Ventiquattro minuti in pallone

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Ventiquattro minuti in pallone
Jules Verne
Ventiquattro minuti in pallone
Titolo originale
Vingt-quatre minutes en ballon
(1873)
Libera traduzione curata da M.Z.
INTRODUZIONE
Ventiquattro minuti in pallone è un articolo
pubblicato il 21 Settembre 1873 sul Journal d’Amiens
— Moniteur de la Somme. In questo articolo Verne
descrive il suo primo volo in aerostato, avvenuto ben
dieci anni dopo l'uscita di Cinque settimane in
pallone. Fino ad allora i viaggi aerostatici erano per
lo scrittore pura teoria; ma in questo breve saggio
traspare la meraviglia dell'autore che, come un
bambino, assapora per la prima volta l'emozione del
volo. Un resoconto accurato che trasferisce sul lettore
le sensazioni provate sorvolando i cieli di Amiens.
M.Z.
Ventiquattro minuti in pallone
Egregio signor Jeunet,
Eccovi alcune note che mi avete chiesto sul
viaggio del Météore.
Voi già sapete in quali condizioni si sarebbe
dovuta compiere l'ascensione: il pallone relativamente
piccolo, di una capacità di 900 metri cubici, pesante
270 chili con la sua carlinga e le sue attrezzature,
gonfiato di un gas, eccellente per l'illuminazione, ma
di una potenza ascendente mediocre, doveva prendere
a bordo quattro persone, l'aeronauta Eugène Godard,
più tre viaggiatori: Il Sig. Deberly, avvocato, il sig.
Merson, tenente del 14° battaglione, e me.
Al momento di partire, è stato impossibile
sollevarsi da terra. Il Sig. Merson, che aveva già fatto
ascensioni aerostatiche a Nantes con Eugène Godard,
acconsentì, sebbene a malincuore, a cedere il suo
posto al sig. Deberly, che, come me faceva la sua
prima escursione aerea.
Il "molla tutto" tradizionale stava per essere
pronunciato, ed era giunto il momento di lasciare il
suolo…
Ma facevamo i conti senza il figlio di Eugène
Godard, un piccolo intrepido di nove anni, che ha
scalato la navicella, e per il quale è stato necessario
sacrificare due sacche di zavorra su quattro. Due
sacche soltanto! Mai Eugène Godard si era trovato in
queste condizioni. L'ascensione non poteva dunque
essere di lunga durata.
Siamo partiti alle 5 e 24, lentamente ed
obliquamente. Il vento ci portava verso il Sud-Est, ed
il cielo era di una purezza incomparabile. Soltanto
alcune nuvole tempestose si vedevano all'orizzonte.
La scimmia jack, lanciata con il suo paracadute, ci ha
permesso di salire più rapidamente, e, alle 5 e 28,
raggiungevamo l'altezza di 800 metri, altezza rilevata
al barometro aneroide.
La vista della città era splendida. La piazza
Longueville somigliava ad un formicaio di formiche
rosse e nere, le une i civili, le altre i soldati; la guglia
della cattedrale si abbassava poco a poco, e segnava
come un ago i progressi dell'ascensione.
In pallone, nessun movimento è percettibile, né
orizzontale, né verticale. L'orizzonte sembra sempre
mantenersi alla stessa altezza. Aumenta di raggio,
ecco tutto, mentre la terra, sotto alla carlinga, sembra
scavata ad imbuto. Allo stesso tempo, silenzio
assoluto, calma completa dell'atmosfera, disturbata
solo dai gemiti della cesta di vimini che ci trasporta.
Alle 5 e 32, un raggio di sole, uscito dalle nuvole
che coprivano l'orizzonte ad ovest, raggiungeva il
pallone; il gas si dilatava, e senza gettare alcuna
zavorra, venivamo sollevati ad un'altezza di 1200
metri, massima altezza raggiunta durante il viaggio.
Ecco ciò che percepisce lo sguardo. Sotto i nostri
piedi, Saint-Acheul ed i suoi giardini nerastri,
rimpiccioliti come se li osservassimo con un binocolo
rovesciato; la cattedrale schiacciata, la cui guglia si
confonde con le ultime case della città; la Somme, un
nastro sottile chiaro; la ferrovia, alcune righe tracciate
col tiralinee; le vie, dei pizzi sinuosi; gli orti, una
semplice esposizione delle merci di un fruttivendolo; i
campi, simili ai campioni multicolore che i sarti dei
vecchi tempi appendevano alla loro porta; Amiens
sembra un cumulo di piccoli cubi grigiastri; si direbbe
che sia stata svuotata sulla pianura una scatola di
giocattoli di Nuremberg. Quindi, i villaggi circostanti,
Saint-Fuscien, Villers-Bretonneux, Neuville, Boyes,
Camon, Longueau parevano altrettanti grandi mucchi
di pietre, disposti qua e là per un macadam
gigantesco.
In quel momento, l'interno dell'aerostato era
illuminato. Guardo attraverso l'appendice inferiore
che Eugène Godard tiene sempre aperta. Vedo una
limpida trasparenza, sulla quale si stagliano le coste
alternativamente gialle e marroni del Météore. Nulla
denuncia la presenza del gas, né il suo colore, né il
suo odore.
Tuttavia, scendiamo, poiché siamo pesanti.
Occorre gettare altra zavorra per restare in aria.
Migliaia di volantini, lanciati di sotto, indicano
una corrente più forte ad una quota più bassa. Dinanzi
a noi Longueau, ma prima di Longueau, un
susseguirsi di solchi acquitrinosi.
— Scenderemo in quella palude?
Eugène Godard.
chiedo ad
— No, mi risponde, e, se non abbiamo più
zavorra, getterò la mia sacca da viaggio. Occorre
assolutamente superare quella palude.
Continuiamo a scendere. Alle 5 e 43, ed a 500
metri del suolo, un vento vivo ci afferra. Passiamo
sopra una ciminiera, in fondo alla quale si immergono
i nostri sguardi; il pallone si riflette, come una specie
di miraggio, nell'acqua sottostante; le formiche umane
si sono ingrossate e corrono sulle strade. Un piccolo
prato è là, tra le due linee della ferrovia, davanti alla
biforcazione.
— Ebbene? dico io.
— Ebbene? passeremo la ferrovia, e passeremo il
villaggio che segue! risponde Eugène Godard.
Il vento è forte. Ce ne accorgiamo dall'agitazione
degli alberi. Anche Neuville è attraversata. Dinanzi a
noi la pianura. Eugène Godard lancia suo guiderope,
una fune lunga 150 metri, poi la sua àncora. Alle 5 47,
l'àncora colpisce il suolo; vengono dati alcuni colpi di
valvola; dei curiosi molto gentili accorrono, afferrano
la guiderope, e giungiamo delicatamente a toccare il
suolo, senza la minima scossa. Il pallone si è posato
come un grande uccello possente, e non come un capo
di selvaggina con del piombo nell'ala.
Venti minuti dopo, il pallone era sgonfio,
arrotolato, impacchettato, messo in un carro, ed
un'automobile ci riportava ad Amiens.
Ecco, mio egregio signor Jeunet, alcune
impressioni brevi, ma precise. Lasciatemi aggiungere
che una semplice passeggiata aerea, ed anche un
lungo viaggio aerostatico, non offre mai pericoli, sotto
la direzione di Eugène Godard. Audace, intelligente,
esperto, uomo di grande sangue freddo, che conta già
più di mille ascensioni nel vecchio e nuovo mondo,
Eugène Godard non lascia mai nulla al caso. Lui
prevede sempre tutto. Nessun incidente può
sorprenderlo. Sa dove va, sa dove scenderà. Sceglie
con una perspicacia meravigliosa il suo luogo di
arrivo. Procede matematicamente, con il barometro in
una mano e la zavorra nell'altra. I suoi apparecchi
sono ammirevolmente ben curati. Mai un'esitazione
della valvola, mai una piega nell'involucro. Una "fune
di rottura" gli permette, se necessario, di aprire il suo
aerostato nel caso in cui il pallone, toccando terra,
avesse bisogno di essere svuotato istantaneamente.
Eugène Godard, con la sua esperienza, il suo sangue
freddo, il suo colpo d'occhio, è veramente un maestro
dell'aria che lo sostiene e lo trasporta, e nessun altro
aeronauta può essere comparato a lui. In queste
condizioni, un viaggio aereo offre ogni sicurezza. Non
è neppure più un viaggio, è qualcosa come un sogno,
ma un sogno sempre troppo breve!
Egregio signor Jeunet, vogliate gradire i miei
saluti, ecc…
Jules Verne