N°3 – 1 Febbraio - Pro Civitate Christiana
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N°3 – 1 Febbraio - Pro Civitate Christiana
Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi $# ANNO periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia Rocca 1 febbraio 2006 4 7 A2,00 sommario 11 13 14 16 America Latina: Un inedito arcobaleno Culture e religioni raccontate: Due storie israeliane La voce del dissenso: Denaro e coscienza NUMERO 3 La campagna dei veleni Morale sinistra Laici o pecore? Il cuneo della riserva profetica Ripensare Dio Diritti violati in Europa Oms: Poveri perché malati 18 20 23 25 26 27 1 febbraio 2006 42 45 brava ma... è donna! TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE Nuovo-1 2-3 ISSN 0391 – 108X 3 18/01/06, 9.11 46 49 Ci scrivono i lettori Anna Portoghese Primi Piani Attualità 50 52 Vignette Il meglio della quindicina Raniero La Valle Resistenza e pace Pro o contro Maurizio Salvi America latina Un inedito arcobaleno Luciano Bertozzi Europa e diritti Violare si può? Filippo Gentiloni Politica italiana La campagna dei veleni Fiorella Farinelli Lavoro femminile Efficienti, competenti, ma... son sempre donne Pietro Greco Denuncia Oms Poveri perché malati Romolo Menighetti Oltre la cronaca Morale sinistra Romolo Menighetti Parole chiave Democrazia Inserto Ri-comprendere la laicità Rosy Bindi Laici o pecore? Giovanni Bianchi Il cuneo della riserva profetica Raniero La Valle Ripensare Dio Rosella De Leonibus Cose da grandi Una storia fragile Stefano Cazzato Lezione spezzata Attacchiamoci alla bici Marco Gallizioli Culture e religioni raccontate Due storie israeliane Enrico Peyretti Fatti e segni Esperienza e coscienza 54 57 58 59 59 60 60 61 61 62 63 Carlo Molari Teologia Laici nel mondo Rosanna Virgili La voce del dissenso Denaro e coscienza Lilia Sebastiani Il concreto dello spirito Riflessioni post-natalizie Adriana Zarri Controcorrente Segni e simboli Giacomo Gambetti Cinema Polizia a Los Angeles Contatto fisico Roberto Carusi Teatro Cabaret diluito Renzo Salvi RF&TV Dopo Tg1 Mariano Apa Arte Tito Amodei Enrico Romani Musica L’era delle copertine Giovanni Ruggeri Siti Internet Internet, quale democrazia? Libri Carlo Timio Rocca schede Paesi in primo piano Sri Lanka Nello Giostra Fraternità ➨ l’articolo INSERTO democrazia ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Romolo Menighetti emocrazia è parola esprimente una realtà di convivenza che si attua entro un insieme di valori e regole che stabiliscono, queste ultime, chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive, e con quali procedure. Essa ha come principio fondamentale che il potere (kratos) è del popolo (demos). Regola fondamentale della democrazia è quella della maggioranza, nel senso che sono vincolanti per tutti le decisioni approvate dalla maggioranza dei cittadini. Questi però devono poter godere di unampia possibilità di scelta fra diverse opzioni. Perciò la democrazia postula i diritti di libertà (di opinione, di riunione, di associazione, di partecipazione), di uguaglianza, il diritto alla privacy, nonché uno status economico e sociale tale da permettere a ogni cittadino di attuare le proprie scelte svincolato dalle urgenze causate dai bisogni essenziali. Perché il potere sia effettivamente del popolo e per il popolo è inoltre necessario che gli interessi collettivi prevalgano su quelli particolari, che si realizzi la perfetta identificazione tra chi pone e chi riceve le regole della convivenza, e che il potere sia visibile e contestabile, secondo regole. Questo è lidealtipo, a grandi linee, della democrazia, peraltro oggi ancora molto disatteso. Infatti, il potere reale è nelle mani di oligarchie politiche ed economiche, il godimento delle diverse libertà è limitato dalle ristrettezze economiche entro cui ancora vivono molti individui, gli interessi dei poteri forti prevalgono su quelli della collettività, spesso le leggi si modellano sui privilegi e non viceversa, il potere è sempre più opaco nonostante le molte finestre informative, la partecipazione popolare trova grosse difficoltà pratiche a esplicitarsi; la critica poi, più che un contributo per il buongoverno, viene spesso recepita come un «remare contro». Oggi inoltre le democrazie vivono situazioni inedite rispetto ai tempi e ai contesti entro i quali vennero elaborati i modelli classici di democrazia. Questi perciò esigono un ripensamento e un aggiornamento. Le situazioni che maggiormente impongono un ripensamento della democrazia sono D la globalizzazione, le ricadute nella partecipazione e nella privacy delle tecnologie elettroniche, e il terrorismo senza frontiere. In epoca di globalità si deve tener conto che la rapida crescita delle interconnessioni tra stati, società ed economie determina degli apporti estranei alle democrazie nazionali, che possono indurre una limitazione della loro sovranità ed autonomia. Il problema che allora si pone è come impedire che la globalizzazione non solo non veicoli principi e comportamenti antidemocratici (si pensi ad esempio alla crescente prevalenza a livello mondiale delle ragioni del profitto sui diritti individuali fondamentali), ma invece metta in circolo valori e metodi democratici. In tal senso sarebbero auspicabili, tra laltro, nuove dichiarazioni dei diritti e dei doveri nellambito politico economico e sociale, e la separazione degli interessi economici da quelli politici (con conseguente profonda ristrutturazione di organismi quali la Banca Mondiale e lOrganizzazione Mondiale del Commercio). Circa la democrazia elettronica, vanno valorizzate le potenzialità offerte in materia di partecipazione dei cittadini, con particolare attenzione alle nuove forme di distribuzione del potere e allemersione di nuovi soggetti e di nuove forme della politica. Per contro si dovranno prevedere e arginare le conseguenze negative derivanti dal moltiplicarsi di strumenti di controllo sempre più occulto, invasivo e capillare. Le maggiori esigenze di difesa, infine, conseguenti alla globalizzazione del terrorismo, pongono un problema di equilibrio tra libertà individuali e sicurezza. A fronte di minacce terroristiche contro i pilastri stessi del regime democratico, si rendono necessarie restrizioni della libertà di tutti i cittadini, restrizioni che possono diventare più severe verso coloro che sembrano configurarsi come «nemici». Cè il rischio di scivolare nellantica distinzione fra cittadini e barbari. Si tratta dunque di equilibrare il principio di proporzionalità con quello dellirrinunciabilità dei diritti fondamentali. La democrazia, in conclusione, non è una conquista irreversibile, ma una realtà viva su cui vigilare, in continua interazione con la storia, dalla quale riceve input di segno diverso e contradditorio. Rosy Bindi Giovanni Bianchi Raniero La Valle ri-comprendere la laicità interventi al Seminario promosso dalla Pro Civitate Christiana coordinato da Renzo Salvi l’intervento di Marco Politi è stato pubblicato nel precedente n. 2 di Rocca 26 Nuovo-1 27 26-27 18/01/06, 9.11 ri-comprendere la laicità laici o pecore? Rosy Bindi o credo che siano sostanzialmente tre i motivi per i quali il tema della laicità è tornato così di attualità, dopo una sorta di affievolimento. Il primo è il protagonismo, nella vita politica e sociale del nostro Paese, dellepiscopato, non della chiesa, dellepiscopato, anzi del presidente della Conferenza Episcopale italiana. Un protagonismo che oscura una vitalità, una vivacità, una ricchezza che non è venuta meno nella comunità ecclesiale italiana. Anzi, da certi punti di vista potremmo anche dire che essa è un interlocutore del quotidiano della vita delle persone