programma di sala

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programma di sala
Sala Verdi del Conservatorio
Martedì 17 maggio 2005, ore 20.30
S TA G I O N E 2 0 0 4 • 2 0 0 5
Quartetto Takács
22
Consiglieri di turno
Dott. Enzo Beacco
Avv. Gian Battista Origoni della Croce
Sponsor istituzionali
Con il patrocinio e il sostegno di
Con il sostegno di
FONDAZIONE CARIPLO
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite.
Quartetto Takács
Edward Dusinberre violino
Károly Schranz violino
Roger Tapping viola
András Fejér violoncello
Franz Joseph Haydn
(Rohrau 1732 – Vienna 1809)
Quartetto in do maggiore op. 76 n. 3 Hob.III.77 “Imperatore”
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 – Vienna 1827)
Quartetto n. 16 in fa maggiore op. 135
Intervallo
Claude Debussy
(St. Germain-en-Laye 1862 – Parigi 1918)
Quartetto in sol minore op. 10
Franz Joseph Haydn
Quartetto in do maggiore
op. 76 n. 3 Hob.III.77
“Imperatore”
Allegro
Poco adagio, cantabile
Minuetto (Allegro)
Presto
I sei quartetti op. 76 furono scritti con la consueta velocità nel corso del 1797,
assieme al grande oratorio La Creazione. Due anni dopo Haydn impostò una
nuova serie di sei quartetti, ma riuscì a completare solo i primi due. La composizione del nuovo oratorio Le stagioni lo assorbì però completamente. E quando, nel 1802, pressato dall’editore, riprese il progetto dei quartetti, Haydn si
ritrovò svuotato di energie e incapace di scrivere i movimenti laterali del terzo,
che rimase incompiuto. I due completati furono pertanto pubblicati da Artaria
nel 1802 come op. 77 e l’incompiuto (i due soli movimenti centrali) uscì l’anno
successivo come op. 103. L’op. 76 è dunque l’ultima, organica raccolta di quartetti di Haydn, ovvero la sintesi vera della grande tradizione classica. I suoi sei
pezzi sono tutti giustamente famosi, alcuni gratificati da sottotitoli originali o
apocrifi che ne hanno consolidato la popolarità. Come nel caso del celeberrimo
terzo, da sempre identificato come “Kaiser-Quartett”, il quartetto
dell’Imperatore. Merito del secondo movimento, interamente costruito sulla
melodia dell’inno Gott erhalte Franz der Kaiser (Dio ci mantenga l’Imperatore
Francesco) che Haydn aveva composto nel gennaio del 1797 per celebrare la
gloria del sovrano asburgico. Non è un tema con variazioni in senso stretto, in
quanto il tema in sé non viene mai variato, ma sempre riproposto in sequenza,
alla maniera dell’antico cantus firmus. Cambia solo il timbro perché cambia lo
strumento che lo canta. Dopo l’esposizione che procede per addensamento dello
spessore sonoro, il tema è affidato al primo violino con il solo secondo violino che
intesse un controcanto. Nella seconda variazione, è la voce baritonale del violoncello che canta la melodia; nella terza tocca alla voce tenorile della viola; nella
quarta torna al violino però nel registro più acuto. Le magnifiche variazioni di
timbri trovano la degna conclusione nella ripresa finale, chiusa da una dolce
coda di poche battute. Gli altri tre movimenti fanno da degnissimo contorno a
tanto movimento lento. L’“Allegro” iniziale è uno dei più ampi e complessi mai
scritti da Haydn. Il suo respiro quasi sinfonico nasce dalla forza con cui viene
sviluppato un unico motivo, esposto in presa diretta, generatore di varianti che
servono da poli dialettici interni e che a loro volta introducono nuovi elementi.
Fiorisce così un materiale sufficiente per organizzare ben due sezioni di sviluppo nelle quali convivono episodi in contrappunto stretto e momenti di festosità
rustica. Il “Minuetto” punta sull’eleganza della danza di palazzo e trova nel trio
centrale un momento magico. Il finale “Presto” ha funzione di sintesi dei movimenti precedenti, in quanto ne riprende alcuni spunti tematici per inglobarli in
un turbine di note reso più incisivo dal prevalere del modo minore, in preparazione dell’inevitabile apoteosi finale.
Ludwig van Beethoven
Quartetto n. 16 in fa maggiore
op. 135
Allegretto
Vivace
Lento assai, cantante e tranquillo
Grave ma non troppo tratto, Adagio
Allegro
Non bisogna mai prendere sul serio le opinioni degli autori sulle proprie opere.
