Mi arrischio esponendo le mie ultime fatiche al
caimano Internet, perché devo offrire al mio amico un libro eccellente. Carico rapidamente questo restyling su Amazon e seppure mancassero ancora alcuni vocaboli che termino di caricare
il 16 del mese. Purtroppo, il mio altruismo si rivela uno sbaglio
madornale perché queste modifiche finiscono in pasto a qualcuno che mi controlla. Il 23 novembre tocca ancora a lui. Sì, ancora lui, Il Laido inizia a sciolinare i nuovi vocaboli da me scelti
con cura, ma lo fa esponendosi in modo più astuto. Lui, essendo
costretto ad asservirsi ai porci che gli forniscono un lavoro improntato alla sua fottuta carriera, ha iniziato a usare un linguaggio sempre più dotto. Lo scopo è quello di mischiare taluni termini con altri provenienti da libri scomodi come il mio. Infatti,
già il 23 novembre mi accorgo che sta sdoganando altri vocaboli
da me scelti con cura. Infine, sfumature collegate a impercettibili sottigliezze che solamente un Autore può captare, rilasciano il
lemma di una nuova locuzione probante che lo staff continua a
danneggiare la mia opera. Prendo in mano il dizionario e, come
accade in «Ritorno al futuro», mi appare un neologismo dovuto
al momento esistenziale. Alla voce «Salvati», l’unica definizione che leggo è «ladruncolo da strapazzo». I giorni successivi mi
forniscono altre prove che c’è stato il saccheggio di nuovi vocaboli, quindi sospendo l’e-book su Amazon. Cancello il contenuto e, infine, lascio che ogni pagina contenga le stesse parole che
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due giorni dopo mi premuro di inserire nella descrizione del libro. Evito, quindi, che qualcuno paghi per un e-book vuoto. Le
puntate successive di «Avanti un altro» sugellano quello che ho
suesposto: c’è stato ancora un saccheggio.
Kyrie Elèison sono le ultime parole che scrivo rivolgendomi
a qualcuno che riduca Paolo Bonolis sul lastrico. Oltre a liberarci di un truffattore, renderà un grosso favore a tanti. Il laido ha
guadagnato troppo e si sente molto al sicuro, protetto anche dalle Forze dell’Ordine dove conosce parecchi. Lui afferma di non
essere nei social network, ma ci sono altri che possiedono home
page per lui. Tra l’altro, proprio sui social network ho conosciuto alcune persone a cui Bonolis provoca l’orchite. Bonolis, stia
in campana. Un giorno o l’altro qualcuno lo segherà in due senza essere un prestidigitatore. Lui sta stroncandosi la carriera insieme a tutti quelli che lo stanno emulando per essergli complici, anzitutto Flavio Insinna ed i nostri omonimi Frizzi e Fox. Si
preparano per loro molte incognite perché il centesimo è arrivato e non lo puoi ingannare. Preparerò una lista di proscrizione e
la pubblicherò sul mio profilo Facebook, loro saranno i primi.
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POETIRICA
Ode al Centone e al Centurione
Caro Centone,
durante la naia mi sentivo un gran riccone,
ma dal duemiladue,
con cinquanta euro son soltanto un boccalone.
Dieci di te contavan ‘na cocuzza,
e con dieci dell’altro
d’imbroglio sempre puzza.
Con te si faceva il pieno
e si riempiva il serbatoio,
ora in modo poco ameno
tocca andar a Montecitorio.
La benzina della casa
si può fare senza fretta,
ma in fondo alla scala
non va più la lancetta.
Oh mio caro gran centone!
Con te era sempre un affarone,
mentre adesso con cinquanta
la fregatura è invece tanta.
Mi consenta e Mortadella
c’han offerto ‘sta caramella,
ma ben presto la gente s’è accorta
che non era altro che ‘na supposta.
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Caro Angelo Michele
finirem tutti derisi,
ma poiché tu eri un Merisi,
un valore avean in man.
Ora solo con cinquanta
pure la gallina canta,
anche lei sai protesta
con l’Europa e le sue gesta.
Oh ruspante mia gallina!
Qual fin fece il tuo galletto,
Sarkozy il ridacchiante
cessò d’esser praticante,
ma noi contavam nel Mario
che non era solo un bancario,
e su un contratto di lavoro
non precario speravam.
Questo anche per lui valeva,
ma la politica, purtroppo,
vagamente conosceva
e del politico intoppo.