forse molto di più di qualche anno fa; penso al lavoro meraviglioso che la Caritas sta facendo nei confronti di una situazione sociale italiana sempre più precaria e sempre più difficile, che chiaramente ripropone il tema di una sorta di rischio di conflitto tra le istituzioni, la politica, la vita di una società che è avvertito e interpella la coscienza di molte persone. Si ripropone il tema dellautonomia della politica, della società e delle istituzioni rispetto alla chiesa, rispetto alla fede, rispetto al vangelo. E riecheggiano in qualche modo anche temi di categorie della separazione e anche di conflitto che io essendo figlia di un determinato periodo storico avevo ritenuto in qualche modo anche superato. I fondamentalismi ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Laltro elemento che ha riproposto con forza il tema della laicità è legato a quello che chiamerei lo scontro tra due diversi fondamentalismi. Uno è quello che banalmente potremmo ricondurre al tentativo di strumentalizzazione di una certa parte politica che in qualche modo si sta impadronendo dei temi religiosi, soprattutto dei temi con forte contenuto etico. È la riscoperta di quelli che noi chiamiamo con una battuta «gli atei devoti» del cristianesimo e della chiesa che vengono asserviti, in qualche modo, ca di un Dio che può far comodo, ma che può anche essere una via che conduce a un rapporto vero di fede e di incontro con il Signore. Allora torna secondo me di forte attualità riflettere sulla laicità per questi motivi che hanno delle spiegazioni nella vita del nostro Paese. a difesa di una parte politica, e, ancora più preoccupante, di una civiltà. Io ritengo il discorso sul meticciato del presidente del senato a Rimini, forse il manifesto più evidente, ma anche più pericoloso, di questa tendenza che è presente oggi nel nostro Paese. Cè stato poi chi ha proprio detto: «noi difendiamo il cristianesimo, perché è il fondamento di una civiltà che oggi è attentata da altre civiltà». Questo tentativo di fare prigioniero il cristianesimo dentro la civiltà occidentale in maniera così eclatante, così rozza, ha scandalizzato le persone sensibili, ma comunemente viene interpretato, anche da qualche autorevole esponente della gerarchia come il superamento del muro tra laici e cattolici. A me vengono i brividi, però è così. Ma cè sicuramente anche un nuovo ritorno di fondamentalismo laicista che è molto preoccupante, anche se non siamo più negli anni Settanta nei quali una certa impostazione radicale di pensiero debole nei confronti di alcuni grandi valori, di alcuni grandi temi che interessano la nostra vita aveva un seguito forte nella vita di questo nostro Paese. Io non leggo il 75% dellastensione al referendum sulla procreazione assistita come unobbedienza al richiamo del cardinale Ruini ad astenersi e soprattutto mi auguro che non lo faccia la chiesa. Perché temerei per la sua missione evangelizzatrice se potesse pensare di essere stata ascoltata dal 75%. Chi vuole identificare la laicità come la negazione della fatica di ricercare la verità, secondo me oggi si rende responsabile di un altro fondamentalismo che è un forte attentato al valore positivo della laicità. Io ritengo che ci sia un bisogno di pensiero forte in questo momento; il diverso atteggiamento nei confronti di Dio, della chiesa, anche fortemente positivo, che si riscontra pure in mezzo a mille contraddizioni, è anche legato al fatto che forse la nostra società ha molte meno certezze, è alla ricer- il carisma laicale Incomincio dal versante interecclesiale. Io ho vissuto un periodo straordinario di crescita ecclesiale ed uno di questi eventi straordinari era la maturità dei laici nella vita della chiesa. La fatica di vivere il concilio per cui è il laico cristiano che costruisce il regno di Dio, non nonostante le cose del mondo, ma attraverso le cose del mondo. La sua missione è quella di contribuire alla missione della chiesa passando attraverso le cose del mondo, sporcandosi le mani e entrando nella comunità ecclesiale con la polvere del mondo attaccata alla scarpe. Contribuendo attraverso questa fatica alla presenza e al messaggio della chiesa nel mondo. Che è un messaggio profondamente religioso, carico di fede con una forte pregnanza umana, sociale ed anche politica, frutto di un reciproco ascolto dentro la comunità ecclesiale che poi diventa messaggio al mondo. Nel Concilio Vaticano II si legge che tra pastori e laici devono esserci rapporti familiari: spetta al vescovo e allepiscopato indicare i valori, il Vangelo, ma spetta al laico la fatica di attuare quei valori nel contesto storico e insieme così parlare al mondo. Ma io questa chiesa oggi faccio un po fatica a trovarla. Il paradosso è che quando manca il discernimento della comunità nei confronti dei fatti storici, e la costruzione dellincontro tra i vari carismi e i ministeri, di quello che è il messaggio della chiesa al mondo, le strade sono sempre due: o cè una chiesa in grado, attraverso il suo messaggio spirituale, di entrare nel profondo della vita, o cè una chiesa che non è capace di fare questo per cui tu ti puoi ascoltare tutte le omelie del mondo, ma rivai a casa tranquillo come se niente fosse successo; oppure arrivi a ridurre il messaggio spirituale-evangelico in un messaggio temporale, politico che gli toglie lessenza fondamentale che è quella, appunto, della novità del Vangelo, del suo coinvolgimento nei confronti del mondo, del Dio che ha le sue vie rispetto alle no- 28 Nuovo-1 stre. la gerarchia Il primo punto sul quale bisogna aprire un discorso intraecclesiale, chiaro e netto, è questo. È mai possibile che un cardinale possa permettersi di giudicare la costituzionalità di una legge, e che questo non possa farlo, nella sua autonomia lAzione Cattolica Italiana, perché altrimenti esce fuori da quelli che sono i suoi binari di collaborazione con la gerarchia? Ma, stiamo scherzando? Mi è dispiaciuto molto di avere avuto un momento di difficoltà con una straordinaria donna qual è Paola Bignardi, per linvito a Fini, lo scorso anno a Loreto. Le ho detto: va bene, io non mi scandalizzo che sia stato invitato Fini a Loreto, il vicepresidente del Consiglio, non è unautorità di garanzia, ma è pur sempre unistituzione del Paese; non mi scandalizzo per quello, mi scandalizzo del fatto che stiamo passando anni terribili nei quali i fondamenti democratici di questo Paese vengono messi a rischio, e la mia Associazione tace su queste cose perché non può avere manifestazioni pubbliche, lunica manifestazione pubblica che fa è un pellegrinaggio a Loreto e in quel pellegrinaggio mi invita il vicepresidente del Consiglio! Oppure: io sono andata a votare ed ho votato «no», ma io non avrei avuto nessuna difficoltà a vedere dei comitati di laici che decidono di chiamare a raccolta il mondo cattolico e gli dicono «non si va a votare», perché riteniamo che di fronte a questi valori bisogna fare fallire questo referendum, usando largomento dellastensione che è quello più efficace, benissimo! Sarebbe stato un protagonismo del mondo cattolico con il quale il mondo laico si sarebbe confrontato. A me, invece, è arrivato a sei mesi dal referendum un dictat durante un discorso in una sede nella quale forse mi sarei aspettata una riflessione più seria sul valore della vita, sulle frontiere della scienza, sulla responsabilità dello scienziato e quantaltro! Ma vi pare possibile che si facciano le settimane sociali dei cristiani ed in quel contesto noi che facciamo politica, che ogni giorno stiamo a tribolare in quel contesto, ad interrogarci se facciamo bene o facciamo male, non veniamo neanche invitati? Ma dovè un momento nel quale nella