Sappiamo bene infatti che ogni creazione artistica vive di vita propria e che, una
volta compiuta, sfugge al controllo di tutti, in particolare di chi l’ha realizzata. E
comunque, gli autori sono di regola pessimi critici, soprattutto di se stessi. La
regola vale ovviamente anche per Beethoven. Le sue biografie sono piene di
considerazioni irriguardose, ai limiti della decenza, sulla qualità di musiche che
per noi sono capolavori insigni. Abbiamo avuto l’occasione di verificarlo a proposito delle (per tutti noi eccellenti) Variazioni in do minore per pianoforte proposte da Radu Lupu in questa stagione («Mia questa infame robaccia? Povero
Beethoven, sei proprio un asino imperdonabile!»). Ripetiamo stasera, citando
quanto egli ebbe a confessare a proposito del suo ultimo quartetto, in fa maggiore op. 135: «Sono scontento, non solo perché è stato difficile comporre questo
lavoro, ma perché sognavo di scrivere qualcosa di ben altro spessore. Quello che
mi è costata, lo potete constatare dal mio Es muß sein. È finita, uffa!»
Beethoven si riferisce ovviamente al motto, anzi alla battuta a domanda e risposta, che ha reso famoso l’ultimo movimento dell’op. 135. Il finale porta la dicitura «Der schwer gefasste Entschluss» (La grave decisione) subito seguita da una
frase a domanda e risposta «Muß es sein? Es muß sein! Es muß sein!» (Deve
essere? Ebbene sia! Ebbene sia!). Domanda e risposta sono tradotte in musica
in modo singolare. Il movimento inizia con un “Grave” pensoso e problematico,
su una cellula tematica ascendente di tre note: è la domanda. Spariti i dubbi,
giunge la risposta: la cellula tematica della domanda viene rovesciata e, da interrogativa, diventa affermativa, anzi perentoria, quasi imperiosa quando viene
ribadita. A questo punto inizia l’“Allegro”, che si snoda con passo convinto e sicu-
ro fino al “pianissimo” della coda conclusiva, che è raccordata al movimento
principale proprio dalla ripresa dell’iniziale botta e risposta. Il testo musicale del
movimento non lascia dunque trasparire alcun speciale disagio da parte dell’autore, se non la normale dialettica di temi contrastanti, armonie avveniristiche,
inserimento di episodi inattesi. Tutte cose a loro modo “normali” nelle opere dell’ultimo Beethoven. L’intero lavoro non mostra nemmeno le fatiche e i tormenti
creativi che sono propri dei grandi quartetti appena terminati. È evidente, invece, la volontà dell’autore di frenare le tante intemperanze dei quartetti precedenti, soprattutto sul piano formale. Torna nell’op. 135 la costruzione nei quattro movimenti della tradizione classica. Pure l'organizzazione interna del materiale musicale sembra voler recuperare antiche simmetrie. Il primo movimento
può infatti essere ricondotto, almeno a grandi linee, allo schema della forma
sonata con esposizione, sviluppo e ripresa impostati su due temi principali. Si
tratta però solo di un'indicazione approssimativa, spesso contraddetta dagli
eventi musicali “strani” che troviamo in questo “Allegretto”. La libertà delle
soluzioni adottate, il frequente ricorso al contrappunto e soprattutto l'evidente
mancanza di contrasto drammatico segnalano in ogni battuta che il concetto
stesso di sonata ha ormai subito una profonda e irreversibile evoluzione. Il movimento successivo, “Vivace”, è una specie di “Scherzo” fantastico, con strane
asimmetrie di ritmo, improvvisi salti del primo violino, cavernosi interventi del
violoncello, formule di accompagnamento ostinatamente riproposte, passaggi
nel surreale e nel grottesco. Il tutto concluso in modo brusco e imprevedibile. Di
sicuro la musica elfica di Mendelssohn nasce da pagine come queste. Il terzo
movimento è uno dei più intimi “Adagio” di Beethoven, scritto con la massima
compattezza ed evitando con cura ogni indebito innalzamento del tono di voce.
In tutto il movimento ricorre un'unica melodia, affidata al primo violino, interrotta da una misteriosa sezione centrale, “Più lento”, ripresa quindi con lievi
variazioni fino alla conclusione, straordinariamente poetica. Il curioso finale cui
si è accennato sopra completa nel migliore dei modi un lavoro tutt’altro che
minore e mal riuscito. È invece uno dei più incisivi e innovativi quartetti per
archi di Beethoven, grazie alla modernità di una scrittura che sarà ampiamente
ripresa nell’ancora lontano Novecento, da Schönberg, Bartók, Stravinskij.