Arrivaron le primarie
di Bersani il vincitor,
che oscurato il Cavalier,
sfiducia il tecnico Governo
e gli infligge un colpo al cuor.
Stira e ammira si stancò,
e con il gesto plateale,
la spina gli staccò
per un lesto funerale,
cosicché la Marocchina
resti fuor dal Tribunale.
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Pedinaron la Boccassini
giudicandola inadatta
perché a righe avea i calzini
come fosse mentecatta.
Pur per altri questo è un vezzo,
piaccion a righe orizzontali,
e come per il Procurator avvezzo,
vorrean per lui le verticali.
Super Mario non voleva
lasciarci all’improvviso
nelle mani di chi cantava
già vittoria col sorriso.
Poco prima di Natale,
il tecnico Boccone,
salito al Quirinale
non mangiò il panettone.
E intanto il Grillo balza
col suo passo aleatorio,
sui palchi canta e danza
per zompar a Montecitorio.
Superato il Carnevale
con la frittola il sapor,
gli Italian van a votare
per il novo Governator.
La vittoria è di Bersani
ma il Governo ha la scadenza,
tanto che i beniamini
son costretti alla pazienza
prima di brindar coi vini
alla nuova presidenza.
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Ma il calice non s’alza
e Bersani è «così sia»,
risicata maggioranza
più una Legge porcheria
impediscono, in sostanza,
di conoscere il Messia.
Provvisorio arriva Letta
che d’esperienza langue,
e di certo non s’aspetta
di firmare con il sangue
di una calibro Beretta,
con la Benemerita esangue.
Presidente del Consiglio
da Napolitano eletto,
non facesse come Silvio,
era importante fosse retto,
eppur giù dal ponte Milvio
finirà come un lucchetto.
Chissà quanti han creduto
che a superstia idiozia
il lor cuor sarea vissuto
di un amor che lieto sia.
Consacrato alla Beata,
forse arriva il salvatore
della patria funestata...
ecco Renzi l’oratore.
Ma torniam al Gran Visir
ch’è pien di sottane colte,
a bunga bunga e olgettine,
o di minorenni stolte,
gli Italian han detto «fine»,
o saran grandi batoste.
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Basta con questi serragli
che indignar facea la gente,
altrimenti son sonagli
che lo morderà sovente.
In qual loco non esprimo
e chissà se ancor gli serve,
ma neppur il pannolino
servirà a fermar la serpe.
«Io scesi nell’arena
del Toreador Giletti,
seduto a mala pena...
era meglio la Minetti,
ma non la Annalisa,
lei canta alla grande,
invece Nicolina
ha poco di mutande.»
«Il fasto triangolino
continua col spaghetto,
esalta il suo bacino
e pande il bel culetto,
giuliva come un’oca
con belle labbra rosse,
ma almeno stava zitta...
e ce le aveva grosse.»
«E pure Barbarella
non ha tanto da fare,
a Pomeriggio Cinque
si fa quel che mi pare,
io dico quel che voglio
e lei non m’interrompe,
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perché col portafoglio
el Toreador non rompe.».
Sulla sedia gestatoria
del Pubblico Servizio
del gesto di vittoria
ha partorito il vizio,
ma el Matador Santoro
stavolta lo riprende,
infilza forte il toro
che a regole non scende.
Lui ride, ride, ride,
sbeffeggia tutti quanti,
e quando il P.M. stride,
i suoi Legal son Santi.
Poi starà con Checca,
e la Balti più o meno
la stessa età c’azzecca...
è un legame osceno.
«Sei identico a mio nonno!
E quando avrem un figlio
sarai papà e bisnonno,
a lui darai il Consiglio.».
Povera Francesca
qual mera illusion
che una donna fresca
cambiasse il maialon.
Parole zozze volan
dalle labbra di Silvietto,
e gli Italian invocan
una mancanza di rispetto.
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«Mia bella signorina,
lei ch’è senza l’imene,
prima che sia mattina,
quante volte viene?».
«Prima che canti il gallo,
avrò anche perso il conto,
ma lei del suo gingillo,
si tenga pur l’acconto.»
«Mio bel caro Senatore
lei conosce le Troiane,
ma non a tutte le ore
son disposte le Italiane
a sentir le sue sconcezze
invadenti e nei confronti
di chi ha ormai tante certezze
che la pena più non sconti.».
Ora basta divagar,
pensiam a cose serie,
l’Italia è da salvar,
finiscan le miserie.
Dunque noi abbiam bisogno
di un Premier che risolva
questa crisi non da sogno
e che l’incubo dissolva.
