"Alla Casa Uboldi alla scoperta di due capitali europee" di Antonella
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"Alla Casa Uboldi alla scoperta di due capitali europee" di Antonella
TALAMONA 30 maggio 2013, settimo viaggio in biblioteca ALLA CASA UBOLDI ALLA SCOPERTA DI DUE CAPITALI EUROPEE IL RACCONTO APPASSIONATO ED ELEGANTE DI DUE VIAGGI CULTURALI Quando si parte per un viaggio, la cosa fondamentale da portare con sé è la curiosità. La curiosità di scoprire nuovi posti, a volte nuovi mondi, nuove persone, di fare nuove esperienze, la curiosità del bambino che guarda ogni cosa con meraviglia e stupore inesauribili, la curiosità che porta ad amare tutto cio su cui si posa lo sguardo, a riempirsene il cuore e la mente con gioia. Con queste parole Lucica Bianchi ha introdotto questa sera, alle ore 20.45, una nuova puntata della serie VIAGGI IN BIBLIOTECA “una delle tante iniziative culturali che hanno contribuito, come ha detto una volta anche il sindaco di Talamona,Italo Riva, a rendere la biblioteca viva, grazie anche alla risposta sollecita della popolazione cui queste iniziative sono destinate, uno stimolo fondamentale per i volontari a portare avanti con entusiasmo il loro operato” ha sottolineato ancora, nel suo discorso introduttivo, Lucica che questa sera ha condotto il pubblico, stranamente un po’ meno numeroso rispetto alle precedenti serate, ma egualmente appassionato, alla scoperta di due capitali europee: la città dei lumi (Parigi) e la città magica (Praga) ciascuna ammantata di un proprio peculiare fascino che ammalia e perdura nel cuore di chi vi si reca. Parigi Che cosa si può dire di Parigi che non sia già stato detto e scritto dagli artisti che l’hanno popolata o anche solo visitata nel corso del tempo? Parlare di Parigi risulta più facile quando si è poeti, mentre in chi non lo è la città desta emozioni che difficilmente riescono a trovare la loro traduzione in parole. Parigi racchiude in sé, con le sue atmosfere, i suoi suoni e profumi, una moltitudine di nazionalità diverse, ma tutte di casa. Quando si va a Parigi non importa da che Paese si viene, si diventa in ogni caso parte della città. Lucica e la sua famiglia sono andati a Parigi in macchina tre anni fa, nell’estate del 2010, seguendo un tragitto che, partendo da Talamona ha attraversato Lombardia, Piemonte e Val d’Aosta fino ad arrivare al traforo del Monte Bianco, che parte da Courmayeur sul lato italiano per poi giungere a Chamony sul lato francese e da li è proseguito seguendo l’autostrada. Un viaggio che è risultato particolarmente interessante, soprattutto per Lucica che lo affrontava per la prima volta. Giunti a Parigi hanno alloggiato nel quartiere di Montmartre, uno dei quartieri più suggestivi della città, che già nel nome racchiude una musicalità particolare. Un quartiere dove batte il cuore pulsante della vita artistica della Ville Lumiere, dove l’arte scende in strada e gli artisti incontrano i loro committenti, dove l’arte può essere vissuta attraverso un contatto diretto, può essere toccata con mano. Un quartiere dove sorge anche la bellissima e bianchissima basilica del Sacro Cuore. Un quartiere che sorge nelle vicinanze di un altro quartiere simbolo della vita di Parigi: il quartiere di Pigalle, un quartiere che, vista la presenza dei loro bambini, Lucica e suo marito non hanno incluso come tappa vera e propria del viaggio, però è capitato loro di passarvi durante il giorno. Il quartiere di Pigalle è infatti il quartiere della perdizione, famoso per i locali notturni a prezzi tutt’altro che accessibili. Tra tutti si possono citare il Crazy Horse e l’ancor più famoso Moulin Rouge, il luogo d’origine del can-can che i parigini considerano un vero e proprio monumento nazionale. Un locale la cui storia è intrecciata a quella di un grande artista francese vissuto a cavallo tra Otto e Novecento: Henry de Tolouse Lautrec. I contemporanei dicevano di lui che per la sua arte e per il suo talento era stato toccato da Dio mentre per il suo aspetto era stato toccato dal diavolo. Henry de Tolouse Lautrec infatti era particolarmente brutto e deforme, affetto da nanismo a causa di una malattia ereditaria che si manifestò verso i 14 anni bloccando la crescita delle sue gambe, che per tutta la vita rimasero quelle di un bambino. Questa sua disgrazia venne compensata da una vita colma di altre fortune. Nonostante il suo aspetto, ebbe infatti, tra le donne, la fama di un uomo dotato di un’aurea di grande fascino. Inoltre non fu toccato dalla maledizione che solitamente colpisce gli artisti (in special modo gli artisti maledetti della Parigi di quegli anni) cioè quella di essere poveri in canna e sconosciuti da vivi per poi diventare come per magia ricchi e celebri da morti. Henry de Tolouse Lautrec fu infatti uno degli artisti più celebri in vita e non era solo ricco, ma era anche nobile, era conte. Un altro locale molto importante di Pigalle, anche se probabilmente sconosciuto ai più, è