Tra le case di Lodi i segni dei nostri cittadini illustri
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Tra le case di Lodi i segni dei nostri cittadini illustri
III GIOVEDÌ 19 NOVEMBRE 2009 il Cittadino Sezione L e case sono come spugne: as sorbono le vite che ci scorro no dentro e non le lasciano mai scomparire del tutto, nemmeno quando vengono lascia te per lunghi anni a seccare al sole e a sbiadire, come i ricordi, al pas sare del tempo. Ma basta immer gerle per qualche istante nelle ac que della memoria perché le loro stanze riacquistino di nuovo consi stenza e il profumo di chi una volta le aveva abitate torni a solleticarci il naso. Il più tenace è quello del l’infanzia, e quando lo si avverte viene spontaneo alzare la testa e percorrere con gli occhi la facciata, per vedere se accanto al portone o sopra a una finestra c’è una targa che confermi la nascita in quel l’edificio di qualche personaggio il lustre. Al numero 37 di corso Ar chinti ad esempio, dietro a un pe sante portone borchiato e alle pun te in ferro di un cancello, il 5 set tembre 1802 venne al mondo Bassa no Cavezzali, titolare di una stori ca fabbrica lodigiana di prodotti chimici. Anche suo padre Girola mo era nato a Lodi, e stupisce che la targa non ne faccia men zione. A dar ret ta a quanto scrit to nella Biogra fia degli italiani illustri, redatta nel 1835 dal pro fessor Emilio De Tipaldo, Girola mo Cavezzali al meno un accen no se lo sarebbe meritato: per più di trent’anni fu direttore della f ar macia del l’ospedale e du rante la sua car riera mise a punto nuovi processi chimici per l’industria e il settore alimentare che ricevettero il plau so della comunità scientifica inter nazionale, trovando ad esempio il modo di estrarre lo zucchero dal l’uva o costruendo una macchina per la produzione di acido solfori co. «Onorata memoria lasciò di sé il Cavezzali pel suo valor scientifi co ma più onorata ancora per le do ti che in sé accoglieva come cittadi no e come padre di famiglia». Ri masto vedevo dell’amatissima mo glie, scelse di restare accanto ai no ve figli – Bassano compreso anche a costo di sacrificare la carriera, e rifiutando l’offerta di una cattedra a Bologna preferì restare a Lodi, nella farmacia del suo ospedale. Quando Bassano nacque, Girola mo aveva appena concluso vittorio samente una disputa accademica con un professore dell’università di Pavia; la sconfitta arrivò ventot to anni più tardi, e aveva il volto amaro dell’ingratitudine: «Un col po mortale lanciato dalla persecu zione spense anzi tempo la vita di quest’uomo. (…) Si volle mostrare il Cavezzali poco curante se non anzi avverso agli interessi del l’Ospedale; di quell’Ospedale a cui con palese affezione era da lungo tempo addetto». Toccò a Bassano difendere la reputazione della fa miglia, proseguendo quanto intra preso dal padre con determinazio ne e successo. Non ebbe molto tem po a disposizione: Bassano Cavez zali si spense il 6 novembre 1842, a soli quarant’anni. Non una targa ma la ringhiera di un balcone contraddistingue inve ce la casa natale di Tiziano Zalli, il fondatore della Banca Popolare di Lodi. Era nato il 29 novembre 1830 nel palazzo dalle persiane verdi che sorge al numero 17 di corso Ar chinti. Il balcone sopra al portone ha una ringhiera di ferro battuto, al centro della quale si leggono ini ziali GZ. Sono quelle del nonno pa terno Giacomo, patriarca di una numerosa famiglia che, come scri ve lo storico lodigiano Ercole On garo «si era costruita una solida base economica soltanto da due ge nerazioni», proprio grazie all’in traprendenza di Giacomo Zalli, «che da salumiere si era lanciato, con successo, nel commercio del formaggio grana». Suo figlio Gio vanni aveva poi saputo proseguire sulla strada del padre, e quando nacque Tiziano gli Zalli erano di ventati ormai un’importante fami glia borghese. La loro casa è lo specchio di un’agiatezza economi ca in perfetto stile neo rinascimen tale, che incornicia finestre, deco ra portoni e ama l’equilibrio e la simmetria: qui il giovane Tiziano trascorse l’infanzia, da qui ogni mattina usciva per andare a scuo la, al liceo classico cittadino. Pos siamo immaginarlo correre lungo via Solferino, percorrerla quasi tutta e poi girare a destra, in via Giuseppe Verdi. E chissà se qual che volta, prima di svoltare l’ango lo, non si sia imbattuto o scontrato con un altro bambino, più giovane di lui di cinque anni, in procinto di uscire dal portone di casa sua, al numero 60 di via Solferino. In que sto caso con buona probabilità si sarebbe trattato di Carlo France sco Gabba, futuro professore di di ritto e senatore del Regno. La sua carriera fu tanto brillante che la targa posta sulla sua casa natale venne affissa soltanto due anni do I luoghi assorbono le vite che ci scorrono in mezzo e non le lasciano mai scomparire totalmente Bassano Cavezzali, titolare di una storica fabbrica lodigiana di prodotti chimici, nacque al numero 37 di corso Archinti Tra le case di Lodi i segni dei nostri cittadini illustri Viaggio a naso in su cercando le lapidi sulle facciate Il balcone con le iniziali di Giacomo Zalli, nonno di Tiziano, fondatore della Popolare Casa Zalli era in corso Archinti Via De Lemene prende il nome da Francesco, che qui nacque, visse e morì preferì restare in provincia, nella sua casa natale, a tradurre in versi la vivace umanità che ogni giorno, uscendo dal portone, incontrava per via. Poi, nel novembre del 1697, la fatale caduta, dalla quale non riuscì mai a risollevarsi del tutto e che lo portò, sette anni più tardi, alla morte. Ed è ancora una scala a caratteriz zare l’infanzia di un altro perso naggio illustre della nostra città, ma questa volta per nulla insidio sa, anzi, larga e maestosa come La targa che ricorda Carlo Francesco Gabba, professore di diritto e senatore del Regno quella in pietra che sale al primo piano di palazzo Cingia, in corso Roma numero 127. «Quando era bambina Ada Negri si se deva sempre sui gradini assieme alle altre bambi ne del cortile, a giocare o a leg gere qualche sto ria» racconta l’attuale proprie taria. Le bambi ne con cui gioca va la più amata tra le poetesse lodigiane erano infatti le tre bel le figlie dei Cin gia, i padroni di casa, la famiglia presso cui la Il cortile di palazzo Cingia, dove la nonna della poetessa lavorava come portinaia Giuseppina Strepponi nacque in via Verdi, allora via San Vito nonna di Ada la v o r av a c o m e recentemente collocata sotto una fantocci umani che si eccitano, che quegli anni era euforico, la città si portinaia. Loro stavano nel ricco finestra del primo piano, e la me corrono, che si arrampicano, si era appena liberata da una terribi appartamento in cima allo scalone, moria fa suonare al cembalo a cui trascinano, si colpiscono, si na le pestilenza che nel 1630 aveva uc Ada in due stanzette in cima alla sedeva Giuseppina note malinco scondono e riappaiono (…) per cer ciso 500 persone, e Francesco par scala di servizio, che condivideva niche e tristi. Così si sentirebbe lei care di situarsi, mascherati, nel tecipò dell’ottimismo generale svi con la mamma Vittoria e la nonna. se sapesse che la casa in cui nac primo gradino della mascherata luppando un carattere allegro, Nonostante la precarietà della si que è oggi abbandonata; così dove sociale». spensierato, che lo contraddistinse stemazione, Ada Negri ha sempre va sentirsi quando la lasciò per se E fu proprio una scala (ma fatta di per tutta la vita. Rimaneva serio e ricordato con affetto la casa in cui, guire suo padre Feliciano a Trie legno e non di arrivismo) a condur composto soltanto quando si tratta il febbraio 1870, era venuta al mon ste. In questa stessa città Giuseppi re a morte Francesco De Lemene, va di dar retta a padre Francesco do, soprattutto quando fu costretta na fece il suo debutto, ma fu a Mila una “scaletta secreta di casa” su Bovio, il suo primo precettore di a lasciarla, a 18 anni, per andare a no che conobbe Giuseppe Verdi, il cui il poeta scivolò e fece «una ca letteratura, le cui lezioni France lavorare come maestra alle scuole suo futuro marito. Lei era già fa duta sì precipitosa che ascrivo a sco seguiva con particolare atten elementari di Motta Visconti, vici mosa, lui lo stava diventando e vol miracolo il poterla raccontare». zione e profitto, tanto che a 12 anni no a Pavia. Nelle poesie che scrive le affidarle il ruolo di Abigaille alla Eppure quella scaletta avrebbe do già si dilettava in piccole composi rà poi, il profumo del cipresso che prima del Nabucco, nel 1842. Giu vuto essergli famigliare: dal 1634 – zioni poetiche, come la versione in ancora oggi inonda il cortile di pa seppina aveva 27 anni e due figli il anno della sua nascita – fino a quel rima della favola del Guerrin Me lazzo Cingia tornerà spesso ad af legittimi da mantenere, lavorava giorno aveva sempre abitato lì, nel schino. Altri però saranno i poemi, facciarsi ai suoi versi, così come il troppo e le sue corde vocali ne ri palazzo di via Borgoratto, che oggi, i sonetti e le commedie che ne de suono della «campanella d’argento sentirono irrimediabilmente, fino in suo onore, si chiama via De Le creteranno la fama, prima fra tutte del convento qui presso. Voce di a costringerla ad abbandonare il mene. Vi crebbe assieme ai due fra quella Sposa Francesca tanto cara lontana infanzia è in quel fresco palcoscenico da lì a pochi anni. telli più grandi – Alfonso e Luigi – anche ai lodigiani di oggi. Per con tinnire» scriverà Ada, andando Trovò consolazione nel matrimo e la abbandonava soltanto durante tinuare a dedicarsi ai suoi “ozi let con il ricordo a quel tempo in cui nio, accettando con serenità il suo l’estate, per recarsi con tutta la fa terari”, Francesco De Lemene ri portava ancora la «treccia al dorso nuovo ruolo tanto da arrivare, co miglia nella villa di campagna, sui nunciò a una promettente carriera e asciutte gambe di capriola», a me lei stessa scrive in una lettera colli di San Colombano. Quella di politica che lo avrebbe portato, se quella Lodi che seppe allevare, as indirizzata al marito «a guardare Francesco fu un’infanzia dorata: il solo avesse voluto, a ricoprire ruoli sieme al suo, molti illustri talenti. con enorme compassione tutti i clima che si respirava a Lodi in di prestigio a Roma o a Milano: Silvia Canevara Ada Negri ha sempre ricordato la casa dove venne al mondo soprattutto quando fu costretta a spostarsi a Motta Visconti La lapide che commemora Ada Negri po la morte, nel 1920. In ottantacin que anni di vita – era nato il 14 aprile 1835 – Carlo Francesco Gab ba aveva collezionato titoli onorifi ci e ruoli accademici negli atenei più prestigiosi di Europa e Stati Uniti, vinto premi e medaglie, par tecipato a conferenze, scritto libri in svariati volumi nel campo del diritto civile, penale e internazio nale, della sociologia e della filoso fia del diritto. Fondamentale è il suo studio sulla Condizione giuri dica delle donne , pubblicato a Tori no nel 1880, ma, cosa curiosa, tra i tanti trattati da lui redatti spunta no anche delle Considerazioni in torno ai diritti dell’autore di un li bretto d’opera. Curiosa perché a po chi passi da casa sua, in quello che un tempo si chiamava vicolo di San Vito e oggi via Verdi, viveva la regina dei teatri d’opera italiani, Giuseppina Strepponi, nata l’8 set tembre 1815 nel palazzo oggi vuoto al numero 6. «Le case se non le abi ti vanno in rovina» ammonisce una passante osservando la targa