mia comunità, nella mia chiesa, posso dire quello che vivo e sentirmi magari sgri- ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 INSERTO 29 28-29 18/01/06, 9.11 ri-comprendere la laicità dare per quello che faccio? i cattolici e l’Italia ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Cè un rapporto tra la chiesa e lItalia che è cambiato perché è cambiata la presenza politica dei cattolici in questo Paese. Noi ci siamo trovati impreparati di fronte a questa nuova stagione, forse più i laici che lepiscopato. Noi siamo un Paese nel quale la presenza dei cattolici non è mai stata marginale specialmente nella costruzione della democrazia. Non si può fare la storia dellItalia se non si fa la storia del movimento cattolico italiano, nel bene e nel male. Non cè un testo laico più avanzato rispetto ai nostri valori della nostra carta costituzionale in cui il movimento cattolico ha avuto un suo valore fondamentale. Certo ha avuto anche i suoi torti, io semplifico sempre molto, dico che quando i cattolici italiani hanno un rapporto corretto con lItalia, scrivono la Costituzione, quando ce lhanno sbagliato contribuiscono al fascismo, e così è stato. Se io devo fare delle grandi tappe storiche vedo il Partito Popolare di don Sturzo come il grande strumento attraverso il quale si è creata una riconciliazione tra la democrazia e i cattolici. La Dc, nel bene e nel male, è stata lo strumento con il quale si è superato il conflitto tra cattolici e stato. Ma la Dc non cè più e occorre trovare un nuovo strumento, e quelli che sono in campo sono deboli, compresa la mia parte politica. Vorrei che lUlivo fosse lo strumento con il quale si crea la riconciliazione fra i cattolici ed il bipolarismo. Perché lentrata in crisi del valore della laicità è frutto di un mancato rapporto maturo con il bipolarismo. Non è maturo il bipolarismo in questo Paese, ma non cè dubbio che noi siamo stati colti di sorpresa, perché votando Dc andavamo in Paradiso; improvvisamente non cè più stata questautostrada, e allora ecco la tentazione di dire: «vi diciamo noi quello da fare volta per volta, non vi preoccupate!»: è unaltra via comoda per andare in Paradiso, forse, non lo so. E noi siamo impreparati di fronte a questa situazione. Non siamo più maggioranza del Paese, siamo una minoranza, lo dice la chiesa, lo possiamo dire noi e le strade possono essere solo due. Giustamente Politi ci dice: o prendendone coscienza ci simpaurisce, e allora, come è piena la storia nella Bibbia, si va alla ricerca di strumenti materiali di cui impossessarsi, in qualche modo, oppure quando si apprende che si è in minoranza, si reinterpreta la nostra presenza e si ricomincia per unaltra strada. Io appunto, venendo qua oggi, con la nebbia se avessi acceso gli abbaglianti sarei arrivata ancora più tardi; si accendono i fendinebbia quando cè la nebbia, perché quello è lunico modo con il quale tu riesci a penetrare, e lo fai con uno strumento delicato, ma riprendi maggiore fiducia nel tuo percorso. Allora io vedo in questa ricerca, chiaramente, laltro elemento che noi non possiamo non tenere in considerazione. autonomia della politica A me dispiace che arrivino gli emendamenti dalla conferenza episcopale nella commissione parlamentare. Qualcuno dice che è un rapporto molto più chiaro di quanto fosse il rapporto con la Dc, è vero, forse è più chiaro che arrivino gli emendamenti firmati «Conferenza Episcopale» anziché una telefonata da oltre Tevere al politico di turno, può darsi; ma io mi chiedo se non cè unaltra strada. Diciamo che i nostri vescovi non devono parlare? Ma ci mancherebbe altro! Ci mancherebbe altro che venisse a mancare in Italia, in tutto il mondo, ma in Italia in maniera particolare una parola chiara e netta su quelli che sono i valori in gioco nel passaggio difficile che stiamo attraversando. Io credo che questa sia la responsabilità non dei vescovi, della chiesa! Della quale io mi sento parte facendo politica e vorrei contribuire a dire quali mi sembrano in questo momento i valori più importanti ai quali una comunità dovrebbe essere richiamata; poi però, rivendico la mia responsabilità di laico impegnato in politica come rivendico lautonomia della politica nellindividuare le strade, i percorsi, gli strumenti, i processi con i quali quei valori si traducono in un bene possibile giorno dopo giorno, nelluso autonomo degli strumenti propri della politica. Perché laltro valore della laicità è questo, è che noi siamo chiamati ad essere i servitori di quei valori usando correttamente tutte le cose del mondo, e questo è laltro punto sul quale io vorrei che ci sforzassimo davvero di riscoprire la laicità come grande valore perché la laicità ci consente di dare valore alle cose e di ricercare il senso vero delle cose. Io credo che il modo giusto sia quello di diventare in qualche modo interlocutori dellaltro fondamentalismo, perché arrivano degli attentati alla laicità anche da chi la vuole far coincidere con il relativismo etico e con lindifferenza rispetto ai valori. morale e diritto La politica oggi è interpellata su frontiere che fino a qualche tempo fa erano sconosciute, le conoscenze, le sfide della scienza, alcuni temi eticamente sensibili che riguardano la nostra vita personale dai quali la politica non può più stare fuori. Se un tempo potevamo permetterci di non normare la fecondazione assistita perché il problema non cera, oggi la politica non può non farlo, il legislatore non può non intervenire sul limite della vita. A questo punto si apre anche il grande tema tra morale e diritto, tra valori e democrazia, è un discorso enorme. Io credo che cè una verità sulluomo e sulla persona umana e noi lo sappiamo, e questo va messo a fondamento del vivere democratico. Ma lunica garanzia che abbiamo nei confronti del rischio della dittatura della maggioranza è il senso del limite della maggioranza che è dato esattamente dallessere e dal sentirsi al servizio di quella verità. Se noi cristiani ammettiamo di aver sbagliato a ritenere che ne siamo i proprietari, i possessori e non i servitori e i ricercatori per tutta la vita, mi permetto di dire allinterlocutore laicista venato da qualche fondamentalismo, che vorrei che riconoscesse che la verità cè e va cercata insieme. Io il termine «diritto naturale» non lho mai usato, e faccio anche fatica ad usare il termine «oggettività» rispetto ad alcune grandi questioni, però io so che cè una verità sulluomo, sulla donna, sulla vita, sul senso della storia, delluniverso, che non pretendo di possedere, perché il popolo di Dio con la sua storia ci ha dimostrato che non la possiede ancora. Non credo che avesse meno fede il popolo di Dio che aveva nei confronti del valore della pace un atteggiamento ben diverso da quello che abbiamo noi oggi. Vi porto lesempio storico più evidente: la chiesa ha fatto la guerra, ha promosso le guerre, oggi è la più grande autorità morale che parla di pace. Questo significa che il popolo di Dio ha scoperto questo grande valore della pace, scritto nel Vangelo da sempre, attraverso le contraddizioni dei secoli. unire insieme le nostre parziali verità Io non pretendo di possedere oggi tutta la 30 Nuovo-1 conoscenza, però so che cè e che la devo cercare; e chiedo ai nostri interlocutori laici di fare questo insieme. Quando mi si oppone che non cè una verità, unetica che può essere contenuta dentro una legge, di solito dico sempre che è pura illusione perché unetica dentro una legge cè sempre, sempre e comunque, perché ciascuno di noi che lo sappia o che non lo sappia la possiede. Quello che dobbiamo sforzarci di fare insieme è dindividuare unetica condivisa dentro il Paese e di riuscire a mettere insieme