il Lapin Agile, in origine chiamato cabaret degli assassini frequentato artisti e scrittori del calibro di Pablo Picasso, Charlie Chaplin, Marcel Proust, Amedeo Modigliani, che i parigini, con singolare senso dell’umorismo, chiamavano assassini. Si pensa che il nome Lapin Agile derivi da un gioco di parole che può essere tradotto come il coniglio di Gil cioè Andrè Gil, un celebre caricaturista che nel 1875 disegnò l’insegna del locale, un coniglio che vola fuori da una pentola. Per visitare Parigi Lucica e la sua famiglia hanno quasi sempre utilizzato la stessa linea della metropolitana, la più antica metropolitana della città, che conserva ancora le lastre e i pavimenti originali che aveva quando è stata costruita. Tra le altre cose sono passati anche di fronte al tribunale che reca sulla facciata il motto della Rivoluzione Francese: LIBERTE’, EGALITE’, FRATERNITE’. Andare a Parigi significa tra l’altro lasciarsi travolgere dall’emozione di fronte ad una delle opere più maestose frutto della mano dell’uomo: la cattedrale di Notre Dame, che, tra tutte le chiese visitate da Lucica nel corso della sua vita è stata quella che, per sua stessa ammissione, le è rimasta più nel cuore, un luogo dove più che in altri si percepisce il senso del divino, un luogo che è difficile descrivere a parole, ma non c’è altra scelta dato che, almeno tre anni fa, fotografie e riprese erano strettamente vietate. La cattedrale è stata costruita nel 1160 su iniziativa del vescovo di Parigi, Maurice de Sully. Leggenda vuole che il vescovo abbia avuto una visione in sogno durante la quale gli apparve questa cattedrale della quale, una volta sveglio, andò a disegnare il progetto nei minimi dettagli proprio nel luogo dove ora la cattedrale sorge. Luigi VII, il re di Francia, approvò questo progetto e diede avvio ai lavori in quel luogo, dove sorgeva un’altra chiesa, dedicata a Santo Stefano e fatta costruire nel 528 da Childeberto, il primo re dei Franchi della dinastia dei Merovingi,il fondatore della città di Parigi a partire dall’insediamento di epoca romana Lutetia Parisorum. Una chiesa, quella di Santo Stefano, a sua volta sorta sulle fondamenta di un tempio gallo-romano dedicato a Giove. Un luogo insomma dove sin dalla notte dei tempi vi sono stati edificati luoghi sacri per chi vi abitava. Un luogo che ad oggi conserva tre reliquie fondamentali della cristianità: un chiodo della crocifissione, un pezzo di legno della croce e la corona di spine. Un luogo dove non è il divino che scende sulla terra per incontrare l’uomo, ma è l’uomo che si eleva per incontrare il divino. Questo è cio che si prova quando si entra in questa cattedrale di fronte alla sua immensità e magnificenza. Non si può andare a Parigi senza passare dal suo museo più famoso nonché uno dei musei più famosi al Mondo e ammirarne gli innumerevoli tesori. Stiamo parlando del Louvre. Per questo edificio il termine museo risulta oltremodo riduttivo. Si tratta di un vero e proprio mondo che custodisce al suo interno la bellezza di 380 mila capolavori d’arte tra sculture dipinti e reperti archeologici provenienti da tutto il Mondo. Un edificio che, nel corso della Storia ha subito varie trasformazioni , demolizioni e costruzioni fino a diventare come è oggi, come tutti lo conoscono e lo ammirano. La storia del Louvre comincia nel 1190 quando il re di Francia Filippo II decide di far costruire una fortezza atta a difendere la città mentre lui si trova in Terrasanta impegnato nella terza crociata. In seguito alcuni dei re più importanti per la storia della Francia (come Luigi IX e Francesco I) hanno contribuito a trasformare la fortezza iniziale dapprima in residenza reale (teatro tra l’altro, il 24 agosto del 1572 del massacro di San Bartolomeo) e poi sempre più nel Louvre di oggi. In particolar modo fu Luigi XV nel XVIII secolo a voler trasformare il Louvre in un museo. In seguito, nell’Ottocento, Napoleone Bonaparte arricchirà le sale del Louvre coi bottini di guerra provenienti dai Paesi europei conquistati nel corso delle sue campagne militari, cioè le più grandi e le più belle opere d’arte di tutt’Europa che andranno ad abbellire non solo il Louvre, ma anche gli altri musei di Parigi, la Biblioteca Nazionale e l’Istituto di Francia nonché i castelli privati di Napoleone Bonaparte stesso. Dall’Italia in particolar modo Napoleone ha trafugato tra l’altro, il complesso scultoreo del Laocoonte (che oggi si può ammirare ai musei Vaticani) e il Codice Atlantico, la maggiore raccolta di scritti di Leonardo. A proposito del Codice Atlantico, Lucica ha citato a questo punto un aneddoto su come quest’opera abbia in seguito fatto ritorno in Italia. Nel 1815, in occasione del Congresso di Vienna, venne stabilito che la Francia avrebbe dovuto restituire le opere illecitamente trafugate nel corso delle campagne napoleoniche. Ciascuno Stato mandò una delegazione in Francia per riprendersi i propri tesori. Della delegazione italiana faceva parte tra