Metta fine a ‘sta caciara
dove chi s’ammazza e chi si spara,
e cosa dir degl’indigenti
a subir sempre più aumenti.
Salvi poi chi esasperato
a er cupolon s’è abbarbicato
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quando, intanto, alle Regioni
era pieno di ladroni,
e dalle casse dei partiti
tanti s’eran riforniti.
Anche tu sì sei contrario
a chi non sbarca più il lunario,
e allora torna presto mio Centone
a cambiar ‘sta situazione.
Ferma tutti ‘sti rincari
che colpiscon poveracci e proletari,
e aiuta poi li poveretti
a salir mai più sui tetti,
o nelle miniere asserragliati
per non finir disoccupati.
Dai su intervieni!
Pianta un grosso piè sui freni,
stanga tutti ‘sti ricconi
affoghino pur coi lor barconi.
Mega yacht, panfili e aliscafi
se ne vadan a trovar Gheddafi,
e se il ciel lindo non fosse ancor,
valga pure per i lor jet privati.
Senza papponi resteremo
ma molto meglio noi staremo,
e se c’è grana alle Caimàn
farem festa per un an.
Ora sai io ti saluto
mio centone benvoluto,
e anche se non tornerai
in cuor nostro resterai.
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Breve “poesia” del vaffancluni,
e a tutti quelli che come lui…
Quel tenia del lago di Como,
Elisabetta sola lasciò,
la caricava sulla grossa moto,
e a Sanremo non si presentò,
al suo posto De Niro arrivò,
e per noi non fu un gran affare,
perché un sacco di soldi costò
mentre Giorgio stava a girare.
Capelli sale e pepe,
non sa neppur parlare,
allergico è al prete,
Schumi gli poteva insegnare.
Lui era lo scapolo d’oro
e tutte a gara faranno
per avere un bel toro,
ma del solo segno sanno.
Un toro che va in vacca
quando liscia i cosiddetti,
e che poi rimette in sacca
come fossero confetti.
«Le mie parole costano
e ne pronuncio così tante
che negli spot mi pagano
con moneta altisonante.»
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«Io giro tutto il mondo
e la villa ho sul Lario,
con gli spot arrotondo,
son un verme solitario.»
«Coi soldi che guadagno
pago le tasse a Como,
e siccome son pitocco
non tengo il Maggiordomo.».
Questo non è il sol esempio,
e ci son tanti che sanno,
che di giovani c’è uno scempio,
non lavoran e son in affanno.
Chi già guadagna tanto
non deve arrotondar,
ma lasciar all’affranto
un posto per lavorar.
Da quello che qui scrivo
c’ è molto da imparare
a esser selettivo
e i prodotti boicottare*.
Non tutti quelli in vendita,
ma di chi li reclamizza
e di certo non necessita
del profitto che realizza.
Che questa Legge diventi
affinché non sbraghi il ricco,
e a valer in tutti gli Stati
dove esiste il «mi ci ficco».
*Non comprare
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Ringraziamenti
Si ringrazia tutti quelli che contribuiranno alla diffusione di questo libro,
incluse le persone che, comprendendo i meccanismi, si attiveranno affinché non accadano altri fatti di questo genere. Un «ringraziamento» a tutte quelle case editrici che, se avessero pubblicato questo libro, avrebbero
contribuito a scongiurare altri omicidi di giovani ragazze e donne indifese. Per esempio, quello accaduto a Villaorba di Basiliano. Si ringrazia,
inoltre, gli informatori che mi hanno consentito di togliere le bende alle
talpe e di smascherare i servitori dei potenti locali. Un: «Andaste anche
voi a impattare.», ai Procuratori della Repubblica di Udine, per le onte
processuali che un nato sotto il segno della Giustizia mai acconsentirà a
chi il posto di lavoro statale lo ha ottenuto chissà come. Si ringrazia chi
ha lasciato condannare me e il mio amico, senza essere ascoltati né aver
potuto fornire le prove che i due vigliacchi in divisa avevano mentito. Un
ultimo ringraziamento, sia a coloro che spiegheranno quant’è complicato e faticoso scrivere un libro come questo, sia a chi riuscirà a capire che
il linguaggio mediatico è spesso deciso da chi ha interesse a danneggiare
qualcuno rendendo sterile l’intero costrutto del suo libro, sia a quelli che
denunceranno eventuali plagi di quest’opera da parte di case editrici che
hanno pubblicato libri dopo il 2013.
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INDICE
Prefazione d’Autore
Prefazione
.............................................................................
