Sesto sermone nella Vigilia del Natale del Signore
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Sesto sermone nella Vigilia del Natale del Signore
San Bernardo Sesto sermone nella Vigilia del Natale del Signore Sull' annuncio del Natale 1 L’annuncio del Salvatore 1. Abbiamo udito un annuncio pieno di grazia, degno di accoglienza: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giudea. L’anima mia si è sciolta a questo proclama, ma anche il mio spirito arde nel mio cuore, affrettandosi con il solito desiderio a sfogare (eructare) su di voi questa gioia ed esultanza. Gesù, Salvatore: cos’è tanto necessario ai perduti, cosa tanto desiderabile per i miseri, cosa tanto utile per i disperati? Altrimenti da dove verrebbe la salvezza, da dove una qualche pur tenue speranza di salvezza nella legge del peccato, nel corpo di morte, in questa malvagità del giorno e nel luogo del dolore, se non nascesse per noi nuova e insperata? Però tu forse desideri la salvezza, ma temi l'asprezza della cura, consapevole della tua delicatezza e parimenti della tua malattia. Non temere: Cristo è tanto dolce e mite, e di grande misericordia, unto con olio di letizia più di coloro che partecipano di lui, di coloro cioè che, benché non la stessa pienezza, ricevono tuttavia dalla pienezza di questa unzione. Ma perché, sentendo “dolce”, non pensi che sarà inefficace il Salvatore, si aggiunge anche: Figlio di Dio. Quale infatti il Padre, tale il Figlio, da cui dipende, quando lo voglia, di potere. O forse, udita l'utilità della salvezza, e la piacevolezza dell'unzione, non so cosa borbotti immagino anche preoccupato dell'onestà. Ti rallegri che il Salvatore ti si sia avvicinato, come se giacessi paralitico sulla barella, o piuttosto tra Gerusalemme e Gerico mezzo morto sulla strada. Ma di più ti rallegri che il medico non sia severo, e che non si serva di medicine forti, in modo che non ti sembri forse più intollerabile la stessa breve cura che la diuturna malattia. Così senza dubbio, così fino a oggi molti periscono, fuggendo il medico, perché hanno certo conosciuto Gesù, ma non conoscono il Cristo, immaginandosi, con un ragionamento umano, per la moltitudine e malignità dei loro mali, la seccatura del rimedio per loro preparato. Maestà del Figlio di Dio 2. Ma ormai sei così certo che è il Salvatore e tuttavia lo riconosci come il Cristo che non usa del cauterio, ma dell'unguento, che non cura con la bruciatura, ma con l'unzione; penso che una cosa ancora possa preoccupare una nobile creatura, che forse, non sia mai! la persona di questo Salvatore non sia abbastanza degna. Credo tuttavia che non sei fin così ambizioso e bramoso di gloria, o geloso dell'onore, che da uno qualsiasi di quelli che sono servi come te, se potesse 2 offrirtela, rifiuteresti di ricevere questa grazia. Infatti se fosse un angelo o un arcangelo, o di un qualsiasi ordine superiore degli spiriti beati, la tua animosità avrebbe molto meno pretesti. Ora invece con tanta maggior devozione deve essere accolto da te questo Salvatore, quanto più diverso da tutti gli altri il nome che ha ereditato: Gesù Cristo, Figlio di Dio. E guarda se non ha più che chiaramente affidato queste tre cose l'angelo che parlava ai pastori, descrivendo la grande gioia che annunciava. Perché, dice, oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Esultiamo dunque, fratelli, in questa nascita, e in molti modi rallegriamoci in essa, che fa rilucere così splendidamente e l'utilità della salvezza, e la soavità dell'unzione e la maestà del Figlio di Dio, così che nulla manchi di tutto quanto si desidera, né l'utile, né il piacevole, né l'onesto. Esultiamo, dico, ruminando dentro noi stessi, e scambiandoci a vicenda (eructuo) la parola soave, il dolce annuncio: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giudea. Nato prima del tempo e nel tempo 3. Né ci sia chi a queste cose mi risponda irriverente, ingrato, irreligioso: "Questa non è una novità: già da un pezzo lo si è sentito, già da un pezzo è avvenuto, già da un pezzo è nato Cristo". Perché io dico: "Già da un pezzo e prima". Né c'è da meravigliarsi: già da un pezzo e prima, colui al quale si doveva riferire quella parola profetica: In eterno e per sempre (Es 15, l8). Cristo perciò è nato non solo prima di questi nostri tempi, ma prima di tutti i tempi. In verità quella nascita “si avvolse proprio nel nascondimento delle tenebre” (Cf. Sl 17,12), che anzi “abita piuttosto nella luce inaccessibile” (1 Tm 6,16): è nascosta nel cuore del Padre, in un monte ombroso e impenetrabile. Perché dunque in qualche misura si facesse conoscere, è nato; e nel tempo dalla carne nato, nato nella carne, il Verbo si è fatto carne. Ma cosa c'è di strano se fino a oggi si dice nella Chiesa: Nasce Cristo, Figlio di Dio, quando tanto tempo prima si diceva, senza dubbio che di lui: Un bambino è nato per noi (Is 9,6)? Già da un pezzo questa parola ha cominciato a diffondersi, e nessuno dei Santi se n’è mai infastidito. Giacché Cristo Gesù, Figlio di Dio ieri, oggi e in eterno (Eb 13,8). Per questo certamente il primo uomo, padre di tutti i viventi, facendo emergere quel grande mistero che poi più manifestamente l'Apostolo ha delucidato in riferimento a Cristo e alla Chiesa,: l'uomo, dice, lascerà il padre e la madre, e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola (Ef 5,31). Promesso ai Padri, visto dagli Apostoli, creduto da noi 4. Per questo non diversamente Abramo, padre di tutti i credenti, esultò nella speranza di vedere 3 questo giorno; lo vide e fu pieno di gioia (Cf. Gv 8,56). Altrimenti quando mai avrebbe comandato al servo che gli prestava giuramento per il Dio del cielo di porre la mano sotto la sua coscia, se non avesse previsto che proprio lo stesso Dio del cielo sarebbe nato da quella coscia? Anche questo disegno del suo cuore Dio lo ha rivelato all'uomo secondo il suo cuore, a cui ha giurato fedeltà e che non deluderà: Del frutto, dicendo, delle tue viscere metterò sul tuo trono (Cf. Sl 131,11) Perciò nasce anche a Betlemme di Giudea, come dice l'angelo, la città di Davide, certo per la fedeltà di Dio nel confermare le promesse dei Padri (Cf. Rm 15,8). Questo fu anche rivelato molte volte e in molti modi agli altri Padri e Profeti. Lungi poi da coloro che amavano Dio che talvolta venisse udito con noncuranza, a meno che non sembrasse forse farci poco caso colui che diceva: Ti scongiuro, Signore, manda colui che devi mandare (Cf. Es 4, 13 Vulg.; Resp. l Dom. Avv.) o esserne infastidito colui che gridava: Oh, se tu squarciassi i cieli, e scendessi (Is 64,15), e altre cose simili Lo stesso poi i santi apostoli videro e ascoltarono, e con le loro mani toccarono il Verbo della vita, che a loro particolarmente diceva: Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete (Lc 10,23). Infine proprio ciò è stato conservato anche per noi fedeli, cioè consegnato ai tesori della fede, poiché lui stesso ugualmente diceva: Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20,29)! Questa è la nostra parte nella parola di vita. E non è certo da disprezzare, perché di essa si vive, e per mezzo di essa si vince il mondo, giacché il giusto vive della fede ( Gal 3,11 Vulg.) e questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede (1 Gv 5,4). Essa è che, come una certa immagine dell'eternità, quasi in un vastissimo seno racchiude insieme il passato, e il presente e il futuro, in modo che nulla le sfugga, nulla vada perduto, nulla la sorpassi. L’adorazione sincera della fede 5. Giustamente dunque, in testimonianza della vostra fede, quando alle vostre orecchie è risuonata la voce di questo annuncio, avete esultato per la gioia, avete reso grazie, prostrati a terra avete adorato, correndo insieme come sotto l'ombra delle sue ali (Sl 16,8), e ponendo la vostra speranza sotto le sue penne (Cf. Sl 90,4 Vulg.). Forse che ciascuno di voi, all’udire della nascita del Salvatore non ha gridato nel suo cuore: Ma, per me, il mio bene è stare vicino a Dio? (Sl 72,28). O piuttosto quello che lo stesso Profeta dice: l'anima mia sia sottomessa a Dio (Sl 61,6 Vulg.)? Infelice davvero chiunque ipocritamente prostrato, con cuore rigido ha umiliato il corpo. C’è, infatti, chi si umilia con malizia, ma il suo intimo è pieno di inganno (Sir 19,23 Vulg.). Chiunque infatti tiene meno conto della sua necessità, sente meno le contrarietà, teme meno i pericoli, ricorre con meno devozione ai rimedi della salvezza che è sorta, con meno affezione si sottomette a Dio, con meno fedeltà canta: Signore, 4 sei diventato per noi un rifugio (Sl 89, 1 Vulg.), la sua adorazione è meno accetta, la sua prostrazione meno veritiera, la sua umiliazione ha meno valore, anche la sua fede meno vittoriosa, anzi anche meno vivida. Ma perché dice: Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto? Quasi non sembri lo stesso credere in qualche modo già vedere. Ma fa' caso con attenzione a chi, e quando sia detto: proprio a colui che veniva rimproverato per aver creduto perché aveva visto (Gv 20,29). Non è infatti la stessa cosa aver visto, e perciò aver creduto, che, credendo, aver visto. Altrimenti in qual modo dobbiamo credere che Abramo, vostro padre abbia visto questo giorno del Signore, se non credendo (Cf. Gv 8,56)? Ma anche come dobbiamo accogliere quello che questa notte ci è stato cantato: Santificatevi oggi e siate pronti: domani, infatti, vedrete la maestà di Dio tra voi, se non è vedere con la mente, rappresentarsi con amorosa devozione, e ricordare con fede non finta quel grande mistero della grande pietà di Dio, che fu manifestato nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunciato tra le genti, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria (l Ti 3,16)? L’uomo nuovo nasce in noi 6. E' sempre nuovo dunque, ciò che sempre rinnova le menti; e non è mai vecchio ciò che non cessa di fruttificare, che non marcisce per l'eternità. Questo infatti è il Santo a cui non è dato di vedere la corruzione (At 13,35). Questi è l'uomo nuovo che, mai capace di alcuna vecchiezza, restituisce alla vera novità di vita anche coloro le cui ossa s’erano tutte invecchiate (Cf. Sl 31,3 Vulg.). È perciò che anche in quell’annuncio pieno di gioia, se ve ne siete accorti, davvero convenientemente si dice non tanto che è nato, quanto che nasce: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giudea. Come infatti in modo equivalente egli si immola ancora ogni giorno, finché annunciamo la sua morte, così sembra anche nascere, quando ci rappresentiamo con fede la sua nascita. Domani dunque vedremo la maestà di Dio, ma evidentemente in noi, non in lui stesso: certo la maestà nell'umiltà, la forza nella debolezza, nell'uomo Dio. Egli è infatti, l’Emmanuele, che significa: Dio con noi. E senti più manifestamente: il Verbo, dice, si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi. Finalmente da allora in poi abbiamo visto la sua gloria, ma gloria come di unigenito dal Padre, perché pieno di grazia lo abbiamo visto e di verità (Gv l, 14). Non infatti la gloria del potere o dello splendore, ma la gloria della bontà paterna, la gloria della grazia di cui l!Apostolo: a lode, dice, della gloria della sua grazia ( Ef 1,6). Nasce in Betlemme, sceglie la povertà: fossimo anche noi Betlemme! 5 7. Così dunque nasce. Ma dove credi? In Betlemme di Giudea. Né quindi ci conviene passare così sotto silenzio Betlemme. Andiamo fino a Betlemme (Lc 2,15) dicono i pastori, non: andiamo oltre Betlemme. Che importa se è un povero paesello? Che se sembra il più piccolo della Giudea (Cf. Mi 5,1)? Neppure ciò non si addice a colui che, essendo ricco, per noi si è fatto povero, ed essendo il grande signore e molto degno di lode (Sl 47,2), è nato piccino per noi, e diceva: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) e anche: Se non vi convertirete e non diventerete come questo bambino, non entrerete nel regno dei cieli (Cf. Mt 18,3). Per questo anche scelse una stalla e una mangiatoia, un’abitazione certo sporca, e un alloggio delle bestie, perché tu sappia che egli è colui che dallo sterco rialza il povero (Sl 112,7), e salva uomini e bestie (Cf. Sl 35,7). 8. Ma fossimo davvero trovati anche noi Betlemme di Giudea, perché anche in noi si degni di nascere, e meritiamo di udire: Perché per voi che temete il Signore sorge il Sole di giustizia (Cf. Mal 4,2)! Forse questo è quello che abbiamo prima ricordato, che per vedere in noi la maestà di Dio è necessaria sia la santificazione, sia la preparazione (Cf. Lv 20,7). Infatti anche secondo il Profeta la Giudea fu fatta la sua santificazione (Sl 113,2 Vulg.) perché in effetti tutto si lava nella confessione; e la “casa del pane”, ciò che significa Betlemme, forse sembrerà riguardare perfettamente la preparazione. Come infatti si prepara, perché possa ricevere un ospite tanto grande, chi dice: Non c'è pane in casa mia (ls 3,7)? Infine uno che non era preparato ebbe la necessità di bussare a mezzanotte alla porta chiusa di un amico, e dirgli che: È venuto un mio amico da un viaggio, e non ho nulla da mettergli davanti (Lc 11,6). Il Profeta dice: Il suo cuore è pronto a sperare nel Signore (Sl 111,7 Vulg.) e non c'è dubbio che parli del giusto. Saldo è il suo cuore; non vacillerà (Sl 111,8 Vulg.). Non è pronto il cuore che non è fortificato. Sappiamo però, lo attesta lo stesso Profeta, che il pane fortifica il cuore dell’uomo (Sl 103, 15). Non è dunque pronto, ma arido ed esangue il cuore di colui che ha dimenticato di mangiare il suo pane (Cf. Sl 101,5). È invece pronto, e non turbato, a custodire i comandamenti (Sl 118,6) della vita colui che, dimentico del passato si protende verso il futuro (Cf. Fil 3,13). Vedi quanto sia da fuggire una certa dimenticanza, quanto un’altra dimenticanza da desiderare. Infatti non tutta la tribù di Manasse passò il Giordano, ma neppure tutta scelse di rimanere al di qua. C’è chi ha dimenticato il Signore, suo creatore (Cf. Is 51,13), e chi lo tiene sempre davanti agli occhi (Sl 15,8), dimentico del suo popolo e della casa di suo padre (Cf. Sl 44,11). E quello certo dimentica le cose celesti, questi invece quelle che sono sulla terra (Col 3,2): questi le cose presenti, quello le cose future; questi le cose che si vedono, quello le cose che non si vedono (2 Cor 4,18); finalmente questi i propri interessi, quello quelli di Gesù Cristo. Entrambi 6 Manasse, entrambi dimentichi; ma uno in verità di Gerusalemme, l'altro dimentico di Babilonia: uno dei due degli ostacoli, e questi è pronto; l’altro dei due evidentemente dimentica piuttosto i vantaggi, e che non è vantaggioso dimenticare, e questi è del tutto impreparato a vedere in sé la maestà del Signore. Non è infatti neppure la casa del pane in cui sorga il Salvatore; non è quel Manasse a cui si riveli colui che guida Israele, e siede sui Cherubini. Rivélati, dice, davanti a Efraim, Beniamino e Manasse (Sl 79,2-3). lo penso che questi siano i tre che vengono salvati, che un altro Profeta ha chiamato Noè, Daniele e Giobbe (Ez 14,14;20), gli stessi anche indicati in quei tre pastori, ai quali, nato l’Angelo del gran consiglio (Is 9,6), l'angelo portò l'annuncio della grande gioia. I Magi e la loro offerta 9. Pensa poi se non siano forse questi stessi anche i tre Magi, che vengono ormai non solo dall'Oriente, ma anche dall'Occidente, per sedersi a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe. Forse infatti non sembrerà fuori luogo che a Efraim, che significa portare frutto, si attribuisca l'offerta dell’incenso, perché offrire incenso degno (di salire al Cielo) in soave odore è proprio di coloro che il Signore ha costituito perché vadano e portino frutto (Cf.Gv 15,16), cioè i prelati della Chiesa. Mentre Beniamino, il figlio della destra, è necessario che offra l'oro, cioè le ricchezze di questo mondo, perché quindi il popolo fedele, collocato alla sua destra, meriti di sentirsi dire dal Giudice che: Ho avuto fame, e mi avete dato da. mangiare, ecc. (Mt 25,35). A sua volta Manasse, se però vorrà essere quello a cui si riveli Dio, offra la mirra della mortificazione, che penso sia certamente richiesta in modo speciale dalla nostra professione. E queste cose siano dette perché non apparteniamo a quella parte della tribù di Manasse che si fermò al di qua del Giordano, ma dimentichiamo piuttosto il passato, protesi e attenti al futuro. Betlemme, casa del pane 10. Adesso però ritorniamo a Betlemme, e vediamo questa parola che il Signore ha realizzato e ci ha mostrato (Cf. Lc 2,10 Vulg.). È la casa del pane, come già abbiamo detto, è bene per noi stare lì. Dove infatti c’è la Parola del Signore, non manca davvero il pane che fortifichi il cuore (Cf. Sl 103,15), come dice il Profeta: fortificami con le tue parole (Sl 118,28 Vulg.). Proprio nella parola che procede dalla bocca di Dio vive l'uomo (Cf. Mt 4,4): vive in Cristo, vive Cristo in lui. Lì sorge, lì si rivela; e non ama affatto il cuore titubante o vacillante, ma saldo e forte. Se qualcuno mormora, se qualcuno esita, se qualcuno tentenna, se qualcuno pensa di ritornare nel fango, di ritornare al 7 vomito (Cf. 2 Pt 2,22), di abbandonare il voto fatto, di cambiare ciò che si era proposto di vivere, non è Betlemme, non è la casa del pane. La fame sola, e una fame potente, lo costringe a scendere in Egitto, a pascolare i porci, a bramare le carrube, proprio perché se ne va lontano dalla casa del pane, dalla casa del padre, nella quale si sa che anche i salariati di pane ne hanno in abbondanza. Non nasce dunque Cristo in siffatto cuore, a cui manca la forza della fede, cioè il pane della vita, poiché la Scrittura attesta che il giusto vive di fede (Gal 3,11), in quanto cioè la vera vita dell'anima, che è lui stesso, se non per mezzo della fede può abitare per ora nei nostri cuori. Del resto come in lui potrebbe nascere Gesù, come sorgere la salvezza per lui, dal momento che è assolutamente vera e certa sentenza che soltanto chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato? Perché Cristo non si trovi affatto in lui, né sia di quelli ai quali si dice che: avete ricevuto l'unzione dal Santo (1 Gv 2,20), sopra ogni altra cosa consta da ciò che senza dubbio il suo cuore è riarso, da quando ha dimenticato di mangiare il suo pane (Cf. Sl 101,5). Molto meno appartiene poi al Figlio di Dio chi è tale, poiché il suo Spirito non riposa se non sopra chi è tranquillo e umile e trema alle sue parole (Cf. Is 66,2), né ci sia alcun rapporto tra l'eternità e una così grande mutevolezza, tra Colui che è e colui che non rimane mai nella medesima condizione. Del resto per quanto saldi, per quanto forti nella fede, per quanto pronti, per quanto avendo pani in abbondanza, perché proprio ce lo dona colui al quale ogni giorno pregando diciamo: dacci oggi il nostro pane quotidiano (Lc 11,3), abbiamo la necessità di aggiungere in seguito: rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12). Altrimenti, se dicessimo che non abbiamo peccato inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi (l Gv 1,8 Vulg.). Ora, la Verità è lui stesso, che non nasce semplicemente a Betlemme, ma a Betlemme di Giudea, Gesù Cristo, Figlio di Dio. Formare Cristo in noi 11. Accostiamoci dunque al volto del Signore nella confessione (Sl 94,2 Vulg.), perché santificati e parimenti pronti siamo trovati anche noi quali Betlemme di Giudea, e così meritiamo di vedere il Signore che nasce in noi. Del resto se qualche anima ha progredito fino al punto – il che certo si addice molto a noi - di essere vergine feconda, essere stella del mare, essere piena di grazia, e di avere lo Spirito Santo che scende su di lei, credo che non solo in lei, ma anche da lei non disdegnerà di nascere. Nessuno certo presuma di arrogarsi questo, se non quelli che lui stesso con speciale designazione abbia come indicato a dito, dicendo: Ecco mia madre e i miei fratelli (Mc 12,49). Ma ascolta uno di questi: Figlioli miei, che di nuovo partorisco, finché non sia formato Cristo in voi (Gal 4,19). Se infatti sembrava nascere in loro, quando veniva formato Cristo in loro, come non 8 presupporrebbe uno anche similmente di dire che nasca da colui che in loro in qualche modo li partorisca? Anche tu, empia Sinagoga, ci hai generato questo figlio, secondo una qualche funzione di madre, ma non con l'affetto di una madre. L’hai scacciato dal tuo seno, gettandolo fuori dalla città (Cf. Lv 14,40; At 7,58), e innalzandolo sopra la terra (Cf. Gv 12,32), come dicendo alla Chiesa delle genti, e parimenti alla Chiesa dei primogeniti che è nei cieli (Eb 12,23): Non sia né mio, né vostro, ma sia diviso (Cf. 1 Re 3,26). Sia diviso, dico, non tra l'una e l'altra, ma da ambedue. Espulso infatti ed esaltato, e tuttavia assai poco, perché comunque non fosse né dentro le tue mura né in terra, da ogni parte l'hai costretto col ferro, perché per caso non uscisse né dall'una né dall'altra, perché separato da te, non giungesse a nessuna delle altre due. Madre troppo crudele, hai voluto fare di lui come di un aborto, in quanto non ci fosse chi potesse accogliere l’espulso. Orsù dunque, vedi cos'hai guadagnato, anzi, come non hai guadagnato nulla. Da ogni parte infatti escono le figlie di Sion per vedere il re Salomone col diadema di cui lo hai incoronato (Cf. Ct 3,11). Lasciando sua madre si unisce a sua moglie, perché i due siano una sola carne, e, espulso dalla città ed esaltato da terra, attira tutto a sé, perché egli è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Amen. Traduzione a cura dei monasteri: N.S. di Valserena, Guardistallo N.S. del SS. Sacramento, Frattocchie 9