gli altri un barone austriaco chiamato Ottenfels che quando si trovò a cospetto del Codice Atlantico lo scambiò per un manoscritto cinese. Parlando a malapena italiano, Ottenfels non era in grado di riconoscere la scrittura speculare di Leonardo e stava per lasciare a Parigi il prezioso manoscritto. Per fortuna che nella delegazione c’era anche il celebre scultore Antonio Canova che riconobbe il Codice e lo riportò in Italia. Le sale del Louvre sono ricche di quadri dei maggiori artisti di ogni tempo (tra cui molti quadri di Leonardo, non frutto di appropriazione indebita) nonché di vaste sale dedicate all’archeologia tra cui una splendida sala dedicata all’arte egiziana con pezzi davvero unici e di gran pregio di architettura, manifattura, disegni, incisioni e quant’altro. Da segnalare in particolar modo una piccola statua del dio egiziano Bes, il protettore della casa e dei bambini sotto la quale il figlio di Lucica, William, ha voluto farsi fotografare per assicurarsi un po’ di protezione. Nel settore dell’arte più recente invece è da segnalare l’opera di Antonio Canova AMORE E PSICHE, la scultura preferita del marito di Lucica, che si rifà al mito greco che narra la storia d’amore tra il dio Eros (il dio dell’amore) e la bella Psiche, che non doveva mai guardare il dio in volto, ma una notte trasgredì questo divieto causando l’ira di Eros. Di questa statua esistono delle copie in vari musei del Mondo, ma qui al Louvre si trova l’originale. La visita al Louvre è durata un’intera giornata, a partire dalla primissima apertura mattutina fino alle sei di sera e, nonostante tutto, quello che Lucica e i suoi hanno visto è stata solo una parte di quel che si può vedere. All’entrata del Louvre spicca la grande piramide di vetro voluta dal presidente francese François Mitterand e inaugurata nel 1989 su progetto dell’architetto cinese naturalizzato americano Ming Pei, un’opera che ha suscitato molti accesi dibattiti tra il popolo parigino, tra chi crede che quest’opera sia un’offesa al complesso e all’intera popolazione, e chi invece crede che costituisca, al contrario, un valore aggiunto. La piramide infatti è un simbolo della civiltà egizia e questo ha portato qualcuno a pensare che questa piramide possa essere considerata una sorta di richiamo della sala dedicata alla civiltà egizie. Un simbolo controverso che attira gli amanti dell’esoterismo, i quali affermano che la piramide sia composta da 666 lastre di vetro. In realtà le lastre sono più di 700 e questo toglie alla piramide qualunque aurea o richiamo esoterico. Una volta terminata la visita al Louvre, dopo essersi riempiti il cuore di meraviglia e sapienza, per i nostri scopritori del Mondo è venuto il momento di sedersi sul lungo Senna in contemplazione e in meditazione, riflettendo sulle lezioni che la giornata ha dato, prima tra tutte la conferma di un consiglio che Lucica è solita dare ai suoi bambini: abbiate sempre voglia di accostarvi alle cose con curiosità, stupore, meraviglia e amore per riuscire a farle anche un po’ vostre (il grande Steve Jobs, che diceva “siate affamati, siate folli” di sicuro avrebbe approvato). Non si può pensare di andare a Parigi senza mettere in conto una visita al suo monumento più famoso, uno dei monumenti più famosi in tutto il Mondo, simbolo non solo della città ma dell’intera Francia. La Tour Eiffel. Un monumento controverso, che, com’è stato nel caso della piramide al Louvre, ha acceso dibattiti e polemiche. Dagli stessi parigini è stata definita un’enorme, inutile candelabro di metallo, quando non addirittura un’enorme supposta che domina la città da 320 m di altezza percorsi da cima a fondo da circa 400 gradini. La Tour Eiffel venne inaugurata nel 1889 in occasione dell’esposizione universale, costruita per celebrare il centenario della Rivoluzione Francese su progetto dell’architetto Gustave Eiffel al quale, sulla cima della Torre stessa, è dedicato un piccolo museo che contiene tra l’altro una statua di Eiffel a grandezza naturale. Percorrere gli oltre 400 gradini della Torre è un’impresa epica, ma ogni fatica è ricompensata dal panorama mozzafiato della città che si può godere una volta saliti. Una volta scesi e una volta scesa la sera, la Torre, che non finisce di stupire, si accende regalando spettacoli di luci multicolori. Un’altra impresa epica, che però regala grandi emozioni, è la camminata di due chilometri attraverso gli Champs Elyseè, lungo la quale su entrambi i lati sorgono prestigiosi negozi d’arte e di moda. Da segnalare in particolare un negozio di cristalli Svarowsky al quale si accede attraverso una scala fatta essa stessa di cristallo che lasciava a bocca aperta chiunque passasse di li perché non si capiva se era stata posta lì per bellezza o se ci si poteva salire anche con le scarpe. Gli Champs Elyseè sono delimitati da una parte dall’arco di Trionfo, voluto da Napoleone su imitazione di quelli romani per poterci passare sotto durante le celebrazioni delle sue campagne militari, e dall’altra da Place de la Concorde, che tanti fiumi di sangue ha visto scorrere essendo il luogo dove avvenivano le esecuzioni tramite ghigliottina durante la Rivoluzione e il Terrore. Da quelle parti si trova anche l’Hospital des Invalides che reca al suo interno l’immensa tomba di Napoleone in legno pregiato e un museo delle armi che espone cannoni e carri armati usati durante le passate guerre. Nel loro viaggio a Parigi, Lucica e i familiari hanno incluso anche una trasferta alla rinomata reggia di Versailles, per circa un secolo dimora dei reali di Francia e della corte, simbolo di lusso e potere fastoso. Una tappa che ha deluso un po’ Lucica, soprattutto la visita nei locali interni della reggia, grandi sale recanti nomi di costellazioni e divinità pagane, che conservano ancora qualche mobile e pezzo di arredamento originale, i muri, i soffitti, la galleria degli specchi, ma per il resto sono state espropriate, saccheggiate durante la Rivoluzione e danno dunque un senso di vuoto, di violato. I giardini della reggia si sono rivelati al contrario meravigliosi e immensi al punto tale che senza una cartina ci si potrebbe perdere, specialmente tra le siepi tagliate a forma di labirinto. Questi giardini hanno lasciato un ricordo vivo in Lucica e i suoi non soltanto per questo immenso splendore, ma anche per via delle crepes che li hanno mangiato e che si scioglievano in bocca pare, e pure per gli splendidi fiori dai colori vividi che componevano giochi cromatici particolari che viravano dal rosso al bianco al blu… Lucica ha dovuto toccarli, nonostante fosse vietato per convincersi che erano veri, visto che erano così splendidi. Dopo due settimane di musei, regge, cattedrali, storia e cultura, vista anche la presenza dei bambini, si è rivelato necessario inserire nel tour una tappa che fosse esclusivamente di distensione e di svago, lasciata appositamente per ultima in modo da potersi rilassare completamente dopo un’indigestione di cultura. Questa tappa è stata Disneyland Paris, il secondo parco di divertimenti al Mondo per grandezza e numero di visitatori, che ha occupato gli ultimi tre giorni e due notti dei nostri viaggiatori. Una tappa della quale Lucica e i suoi non hanno molte foto, perché, pare, il parco sia talmente immenso e desti una tale meraviglia che una volta dentro ci si perde ad osservare tutto dimenticandosi della macchina fotografica. Un tripudio di piccoli angoli e grandi costruzioni esteticamente elegante composto dal parco vero e proprio e una zona con alberghi a tema che variano da cow boy- indiani-western, personaggi Disney delle favole e quelli più moderni e tecnologici. C’era per esempio un albergo costruito come un castello di Biancaneve (l’unico all’interno del parco vero e proprio), uno che ricordava le storie di marinai, un altro che ricordava un palazzo di una grande metropoli americane. Le stesse tematiche si ritrovavano anche all’interno del parco suddiviso in cinque zone colme di giochi avventurosi, ristoranti, percorsi da personaggi che interagiscono col pubblico dando vita a piccoli schetch e poi gli studios, che recavano materiale inerente ai più famosi film targati Disney, sale per le simulazioni di scene di vari film o per la creazione di scene estemporanee (anche in esterne con vere e proprie piccole gite organizzate appositamente) che poi venivano mostrate, cinema dinamici dove i personaggi che apparivano sullo schermo dialogavano col pubblico tanto da sembrare vivi. Una tappa che ha particolarmente colpito Lucica (che ha passato 3 giorni col viso dipinto) è stata Smallword, una galleria dedicata a tutte le nazioni del Mondo, ciascuna rappresentata da una statuetta vestita coi costumi tradizionali della sua terra. Ogniqualvolta si passava loro davanti queste statuette prendevano vita parlavano, danzavano. Per concludere in bellezza un viaggio variegato in una città ricca di cultura e di storia della quale è veramente facile innamorarsi, una città che secondo il filosofo Nietzsche, è l’unica patria possibile per un artista. Praga Prendere l’aereo per Praga significa volare verso un Mondo magico. Questa città era stata addirittura prevista in una visione di una principessa regnante del Settecento che era anche veggente ed esperta di magia bianca, la principessa Libuse, la quale disse “ vedo una grande città la cui gloria toccherà le stelle”. Il viaggio a Praga ha avuto per Lucica e suo marito (il quale c’era già stato vent’anni fa) una doppia valenza. Da una parte un regalo che si sono fatti per il primo anniversario di matrimonio. Dall’altra la tappa di una ricerca che Lucica ha condotto già in altre città (Firenze e Venezia in particolare) seguendo le tracce del misterioso Codice Voynich l’unico libro al Mondo che tutt’oggi non è possibile in alcun modo decifrare per il quale Lucica nutre una passione particolare, quasi un’ossessione nel senso positivo del termine. Di questo codice medievale esiste nel Mondo un’unica copia, custodita nella biblioteca dei libri rari dell’università di Yale. Sulla sua datazione gli studiosi di tutto il mondo convergono da diverso tempo: esso risale ad un periodo compreso tra Quattro e Cinquecento ed è scritto in un idioma sconosciuto che non somiglia a nessuno esistente sulla terra. È suddiviso in sei sezioni e ricco di illustrazioni. C’è la sezione BIOLOGIA che contiene illustrazioni di piante mai viste sul nostro pianeta nonché di donne nude collegate tra loro con dei tubi e immerse in vasche colme di un liquido verde. C’è la sezione ASTRONOMIA che illustra costellazioni che finora non sono state mai scoperte. C’è anche la sezione FARMACIA e così via. La ricerca riguardo a questa intricata vicenda ha portato Lucica a Praga perché è ormai notizia storica certa che nel 1600 il manoscritto oggi conosciuto come Voynich (dal nome dell’antiquario russo Wilfred Voynich,di origini polacche successivamente naturalizzato inglese, che lo scovò nel 1912 negli scantinati di Villa Mondragone a Frascati nei pressi di Roma facendolo conoscere al Mondo intero ndr) venne venduto al re boemo Rodolfo II d’Asburgo per l’esorbitante somma di 600 ducati d’oro da due personaggi inquietanti. Il primo, John Dee, era consigliere e segretario personale della regina Elisabetta I d’Inghilterra, dedito a pratiche esoteriche, mentre il secondo era un noto falsario e alchimista, Edward Kelley. Il coinvolgimento di un falsario e la nota passione di re Rodolfo per gli oggetti esoterici che acquistava da tutto il Mondo fanno pensare che, tutta la vicenda legata alle origini e alla traduzione di questo misterioso manoscritto, altro non sia che una colossale truffa a scopo estorsivo perpetuata ai danni del re. Il marito di Lucica crede che il Voynich sia il più antico libro di fantascienza conosciuto. Lucica, sebbene trovi quest’ipotesi interessante, crede che ci sia sotto molto di più e a Praga sperava di trovare elementi determinanti per far luce sulla vicenda in particolar modo visitando il museo dedicato a Rodolfo II. Purtroppo ne lì ne in generale in tutta la città di Praga si sono conservate tracce abbastanza importanti da aiutare Lucica a venire a capo di questa storia. Questo però non ha reso meno interessante la visita in generale. Praga è infatti una città che può essere definita solo con una parola: magica. Andare a Praga, passeggiare lungo le sue strade è come camminare su un intrico di segreti. Infatti ogni angolo di Praga, ogni pietra nasconde storie e misteri che aspettano solo di venire alla luce, di essere svelati. La prima tappa della visita di Lucica e suo marito dopo che sono atterrati con l’aereo è stata ponte Carlo, uno dei ponti più famosi e suggestivi della città. Ponte Carlo venne costruito nel 1256 su iniziativa del re Carlo IV. È lungo 500 m percorsi da 30 statue raffiguranti la Madonna e dei santi: Antonio da Padova, S. Giuda, S. Vito, Giovanni Battista, S. Bernardo e il santo patrono di Praga, Jan Nepomuceno, sotto la cui statua si trova una sorta di lapide. Leggenda praghese vuole che toccando questa lapide ci si assicurino 10 anni di prosperità, nonché il ritorno a Praga dopo 10 anni. Per il marito di Lucica tra una visita e l’altra a Praga di anni ne sono passati 20 dunque lei ha pensato di pulire ben bene la lapide per trarre pieno giovamento da questa leggenda, una leggenda che ha fatto si che questa lastra decorata rivelasse l’originale colore dorato dell’intera struttura, la quale, per il resto, nel corso del tempo (e forse anche a causa dell’inquinamento) si è coperta di una patina nera che contribuisce ad aumentarne il fascino. Passeggiare sul ponte Carlo, soprattutto in giornate un po’ grigie e cupe è un modo per il visitatore di entrare in contatto diretto con l’anima di Praga, di lasciarsi invadere dalla pungente sensazione di essere giunti in un luogo magico misterioso e ammantato di leggenda quasi da esserne intriso. Un altro luogo caratteristico della città è il suo castello in realtà un complesso che oltre al castello vero e proprio, nonché residenza reale,(che contiene le insegne della real casa di Boemia) racchiude anche l’imponente cattedrale di San Vito (con una splendida facciata gialla e, al suo interno, il magnifico mausoleo di Nepomuceno realizzato con 20 tonnellate di argento puro decorato e intarsiato) e la piccola chiesa di San Giorgio riconoscibile per il frontone sulla facciata, raffigurante la celeberrima scena dell’uccisione del drago. Un luogo con la sua storia da raccontare. Da una finestra del castello tutt’ora ben visibile successe che, nel Seicento, durante la guerra dei Trent’anni, vennero gettati tre nobili praghesi cattolici i quali non morirono perché atterrarono su un mucchio di detriti sottostanti che attutì la caduta. Questo venne interpretato dai cattolici come un segno divino. Anche Praga come Parigi ha riservato a Lucica una meta più deludente rispetto a tutte le altre dell’intero tour. In questo caso si tratta del Palazzo delle Ceneri, attualmente sede del museo dell’esercito, ma in passato laboratorio di Edward Kelley (l’alchimista che vendette a Rodolfo II il codice Voynich, di cui si parlava all’inizio) che vi esercitava la sua professione cercando di trasmutare in oro i metalli vili per ricavarne una fortuna illimitata. Lucica sperava di trovarvi qualche traccia per la sua ricerca, ma l’esercito ha fagocitato interamente quel luogo per farne il suo museo, per esporre medaglie, divise, armamenti, vari oggetti inerenti. Edward Kelley non era certo l’unico alchimista con un suo laboratorio a Praga. A quel tempo gli alchimisti erano di casa, alle strette dipendenze di re Rodolfo II ossessionato dalla volontà di comprendere i segreti della trasmutazione dei metalli vili in oro. Il re aveva addirittura riunito i suoi alchimisti in un quartiere tutto per loro, oggi conosciuto come vicolo d’oro, ma nonostante questo clima apparentemente favorevole, la verità è che gli alchimisti vivevano praticamente in schiavitù per assecondare il re, tanto che ad un certo punto si sono ribellati e per questo sono stati incarcerati, torturati e uccisi senza pietà. Il vicolo d’oro oggi non conserva molte tracce di questo passato. È un viale pittoresco di piccole case dall’apparenza quasi fiabesca con gli interni ricostruiti fedelmente, ma interdetti al pubblico da lastre di vetro. Il marito di Lucica raccontava che vent’anni fa l’atmosfera di quel quartiere era molto diversa, le case erano vuote il quartiere sempre percorribile ad ogni ora del giorno e della notte e trasudava maggiormente un’atmosfera particolare, legata al suo passato. Dopo che gli alchimisti smisero di viverci esso attirò un gran numero di poveri che lo trasformarono in un quartiere derelitto finchè non si decise di riqualificarlo a scopo turistico. Vent’anni fa il processo di riqualificazione era appena agli albori, ma oggi ha trasformato il vicolo in una zona essenzialmente commerciale, depredandolo della sua aurea magica. Esso infatti può essere visitato solo a pagamento e di notte è chiuso. Oltre alle vecchie case degli alchimisti, al civico 22 si trova una dimora che fu del celebre scrittore Franz Kafka e in un altro angolo sorge un edificio che espone armature, armamenti medievali, dove si può sparare con la balestra. In questo edificio è stato ricostruito il laboratorio di un alchimista con libri e pergamene posti li solo per fare scena. Un’altra delusione per Lucica che avrebbe voluto che i libri fossero veri per poterli consultare. In una sala attigua al laboratorio dell’alchimista sorge un piccolo museo delle torture che espone strumenti terribili che sono stati realmente usati su delle persone in epoche passate. Lucica è rimasta particolarmente colpita da un buco dove una persona veniva fatta rannicchiare in uno spazio minimo con una palla di metallo legata al piede mediante una catena. Uno spazio, per ovvi motivi, rigorosamente vietato ai bambini. Purtroppo viaggiando non si può pensare di vivere esclusivamente di cultura, bisogna anche nutrirsi. Fortunatamente a Praga si può mangiare bene a prezzi tutto sommato modici (costano di più i musei rispetto ai ristoranti) per di più la cucina locale è molto simile a quella della Romania, il Paese di Lucica la quale dunque, da questo punto di vista, si sentiva come a casa. Un locale dove, pare, si mangi particolarmente bene è il bistrot Napoleone, che reca al suo interno una riproduzione del quadro del pittore David che raffigura il trionfo di Napoleone a cavallo. Una volta rifocillati, Lucica e il marito hanno proseguito il loro tour (durato in tutto tre giorni) alla sede del Senato con dei bellissimi giardini abitati da coppie di pavoni e dove a volte è possibile, anche per la gente comune, assistere alle riunioni dei senatori. Da li una strada che si ricongiunge verso sud con il castello sovrastata da una statua con una sua storia da raccontare che però Lucica ha tenuto in serbo per la fine della serata. È stata poi la volta del quartiere ebraico col cimitero, musei appositamente dedicati alla storia e alla cultura ebrea, sinagoghe. Sfortunatamente Lucica e il marito sono capitati a Praga in un periodo in cui il popolo ebraico celebrava una propria festività religiosa e ha interdetto al pubblico i propri luoghi. Un’altra terribile delusione per Lucica, la quale sin da bambina ha sempre amato le sinagoghe. Ne aveva una proprio vicino casa e vi si recava spesso prima che gli orari divenissero più restrittivi. Li a Praga le è capitato di incontrare dei rabbini con un’elegante macchina nera cui ha provato a chiedere il permesso di assistere a una messa ebraica, purtroppo invano. È andata meglio col cimitero che, nonostante fosse chiuso, si è rivelato accessibile, almeno per fare delle foto, da un pertugio attraverso una porta, dal quale è stato possibile osservare le tombe ammucchiate una sull’altra in modo disordinato, una peculiarità dei cimiteri di culto ebraico che prescrive che i morti una volta sepolti non possano più essere riesumati. Dal momento che quel cimitero è l’unico riservato agli ebrei in tutta la città, si è rivelato necessario disporre le tombe su più strati quasi ammucchiandole. Attualmente il cimitero conta 12 mila tombe e 12 strati di molto sopraelevati sul livello della strada. Tra le tombe famose di particolare attenzione è il mausoleo di Rabbi Loew ben Bezael alla quale è legata una storia. Rabbi Loew era un rabbino, il creatore del golem un mostro plasmato con l’argilla raccolta sul fiume Moldava. Era un tempo in cui la comunità ebraica di Praga era vittima di persecuzioni e saccheggi e il golem era stato creato a scopo difensivo. Per infondergli la vita Rabbi Loew aveva scritto sulla sua fronte la parola EMETH che in ebraico significa verità. Un brutto giorno però il golem andò improvvisamente fuori controllo e si mise ad uccidere le persone a caso. Le autorità di Praga chiesero a Rabbi Loew di distruggerlo promettendo in cambio di lasciare in pace la comunità ebraica. Rabbi Loew dunque neutralizzò il golem cancellando dalla sua fronte la lettera E. EMETH divenne quindi METH cioè morte e il golem si sciolse. Una leggenda che pare oltremodo fantasiosa, ma che andrebbe approfondita dato che ogni leggenda si origina sempre a partire da un nocciolo di verità. Dopo il quartiere ebraico, il tour è proseguito nella piazza centrale di Praga dominata dalla chiesa di San Nicola dagli interni sontuosi e poi nella piazza vecchia ove sorge il municipio di Praga dominato dalla torre dell’orologio. Si tratta di un magnifico orologio astronomico unico al mondo che non solo mostra l’ora, ma anche i segni zodiacali, le fasi lunari e la posizione del sole nel cielo in ogni momento della giornata. È decorato con quattro statuine che rappresentano la morte (nella figura di uno scheletro) la lussuria (nella figura di un turco) la vanità (nella figura di un uomo con uno specchio) e l’avidità (nella figura inizialmente di un usuraio ebreo poi sostituito, dopo la seconda guerra mondiale per rispetto verso il popolo ebraico, con un viandante che reca una borsa piena di soldi). Ad ogni cambio dell’ora si verifica uno spettacolo che costituisce un appuntamento imperdibile sia per i praghesi che per i visitatori. Le statue prendono vita. Lo scheletro che regge in mano una clessidra la capovolge e la sabbia in essa contenuta comincia a scorrere per un’ora. Con l’altra mano lo scheletro tira una fune collegata ad una campana, mentre tutte le altre statue fanno segno di no con la testa come se non accettassero lo scorrere del tempo. La campana comincia a suonare e compaiono le statue dei 12 apostoli che chinano la testa. In quel momento i presenti nella piazza chinano la testa in segno di risposta. Questo orologio venne costruito nel XIII secolo e i praghesi sono fermamente convinti che ad esso sia legato il destino della loro città, che ogniqualvolta l’orologio smette di funzionare succede una disgrazia. L’ultima volta che l’orologio si è fermato (forse per disattenzione di qualche addetto alla manutenzione) è stato nel Capodanno del 2001. Nell’agosto del 2002 la città è stata colpita da un’alluvione. Coincidenze? Chissà, molto probabilmente è così, ma i praghesi non sono dello stesso avviso e dedicano molte energie alla manutenzione dell’orologio. La piazza oltre a custodire leggende celebra anche la storia. Una statua lì eretta celebra un teologo protestante di nome Jan Hus che predicò qua e la le proprie idee e pagò con la vita, con la condanna al rogo a Costanza. Tra una leggenda e l’altra, un aneddoto storico e l’altro, Lucica e il marito sono riusciti ad inserire nel loro tour anche momenti più distensivi come la visita al museo del cioccolato e la ricerca affannosa di una pasticceria dove il marito di Lucica era gia stato vent’anni fa e che fu usata persino per riprendervi alcune scene del telefilm ALIAS. È stato difficile trovarla, ma pare che tutto sommato si tratti di una pasticceria piuttosto rinomata a Praga dato che i passanti hanno saputo fornire le giuste indicazioni. Una pasticceria molto elegante dove si faceva anche musica suonando il pianoforte accompagnato con canti. Un gioiello incastonato tra il quartiere vecchio e il quartiere nuovo di Praga di fronte ad un vecchio ed elegante palazzo in un intrico di vicoli e strade. L’ultima tappa del tour della città magica non poteva che avere luogo dove batte il cuore pulsante di questo mistero e di questa magia dove tutte le leggende della città si raccolgono come fiaschi di vino in una grande tinozza: i sotterranei di Praga che si estendono per una superficie totale di 90 km al di sotto della città dei quali però solo 5 sono visitabili con l’aiuto di guide specializzate (in questo caso specifico un sardo) lungo un percorso che porta sempre più in profondità, sempre più al buio con sempre meno aria al punto che una ragazza che faceva parte del gruppo di turisti è tornata indietro. Per quanto riguarda Lucica, l’emozione di trovarsi esattamente al di sotto di luoghi già visitati e la curiosità generale erano più forti della paura della profondità, del buio, di eventuali fantasmi che le guide continuamente segnalavano e che avrebbero potuto benissimo esserci davvero visto che nei sotterranei si annidano luoghi (come ad esempio le fondamenta della Praga più antica) che in passato sono stati teatro di vicende noir, drammi, uccisioni e ancora si conservano ossa umane casualmente rinvenute, ossa con le loro storie per la maggior parte sconosciute. Una volta concluso il racconto del viaggio a Praga è venuto il momento di conoscere la leggenda legata alla via dominata dalla grande statua. La leggenda dell’amore fedele Il castello di Praga può essere raggiunto tramite due strade: la via Nerudova e la scalinata nuova. Appena sopra la scala ci sono tre statue, tra le quali campeggia quella della Vergine Maria sopra una colonna. Molto tempo fa nel palazzo Swatzenberg abitava un funzionario molto ricco, ma privo di gentilezza e amore. Egli aveva una sola figlia di nome Elisabetta che, al contrario di lui era tanto bella quanto gentile e buona. Accadde che Elisabetta si innamorò di un ragazzo povero che viveva con la madre in una mansarda di fronte al palazzo. Quando si faceva sera i due si incontravano sotto la statua della Vergine Maria sopra la scalinata nuova del castello. Da qui compivano lunghe passeggiate mano nella mano lungo le strade della città piccola. Era come se i due si fossero sempre appartenuti poiché avevano un carattere molto simile. Purtroppo però il destino non fu loro favorevole, erano divisi da un abisso enorme e dall’ostinazione del padre di Elisabetta il quale, quando la figlia gli confidò chi fosse il suo pretendente si infuriò, non voleva che sua figlia sposasse un povero col rischio che quest’ultimo sperperasse i suoi soldi. Prese così ad invitare in casa molti altri potenziali pretendenti per la figlia, giovani e vecchi, ma Elisabetta non li degnava nemmeno di uno sguardo pensava solo al suo amore. Il padre provò così a ricorrere a promesse e minacce, la fece sorvegliare continuamente e le proibì di uscire dal palazzo. Tutto ciò non servì a nulla. Al tramonto Elisabetta fece un segnale al suo amato accendendo la luce nella sua camera e lui le rispose subito accendendo la luce nella sua mansarda. Elisabetta sgattaiolò dunque fuori dal palazzo e corse sotto la statua della Vergine Maria per incontrare il suo amato. Quando il padre scoprì l’accaduto decise di risolvere la questione in un altro modo. Con l’aiuto di alcuni suoi colleghi funzionari organizzò l’arruolamento nell’esercito dell’uomo amato da Elisabetta. I due amanti si incontrarono dunque per l’ultima volta sotto la statua della vergine Maria disperati perché dovevano dirsi addio. Elisabetta promise al suo amato che lo avrebbe atteso fino al suo ritorno e che nel frattempo non avrebbe mai smesso di amarlo. Ogni sera fino alla fine dei suoi giorni avrebbe atteso dalla sua finestra di vedere il segnale alla finestra del suo amato per potersi poi precipitare di nuovo li sotto la statua e riabbracciarlo. Il giorno dopo il giovane partì alla volta di un Paese straniero ed Elisabetta non sentì più parlare di lui. Di quando in quando Elisabetta portava soldi alla madre del ragazzo anch’essa priva di qualunque notizia riguardo al figlio. Trascorsero gli anni e sia la madre del ragazzo che il padre di Elisabetta morirono. Elisabetta dovette lasciare il palazzo e trasferirsi in un appartamento dal quale però non poteva più vedere la mansarda. Ogni sera si recava dunque sotto la statua della Vergine Maria aspettando di vedere il tanto agognato segnale. Lo faceva sempre in estate, in inverno, col sole, con la pioggia, con il vento, con la neve. Col tempo i suoi capelli divennero grigi e la sua faccia rugosa. Lei non ci badava continuava a recarsi sotto la statua indossando gli stessi vestiti che portava quando si incontrava col suo amato e aspettava. Una gelida mattina d’inverno le guardie trovarono nei pressi della scalinata del castello una vecchina congelata e coperta di neve. Il suo volto era come di marmo e su di esso brillavano due lacrime gia congelate. A fine serata è riuscita ad accorrere anche Simona Duca assessore alla cultura per parlare di un importante compleanno. I 96 anni del monumento ai caduti che ora sta fuori dal municipio, ma originariamente era collocato fuori dalle vecchie scuole elementari. Ha incoraggiato i presenti a compiere delle ricerche riguardo al monumento, ma anche riguardo ai nomi che vi sono impressi a cercare i parenti di quei nostri caduti, se ce ne sono ancora in vita. Una serata questa che si può definire illuminante al termine della quale non è possibile rientrare a casa nello stesso modo in cui se ne è usciti senza sentire il cuore riempito da un bagaglio di storie e conoscenze e acceso da una fiamma che porta a conoscere sempre di più. Antonella Alemanni