armenia-turchia: la diplomazia del pallone

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armenia-turchia: la diplomazia del pallone
ARMENIA-TURCHIA: LA DIPLOMAZIA DEL PALLONE
Domenica 07 Settembre 2008 01:12
di Elena Ferrara
Potenza dello sport. Se una volta c’era la “diplomazia del ping-pong” (con gli americani che nel
1971 sbarcarono in Cina per una partita che segnò, appunto, l’inizio dell’era di una nuova forma
di intese diplomatiche) oggi comincia il periodo della “diplomazia del calcio”. Avviene tutto
nell’antica Armenia che, da sempre “nemica” della Turchia, ha ospitato un’invasione pacifica dei
tanto temuti turchi. Alle spalle c’è il ricordo del 1915 quando gli armeni dell’Anatolia orientale
furono sterminati in quello che è stato poi definito come il genocidio armeno attuato dai turchi (le
vittime furono circa due milioni). E c’è poi l’interruzione delle relazioni politico-diplomatiche dal
1993 a causa delle rispettive rivendicazioni sui confini. Ma ora comincia il disgelo. Ed è un fatto
epocale. Tutto, appunto, per una partita di calcio nella capitale armena che ha visto schierate in
campo le nazionali della Turchia e dell’Armenia. Avvenimento storico perchè le due nazioni
vivono ancora nel clima di una loro guerra fredda, lontane da ogni rapporto diplomatico e con le
frontiere chiuse. L’evento sportivo non è tanto importante per l’esito quanto per l’incontro tra i
leader dei due paesi. Ed eccoli ora gli undici turchi scesi in campo a Erevan contro i colleghi
armeni (battuti con un 2 a 0) per l’incontro valevole per le qualificazioni ai mondiali del 2010 in
Sud Africa. Nella tribuna d’onore, uno accanto all’altro - e anche questo per la prima volta Abdullah Gul, presidente della Repubblica turca e quello dell’Armenia, Serzh Sargsyan. Vuol
dire che le relazioni bilaterali cominciano a trovare un loro campo d’attività in per cercare di
appianare i pesanti contenziosi ancora esistenti tra le capitali, Ankara e Erevan. Ma questo non
vuol dire che sia stata raggiunta un’intesa rilevante. Perchè il governo turco, ancora non
ammette il genocidio.
Pur se la stampa incoraggia un riavvicinamento su temi politici ed economici rilevando che
sono ormai in molti ad auspicare la creazione di un comitato per discutere dei temi storici
riguardanti “la diaspora” degli armeni. E qui va ricordato che già nel 2005 il primo ministro turco
Erdogan suggerì la costituzione di un “comitato congiunto di storici armeno-turchi”, ma il
precedente presidente armeno - Robert Kocharyan - propose allora piuttosto di creare un
“comitato intergovernativo” per ristabilire le relazioni diplomatiche e discutere il riconoscimento
internazionale del genocidio e il risarcimento delle sue conseguenze. Da quel momento però è
sempre muro contro muro. Tutto si è bloccato e la Turchia continua a negare la parola
“genocidio”, come invenzione di chi vuole indebolire la nazione turca.
Da parte sua Serzh Sargsyan si rivolge al turco Gul ricordando che “durante il conflitto sul
Nagorno Karabakh, la Turchia chiuse le frontiere con l’Armenia come espressione di solidarietà
etnica con il turco Azerbaijan. Il deprecabile risultato è che per quasi 15 anni il vitale confine
geopolitico tra Armenia e Turchia é stato una barriera alla cooperazione diplomatica ed
economica. Esso è chiuso non solo per quegli armeni e turchi che volessero visitare il Paese a
loro confinante, ma anche per il commercio, i trasporti e i flussi energetici che vanno da Est ad
Ovest. Da ambo le parti ci potrebbero essere dei possibili ostacoli politici sul percorso.
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ARMENIA-TURCHIA: LA DIPLOMAZIA DEL PALLONE
Domenica 07 Settembre 2008 01:12
Comunque noi dobbiamo avere il coraggio e la lungimiranza di agire ora. Armenia e Turchia
non hanno la necessità di essere perenni rivali e non dovrebbero esserlo. Un futuro più
prospero e mutuamente vantaggioso per Armenia e Turchia è l’apertura di uno storico corridoio
Est-Ovest verso l’Europa, la regione del Caspio e il resto del mondo, sono obiettivi che noi
possiamo e dobbiamo raggiungere”.
Ma non tutto fila liscio, perchè ad Ankara si levano voci di dura protesta. L’opposizione turca
vede la “missione sportiva” di Gul come un cedimento di fronte all’Armenia; CHP (Partito
repubblicano) e MHP (Partito nazionalista) parlano addirittura di offesa all’onore della nazione
turca e di “errore storico”, che avrà ripercussioni nefaste nelle ottime relazioni storiche con
l’Azerbaijan - nazione molto vicina alla Turchia per storia, etnia e lingua - e la Georgia, data la
vicinanza dell’Armenia con la Russia. Ci sono invece valutazioni positive che vengono da varie
parti dell’Europa. In particolare si pronuncia favorevolmente il Commissario europeo
all’allargamento, Olli Rehn, il quale auspica che il passo di Gul sia presto seguito da altri che
conducono ad una normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi. Anche il patriarca armeno
Mesrob II, dalla sua sede a Istanbul, augura che la partita di calcio sia stata un’occasione per
riavvicinare le due nazioni. E anche il primo ministro turco Erdogan appoggia l’incontro sportivo
tra i due Presidenti, vedendovi la possibilità di arrivare ad una “piattaforma per la stabilità e la
collaborazione caucasica”, che dovrebbe inizialmente includere la Turchia, la Russia,
l’Azerbaijan, la Georgia e l’Armenia e poi estendersi anche ad altri paesi confinanti. Evento
straordinario, quindi, quello che ha avuto come teatro un campo sportivo sul quale si sono
fissati gli occhi di milioni di caucasici che hanno guardato non tanto ai ventidue in campo,
quanto ai volti dei due presidenti “nemici”.
Sul campo ci sono stati anche segni di grande distensione. Perchè la squadra armena aveva
deciso di indossare magliette con un nuovo simbolo raffigurante un leone ed una tigre al posto
del vecchio logo nel quale era rappresentato il monte Agri, noto anche come monte Ararat,
situato nella parte orientale della Turchia. Un monte che gli armeni considerano “loro” e ne
hanno fatto, appunto, il simbolo di una rivendicata unità nazionale. Ma l’Arart, quello dell’arca di
Noè, sta dall’altra parte del confine. In Turchia, appunto. Per non dare adito a nuovi e futili
scontri etnici gli armeni di Erevan hanno cambiato maglia, rinunciando al loro tradizionale
simbolo. Qualcosa si muove.
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