Claude Debussy
Quartetto in sol minore
op. 10
Animé et très décidé
Assez vif et bien rythmé
Andantino, doucement expressif
Très modéré - Très mouvementé
et avec passion
Anche nel quartetto di Debussy il finale gioca un ruolo importante. Ci fornisce
infatti la chiave che consente di capire l’intera struttura del lavoro. Poco dopo l’inizio del “Très modéré”, infatti, Debussy propone in una nuova versione (che
però risulta il vero originale) il “motto” che aveva retto il primo movimento, lo
fa seguire dalla variante che aveva utilizzato per costruire il secondo movimento e via via da altri materiali che (ri)scopriamo familiari. Debussy ritiene che,
prima della elaborazione finale, raccogliere e riassumere le idee principali del
lavoro sia importante e necessario, per se stesso e per gli ascoltatori. Anche
Beethoven aveva fatto così, settant'anni prima, nell'ultimo movimento della
Nona sinfonia, creando un precedente storico. E abbiamo notato che anche
Haydn, proprio nel “Kaiser-Quartett”, ci aveva pensato. Ma le radici della scelta di Debussy sembrano non andare tanto lontano. Il suo primo e unico quartetto per archi si ispira semmai alla forma ciclica sperimentata dal connazionale César Franck. Il quartetto è infatti del 1893, precede il Preludé à l'après-midi
d'un faune e Pelléas et Mélisande; è quasi giovanile e appartiene organicamente al Secondo Ottocento romantico francese che appunto nella Sonata per violino e pianoforte e nella Sinfonia in re minore di Franck aveva trovato i modelli
da ammirare e imitare. Agli omaggi alla «forma ciclica» si aggiungono anche,
nel Quartetto, gli omaggi alla neo-classicità, con spunti fugati e contrappuntistici che nel lessico di Debussy sono una vera rarità. Ma ci sono anche i segni dell'insofferenza del compositore per le regolamentazioni codificate dalla storia,
non importa se e quanto prestigiosa. Tant’è che risulta difficile ricondurre il
primo movimento entro gli schemi della forma sonata classica. Ci sono due temi
abbastanza definiti (e uno è il “motto” che servirà da elemento ricorrente, ciclico, in tutti i quattro movimenti), ma sembrano nascere l'uno dall'altro. Non creano tensioni drammatiche; risolvono la cruciale sezione dello sviluppo in una serie
di variazioni. Nel movimento successivo, Debussy cerca sì la dinamica dello
«Scherzo», ma finisce col mostrare maggiore interesse per il timbro, in uno dei
suoi primi tentativi di trasposizione su complessi strumentali occidentali del
suono orientale del gamelan balinese. Naturalmente è anche l’armonia modaleggiante che dà un sapore “orientale” non solo al secondo ma a tutti i movi-
menti, mentre la finezza della ricerca timbrica consente comunque risultati che
prefigurano il Debussy degli ormai prossimi lavori maturi. Del terzo movimento si noteranno allora le affinità con l’Après-midi d'un faune, con quella pigra
indolenza fatta di soffici movenze di viola e violoncello. Poi il finale, come detto,
riassume e conclude. Il Quartetto è dedicato a Eugène Ysaÿe che, con la sua formazione, fu protagonista della prima e fortunata esecuzione in pubblico. Il successo immediato del lavoro indusse Debussy a cominciare subito la stesura di un
altro quartetto, «in una forma che tenterò di rendere più nobile» (come scrisse
all’amico Chausson che aveva avanzato qualche riserva sul Quartetto op. 10). La
composizione si interruppe però subito, senza nessuna ragione precisa, e non fu
mai più ripresa.
Enzo Beacco
Quartetto Takács
Fondato a Budapest nel 1975 da Gabor Takács-Nagy, Károly Schranz, Gabor Ormai
e András Fejér, il Quartetto Takács ha esordito in ambito internazionale con la
vittoria del primo premio ai concorsi internazionali per quartetti d’archi di Evian
nel 1977, Portsmouth, Bordeaux e Budapest nel 1978 e nel 1981 a Bratislava. Nel
1982 ha debuttato negli Stati Uniti dove risiede attualmente. Edward Dusinberre ha
sostituito Gabor Takács-Nagy alla guida del Quartetto nel 1993, Roger Tapping fa
parte del Quartetto dal 1995.