4
.................................................................................................
5
PARTE PRIMA
PRIMA DEL LICENZIAMENTO
CAP. I. L’AZIENDA E I LAVORATORI
.................................................
11
L’organico aziendale .................................................................................
La dislocazione dei reparti e gli impianti .............................................
11
16
CAP. II. CARTE E QUARANTOTTO
.......................................................
19
La precettazione ..........................................................................................
I turni scoperti .............................................................................................
19
22
27
29
CAP. III. UN CONTINUO ABUSO DI POTERE AZIENDALE ..............
40
Nell’ufficio dell’assente Faraone ............................................................
40
La contestazione iniziale ...........................................................................
Un documento che scotta ..........................................................................
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Fuga dall’«Egitto» ......................................................................................
Rientro al lavoro… .....................................................................................
46
53
PARTE SECONDA
LA LEGGE AL SEVIZIO DEL CITTADINO
CAP. I.
CONTATTI CON PERSONE SBAGLIATE ................................
59
Continui tentativi d’inganno ....................................................................
Finalmente un Avvocato... forse ............................................................
59
62
64
69
CAP. II.
LE AUTORITÀ GIUDICANTI DI UDINE ................................
77
Il Consiglio dell’Ordine (fase uno) ........................................................
77
82
89
93
98
104
Richieste di aiuto nel nulla .......................................................................
Legali ma non del tutto... .........................................................................
La Procura della Repubblica ...................................................................
Il sostituto Procuratore (?) .....................................................................
.
Il Consiglio dell’Ordine (fase due) .......................................................
L’avvoltoio P.C.M. ...................................................................................
..
Gli incidenti .................................................................................................
PARTE TERZA
PROSEGUENDO NEL TERZO MILLENNIO
CAP. I.
PORCO IL MONDO CHE HO SOTTO I PIEDI ..........................
117
Il modello C.U.D. ......................................................................................
117
119
129
I primi casi di mobbing-stalking ............................................................
La corruzione mette le ali ........................................................................
384
IBAN: IT4000533664070000035341776 Banca FriulAdria
Le tessere del mosaico ..............................................................................
133
138
CAP. II.
PUNTI DEBOLI O SCOPERTI ..................................................
144
Le auto sportive ..........................................................................................
Il Consigliere occulto, e non il solo ......................................................
144
146
151
156
165
CAP. III.
LA VICENDA SI COMPLICA ................................................
173
A spada tratta contro le poste .................................................................
173
182
198
202
216
220
L’Istituto Nazionale Precedenza Società (I.N.P.S.) ..........................
Le utenze ......................................................................................................
Il reparto notte e i vicini ...........................................................................
Il Municipio e gli enti collegati ..............................................................
Io Avvocato di me stesso e gli ultimi Legali .....................................
Il rischio ambientale .................................................................................
L’assedio e il traffico organizzato .........................................................
Piccoli delinquenti crescono ...................................................................
Un’azione previdente ...............................................................................
PARTE QUARTA
… PER LEI LA PERSECUZIONE... CONTINUA
CAP. I.
MACHIAVELLI SI RIVOLTA ....................................................
227
Luci della ribalta ........................................................................................
Un mucchio di fatti ....................................................................................
227
230
237
254
263
CAP. II.
ANCORA NESSI CORRUTTIVI ...............................................
271
La mia banca è differente ........................................................................
271
Che Poste vi colga! ....................................................................................
Un labirinto di... specchi rotti .................................................................
Il contagio ....................................................................................................
385
IBAN: IT4000533664070000035341776 Banca FriulAdria
La Mafia Statale-Giudiziaria, un processo-farsa ..............................
277
284
294
CAP. III.
CHE TRAFFICO CHE FA ........................................................
301
Il traffico pilotato .......................................................................................
Il traffico forzato ........................................................................................
301
306
Conclusione
315
Il Servizio Sanitario Nazional-aziendale .............................................
E io pago! ....................................................................................................
............................................................................................
APPENDICI
La responsabilità penale dei Magistrati ...............................................
Sentenze poco chiare e Avvocati da catalogare .................................
Che pensione sia ........................................................................................
Se telefonando… ........................................................................................
Il segreto della quinta appendice ............................................................
319
323
342
346
357
POETIRICA
Breve “poesia” del vaffancluni ed a tutti quelli che come lui… ............
371
379
Ringraziamenti
381
Ode al Centone e al Centurione ..............................................................
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IBAN: IT4000533664070000035341776 Banca FriulAdria