le porzioni di verità che però insieme dobbiamo dichiarare di voler cercare e servire. Non è la negazione dellesistenza di quella verità, è il tentativo di unire insieme le nostre parziali verità e parziali fatiche di ricerca della verità rispettando il Paese nel quale si vive, al quale non possiamo imporre, insieme al bipolarismo politico, anche un bipolarismo etico, che è davvero la violenza più grande che si possa perpetrare nei suoi confronti. Se si riesce a fare questo insieme, io credo che siamo in grado di dare una risposta allaltro tentativo di fondamentalismo, che è quello di imprigionare il Vangelo dentro una parte politica, di porlo al servizio di una determinata civiltà, di poteri costituiti. Siamo in grado, secondo me, di poterlo fare perché è lidea positiva di laicità che ci guida, in questo momento, e alla mia chiesa chiederei di capire la nostra fatica. percorsi di mediazione Perché se io devo mettermi al servizio di quel bene possibile che posso realizzare, che è la sintesi delle parziali verità che insieme abbiamo cercato, non mi si può dire né che la devo perseguire tutta intera, perché questo non è possibile storicamente, né essere giudicata, oltre la mia responsabilità e la mia fatica, sui singoli atti che si compiono. Non mi scandalizzo quando mi viene detto: «secondo la visione della chiesa così stanno le cose», mi scandalizzo quando mi si dice: «su quella legge lì o su quella presa di posizione lì noi possiamo essere daccordo, su questaltra no». Se si inizia un percorso di mediazione che viene persino dagli ultimi responsabili di una comunità ecclesiale, va consentito che il primo giudizio spetti a chi ha questo carisma e questo servizio e questo ministero dentro la Chiesa. Sarà innanzitutto chi ha ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 INSERTO 31 30-31 18/01/06, 9.11 ri-comprendere la laicità fatto la fatica a poter dire: «si arriva fin qua, è un passo avanti, non può essere contenuta tutta la nostra visione etica dentro questa legge, però qui cè una sintesi che è un bene oggi possibile, storicamente determinato, condiviso da una comunità». È un po faticoso sentirsi dire: «quella sintesi sì, quellaltra no», per quale motivo? In base a che cosa? Io credo che ci sia anche una strada propriamente politica oggi per fare questo ricercando anche nuovi strumenti visto che quelli perduti non ci sono più. Si è anche prefigurato in questo Paese una sorta di nuovo bipolarismo, semplificabile intorno a un nuovo blocco clerico-moderato della destra, che si poteva contrapporre ad un blocco laicista radicale anticlericale. Dove va a finire la fecondità del pensiero cristiano in un bipolarismo politico come questo? Io vedo nel percorso dellUlivo la ricerca di una nuova maturità del cattolicesimo democratico nella vita del nostro Paese. Credo che siamo anche in grado dinterloquire sia con larea radicale che con la destra più ragionevole e anche in qualche modo di continuare ad essere forti nei confronti dellaltra grande tentazione clerico-moderata, perché quando in Italia cè uno scontro fra il fondamentalismo laico e radicale ed il fondamentalismo clericomoderato, politicamente vince il fondamentalismo clerico-moderato. Allora io credo che noi dobbiamo continuare su questa strada che è la strada del tentativo della contaminazione delle culture democratiche della vita di questo Paese, del loro meticciato. Perché in questo modo io credo che cè anche la possibilità di prendere quel percorso faticoso che ci porta ad unaffermazione della laicità come valore positivo nella politica. Rosy Bindi (testo ripreso al magnetofono) il cuneo della riserva profetica ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Giovanni Bianchi questa una stagione di grandi accelerazioni, anche nelle retromarce, se è sotto i nostri occhi la messa in discussione del Concordato con accenti che paiono talvolta intenzionati a resuscitare, senza alcun guadagno per la politica, pare a me, la stessa «questione romana». Un tempo di secolarizzazione e di ritorni clericali e laicisti, uguali e contrari. Inutile però stracciarsi le vesti. Si tratta piuttosto di ricondurre il dibattito su un piano di decente e nuova laicità. So bene che da troppo tempo laggettivo «nuovo» viene usato in salse disparate per legittimare operazioni spericolate. Non è questo il caso della nuova laicità chiesta dal Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, in unintervista al «Corriere della Sera» del luglio scorso. Dice Scola: «Il 1989 con la caduta delle utopie marca il passaggio a una nuova fisionomia dellumanità, che ha segni clamorosi: la globalizzazione, la civiltà delle È reti, le biotecnologie, linterculturalismo, che io preferisco chiamare processo di meticciato di civiltà. Se a questi segni si connette levoluzione del rapporto tra nazioni e ordine mondiale, tra guerra e terrorismo, ci troviamo di fronte a un cambiamento radicale della democrazia e della società civile. Si tratta di attuare una pratica e di pensare ex novo una teoria della laicità. Dobbiamo impegnarci con pazienza a rivedere le cose». E più avanti: «Noi occidentali non possiamo continuare a pensare che la nostra visione della società civile e delle istituzioni statuali, la nostra idea di razionalità, valgano anche per le altre aree culturali, dalla islamica allinduista-buddista. Asia, Africa, America Latina hanno altri parametri». crisi del rapporto laicità-modernità Dunque, anche la laicità, come la democrazia, non è un guadagno fatto una volta per tutte. Di più, siamo di fronte ad uno spiazzamento. È in crisi il rapporto della laicità con la modernità. Modernità e laicità sono cresciute insieme: non a caso gli Stati europei nascono per chiudere la tragedia delle guerre di religione. Non è più così. Dal momento che il clericalismo e il clericomoderatismo si sono fatti moderni. Il clericalismo, pensato come residuo storico e resto medievale, veste i panni della modernità: affronta il binomio sicurezza/istituzioni. Ricordo come dopo lo scoppio della guerra crudelissima nei Balcani le prime elezioni a Sarajevo facessero registrare una grande avanzata dei partiti religiosi. La gente della Bosnia-Erzegovina si era convertita in massa? Niente affatto. La gente cercava e trovava nella religione identità e rassicurazione, legami protettivi. Non la religione di Abramo, di Mosè e di Gesù. Probabilmente neppure quella di Maometto. Piuttosto la religione di Durkheim, interessante per la sua capacità di ricreare tessuto sociale connettivo. Torniamo in Italia. Cosa cè di più moderno dell«otto per mille?» Funziona meglio e con più trasparenza del metodo di tassazione tedesca legato allappartenenza confessionale e al certificato di battesimo. Il cardinal Nicora ha prodotto un modello di modernità. La stessa chiesa ruiniana, uscita vincitrice dal referendum sulla procreazione medicalmente assistita, non sogna riedizioni impossibili di partiti cattolici. Si comporta (e conta assai di più) da lobby trasparente (a differenza del lobbismo tradizionale che frequenta i corridoi di Montecitorio e Palazzo Chigi) difendendo e promuovendo valori e interessi. Una moderna concentrazione nella istituzione, così come il lungo pontificato di papa Wojtyla, ricco di carisma e di visione, aveva prodotto una inedita ed efficace concentrazione nellimmagine. Orbene, il credente sa che listituzione è giudicata dal suo Fondatore e dal Vangelo. Sa che il cuneo da introdurre tra modernità e laicità è quello della riserva profetica. Del resto anche i non addetti ai lavori teologici non possono ignorare la figura di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, autore di Lettera a una professoressa. Non proprio evidenti i caratteri della modernità nel vestire e in certi atteggiamenti di don Milani. Indomabile il fuoco profetico che lo animava: dal rapporto con la scuola alla polemica con i cappellani militari. Può essere che abbia ragione Giorgio Cam- 32 Nuovo-1 panini quando reclama un forum dei laici cattolici. Come aveva ragione don Giuseppe De Luca a ricordare che in Italia di cattolici ce nè sempre almeno 12 specie, come le tribù dIsraele... Restano comunque i punti di confronto utilmente posti dallintervista del Patriarca di Venezia. Il problema del limite, di un termine dal quale partire. Esso è ancora una volta rappresentato dalla Caduta del Muro di Berlino nel 1989. Dinanzi alle macerie del Muro Giovanni Paolo II disse a Gniezno: «È crollato il più grande esperimento di ingegneria umana che la storia ricordi». Sembra Orwell e invece è il Papa. ai tempi della Dc In Italia di fronte ai tentativi di riattizzare la questione romana vi è il termine rappresentato dalla difficile e tardiva gestazione dello Stato unitario e poi quello che fa riferimento al mezzo secolo della Democrazia Cristiana. Dove lesaurimento della Dc sta al culmine di una storia ed è lepilogo di una grande esperienza di laicato cattolico, nellapproccio al mondo come nelle pratiche socio-politiche. Ma non solo la Dc si sentiva interpellata dallinterlocutore ecclesiastico: diciamo pure che la consapevolezza del peso della tradizione cattolica in Italia faceva sì che ogni grande cultura politica si misurasse con essa. Valeva per i liberali, il cui principio di «libera Chiesa in libero Stato» era comunque il portato di una logica che superava lo stesso giurisdizionalismo settecentesco. Ma valeva soprattutto per la sinistra, in particolare per quella comunista che, nella logica togliattiana del «partito nuovo e nazionale», aveva lambizione di uscire dalla logica settaria del terzinternazionalismo e di porsi come sintesi di tutte le tradizioni progressiste, dallidealismo liberale filtrato da Gramsci fino al cattolicesimo, sia nella versione tradizionale di Franco Rodano sia in quella più problematica dei cattolici cresciuti nellambito conciliare come La Valle, Pratesi e Masina. Si badi bene, elaborare in termini strategici il rapporto con la Chiesa cattolica non significava semplicemente fare diplomazia o dire sempre di sì o di no: era il tentativo di una più ampia comprensione delle istanze di un mondo ecclesiale che (lo comprese Berlinguer meglio di Togliatti, come dimostra il suo carteggio con mons. Bettazzi) non si riduceva alla dimensione gerarchica ma constava di presenze associative significative che erano esse stesse un in- ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 INSERTO 33 32-33 18/01/06, 9.11 ri-comprendere la laicità terlocutore sul piano dellazione storica prima che sui principi. In questo senso, sarebbero state allora incomprensibili reazioni come quelle viste negli ultimi anni in cui, in una visione completamente laicizzata e deproblematizzata, la questione dei «principi» e dei «valori» viene ridotta a merce di scambio elettorale, e la valutazione dellinteresse politico di breve momento paralizza la visione di prospettiva e anche il legittimo compito di sintesi «laica» delle diverse istanze che sarebbe il vero compito delle culture politiche, se ne esistesse almeno una. uscita dalla cristianità ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Ma daltro canto ciò non sarebbe possibile se in campo cattolico non permanesse unirresolutezza di fondo circa le modalità per uscire dalla lunga agonia della cristianità. Il regime di cristianità aveva implicato lesistenza di una società organica in cui lappartenenza cristiana era stata lo sfondo e lispirazione necessaria della vita della persona umana dallinizio alla fine. Ovviamente non erano mancate neppure in quella fase errori, omissioni, violenze, negazioni dirette del significato del messaggio evangelico, ma lhumus sociale ne era rimasto pregno, e la reazione più tipica da parte dellintellettualità cattolica di fronte alla cesura rappresentata dalla Rivoluzione francese (che significava ben più del tentativo degli eretici e degli scismatici di costruire un«altra» forma della cristianità, ma addirittura di costruire una società in cui la Ragione e non Dio fosse il fondamento) non era tanto quella di rimpiangere un «ancien Régime» che si era rivelato esso stesso corrotto, ma addirittura quella di una restaurazione della società medievale, della quale il corporativismo, che tanta parte ebbe nella prima fase del pensiero sociale cattolico, era stato il più visibile fondamento nella vita economica. Furono pochi, in campo cattolico, a prendere atto dellampiezza di questa crisi, e fra di essi vi fu Emmanuel Mounier, per il quale, allindomani dellultimo conflitto mondiale, era evidente la non reversibilità del processo di superamento delle forme tradizionali di cristianità; daltro canto una figura centrale nella vita del cattolicesimo francese come larcivescovo di Parigi il cardinale Emmanuel Suhard non aveva avuto paura di tematizzare, in una famosa lettera pastorale per la Quaresima 1947, se ci si trovasse di fronte al declino della Chiesa o se non ci si trovasse di fronte alla opportunità di un nuovo slancio. Mounier consentiva con questa impostazione, e per lui era chiaro che tale opportunità poteva essere perseguita solo a condizione che si avesse il coraggio di guardare la realtà sociale e culturale per quello che era, senza alimentare nostalgie tanto più dannose in quanto rischiavano di schiacciare la comunità ecclesiale a difesa di interessi contingenti. Annotava Mounier: «Molti cristiani dicono: «Noi abbiamo una dottrina di salvezza, non cè che da incarnarla nel mondo così comè». Questa logica dellincarnazione copre sempre più frequentemente un inganno che ci conviene rifiutare una volta per tutte ( ). In ambito politico, sociale, economico, ecc. unelementare onestà morale ed intellettuale vuole che invece di dogmatizzare, di dedurre frettolosamente qualunque conclusione da qualunque premessa, il cristiano rivada a scuola ( ) Egli oggi avrà ben più spesso da assumere (correggendo, senza dubbio) che non da incarnare». luoghi di confronto aperto e plurale Dunque il cristiano deve ritrarsi dal mondo? No, senzaltro: piuttosto egli ha un compito più complesso, ed insieme semplice, quello di portare al mondo il Vangelo e nientaltro che questo, prendendo atto dellestinzione del modello storico della cristianità e sostituendo alla logica delle moltitudini quella dei piccoli gruppi, dei foyers (in italiano si tradurrebbe «focolai», ma lespressione ha un senso più ampio, perché implica sia un luogo in cui ci si ritrova ma anche uno da cui si riparte) che potessero essere dei luoghi di semina del Vangelo in cui i credenti, nellattuare la loro vita di fede e di Chiesa, possano esercitare un influsso benefico sulla vita sociale seguendo lesempio dei monaci benedettini nei secoli bui (e credo che una riflessione di questo tipo non sia assente dal pensiero di colui che recentemente ha assunto per sé il nome di Benedetto). È una via possibile, indubbiamente, come pure è possibile unaltra uscita dalla cristianità che indichi laccettazione della logica mondana come calcolo degli interessi e dellinfluenza intesa in senso politico, magari mettendo laccento sulla dimensione «culturale» piuttosto che su quella spirituale. Una scelta, indubbiamente, che potrebbe pagare sul breve periodo, ma sarebbe alla lunga perdente in una società di uomini incerti, delusi dalle promesse mancate della secolarizzazione e per que- sto alla ricerca, per usare le parole di San Paolo, di un solido cibo spirituale e non di un altro placebo. Vi è secondariamente un problema ineludibile di metodo. Anche qui Scola non è reticente: «Sono convinto che esista la verità, ma non la voglio imporre: la voglio rischiare attraverso la testimonianza. Non posso rinunciare a mettere in campo la mia idea nel gioco democratico. Lo impoverirei». E, come conclusione: «Ma se io non impongo assoluti, tu non mettere in campo assoluti come il «vietato vietare». Io dico la mia idea, tu la tua, il popolo giudichi qual è la migliore e lo Stato laico la assuma. La democrazia mi pare funzioni così». Ma per funzionare questa democrazia ha bisogno di luoghi dincontro e di confronto. Esigenza che ci rimanda allormai famoso colloquio tra Habermas, il filosofo erede dei Francofortesi, e lallora cardinale Ratzinger. Per Habermas la religione si esercita come critica opportuna delle patologie sociali della modernità. Ratzinger apprezza la formula habermasiana dellap- ripensare Dio a laicità di cui si parla qui non è la laicità onde si è laici nella Chiesa, che è il luogo dove essa massimamente manca (senza una riforma della Chiesa non può esserci laicità, se non come sofferenza e come cimento), ma la laicità in rapporto alla società tutta intera. E anzitutto bisogna fare un elogio della laicità. La laicità è un concetto molto fecondo. Ha permesso lo sviluppo della scienza e dello Stato moderno. È alla base della nostra Costituzione, nonostante i Patti Lateranensi invocati nellart. 7. È stata rivendicata come «sana» da Benedetto XVI al Quirinale, al seguito di una lunga tradizione che va da Pio XII (Discorso alla colonia delle Marche a Roma, 23 marzo 1958) a Giovanni Paolo II che, scrivendo ai vescovi di Francia l11 febbraio 2005 nel centenario della legge francese di separazione tra le Chiese e lo Stato, laveva inclusa nella dottrina sociale della Chiesa. È L Raniero La Valle 34 Nuovo-1 prendimento reciproco fra fede e ragione e definisce «strumento inefficace» il diritto naturale come ponte fra fede e ragione perché superato dalla teoria evoluzionistica accettata dalla Chiesa. Quanto alla proposta è segnata da una profonda analogia: perché Habermas propone «luoghi di virtù» e Ratzinger parla di «piccole comunità creative». Il percorso è tracciato e indica un processo. Indica in particolare lesigenza di luoghi di confronto aperti e plurali e di un consenso etico tra le culture. Perché se il recinto dei temi sociali è rimasto invariato negli ultimi cinquantanni, il perimetro dei temi eticamente sensibili è in via di costante e rapidissima espansione. Sollecita drammaticamente il legislatore in Italia come in Europa. E non consentirà di rispondere allinfinito fidando nella libertà delle singole coscienze. Le culture sono dunque chiamate a misurare distanze e vicinanze. A provare convergenze. La laicità è il luogo di questo ineludibile processo. Giovanni Bianchi espressa nella formula parallela della Costituzione («Lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani») e nel documento conciliare «Gaudium et Spes» al n. 76 («La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome luna dallaltra nel proprio campo»). Dalla laicità non si può tornare indietro. Tuttavia oggi è diventato un concetto monco; essa è gestita e concepita in un modo che la rende impraticabile ed appare come una forzatura inaccettabile quando è intesa non solo come separazione tra istituzioni, ma come separazione e reciproca indifferenza tra ragione pubblica e religione, sicché in tutto ciò che è pubblico la religione non deve entrare. una critica infondata Si possono fare degli esempi di questa crisi nel modo di intendere la laicità. 35 34-35 18/01/06, 9.11 ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 INSERTO ri-comprendere la laicità ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Il primo esempio è la reazione suscitata dalla lettera dell11 ottobre 2005 di papa Ratzinger a Marcello Pera, come presidente onorario della Fondazione «Magna Charta». Lasciamo stare la qualità dellinterlocutore e lerrore di rivolgersi a lui, nonostante sia noto come militante dello scontro di civiltà; quello che qui interessa è la ragione di merito dello scandalo suscitato dalle parole del Papa. Che cosa aveva scritto Benedetto XVI? Aveva scritto che i «diritti fondamentali rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono inscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore». Ciò, secondo i critici del Papa, sarebbe contrario alla laicità, perché se i diritti fondamentali vengono da Dio, non ci sarebbe lautonomia e la laicità dello Stato. Questa critica è infondata. Il fatto che i diritti fondamentali siano innati, non derivabili da una concessione del potere, inalienabili e irrevocabili perfino da una maggioranza o addirittura da una unanimità parlamentare, è il cuore del costituzionalismo e ne rappresenta la più grande conquista. Lo Stato costituzionale è precisamente quello Stato dove i diritti fondamentali sono riconosciuti come precedenti a ogni ordinamento, per cui ad esempio devono essere rispettati e tutelati anche se i loro titolari sono immigrati clandestini, profughi e fuorusciti, sbattuti sulle coste di Lampedusa. Le Costituzioni moderne, e soprattutto le Costituzioni postbelliche, sono Costituzioni e non semplici leggi rafforzate, nella misura in cui al centro di tutto mettono i diritti fondamentali delluomo, e li presidiano con adeguate garanzie. Essi, come dice il costituzionalista Enzo Cheli, vengono a configurarsi come «diritto naturale secolarizzato», ciò che richiama lantica categoria giuridica del diritto naturale inteso come sovraordinato al diritto positivo. Non a caso la Carta dellOnu, nel suo preambolo, parla di «fede nei diritti fondamentali delluomo» che i popoli delle Nazioni Unite sono «decisi a riaffermare»; dunque sono diritti che esistono già, e che come tali sono oggetto di fede, insieme alla dignità e al valore della persona umana, e alla «eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole». Inoltre lart. 51 della Carta, che contiene lunica deroga alla proibizione generale delluso della forza, riconosce «il diritto naturale di autotutela» per la difesa contro unaggressione, diritto il cui esercizio non ha evidentemente bisogno di essere legittimato dallaggressore o dalloccupante. E la Dichiarazione universale dei diritti delluomo del 1948 dice che i diritti delluomo devono essere protetti non creati! da norme giuridiche, se non si vuole che «luomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione». nella coscienza il fondamento dei diritti In Italia una importantissima sentenza del dicembre 1991 della Corte Costituzionale, in tema di obiezione di coscienza, poneva nella coscienza il fondamento dei diritti; la Corte infatti affermava il primato della coscienza anche rispetto a doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili (servizio militare) basandosi sul fatto che la coscienza «costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico» delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili delluomo riconosciuti e garantiti dallart. 2; ragione per cui la coscienza «esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana». E se questi sono i diritti fondamentali per le Costituzioni, per le Corti Costituzionali, per la Carta dellOnu e la Dichiarazione universale, se questi diritti sono connaturati alluomo, che cosaltro deve dire il Papa, che è un cristiano, ed anzi un vescovo, se non che questi diritti vengono da Dio? È contro la laicità per un credente dire che la coscienza è il luogo attraverso cui Dio si manifesta? Altrimenti, che crede a fare? Daltra parte ciò non vuole affatto dire che se cè di mezzo Dio, lazione umana è misconosciuta e negata. Nella «Pacem in terris» Giovanni XXIII incrociò i due movimenti: da una parte, dalla storia, dallesperienza, cè la scoperta e la conquista umana dei diritti (i segni del tempo!); dallaltra cè Dio stesso che vuole così, che vuole proprio quellordine della libertà e dignità umana che con tanta fatica gli uomini riescono, quando ci riescono, a costruire. laicità nell’Islam Un altro esempio lo traggo da unesperienza fatta nella nostra piccola scuola romana, «Vasti», dove da qualche anno stiamo cercando di capire che idea duomo cè dietro le politiche e le dottrine sempre più catastrofiche della modernità. Abbiamo interrogato un musulmano, Adnane Mokrani, per capire qualcosa della giustizia nellIslam. Non è un musulmano integralista, non è un terrorista, non è un kamikaze, non è un nemico dellOccidente. Anzi è uno spirituale, di scuola sufi, tollerante e pacifico. E ci ha detto: la laicità è stata introdotta in modo sbagliato nellIslam; separazione di religione e Stato vuol dire che lo Stato è senza etica, perché per noi non esiste unetica senza religione. Inoltre noi pensiamo che Dio governa la nostra vita. Dunque la laicità viene rifiutata come una imposizione occidentale. invadenza temporalista Cè una invadenza temporalista che la laicità non riesce ad arginare; non si è potuto evitare che la Chiesa italiana intervenisse addirittura dettando il comportamento dellastensione nel referendum sulla procreazione assistita, non si sa come fare per distogliere la medesima Chiesa dalla propensione a far uso del governo delle destre, così accreditandole, cè leffetto devastante del flusso di denaro che passa dal bilancio pubblico alla Chiesa, compreso lo sgravio dellIci per le proprietà ecclesiastiche. Qui la laicità patisce tutta la sua debolezza politica. come se Dio non ci fosse Cè un quarto esempio della crisi della laicità che si ricava da un volume di parte laica tutto dedicato alla laicità. Si tratta di un numero della rivista semestrale «Parole chiave», nuova serie di «Problemi del socialismo», fondata da Lelio Basso e di cui ora si occupa la Fondazione Basso. La parola chiave di questo volume (n. 33 giugno 2005) è appunto «laicità». In uno dei saggi della rivista, Massimo Rosati, docente di Storia del pensiero sociologico presso lUniversità di Salerno, autore di un Libro, «Solidarietà e sacro», spiega perché la laicità è andata in crisi. È andata in crisi perché è andato in crisi il compromesso che la modernità aveva fatto con la religione nel Seicento (il compromesso espresso nel celebre detto di Grozio: facciamo come se Dio non ci fosse). In che cosa consisteva quel compromesso? Rosati lo descrive come basato su «una divisione rigida tra pubblico e privato, sulla visione liberal-protestante della soggettività, sulla creazione di uno spazio pubblico secolarizzato, sulla prevalenza del giusto sul bene»; questo è il compromesso che nel 36 Nuovo-1 Seicento pose fine alle guerre di religione in Europa tra cattolici e protestanti, e che in sostanza dice: espelliamo la religione, mettiamola tra parentesi, ovvero immunizziamo la società dalla religione, creiamo un terreno neutralizzato immunizzato, appunto in cui essa non è più oggetto di contesa politica e separiamo Stato e Chiese. crisi del compromesso Questo non funziona più. Da che cosa dipende? Questa immunizzazione dello spazio pubblico dalla religione era possibile, secondo Rosati e gli altri interlocutori della rivista che ne discutono le tesi, grazie a un lungo processo di protestantizzazione della religione, che aveva diverse implicazioni: 1) una «individualizzazione della religione, ossia il suo trasformarsi, da Agostino fino ai Riformatori, sempre più in una questione soggettiva di credenze interiormente vissute dal singolo credente, una questione in altri termini di coscienza»; 2) una «privatizzazione e neutralizzazione, avendo ridotto la religione a qualcosa che attiene essenzialmente allinteriorità della vita individuale»; 3) la creazione di uno spazio pubblico di ragioni condivise da tutti che sarebbe poi lo spazio della laicità dove però le ragioni condivise sono quelle che residuano dopo che le ragioni religiose sono state circoscritte allindividuo e isolate nel privato, cioè appunto dopo la immunizzazione, sterilizzazione e disconoscimento pubblico della religione; 4) sottratta allo spazio pubblico (non solo politico ma anche sociale) «la religione è costretta a scavare nellunica direzione di marcia rimasta, ossia nellinteriorità». Il che avrebbe portato anche a una progressiva deritualizzazione della religione moderna, perché il rito finisce per non corrispondere più ad alcuna dimensione della vita reale, e quindi si ridurrebbe a pratica filistea, priva di alcun valore proprio, e la religiosità si riduce così sempre più a esperienza soggettiva (eventualmente mistica), senza valore pratico, performativo e pubblico, e magari finisce in un bricolage religioso, col diffondersi di un «credere senza appartenere». ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 INSERTO la contestazione dei cattolici Nellanalisi di Rosati tutto questo si troverebbe iscritto in un processo di protestantizzazione; e come tale starebbe stretto ai cattolici. Come osserva un altro interlocutore della rivista, Alessandro Ferrara, do37 36-37 18/01/06, 9.11 ri-comprendere la laicità cente di Filosofia politica a Roma Tor Vergata, cattolici e protestanti, che nel 600 si sarebbero accordati su questo compromesso laico, «hanno due antropologie notevolmente diverse dellindividuo. Lantropologia protestante è unantropologia dellinteriorità», e perciò per i protestanti «la soluzione funziona un po meglio che per laltra parte»; i cattolici; la cui antropologia «ha una matrice storica e culturale in cui la dimensione istituzionale, pubblica, se si vuole rituale, è fondamentale». Dunque intesa così, la camicia della laicità ai cattolici sta troppo stretta. Infatti oggi i cattolici contestano questa laicità, che sarebbe quella non «sana»; e tutti gli sforzi di papa Benedetto, prima da cardinale, nei suoi dialoghi con la cultura moderna, e ora, da papa, nel suo magistero, sono diretti a recuperare la risorsa della fede per la vita congiunta degli uomini, per il mondo, una fede non neutralizzata; ma questa valenza generale, pubblica, questo proporsi come risorsa per il mondo, appartiene allo statuto stesso del cristianesimo, come di ogni altra religione che comprenda se stessa come religione di salvezza. Una laicità che rifiuti questo non può funzionare. Quindi la critica alla laicità così intesa non è solo dei fondamentalisti, ma è in qualche modo di tutti i cristiani per dir così non privatizzati, ivi comprese le Chiese riformate, ed è dellIslam, come dellebraismo, che addirittura si è fatto Stato ebraico, ed è di altre religioni dellumanità. Questa è la ragione per cui la laicità, così descritta, come dogma della modernità, oggi è in crisi; una crisi che va ben al di là delle piccole controversie di bottega sul finanziamento delle scuole confessionali o della sorte dellIci per le istituzioni ecclesiastiche. riaprire la questione di Dio ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 Daltra parte di fronte ai fondamentalismi, agli integralismi, alla richiesta degli atei devoti di una religione civile, di fronte al Dio della guerra perpetua di Bush o al Dio della guerra santa islamica di Bin Laden, di fronte al muro in Palestina e alla rivendicazione del possesso esclusivo della terra promessa da parte degli ebrei ortodossi, come si è visto con i coloni di Gaza, la laicità è più che mai necessaria; in tempi di guerre di religione Dio non appare più come colui che ci salva, ma come colui che ci può perdere, per cui chi si professa laico si propone come lunica speranza rimasta al dialogo e alla pace, alla tolleranza e alla ragione, come pretende Eugenio Scal- fari quando dice: «Perché non possiamo non dirci laici» (in «Dibattito sul laicismo», La biblioteca di repubblica, Roma 2005). Ma allora, se il problema è di mettersi al riparo non dalle Chiese ma da Dio, non basta la laicità, ci vuole lateismo; di fronte a un Dio tanto pericoloso da dover essere neutralizzato, non basta più il compromesso di rinchiuderlo nel privato; la soluzione più coerente, a cui la modernità non può non arrivare, è lateismo. Il vero problema che sta dietro alla attuale crisi della laicità, non è quello della distinzione tra spazio pubblico e spazio privato, ma è quello dellesserci o non esserci di Dio. Dunque io credo che «ripensare la laicità» vuol dire riaprire la questione di Dio, vuol dire «ripensare Dio». La discussione sulla laicità che si dimentichi del suo vero oggetto, non è una vera discussione, è una discussione falsata; non si può dire: a noi non importa niente di Dio, a noi basta immunizzarci dalle religioni e dalle Chiese. Aveva più coraggio Grozio quando non diceva: facciamo come se le Chiese non ci fossero, ma diceva: facciamo come se Dio non ci fosse. Se Dio non cè non ci sono nemmeno le Chiese, perché le Chiese senza Dio sono un mostro. La società laica, moderna di oggi dice: tagliamo i ponti con le Chiese (salvo a trasmetterne in Tv i riti filistei); ma la vera sostanza è quella di tagliare i ponti con Dio; perciò la soluzione più coerente non è la laicità ma è lateismo; e infatti questa è la verità interna di questa società. la Chiesa ridotta a legge Allora dobbiamo ancora tornare al punto di partenza, dobbiamo capire meglio la storia da cui veniamo, dobbiamo rivisitare la genesi della soluzione laica della modernità, di questo compromesso laico della religione come affare privato. Non credo che esso possa essere messo tutto sul conto della protestantizzazione, della riduzione protestante della religione allinteriorità e alla coscienza. Tra laltro, si tratta di una lettura riduttiva e banalizzante della stessa dottrina dei riformatori. Alla svolta secolarizzatrice del 600 si arrivò in effetti attraverso un processo che riguarda tutta la Chiesa e soprattutto la Chiesa dOccidente ancora indivisa, prima della rottura protestante. Bisogna leggere il libro di Paolo Prodi, «Una storia della giustizia» (Il Mulino, Bologna, 2000), per vedere come a partire dalla «rivoluzione papale» dellXI secolo, con la riforma di Gregorio VII, la Chiesa avesse incorporato Dio in se stessa, ponendosi essa stessa al posto di Dio, cancellando la polarità, il dualismo, la infinita differenza qualitativa tra il divino e lumano; e ciò ha fatto soprattutto proponendosi come linterprete e lesecutrice della giustizia divina sulla terra; la giustizia non era più una funzione della misericordia di Dio, non era più giustificazione, ma diventava la giustizia della Chiesa che pretendeva essere anche giustizia per il mondo. La Chiesa si trasformava in una grande giurisdizione. I canoni della giustizia umana e della giustizia divina erano salutarmente discordanti? Ed ecco nel 1140 il decreto di Graziano con la «concordanza dei discordanti canoni»; ecco la traduzione della giustizia divina nei moduli della giustizia retributiva, la sua riduzione nei termini dell«unicuique suum», a ciascuno il suo, di Ulpiano, ecco la rivendicazione del potere di coazione anche materiale della Chiesa sino alla condanna a morte e alla guerra, che Anselmo da Lucca nellXI secolo, sulla scia di Gregorio VII, esplicitamente riconduceva senza soluzioni di continuità alla legge di Mosè; ecco la deriva che condurrà fino allInquisizione e alla tortura. In questa riduzione del divino allumano il peccato diventa il fondamento del sistema. Se la Chiesa è ridotta alla legge, senza trasgressione non cè Chiesa. Letica viene positivizzata e processualizzata, acquistano crescente importanza i «Libri penitenziali», nei quali i peccati vengono, per così, dire, tariffati. Nel XII secolo la penitenza diventa un sacramento, nasce il Purgatorio, le cui pene possono essere anticipate in vita; e Bernardo da Chiaravalle spiega a Eugenio III che il potere della Chiesa non sta nei possessi terreni, ma sta in criminibus, cioè nella gestione dei delitti e delle pene, della punizione e del perdono. Tutto veniva così giuridicizzato; anche la coscienza (il luogo per eccellenza di Dio) veniva trasformata in tribunale, «naturale iudicatorium». La centralità del peccato generava unantropologia pessimistica: anche la servitù, non che essere imputata allingiustizia dei rapporti sociali, era fatta derivare dal peccato, e perciò irrimediabile; e anche il potere temporale della Chiesa sui principi terreni sarà rivendicato «ratione peccati», in ragione del peccato; niente peccato, niente potere. Il tutto culminerà nel tentativo di Innocenzo III nel IV Concilio lateranense (1215) di stabilire un generale controllo sulle coscienze, attraverso lobbligo della confessione «proprio sacerdoti», al proprio sacerdote, inteso come giudice naturale; 38 Nuovo-1 tentativo destinato peraltro a fallire. ritrovare il Dio espulso Nei riguardi di questo Dio risuonerà nel 900 la protesta di Bonhoeffer dal carcere di Tegel: Dio non approfitta dei nostri peccati ma sta al centro della nostra vita; non corrisponde a questo Dio, secondo Bonhoeffer, «latteggiamento che chiamiamo clericale, quel fiutare-la-pista-dei-peccatiumani, per poter prendere in castagna lumanità» («Resistenza e resa», Bompiani, Milano, 1969, p. 259). Ed è per difendersi da questo Dio insopportabile che la modernità lo metterà tra parentesi, tenendo la Chiesa fuori da sé. Si era creato un dualismo tra la società e la Chiesa, tra potere ecclesiastico e potere civile (dualismo che giustamente Paolo Prodi considera determinante per la nascita dellOccidente) ma si era perso il dualismo tra il divino e lumano, la Chiesa aveva smesso di annunciare laltro da Sé, come aveva fatto Gesù annunciando il Padre e il suo regno, e annunciava se stessa. È quel Dio espulso, perché reso irriconoscibile, che oggi va ritrovato. Ritrovare Dio vuol dire ritrovare il Dio della differenza, il Dio della pace, della misericordia, della gratuità, della grazia, il Dio della unità e mai più della separazione e dellelezione esclusiva: sarebbe questo un Dio non utilizzabile né dalletica del capitalismo, né dalle teorie politiche della sovranità, né dalla trascendenza della Mano Invisibile del Mercato, né dai mafiosi che si fanno giustizia da sé senza farsi mancare i conforti religiosi, né da Bush, né dalle nuove guerre di religione, né dalle Chiese invidiose o gelose della libertà dei fedeli. Sarebbe questa la vera fondazione della laicità. Certo non si tratta di fare un nuovo «identikit» di Dio, presentarlo come il Dio di Gesù Cristo, e imporlo a tutti come lunico vero. È un Dio che va cercato nel pluralismo delle culture e delle fedi, un Dio plurale, che in modi diversi sta nel cuore anche delle altre tradizioni, che sono tutte chiamate a un nuovo discernimento e ad una conversione; questo è il problema ecumenico e interreligioso per eccellenza, è il problema del dialogo ebraico-cristiano, ed è il problema della nostra Chiesa, che sempre di nuovo deve ascoltare il Figlio che lo rivela e lo Spirito che a Lui conduce. Infatti anche il tempo dei profeti è concluso, ma resta lultima profezia, quella del Padre che dice: «questo è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo». ROCCA 1 FEBBRAIO 2006 INSERTO Raniero La Valle 39 38-39 18/01/06, 9.11