Ospite regolare delle maggiori sale da concerto e di festival quali Salisburgo, Berlino,
Mostly Mozart, Ravinia, Aspen, Cheltenham, Tanglewood e Schleswig-Holstein, il
Quartetto ha recentemente eseguito in sei concerti l’integrale dei Quartetti di
Beethoven al Lincoln Center di New York, a Los Angeles, Cleveland, Londra, Parigi
e Sydney. Ha inoltre presentato l’intero ciclo dei Quartetti di Bartók a Cleveland,
New York, Londra, Madrid, Siviglia, Valencia e Tokyo. Con l’ensemble ungherese
Muzsikas ha esplorato in una serie di concerti i rapporti tra le melodie folkloristiche
tradizionali ungheresi e le opere di Bartók e Kodály. Ha poi collaborato con
musicisti quali Garrick Ohlsson, Joshua Bell e Richard Stoltzman e il compositore
Su Lian Tan nella prima di Life in Wayang.
Quartetto “in residence” dell’Università del Colorado e del Aspen Music Festival, dal
1988 è “Quartetto ospite” alla Guildhall School of Music and Drama di Londra. Ai
membri del Quartetto è stata conferita la Croce di Cavaliere dell’Ordine di Merito
della Repubblica Ungherese.
Tra le numerose registrazioni del Quartetto ricordiamo i 6 Quartetti di Bartók
(Gramophone Award 1998 e nomination per il Grammy Award 1999) e l’integrale
dei Quartetti di Beethoven appena portata a termine il cui primo volume con i
Quartetti op. 59 e op. 74 ha vinto il Grammy Award e il Gramophone Award per la
migliore incisione cameristica del 2002.
È stato ospite della nostra Società nel 1986.
Prossimo concerto:
Martedì 24 maggio, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Michel Dalberto, pianoforte
Wiener Kammerensemble
(Solisti dei Wiener Philharmoniker)
Il congedo da questa indimenticabile stagione è una vera festa della musica da
camera, nel senso più alto del termine. Ascolteremo due capolavori scritti su
misura per veri appassionati, bravi senza essere professionisti, felici di
incontrarsi e fare musica insieme. Sarà come tornare nella Vienna da poco
restaurata e comunque poliziesca, eppure sempre vivace e gaia degli anni Venti,
nei salotti del violoncellista Sylvester Paumgartner e del clarinettista Ferdinand
Tryer. Per loro Schubert scrisse le meravigliose partiture del Quintetto della
Trota (1819) e dell’Ottetto (1824). Il nostro tempo, purtroppo, non consente più
quelle feste, anche perché riunire in case private tanti bravi “dilettanti” è
davvero impossibile. Eccoci allora felici di accogliere nella nostra Sala Grande i
bravissimi professionisti che vengono dai ranghi della Filarmonica di Vienna. Il
fascino originale della capitale asburgica è assicurato, con in più un tocco
cosmopolita, anzi francese, che ci viene dal pianista Michel Dalberto.
Programma (Discografia minima)
F. Schubert
Quintetto in la maggiore
op. 114 D 667 “La Trota”
(Brendel, Zehetmair,
Zimmermann, Duven,
Riegelbauer;
Ph. Dig. 446 001-2)
F. Schubert
Ottetto in fa maggiore
op. post. 166 D 803
(Ottetto di Vienna
Decca Eclipse
Dig. 448 715-2)
STAGIONE 2005-2006
“Il Tempo”
RINNOVO ASSOCIAZIONI E ABBONAMENTI
La stagione 2005-06 della Società del Quartetto, “Il Tempo”, è stata presentata
questa mattina nel Salone d’Oro della Società del Giardino da Francesco
Cesarini, Antonio Magnocavallo e Harvey Sachs.
Associazioni e abbonamenti per la nuova stagione si possono sottoscrivere in
sede da domani mercoledì 18 maggio a venerdì 22 luglio (ore 10 - 12.30 / 13.30 - 17.30,
nei venerdì di luglio ore 9 - 13.30) e da lunedì 5 settembre dalle ore 10 alle 17.30.
Ai nostri Soci è riservata la prelazione su ogni tipo di abbonamento fino al
23 settembre 2005.
Si ricorda che gli abbonamenti potranno essere sottoscritti solo entro la data
del primo concerto di ciascuna serie.
Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected]