La storia dello sci - parte II

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La storia dello sci - parte II
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
N°28 - PRIMAVERA 2014 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Speciali
La storia dello sci in
Valtellina - parte II:
dagli anni '60 ad oggi
Avventure
Il Grand Tour della
Valtellina
Idee e novità
Geocaching
Mietta Talanti
Una vita sugli sci
Valchiavenna
Sopra Campodolcino
c'era un piccolo lago...
Valmalenco
Con gli sci al monte del
Forno (m 3214)
Alta Valtellina
Cascata di Isolaccia o
cima della Manzina?
Versante Orobico
Le marmitte del Serio
Valmàsino
Pizzo del Ferro
Orientale (m 3199)
Valtellinesi nel
Mondo
Mustang, regno proibito
Natura
Il Pizzaràgn, professione
VI grado.
L'arte
della fotografia
L'iperfocale
Inoltre
Ricette, poesie, foto dei
lettori, giochi, libri ...
La storia dello sci - parte II
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Luisa Bonesio
Perché paesaggio?
A partire degli anni Sessanta del secolo scorso, l’equilibrio ambientale e paesaggistico di lunga durata che si
era creato nel continente alpino, espressione variegata
di culture che avevano saputo interpretare la sfida di un
abitare esposto a molte difficoltà mediante l’elaborazione di una sofisticata intelligenza ecologica e paesaggistica, conosce un progressivo e pericoloso degrado.
Già agli inizi del Novecento nelle Alpi e Prealpi erano
iniziate forme talora invasive di industrializzazione –
si pensi ai distretti lanieri della val d’Agno e del Biellese – e capillarmente la colonizzazione dell’industria
idroelettrica, con la costruzione di una rete di prelievo
dell’energia a favore dei centri urbani e delle industrie
di pianura, destinata con i suoi manufatti più titanici e
invasivi (i bacini e le dighe) a distruggere e riplasmare
ampie porzioni di territori montani incontaminati o
di antiche culture, in cui il ricorso alla trasfigurazione
architettonica “in stile” degli edifici delle centrali aveva
estetizzato l’impatto strutturale del linguaggio tecnicoindustriale sul paesaggio preesistente, in un racconto
talora visionario o ironico della nuova epoca che era
giunta a prendere possesso, anche da questo punto di
vista, delle montagne.
Il regno delle valli e delle vette, in un giro piuttosto
rapido di tempo, subisce l’abbassamento da luogo
numinoso del sublime a piattaforma di rifornimento
energetico delle pianure. Tuttavia non c’è dubbio che,
almeno nelle parti più pubbliche e visibili, le centrali,
inserite spesso in paesaggi di rilevante spessore culturale e antropico, si sia verificato spesso uno sforzo di
eccellenza progettuale, qualità estetica, oculatezza
dell’inserzione paesaggistica, che possono essere legittimamente considerati come una narrazione risarcitiva e
rassicurante della nuova potenza tecnica. Vale la pena
di notare che la pronta accettazione di questi elementi
di distruzione e riconfigurazione artificiale dei paesaggi,
naturali e antropici, si è verificata (e perdura) anche per
i giganteschi invasi artificiali che hanno letteralmente
stravolto i connotati di moltissime valli d’altura, la cui
minacciosità intrinseca, esplicita ostensione del pericolo crescente connaturato alla volontà di potenza della
In copertina: fioritura di Soldanella presso i laghi di Forbesana in
val Viola (11 giugno 2013, foto Giacomo Meneghello www.clickalps.com).
Ultima di copertina: escursionisti su tappeto di crochi all'alpe
Granda (7 aprile 2011, foto Roberto Ganassa). La frase, suggerita
da Eraldo Meraldi, fu incisa da un pastore semianalfabeta
nell’anno 1895 su una pietra infissa nel terreno ad una
cinquantina di metri di dislivello sotto la larga sommità del
monte Ravaianda nell’Appennino tosco-emiliano.
A sx: la monumentale diga ad arco gravità di Frera, costruita tra il
1953 e il 1959, origina il lago Belviso dalla capacità di 50 milioni
di metri cubi (22 giugno 2013, foto Beno).
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
3
tecnica moderna, finisce per costituire una
forma di attrazione turistica (oppure, oggi,
spazio di pratiche ricreative e sportive - corsa,
mountain bike, escursionismo, tuffi, ecc.).
Contestualmente, con il cosiddetto boom
economico le montagne conoscono anche un
mutamento nella percezione dei propri luoghi
da parte degli abitanti, che, a partire dall’incontro con il mondo urbano propiziato dal
turismo e dalla presenza di maestranze addette
alla creazione e alla gestione degli impianti
industriali, oltre che dai nascenti mezzi di
comunicazione di massa, cominciano a considerare inadeguate e arretrate le forme di vita
e di relazione con il territorio intrattenute
tradizionalmente. È in quegli anni che fiorisce
la corsa dei paesi e delle stazioni turistiche a
dotarsi di condomini, palazzi a molti piani,
a riconfigurare l’assetto antico degli insediamenti secondo il modello urbano e le esigenze
della motorizzazione, abbandonando le forme
e i materiali tradizionali dell’edilizia a favore
degli standard già mondializzati. E insieme, nel
patetico e autolesionistico scimmiottamento di
linguaggi costruttivi e pianificatori importati e
stridenti, arriva anche la nuova mentalità del
profitto rapido, legato a un’idea precocemente
massificata di turismo e di espansione edilizia
di pessima qualità, con l’abbandono, dovuto
anche a sentimenti di vergogna per un passato
di fatiche e sobrietà, di quell’etica collettiva
che era manifestazione di consapevolezza
riguardo le condizioni per vivere in armonia
e lungimiranza in territori dalle sfide severe.
Anche se questa dinamica di degrado oggettivo e progrediente dei luoghi delle montagne
italiane conosce qualche rara eccezione come
l'Alto Adige dovuta a circostanze particolari, i
suoi effetti non hanno cessato di incrementarsi
fino ad oggi, fino a smarrire – in molti casi
forse definitivamente – il genius loci, l’identità, comportando parallelamente una progressiva dissoluzione delle comunità. Si tratta
di una attiva corresponsabilità degli abitanti
nella riduzione dei propri luoghi di vita, dei
paesaggi mirabili frutto di sapienza secolare, in
nonluoghi anonimi, informi e distonici.
È in questo contesto critico che fanno la
loro comparsa, negli ultimi anni, fenomeni
minoritari di presa di coscienza del disastro –
ambientale, paesaggistico, identitario, sociale e
anche economico – non certo ancora arrestato,
nella scia dell’epocale cambio di paradigma nel
rapportarsi ai territori costituito dalla Convenzione europea del Paesaggio (2000), espressione
a sua volta di un incontro tra un’esigenza
manifestata dalle comunità locali europee
(di non subire più trasformazioni territoriali
decise senza di loro e la progressiva perdita
4
LE MONTAGNE DIVERTENTI Bormio in una cartolina d'inizio '900: un paese in armonia con le montagne in cui
è inserito (archivio Maurizio Cittarini).
Bormio ai giorni nostri, esempio di consumo del territorio (11 giugno 2013, foto
Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
L'Aprica a inizio '900 (archivio Maurizio Cittarini).
L'Aprica nel 2005. Un tempo gioiello tra le montagne valtellinesi, è ora simbolo
della devastatazione arrecata dall'edilizia selvaggia (foto Franco Benetti).
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI di qualità, espressività e rimuneratività dei
paesaggi, avviati a una fatale omologazione)
e il ripensamento del concetto di paesaggio
prodotto dalla comunità scientifica, come
luogo di vita delle popolazioni ed espressione
della loro identità.
Per queste due divergenti visioni e progetti
del destino dei territori non si danno pari
opportunità di comunicazione, proposta e
azione; e nemmeno, almeno inizialmente, di
ascolto. La dissimmetria delle forze deriva dalla
sproporzione che esiste tra una percezione irriflessa e abitudinaria, vissuta spesso come una
sorta di ovvietà o di destino ineluttabile, e una
visione inedita, critica, un rovesciamento di
prospettiva che deve bucare una spessa coltre
di presunte evidenze.
Un elemento estremamente importante,
in questa divaricazione che spesso sembra
incomponibile, è rappresentato dalla scarsa
disponibilità della classe politica e dei poteri
economici forti, sia per ovvi motivi di difesa
di interessi particolari, sia per un certo grado
di disinformazione e impreparazione culturale.
È solo sotto una spinta importante e in grado
di mobilitare parti significative dell’opinione
pubblica che talora questa contesa sul significato dell’abitare e il destino dei luoghi riesce
a trovare uno spazio di rappresentazione e di
esplicitazione dei rispettivi presupposti, obiettivi, capacità di argomentazione e di mobilitazione etica e affettiva in un confronto la cui
posta in gioco è una durevole qualità di vita
della popolazione e il cui indice più immediato e attendibile è rappresentato dalla qualità
dei paesaggi di cui è responsabile.
Non bisogna infine dimenticare che l’indispensabile coscienza di luogo della comunità
deriva da processi di ri-apprendimento del
linguaggio paesaggistico e dei saperi tradizionali e contestuali: occorre innanzitutto uno
sforzo per colmare quell’insufficienza culturale (ed etica) complessiva che ha portato
all’inconsapevolezza e alla deresponsabilizzazione, rendendoci inermi verso lo
sterminio dei più preziosi beni comuni, il
paesaggio e l’identità.
Anche in Valtellina ci sono segni – per ora
minoritari – di una nuova consapevolezza circa
diritti e doveri nei confronti del paesaggio: uno
straordinario e irriproducibile bene comune,
naturale e storico, in cui si rispecchiano le
sfide dell’identità di un territorio che troppo a
lungo si è mostrato inconsapevole di sé.
Editoriale
5
O
LE MONTAGNE DIVERTENTI
S
I
peciali
tinerari
d’alpinismo
I
tinerari
d’escursionismo
R
ubriche
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
I
Beno
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Giorgio Orsucci
Roberto Moiola
12
Realizzazione grafica
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
58
ValMàsino
Pizzo del Ferro Orientale (m 3199)
88
Valchiavenna
Un lago sopra Campodolcino
110
Valtellinesi nel mondo
Mustang, regno proibito
R
Beno e Giorgio Orsucci
La storia dello sci in Valtellina
Parte II: dagli anni '60 ad oggi
Alessandra Morgillo, Andrea Besseghini, Angela Iemoli,
Beno, Daniele Moncecchi, Dario Fanoni, Dicle, Enrico
Minotti, Eraldo Meraldi, Fabio Pusterla, Flavio Casello,
Francesco Vaninetti, Franco Benetti, Giacomo Meneghello,
Gioia Zenoni, Giorgio Bianchi, Giorgio Orsucci, Giovanni
Rovedatti, Giovanni Scherini, Kim Sommerschield, Luca
Passarelli, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Luisa
Bonesio, Marco Scuffi, Mario Pagni, Marino Amonini,
Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Maurizio Torri, Nicola
Giana, Nicola Giugni, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti,
Roberto Basso, Roberto Moiola, Roberto Ganassa, Simone
Panizza, Stefano Caldera, Vittorio Vaninetti
A
Hanno collaborato a questo numero:
33
Antonio Boscacci
La nascita dello scialpinismo moderno
70
Valmalenco
Monte del Forno (m 3214)
97
Piateda
Le marmitte del Serio
118
Natura
Pizzaràgn, professione VI grado
Avis Comunale Sondrio, Franco Monteforte, Giacomo e
Adriano Trabucchi, Mietta Talanti, la Tipografia Bonazzi,
gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli
sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti
quelli che abbiamo dimenticato di citare.
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151 / 0342 380138
M
Si ringraziano inoltre
37
Stampa
Bonazzi Grafica -via Francia, 1 -23100 Sondrio
Per ricevere la nostra newsletter:
Mietta Talanti
Una vita sugli sci
79
Approfondimenti
Alpe Vazzeda Superiore
102
Approfondimenti
Vino in cambio di demantoide
122
Fotografia
L'iperfocale
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intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
fatto il bonifico è necessario
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- oppure telefonare al 0342 380151 (basta lasciare i dati
in segreteria).
44
Il Grand Tour della Valtellina
127
Le foto dei lettori
136
Giochi
O
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
M
Contatti, informazioni e merchandising
Arretrati
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
S
21 giugno 2014
54
Geocaching
Divertirsi andando in montagna
Primavera 2014
82
Alta Valtellina
Cima della Manzina (m 3318)
LE MONTAGNE DIVERTENTI 104
Alta Valtellina
Pravadina e la stretta del Diavolo
138
Le ricette della nonna
Fiori di robinia
Sommario
7
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
Ausserferrera
3062
2115
Mulegns
3279
3378
Cresta
St. Moritz
Maloja
88
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
Mera
Pizzo Galleggione
3107
CHIAVENNA
Prata
Camportaccio
2459
3032
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Caiolo
Tartano
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio
Foppolo
Carona
Mezzoldo
Cùsio
Piazzatorre
Valtorta
Pasturo
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Cassiglio
Olmo
al Brembo
T. V
enin
a
Premana
Albosaggia
Pizzo Campaggio
2503
Le Prese
Boirolo
Ponte in Valt.
97
Grosotto
Brusio
Monte Masuccio
2816
44
TIRANO
Bianzone
Teglio
Tresenda
Arigna
Carona
Aprica
Còrteno
Gromo
Primavera 2014
Vilminore
Colere
Villa
Pizzo Camino
2492
Vione
Concarena
2549
Ponte
di Legno
Passo del Tonale
1883
Edolo
Adamello
3554
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Saviore
Valle
Capo
di Ponte
Làveno
LE MONTAGNE DIVERTENTI della Valtellina
(Simone Panizza, Andrea
Besseghini e Daniele Moncecchi)
58 Val Màsino
Pizzo del Ferro
Orientale (m 3199)
(Beno)
70Valmalenco
Monte del Forno (3214) (Luciano Bruseghini)
82 Alta Valtellina
Cima della Manzina
(m 3318)
(Giacomo Meneghello)
88Valchiavenna
97Orobie
Monte Fumo
3418
Garda
Paisco
Notte con la bruna
Palü dal Fen e läj de la Marsciüra
(Marco Scuffi)
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Schilpario
Pezzo
Pezzo
Incudine
Monno
Malonno
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
1828
Gandellino
Vezza
d'Oglio
Passo dell'Aprica
Pizzo di Rodes
100
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Cortenedolo
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2618
Fumero
43
Tovo
Lovero
Sernio
Sondalo
Mazzo
43Grosio
Santa Caterina
Le Prese
Adda
Chiuro
Adda
Monte Confinale
3370
Cepina
Grosio
2829
Branzi
Roncorbello
3323
3136
SONDRIO
Tresivio
42
T. Livrio
Albaredo
Tremenico
Bellagio
8
Colorina
Talamona
Bema
Torre
di S. Maria
Postalesio
Berbenno
Castione
Pizzo Scalino
Vetta di Ron
T. Mallero
2845
Verceia
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Dervio
3114
Poschiavo
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
Malghera
Monte Cevedale
3769
82
frana
di val Pola
Eita
San Carlo
Gran Zebrù
3851
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
Cima di Saoseo
3263
T. Fo
ntana
Cima del Desenigo
Sasso Nero
2917
Primolo
Bagni
3678
di Màsino
Pizzo Ligoncio
San Martino Corni Bruciati
Monte Legnone
2610
Lago
di Como
Monte Disgrazia
T. Caldenno
Còlico
Dongo
ra
T. Code
Novate
Mezzola
Lago
di Mezzola
3378
58
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Somaggia
Chiareggio
Cima di Castello
La Rösa
i
od
Lag chiavo
Pos
Pizzo Martello
3308
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
70
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
Cima Piazzi
3439
4050
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Passo del Bernina
2323
Oga
Carnevale 1898
44 Grand Tour
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
T. Roasco
Gordona
Soglio
Castasegna
Prosto
Mese
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
Isolaccia
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
T.
La
nte
rna
Fraciscio
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro 104
Passo del
Foscagno
2291
Solda
Solda
Giogo di Santa Maria
2503
Trepalle
Pianazzo
Campodolcino
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3209
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
42Sondrio
Stelvio
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Le marmitte del Serio
(Nicola Giana)
104Alta Valtellina Cascata del crap de Scègn
(Eraldo Meraldi)
Monte Re di Castello
2889
Niardo
Niardo
© Beno 2013
2011 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
9
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Si comincia a doversi
proteggere dal freddo e dai
ferocissimi ermellini, ma per
fortuna il tratto su neve è poco
ripido. Occorre estrema
abilità per riuscire a
perdersi.
Itinerario invernale adatto a chi si è
appena trasferito in Valtellina da
un'isola tropicale e ha visto il
ghiaccio solo nei cocktail.
Lo spazzaneve per te
non ha più misteri e ti
senti pronto a nuove
esperienze lontane
dagli impianti di
risalita.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15). [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge
occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino.
Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Bello
Anche per uomini larva
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
FATICA
10
Assolutamente sicuro
Un massacro
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sai sciare o sei un manico con
le ciaspole, non hai paura del
dislivello o di brevi tratti ripidi,
ma, se vieni portato al pronto
soccorso, preferiresti avere
al capezzale l'abominevole
uomo delle nevi che tua suocera
inferocita perché perderai giorni
di lavoro!
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
È richiesta una buona conoscenza
dell’ambiente alpino, discreta
capacità di arrampicare
e muoversi su terreno gelato, gamba
sicura su ogni tipo di neve e pendio.
È consigliabile una guida.
Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco
di insidie di varia specie. È facile perdersi, incengiarsi
o prender notte per contrattempo. Nei momenti di
massima tensione arriverai addirittura a sperare di
poter presto ascoltare i rimproveri di tua suocera al
pronto soccorso.
Primavera 2014
Il tuo sogno è farti
lanciar giù dalla nord del
Disgrazia incatenato
a una slitta,
ma non trovi nessuno
che ha il coraggio di darti
la spinta
e così cerchi alternative.
La storia dello sci
in Valtellina
parte II: dagli anni '60 ad oggi
Raffaele Occhi
Acquerello di Kim Sommerschield (www.sommerschield.it).
La storia dello sci
Speciali
LA FEBBRE DELL’ORO BIANCO
Costruzione della funivia Chiesa Valmalenco-alpe Palù
(1964, archivio Funivia al Bernina).
Il primo skilift a Madesimo (1946, archivio Aldo Scaramellini).
Nuove piste di sci sul Vallecetta (1962, foto Rocca).
Prima seggiovia a Bormio (anno 1947, collezione Luigi De Bernardi).
Skilift all'Aprica (anni '50, foto Agostino Corvi).
Anni '70, esercitazione di soccorso sugli sci
(foto archivio Duilio Strambini).
La mitica pista Dosso dei Galli a Caspoggio durante il trofeo Vanoni
nel 1969 (foto Benini).
La mitica pista Dosso Galli durante il trofeo Vanoni nel 1969
(foto Benini).
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Lo sci, col tempo, andò differenziandosi in diversi settori, distinti
convenzionalmente in sci alpino (la
discesa) e sci nordico (il fondo e il
salto), cui si aggiunsero poi lo sci alpinismo, lo snow-board, lo sci estremo…
Il filone principale, che ha riguardato un numero sempre crescente di
persone fino a diventare fenomeno di
massa, è di gran lunga quello dello sci
alpino. Come scriveva già nel 1942
Ettore Castiglioni nella sua Guida
sciistica delle Dolomiti, «ciò che interessa lo sciatore è la discesa: tutto il resto
della gita non ha per lui alcuna attrattiva; si accinge alla salita con quel fatalismo rassegnato, proprio di chi è conscio
della dura necessità che per poter scendere bisogna prima salire. L’alpinista,
per abolire la discesa, ha inventato le
calate a corda doppia; lo sciatore, più
moderno e più signore, per abolire la
salita ha inventato le funivie, le slittovie, le sciovie… e ogni altra sorta di
vie».
Anche in alcune località della
Valtellina, già a partire dalla fine
degli anni ’40, e poi durante i primi
anni ’50, vi fu un certo sviluppo di
impianti di risalita, un po’ primordiali se vogliamo e non propriamente
rispondenti agli attuali requisiti di
sicurezza, di fatto adattando e perfezionando la tecnologia delle teleferiche già utilizzate dai boscaioli per
il trasporto del legname o dai soldati
durante la grande guerra per i rifornimenti al fronte; a Madesimo, ad
esempio, era entrato in funzione nel
1946 uno skilift, allora il più lungo
d’Europa, mentre a Bormio nel 1947
era stata realizzata una “aerosciovia”,
il tutto con tralicci in legno un po’
traballanti sotto la tensione delle funi.
Ma fu a partire dagli anni ’60 che
si scatenò la “febbre dell’oro bianco”
anche in Valtellina; le stazioni di sci,
sebbene non omogeneamente diffuse
nell’intero ambito provinciale (vuoi
per ragioni storiche che di conformazione fisica del territorio), fecero
un salto di qualità, con un’offerta
in termini di impianti, attrezzature e ricettività che, unitamente ad
un’adeguata réclame, le fece entrare
nel circuito turistico nazionale e
internazionale.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Nel contempo, la sempre maggior
diffusione dello sci si portò appresso
un grande miglioramento tecnico
delle attrezzature, frutto di studio,
sperimentazione e investimenti di
mercato. Sono ormai un vecchio
ricordo gli sci degli anni ’50-’60
(rigorosamente in legno di frassino o
hickory con soletta verniciata e lamine
avvitate), quando per definirne la
lunghezza dovevi alzare il braccio e
toccarne la punta col palmo della
mano; così come sono ormai pezzi da
museo i vecchi attacchi Kandahar a
leva o i “formaggini” Marker, e quelle
lunghe cinghie di cuoio avvolte e
strette intorno al collo dello scarpone.
Il nuovo “oro bianco”, dopo l’acqua
degli impianti idroelettrici, è ora la
neve; e lo sci diventa così una quota
rilevante dell’intera attività turistica
sulle Alpi. Una volta si aspettava la
neve per poter trasportare il fieno con
le slitte dai maggenghi al fondovalle;
oggi si aspetta la neve – e quando
non c’è la si produce artificialmente
– per aprire gli impianti e avviare la
stagione sciistica.
Ma in fin dei conti, si chiedeva
il grande alpinista e musicologo
Massimo Mila, «qual è la ragione della
superiorità dello sci, e in genere della
montagna invernale ed estiva, sulle altre
attività sportive? Una semplicissima: lo
sci si pratica in seno alla natura».
LE LOCALITÀ SCIISTICHE
In provincia di Sondrio, lo sviluppo
delle stazioni sciistiche rappresentò la
naturale evoluzione di un percorso di
valorizzazione turistica cominciato ai
primi del ‘900, sfruttando le peculiarità delle singole zone. Anche oggi, così
come in passato, un ruolo preponderante nello sci lo gioca l’alta Valtellina
con i comprensori di Bormio, Santa
Caterina e Livigno; allo stesso tempo,
hanno cercato e cercano di non restare
indietro la Valchiavenna con Madesimo e Campodolcino, la Valmalenco
e l’Aprica, mentre più timidamente si
sono affacciate alla ribalta, chi prima
chi dopo, Teglio con Prato Valentino
e la val Gerola con Pescegallo.
Se da un lato lo sviluppo del turismo
invernale legato principalmente allo
sci di discesa, e solo marginalmente
alle altre discipline, ha costituito un
grosso fattore di crescita economica
diretta e indiretta, dall’altro – come ha
ben sottolineato il professor Alberto
Quadrio Curzio, che di sci se ne
intende – «non ha trovato ancora una
sua identità precisa, un equilibrio tra
l’esigenza di reddito che consuma risorse
e quella di conservazione dell’ambiente
naturale e urbano. In vari casi l’equilibrio è già stato alterato ed il recupero
sarà difficilissimo...». Bisogna dunque
puntare sulla qualità, superare la
monocultura dello sci; «e per qualità
non si intende solo sci e impianti di
risalita, che pure sono essenziali, perché
il turista deve essere attirato e trattenuto
anche con la montagna, l’agricoltura,
l’artigianato, l’arredo urbano, lo stile».
E proprio nel guardare avanti cogliendone gli aspetti positivi, passiamo
in rassegna le principali località sciistiche, con i loro impianti e le loro
piste, il loro contesto ambientale e
i loro campioni, che hanno dato e
danno lustro allo sport valtellinese.
Avviciniamoci a questi luoghi educatamente, come si conviene agli ospiti,
vivendo senza frenesia e con intelligenza il piacere della montagna invernale “in seno alla natura”.
MADESIMO, IL CANALONE
DEL GROPPERA
La tradizione sciistica di Madesimo,
il centro turistico più rinomato della
Valchiavenna, risale a vecchia data.
Non è un caso che proprio sulla strada
per arrivarci, in quel di Chiavenna,
già nel 1905 fosse sorta la fabbrica di
“sci alpini, bastoni da sci in castagno
e bambù, racchette da neve” Persenico (poi ceduta nel 1968 alla Spalding e oggi faticosamente riavviata col
marchio Blossom); una fabbrica che
nei suoi anni migliori, prima della
crisi, vide impiegati ben 660 operai
con la vendita di 40000 paia di sci in
un anno!
Reso celebre da Giosuè Carducci
che vi passava le vacanze estive, e poi
da Zeno Colò che vi diresse la locale
scuola di sci (sorta nel 1938 su iniziativa di Mario Bernasconi, tessera n.
1 dei maestri di sci italiani), Madesimo sviluppò le sue piste da sci sulle
pendici del pizzo Groppera, che,
dagli anni '60 ad oggi
15
La storia dello sci
Speciali
Sciatori a Caspoggio alle prese con la prima rudimentale manovia. Sullo sfondo da sx: il Corno di Braccia, il passo Ventina, il pizzo Rachele e il
monte Disgrazia (foto Fernando Fanoni, 5 gennaio 1964).
1 -Un collegamento funiviario di ben 14 km con la
val di Lei era stato realizzato alla fine degli anni ’50
per la costruzione dell’omonima diga nel bacino
del Reno: consisteva in una teleferica per passeggeri
e un’altra per i materiali che da Campodolcino
raggiungevano il cantiere attraverso il passo di
Angeloga, immortalate sulla pellicola da Ermanno
Olmi nel documentario Un metro lungo cinque.
Sciatori in paziente attesa per utilizzare uno degli impianti dell'Aprica (inizio anni '60, foto Fernando Fanoni).
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI raggiunto nel 1964 da una funivia
(naturale sviluppo della Campodolcino-Motta, promossa da don Luigi
Re nel 1954), permise il collegamento
sciistico con la val di Lei1.
Verso Madesimo, invece, scendeva la famosa pista del “canalone”,
immortalata da Dino Buzzati sulle
pagine del Corriere della Sera nel
1965. Su quella pista per moltissimi
anni si svolse il “Gigantissimo del
canalone”, gara dedicata allo scrittore
bellunese, mille metri di dislivello e
cinque chilometri di sviluppo nella
quale ebbero a cimentarsi nomi celebri
dello sci quali Kristian Ghedina e
Lara Magoni, oltre alle campionesse
di casa Giovanna Gianera, Laura e
Betty Biavaschi.
Di gare, oltre al “Gigantissimo”,
Madesimo ne organizzò tante, con
una particolare attenzione per quelle
dedicate ai giovani, come i “Giochi
invernali dei bimbi”, tenutisi per la
prima volta nel 1966 su iniziativa del
Circolo Sciatori Madesimo, e successivamente ribattezzati “Jugend Cup”:
una gara internazionale che nel corso
degli anni ha coinvolto migliaia di
ragazzi delle nazioni dell’arco alpino,
fra i quali non va dimenticato Pirmin
Zurbriggen che lì conquistò il suo
primo successo internazionale.
Nel parlare di sci in Valchiavenna,
non si può non ricordare la figura
del madesimino Italo Pedroncelli
che gareggiò con la squadra nazionale azzurra per ben tredici stagioni,
conseguendo molte vittorie in gare
nazionali e internazionali, prima di
assumere il ruolo di allenatore, tecnico
e maestro di sci.
Oggi Madesimo, che negli ultimi
anni ha rinnovato buona parte degli
impianti, è ritornata una stazione
d’avanguardia grazie anche alla funicolare sotterranea realizzata nel 1996,
lo “Sky Express”, che da Campodolcino conduce in pochi minuti a
Motta. Da lì non c’è che l’imbarazzo
della scelta tra moderni impianti e
percorsi per tutti i gusti.
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Chi preferisce invece lo sci di
fondo, può cimentarsi con le piste di
Campodolcino e di Fraciscio, o quelle
un po’ più varie ma più impegnative
di Motta.
VALMALENCO, I “TOPOLINI”
DI ROLLY MARCHI
«Incominciamo con un po’ di salame,
proprio di Caspoggio, il mio paese, i
Pegorari vengono tutti da lì. Lei sa dov’è
Caspoggio, dottore? – Veramente no,
risposi con un po’ di imbarazzo». Così
il colloquio in una trattoria milanese
tra un vecchio valtellinese e il protagonista del romanzo di Rolly Marchi,
Le mani dure.
Ebbene, quand’anche all’epoca di
quei fatti Rolly Marchi non conoscesse Caspoggio, negli anni a venire
si rifece alla grande; forse proprio da
quel salame, accompagnato dal clima
familiare della trattoria, nacque il suo
legame affettivo con quel paese della
Valmalenco, che lo portò dapprima
a fondarvi nel 1963 lo Sci Club
Topolino – trampolino di lancio di
giovani talenti valligiani guidati da
Bruno Angelini e dal giovane Mario
Cotelli – e poi a diventarne cittadino
onorario. Insieme allo Sci Club Topolino balzò alla ribalta anche il nome
di Caspoggio; e fu proprio un Pegorari, Ilario, a tener alto il nome della
sua terra imponendosi in una serie di
competizioni sciistiche a livello nazionale e internazionale, vincitore tra
l’altro di dieci discese di Coppa del
Mondo e primo italiano a conquistare
la Coppa Europa. Ricordiamo pure,
fra gli atleti malenchi, Matteo Nana,
tre volte campione italiano in gigante
e slalom.
Se fu Caspoggio a dare il via allo
sviluppo sciistico della valle, con la
realizzazione di una prima seggiovia
nel 1957 e di un secondo tronco fino
a Piazzo Cavalli nei primi anni ’60,
a servizio di piste da sci che ospitarono gare nazionali ed internazionali, fu Chiesa a seguirne di lì a
poco, e ben più in grande, le orme.
Dopo l’inaugurazione nel 1965 della
funivia Al Bernina, che con un gran
balzo di 1100 m porta dal fondovalle alla splendida conca del lago
Palù (pure raggiungibile in seggiovia
da San Giuseppe), dopo la riqualificazione dei diversi impianti a partire
dalla fine degli anni ’90, compresa la
sostituzione della vecchia funivia con
la modernissima “Snow Eagle” che
con la sua cabina da 160 posti è la
più grande d’Europa, Chiesa Valmalenco è andata sempre più affermandosi come stazione sciistica (grazie alla
relativa vicinanza con Sondrio), anche
a scapito dell’apripista Caspoggio che
ha oggi chiuso i battenti.
Non mancano infine le piste da
fondo, sia sul fondovalle di Lanzada
che nella conca del lago Palù, così
come a San Giuseppe o nell’incantevole piana di Chiareggio.
APRICA,
LA “TASSA SULLA PIGRIZIA”
Un tempo, al Palabione, si saliva
faticosamente, sci in spalla o con le
pelli di foca, per poi godersi la meritata discesa (quasi sempre una sola),
fin giù alla piana dell’Aprica. Fu
negli anni ’50 e ’60 (dopo una prima
seggiovia pioniera del 1947) che
anche lì arrivarono funivie, skilift e
seggiovie, così che anche i più pigri,
affrancati dalla fatica della salita, si
lanciarono nel nuovo sport, su e giù
a sazietà. Questi impianti, però, stentavano a smaltire le code, e così il
professor Credaro, con sottile ironia,
sottintese che fosse per gli sciatori
«una specie di giusta tassa sulla pigrizia
il freddo che prendono mentre aspettano
il turno».
Oggi ormai, con impianti completamente rinnovati (Palabione, Baradello e Magnolta) e abbigliamento
termico d’avanguardia, le code non ci
sono più, il freddo non lo si sente, e la
tassa sulla pigrizia la si paga semmai in
altro modo, ad esempio con l’affollamento delle piste.
L’Aprica, che fu tra le stazioni sciistiche capostipite insieme a Bormio e
a Madesimo, vide inizialmente convivere insieme allo sci alpino anche lo
sci nordico, con il trofeo Valligiani o
i campionati italiani di fondo che per
ben tre volte negli anni ’50 si disputarono sulle sue piste; poi, dopo la
prima edizione nel 1957 del trofeo
Vanoni (che successivamente si tenne
per ben 19 edizioni un po’ in tutte
dagli anni '60 ad oggi
17
La storia dello sci
Speciali
L'attrezzatura da sci dei primi anni '60. Le piste non erano battute dal gatto delle nevi ma a scaletta e spesso piene di dossi e irregolarità
(foto Fernando Fanoni - tratta dal volume Antonio Boscacci (a cura di), Cinquant'anni di fotografie in Valtellina. Dall'archivio Fernando Fanoni,
CAI Valtellinese, Sondrio 1992).
le località della provincia), l’Aprica si
votò quasi interamente alla discesa,
dapprima ospitando i campionati
italiani assoluti di sci alpino nel 1960,
seguiti da quelli del 1974 sulle piste
del Palabione e del Baradello (dove
nel frattempo era stata costruita una
nuova cabinovia), poi mettendosi
in luce a livello internazionale con
Coppa Europa e Coppa del Mondo
femminili, Coppa Europa maschile e
World Series. L’Aprica è stata inoltre
la prima località in Lombardia a ospitare la Coppa del Mondo di sci alpino
femminile nel 1976 e maschile nel
1981.
Su quelle piste crebbero, nel vivaio
di giovani dello Sci Club Aprica
(nato nel 1927), atleti di spicco come
Umberto Corvi negli anni ’60 e
Ivano Corvi negli anni ’80, seguiti
nel decennio successivo da Erika
Della Moretta e Max Polatti.
L’Aprica, che a suo tempo aveva
messo da parte lo sci di fondo (anche
perché ormai l’ampia sella di valico
era stata quasi completamente occupata da case e alberghi), lo ha recentemente riscoperto, proponendo agli
appassionati le piste di pian Gembro e
Trivigno sul versante solatio della valle
di fronte al Palabione.
TEGLIO,
L’IMBARAZZO DELLA SCELTA
Il professor Credaro, andando alla
spigola per la Rezia minore2, giunto in
quel di Teglio scrisse: «Se mi domandaste perché si va a Teglio, vi risponderei
senza esitare: per vedere in un panorama maestoso tre quarti della Valtellina dalla "torre de li beli miri" oppure
per mangiare i pizzoccheri. Ma se poi
ancora mi chiedeste quale prevalga delle
due attrattive, sarei molto imbarazzato
a rispondere. A complicare le cose hanno
fatto poi a Teglio una grande funivia
che porta in alto verso il Combolo e apre
a quella che era fino a ieri una villeggiatura di media quota anche le possibilità
dell’alta montagna».
Quella funivia, che inseriva anche
la possibilità dello sci nell’imbarazzo
dell’ipotetica scelta, era stata realizzata nel 1961 quando Teglio, non
Discesa dal Masucco, nel comprensorio sciistico di Oga - San
Colombano - Isolaccia (25 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello).
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le piste della Costaccia a Livigno
(5 marzo 2013, foto Giacomo Meneghello).
2 -Bruno Credaro, Rezia minore, Banca Piccolo
Credito Valtellinese, 1961
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI volendo esser tagliata fuori dai benefici del turismo invernale rispetto
alle più importanti località della
provincia, lanciò l’area sciistica di
Prato Valentino; insieme ad uno
skilift, restò in esercizio fino agli anni
’80, quando vennero entrambi sostituiti da più moderni impianti che
salgono fino a m 2340 sulle pendici
del monte Brione. Rimasti poi chiusi
per sette anni, gli impianti sono stati
riaperti nella stagione invernale 20122013. Certo, l’esposizione a sud può
comportare problemi di innevamento
delle piste, ma per contro permette di
sciare sempre al sole su un versante
panoramico senza pari.
Se dunque dovessimo fare una
scelta? Meglio un mix da assaporare
a fondo e senza frenesia: prima una
bella sciata a Prato Valentino, poi un
buon piatto di pizzoccheri e infine
una visita al paese di Teglio “città
slow” con i suoi palazzi, la sua storia,
i suoi panorami.
BORMIO, MONTAGNE TERRIBILI
PIENE SEMPRE DI NEVE
«In testa alla Valtolina è la montagna
di Bormi. Terribili piene sempre di neve;
qui nasce ermellini». Già Leonardo da
Vinci, nel Codice atlantico, evocava
dunque per Bormio neve ed ermellini; “ermellini” che ritroviamo nell’omonima pista tra la Rocca e il Ciuk
sulle pendici del Vallecetta, dove si
svilupparono i primi impianti di sci
del Bormiese.
Risale al 1947 la prima seggiovia
da Bormio al Ciuk, anzi “aerosciovia
a seggiolini” com’era chiamata,
un impianto piuttosto artigianale
con piloni in legno un po’ traballanti, assemblato da un artigiano di
Valfurva. L’ammorsamento dei seggiolini alla fune lasciava un po’ a desiderare, al punto che – come ricordava il
dottor Rovaris – «tante volte i seggiolini scivolavano indietro e bisognava
mettere avanti i piedi per fermarli ed
evitare che ti venissero addosso». Un
incidente mortale, nonché successivi
scarrucolamenti della fune in sede di
verifiche ministeriali portarono alla
chiusura dell’impianto.
«L’avvenire di Bormio come stazione
invernale è legato all’attuazione della
funivia», aveva preconizzato già
anni addietro l’ingegner Lombardini, professore di matematica di
tanti bormini. E la funivia BormioCiuk venne finalmente realizzata nel
1955, seguita nel 1961 dalla seggiovia
Ciuk-La Rocca e dagli skilift Valbella,
Laghetti e Zio Gen.
Nei primi anni ’60 fu fondata la
prima scuola nazionale di sci diretta
da Gino Seghi; contemporaneamente, dalle ceneri dello Ski Club
Bormiese sorto nel 1920, riprese vita
lo Sci Club Bormio, che diede una
carica di entusiasmo giovanile – per
usare le parole di Rolly Marchi – a
«quei tremendi maglioncini rossi che
si vedono sfrecciare come bolidi sulle
piste della Praimont, dei Laghetti,
degli Ermellini, della Rocca, del Ciuk e
quante altre ce ne sono, a capofitto fino
a Bormio».
E fra quei “tremendi maglioncini
rossi” che si affermarono poi sulle
nevi, vogliamo ricordare almeno il
nome di Bruno Confortola detto
“Ciondolino”, vincitore di un gran
numero di gare fra cui il Trofeo Topolino 1965 nella categoria ragazzi.
Le tante vittorie non gli fecero però
montare la testa: «prima lo studio
– affermò – e poi lo sci, oggi sciare è
bello ma si deve studiare per l’avvenire». Divenne medico, senza tradire
la passione per lo sci; ma a tradirlo
fu invece proprio lo sci, quando una
slavina nel vallone del Vallecetta se lo
portò via ancora giovane.
Lo Sci Club Bormio era agonismo,
certo, ma anche divertimento. Trasferimenti in pullman sui luoghi delle
gare (alle prime curve echeggiava
sempre la richiesta “sachét!” per i più
deboli di stomaco), una volta addirittura accompagnati dalla banda civica;
quantunque poi la sera non sempre si
fosse ligi alle raccomandazioni degli
accompagnatori, fra le porte il giorno
dopo tutti davano il meglio di sé.
E visto che si parla dello Sci Club,
vogliamo qui ricordare un’avventura accaduta al suo storico segretario, Piermarino Pedranzini. Era
andato a sciare d’estate allo Stelvio,
e aveva raggiunto il Cristallo con gli
sci. Scendendo poi lungo la cresta
verso il Sasso Rotondo, a un certo
punto una cornice di neve su cui si
era trovato inavvertitamente a passare,
dagli anni '60 ad oggi
19
La storia dello sci
Speciali
Sopra le nuvole risalendo verso Bormio 3000
(30 gennaio 2012, foto Giacomo Meneghello).
aveva ceduto sotto il suo peso, e lui
era precipitato per una cinquantina
di metri verso la val Zebrù, fermandosi a testa in giù grazie agli sci incastratisi in un canalino roccioso. Il suo
primo pensiero, dopo aver realizzato
di esser vivo ed incolume, andò ai suoi
sci nuovi di zecca; e quando dall’alto
gli calarono finalmente una corda
per trarlo in salvo, prima fece recuperare gli sci, poi se stesso. Dal Sasso
Rotondo, come nulla fosse accaduto,
calzò nuovamente gli sci e ritornò allo
Stelvio.
Oggi Bormio, con un gran numero
di impianti di risalita e una varietà
di piste per tutti i gusti che vanno
dai m 3000 della cima Bianca fino ai
m 1200 del paese passando per
Bormio 2000 (la gran parte in
comune di Valdisotto), è una tra le
più rinomate località sciistiche delle
Alpi.
Le sue piste, che fin da lunga data
hanno ospitato competizioni internazionali come il trofeo Giacinto
Sertorelli, hanno visto crescere sciatori di successo come i fratelli Aldo
e Stefano Anzi, figli del Nani del
Ciuk, Fernando e Renato Antonioli e, in anni più recenti, Franco e
Luigi Colturi, Danilo Sbardellotto
e Roberta Berbenni. Non si può
infine dimenticare la figura genuina
e carismatica di Oreste Peccedi, per
lunghi anni allenatore della squadra
nazionale di sci; «rispettare tutti,
non temere nessuno»: con questo suo
motto di saggezza montanara portò la
“valanga azzurra” ai mille successi che
conosciamo.
Altre manifestazioni sciistiche di
primissimo piano si sono tenute
a Bormio negli ultimi decenni: le
World Series nel 1977 e nel 1982, poi
i Campionati del Mondo di sci alpino
nel 1985 (in occasione dei quali venne
realizzata la pista Stelvio), e l’edizione
degli stessi del 2005 accompagnati da
costosissimi investimenti, molti dei
quali quantomeno discutibili e poco
rispettosi del territorio.
Lo skilift di Plaghera a Santa Caterina Valfurva
(6 febbraio 2013, foto Giacomo Meneghello)
SANTA CATERINA, UN ANGOLO
DI PARADISO IN VALTELLINA?
Gli impianti di Madesimo (19 febbraio 2011, foto Francesco Vaninetti).
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gli impianti di Prato Valentivo corrono sulle solatie pendici meridionali
del monte Brione (25 gennaio 2014, foto Beno).
Primavera 2014
“Saures Wasser, künstlicher Schnee”
– “acqua ferruginosa, neve artificiale”
LE MONTAGNE DIVERTENTI – è il titolo delle pagine dedicate a
Santa Caterina Valfurva da Ursula
Bauer e Jürg Frischknecht, giornalisti di Zurigo, nel loro volume del
1997 Veltliner Fussreisen (A piedi in
Valtellina).
All’acqua forta della fonte, ricchezza
di ieri, Santa Caterina (come altre
località) ha voltato le spalle; alla neve
invece, ricchezza (ma anche ubriacatura) di oggi, ha più che spalancato
le porte, lanciandosi totalmente nello
sviluppo del turismo invernale.
La slittovia di Plaghera che ritroviamo in qualche vecchia cartolina è
ormai preistoria rispetto agli impianti
che man mano ne hanno preso il
posto, da quelli dei primi anni ’60
della Società Montagne di Valfurva
che raggiungevano Plaghera e successivamente la cresta del Sobretta, fino
a quelli completamente rinnovati per
le gare femminili dei Campionati del
Mondo di sci alpino del 2005 (già
ospitati nel 1985).
Oggi una cabinovia in due tronchi ti
porta rapidamente da Santa Caterina
a Plaghera, e da lì alla valle dell’Alpe
inondata di sole, offrendo una serie di
piste e numerosi altri impianti un po’
per tutti i gusti.
Su quelle piste si sono fatti le ossa –
sulle orme vittoriose dei Compagnoni
e Confortola che li hanno preceduti
– i nuovi campioni forbaschi che si
misero in luce in competizioni nazionali ed internazionali: Giuseppe
Compagnoni e Tino Pietrogiovanna a cavallo tra gli anni ’60 e ’70,
seguiti negli anni ’80 e ’90 dalle stelle
di Pietro Vitalini e soprattutto di
Deborah Compagnoni. Quest’ultima, che ancora sedicenne nel 1987
aveva vinto i mondiali juniores di
slalom gigante, chiuse la carriera con
ben 6 medaglie d’oro tra Olimpiadi
e Campionati del Mondo, oltre a 16
vittorie in Coppa del Mondo.
Santa Caterina, non solo discesa. Vi
è anche una bellissima pista da fondo
che si snoda alle falde del Sobretta e
del Tresero, ha ospitato i Campionati
del Mondo di sci nordico del 1985,
oltre a numerose gare di Coppa del
Mondo; è lì che, sotto la guida di
Benito Moriconi, si allenava Manuela
Di Centa.
Ma com’è Santa Caterina oggi?
Intervistata da Franco Brevini, poco
prima dei Mondiali 2005, Deborah
Compagnoni affermava: “Il mio
sogno è un paese senz’auto, una piccola
Zermatt della Valtellina”. Chi va a
sciare ricerca certamente l’ebbrezza
sportiva, ma anche la bellezza dei
luoghi e del paesaggio, un ambiente
accogliente. Purtroppo, con le ferite
inferte dagli ultimi mondiali e da una
scarsa sensibilità ambientale (basti
pensare a quel biglietto da visita
costituito dall'inconcluso parcheggio
multipiano e dall’impianto di teleriscaldamento sulla riva del Frodolfo
all’ingresso del paese), la distanza
da Zermatt si fa sempre più grande.
Ma, forse, la rotta può essere almeno
in parte corretta. E allora, perché
non sperare che Santa Caterina torni
ad essere – senza rinunciare ai benefici del turismo ma valorizzando in
modo intelligente le risorse del luogo
– quello che era considerato un tempo
“un coin de paradis en Valteline” (un
angolo di paradiso in Valtellina)?
dagli anni '60 ad oggi
21
La storia dello sci
Speciali
OGA E ISOLACCIA, SULLE SPALLE
DI SAN COLOMBANO
Se è vero che San Colombano,
da patrono dei motociclisti qual è,
d’estate guarda con benevolenza giù
dalla montagna cui ha dato il nome
verso le due ruote che sfrecciano sulle
strade di Livigno o dello Stelvio, è
altrettanto vero che d’inverno – sarà
per il colore della colomba che porta
sulla spalla, candida come la neve –
guarda giù con pari benevolenza verso
gli sciatori che scodinzolano sulle piste
di Oga o di Isolaccia.
Un tempo, quando non c’erano che
le pelli di foca, erano pochi quelli che
salivano a raggiungere la cima o anche
solo la chiesetta di San Colombano,
per poi tuffarsi giù in val Lia verso
Isolaccia. In seguito, quasi satelliti
di Bormio 2000, sono sorti i primi
impianti – gli skilift delle Motte e del
Forte d’Oga – grazie ai quali ti potevi
godere il sole fin dal primo mattino su
piste un po’ meno affollate. Ma il San
Colombano, dopo un po’, ha voluto
affrancarsi dalla tutela di Bormio e
così, con il rinnovo/ampliamento
degli impianti di Oga in Valdisotto
sul versante orientale e la realizzazione
di quelli di Isolaccia in Valdidentro
sul versante settentrionale, seggiovie
e skilift tra loro collegati che salgono
fini ai m 2550 del dosso le Pone, ha
preso vita il comprensorio sciistico del
San Colombano. Sciare lassù, soprattutto quando ti affacci sulla val Lia ad
ammirare la nord della cima Piazzi,
è un po’ come volare sulle ali della
colomba bianca di San Colombano.
A differenza di Oga, Isolaccia offre
anche splendide piste da fondo, che si
snodano nel fondovalle, costeggiano il
Viola fra gli ontani, salgono fino alle
Motte, per poi far ritorno attraverso
boschi di abeti: vere piste da sogno
dove si sono svolte numerose competizioni nazionali e internazionali.
Notte di luna piena sulle piste di Pescegallo (10 gennaio 2012, foto Roberto Ganassa).
Il Livrio e le piste da sci dello Stelvio (31 ottobre 2011, foto Giacomo Meneghello).
LIVIGNO, OLTRE LO SPARTIACQUE
Il freeride è l'ultima moda dello sci. Viene praticato utilizzando sci molto larghi e scendendo su tracciati di neve fresca dopo aver effettuato la salita
sfruttando perlopiù gli impianti. In fotografia la guida alpina Giuliano Bordoni a Santa Caterina Valfurva (28 dicembre 2013, foto G.Meneghello).
Potrebbe sembrare strano che lo
sviluppo di Livigno quale stazione
sciistica sia arrivato tardi rispetto ad
altre località, ma non bisogna dimenticare l’isolamento in cui si trovava un
tempo quell’alta valle (ragione della
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
zona franca extradoganale), le cui
acque non scendono verso l’Adriatico ma se ne vanno invece ben più
lontano, ad alimentare addirittura il
mar Nero. La strada di collegamento
con Bormio fu costruita nel 1914; ma
fu solo dal 1952 che divenne transitabile anche d’inverno.
Rotto l’isolamento, già l’anno successivo Livigno realizzò il suo primo
impianto di risalita, promosso dal
Comitato Gare Livigno riadattando
una struttura installata in precedenza
a Montespluga. Non fu che l’inizio;
con la costituzione della Livitur, nel
dicembre del 1959 entrarono in
funzione i due tronchi dello skilift
Mottolino; nel contempo, su iniziativa
di Ludovico Cusini e Stefano Sertorelli,
nasceva la prima scuola di sci.
Una pietra miliare nello sviluppo
turistico e sciistico della valle fu l’apertura nel 1968 del tunnel della Drossa,
al termine dei lavori della diga di Punt
dal Gall, frutto di una visione lungimirante del sindaco Gianvittorio Vittadini; Livigno aprì le sue porte verso i
paesi del centro Europa, così da poter
essere agevolmente raggiunta anche
d’inverno da frotte di stranieri.
La neve generalmente a Livigno non
manca, tant’è che il suo nome sembra
derivi da labineus, “luogo soggetto a
smottamenti e scorrimenti di neve”:
toponimo sicuramente appropriato, se
pensiamo all’inverno del 1951, quando
a seguito di eccezionali nevicate una
terribile valanga travolse le case del
Doss facendo 7 vittime. Oggi sono
state realizzate molte opere a difesa dalle
valanghe, e quindi la neve è solo una
benedizione per lo sci. Sci di discesa,
certamente, con una trentina di modernissimi impianti (telecabine, seggiovie e
skilift) e piste distribuiti sia sul monte
della Neve sopra il passo d’Eira che
sulla vetta Blesaccia, fino a m 2800,
ma anche sci di fondo nel lunghissimo
corridoio del fondovalle, percorso ogni
anno a dicembre dalla Sgambeda, maratona internazionale F.I.S. di gran fondo:
42 km in stile libero.
Livigno ha sfornato sciatrici e sciatori di grande livello come Daniela
Zini, Giorgio Rocca (undici vittorie
in Coppa del Mondo) e la fondista
Marianna Longa. Nel 1975, inoltre,
Livigno ha ospitato l’ottava Universiade invernale.
PESCEGALLO, LE NEVI DEL BITTO
Un tempo, in val Gerola, si cavava
il ferro dalla montagna, poi si è incanalata l’acqua nelle condotte idroelettriche e ha cominciato a far capolino
il turismo. Il Bitto lo si produceva da
sempre, così come da sempre cadeva
abbondante la neve. Proprio grazie a
quest’ultima, alla bellezza dei luoghi e
alla intraprendenza di alcune persone,
nei primi anni ’60 si è sviluppata la
piccola stazione sciistica di Pescegallo:
una seggiovia e uno skilift (recentemente rimodernati), che permettono
di salire fin nei pressi della bocchetta
di Salmurano sui confini con la Bergamasca. Certo si tratta di un piccolo
comprensorio che non può di sicuro
competere con altre ben più note località sciistiche valtellinesi; per contro, la
sua vicinanza con Morbegno ed il suo
carattere semplice lo rendono attraente a chi cerca un luogo tranquillo in
un contesto più raccolto e familiare.
Sulle piste di Pescegallo, dove ogni
anno si svolge il “Granprix Valgerola”
di slalom gigante, sono cresciute le
sorelle Elena e Irene Curtoni, entrate
a far parte della squadra nazionale
italiana di sci. Poco prima di Pescegallo, nella piana di Fenile, vi è invece
una pista da fondo che corre lungo il
torrente Bitto.
Se allo sci si abbina una buona fetta
di Bitto, di quello originale prodotto
localmente (riconosciuto “Presidio
Slow Food”), e si completa magari la
giornata con un tuffo nell’ecomuseo
della val Gerola e una visita alla camera
picta di Sacco con l’affresco dell’homo
salvadego, allora sarà certamente una
giornata spesa bene.
SCIARE D’ESTATE
Neve, non solo d’inverno. Coi tanti
ghiacciai che la natura ci ha regalato, sarebbe stato strano che nessuno
pensasse di andarcisi a divertire anche
d’estate con gli sci, prolungando così
artificialmente la stagione invernale.
Ed ecco che già degli anni ’30 si
è cominciato a sciare d’estate allo
Stelvio, sui ghiacciai del Livrio e del
Cristallo; poi, a partire dagli anni ’50
sono sorti impianti e scuole di sci,
una addirittura fregiatasi del titolo di
dagli anni '60 ad oggi
23
La storia dello sci
Speciali
Giorgio Gemmi e Giuseppe Cederna: tandem su sci da fondo alla pista della Castellina a Sondrio (1985, foto archivio Giorgio Gemmi).
“università dello sci”, nella cui struttura
ricettiva Giuliana Pirovano Boerchio
usava riservare una stanza espressamente per Dino Buzzati. Ancor oggi
lo Stelvio, la più grande stazione di sci
estivo d’Europa, è un richiamo per gli
appassionati della neve ad ogni costo
così come per le squadre agonistiche
delle varie nazioni che quassù vengono
ad allenarsi; e vi è addirittura una pista
da fondo, che riporta alla mente la
famosa “Staffetta dello Stelvio”. Ma si
sciava, e si è sciato fino ad anni recenti,
anche sul ghiacciaio del Cevedale, alla
Casati, così come sotto il Bernina sul
ghiacciaio di Scerscen, dove negli anni
’60 erano stati realizzati una strada
sterrata di collegamento col fondovalle
a San Giuseppe, un albergo-rifugio
e uno skilift, il tutto abbandonato a
inizio anni '903.
INVITO ALLO SCI ALPINISMO
Attrezzatura storica: a sx sci finlandesi da trattare con la pece per
renderli scorrevoli e a dx gli Spalding a doppio attacco (foto G. Gemmi).
Gara notturna di fondo ad inseguimento presso la pista della
Castellina a Sondrio (dicembre 1985, foto Massimo Rossettini).
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI STORIE DI FONDO (di Giorgio Gemmi) - Nel 1985 l’allora sindaco di
Sondrio Alberto Frizziero e alcuni appassionati fondisti dei CAI avevano
voluto realizzare, anche grazie alle abbondanti nevicate, un anello di
fondo in località Castelletto dell’Adda sfruttando il tracciato di cross
già esistente. Furono acquistate attrezzature per la neve artificiale e per
tracciare i binari ma poi, arenatosi il progetto, sono state dimenticate nel
deposito delle scuole in via Vanoni e mai più sfruttate.
Tornando al 1985, si era vista una grande partecipazione e tanto
entusiasmo attorno alla nuova pista di fondo del capoluogo. A Carnevale
io e il mio amico Giuseppe Cederna abbiamo montato su un paio di sci
costruiti a Gordona due coppie di attacchi e in quella guisa abbiamo
girato in tandem sull’anello. Serviva grande coordinazione!
L’idea, devo ammetterlo, era stata proprio di Giuseppe, atleta e
appassionato di fondo scomparso il 31 marzo del 2001 cadendo in un
crepaccio del Morteratsch.
Tanti se lo ricordano per la simpatia, l’empatia, la continua voglia di
crescere, il comunicare le esperienze, insegnare agli altri le cose che
apprendeva. Io lo avevo conosciuto intorno agli anni '80 quando lavorava
nel negozio "Omniasport" in via Vittorio Veneto a Sondrio; in seguito
ci siamo ritrovati assieme sull’anello tracciato a Caiolo nella zona dove
adesso c’è l’avio-superficie. Era una domenica del 1982 e si correva
il famoso “Trofeo Morelli”. Entrambi ci eravamo iscritti sapendo di
arrivare ultimi, ma per noi era bello partecipare gomito a gomito con
i campioni. A una paio di chilometri dal traguardo eravamo insieme e
Giuseppe, stremato, voleva ritirarsi; allora ho aperto il mio marsupio
e ho estratto due cubetti di bresaola : «Prendine un po’ e vedrai che
arriviamo a tagliare il traguardo!». E così fu. Da allora è iniziata una
bella amicizia. Nelle sere d'inverno si andava a far fondo sulla nuova
tangenziale di Sondrio, non ancora aperta al traffico, oppure, dopo le
forti nevicate che capitavano nel capoluogo, si facevano due o tre ore
di sciata in giro per la città! Giuseppe aveva anche stretto una forte
amicizia con gli atleti della nazionale di sci di fondo e, grazie anche al
commissario tecnico Vanoi, li invitava a partecipare alla gara di skiroll
Sondrio – Triangia – Ligari. C’erano tutti i fondisti più importanti
dell’epoca; ricordo che nell’ultima edizione era presente l’ex campione
olimpionico Johann Mühlegg al quale cercavamo di insegnare il nostro
dialetto. Ecco perché mi fa piacere ricordare di essere stato insieme a
Giuseppe su quel paio di sci larghi 4 cm a divertirci e far divertire: per
noi era sempre Carnevale, come quando andavamo in maschera in
Engadina e facevamo piangere dal ridere le guardie di frontiera svizzere!
Primavera 2014
Oltre alla discesa su piste spesso
affollate dove magari nemmeno ti
guardi intorno, preso dalla frenesia
di sfruttare al massimo il giornaliero,
oltre al fondo su anelli più o meno
vari ma comunque sempre predisposti
dalla mano dell’uomo, cos’altro ti può
offrire lo sci? «È augurabile – scriveva
Massimo Mila nel 1960 – che almeno
qualcuno fra i baldi giovanotti che la
domenica sfrecciano più o meno sicuri
sulle piste battute e servite da mezzi
meccanici di risalita, provi un bel giorno
il desiderio di vedere che cosa c’è oltre
quelle solite montagnole, e, modificato un
poco il proprio equipaggiamento, fissate
sotto gli sci le pelli di foca, cominci a
inoltrarsi con le proprie forze nel magico
scenario della montagna invernale. A
risalire le valli dal mutevole paesaggio,
facendo uso della propria intelligenza (o
istinto?) per cercarsi i passaggi migliori.
A buttarsi giù dall’altra parte di un
colle per un lenzuolo immacolato, dove
le code degli sci sollevano nuvole di neve
polverosa a ogni curva ».
Se lo sci di discesa, legato all’affrancamento dal lavoro della salita,
può essere in un certo senso paragonato ad un prodotto industriale,
è bello immaginare lo sci alpinismo
come un prodotto artigianale, stretta3 - Vedi: Eliana e Nemo Canetta, Rifugio Entova
Scerscen, LMD n.25 Estate 2013, pagg. 80-83
LE MONTAGNE DIVERTENTI mente legato alla creatività, sensibilità
e curiosità di chi lo pratica. Certo, è
necessaria un po’ più di preparazione,
è richiesto un po’ più di sacrificio, ma
la scoperta di itinerari fra i boschi,
nelle valli, sulle cime lontani dall’affollamento delle piste, l’immergersi
nella natura senza frenesia gustandosi
ogni momento della giornata, saranno
tali da appagare profondamente i suoi
adepti: “glielo si legge negli occhi, nell’espressione del volto, nel colorito, nel modo
di comportarsi, e tra loro infatti si riconoscono subito, come se fossero membri
di una felice confraternita segreta”.
Chi volesse accogliere l’invito di
Mila, fra le montagne della Valtellina
non ha che l’imbarazzo della scelta:
pressoché dovunque vi sono itinerari
ormai classici per lo sci alpinismo – in
Valchiavenna, sulle Orobie, nel gruppo
del Bernina o in quello dell’Ortles e
nel Livignasco – proposti ed illustrati
in una serie di guide (Dal Sempione
allo Stelvio del CDA di Torino, la
serie di Antonio Boscacci, le Orobie
di Sugliani e addirittura il tedesco Skitouren Atlas), o se ne possono inventare di nuovi, magari partendo dalle
stazioni sciistiche passate in rassegna.
Lo sci alpinismo in Valtellina ebbe
un notevole sviluppo soprattutto dagli
anni ’70, grazie ai numerosi corsi e gite
sociali organizzati dalle diverse sezioni
del CAI; l’esperienza di una prima
scuola promossa dalla Società Alpinistica Rezia nel 1969 venne ripresa
dalla Sezione Valtellinese nel 1974, col
primo corso di sci alpinismo diretto
da Celso Ortelli, proseguito negli
anni successivi sotto la guida di nomi
illustri come Carlo Pedroni, Tullio
Speckenhauser e Gianpietro Scherini,
per non citarne che alcuni.
In quegli anni Antonio Boscacci si
rivelò grande trascinatore e promotore
della disciplina, anche grazie alle sue
guide, divenute presto testi sacri per
chi pratica l'attività.
Lo sci alpinismo si è poi sviluppato
anche a livello agonistico con i rally,
come quelli del Bernina e dell’OrtlesCevedale degli anni ’60 e successivi,
e quelli più recenti della val Tartano,
delle Orobie e dello Scalino. Mentre
le competizioni di allora erano caratterizzate da prove di regolarità in salita
e tempi cronometrati solo in discesa,
inframmezzati da costruzione di igloo
e discese con barelle d’emergenza, a
partire dagli anni ’90 si è passati ad
una maggior specializzazione e a un
agonismo sempre più spinto (anche a
seguito dell’evoluzione delle attrezzature), con gare di “Ski Alp” di livello
internazionale come l’Alta Valtellina Ski Race, la Valtellina Orobie,
la Valtartano Ski Alp e la Stralunata
dell’Aprica.
Dagli atleti di allora – fra i quali ci
piace ricordare Giovanni Majori e
Maurizio Zappa di Bormio che nel
1968, appena quattordicenni, sbaragliarono squadre ben più qualificate
al rally della capanna Mautino –,
passando per Adriano Greco e Fabio
Meraldi, Graziano Boscacci e Ivan
Murada della Polisportiva Albosaggia,
si è giunti ai campioni di oggi...
SCI RIPIDO
Certamente lo sci ripido è una di
quelle discipline che non arriverà mai
a conoscere uno sviluppo di massa,
specialmente per i grandi rischi che
si corrono nel praticarla e la difficile
preparazione fisica e psicologica che
devono sostenere gli adepti. In Valtellina la branchia più pericolosa dello
sci ripido, lo sci estremo, trova la sua
massima espressione nell'attività svolta
da Giancarlo Lenatti, il Bianco. Il
Bianco, scrive Mario Sertori4, dopo aver
setacciato come un cercatore d’oro ogni
anfratto del Bernina alla volta di canali
e pareti da domare con le assi ai piedi,
scopre le pepite più scintillanti sulla
montagna di casa, il monte Disgrazia:
nel 1979 compie la prima discesa con gli
sci della via degli Inglesi, poi alza ancora
il tiro (o meglio l’inclinazione) e dopo
numerose altre discese e un terrificante
infortunio, realizza nel luglio del 1986
la linea mozzafiato della nord: un capolavoro al cardiopalma mai eguagliato5.
Sull'eco di queste imprese, altri sciatori valtellinesi si sono cimentati con
entusiasmo in discese ardite. L'ultima
dell'elenco è la vertiginosa parete NE
del Roseg vinta assi ai piedi da Bruno
Mottini (2013).
4 - Beno e Mario Sertori, Le discese estreme del
Bianco, LMD n.25 Estate 2010, pagg. 21-23
5 - 700 metri di parete ghiacciata con pendenze
fino a 65° nella strozzatura centrale.
dagli anni '60 ad oggi
25
La storia dello sci
Speciali
Adriano Greco e Giovanni Majori al trofeo Folgore del 1979. La gara
del trofeo Folgore si svolge tuttora a Bormio e prevede che gli atleti
siano legati in cordata. Si saliva nel bosco fuoripista e si scendeva in
pista con arrivo alla vecchia funivia facendo anche il salto della strada
per Piatta (non c'era ancora il sovrapasso)(foto archivio A. Greco).
Fabio Meraldi (sx) e Adriano Greco (dx) alla prova di Coppa Europa di
Mouveran in Svizzera (1994, foto archivio Adriano Greco).
Sul ghiacciaio del pizzo Scalino durante il celebre rally del pizzo Scalino
(inizio anni '90, foto archivio Nicola Giana).
1992, il ripido canale che dalla cima delle Pozze scende a Clevio, in val
di Rezzalo (foto archivio Mario e Caterina Da Prada).
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI In cima al monte Trela in una gita del corso di scialpinismo del CAI
Valtellinese. Sulla dx è Camillo Della Vedova, forte alpinista e storico
istruttore dei corsi della sezione
(1991, foto Mauro Della Maddalena - archivio Nicola Giana).
1987: sci e attacchi di vent'anni fa (foto archivio M. e C. Da Prada).
Primavera 2014
Foto di gruppo allo slalom gigante all'alpe San Giacomo ad Albosaggia organizzato dal CAI di Sondrio. La gara, che si è tenuta regolarmente tutti
gli anni tra il '60 e il '70, era tracciata con pali di nocciolo. I partecipanti salivano a scaletta o sci in spalla (1969-70, foto archivio Cino Ortelli).
Incidenti di percorso (primavera 1989, foto archivio M. e C. Da Prada).
Piateda Alta. Ritrovo di scialpisnisti per una gita sulle Orobie quando
non era cosa rara riuscire a partire sci ai piedi già da bassa quota
(inverno 1986, foto archivio Nicola Giana).
Il Bianco sulla parete N del Disgrazia: la più grande impresa di sci
ripido sulle nostre montagne (4 luglio 1986, foto archivio G. Lenatti).
Luisa Angelici all'uscita del canalone NO del pizzo di Coca si appresta a
diventare la prima donna ad averlo sceso con gli sci
(25 maggio 1986, foto Antonio Boscacci).
LE MONTAGNE DIVERTENTI dagli anni '60 ad oggi
27
Speciali
Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini (a dx) (foto archivio Maurizio Torri).
Lorenzo Holzknecht e Guido Giacomelli (a dx) (3 aprile 2011, foto archivio Maurizio Torri).
Scialpinismo: gare e protagonisti
Maurizio Torri
o scialpinismo
agonistico nella nostra
L
provincia è una disciplina
dalla grande tradizione.
Passato dalla formula rally
a quella attuale di vera
e propria gara, ha visto
nel ruolo di traghettatori
verso l’era moderna veri e
propri campionissimi. Ci
riferiamo a personaggi del
calibro di Adriano Greco,
Fabio Meraldi e “Chicco”
Pedrini prima, Ivan Murada
e Graziano Boscacci poi.
Grazie alle loro gesta e ai
loro successi, un numero
sempre maggiore di
proseliti è stato contagiato
da questa passione.
Numeri e livello, quindi, che nell’ultimo decennio hanno portato risultati
agonistici importanti. Se gli agonisti
tesserati in provincia sono circa
400, gli appassionati proprio non si
contano. Ma non è tutto rose e fiori.
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI A livello di gare, un tempo avevamo
manifestazioni top che per vari motivi
non sono più tali. Altro tasto dolente
è il settore femminile che, declinando
in ambito locale una problematica che
affligge l’intero movimento, ci vede
faticare nel trovare ricambi generazionali a due stratosferiche campionesse
come Francesca Martinelli e Roberta
Pedranzini.
LE GARE
Da sempre ottimamente organizzate e proposte su scenari da favola,
l’Alta Valtellina Ski Race o la Valtellina Orobie erano famose in tutto
il mondo tanto da essere state scelte
in passato come tappa di Coppa del
Mondo. Anzi, i feedback di atleti,
tecnici e appassionati, le qualificavano sempre tra le migliori per
livello organizzativo, spettacolarità di
tracciati e calore del pubblico. Se la
prima è sparita da ormai diversi anni,
la seconda sta facendo i conti con
budget gestionali sempre più tirati
che contrastano con richieste federali
che impongono standard mediatici e
di investimento sempre più elevati.
Ciò nonostante la grande passione
dei bosàc' riesce a sopperire a tali gap
proponendo ogni anno una competizione dalle discese mozzafiato. Una
competizione che vale la pena di
correre.
A contorno di quelle che di fatto
erano le punte di diamante del
panorama scialpinistico provinciale,
seguono manifestazioni, forse meno
prestigiose, ma altrettanto bene organizzate come la Valtartano Ski Alp, la
gara della val di Rezzalo e quella del
pizzo Scalino. Se i circuiti vertical o
locali come quello dell’Alta Valtellina risultano eccellenti per avvicinare i neofiti, la Stralunata dell’Aprica
è un fiore all’occhiello che tutti ci
invidiano.
IL SETTORE GIOVANILE
In ogni sport il ricambio generazionale è importante al fine di garantire
Primavera 2014
continuità di risultati. Beh, in questo
campo gli sci club della provincia
stanno svolgendo un lavoro encomiabile. Alle spalle di uno squadrone
come lo Sci Club Alta Valtellina,
seguono a ruota Sondalo, Albosaggia,
Tartano e Lanzada con un’attenzione
ai ragazzi che li sta ripagando a suon
di risultati. Prova ne sono le convocazioni agli ultimi campionati europei
che hanno visto vestire la tutina
azzurra ai nostri Luca Faifer, Nicolò
Canclini, Pietro Canclini, Giulia
Compagnoni e Giulia Murada.
VALTELLINESI NELLA LEGGENDA
Martinelli e Pedranzini
Viso sorridente, fisico atletico,
impiegata l’una, casalinga l’altra. Da
una simile descrizione sembrerebbero le classiche ragazze della porta
accanto; invece sono le indiscusse
regine dello scialpinismo mondiale.
Nate a Bormio e praticamente
cresciute con gli sci ai piedi, Roberta
Pedranzini e Francesca Martinelli in
pochissimo tempo hanno vinto di
tutto e di più. Azzardando un paragone calcistico, potremmo addirittura
LE MONTAGNE DIVERTENTI dire che, nell’ambiente, hanno più
tifosi della Juventus. In pochi anni di
competizioni internazionali, vantano
infatti un palmares irripetibile con
diversi titoli mondiali, successi di
coppa e record imbattibili a grandi
classiche come Sellaronda, Pierra
Menta, Tour du Rutor e Mezzalama.
Un’unica competizione per loro è
tabù: la Patrouille de Glaciers. Ma
al di là dei risultati raggiunti, queste
due campionesse sono l’emblema di
questo sport. Con il loro sincronismo
in gara rappresentano al meglio quello
che vuol dire correre in coppia: sono
due amiche con una sintonia incredibile. Tra loro un semplice sguardo vale
più di mille parole.
Giacomelli e Holzknecht
A prima vista si direbbe che sono
l’uno l’opposto dell’altro, e quindi
una coppia male assortita. Un po’ alla
Boscacci e Murada tanto per intenderci. Mai però farsi ingannare dalle
apparenze. Insieme, infatti, hanno
saputo dare spettacolo su palcoscenici di prim’ordine quali Pierra
Menta e Adamello Ski raid. Insieme
hanno dimostrando come il talento
e la classe cristallina del primo, uniti
alla razionalità e alla costanza del
secondo, possano essere l’arma in più
per potere vincere una super classica.
Ora che il primo, alle prese con un
annoso problema al ginocchio, è da
troppo tempo lontano dalle gare che
contano, il secondo si trova costretto
a trovarsi un partner diverso a seconda
degli appuntamenti. La speranza di
tutti noi è però di rivedere questi due
gladiatori battagliare fianco a fianco.
Boscacci e Antonioli
Il presente e futuro dello skialp
sondriese è tutto qui, nel sorriso, nella
semplicità e nella bravura di questi
due ragazzi. Talenti di una grandezza
quasi imbarazzante, sono entrati a fare
parte del Cs Esercito di Courmayeur
diventando professionisti a tutti gli
effetti. Due alpini, due campioni, due
appassionati di skialp, ma soprattutto
due grandi amici. Miky e Robert
sono la migliore cartolina e il migliore
spot che questo sport possa avere. In
un ambiente dove molto si parla di
speranze olimpiche, beh la nostra è
quella di vederli rappresentare l’Italia
su un palcoscenico mondiale come
quello a cinque cerchi.
dagli anni '60 ad oggi
29
La storia dello sci
Speciali
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI dagli anni '60 ad oggi
31
Speciali
Antonio
Boscacci
la nascita dello scialpinismo moderno
testi Luisa Angelici - foto archivio Antonio Boscacci
“A tutti i miei
amici
a quelli che
non lo sono più
e a quelli che lo
diventeranno”
C
on questa dedica si apre la
guida di scialpinismo di
Antonio Boscacci, Sci alpinismo nelle
Orobie valtellinesi1, Bissoni editore,
Sondrio 1982, stampato dalla tipografia Mevio Washington, la prima
guida in assoluto di scialpinismo della
nostra provincia: 50 itinerari e una
trentina di varianti in tutte le valli
delle Orobie, dalla val Lesina alla val
Belviso. Non so se allora Antonio
avrebbe immaginato che alcuni degli
itinerari da lui descritti sarebbero
diventati così classici da attirare ogni
domenica pullman, dico, pullman di
sciatori alpinisti. Mi riferisco a quelli
della val Tartano o della val Gerola che
vantano processioni domenicali da
venerdì santo.
Di certo Antonio alzerebbe le spalle,
sosteneva che tutti devono avere la
libertà di andare dove vogliono, in
montagna, ma di certo lui si terrebbe
lontano dagli affollamenti e andrebbe
a cercare qualche posticino un po’ più
appartato e nascosto.
E sfogliando la sua guida delle
Orobie del 1982 e quella successiva
del 1991 si nota che di itinerari insoliti
Val Lunga di Tartano (sullo sfondo l'alpe Arale), una delle
celebri gite di gruppo organizzate da Antonio Boscacci:
Angela, Giovanni, Paola, Cristina, Bruno, Daniela, Mirella,
Cristina,LE
Edo,
Dario, Fritz,
Fiorella (1979).
32
MONTAGNE
DIVERTENTI
1 -Trovate questo e altri titoli di Antonio Boscacci
su www.lemontagnedivertenti.com
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI e poco frequentati, anche oggi, ce ne
sono davvero tanti.
L’avventura di Antonio con gli sci è
cominciata nel 1967, anno più, anno
meno. Gli amici che allora lo accompagnavano ricordano ancora adesso
le gite rocambolesche, fatte di notti
passate sotto le stelle o in qualche baita
puzzolente, di discese più lunghe delle
salite per via delle attrezzature, veri e
propri reperti archeologici, e per la
scarsissima se non inesistente tecnica
degli sciatori. Poi sono venuti gli anni
’80 e ’90 che hanno portato indubbi
miglioramenti tecnologici.
Antonio diceva che nella sua vita
era stato perseguitato dalla curiosità. Curiosità di andare a vedere là
dove altri non erano ancora andati
a vedere, di scendere con gli sci in
posti dove nessuno era mai stato, di
aprire delle vie che altri non avevano
ancora immaginato di poter fare. La
sua curiosità e il piacere dell’avventura
erano poi accompagnati da un gusto
speciale per la sistematicità e l’analisi
che lo portavano a percorrere le valli,
le vallecole, le creste e le cime con
grande meticolosità fino a che tutto il
possibile non era stato fatto.
E questo anche nello scialpinismo.
Antonio aveva un senso raro per la
neve, per la scelta dell’itinerario e della
traccia di salita. Aveva intuito, preparazione, determinazione e fantasia e
metteva tutto questo a disposizione
degli amici.
Vorrei concludere regalandovi queste
parole che Antonio ha scritto per la
guida di Scialpinismo in Valmalenco2:
“Lo scialpinismo è un’arte,
una scoperta, un sogno
che deve essere vissuto con
dolcezza, affinché il rapporto
con la neve non si trasformi in
aggressività.
Se girandosi a guardare le
proprie scie ci si accorgerà
che un pezzo di quel mondo
è entrato dentro a occupare
una parte, anche piccola del
nostro essere, allora il vivere
diventerà meno difficile.”
2 - Guide scialpinistiche di Antonio Boscacci:
Scialpinismo nelle Orobie Valtellinesi, Sondrio1982
Sci alpinismo in Valmalenco, ValMàsino, Valchiavenna, Zanichelli, Bologna 1983
Sci alpinismo in Alta Valtellina, Il Gabbiano,
Cremnago, 1986
Orobie valtellinesi, un parco naturale per lo sci
alpinismo, Albatros, Valmadrera 1991
Scialpinismo in Valtellina e Valchiavenna, Lyasis,
Sondrio 1996
dagli anni '60 ad oggi
33
La storia dello sci
Speciali
Batute tratte dalle interviste che
Beno ha fatto ad Antonio Boscacci
per Radio TSN nei mesi di febbraio,
marzo e aprile 2010 riguardo allo
scialpinismo praticato in Valtellina
dagli anni '60 ai primi anni '80.
che avevano un altro inconveniente.
Dovendo fissare questi laccetti con dei
chiodi ribattini, dove c’era il ribattino
che teneva tutta questa roba, la pelle
si sfregava al punto tale che in pochissimo tempo si rovinava.
Antonio - A proposito di scialpinismo avrei un sacco di aneddoti da
raccontare.
Un volta, andare al Meriggio, parlo
di quando non c’era ancora la strada
che va a Campelli, era una impresa
non indifferente.
Quel giorno, poteva essere una
Domenica del 1967 o del 1968, io e
un amico siamo partiti da Sondrio
con la moto e con gli sci sulle spalle.
Al Centro di Albosaggia abbiamo
messo gli sci e siamo saliti a Campelli.
Ricordo che ci siamo fermati a dormire
in un baitocolo incredibile. Il giorno
dopo ci siamo rimessi in cammino
per raggiungere il Meriggio. Fino a
quel punto tutto bene cioè, abbastanza
bene. Quando siano arrivati sulla cima
abbiamo tolto le pelli di foca che si
usavano allora; la nostra idea era, dopo
aver mangiato qualcosa, di scendere.
Subito ci siamo resi conto che
sotto gli sci si era formato uno
zoccolo gigantesco che ci impediva di
muoverci anche solo di un centimetro.
Dimenticavo di dire che in quegli
anni si usavano sci di legno e senza
lamine! Come si può immaginare
scendere è stato più difficile che salire.
Praticamente ci abbiamo messo lo
stesso tempo che avevamo impiegato
in salita!
Beno – Quando avete cominciato
ad usare le pelli adesive?
Beno - Come era la vostra prima
attrezzatura?
Antonio - A dir poco rudimentale.
I primi sci da scialpinismo che ho
usato erano sci militari, quelli usati
dagli alpini.
Anche gli attacchi risalivano alla
guerra, quindi erano sci e attacchi
militari. Il fondo dello sci era di legno,
chiaramente senza nessun tipo di
lamina di ferro sugli spigoli. Il piede
non si muoveva come negli sci di scialpinismo di adesso.
Per poter camminare con lo scarpone bloccato, avevamo adottato
questa tecnica: lo scarpone era slacciato e lasciato molto largo. In questo
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio – Verso la fine degli anni
’70, intendo intorno al 1977-1978. È
stata indubbiamente una grande rivoluzione che ci ha semplificato la vita.
All’inizio c’è stato il problema della
colla. In ogni gita di scialpinismo c’era
sempre qualcuno a cui si staccavano
le pelli di foca. Non so se le colle non
erano resistenti come quelle attuali o
se, semplicemente gli sci alpinisti di
allora, miei amici, pensavano che la
colla durasse in eterno. Propendo per
questo secondo motivo.
Beno – A proposito degli scarponi?
Pizzo Meriggio (1981). Da sx: Bruno Fanoni, Roberto
Boscacci, Mirella Ghezzi, Giuliano Amonini.
modo il piede poteva muoversi dentro
lo scarpone e consentire allo sciatore
alpinista di fare il passo.
Quindi il movimento di avanzamento era dovuto al movimento del
piede dentro allo scarpone che rimaneva rigidamente fissato allo sci.
Beno – In che modo fissavate lo
scarpone allo sci?
Antonio – Lo scarpone si fissava allo
sci normalmente con un pezzo di fil
di ferro. Era il modo migliore perché
non dava i problemi delle viti che in
qualsiasi momento potevano uscire.
Per anni sono andato in giro con un
sacchetto di tela grigio contenente un
bel pezzo di filo di ferro, un cacciavite,
delle viti, cioè tutto ciò che poteva
essere necessario per fare dei buchi
dentro lo sci di legno e permetterci in
qualche modo di continuare la salita e
soprattutto di scendere.
Beno – Quando sei passato ad un’attrezzatura migliore?
Antonio – sono passato ad una
attrezzatura migliore dopo una discesa
dalla Corna di Mara. Quel giorno,
ricordo, che siamo saliti in cima alla
Corna di Mara. Già la salita era stata
una cosa abbastanza lunga senza la
strada che c’è oggi. Il bello però, doveva
ancora venire. Quando abbiamo
cominciato a scendere abbiamo capito
subito che le cose sarebbero andate per
le lunghe e infatti siamo arrivati alle
Cavalline, dove adesso c’è il rifugio
Gugiatti-Sartorelli, che erano già le due.
Non si poteva che scendere
mettendo gli sci diritti verso valle
perché la neve nel frattempo era diventata una neve fangosa. Parto diritto
sulla massima pendenza, faccio 50
Primavera 2014
metri in questa neve dove affondavo
fino al ginocchio, mi impunto, faccio
una piroetta e mi ritrovo 3 o 4 metri
sotto, la testa nella neve, senza le calze
e senza gli scarponi che erano rimasti
solidamente attaccati agli sci.
Da lì è cominciata la mia ricerca di
un paio di sci e di un paio di attacchi
che almeno lasciassero libero il tallone.
Quando, più tardi, ho cominciato ad
usare attacchi che permettevano di
alzare un pochino il tacco dietro, tre
o quattro centimetri, non di più, mi
sono reso conto di aver fatto un bel
passo avanti.
Bisogna aspettare gli inizi degli anni
ottanta per vedere importanti novità
nel campo dello sci alpinismo. Mi riferisco alle ganasce, comparse in quegli
anni, che tenevano la punta dello
scarpone; niente a che vedere con gli
attacchi di sicurezza o attacchini, arrivati negli anni ’90, ma sicuramente
LE MONTAGNE DIVERTENTI una grande novità.
Beno - Volevo chiederti: quando
sono arrivate le pelli di foca?
Antonio – Quando io ho cominciato a fare scialpinismo nella seconda
metà degli anni ’60 si usavano le pelli
di foca che usavano gli alpini. Quindi
le pelli di foca militari sono state le
prime pelli di foca ad arrivare nella
nostra provincia e ad essere utilizzate.
Le pelli si fissavano agli sci con dei
laccetti; il guaio dei laccetti era che
in salita, dopo tre o quattro volte
al massimo si rompevano perché la
lamina sfregava sui laccetti in continuazione. Ecco allora la necessità di
avere sempre con sé del filo di ferro.
Poi però, avendo capito questo, i militari avevano introdotto dei laccetti
di metallo leggeri che erano molto
più resistenti di quelli di prima, ma
Antonio – Allora, quando ho
cominciato, si usavano scarponi di
cuoio da montagna che, non avendo
una punta rigida, tendevano a uscire
dal puntale con molta facilità, come
si può ben immaginare. Per ovviare
a questo inconveniente si ricorreva
al solito filo di ferro, delle cui virtù
ho già ampiamente parlato e che in
questo caso serviva a fissare la punta
dello scarpone allo sci.
Beno – Si può immaginare che
gli sci, in discesa, fossero piuttosto
ballerini...
Antonio – Dunque lo scialpinismo
era fatto di salita, non si considerava neanche la discesa. Oggi uno
che fa scialpinismo dice, faccio un
po’ di fatica a salire, ma poi quando
scendo… che bella sciata! Allora
succedeva il contrario.
Beno – Si saliva divertendosi con
l’angoscia di dover scendere?
Antonio – Ecco l’angoscia cominciava quando cominciava la discesa,
perché oltre a tutti i problemi legati
agli attacchi, agli sci e agli scarponi
c’era il problema che nessuno sapeva
sciare.
dagli anni '60 ad oggi
35
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36
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Mietta Talanti, ha 94 anni e abita a
Carolo, frazione di Ponte in Valtellina.
Ha sciato dal 1932 al 1997
(22 dagli
febbraio
2014,
anni
'60foto
ad Beno).
oggi
37
La storia dello sci
Speciali
arguzia tutta toscana
con cui mi intrattiene
L’
affabilmente nella sua bella
casa di Carolo, sembrerebbe
quasi nascondere le sue
origini valtellinesi. Mietta
è nata a Castelnuovo Val di
Cecina, vicino a Larderello
(dove suo nonno Talanti
aveva realizzato i primi
impianti di sfruttamento
dei soffioni boraciferi),
e fino alla laurea in
chimica, discussa sotto i
bombardamenti del 1944, ha
vissuto a Firenze.
Tutte le vacanze, però,
usava passarle a Sondrio dai
nonni Buzzi; ed il legame
con la terra d’origine
materna è diventato nel
tempo così forte che alla
fine vi ha trovato lavoro
come insegnante e vi si è
poi accasata.
Il nonno Camillo, uno dei tanti
Buzzi, era fratello di Cechìn il direttore dell’ospedale di Sondrio, di
Filippo il mastro di posta, e di Rinaldo
il proprietario dell’albergo dei Forni;
la nonna Noemi, invece, era sorella
di Bruno Sala, che con Alfredo Corti
aveva fatto la prima della direttissima
al Bernina per il canalone sud.
Con tali ascendenti, anche Mietta
non poteva che essere quella persona
straordinaria, e diciamo anche un
po’ originale, che è. Lo sci è sempre
stato la grande passione della sua
vita; abbiamo fatto una lunga chiacchierata, e rievocando le sue nevi l’ho
vista illuminarsi. Ne è scaturita questa
sorta di intervista, riportata con pochi
ritocchi e qualche arrangiamento
nello stile fresco e immediato del
racconto orale.
Q
uando hai cominciato a
sciare?
Pur vivendo a Firenze la prima
sciata l’ho fatta allo Stelvio nel 1932,
a 12 anni, con gli sci che mi aveva
regalato lo zio Rinaldo, fratello del
nonno. Erano gli sci di un ufficiale
austro-ungarico, bottino di guerra che
gli alpini avevano dato allo zio su ai
Forni. Erano dei begli sci, neanche
troppo lunghi, che andavano bene
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI dappertutto.
Non appena finivano le scuole si
pigliava il treno per Sondrio dove
si passava tutta l’estate dai nonni. E
appena potevo andavo a sciare allo
Stelvio.
D’inverno invece, da Firenze si
andava all’Abetone col pullman. La
voglia di sciare era tanta, ci si alzava
anche alle 3 o alle 4. Di neve quanta
all’Abetone non ne ho mai più vista
da nessuna parte; si capisce come
mai vi siano cresciuti campioni come
Zeno Colò o Celina Seghi! Le poche
volte che ci si fermava a dormire, era
proprio nell’albergo della Celina.
In quegli anni ero una delle poche
ragazze che andavano a sciare, c’era
poca gente; lo sci non era ancora uno
sport di massa e le piste non erano
affollate come adesso.
Certo che di fatica ne ho fatta tanta
anch’io, perché prima che ci fossero
gli impianti si saliva a piedi o con le
pelli di foca e poi, una volta arrivati in
cima, ci si lanciava giù, di solito una
sola discesa, perché eravamo stanchi
abbastanza.
Gli sci dello zio Rinaldo li ho usati
fino al 1940, poi sono andati persi
durante la guerra, forse qualcuno ne
avrà fatto legna da ardere.
Quando però ho cominciato a sciare
parecchio è stato dal 1944, dopo che
mi sono insediata definitivamente in
Valtellina. E fino al 1997, quando
avevo 77 anni, non ho mai smesso
di sciare, sempre col mio Renzo
[Vairetti], sfruttando al massimo il
tempo libero, un po’ in tutte le località dell’arco alpino, dalle Dolomiti al
monte Bianco. Perfino in viaggio di
nozze siamo andati a sciare!
C
hi ti ha inculcato la passione
per lo sci?
La prima ad avermi trasmesso la
passione per lo sci fu sicuramente mia
mamma Giulia [Buzzi], che era una
gran sportiva. Ho in mente una sua
vecchia foto che la ritrae tutta bardata
sugli sci nel 1916, due lunghissimi
bastoncini di bambù che le arrivavano
alle spalle e un curioso abbigliamento;
una signorina, allora, non poteva
mica mettere degli scarponi come gli
uomini, e allora aveva degli scarponcini un po’ più chiusi, credo avessero
anche un po’ di tacco, poi pantaloni
Palù (anni '80, archivio Mietta Talanti).
alla zuava con gran sbuffi e calze nere
di cotone fatte a mano, una ridicola
giacca da uomo a doppiopetto con
quattro bottoni e in testa un cappello
Borsalino con tesa e nastro, trattenuto sotto il mento da un elastico.
Se trovassi quella fotografia, troppo
bella! Credo sia stata una delle prime
ragazze valtellinesi a mettere gli sci.
Le aveva insegnato a sciare un fratello
della mia nonna Noemi, lo zio Bruno
Sala, che era iscritto al CAI e aveva
fatto anche delle prime ascensioni.
Lui abitava a Bergamo, dove era
direttore della Società del Gres, e
aveva una figlia proprio negata per
lo sport. A quei tempi le ragazze di
buona famiglia erano un po’ sbiadite
perché al massimo facevano ricamo,
imparavano un po’ di francese e
qualche nota di pianoforte, portavano un ombrellino per ripararsi dal
sole, così quando mia mamma arrivò
a Bergamo a insegnare educazione
fisica lo zio, grande sciatore, fu entusiasta di questa bella ragazza piena
di salute e la introdusse allo sci sulle
piste di Schilpario.
Quindi è stata la mamma, insieme
allo zio Bruno, a trasmettermi la
passione; i Buzzi, invece, non erano
portati per lo sci.
C
hi ti ha insegnato a sciare?
Quando ho cominciato a sciare non
c’erano maestri di sci, ci si arrangiava,
si acquisiva unicamente l’equilibrio e
Primavera 2014
un po’ di coraggio, quelle doti che poi
ho potuto perfezionare quando sono
tornata in Valtellina nel 1944. A quel
punto sì, avevo 24 anni, ho avuto
un vero maestro, Bruno Angelini,
quello della squadra nazionale di sci,
ed è stato un vero insegnamento. Si
andava all’Aprica, allora l’unico posto
vicino dove c’era un impianto di risalita, o qualche volta a Ponte di Legno
con un camion, seduti sul cassone
coperto da un telone: ti puoi immaginare il freddo che si pativa, all’arrivo eravamo come dei baccalà, ma
avevamo talmente voglia di sciare…
Se uno non è appassionato dice
che siamo dei cretini, a prendere
quel freddo, e poi su, e giù, su, e
giù... non può capire quanto è bello
sciare. Quando si è acquisita abbastanza tecnica da dare quella sicurezza
per cui non si ha più paura, sciare è
come volare, è proprio come volare,
bellissimo!
Mi ricordo che una volta agli inizi
di novembre c’era già neve sciabile
all’Aprica, e avevo incontrato l’Angelini appena tornato dall’Austria che
mi dice: “Adesso le insegno il nuovo
stile austriaco”. E così credo di essere
stata una delle prime ad aver imparato la tecnica di Toni Sailer, l’altobasso. Veramente credo di aver dato
tutte le mie energie per lo sci.
Ma a parte l’Angelini, devo dire
che ho cominciato a sciare veramente bene quando ho conosciuto
il mio Renzo e ci siamo fidanzati.
Lui durante la guerra era scappato in
Svizzera, ed era stato internato fra i
civili a Mürren proprio sotto la Jungfrau, dove tra gli altri c’erano anche
Zeno Colò, Roberto Lacedelli e altri
sciatori. Per guadagnare qualcosa
facevano servizio sulle piste andando
a raccattare coi toboga quelli che si
facevano male. Così, sciando sempre
con Zeno Colò e con altri maestri di
sci, anche il mio Renzo era diventato
bravissimo, e quindi andando a sciare
con lui avevo sempre da imparare.
L’altro mio maestro è stato lo
Stefano Sertorelli, che anche lui era
stato internato in Svizzera a Mürren.
Quando sono tornati in Italia, il
Renzo l’aveva invitato qualche giorno
qui a Ponte ed erano andati per asparagi selvatici; io l’ho conosciuto in
quell’occasione. Siamo sempre stati
LE MONTAGNE DIVERTENTI molto legati, lui ci ospitava spesso
a casa sua a Bormio, poi lui veniva
a trovarci a Ponte. Era bello andare
in giro con lo Stefano, aveva sempre
tante cose interessanti da raccontarti e organizzava le cose alla perfezione. Con lui s’andava a sciare quasi
sempre a Santa Caterina, non è che
amasse tanto Bormio, non so perché.
Lo Stefano l’ho poi conosciuto
ancor di più grazie ai Quadrio
Curzio, ai quali lui era molto unito,
e a cui pure io ero molto affezionata;
infatti il Pericle, la Mariangiola, il
Giovanni e l’Alberto erano stati miei
scolari a Sondrio al liceo, e quando
sono andati all’università siamo
rimasti legati, tanto che qualche volta
sono stata loro ospite nella villa di
Bormio.
Una volta con la Mariangiola e lo
Stefano abbiamo fatto una settimana
su al Livrio, in settembre. Il rifugio
era già chiuso, ma ci avevano dato
le chiavi; non c’era ancora la funivia
e allora su a piedi dallo Stelvio. Si
sciava dalla mattina alla sera. Mi
ricordo che una volta eravamo andati
fino al Cristallo, da dove si vedeva
giù la val Zebrù; io ero ferma da una
parte, la Mariangiola e lo Stefano da
un’altra, quando lo Stefano mi urla:
“Non si muova, non si muova!” Ero
con gli sci proprio su una cornice di
neve a sbalzo, e mi sono presa uno
spavento! Mi ricordo che in quell’occasione, proprio sulla cresta, ho visto
delle pernici bianche che erano una
meraviglia.
Lo Stefano era bravo, ti insegnava
veramente bene, anche se mi ricordo
che quando sbagliavi ti tirava di
quelle racchettate nel sedere…
A
lle Tre Cime di Lavaredo
Ti ho mai raccontato di quando
sono andata alle Tre Cime di Lavaredo? È stato un giro bellissimo, che
ti fa capire quant’era la mia passione
per lo sci. Quando eravamo ancora
fidanzati, il mio Renzo era militare
al Brennero. Io l’avevo raggiunto per
sciare con lui, quando gli diedero l’ordine di fare un sopralluogo al rifugio
Longeres sotto le Tre Cime per organizzare un campo invernale. Insieme
a lui, che era sottotenente, c’era il
tenente Daz. Il Renzo mi fa: – Devo
andare al rifugio Longeres col tenente.
– Oh, gli rispondo, vengo anch’io con
voi! Ti puoi immaginare, io sola con
due uomini, partire a piedi da Sesto
Pusteria e su, sci in spalla, sprofondando nella neve. Quando siamo arrivati in vista delle Tre Cime ho detto:
– Renzo, io non ce la faccio più; allora
lui ha tirato fuori dalla tasca un cioccolatino, me l’ha dato e con quello
sono arrivata fino al rifugio. Faceva
un gran freddo, abbiamo mangiato
in qualche maniera; dopo, visto che
c’era una bella luna, quei due disgraziati non si sono messi in mente di
fare una sciata notturna? Io naturalmente non mi sono tirata indietro,
e fino a mezzanotte su e giù per i
pendii fuori dal rifugio. Al mattino,
dopo una notte di gelo, siamo partiti
per Cortina d’Ampezzo. Al lago di
Misurina abbiamo visto un sacco di
skilift a abbiamo voluto provarli tutti.
Poi abbiamo iniziato la salita verso il
passo Tre Croci, e cammina cammina,
al passo non s’arrivava mai, quando
ci siamo accorti che era almeno 300
metri sotto di noi. E allora giù con gli
sci fino a Cortina. Siamo entrati in un
bar, e ci siamo addormentati tutti e tre
sul banco da tanto eravamo stanchi!
E
il viaggio di nozze con gli sci?
Io e il Renzo ci siamo sposati nel
1950, una cerimonia molto semplice
con pochi parenti, e in viaggio di
nozze siamo andati a Cervinia a
sciare, tutti i giorni su è giù dal
Plateau Rosa. Dopo un po’, per non
spendere lì tutti i nostri soldi, siamo
passati a Courmayeur, era metà marzo
e in fondovalle non c’era più molta
neve, allora siamo saliti con la funivia
al rifugio Torino. Eravamo soli io e
il Renzo, e c’era un vento tremendo
che faceva oscillare la cabina ora di
qua ora di là, con le rocce vicine e
certi uccellacci neri che ci giravano
intorno. – Guarda, ho pensato, sono
già pronti a mangiarci… ho preso una
di quelle paure che non ho neanche
guardato il panorama.
A Courmayeur dopo un po’ ci
siamo detti: ora cosa facciamo? E
siamo partiti per andare in riviera
a vedere la Milano-Sanremo. Puoi
immaginarti, noi due vestiti da sci,
valige in mano e sci in spalla in riva
Mietta Talanti
39
La storia dello sci
Speciali
al mare a Sanremo! C’erano tutti gli
addobbi lungo la strada, e allora ci
siamo piazzati lì per veder passare i
ciclisti, ma non arrivava nessuno.
Abbiamo chiesto: ­
– Ma quando
passano? – Mi spiace, sono già passati
ieri! A quel punto abbiamo preso
il treno per Milano, dove abbiamo
fatto il conto dei pochi soldi che
ci erano rimasti, e abbiamo detto:
cominciamo a comprare il biglietto
per Sondrio, almeno quello ce l’abbiamo. Poi, siamo a Milano, vuoi
non andare a teatro? A quel punto ci
rimaneva ben poco, e per alloggiare
ci siamo dovuti accontentare di una
pensioncina lontana dalla stazione.
Un posto da spavento, donne nude
che giravano nei corridoi, lenzuola
così sporche che siamo andati a letto
vestiti. Al mattino il mio Renzo è
corso in farmacia a comprare una
bottiglia d’alcol, ci siamo disinfettati
tutti e poi, via, sci in spalla e valige in
mano, in giro per Milano, a piedi fino
alla stazione. Pensa che quando siamo
arrivati a Sondrio son dovuta andare
dalla mia mamma a farmi dare i soldi
per prendere il treno fino a Ponte!
Capisci cosa vuol dire la passione per
lo sci? Mi sembra proprio di essere
stata una pioniera.
D
ove sciavi in Valtellina?
In Valtellina ho sciato un po’
dappertutto, a Madesimo e Pescegallo, a Caspoggio e al Palù, perfino
ai Campei sopra Albosaggia dove per
un paio d’anni restò in funzione uno
skilift con una bella pista; poi a Prato
Valentino e all’Aprica, a Bormio,
Livigno, Santa Caterina…
Qualche volta ho fatto anche un
po’ di fondo, nella valle di Poschiavo,
a Santa Caterina o a Pian Gembro,
però preferivo la discesa, il fondo non
è che mi entusiasmasse.
Appena sentivamo “odore” di nuovi
impianti, io e il Renzo ci precipitavamo a provarli. Una volta, quando
il Renzo lavorava alla diga di Frera,
era appena stata costruita la seggiovia
del Palabione, e visto che lo conoscevano ci avevano lasciati salire prima
ancora che venisse collaudata; ma
i seggiolini erano stati pitturati di
minio e così, non ancora completamente asciutti, ci avevano lasciato i
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI pantaloni e le giacche a vento a strisce
arancioni, facendo oltretutto vedere
che eravamo saliti come clandestini!
L’Aprica però non mi piaceva tanto;
era comodo arrivarci, ma era un
posto freddo, senza sole, con le piste
talmente strette che non riuscivi a
combinare niente; in un punto, poi,
doveva esserci sotto una sorgente, così
diventava una lastra di ghiaccio.
Mi ricordo che all’Aprica ho fatto
la mia prima gara, ero agitatissima
e mi dicevo: ­
– Come farò? Come
farò? E allora, da cretina, non mi
sono presa dei tranquillanti? È stata
comica, scendevo e dormivo; alcuni
sui bordi della pista mi incitavano
ma vedevano che ero come in trance,
credo mi abbiano fatto anche un
filmato… La seconda gara l’ho fatta
a Santa Caterina, era uno slalom
gigante e ho preso la coppa. Anche lì
faceva freddo, come all’Aprica, però
era più luminoso. E poi non mi sono
mai piaciute le piste di Saint Moritz,
erano tenute male, piene di gobbe;
in confronto noi le piste le teniamo
benissimo, lo dicono sempre tutti che
le piste italiane sono le più belle.
Il Palù invece, bisogna proprio
dirlo, era un gran bel posto, un paradiso di sole con tante belle piste. Una
volta però mi sono presa un bello
spavento. Ero riuscita a portare su
anche mio fratello, che non sapeva
sciare, almeno per fargli vedere il
posto. Poi abbiamo preso l’ovovia che
porta al monte Motta. Ad un certo
punto l’ovovia si è scarrucolata e ci
siamo fermati esattamente nel punto
in cui si vede giù Lanzada; ma il guaio
è che mio fratello soffriva di vertigini!
E la cabina che dondolava col vento,
e lui che continuava a lamentarsi con
gli occhi chiusi, e fumava una sigaretta via l’altra dalla paura: siamo
rimasti così almeno mezz’ora, ma poi
sono finalmente riusciti a liberarci.
Per andare a sciare partivamo
in macchina, guidavo sempre io
perché il Renzo, che era un omone
grande e grosso, era un distrattone.
Quando lui era in giro per il mondo
nei cantieri, allora venivano con me
mio figlio Popi e un suo amico. La
mia macchina, non mi ricordo se era
una Topolino o una Cinquecento,
era talmente vecchia che aveva addirittura un buco nel pianale da cui
entrava la neve, ma il peggio è che
il freno non funzionava! Finché s’era
in salita, va bene, ma in discesa...
mettevo dietro l’amico del Popi, un
bestione grande a grosso, col freno a
mano fra le gambe, e quando dicevo:
– Frena! allora lui tirava la leva.
Non mi è mai successo niente, te lo
racconto tranquillamente, ma ero
proprio un’incosciente, vedi cosa non
facevo pur di andare a sciare!
Che le mie macchine avessero
problemi ai freni, chissà perché, era
la regola. Dopo la Cinquecento avevo
preso un “maggiolino” Volkswagen,
mi ricordo ancora la targa SO 40826,
eravamo andati a sciare allo Stelvio
d’estate, io, il Renzo, il Popi e il suo
amico; al ritorno, alla prima discesa il
pedale del freno era andato a vuoto.
E adesso, ho pensato, cosa facciamo?
Lasciamo qui la macchina e torniamo
a piedi? Il “maggiolino” aveva una
seconda con un freno motore che era
una meraviglia, e così ce l’abbiamo
fatta a scendere a Bormio e a tornare
a casa; l’unica preoccupazione è stata
dopo Tirano, con un camion davanti
che se frenava di colpo gli arrivavamo addosso, e pregavo il Signore
che facesse qualcosa… e deve avermi
ascoltato, visto che dopo un po’ il
camion ha svoltato a destra, lasciandoci la strada libera!
Come vedi, anch’io ne combinavo delle belle. Ho guidato più
di cinquant’anni, anche con quelle
macchine senza freni, ma non ho mai
avuto il minimo incidente. Ero un po’
incosciente, ma mi è sempre andata
bene.
E
sugli sci ti è mai successo
niente?
Solo un paio di volte mi sono
davvero spaventata sugli sci. La prima
a Bormio, scendevo dal Duemila
e sono caduta; ho iniziato a scivolare all’indietro e a testa in giù senza
riuscire a fermarmi e senza sapere dove
sarei andata a finire, potevo andare a
sbattere contro un sasso e fare la fine
di Schumacher. Un’altra volta, a Selva
Val Gardena sono finita fuori pista in
neve fresca a testa in giù. Cercavo di
rialzarmi, ma non ci riuscivo assolutamente perché non trovavo alcun
appoggio per sollevarmi; guarda che
è tremendo, mi sembrava di soffocare,
Primavera 2014
ero sola in mezzo a un bosco e mi son
detta: qui ci lascio la pelle, e invece ce
l’ho fatta!
Gravi incidenti per fortuna non ne
ho mai avuti, anche se mi sono fatta
male un paio di volte. La prima, pensa
tu, ero ferma sugli sci, mi hanno chiamata e girandomi mi sono strappata
un tendine. La seconda, invece, ero
a Caspoggio. Dopo una curva, d’improvviso, mi sono trovata davanti un
bambino con uno di quegli aggeggi
di plastica che mettono sotto il sedere
per scivolare, e per non investirlo mi
sono buttata di lato; una racchetta mi
è entrata nel fianco, e devo essermi
rotta una costola. Mi faceva male, ma
non sono mica andata dal medico, mi
dicevo: – È un male di salute, e così
la costola dev’essersi saldata da sola,
tant’è che ancora adesso la sento che
sporge…
L’unico errore che ho fatto nella mia
vita di sciatrice è che ho sempre sciato
senza occhiali da sole, così mi sono
rovinata la vista; mi ricordo una volta
di ritorno dallo Stelvio che avevo gli
occhi tutti gonfi, sciare allo Stelvio
senza occhiali era davvero da incoscienti. Del resto, io sono sempre stata
un po’ incosciente...
Sulle montagne dello Stelvio (anni '60, archivio Mietta Talanti).
Q
uando hai sciato l’ultima
volta?
L’ultima sciata l’ho fatta a Prato
Valentino, nel 1997, quando avevo
77 anni. È stato bello. Eravamo io e
il Renzo, non c’era nessuno perché
era un giorno feriale, e anche perché
il posto non era molto conosciuto,
aveva una pista troppo corta che non
facevi in tempo a salire che eri già di
nuovo in fondo. Il Renzo aveva preso
male il piattello dello skilift ed era
caduto. L’unica persona che c’era,
abbiamo scoperto dopo che era un
maestro di sci, nel vederci doveva
aver pensato: ma che imbranati questi
due, il vecchietto che cade addirittura sullo skilift. Come faranno poi
a scendere, sono degli incoscienti, e
allora ci aveva seguiti. All’inizio della
discesa ci dice: – Io vado avanti, voi
seguitemi e vedrete che va tutto bene.
Ma quando poi ci ha visti sciare ha
dovuto ricredersi, e alla fine ci ha fatto
i complimenti.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Caspoggio (1970, archivio Mietta Talanti).
L'ultima sciata a Prato Valentino (1997, archivio Mietta Talanti).
Mietta Talanti
41
Speciali
Sondrio - carnevale 1898
Grosio: La notte con
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1898
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La
Sondrio
21:00
del
2
aprile
2014
riceverà uno zaino tecnico
Le Montagne Divertenti.
soluzione va data con argomentazioni adeguate.
Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
abato 26 aprile 2014, presso
il Campo Fiera di Grosio, a
partire dalle ore 18, sarà possibile
partecipare all’evento zootecnico-folkloristico dell’anno: “La notte con la
Bruna”.
Tutte le mucche brune del mandamento di Tirano sfileranno sotto le
stelle del cielo di Grosio e daranno
vita ad una serata di divertimento, di
cucina tipica e di tanta buona musica.
La tradizionale manifestazione, da
sempre organizzata dall’Associazione
Provinciale Allevatori di Sondrio,
quest’anno viene presentata in una
veste completamente nuova e molto
più coinvolgente.
Protagonisti dell’evento saranno
naturalmente i giovani allevatori
con le loro mucche, ma anche il
gruppo musicale “I Fiati di Grosio”,
nel costume tipico grosino, i cuochi
volontari della Pro Loco, gli Alpini e
i cavalieri di Grosio. Una grande festa
che sarà apprezzata dai tutti coloro
che amano la cultura e la tradizione
contadina, che sentono profondamente il legame col passato.
Il connubio tra il mondo zootecnico, rappresentato dagli allevatori, e
LE MONTAGNE DIVERTENTI le numerose associazioni presenti alla
manifestazione, servirà ad avvicinare il
produttore al consumatore.
Presso l’area fiera sarà allestita
una mostra-mercato con i prodotti
tipici ed artigianali del settore agroalimentare. Sarà possibile assistere alla
mungitura e alla lavorazione del latte
da parte di due maestri casari.
Non mancheranno spazi ricreativi
per i più piccini e un’area dedicata alla
cultura grosina.
La manifestazione è patrocinata
dall’Amministrazione Comunale di
Grosio e sostenuta da numerosi enti
locali, nonché da sponsor privati.
I visitatori riceveranno il catalogo
della mostra bovina che contiene un
testo turistico-culturale dedicato agli
abitanti di Grosio scritto da Angela
Iemoli.
NOTE DI ANGELA IEMOLI, PERITO
AGRARIO
Il settore dell’allevamento e dell’agricoltura nel corso della storia ha
sempre dimostrato di essere il pilastro
più solido di un sistema economicoproduttivo, l’ossigeno in grado di far
ripartire un’economia in grave crisi
come è quella che stiamo vivendo.
Forse anche oggi è da lì che si può
ripartire, dando credito alle imprese
familiari, auspicando un ritorno
alla terra, inteso come cura del territorio, valorizzazione delle attività che
ad essa sono legate: l’allevamento e
l’agricoltura.
Ho voluto dare un contributo al
catalogo della Mostra, raccontando
la bellezza di Grosio e del suo territorio. E l’ho fatto, sia documentandomi, sia ascoltando le testimonianze
e i racconti di alcune persone che ho
conosciuto. Vorrei che il testo fosse
letto come un tributo a Grosio e alla
sua gente.
Mia intenzione era di raccontare ciò
che si prova respirando l'aria della val
Grosina, odorando il fieno raccolto
ai piedi delle pendici del Mortirolo,
assaporando un curnàt ancora caldo
intriso nel latte appena munto, ascoltando il suono alto delle campane
della chiesa di San Giuseppe, stringendo le mani forti, rugose e tremanti
di una donna che fu ragazza in val
Grosina, poi madre tra monte e paese
e ora nonna nella Grosio di oggi.
Eventi
43
Rubriche
Il Grand Tour
della Valtellina
Testi e foto Simone Panizza, Andrea Besseghini e Daniele Moncecchi
Al passo di Campagneda con alcuni familiari, compagni di viaggio durante l’ultima tappa (23 luglio 2013).
L'idea
Daniele – Era una noiosa mattina
autunnale. Ero rinchiuso dentro la
scuola da ormai due mesi e la stagione
delle camminate in montagna, nonostante il sole ancora caldo, era finita
con la prima neve. Ma rimaneva intatta
la voglia di vagar per le montagne, che
mi induceva a pensare a quali cime mi
sarebbe piaciuto salire fra primavera ed
estate, a quali passeggiate avrei voluto
organizzare con i miei amici e i miei
familiari, pensando anche ai luoghi
dove ero già stato e a quelli che ancora
non conoscevo…
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Come un fulmine, ecco un'idea:
un trekking lungo i confini della
Valtellina! Dimenticati i progetti
di vette e mete singole, ho
preso un foglio per scrivere un
possibile tracciato.
Ma da dove partire? Quasi subito ho
pensato alla basilica della Madonna
di Tirano, perché abbastanza vicina
a casa, perché l’Alta Valle era la zona
che avremmo trovato più familiare e
perché una preghierina alla partenza
forse ci avrebbe aiutato.
Quindi, una volta decisi la partenza
e il senso di percorrenza, ho iniziato
a pensare alle valli, ai paesi, ai passi
e ai rifugi che avremmo incontrato,
rimanendo il più vicino possibile ai
confini della valle. In men che non si
dica avevo riempito un foglio intero di
appunti.
“Driiiiin!”, per quel giorno la scuola
era finita. Mi sono incamminato come
sempre verso il treno, ma con la testa
da tutt’altra parte.
Una volta raggiunti gli abituali
compagni di viaggio ho raccontato
in ogni minimo particolare ciò a cui
avevo pensato quella mattina. L’entuPrimavera 2014
siasmo che ho visto anche in loro mi
ha convinto ancora di più.
Assieme all’entusiasmo però hanno
cominciato ad arrivare i dubbi e i
problemi, ma per qualche settimana
non ho detto più niente ad altri, anche
se il pensiero si era fissato nella mente.
La prima, fondamentale, questione
da risolvere era: con chi andare? Ho
pensato a lungo a qualcuno che avrebbe potuto accettare una simile proposta, qualcuno con cui sarei andato
sicuramente d’accordo e che poteva già
avere una certa esperienza in montagna. Ma chi avrebbe mai accettato?
LE MONTAGNE DIVERTENTI La proposta
Puscio – L'idea è stata del Moncecchi. La proposta è arrivata così, come
per gioco, come un’avventura da fare
in futuro, da grandi, da esperti. Invece,
col passare delle settimane ho capito
che non stava scherzando. Non sapevo
ancora se il progetto fosse veramente
fattibile, da organizzare e da portare
a termine, ma accettai di partecipare.
Informai i miei genitori riguardo l’idea
di passare una ventina di giorni in
montagna. Mi aspettavo una risposta
"da genitore": e se vi fate male? Ma
andate da soli? Non potete farlo fra
qualche anno? Con mio stupore si
dimostrarono da subito d’accordo e
disposti a collaborare.
Cominciammo a trovarci per decidere il percorso, la durata e cosa portare. Ad ogni incontro avevamo con noi
nuovi consigli e critiche ricevuti da
conoscenti e amici e apportavamo le
dovute modifiche al programma. Per
ogni problema che risolvevamo ne
spuntava uno nuovo, ma l’organizzazione diventava sempre più completa.
L’idea si stava trasformando in realtà.
Guardando le tappe, chilometri e dislivelli non mi sentivo del tutto pronto,
Il Grand Tour della Valtellina
45
Avventure
Rubriche
Daniele, Andrea e Simone alla basilica della Madonna di Tirano, punto di partenza e di arrivo del loro trekking (7 luglio 2013).
né fisicamente né mentalmente. I "se"
e i "ma" si son fatti sentire più volte
nella mia testa, ma ormai non potevo
(né volevo) tornare indietro.
Simone – La scorsa estate, dopo
quasi un anno di attesa, il nostro sogno
si è avverato. Ero consapevole della sua
portata e delle difficoltà che avrei e
che avremmo potuto trovare, ma ci ho
creduto fin dal primo momento.
I mesi che hanno preceduto la
partenza sono stati piuttosto faticosi, a
causa dell’imminente maturità e anche
un po' per la grande voglia di affrontare questa avventura. Ma il giorno della
partenza tutta la tensione accumulata
è svanita in un batter d’occhio e si è
trasformata in pura adrenalina.
Ci siamo incamminati senza sapere
realmente tutto quello che ci aspettava.
Daniele aveva studiato il percorso alla
perfezione, ma per noi una buona parte
dell'itinerario risultava sconosciuto:
cosa assolutamente gradita, perché ci
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI permetteva di vivere ogni momento
con più meraviglia ed emozione.
Nei primi giorni il fisico ha retto
molto bene, nonostante gli sforzi
prolungati, ma via via che le giornate
passavano, anche se l’allenamento
cresceva, le tappe diventavano sempre
più provanti. Allo stesso tempo però,
arrivati a sera e ripensando al tragitto
percorso durante il giorno, la soddisfazione era sempre maggiore. La cosa
importante era tenere la mente libera e
allontanare le sensazioni di stanchezza.
La preparazione
Daniele – Alle porte della primavera
avevamo già delineato l'impianto generale del trekking e stabilito la squadra:
Simone Panizza, 19 anni di Bianzone,
Andrea Besseghini (detto Puscio), 18
anni di Grosio, e io, Daniele Moncecchi, 18 anni di Tresenda.
La tecnica del convincimento con
largo anticipo (detta anche assillamento) iniziava a dare i suoi frutti e
con l’arrivo della primavera abbiamo
cominciato a trovarci per definire i
dettagli di viaggio.
Alcuni pomeriggi a Sondrio dopo la
scuola e altre sere a Tirano, nella sede
del CAI, senza contare i discorsi sul
treno e a scuola, che volgevano sempre
allo stesso argomento.
Un prezioso aiuto nella fase organizzativa ci è stato dato da Luca Panizza,
il papà di Simone, che durante le serate
passate a Tirano ci ha sostenuto con
numerosi consigli, aiutandoci a risolvere gli interrogativi su cibo, vestiti,
attrezzatura, soldi necessari e periodo
migliore.
Il problema cibo era stato risolto
organizzando delle scorte di barrette
energetiche, pane secco, bresaola,
grana, salami e molte altre cose che ci
sarebbero state portate in alcuni punti
lungo il tragitto. Le colazioni e le cene,
ad eccezione di un paio, che avremmo passato nei bivacchi, le avremmo
consumate nei rifugi.
Primavera 2014
In alto: il Disgrazia e l’alta val di Mello
ancora innevata visti dal passo Cameraccio.
In centro: Daniele e Simone sospesi su puff
d'erba nei pressi del pian del Lach in val
Grosina (8 luglio 2013).
In basso: attraversamento della statale nei
pressi di Dubino (18 luglio 2013).
In alto: sul ripido canale che conduce al
Cameraccio, lungo il sentiero Roma
(20 luglio 2013).
In centro: mondi capovolti in val Codera
(19 luglio 2013).
In basso: su un balcone panoramico verso il
bivacco Linge (11 luglio 2013).
Anche per i vestiti avevamo previsto
alcuni punti in cui avremmo potuto
recuperare indumenti puliti e lasciare
quelli sporchi.
Avevamo deciso di portare con noi
non più di 400 euro, che ci sarebbero
serviti per comprare rifornimenti e per
pagare i rifugi.
Infine, l’ultimo ma il più semplice
dei problemi, era quello del periodo.
Non avevamo fissato una precisa
data, ma saremmo partiti al termine
degli esami di maturità di Simone,
quindi all’inizio di luglio.
L’idea iniziale di percorrere l'intero
confine della Valtellina era svanita col
passare del tempo. Avrebbe richiesto
troppo tempo e data la nostra totale
inesperienza in camminate di più di
tre giorni abbiamo scelto di ridurre il
percorso e di eliminare alcune tappe:
certo, questo ha minato la completezza del nostro tour, ma ci ha permesso
di arrivare in forze sino alla fine del
trekking.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il percorso
L'idea originaria era stata quella di
seguire il più strettamente possibile
il confine della provincia di Sondrio,
circumnavigando tutta la Valtellina
e la Valchiavenna. Alla fine abbiamo
dovuto ridurre il percorso alla sola
Valtellina: in estrema sintesi, dalla
Madonna di Tirano abbiamo risalito
l’Alta Valle, quindi percorso interamente le Orobie, per toccare il lago di
Como e ritornare attraverso le Retiche.
420 chilometri di sviluppo
e 23000 metri di dislivello,
conclusi in 17 giorni.
In alto: veduta del canale dal passo del
Barbacan (19 luglio 2013).
In centro: salita verso il passo di Valsecca
immersi nella nebbia (16 luglio 2013).
In basso: giunto al rifugio Bosio, Puscio non
sente più le gambe (21 luglio 2013).
Gli incontri
Daniele – Durante questo trekking,
e in particolare nei rifugi, abbiamo
avuto la fortuna di incontrare molte
persone con cui passare delle bellissime
serate. Già le prime tappe sono state
allietate dai racconti delle esperienze
vissute tra i monti di alcune persone,
come quelle del mitico Nicolino (papà
di Puscio) e del grandissimo atleta
Adriano Greco, incontrato al rifugio
Valgoi, da lui gestito. La quinta tappa
ci ha riservato delle bellissime sorprese
come gli incontri al rifugio Berni con
un simpaticissimo motociclista inglese
e con i rifugisti.
L’incontro che più ci ha arricchito è
stato quello più inaspettato: il nostro
programma prevedeva di fermarsi al
bivacco Linge, ma valutata la situazione del nevaio al passo di Pietra Rossa
Il Grand Tour della Valtellina
47
Avventure
Rubriche
Andrea, Daniele e Simone in compagnia presso il rifugio Baroni al
Brunone (15 luglio 2013).
(sarebbe stato difficile affrontare il nevaio ghiacciato la mattina successiva) ci
è sembrato più opportuno continuare
fino al bivacco Occhi in val Grande.
Dopo più di 25 chilometri, ormai in
vista del bivacco, quando la nostra
mente assaporava già una tranquilla
serata di riposo, ci siamo accorti che
nei pressi del bivacco c’erano moltissimi
bambini. Le nostre speranze cominciavano a svanire e sono scomparse definitivamente alla notizia che anche loro
si sarebbero fermati per la notte. Per
fortuna le nostre preoccupazioni si sono
trasformate nella gioia di una serata in
compagnia, tanto bella che abbiamo
provato molto dispiacere nel salutare
tutti i bambini la mattina successiva.
La settima tappa l’abbiamo condivisa con mia sorella Elisabetta che ci
ha raggiunti al rifugio Antonioli la
mattina presto. A Trivigno ci hanno
accolto i genitori di Simone con un
abbondantissimo pranzo, seguito da
un pomeriggio di relax con alcuni
familiari e amici, tra cui il nonno di
Simone, William. E durante la tappa
successiva siamo stati accompagnati
per un buon tratto da Carlotta, un’amica di Grosio.
Le serate sulle Orobie ci hanno riservato altrettante sorprese ed emozioni,
partendo dalla grande ospitalità e generosità dei rifugisti del Curò. Il giorno
seguente, al rifugio Brunone, abbiamo
conosciuto i giovani gestori e una
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI Andrea, Daniele e Simone con i gestori del rifugio Curò, in alta val
Seriana (14 luglio 2013)
simpatica coppia di olandesi con cui
abbiamo condiviso cena, serata e molte
risate. Un ringraziamento va anche al
gestore del rifugio Salmurano in val
Gerola, che dopo una mattinata sotto
l’acqua, 25 chilometri di cammino e un
paio d'ore perse tra rocce e rododendri,
ci ha accolto con grandi cerimonie nel
suo rifugio, ci ha prenotato dei posti al
rifugio Trona Soliva e ci ha indicato la
strada per raggiungerlo.
Per uno di quegli strani giochi
del destino, alla guida della
macchina che l'indomani si è
fermata per lasciarci passare
quando abbiamo dovuto
attraversare la statale nei pressi
di Delebio c'era di nuovo
il gestore del rifugio Salmurano!
Tornati sul versante retico le sorprese non sono finite: a seguito di alcune
difficoltà lungo il sentiero Roma siamo
dovuti scendere a valle fino a Cataeggio, dove un gruppo di animatori di
Grosio, che erano lì per preparare un
campo estivo con l’oratorio, ci hanno
accolto calorosamente regalandoci una
serata indimenticabile.
Infine, in vari punti, ci hanno
scortati i nostri amici e familiari, per
rifornirci del necessario e per tenerci
compagnia in questa avventura.
E così la noia non ci ha mai raggiunti:
anche quando eravamo soli e il percorso
era un po' monotono sapevamo sempre
come tenerci compagnia a vicenda.
Come sulla decauville di Cancano, tutta
a curve e senza nemmeno un metro di
salita o discesa… Le torri di Fraele non
si avvicinavano più! Per passare il tempo
abbiamo iniziato prima a fischiare e
canticchiare, e poi a cantare a gran voce
canzoni di ogni genere; dei ciclisti che
ci sorpassavano ci accorgevamo sempre
troppo tardi, e regalavamo loro uno
splendido concerto.
I problemi
Puscio - Il rischio più rilevante, nei
primi giorni di trekking, era quella
di sovraccaricare le proprie gambe e
prendersi dolorosi crampi. Era un’ipotesi possibile dato che non avevamo mai
fatto trekking così lunghi e, pur essendo
baldi giovani, eravamo consapevoli di
non avere a disposizione energie infinite. Da subito abbiamo tenuto un passo
tranquillo, evitando fatiche inutili.
Più volte poi abbiamo incontrato
neve lungo il percorso: meglio allora
procedere con cautela sperando di non
trovare ostacoli e stando attenti a non
farci male, oppure allungare (anche di
molto) il percorso sprecando tempo e
energie? Quando si presentavano questi
bivi ci fermavamo, ne approfittavamo
per mangiare qualcosa, consultavamo
la cartina e prendevamo una decisione. Sono stati tanti i minuti passati ad
ascoltare, come nei cartoni animati,
Primavera 2014
La buona compagnia di un gruppo bambini incontrato presso il
bivacco Saverio Occhi in val Grande (10 luglio 2013).
Una serata con i ragazzi di Grosio a Cataeggio (20 luglio 2013).
Tappa
km
D+
D-
Tempo
Itinerario
1
20.5
2100
900
7:00
Madonna di Tirano – Baruffini – rifugio Schiazzera – passo Schiazzera – Gasperini
2
23.5
1800
1200
9:00
Gasperini – Malghera – passo di Vermolera – passo Dosdè – rifugio Valgoi
3
24.5
100
1000
4:30
rifugio Valgoi – Arnoga – decauville Cancano – Isolaccia – Bormio
4
14.0
900
200
3:30
Bormio – San Nicolò – ponte dei Sospiri – Santa Caterina
5
25.5
2000
1700
7:00
Santa Caterina – rifugio Berni – passo di Gavia – bivacco Linge – passo di Pietra
Rossa – bivacco Occhi
6
16.5
600
800
4:30
bivacco Occhi – val Bighera – passo monte Pagano – rifugio Antonioli
7
15.5
400
450
3:30
rifugio Antonioli – Guspessa – Tredicesima – Trivigno
8
36.0
1700
1550
10:00
Trivigno – monte Belvedere – Aprica – diga di Ganda – lago Belviso – passo Pila –
rifugio Curò
9
16.0
1600
1200
7:30
rifugio Curò – passo del Corno – rifugio Coca – sentiero basso – rifugio Brunone
10
27.5
1500
1800
8:00
rifugio Brunone – passo di val Secca – lago del Diavolo – rifugio Longo –
val Sambuzza – passo della Croce – lago delle Trote – rifugio Dordona
11
32.0
1700
1900
11:00
rifugio Dordona – passo dei Lupi – passo di Tartano – forcella Rossa – passo della
Porta – passo San Marco – passo di Verrobbio – il Forcellino – lago di Pescegallo –
rifugio Salmurano – lago di Trona – rifugio Trona Soliva
12
33.0
800
2500
10:00
rifugio Trona Soliva – Laveggiolo – alpe Stavello – casera di Olano – alpe Tagliata –
Delebio – Sorico
13
25.0
2500
200
9:00
Sorico – Novate Mezzola – Codera – rifugio Brasca – passo del Barbacan – rifugio
Gianetti
14
37.0
1500
2900
12:00
rifugio Gianetti – passo del Camerozzo – passo del Qualido – passo d’Averta –
rifugio Allievi – passo di Val Torrone – passo del Cameraccio – val di Mello – San
Martino – Cataeggio
15
22.0
2000
1300
7:00
Cataeggio – Preda Rossa – passo di Scermendone – passo di Caldenno – rifugio Bosio
16
23.0
1400
1200
5:30
rifugio Bosio – alpe Lago – Chiesa in Valmalenco – Caspoggio – rifugio Cristina
17
28.0
400
2200
7:00
rifugio Cristina – p. di Campagneda – Selva – lago di Poschiavo – Madonna di Tirano
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Grand Tour della Valtellina
49
Più di 30 anni di esperienza
al servizio dei clienti
Avventure
Rubriche
Protezione Rischi
In contemplazione al passo di Vermolera in val Grosina (8 luglio 2013).
Persone e Famiglie
Mezzi di Trasporto
Abitazione
Salute
Tempo Libero
Previdenza
Investimento
Tutela Giudiziaria
Imprese ed Attività Professionali
Mezzi di Trasporto
Lavoro - Attività
Trasporti
Cauzioni
Sicurezza
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50
Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio
Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731
[email protected]
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
l’angioletto e il diavoletto sulle nostre
spalle, spostando lo sguardo dalla
cartina agli occhi degli altri, sperando
di trovare la soluzione migliore.
Mi viene in mente la tappa sul sentiero Roma. Partiti dal rifugio Gianetti
di buonora, siamo arrivati senza
particolari problemi al rifugio Allievi
valicando i passi Camerozzo, Qualido
e Averta. A questo punto mancavano
il passo Torrone e i due passi più alti
di tutto il sentiero Roma. Dopo aver
chiesto informazioni al gestore del rifugio siamo ripartiti. Abbiamo superato
il primo valico e, oltrepassato il bivacco
Manzi, ci si è parato davanti agli occhi
uno spettacolo da cartolina: il Passo
Camerozzo completamente innevato.
Tutt’intorno, come di guardia, montagne le cui cime erano coperte da uno
strato di nuvole che parevano impigliate nelle guglie di roccia. Tornati
alla realtà ci siamo resi conto che da
quel punto in avanti il cammino sarebbe stato tutt’altro che rilassante. Con
molta calma e prudenza siamo arrivati
in cima al passo. Il ripido nevaio e un
po’ di arrampicata avevano prosciugato
energie e concentrazione, necessari per
LE MONTAGNE DIVERTENTI proseguire verso la bocchetta Roma.
Dopo un breve confronto abbiamo
deciso di scendere a valle percorrendo
il primo sentiero disponibile. Infine
siamo arrivati a San Martino sani e
salvi (ginocchia in pappa a parte). In
questo e in tanti altri casi ce la siamo
sempre cavata con solo qualche graffio
e qualche vescica.
È stato il risultato del
compromesso tra quello
che avremmo voluto fare e
quello che il nostro fisico e la
nostra esperienza ci avrebbero
permesso; ma è stato soprattutto
il risultato del viaggiare insieme,
come in una catena la cui forza
sta nell'ascoltare l’anello più
debole.
Cosa rimane...
Puscio - Sicuramente un gran mal di
piedi, ma dopo una settimana era già
passato tutto. Sono altre le cose che
ti porti via da un’esperienza simile.
Gioia, gratificazione, paura, delusione, entusiasmo e tanti altri sentimenti
continuavano ad alternarsi in base ai
successi e agli inconvenienti.
Ogni giorno arrivavamo in un posto
diverso e, oltre ai paesaggi, cambiavano anche le persone. Uomini e donne,
vecchi e ragazzi, amanti e non della
montagna, che parlavano dialetti e
lingue diverse. Attraverso i loro racconti era come visitare posti mai visti,
conoscere persone mai incontrate.
Rimane anche un silenzio diverso,
naturale, rilassante, che aiuta ad ascoltarsi di più. La montagna ti pone di
fronte alle tue paure e ai tuoi limiti.
Puoi ignorarli, schivarli; oppure puoi
cercare di superarli. In entrambi i
casi impari qualcosa di più su te stesso e capisci quali sono i tuoi limiti,
mentali e fisici. Nel migliore dei casi
riesci anche a spostarli un po' più in là.
Ma la cosa più importante che mi
porto via è una conferma: che andare
in montagna mi piace un sacco. E son
certo che in queste righe non abbiamo
raccontato la fine di un’avventura, ma
l’inizio della prossima.
Simone – Le persone che abbiamo
incontrato sono state fantastiche e
ospitali, ma la cosa che più mi ha
Il Grand Tour della Valtellina
51
Rubriche
Passaggio sul versante bresciano in corrispondenza
del passo di Gavia (11 luglio 2013).
L’assenza di bandierine bianco-rosse rende l'orientamento
più complicato (18 luglio 2013).
Partenza della penultima tappa dal rifugio
Bosio (22 luglio 2013).
colpito è l’ammirazione che hanno
dimostrato nei nostri confronti. I
moltissimi complimenti che abbiamo
ricevuto sono stati il nostro carburante
per l’intero giro, prima ancora dei panini e delle barrette energetiche.
Rimane poi un senso nuovo di libertà. Libertà dalla monotonia della vita
di tutti i giorni, dalla confusione, dalle
preoccupazioni, dagli impegni, dalla
tecnologia. La maggior parte dei miei
coetanei mi chiedeva perché avevo scelto una “vacanza” di questo tipo, lontano
dal “divertimento” delle discoteche e dai
propri amici. La motivazione è scaturita
proprio da questa esigenza di libertà.
È stato anche un modo per riflettere e
approfondire amicizie già splendide. Ho
imparato che la fiducia è fondamentale
per intraprendere qualsiasi esperienza.
Il più grande insegnamento che mi
è rimasto è però quello che bisogna
saper rinunciare, sapere fermarsi di
fronte a ostacoli troppo difficili e aver
l’umiltà di tornare indietro.
Questo trekking è stata un’esperien-
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI Al cospetto del Disgrazia nei pressi del
passo di Caldenno (21 luglio 2013).
za unica; abbiamo dovuto fare molti
sacrifici, ma le emozioni che abbiamo
provato, la gente che abbiamo conosciuto e i meravigliosi posti che abbiamo scoperto rimarranno fra i nostri
ricordi di sempre.
Daniele – Rimane molto, moltissimo, ed è impossibile far stare tutto
in queste righe. Le prime cose che mi
vengono in mente ripensando a questi
diciassette giorni sono l’entusiasmo
della partenza e l’emozione dell’arrivo. Dal nostro ritorno, ogni volta che
passo sotto la Basilica di Madonna mi
vengono i brividi pensando al momento in cui, da Campocologno, abbiamo
visto in lontananza il campanile, e
ricordando la corsa finale incontro a
tanti amici che ci hanno accolto con
abbracci all’arrivo.
L’organizzazione aveva funzionato,
ma soprattutto avevano funzionato
le nostre gambe e la nostra testa. Per
questo è rimasta anche una maggiore
fiducia in noi stessi e una più grande
determinazione.
Si è rafforzata poi la convinzione
di quanto sono belle e varie le nostre
montagne, dai ghiacci dell’Alta Valle
fino alle pareti della Val Màsino, dai
colori di un lago Nero ghiacciato alla
maestosità del lago di Como, dalla
tranquillità di un ruscello all’impetuosità delle cascate del Serio. Luoghi
raggiungibili in mezz’ora dalle nostre
case sembravano il paradiso.
Sono rimaste molte foto per
non far sbiadire i ricordi, un
paio di scarpe consumate per
ricordare la fatica di ogni passo,
uno zaino deformato dal peso,
un enorme quantità di cose
imparate e un sentimento
di gratitudine verso tutte
le persone che abbiamo
incontrato, che ci hanno
sostenuto, che hanno creduto in
noi e che ci hanno fatto amare
ancor di più la montagna.
Daniele, Andrea e Simone alla basilica della Madonna di Tirano, di ritorno dal loro trekking ad anello
attorno a tutta la Valtellina (23 luglio 2013).
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Grand Tour della Valtellina
53
Nuove attività
Rubriche
Divertirsi andando
in montagna:
IL GEOCACHING
Dario Fanoni e Giorgio Bianchi
Forse non tutti sanno che...
il Geocaching è una moderna
versione della caccia al tesoro
che si basa sull’utilizzo di un
ricevitore GPS per nascondere o
cercare i "tesori". Nato nel 2000
in America, il gioco è oggi diffuso
in tutto il mondo e appassiona
grandi e piccoli.
GPS e Geocaching: vite parallele •
Geocaching e GPS sono strettamente
connessi, sicché val la pena di ripercorrerne le due storie come fossero delle
moderne Vite parallele. Il sistema di posizionamento globale (in inglese: Global
Positioning System, abbreviato GPS) è un
sistema di posizionamento e navigazione
satellitare civile che, attraverso una rete
dedicata di satelliti artificiali in orbita,
fornisce a un terminale mobile o ricevitore GPS le relative coordinate geografiche, in ogni condizione meteorologica
e in qualunque luogo sulla Terra.
Il sistema GPS venne realizzato dal
dipartimento della difesa statunitense
(1973) per scopi militari; bisognerà
aspettare il 1991 perché il sistema sia
aperto agli usi civili, ma con un’intenzionale limitazione della precisione
a 100–150 metri. Tale limitazione fu
eliminata il 2 maggio 2000, mettendo
così a disposizione di tutti la precisione attuale, che può arrivare fino a
3 metri.
Proprio l'indomani di questa decisione, il 3 maggio 2000, un appassionato della tecnologia GPS, Dave
Ulmer, decise di nascondere in un
bosco sulle colline attorno a Portland
un contenitore, allo scopo di provare
la precisione del suo ricevitore GPS:
all'interno vi ripose alcuni libri,
videocassette e un block notes con una
penna, poi registrò le coordinate del
nascondiglio (N 45° 17.460, W 122°
24.800). Infine inviò le coordinate
del nascondiglio a un newsgroup con
la spiegazione della logica di questo
suo gioco: nascondere un conteni-
Hide...
Crea un nuovo cache!
1.
L'attività di hide
inizia con la
creazione di un
cache: si tratta
in genere di
un contenitore
(di dimensioni
variabili fra 1 e 30
centrimetri o oltre)
contenente log book,
possibilmente una
matita o biro ed
eventuali oggetti
premio.
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI tore (denominato inizialmente stash)
con block notes e qualche oggetto
e condividerne le coordinate con i
frequentatori del newsgroup, con l’invito a localizzare con il proprio ricevitore GPS il contenitore nascosto,
firmare il block notes, possibilmente
scambiare uno degli oggetti presenti
con un altro e condividere la propria
esperienza con gli altri utenti del
newsgroup.
Il 6 maggio 2000, Mike Teague
trovò il contenitore e firmò il block
notes (log book). Entusiasta dell'idea,
sempre sullo stesso newsgroup,
annunciò la creazione di una pagina
web dove raccogliere le informazioni
sugli stash e sui ritrovamenti.
L'idea fu talmente apprezzata che in
pochi giorni i frequentatori del gruppo
iniziarono a creare nuovi stash negli
Stati Uniti; dopo neanche un mese il
gioco sbarcò in Australia e a seguire in
molti altri stati del mondo.
Nel frattempo la denominazione del
contenitore venne cambiata da stash
a cache e il nome del gioco diventò
Geocaching.
Nel mese di luglio, Jeremy Irish,
uno sviluppatore di siti web, scoprì per
caso la pagina di Mike Teague durante
una ricerca sulla tecnologia GPS.
L’idea piacque molto a Jeremy che per
scoprire un contenitore nascosto nei
suoi dintorni comprò un ricevitore
GPS e iniziò la sua prima caccia già la
settimana successiva.
Dopo aver sperimentato l’emozione
del ritrovamento del suo primo cache,
Irish decise di aprire il sito dedicato a
questa attività - www.geocaching.com
- utilizzando le proprie conoscenze
professionali per migliorare il sistema
di ricerca dei cache e la standardizzazione delle relative informazioni.
Il nuovo sito fu completato e annunciato alla comunità il 2 settembre
2000. A quella data il sito conteneva
le informazioni di appena 75 cache
nascosti nel mondo.
Grazie a internet, al passaparola
e all'informazione mezzo
stampa, l’idea si evolvese
rapidamente e si diffuse anche
fuori dagli Stati Uniti, fino ad
arrivare alla situazione odierna
che conta più di 2 milioni di
cache nascosti in tutto il mondo
e oltre 6 milioni di appassionati
giocatori: i geocacher.
2.
Il cache può
presentarsi
all'osservatore in
maniera più o meno
evidente: in genere il
cache, in montagna,
viene nascosto fra
dei sassi o in un
anfratto roccioso,
ma i giocatori più
appassionati si
divertono a creare
dei sofisticati
nascondigli: qui
per esempio il
cache è stato celato
all'interno di un
tronchetto d'albero.
Primavera 2014
Come partecipare al geocaching • A seguito della grande
diffusione di questo gioco, furono
sviluppati altri siti simili all’originale
www.geocaching.com,
che
è
comunque rimasto di gran lunga il più
utilizzato sia per il numero elevato e
sempre crescente di iscritti e di cache
registrati, sia perché ben strutturato,
disponibile interamente in versione
italiana e regolarmente aggiornato e
controllato.
Le informazioni che seguono si
riferiscono quindi all’utilizzo del sito
www.geocaching.com.
Partecipare è molto semplice; le due
anime del gioco sono:
• la creazione di nuovi cache (hide);
• la ricerca di cache già esistenti
(seek).
Per quanto riguarda la prima, ogni
geocacher iscritto può nascondere uno
o più cache e renderli disponibili sul
sito, seguendo i requisiti per la pubblicazione di Geocache e le linee Guida
descritte nel sito stesso. La pubblicazione viene autorizzata da un verificatore (reviewer) che controlla esattezza e
completezza delle informazioni fornite
e il rispetto delle linee guida.
Per cercare un cache esistente è
invece sufficiente:
• accedere al sito ed effettuare l’iscrizione gratuita come utente base. Con
tale iscrizione si può cominciare il
gioco senza particolari limitazioni. Nel
sito si trova anche una guida completa
al geocaching (link: http://www.geocaching.com/guide/default.aspx) a cui
3.
Una volta preparato
il cache, il giocatore
deve piazzarlo in un
luogo a sua scelta (che
sia in città, al mare o
in montagna). Occorre
avere con sé un
dispositivo GPS, per
segnare con precisione
le coordinate del
nascondiglio; è utile,
ma non obbligatorio,
fotografare il punto
esatto del nascondiglio
e utilizzare la foto
come spoiler per chi
vorrà venire a cercare
il cache. Nell'immagine
a lato, il luogo del
nascondiglio di un
cache sul monte
Spondascia, di fronte
al pizzo Scalino.
LE MONTAGNE DIVERTENTI si rimanda per una descrizione dettagliata del funzionamento del gioco;
• aprire la pagina “Gioca/Nascondi”
e poi “Cerca un cache” per individuare
i tesori nascosti nell’area di interesse,
utilizzando uno dei parametri richiesti
dalla maschera proposta, in particolare nel campo “Indirizzo”; molto
comoda anche la funzione "Visualizza
mappa dei geocache", che permette di
visualizzare tutti i cache direttamente
sull'atlante;
• selezionare il cache di interesse
tra quelli elencati nella lista, cliccare
sul nome per aprirne la descrizione
e copiare o scaricare con l’apposita
funzione le coordinate sul proprio
ricevitore GPS (oggi molti smartphone
e tablet hanno un GPS incorporato);
• acquisire le informazioni per il
ritrovamento, gli indizi aggiuntivi e le
foto spoiler (di norma rappresentano la
zona dove è nascosto il cache);
• spostarsi nel luogo dove è nascosto
il cache e iniziare la ricerca dopo aver
attivato la specifica funzione sul
proprio ricevitore GPS;
• una volta trovato fisicamente il cache
si appone il proprio nome identificativo
(insieme a data/ora di ritrovamento) sul
log book per poi tornare a riporre il cache
nella esatta posizione del ritrovamento.
Tramite Internet si apre poi la pagina
del cache ritrovato, si clicca sull’icona
“Logga una nuova visita” e si procede
alla segnalazione dell’avvenuto ritrovamento. In tal modo chi lo ha nascosto
(owner) viene informato del ritrovamento tramite email e la propria lista
4.
Non rimane che
rendere "pubblico"
il nuovo cache,
schedandolo sul
sito ufficiale di
questa attività: sarà
sufficiente darne un
nome, specificarne
coordinate,
dimensioni,
difficoltà di
ritrovamento e di
accesso, caricare
eventuali foto
dell'ambiente
circostante e del
luogo esatto del
nascondiglio
(spoiler).
Geocaching
55
Nuove attività
Rubriche
di cache scoperti viene aggiornata. Nel
caso non si riesca a trovare il cache dopo
un’accurata ricerca, è utile segnalarlo
ugualmente, ma selezionando l’opzione
“Didn’t find it”.
Tipi di cache e contenuto • Non
ci sono limiti alle dimensioni e alla
forma dei cache (per esempio, quanto
a dimensioni, si parte da bussolotti
di pochi centimetri per arrivare a
contenitori grandi come scatoloni!).
È importante però che contengano,
come minimo, un log book per la
registrazione del ritrovamento, con
biro o matita laddove lo spazio lo
consente.
In genere i cache contengo oggetti
lasciati da chi li ha nascosti e da chi li
ha trovati successivamente. È possibile
“scambiare” uno o più oggetti, cioè
prelevarli e sostituirli, di norma con
altri di uguale o maggior valore.
Va sottolineato che il Geocaching
non mette in campo una
competizione che premia chi
per primo raggiunge il cache
(sì, talvolta è previsto un
riconoscimento per il ftf, che
sta per firts to find, ma non
è la norma): al contrario, fra
i giocatori nasce un senso di
comunità e di vicinanza, che si
concretizza nel piacere di leggere
nel log book le tracce dei giocatori
che li hanno preceduti.
Ciascun cache è caratterizzato da
stelline (da 1 a 5) che misurano:
• dimensione fisica del contenitore,
da micro a grande;
• difficoltà, cioè complessità del
ritrovamento;
• valutazione del terreno.
I cache sono spesso nascosti nei
...and Seek!
Cerca un cache già
esistente!
1.
Entra nel sito
www.geocaching.com,
vai su "Gioca" e clicca
su "Visualizza mappa
dei geocache"; esplora
l'area di tuo interesse
e clicca sui cache che ti
potrebbero interessare
per scoprirne i
dettagli. Qui per
esempio siamo in
Valtellina e abbiamo
cliccato su un cache
nascosto nei pressi del
Rifugio Ponti.
buchi dei muri, in cavità della roccia
e coperti di pietre, tra le radici degli
alberi, ecc. Altre volte vengono camuffati in modo da renderli irriconoscibili
ai passanti, ma individuabili dal geocacher attento.
Turismo e Geocaching • I criteri
con cui sono nascosti i geocache
sono lasciati sempre alla libertà e alla
fantasia di coloro che li nascondono,
talvolta nei posti più impensati, in
ambiente cittadino come in quello
montano o di campagna. Se dovessimo trovare un elemento comune a
tutti i cache, tuttavia, lo ravviseremmo
nel tentativo di scegliere luoghi poco
conosciuti e non soggetti al turismo
di massa, ma ugualmente meritevoli di una visita, come chiesette di
campagna, rovine di antichi castelli,
luoghi di particolare interesse naturalistico, alpinistico e storico: una filosofia
2.
Ci siamo convinti di
voler andare a cercare
il cache al rifugio
Ponti; scarichiamo
le coordinate GPS
del nascondiglio e,
per facilitarci un po'
la ricerca, apriamo
anche l'immagine di
spoiler, nella quale
una freccia rossa ci
chiarisce dove sia
nascosto il cache.
La home page di www.geocaching.com, sito ufficiale dell'attività.
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI di fondo del gioco, infatti, è quella di
offrire ai geocacher la possibilità di visitare luoghi caratteristici, sovente conosciuti soltanto dai residenti.
Turismo, escursionismo, orienteering e geocaching si coniugano perfettamente, tanto da essersi creato un vero
e proprio turismo parallelo guidato
dal geocaching; prima di partire per un
viaggio o un’escursione in montagna,
è semplice stilare una lista di cache che
possono essere rinvenuti nei dintorni
della propria meta, da visitare una
volta giunti sul posto. Analogamente
può capitare che la meta finale sia
scelta dal geocacher proprio in funzione
dei cache che, con la loro descrizione,
suscitano un interesse particolare.
I cache di montagna assumono un
fascino particolare perché abbinano
alla fatica della salita la soddisfazione
del ritrovamento del tesoro, potendo
così stimolare alla camminata anche
le persone più pigre e specialmente i
bambini, particolarmente attratti da
questa coinvolgente attività.
Sviluppo del geocaching in Valtellina • In Valtellina il gioco ha iniziato
a diffondersi qualche anno fa e ormai
i cache sparsi nel territorio superano
il centinaio, distribuiti dalla Valchiavenna fino a Livigno.
Si possono trovare cache in cima a
montagne poco frequentate (come sul
monte Spondascia in Valmalenco),
lungo il sentiero Valtellina, in località di interesse architettonico (xenodochio di Santa Perpetua a Tirano),
naturalistico (le piramidi di Postalesio), laghi alpini (Arcoglio e Lagazzuolo in Valmalenco) e tanti altri.
La Valtellina è un luogo ideale per lo
sviluppo di questo gioco, ricca com'è
di bellezze culturali o naturalistiche
relativamente poco note. In partico-
3.
Siamo pronti per andare
al rifugio Ponti a cercare
il cache e a vedere cosa
nasconde per noi. In
questo caso la ricerca
sembra molto semplice,
ma in altri casi, come
nell'esempio della foto
(siamo a Berlino), il
ritrovamento della
scatolina può risultare
particolarmente
complesso.
Una volta identificato
il contenitore, si firma
il log book, si ritira
l'eventuale premio per
la prima persona che
ha raggiunto il cache,
quindi si riposiziona
il cache nel medesimo
punto in cui lo si è
trovato.
lare, le montagne valtellinesi offrono
una rete fittissima di escursioni e itinerari poco noti che potrebbero essere
promossi incentivandone la fruizione
da parte di escursionisti geocacher.
er stimolare i lettori a partecipare a questo gioco, abbiamo
nascosto un cache lungo il percorso
descritto nell’articolo escursionistico
che percorre i sentieri attorno alla
cascata di Isolaccia (pag. 104).
Il nome del cache è “Cascata al
Crap de Scegn - L.M.D.” (codice
GC4XDDB) e la descrizione, le caratte­
ristiche e le coordinate sono scaricabili
dal sito www.geocaching.com.
Al primo geocacher, regolarmente
iscritto al sito, che troverà e loggherà
il cache e registrerà il ritrovamento
nel sito verrà inviata una fascetta de
Le Montagne Divertenti all’indirizzo
che dovrà comunicare via email a
[email protected].
P
4.
Una volta tornati
a casa, si deve
riaprire la pagina
web del cache e
"loggare" la propria
visita a quel cache,
per accentuare il
senso di comunità
fra i geocacher,
incrementare il
numero di cache
trovati, ma anche
e soprattutto
per segnalare
l'eventuale assenza
del cache (didn't
find it, "non l'ho
trovato").
La mappa di tutti i cache su www.geocaching.com permette di farsi un'idea della diffusione del gioco nelle varie parti del mondo.
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Geocaching
57
Speciali
ValMàsino
Pizzo del Ferro
Orientale
(m 3199)
Beno
Sulla aerea cresta ENE del pizzo del
Ferro Orientale (25 aprile 2013, foto
58 Ganassa
LE MONTAGNE
DIVERTENTI Roberto
- www.clickalps.com).
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo del Ferro Orientale (m 3199)
59
Speciali
Pizzo del Ferro Occ.
(3267)
Cima della Bondasca
(3289)
Torrione del Ferro
(3234)
Pizzi Gemelli (3225-3262)
Pizzo del Ferro Orientale
(3199)
Passo del Ferro
(3203)
Colle Màsino
(3062)
Bivacco
Molteni-Valsecchi
uanto è bello sciare in val Màsino?
Davvero un sacco. Ci sono vallate incredibili con decine di itinerari, isolamento
Q
garantito, sole, tanto sole, e pendii lunghi e molto estetici su cui far correre gli sci stando
solo un po' attenti a non lasciarsi incantare troppo dalla grandiosità del paesaggio e finire
a terra perchè non si è visto un ostacolo! Certo, qui non si scherza con le valanghe e serve
pure un po' di allenamento dati i notevoli dislivelli e le tracce sempre da battere, ma non vi è
la minima possibilità di rimanere delusi qualsiasi sia l'itinerario che si è scelto di percorrere.
Per questo, quando a fine aprile sono al Centro della Montagna a montare una mostra
fotografica in occasione del Melloblocco, continuo a guardare fuori dalla finestra verso la
valle del Ferro e le sue cime. Una in particolare, il Ferro Orientale, con la caratteristica S che
ne solca la parete S, sveglia in noi un'irrefrenabile voglia di sciare nel regno del granito.
I 2300 metri di dislivello che ci separano dalla vetta sono l'unico ostacolo a frapporsi tra la
mia proposta ed un sì immediato di Roby; Giovanni invece non esita ad aggregarsi.
60
All'ora
blu la luceDIVERTENTI
radente della
Ganassa
- www.clickalps.com).
Pizzo
del Ferro
Orientale (m 3199)
LE MONTAGNE
luna piena riscalda la valle del Ferro (20 dicembre 2010, foto Roberto
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
61
ValMàsino
Speciali
Cima della Bondasca
(3289)
Torrione del Ferro
(3234)
Pizzo del Ferro Orientale
(3199)
Biv. Molteni - Valsecchi
(2510)
Casera dell'alpe del Ferro
(2084)
Casera del Ferro
(1658)
La valle del Ferro dalla Casa delle Guide al rientro dalla nostra gita. In rosso-giallo il tracciato di salita, in verde l'accesso alla vetta per il canale
SSO, in arancione la variante di discesa che ci ha permesso di tenere gli sci fino a m 1800 (25 aprile 2013, foto Giovanni Rovedatti).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: San Martino Valmàsino (m 923).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
seguire la SS 38 verso Sondrio. Attraversato il ponte
sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di Ardenno (5 km
a E di Morbegno) e seguire la SP9 della val Màsino
fino a San Martino. All’ingresso del paese la SP 9
piega a sx. Prendere invece a dx (negozio Fiorelli) la
stretta strada che tra le case raggiunge prima il ponte
sul Mello, poi il parcheggio gratuito nei pressi del
centro sportivo. Se questo fosse pieno, si deve
ricorrere a quello a pagamento all’ingresso del paese.
Itinerario
sintetico: San Martino (m 923) - ca
di Rogni (m 1019) - casera del Ferro (m 1658) - pizzo
del Ferro Orientale (m 3199).
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 6 ore e mezza per la salita.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
ciaspole, rampanti, kit antivalanga, piccozza e
ramponi, corda (almeno 40 metri), 2-3 protezioni
veloci e fettucce.
Difficoltà/dislivello: 4+ su 6 / 2276 metri.
Dettagli: OSA/PD il tratto finale ha pendenze
fino a 45°. Per la vetta la via più comoda consiste
nel risalire un ripido canaletto (55°) che deposita sul
pendio sommitale (SO). Altra alternativa è la cresta
E (AD: passi di III su misto).
Mappe:
- CNS n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000;
Primavera 2014
25 APRILE 2013
Sono le 3 e mezza di mattina
quando io, Roby e Giovanni lasciamo
la macchina al campo sportivo di San
Martino (m 923) e alla luce dei frontalini e della luna piena prendiamo il
sentiero che sulla dx idrografica del
torrente raggiunge la val di Mello.
Gli zaini sono molto pesanti; niente
cibo (l'ho dimenticato), ma piccozze,
ramponi, attrezzatura foto e probabilmente qualche sasso messo di nascosto
nel mio sacco dagli spiriti malvagi mi
piegano la schiena in avanti. Con le
LE MONTAGNE DIVERTENTI prime gocce di sudore che ci rigano la
fronte saltiamo sulla strada per la val
di Mello che presto si fa acciottolata.
Superiamo ca di Rogni (m 1019,
ore 0:20) e deviamo a sx (NNO)
prima del ponticello sul torrente del
Ferro. Seguiamo la pista che affianca
il torrente e che poco oltre, quasi
ai piedi della grandiosa e spumeggiante cascata del Ferro, si trasforma
in sentiero e piega a sx (bolli biancorossi)1. La luna, già calante da qualche
giorno, va a nascondersi dietro il
monte Lobbia. Fa molto caldo, ma il
cielo stellato ci assicura che in alto il
manto nevoso è rigelato irraggiando
calore verso la volta celeste.
La salita è monotona nel fitto bosco
di aghifoglie, finchè a m 1350 ci affacciamo a rumorose cascate che precipitano da alte placconate di granito.
Il sentiero sfrutta l'orografica dx per
aggirare il salto roccioso e ci porta sul
grande ripiano ai piedi di un'ulteriore
1 - Qui si trova un'altra traccia (dx) che sale più
diretta, ma è meno curata e presenta passaggi
angusti, specie per chi ha gli sci sulle spalle!
Pizzo del Ferro Orientale (m 3199)
63
ValMàsino
In alto: i contrafforti orientali del Cavalcorto dalla valle del Ferro a circa m 1600 (16 gennaio 2010, foto Beno).
A sx: sui pendii della valle del Ferro; sullo sfondo la punta Moraschini (25 aprile 2013, foto Roberto Ganassa).
A dx: alla base della esse finale a circa m 2700 (25 aprile 2013, foto Beno).
barra di granito, madre di altre imponenti cascate. Qui il sentiero attraversa
vari rami del torrente2 e, quando mi
sono già abbondantemente slozzato
le scarpe, la neve pare ancora lontana.
Raggiungiamo la casera del Ferro
(m 1658, ore 2:30), raccolta a ridosso
di un grosso masso. Si tratta di uno
spartano ricovero di pastori e animali
nei pressi del quale la teleferica proveniente dalla val di Mello ha il proprio
capolinea. Sulla sx orografica saliamo
2 - Il primo, senza ponte, viene guadato grazie ad
una striscia di sassi affioranti su cui è difficile stare
in equilibrio con gli scarponi da sci ai piedi.
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI alcuni tornanti, per riportarci al
centro della valle proprio al di sopra
del grande salto di rocce.
ggi non c'è un filo d'aria; non
come a febbraio dell'anno
scorso, quando, spezzandola in due
giorni, feci la medesima ascensione
con Andrea. L'inverno era stato
talmente avaro di neve che preferimmo le ciaspole agli sci. Partiti nel
pomeriggio, il favonio, che soffiava
caldo alle basse quote, ci permise di
salire fino a m 1750 in calzoncini e
maglietta, quota a cui si trasformò
in un possente soffio ghiacciato che
O
Uno dei tratti più ripidi della S finale ci obbliga a levare gli sci e proseguire con picca e ramponi. Questa gita ha avuto molti settori da fare a
piedi: all'inizio son serviti 1000 metri di dislivello e due ore e mezza per raggiungere la neve, poi si sono sommati passaggi ripidi e/o tecnici che
hanno richiesto l'uso dei ramponi. Ma pensando alla discesa direi che ne è valsa la pena! (25 aprile 2013, foto Roberto Ganassa).
rischiava di congelarci.
Era buio e la bufera faceva brillare i
cristalli di neve alla luce dei frontalini.
Il fondo non teneva e ad ogni passo
sfondavamo la crosta e finivamo a
mollo nella neve. Una tortura!
Raggiungere il bivacco Molteni,
dove avevamo prenotato la suite imperiale per la notte, si era rivelato un'utopia, così come metterci addosso dei
vestiti in mezzo a quella tormenta.
Vagando a casaccio in tenuta da
spiaggia, la fortuna ci portò alla casera
dell’alpe del Ferro (m 2084). L'iniziale gioia venne presto sopraffatta
Primavera 2014
dallo sconforto del constatare che era
tutto chiuso, legnaia compresa.
Che fare? Oramai la situazione era
critica, quando mi ricordai di essere
molto magro e salii sul tetto della
baita per tuffarmi a candela dentro il
camino, proprio come Babbo Natale.
Strisciai nella fuliggine pregando
di non rimanere incastrato, mentre
Andrea era fuori che mi prendeva in
giro. Io non potevo nemmeno rispondere alle sue battute perché se non
avessi trattenuto il fiato mi sarei fatto
una scorpacciata di polvere. Poi, dopo
qualche contorcimento doloroso per
LE MONTAGNE DIVERTENTI avanzare in quel foro angusto, toccai
coi piedi il focolare e come Babbo
Natale gridai: «Oh, oh, oh, oh... bimbi
arrivano i doni!!!»
Eravamo salvi; aprii una finestra e
feci entrare anche Andrea nel provvidenziale ricovero notturno al riparo
da Eolo. Nonostante quella disavventura, l'indomani giungemmo in vetta,
ma con un tempo talmente da lupi
che mi ripromisi di tornare sul Ferro
Orientale per gustarmi il tanto celebrato panorama di vetta.
a torniamo al 2013: prendiamo quota nel centro della
M
valle, spostandoci lentamente a dx
(E). Il Ferro Orientale è davanti a noi
che ci attende.
Arriva l'alba che colora di rosa le
Orobie. La neve è compatta e ruvida,
tanto da lasciarmi camminare in
scarpe da ginnastica fino a m 25003,
dove il freddo ai piedi mi costringe a
mettere l'attrezzatura da sci.
Il Ferro Orientale è sopra di noi.
La S nevosa che ne disegna il
versante meridionale appare sempre
più schiacciata man mano ci portiamo
3 - In queste condizioni si procede molto più
velocemente a piedi che con le pelli.
Pizzo del Ferro Orientale (m 3199)
65
ValMàsino
Speciali
ai suoi piedi.
A m 2600, quando il bivacco
Molteni occhieggia in basso a sx, ci
affacciamo alla conca ai piedi del
torrione del Ferro, attraversata la
quale siamo alla base della S finale.
Ci dirigiamo al colletto per salire il Ferro
Orientale per la sua cresta E, dopo che non
siamo riusciti a percorrere il canale che
accede alla vetta da SO e il cui imbocco si
raggiunge con la cengia nevosa che si vede
sulla dx. Alle nostre spalle il paesaggio è
sterminato: dalla val Màsino alle Alpi Orobie.
(25 aprileLE2013,
foto Roberto
Ganassa).
66
MONTAGNE
DIVERTENTI
Siamo a m 2700 ca. e la questione
si fa ripida, nonché a tratti gelata.
Leviamo le assi e, armati di ramponi e
piccozza ci issiamo sul pendio.
Sfiga vuole che, nonostante le
valanghe siano già scese, dopo i
primi baci del sole la neve non è più
portante e si seguita ad affondare.
Giovanni ben presto si rompe le
scatole e rimette gli sci. Io sono un
po' cotto e non voglio affannarmi in
giochi di equilibrio: preferisco rava-
Primavera 2014
nare senza alcuno stile.
Davanti a me neve e ghiaccio, alle
mie spalle l'immenso panorama sulle
cime della val Màsino e delle Orobie.
In breve siamo al terzo e ultimo
spezzone della S (45°), quello da E
LE MONTAGNE DIVERTENTI a O. Il ghiaccio si alterna alla fuffa e
richiede attenzione. Anche Giovanni
leva gli sci e si attrezza.
Dei fendenti di sole segnano la
fine delle ostilità e ci proiettano
nella splendida conca a S della cima
(m 3050 ca.).
Proviamo a percorrere il canalino
diretto e ripidissimo che si imbocca
sulla sx (O), reaggiungibile grazie a
una cengia che inizia proprio ai piedi
dei contrafforti sotto la vetta. Di qui
Pizzo del Ferro Orientale (m 3199)
67
ValMàsino
Speciali
In alto: salendo al colle tra il pizzo del Ferro Orientale e la sua anticima E (25 aprile 2013, foto Giovanni Rovedatti).
A sx: alla bocchetta tra il pizzo del Ferro Orientale e la sua anticima orientale (25 aprile 2013, foto Beno).
A dx: in vetta al pizzo del Ferro Orientale, abbracciati dal freddo e dalle nuvole (26 febbraio 2012, foto Beno).
son circa 80 metri con un tratto a 55°
difficilmente proteggibile, poi seguirebbe la groppa meno ripida e molto
larga che culmina con la vetta del
pizzo del Ferro Orientale (m 3199,
ore 3:30).
Ma la neve oggi è troppo marcia e
dobbiamo rinunciare all'itinerario che
avevo collaudato l'anno scorso con
Andrea. Cerchiamo un'alternativa e
pieghiamo a dx (E) raggiungendo con
un traverso l'evidente colletto sulla
cresta E del Ferro Orientale (m 3150).
Barcollanti cornici addobbano lo
spartiacque. Il luogo è impreziosito da
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI blocchi appoggiati sul ciglio di precipizi vertiginosi che lo rendono quantomai inquietante. La cresta E, che
dovremo percorrere, è fatta di spuntoni e lame di roccia sporchi di neve e
non è per nulla invitante4.
Abbiamo 17 metri di corda, due
fettucce e tre friend, per cui il numero
di problemi che potremo affrontare è
limitato.
Due microtiri e siamo in cima alla
prima torre. Iniziamo un tratto meno
inclinato rivolto a S, ma servono
4 - E pensare che certi fantasiosi libri di scialpinismo danno questo tratto come semplice!
A sx: nei pressi del colle, uno sguardo verso SE, dove i Corni Bruciati disegnano l'orizzonte (25 aprile 2013, foto Beno).
A dx: gli sciatori in val Màsino sono dei fortunati puntini al cospetto di enormi torri di granito (25 aprile 2013, foto Beno).
pochi metri per capire che stiamo
compiendo un azzardo: se non dovessimo arrivare in vetta, con 17 metri
di corda non riusciremmo più a
scendere.
a cima è appena lì, l'altimetro la
dà a soli 25 metri, ma un insolito attacco di buon senso ci invita a
non rischiare oltre. Inoltre il caldo sta
inflaccidendo la neve e c'è il pericolo
di non riuscire più a sciare.
Pur con qualche difficoltà, siamo
di nuovo alla sella. Giovanni è molto
amareggiato per la mancata vetta,
io molto sollevato per essere tutto
L
Primavera 2014
intero, Roby è molto gasato perchè
ha fatto foto da paura mentre noi
arrampicavamo.
In questa mescolanza di umori,
calziamo gli sci e salutiamo la cima
della Bondasca, le Sciore e l'Albigna,
volti della Bregaglia incorniciati dal
ghiaccio e dalle rocce del colle.
Pochi istanti e inizia il nostro
nirvana. Sciare in ValMàsino è ogni
volta un sogno che si avvera: nelle notti
d'inverno, infatti, Morfeo mi accompagna sempre in posti del genere!
Lo scatolotto rosso del bivacco
Molteni è ora alle nostre spalle, in
LE MONTAGNE DIVERTENTI breve le nostre scarpe da ginnastica
- depositate all'alba sopra un sasso a
m 2500 - sono sulle nostre spalle e,
a m 1750, quando s'esaurisce anche
l'ultima lingua nevosa sopra la casera
del Ferro, pure dei segnacci rossi sono
sulle mie spalle: non ho messo la
crema solare!
Giovanni, sciatore estremo, derapa
scintillante sopra rododendri, sassi e
chiazze d'erba.
Io e Roby lo osserviamo ridendo,
poi ci sediamo uno accanto all'altro e
ci godiamo un riposino riscaldati dal
sole dell'una.
Quando alla nostra sx il torrente
del Ferro viene rimpiazzato dal Mello,
prepotentemente veniamo ributtati
tra la gente. Centinaia di boulderisti, escursionisti o semplici curiosi
in tenuta estiva occupano ogni prato
della valle. La nostra attrezzatura
desta scandalo. Se fossimo stati nudi
avremmo provocato meno risate!
Arrivati a San Martino (meno di
2 ore dal colle!), il Ferro Orientale
troneggia sopra le nostre teste e ci
permette, semplicemente indicandolo, di spiegare ai profani dov'è la
festa a cui si va vestiti in questo modo.
Pizzo del Ferro Orientale (m 3199)
69
Alpinismo
con gli sci al
Monte del Forno
(m 3214)
Luciano Bruseghini
Il monte del Forno dai pressi di San Giuseppe
(10 novembre 2011, foto Roberto Ganassa www.clickalps.com).
70
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte del Forno (3214)
71
Valmalenco
Alpinismo
Il monte del Forno dalle pendici meridionali del monte dell'Oro (28 novembre 2009, foto Beno).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Chiareggio (m 1612) o San Giuseppe
dell'Oro (m 2010) - Chiareggio (m 1600).
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere
Tempo previsto: 7 ore.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
(m 1400).
la strada provinciale SP15 della Valmalenco. Arrivati a
Chiesa (12 km) seguire il ramo occidentale della valle.
Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva a San Giuseppe. Se
la strada è aperta e sgombra da neve proseguire in
direzione di Chiareggio lungo la stretta carrareccia fino
all'area di sosta ai bordi del torrente Mallero posta dopo
il piccolo centro abitato (5 km).
Itinerario sintetico: Chiareggio (m 1612) - alpe
Vazzeda Inferiore (m 1830) - alpe Vazzeda Superiore
(m 2030) - passo del Forno (m 2775) - monte del
Forno (m 3214) - valle del Muretto (m 2500) - alpe
ciaspole, kit antivalanga, piccozza e ramponi.
Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / 1822 metri.
Dettagli: BSA+. Gli ultimi metri per la vetta
vanno fatti a piedi per un ripido canalino, o per
una paretina rocciosa attrezzata.
Mappe:
- CNS n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000;
- Kompass n. 93 - Bernina, 1:50000.
Il monte del Forno (m 3214) è la vetta dalla caratteristica forma piramidale che si erge
all'estremità settentrionale dello spartiacque tra la valle del Muretto e la valle del Forno,
al confine tra Italia e Svizzera, in posizione simmetrica all'altra piramide malenca, il pizzo
Scalino, rispetto all'asse longitudinale della valle. La montagna è un museo di geologia:
è costituita in gran parte da anfiboliti, rocce scure ricche di minerali di ferro e magnesio
che ben si evidenziano nel tetraedro sommitale. Le strutture a pillows (cuscini) rinvenute
rivelano che queste rocce sono state originate da lave basaltiche sottomarine raffreddate
molto velocemente, quindi metamorfosate durante l’orogenesi alpina.
Nonostante la grande estetica della cima, la scialpinistica al monte del Forno non è
sicuramente una delle classiche della zona del Mallero: ciò è probabilmente dovuto alla
lunghezza dell’itinerario e alla mancanza di strutture d’appoggio durante la salita. Dal
versante svizzero, invece, sono molti gli sciatori che ogni anno ne raggiungono la vetta,
appoggiandosi al provvidenziale rifugio del Forno, posto a m 2575 dell’omonima vallata.
72
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte del Forno (3214)
73
Alpinismo
Monte del Forno
(3214)
Pizzo Muretto
(3104)
Passo del Forno
(2775)
Passo del Forno
(2775)
Dall'alto:
Il monte del Forno dai ruderi dell'alpe
Vazzeda Superiore (18 aprile 2013, foto
Luciano Brusghini).
Il monte del Forno e il passo del Forno
dalla val Bona (18 aprile 2013, foto Luciano
Bruseghini).
La cupola sommitale del monte del Forno
vista dal passo del Forno (18 aprile 2013,
foto Luciano Bruseghini).
Passo del Muretto
(2562)
Alpe Monterosso
Superiore
Alpe Vazzeda Superiore
Valmalenco
Alpe dell'Oro
Alpe Monterosso
Inferiore
Alpe Vazzeda Inferiore
Passo del Forno
(2775)
Il monte del Forno e i tracciati di salita (rosso) e discesa (blu) visti dalla val Ventina (13 gennaio 2014, foto Luciano Bruseghini).
È un peccato che siano pochi i
frequentatori del monte del Forno dal
versante italiano, perché i pendii di
questa montagna offrono fino a tarda
primavera una neve splendida che
permette entusiasmanti sciate anche a
quote relativamente basse.
La montagna deve il suo particolare toponimo ai forni costruiti alla
sua base e sfruttati nel medioevo per
l’estrazione del ferro. Capita ancora
oggi di rinvenire scorie (loppa) di tale
lavorazione.
Essendo una meta tipicamente
primaverile, l’itinerario ha solitamente
inizio da Chiareggio (m 1612), nel
comune di Chiesa Valmalenco. Se
però la strada fosse ancora chiusa
causa neve, si devono mettere in
conto circa 5 chilometri in più lungo
la rotabile innevata da San Giuseppe
(m 1400) a Chiareggio.
Lasciata
l’auto
nell'ampio
parcheggio del ciàn del Löf, sull'idrografica sx del torrente Mallero, avanziamo con gli sci ai piedi in direzione
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI O lungo la carrareccia che attraversa
il pianoro alluvionale, seguendo le
indicazioni per i rifugi TartaglioneCrispo e Del Grande-Camerini. Verso
sx s'impone la testata della val Sissone,
con le cime di Chiareggio (m 3204,
m 3107, m 3094) al centro, il monte
Pioda (m 3431), la parete nord del
Disgrazia (m 3678) e il pizzo Ventina
(m 3261) a sx. Attraversato il torrente
che scende dalla valle del Muretto,
un cartello ci segnala che dobbiamo
abbandonare la comoda strada per
Forbicina e imboccare sulla dx un
sentiero che si innalza sul fianco della
montagna. Il tracciato si snoda in un
fitto bosco di aghifoglie, poi piega
verso dx (NE) e, grazie a un ponticello, attraversiamo il torrente Vazzeda
che precipita dall’ampio pianoro
compreso fra la cima di Vazzeda
(m 3301) e la cima di val Bona
(m 3033). In breve sbuchiamo
all’alpe Vazzeda Inferiore (m 1830,
ore 0:40) che, fortunatamente, è
ancora caricata nei mesi estivi, anche
se parecchie baite appaiono completamente diroccate.
Risaliamo (NO) il pendio sgombro
dalla vegetazione lungo il lato idrografico sx del ruscello e accediamo
a una zona ricoperta da rada vegetazione, abbastanza ripida, che
vinciamo con molteplici inversioni. Un ultimo sforzo e superiamo
anche il gradino roccioso che dà
accesso all’alpe Vazzeda Superiore1
(m 2030, ore 0:30); purtroppo questo
avamposto non viene più utilizzato
e quasi tutti i tetti delle piccole baite
sono collassati! D’ora in avanti l’inconfondibile sagoma del monte del
Forno, che si erge a guardiano della
val Bona, sarà il faro da seguire. Da
qui il sentiero estivo prosegue verso
Monte del Forno
(3214)
1 - Su Luigi Brasca, Guido Silvestri, Romano
Balabio, Alfredo Corti, Guida dei monti d’Italia.
Alpi Retiche occidentali, CAI, Brescia 1911,
Romano Balabio descrive così l’itinerario di salita
al monte del Forno da Chiareggio. “…dall’alpe
Vazzeda (inferiore), per sentiero, dirigendosi a nord,
si tocca l’Alpe della Valle poi si segue la Val Bona sul
fianco destro…” . Quindi, a quei tempi, l’alpe
Vazzeda Superiore veniva identificata come alpe
della Valle.
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI dx e si addentra subito in val Bona,
ma in questo periodo è preferibile
rimontare il dosso che sovrasta l’alpeggio e poi rientrare nella vallata
più in alto. In questo modo si evita
l’eventuale scaricamento di neve dallo
scosceso fianco che delimita l’aspro
imbocco della gola. Lasciati alle spalle
i ruderi delle baite procediamo in
direzione O, guidati anche da eventuali tracce di altri sciatori diretti al
passo Vazzeda, fino ad abbandonare
gli ultimi radi larici abbarbicati sul
costone. Ora le tracce per il passo
Vazzeda vanno verso sx, noi invece
proseguiamo diritti fino alla sommità
del dossone (m 2300 ca., ore 0:30).
Da qui godiamo di un ottimo
panorama: sulla sx impera la piramide calcarea della cima di Vazzeda
(m 3301), sopra le nostre teste si erge
la lama affilata dello spigolo Gervasutti che conduce alla cima di val Bona
(m 3033), mentre a dx si affacciano sia
il passo che il monte del Forno. Con
un lungo traverso in leggera discesa
imbocchiamo la solitaria val Bona.
L’omonima cima ci sovrasta dall’alto e
con il monte Rosso (m 3088) chiude
la testata. Assai curiosi sono i colori:
scuro quello della prima vetta, chiaro
quello della seconda. Ciò è dovuto al
fatto che proprio in questa zona vi è
l’incontro di due differenti tipologie
di rocce che provengono da fenomeni
geologici diversi. Quella chiara appartiene al plutone del Màsino-Bregaglia
(granito ricco di quarzo), quella scura
alle ofioliti del monte del Forno (anfiboliti con ferro e magnesio).
Proseguiamo a mezzacosta, senza
toccare il fondovalle perché sarebbe
inutile abbassarsi per poi risalire. Qui,
Monte del Forno (3214)
75
Valmalenco
Alpinismo
essendo rivolta a N, la neve mantiene
una buona consistenza e procediamo
senza alcun problema. Raggiunta la
parte terminale della vallata, rimontiamo il pendio sulla sx orografica
perché è la zona più sicura e, dopo
una piccola conca, alcune inversioni ci
regalano il passo del Forno (m 2775,
ore 1:30).
Il versante svizzero è inciso da
numerosi binari sciistici sia di salita
che di discesa, ma stranamente non c’è
nessuno in giro, probabilmente perché
oggi è un giorno infrasettimanale.
La capanna del Forno (m 2574) non
è visibile, occultata da uno sperone
roccioso, ma vi si accede facilmente in
una mezz'oretta a piedi e in un attimo
con le assi. Ben appariscente è invece il
monte del Forno: sembra lì a portata
di mano, che quasi lo si possa toccare
con un dito, ma è un'illusione.
Riprendiamo la marcia sfiancandoci sul versante svizzero dove
un erto tratto con neve dura porta
all’ampia e più agevole dorsale spartiacque. Guadagniamo quota superando diversi dossi fino alla base delle
scure e ripide rocce della piramide
sommitale (m 3050 ca., ore 0:45).
Togliamo gli sci e calziamo i
ramponi. Ad aiutarci nell’ascesa di
questa bancata rocciosa ci sono diversi
tratti di catena che sono libere dalla
neve grazie alla forte pendenza e al
colore scuro delle rocce che si riscaldano facilmente quando colpite dai
raggi solari2. Superato questo ostacolo,
siamo sulla rampa finale. Fatichiamo
parecchio perché ogni due passi la
neve cede e sprofondiamo fino alla
cintura. Ma non demordiamo, ormai
manca poco. In breve sbuchiamo
sull’affilata cresta che ci conduce all’apogeo del monte del Forno (m 3214,
ore 0:45).
Sappiamo che c’è anche il libro
di vetta, però non abbiamo voglia
di scavare due metri di neve per poi
magari nemmeno trovarlo! Il paesaggio
è mozzafiato in ogni direzione. A N
sfila tutta la valle del Muretto fino
all’alta Engadina, a E in primo piano la
Sassa di Fora e come sfondo il gruppo
del Bernina, a S la paurosa parete N
del monte Disgrazia abbracciato dalle
L'ultima affilata cresta per la vetta del monte
del Forno. Sullo sfondo da sx: punta Rosalba,
cima del Duca e passo Ventina. In lontananza
la catena delle Orobie da cui svettano, a dx, il
pizzo di Coca e il Dente di Coca
(18
foto Luciano
Bruseghini).
76aprileLE2013,
MONTAGNE
DIVERTENTI
2 - Nel caso le catene fossero sommerse dalla neve,
si può accedere all’ultimo tratto risalendo un
canalino con piccozza e ramponi.
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte del Forno (3214)
77
Valmalenco
Alpinismo
A l p e Va z z e d a S u p e r i o r e
Luciano Bruseghini
La valle del Forno dal monte del Forno (18 aprile 2013, foto Luciano Bruseghini).
selvagge valli Ventina e Sissone. Ma
lo spettacolo più formidabile lo si ha
verso O con la cartolina della valle
del Forno, orlata da imponenti vette
tra cui spiccano la squadrata cima di
Castello e il pizzo Bacone.
on vorremmo più abbandonare questa esaltante postazione, ma non ci attardiamo, sospinti
dalla favolosa discesa che ci attende.
Ricalchiamo lo stesso itinerario della
salita fino a recuperare gli sci. Qui ci
sono due alternative per rientrare a
Chiareggio: seguire lo stesso percorso
dell’andata, oppure imboccare la valle
del Muretto. Noi ovviamente optiamo
per quest’ultima variante, in modo da
compiere un itinerario ad anello!
Conquistiamo lo spartiacque tra
Svizzera e Italia e appena avvistiamo
un pendio abbordabile ci fiondiamo
verso E, disegnando serpentine su
neve primaverile fantastica. Bisogna
prestare attenzione a non abbassarsi
troppo lungo il ripido terreno invitante, perché termina con degli alti
salti rocciosi. Così pieghiamo in
diagonale verso sx (N), scollinando
gradatamente e raggiungendo la valle
del Muretto. Divoriamo la vallata
oltrepassando alcune valanghe slittate
dai costoni del monte dell’Oro, fino
ad approdare alla strada che conduce
a Chiareggio.
Anche qui si ha una doppia
L'anfiteatro che ospita l'alpe Vazzeda Superiore visto dal buchèl del Can (28 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini).
N
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI U
n pomeriggio di gennaio,
mentre fuori nevica, vado
a scambiare due chiacchiere con
Vittorio Moroni (detto Murunìn) di
Mossini, ultimo caricatore dell’alpe
Vazzeda Superiore a trascorrervi su
tutta l'estate.
ul volume edito dalla Società
Storica Valtellinese Inventario
dei toponimi Valtellinesi e Valchiavennaschi - Chiesa in Valmalenco, quando
si parla di alpe Vazzeda, viene segnalato che sulla mappa del 1816 vi erano
22 edifici (a metà del 900 erano 12)
nella parte inferiore e 14 (10 a metà
del secolo scorso) in quella superiore;
questo ne faceva l’alpeggio più grande,
per numero di costruzioni, di tutto il
comune. Inoltre questo insediamento
era già menzionato in documenti del
1544 con il termine Alpis de Lavazeda.
Un bellissimo quadro raffigurante l’ambiziosa e travagliata parete
nord del Disgrazia, ripresa dalla sua
malga, fa bella mostra in soggiorno.
Lo guarda spesso, ripensando ai bei
momenti trascorsi in Valmalenco,
dove verdi paesaggi sono raccolti nella
cerchia di malòss e creste frastagliate,
spesso coperti da pennacchi di nubi
S
1934: dalla vetta del monte del Forno (foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it).
scelta. Ci si può abbassare verso dx,
seguendo il corso del torrente sino a
toccare l’alpe Monte Rosso Inferiore
(m 1946) e Vazzeda Inferiore per
poi intercettare l’itinerario di salita.
Oppure, opzione da noi adottata,
procedere per la strada fino all’alpe
dell’Oro (m 2010, ore 1:30), collo-
cata su un dosso che domina la val
Sissone e consente d'ammirare la
parete nord del Disgrazia.
Goduto il panorama, dall'alpe
divalliamo lungo la carrareccia fino
al cian del Löf dove ci aspetta l'auto
(m 1612, ore 0:30).
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI turbolente.
L’animo si intristisce: il tempo è
volato via, sono rimasti solo i ricordi!
«Sono nato nel 1927 a Mossini. A
soli sette mesi sono stato portato all’alpe
Vazzeda Superiore, caricata nei mesi
estivi prima dai nonni, che abitavano
a Gualtieri (frazione di Sondrio all’imbocco del ponte del Valdone, a pochi
chilometri da Mossini), poi dai genitori. Infine ho ereditato io stesso i pascoli
dell’alta Valmalenco. Eh sì, “ereditare”
è la parola corretta perché si tratta di
un alpeggio privato suddiviso fra varie
famiglie. Dal 1927 al 1998 ho trascorso
lì tutte le estati, ad eccezione del periodo
di leva militare svolta a Brunico dove
ho mostrato doti di buon alpinista,
conquistando sia le Tre Cime di Lavaredo, sia l’Ortles. D’altronde per uno
che ha scalato anche la cima Vazzeda,
le vette dolomitiche non presentano certo
grosse difficoltà!
Quando iniziava la transumanza,
partivo a piedi alle quattro di mattina
da Gualtieri e al pomeriggio ero già
sui pascoli di Vazzeda inferiore, dopo
aver percorso una ventina di chilometri attraversando tutta la valle. In
epoca più recente, invece, trasportavo il
bestiame con un camion fino a Chiareggio e poi da lì, con santa pazienza,
guidavo e sospingevo gli animali che
arrancavano sugli angusti sentieri.
Nei primi anni accudivo solo una
decina di capi perché altre due famiglie
di Ponchiera sfruttavano l’alpeggio, più
tardi vennero sostituite da una di Albosaggia e una di Castione. Rimasto solo,
le mucche superarono la ventina, più un
paio di maiali nutriti con gli scarti della
lavorazione del latte e qualche capretta.
Oltre ai miei bovini, mi facevo carico
di altri appartenenti ad allevatori di
Faedo i quali mi affidavano anche i
propri figli (localmente detti famei)
perché dessero una mano nelle attività casearie o di pascolo. Pure i miei
quattro figli (Agnese, Andrea, Angelo
ed Enrico), quando erano giovani, mi
seguivano negli alti pascoli e mi davano
una mano nella conduzione dell’alpe.
Invece mia moglie, Scilironi Elda, originaria di Gualtieri, trascorreva i mesi
estivi a Mossini a lavorare la campagna
e le vigne; solamente di tanto in tanto
mi raggiungeva in baita. [Ridendo,
Vittorio, dice che lo andava a trovare
solo per sgridarlo!]
Vittorio Moroni
79
Valmalenco
Alpinismo
Elda e Vittorio, l'ultimo che ha caricato per tutta l'estate l'alpe Vazzeda Superiore (30 gennaio 2014, foto Luciano Bruseghini).
appuntamenti sul campo per migliorare la propria tecnica
Workshop
orkshop
W
fotografici
fotografici
by Enrico Minotti
by Enrico Minotti
info: www.facebook.com/enrico.minotti.1
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Tutto il latte munto veniva lavorato
sul posto, mentre il burro era portato
a Chiareggio per essere venduto. Solitamente una volta alla settimana i
ragazzi scendevano alla piccola frazione
di Chiesa con i prodotti da smerciare e
risalivano col pane e altri alimenti di
prima necessità. A seconda delle annate
avevo anche un cavallo o un asino per
trasportare nell’ultimo tratto i carichi
pesanti, tra cui il vino che io stesso
torchiavo. Quando ero bambino, nel
periodo della seconda guerra mondiale,
il pane di segale veniva preparato in
casa e cotto nel forno di Gualtieri.
Portato in alpeggio, durava fino a un
mese. Forse era la farina migliore e
meno contaminata o piuttosto la fame
che lo rendevano appetibile anche dopo
trenta giorni!
A seconda del tempo meteorologico,
passavo in quota un periodo di durata
variabile, dalla metà di giugno alla
metà di settembre. In un’annata particolarmente mite vi rimasi fino al 24 di
settembre.
Trascorrevo le prime tre settimane
all’alpe inferiore, poi un mese e mezzo
in quella superiore, e infine altre tre
settimane in basso. Nei pascoli alti gli
animali brucavano liberamente, mentre
in quello più sotto sfalciavo parte
LE MONTAGNE DIVERTENTI dell’erba che accantonavo per i giorni
antecedenti il rientro a Gualtieri.
La mia baita non è situata nel nucleo
centrale di Vazzeda superiore, ma è po’
più isolata, lungo il sentiero che conduce
al passo del Forno1. Le mucche si spingevano anche al piano delle marmotte,
circa duecento metri più su e non venivano mai ricoverate al chiuso. Toccava a
me e ai miei aiutanti salire a mungerle,
per poi portare il latte alla baita dove
lo trasformavamo. C’è capitato diverse
volte di dover provvedere alla mungitura sotto i fiocchi di neve che a quelle
altitudini cadono anche nei mesi estivi.
Nel 1987, durante l’alluvione che
devastò la Valtellina, rimasi isolato a
Vazzeda a causa dell’ingrossamento dei
torrenti che abbatterono i ponti. Mio
figlio Enrico, molto preoccupato, salì
con l’elicottero per vedere come stavo.
Appena atterrato, invece di ringraziarlo per l’oneroso interessamento, lo
rimproverai aspramente perché il mezzo
volante aveva spaventato il cavallo che
imbizzarrito era fuggito scalciando a
destra e a manca.
Spesso incontravo e rifocillavo i
1 - Il libro dei toponimi riporta alla voce ca del
murunìn: “la baita più settentrionale del gruppo di
Vazzeda Alta, all’estremità N della ciana de
Campiö, preso il sentiero alpe Vazzeda - alpe Monte
Rosso Alto.”
contrabbandieri che rientravano in
Valmalenco attraverso i passi del Forno
o del Muretto, ma io non ha mai praticato quest’attività. Solo durante gli anni
di guerra, con l’amico Pedrolini Ulrico,
detto Chicu, valicavo il Muretto e scendevo fino al Maloja per scambiare il
burro con il sale necessario alla produzione del formaggio; lo scambio era
molto vantaggioso perché in Italia un
chilo di burro equivaleva a un chilo
di sale, mentre in Svizzera ne valeva
venticinque.
Non sono mai stato nemmeno un
cacciatore, a differenza dei miei vicini
di alpeggio di Ponchiera: per me gli
animali erano parte integrante di quel
paesaggio che amavo tanto. [A quel
ricordo gli occhi gli si riempiono di
un umido luccichio].
Con gli abitanti della Valmalenco
andavo molto d’accordo, se erano donne
ancora di più!»
Prima di lasciarci mi informa che
il 16 gennaio scorso ha festeggiato
sessant’anni di felice matrimonio con
la moglie Elda, poi però mi saluta con
una perla di saggezza: «Le donne sono
la rovina dell’umanità: comandano e
sgridano… anche se a volte servono!»
Vittorio Moroni
81
Alpinismo
con gli sci alla
Cima della Manzina
(m 3318)
Giacomo Meneghello
Verso la vetta arrotondata della cima della
Manzina (29 dicembre 2012, foto Giacomo
Meneghello
- www.clickalps.com).
82
LE MONTAGNE
DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima della Manzina (m 3318)
83
Alta Valtellina
Alpinismo
a scialpinistica alla cima della Manzina è una classica gita adatta a tutti che si svolge
in ambiente di alta montagna. Può essere affrontata sia in inverno che in primavera,
L
quando l’apertura della strada per i Forni permette di accorciare l’avvicinamento e ridurre
così il dislivello da superare.
Per i più allenati è possibile concatenare il vicino e forse più celebre monte Confinale
(m 3370) passando dal bivacco Del Piero.
BELLEZZA
Partenza: ristoro Stella Alpina
(m 2061).
Itinerario
FATICA
PERICOLOSITÀ
automobilistico: da
Bormio si segue la SP29 per Santa Caterina
Valfurva (13 km). Giunti in paese, dopo
meno di un km si incontra un bivio dove si
prende a sx seguendo le indicazione per i
Forni. Dopo 2,5 km circa si trova il ristoro
Stella Alpina.
In discesa dalla cima della Manzina - sullo sfondo il Gran Zebrù (29 dicembre 2012, foto Giacomo Meneghello).
Q
Itinerario
sintetico: ristoro Stella
Alpina (m 2061) - Pradaccio di Sotto
(m 2175) - Pradaccio di Sopra (m 2298)
- valle della Manzina - cima della Manzina
(m 3318).
Tempo previsto: 3 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta:
da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanga.
Difficoltà/dislivello: 2.5 su 6 / oltre
1250 metri.
Dettagli: BS. Gita in alta quota senza
difficoltà alpinistiche.
Mappe:
- Kompass n.72 - Parco Nazionale dello
Stelvio, 1:50000.
L'ultimo tratto della salita alla cima della Manzina
(29 dicembre 2012, foto Giacomo Meneghello ).
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
uest’anno la Manzina è stata
la cima che ha battezzato il
nostro anno sci alpinistico; infatti messi da parte i festeggiamenti del
Capodanno - l'abbiamo salita il primo
giorno del 2014 con le pelli dall’imbocco della strada dei Forni, che non
viene sgombrata dalla neve fino all’apertura dei rifugi1. 2,5 km sopra Santa
Caterina si trova, in località Campéc'
da Fro, il ristoro Stella Alpina
(m 2061).
Di fronte all'edificio si diparte a
sx (N) una stradina che costituisce
l'inizio del tracciato estivo per il lago
della Manzina e per il bivacco Del
Piero. La seguiamo e immersi in un
bosco di mughi prendiamo quota
fino alle baite di Pradaccio di Sotto
(m 2175). Gli edifici sono realizzati in
muratura nella parte inferiore, dov'era
generalmente il focolare, e con tronchi
di legno incastrati nella parte superiore, creando uno spazio che serviva
sia da soggiorno che da camera da
letto2. Attraverso le radure pascolive
raggiungiamo Pradaccio di Sopra (o
Pradaccio dei Forni, m 2298).
Insistiamo verso O fino a quando,
in prossimità di un cartello, iniziamo
a risalire la dorsale che divide la valle
della Manzina dalla valle Pisella.
Guadagniamo velocemente quota,
rimontando con alcune inversioni il
pendio, per poi entrare nell’ampia
valle della Manzina (sx) e, a circa
m 2650, traversiamo ulteriormente
a sx. Il lago della Manzina riposa
1 - I rifugio vengono solitamente aperti a inizio
marzo.
2 - Questa tipologia di edifici viene indicata con il
termine cardén.
LE MONTAGNE DIVERTENTI dall'altro lato della valle sotto una
spessa coltre di neve, e con esso
anche il drago che, come raccontava
Antonio Boscacci, aveva continuato a
emergere dalle acque e a spaventare i
pastori finchè il bacio di una fanciulla
non lo aveva trasformato in una creatura migliore.
Il paesaggio è emozionante e contraddistinto dal sempre presente pizzo
Tresero. In direzione opposta, separate
da una larga sella ci sono le cime del
Confinale (m 3370) e quella della
Manzina (m 3318). Nella massima
depressione tra le due è ubicato il
bivacco Del Piero (m 3166).
Riprendiamo la marcia verso N,
alternando facili coste, ampi canali e
tratti pianeggianti fino a giungere a un
ampio pianoro (m 2850 circa) dove,
verso sx (O) si svolge la vallata che
Cima della Manzina (m 3318)
85
Alpinismo
condurrebbe al monte Confinale. Noi
invece insistiamo verso N e risaliamo
i dolci pendii fino ai piedi della cima
della Manzina, ormai ben visibile di
fronte a noi. La rampa finale è piuttosto inclinata e costituisce l’unico
tratto impegnativo di tutta l’escursione. La affrontiamo con attenzione
per guadagnare la spalla meridionale
del monte, su cui svolgiamo le ultime
inversioni per arrivare in vetta (cima
della Manzina, m 3318, ore 3:30).
La discesa avviene seguendo la
traccia di salita, in uno scenario
incredibile di vette che decorano
l'orizzonte, prime fra tutte le famose
Tredici Cime, custodi del ghiacciaio
dei Forni.
In discesa dalla cima della Manzina, sullo
sfondo il Tresero (29 dicembre 2012, foto
Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima della Manzina (m 3318)
87
Escursionismo
Sopra Campodolcino c'era
una volta
un piccolo lago
Marco Scuffi
La palü dal Fén in veste autunnale. Sullo sfondo il pizzo Tambò (26 ottobre 2013, foto Enrico Minotti).
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Palü dal Fén e läj de la Marsciüra
89
Valchiavenna
Escursionismo
’era una volta un piccolo lago tra gli abitati di Gualdera e Mottala, nel comune di
Campodolcino; quanto tempo fa non si sa con precisione, forse un secolo o poco più…
C
Il lago era associato ad uno specchio d’acqua minore che si trovava poco più in alto, nel
bosco adiacente (il bosco delle Coste). I due specchi d’acqua facevano parte dello stesso
sistema idrico, dipartendosi dallo stagno nel bosco un ruscello che andava ad alimentare
il laghetto. Da quest’ultimo l’acqua defluiva lungo la val del Moladin fino a raggiungere
l’abitato di Campodolcino, dove confluiva nel Liro.
Rana temporaria alla palü dal Fén in primavera, durante la stagione degli amori. Le rane hanno fecondazione esterna, cioè il maschio feconda le
uova mano a mano che la femmina le depone nell'acqua. Queste hanno forma sferoidale e sono trasparenti, con il piccolo embrione scuro visibile
al centro. A dx quella che in gergo si definisce una "coppia allacciata"; si notano le maggiori dimensioni della femmina, dovute alla necessità di
produrre le uova (18 aprile 2013, foto Marco Scuffi).
Località Tri Tech, salendo verso Mottala. Sullo sfondo le Alpi Lepontine (26 luglio 2011, foto Marco Scuffi).
C
on il passare degli anni i due
specchi d’acqua hanno subito
un processo di interramento. Questo
è il normale destino di ogni bacino
ed è dovuto principalmente all’apporto dei sedimenti da parte dei corsi
d’acqua che lo alimentano, unitamente al deposito di detrito organico
(principalmente di natura vegetale).
Un esempio eccellente a livello locale
è il parziale interramento del Lario, il
quale in tempi storici (circa duemila
anni fa) raggiungeva con le sue sponde
settentrionali il comune di Samolaco
(il cui stesso toponimo indicherebbe
la “sommità del lago” dell’epoca) e
forse, in tempi protostorici, aveva
un’estensione che poteva raggiungere l’altezza dell’asse Gordona-San
Cassiano, considerando la morfologia
del paesaggio.
I due specchi d’acqua tra Mottala e
Gualdera, decisamente più piccoli e
90
LE MONTAGNE DIVERTENTI posti in un contesto differente, devono
aver subito il processo di interramento
con una velocità maggiore: esistono
nell’area alpina molte torbiere in
formazione, che sono ciò che rimane
di altrettanti laghetti, ormai completamente interrati.
In particolare il laghetto principale sembra aver subito un brusco
riempimento a causa di una valanga
che tempo addietro sarebbe discesa
dalle pendici del monte Calcagnolo,
portando una gran quantità di materiale; lo stagno nel bosco invece non
dovrebbe aver risentito dell’evento
e si sarebbe riempito più gradualmente, per via della vegetazione. Il
primo specchio d’acqua è chiamato
localmente palü dal Fén (palude del
fieno, nel dialetto locale), mentre
quello nel bosco si chiama läj de la
Marsciüra (con una traduzione un po’
incerta, laghetto marcescente). I due
toponimi esprimono lo status che i
corpi idrici avevano fino al 2011: una
sorta di palude e uno stagno quasi
completamente invaso dalla vegetazione. I toponimi, generalmente
molto conservativi, esprimono il fatto
che tale interramento è di vecchia
data: ciò spinge a chiedersi quando i
due corpi idrici presentassero il loro
aspetto originario.
el 2008 il comune di Campodolcino stese un progetto di
massima per un ripristino ambientale dell’area, focalizzato sul recupero
dello status originario dei laghetti,
tramite la rimozione dei sedimenti
che li avevano riempiti. Il progetto fu
visionato dalla Regione, che suggerì
di arricchirlo con una consulenza di
tipo naturalistico; il comune si rivolse
pertanto all’ERSAF, che ne commissionò il lavoro alla dottoressa forestale Rita Angelini. Il nuovo progetto,
N
Primavera 2014
approvato nel 2009, venne realizzato
tra l’inverno del 2010 e la primavera
del 2011. La scelta di operare d’inverno fu dettata dal fatto che durante
questa stagione il regime idrico è
ridotto e gli scavi sono quindi facilitati. La presenza di una falda alta nel
terreno causò però qualche problema,
perché la parte scavata durante il
giorno si riempiva d’acqua durante la
notte.
Durante la fase di scavo emersero
dei grossi tronchi di larice parzialmente carbonificati dai sedimenti
che riempivano la palü dal Fén, che
portarono gli esperti a concludere che
il riempimento della palü dal Fén sia
stato causato principalmente da un
evento improvviso, identificato con
una valanga discesa dal Calcagnolo.
Alcuni campioni prelevati dai tronchi
sono stati portati all’università di Pisa,
dove una volta analizzati al radiocarbonio restituiranno l’età della valanga
e quindi del lago che esisteva prima
della palü, che da sempre gli abitanti
del luogo ricordano.
Il läj de la Marsciüra è stato lasciato
inalterato, permettendo così l’osservazione di due fasi ambientali
normalmente separate cronologicamente in uno spazio ridotto e risparmiando il bosco dalla presenza un
po’ impattante delle macchine di
scavo. In aggiunta al lavoro di ripristino della palü dal Fén e dei sentieri
LE MONTAGNE DIVERTENTI nel bosco che la collegano col läj de
la Marsciüra, sono state poste in area
durante i lavori alcune strutture lignee
destinate ai visitatori: un paio di
passerelle, alcune panchine, un ponticello e una fontanella. Si è scelto di
usare legno di larice non trattato per
non alterare la chimica del luogo e si
è tratta ispirazione per la loro realizzazione da lavori simili eseguiti con
successo altrove sull’arco alpino. Le
passerelle non sono eccessivamente
impattanti e permettono al visitatore
di avvicinarsi ai luoghi d’interesse,
senza peraltro invaderli in maniera
diretta.
e aree umide rivestono una
grande importanza naturalistica, costituendo importanti scrigni
di biodiversità: sono molte infatti le
specie vegetali e animali che traggono
vantaggio da questo tipo di ambiente.
Il ripristino della palü dal Fén a una
condizione precedente il suo interramento ha permesso quindi la conservazione di un habitat importante, che
ospita e attrae molti organismi, tra cui
spiccano gli anfibi. Gli anfibi sono
animali molto delicati, che stanno
soffrendo una crisi biologica su scala
globale ormai da alcuni decenni: la
palü dal Fén costituisce quindi un’area
strategica, per lo meno per la conservazione delle forme locali.
l MUVIS (Museo della Via
Spluga e Val San Giacomo) mi ha
L
I
commissionato uno studio dell’area,
per verificare le sue condizioni
ambientali dopo il termine dei lavori
condotti dall’ERSAF; lo studio è stato
concepito come un monitoraggio
della durata di un anno, a partire dalla
primavera del 2011, volto a censire
le principali forme presenti. Concentrandomi sulla specificità dell’habitat
come area umida, ho condotto le
mie osservazioni principalmente sulle
forme tipicamente legate all’acqua,
quindi gli anfibi tra i vertebrati, le
pteridofite tra le piante, insetti e
molluschi palustri tra gli invertebrati.
Non ho mancato però di notare come
l’area costituisca un centro attrattivo
anche per altri animali meno tipicamente legati a questo ambiente, come
uccelli e mammiferi, in un quadro
totale di grande completezza.
Durante le mie osservazioni ho
avuto modo di notare che l’ambiente
è in buone condizioni, dal momento
che la sua ricolonizzazione da parte
delle forme tipiche è proceduta su
tempi molto rapidi dopo la rimozione
dei sedimenti: nel giro di un paio di
mesi, infatti, nelle aree circostanti la
palü dal Fén è cresciuta una discreta
popolazione di equiseti e le acque
sono state subito raggiunte da rane e
tritoni. Presso i sedimenti rimossi non
sono quindi cresciute piante ruderali e
infestanti, come spesso accade, ma ha
trovato posto la vegetazione palustre
Palü dal Fén e läj de la Marsciüra
91
Valchiavenna
Escursionismo
A sx: uova di Rana temporaria appena deposte, presso la palü dal Fén. Esse sono raccolte in ammassi. Al centro di ogni singolo uovo è visibile
l'embrione, che ha forma sferoidale quando questo è stato appena deposto. A dx invece l'embrione si presenta ad uno stato di crescita più
avanzato e si distinguono la testa, il corpo e la coda. Poco tempo dopo, assunta una forma più longilinea e definita, comincierà a compiere
movimenti ritmici, sempre più frequenti, fino a divincolarsi completamente dalla gelatina che lo circonda, schiudendo così dall'uovo e
diventando un girino (30 marzo e 17 aprile 2012, foto Marco Scuffi).
consona a questo tipo di ambiente.
Anche gli anfibi, che negli anni precedenti devono essere sopravvissuti alla
meno peggio sfruttando raccolte di
acqua minori, non hanno impiegato
molto tempo per individuare e colonizzare il nuovo specchio d’acqua.
Oltre agli organismi palustri sono
presenti anche forme meno legate
all’acqua che completano l’ecosistema circostante: pinete, lariceti e
praterie, molte specie di uccelli e una
discreta presenza di mammiferi.
Tra i mammiferi si segnala la
presenza di scoiattoli nei boschi che
circondano tutta l’area; inoltre ci sono
ungulati, come camosci e caprioli,
che raggiungono occasionalmente la
zona abbeverandosi presso il laghetto e
frequentando i boschi di media quota.
Sono presenti altre specie e l'elenco
non è da considerarsi completo: ad
esempio nelle vicinanze vivono volpi
e per quanto riguarda i micromammiferi gli scoiattoli molto probabilmente
non sono gli unici.
Per gli uccelli il discorso si fa più
ampio: normalmente questi vertebrati
presentano una maggiore ricchezza
di specie e rimane difficile censirle
tutte, ma ad una prima e superficiale
osservazione si segnala la presenza di
cince (soprattutto cince more), fringuelli, codirossi (soprattutto codirossi spazzacamino), merli, cuculi (i
quali pur difficilmente si fanno avvi-
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI stare sono palesati dal loro inconfondibile canto), ballerine (soprattutto
ballerine bianche) e ghiandaie. Non
mancano gli uccelli rapaci: si possono
occasionalmente avvistare dei falchi,
che però non ho potuto identificare
in maniera più precisa per la brevità
delle osservazioni. Alle volte capita di
individuare specie meno comuni: ad
esempio accanto al merlo, il tordo più
frequente, si possono incontrare altri
rappresentanti della stessa famiglia,
come il tordo bottaccio; altri uccelli
ancora pur essendo solo di passaggio,
possono talvolta sostare nell’area,
come la bizzarra upupa. Pure in
questo caso non si può parlare di una
lista completa, che quasi sicuramente
comprende molte altre specie, magari
più rare ed elusive, che abitano l’area.
Gli anfibi costituiscono la fauna
più strettamente connessa con l’ecosistema della palü dal Fén e del läj
de la Marsciüra. Questi animali
sono ovipari e le loro uova sono
prive di guscio, quindi devono essere
deposte in acqua per evitare la disidratazione; esistono alcune specie
ovovivipare, ma le larve sono sempre
dotate di branchie e necessitano di un
ambiente acquatico per sopravvivere.
Crescendo sostituiscono le branchie
con i polmoni e diventano animali
terrestri, che però sono sempre legati
ad ambienti umidi perché la loro
pelle è priva di cheratina e si disidra-
tano facilmente; inoltre la stessa pelle
partecipa in maniera importante agli
scambi gassosi della respirazione e va
pertanto mantenuta umida. Gli anfibi
presenti nell’area appartengono alle
specie Rana temporaria e Mesotriton alpestris. Queste sono specie
adattate all’ambiente montano e si
possono trovare anche in aree di alta
quota.
Raggiungono gli specchi d’acqua
in vista della riproduzione, in primavera. Alla palü dal Fén e al läj de
la Marsciüra giungono per prime
le rane, a marzo; qualche settimana dopo arrivano anche i tritoni.
Entrambe le forme per raggiungere
il lago risalgono il ruscello della val
del Moladin, dove probabilmente
trascorrono la restante parte del loro
ciclo vitale, nella frescura del bosco
e con l’umidità garantita dal torrentello. L’arrivo delle rane è certamente
il più vistoso: gli animali giungono in
massa occupando tutta la zona e riempiendo l’aria col suono rimbombante
e grave del loro gracidio. I tritoni sono
più piccoli, non saltano e non emettono vocalizzi, pertanto il loro arrivo
è molto più dimesso; solo con un’osservazione attenta presso gli stagni li
si può notare. Tanto le rane adulte
quanto i tritoni si trattengono per
poco tempo negli stagni e poi, finita la
riproduzione, si dileguano, lasciando
sul luogo le uova da cui schiuderanno
Primavera 2014
A sx: il girino è dotato di un paio di occhi, di una bocca con due astucci cornei per magniare il detrito vegetale presente in acqua e di una coda
che fornisce la propulsione nel nuoto. Andando poi incontro alla metamorfosi svilupperà prima gli arti posteriori, poi quelli anteriori e infine
ritirerà la coda, sostituendo contestualmente le branchie coi polmoni e modificando l'intestino, da detritivoro a insettivoro, diventando così una
rana neometamorfosata, come quella visibile a dx (7 giugno 2013 e 26 luglio 2012, foto Marco Scuffi).
le larve, che permangono in acqua
fino all’autunno: durante l’estate si
può quindi osservare la metamorfosi delle larve e vedere le prime rane
neometamorfosate.
L’osservazione dello sviluppo dei
tritoni è invece meno facile, perché
i giovani tritoni non saltano e si
nascondono facilmente nella vegetazione. È più facile osservare gli adulti
che si radunano per la riproduzione:
in questa fase del suo ciclo vitale M.
alpestris muta la propria livrea, assumendo colori vivaci per l’occasione.
Il maschio assume un tono azzurrato
con marmorizzature più scure sulla
schiena, una banda bianca puntinata
di nero lungo i fianchi e sviluppa
una cresta vertebrale gialla e nera. La
femmina mantiene tonalità più spente
sulla regione dorsale, ma in entrambi
i sessi il ventre ha una ricca colorazione arancio: quest'ultima si nota
facilmente quando l'animale emerge
per respirare dal fondo della pozza
su cui si mantiene solitamente. Sia i
maschi che le femmine quando non
sono nella stagione riproduttiva assu-
mono un colorito molto più scuro,
quasi nero, tranne che per la regione
ventrale che rimane sempre arancio.
I colori di Rana temporaria sono
invece più mutevoli in quanto c’è
una buona variabilità intraspecifica: il
nome comune “rana rossa” con cui si
indica questo animale non deve trarre
in inganno; lo stesso nome del resto
non è riferito solo a Rana temporaria,
ma designa un intero insieme di specie
di cui fa parte. In Rana temporaria ci
sono sì individui dal colore rossastro,
ma sono presenti anche individui
La Rana temporaria adulta può raggiungere i 10 cm di lunghezza e si nutre d'invertebrati terrestri, tra cui predominano lombrichi, gasteropodi,
insetti e aracnidi, oltre ad acquatici come larve d'insetti e molluschi. Trascorre i mesi più freddi nascosta nel terreno in uno stato di ibernazione.
La durata della vita di Rana temporaria raggiunge i 6 - 8 anni (18 aprile 2013, foto Marco Scuffi).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Palü dal Fén e läj de la Marsciüra
93
Valchiavenna
Escursionismo
15
0
10
9
2
8
3
7
4
65
5
A sx la rara lucertola Zootoca vivipara, a dx la felce Blechnum spicans alla palü dal Fén (7 giugno 2013 e 26 luglio 2012, foto Marco Scuffi).
In rosso l'itinerario automobilistico, in verde quello escursionistico per visitare la palü dal Fén e il läj de la Marsciüra.
BELLEZZA
FATICA
A sx Mesotriton alpestris (7 giugno 2013, foto Marco Scuffi), a dx il läj de la Marsciüra in abito invernale (13 dicembre 2011, foto Marco Scuffi).
dai toni bruni, verdi e anche di color
paglierino. Tutti sono accomunati però
da chiazze scure triangolari sulla regione
timpanica, oltre ad un’altra chiazza a
forma di V sulla nuca. Sono presenti
infine altre chiazze scure più piccole
sparse su tutto il corpo e bande trasversali sulle zampe, sebbene questo sia un
carattere condiviso con altre specie.
Oltre agli anfibi è presente il rettile
Zootoca vivipara: questa lucertola è
piuttosto rara e legata alle aree umide
negli ambienti di bassa quota; sull’arco
alpino presenta popolazioni in grado
di vivere ad alta quota e il suo adattamento all’ambiente montano potrebbe
essere stato favorito dalla comparsa
dell’ovoviviparità (a dispetto di quanto
recita il nome specifico, non trattandosi di viviparità in senso stretto).
Quello della palü dal Fén si presenta
come un curioso caso intermedio, non
essendo un ambiente di alta quota, ma
un’area umida, come quelle che questo
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI animale frequenta altrove. Come
rilevato è una specie meno comune
rispetto alle altre lucertole presenti
localmente, pertanto aumenta il valore
naturalistico di questo habitat.
Completano il quadro altre specie
tipiche degli ecosistemi delle aree
umide, come insetti acquatici, quali
i gerridi (che sfruttano la tensione
superficiale dell’acqua, percorrendola con un movimento che ricorda
il pattinaggio, alla ricerca delle loro
prede, costituite perlopiù da altri
insetti che cadono in acqua), le libellule (che come gli anfibi hanno larve
acquatiche), gasteropodi acquatici e
tra le piante le pteridofite (Equisetum
fluviatile, felci e licopodi, che crescono
nelle vicinanze e nel bosco). Tra le felci
spicca Blechnum spicans, di cui cresce
un esemplare vicino alla palü dal
Fén: in attesa di ulteriori conferme,
sembrerebbe infatti che a livello locale
questa sia la stazione più settentrionale
di questa pianta.
Gli animali e le piante già presenti
nell’area hanno trovato nella palü
dal Fén un habitat molto favorevole,
grazie ai lavori che hanno condotto
al suo ripristino. L’ambiente è di
facile accesso e permette anche a noi
di poterli osservare più facilmente.
Ciò deve essere fatto nel rispetto degli
organismi presenti, al fine di non
scacciarli o danneggiarli. L’ambiente
infatti è in buone condizioni e potrà
mantenersi tale sia con un approccio
rispettoso da parte dei visitatori, che
con operazioni di tutela da parte delle
autorità competenti. È in progetto
l’estensione del SIC della vicina val
Zerta per portarlo a comprendere
l’area descritta: le zone umide costituiscono infatti un ambiente prioritario
per la convenzione dei SIC.
Primavera 2014
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: campo da calcio di Fraciscio (m 1301).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna
- bosco delle Coste - Castèl - campo da calcio di
Fraciscio (m 1301).
seguire la SS36 dello Spluga in direzione del passo dello
Spluga fino a Campodolcino (13,4 km). All'altezza della
chiesa, prima del ponte sulla Rabbiosa, seguire
l'indicazione per Fraciscio. Appena passato il ponte sul
torrente Rabbiosa (2 km), prendere la stradina sulla dx
che conduce in poco più di 100 metri al campo sportivo.
Tempo previsto: 1 ora.
Attrezzatura richiesta: nessuna.
Difficoltà/dislivello: 1- su 6 / circa 150 metri.
Dettagli: semplice passeggiata su strade e
Itinerario sintetico: campo da calcio di Fraciscio
(m 1301) - Tri Tecc - Mottala - palü dal Fén (m 1376)
- läj de la Marsciüra (m 1407) - palü dal Fén (m 1376)
Mappe:
- Kompass n. 92 - Valchiavenna - Val Bregaglia,
1:50000.
sentieri.
U
n breve anello escursionistico che ha come baricentro le case di Mottala consente
di raggiungere la palü dal Fén e di visitare l'area di alto valore naturalistico posta di
fronte a Fraciscio.
Partiamo (0) dal campo da calcio
di Fraciscio (m 1301), all'estremità
S del paese, e, dopo aver costeggiato
per 150 metri il torrente Rabbiosa
sulla sua idrografica dx, lo attraversiamo grazie a un ponticello (1).
Dopo il primo tratto il sentiero
passa vicino alla strada per Mottala
(2). Oltre una presa dell'acqua il
sentiero diviene panoramico (3) con
la località Tri Tecc in primo piano,
Fraciscio in secondo piano e le Alpi
Lepontine sullo sfondo che chiudono
il versante dx della valle Spluga.
Proseguendo troviamo un'area
con altalena e panchine, quindi
entriamo nel bosco raggiungendo
la zona dell'Erba del Leo, un antico
LE MONTAGNE DIVERTENTI pascolo ora rimboschito, dove poco
distante dal sentiero si trovano alcuni
grossi massi, probabilmente messi in
loco da paleofrane risalenti alla fine
dell'ultima glaciazione. Queste si
pensa siano state originate dall'instabilità di versante dovuta allo scioglimento dei ghiacciai.
Dopo una breve salita (4) raggiungiamo Mottala. I prati prendono il
posto del bosco e brevemente ci ricolleghiamo alla strada (5), esattamente
di fronte alla palü dal Fén (m 1376).
Ci portiamo a N dell'acquitrino,
dove intercettiamo il sentiero che
sale al vicino läj de la Marsciüra
(m 1407, ore 0:30).
Ritornati alla palü dal Fén (5),
prendiamo il sentiero verso NNO
che passa a lato dell'area paludosa
a valle del laghetto (6) e va a fiancheggiare dapprima il torrente della
val del Moladìn1 (7), quindi la forra
via via più profonda in cui questo si
incassa (8). Lasciamo il torrente alla
nostra sx e usciamo dal bosco (9) per
arrivare al Castèl (10), dove ritroviamo la strada che da Campodolcino
sale a Fraciscio.
Seguendola verso dx in meno di
300 metri siamo nuovamente al
campo sportivo.
1 - È chiamata così perchè una volta il torrente era
sfruttato per alimentare un piccolo mulino a
Campodolcino.
Palü dal Fén e läj de la Marsciüra
95
Escursionismo
Piateda:
le marmitte del Serio
Nicola Giana
96
Sezioni comunali della Provincia di Sondrio
AVIS di Bormio 0342 902670 • AVIS di Caspoggio 0342 451954 • AVIS di Chiavenna 0343 67297
AVIS di Lanzada 0342 452633 • AVIS di Livigno 334 2886020 • AVIS di Morbegno 0342 610243
AVIS di Poggiridenti 0342 380292 • AVIS di Sondalo 0342 801098 • AVIS di Sondrio 800593000
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Le marmitte del Serio
(1
2011,DIVERTENTI
foto Marino Amonini).
LEgennaio
MONTAGNE
Le marmitte del Serio
97
Versante orobico
Escursionismo
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: contrada Valbona a Piateda.
Itinerario automobilistico: da
Sondrio prendere la tangenziale in direzione
Tirano. Oltrepassare la rotonda del Trippi e
alla rotonda di Poggiridenti prendere la
prima a destra per Piateda. Proseguire da
Piateda Centro per Boffetto; giunti poco
prima del ponte sull’Adda (ponte della
Streppona), svoltare a destra per Piateda
Alta. Dopo 300 metri prendere a sinistra la
via Valbona.
Alternativa
all'auto: Valbona dista
7,5 km dalla stazione FS di Sondrio.
Comodamente connessa al tracciato
ciclopedonale del sentiero Valtellina, è raggiungibile sia in bicicletta
(ore 0:30) sia a piedi (ore 1:30).
Itinerario
sintetico: Valbona (m 341) - chiesa di San
Vittore (m 550) - Bettoli (m 704) - chiesa di Santa Croce passarella di quota
Tempo previsto: 2 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: nessuna.
Difficoltà/dislivello: 1+ su 6 / circa 400 metri.
Dettagli: E. Semplice passeggiata sentieri. E; consigliato
l’uso dei bastoncini, specie se il terreno è umido o bagnato.
Mappe:
- Carta escursionistica Comunità Montana Valtellina di
Sondrio, foglio 3, Le Valli Orobiche, 1:30000
Bibliografia consigliata:
- Eliana e Nemo Canetta, Il versante Orobico. Dalla Val
Fabiolo alla Val Malgina, CDA Vivalda, Torino 2005
- Guido Combi (a cura di), Alpi Orobie Valtellinesi.
Montagne da conoscere, Fondazione Luigi Bomberdieri,
Sondrio 2011
- Dario Benetti, Il sentiero delle marmitte della Valbona,
Quaderni Valtellinesi, n. 102, 1° trimestre 2008
- All’ombra del Rodes, Biblioteca Civica di Piateda, 1°
trimestre 1999
Betöi
Castello degli Ambria
San Vittore
uella alle marmitte del torrente Serio è un'escursione molto interessante quanto
insolita che si snoda nel basso versante orobico a monte della frazione Valbona
Q
nel comune di Piateda. L'esemplare percorso fuori porta permette di conoscere uno dei
fenomeni originati dall’erosione combinata dei ghiacci e dell’acqua avvenuti durante
l’ultima glaciazione. Uno sforzo ragionevole per apprezzare lo smisurato lavoro di
abrasione delle colate glaciali in movimento unito alla persistente opera di modellazione
dell’acqua di fusione che continua tuttora e che la fantasia popolare ha battezzato
marmitte dei giganti quando poco o nulla si sapeva sulla loro formazione e la scienza era
ancora distante dal darne una spiegazione razionale.
Il toponimo Valbona1 lascia intendere che la località fosse ideale per
farci un insediamento nonostante
si trovasse a ridosso delle Orobie,
esposta a N e quindi poco soleggiata,
specie d’inverno. Effettivamente le
vecchie case rurali, molte delle quali
ristrutturate, le fontane e gli affreschi
sui muri esterni degli edifici palesano
l’importanza che dovette avere in
passato come centro di raccordo per
agricoltori e allevatori che sfruttavano
la valle del Serio. Forse contribuirono
alla scelta del luogo anche il microclima e il comportamento stagionale
piuttosto regolare del torrente che
ne consentiva lo sfruttamento delle
acque per muovere mulini.
ell’ampio parcheggio all’imbocco del ponte sul Serio
è stata allestita dalla Comunità
Montana Valtellina di Sondrio2
una bacheca con indicazioni su “Il
Sentiero delle Marmitte”; qui ha inizio
il percorso che, dopo aver attraversato
il piccolo nucleo rurale, sale nel bosco
per erti sentieri acciottolati, sino al
recente passato abitualmente impiegato per raggiungere i maggenghi e gli
alpeggi soprastanti.
Il sentiero, marcato con bolli
N
Castellaccio
Valbona
Il tracciato dell'escursione che parte da Valbona e raggiunge Betöi (24 ottobre 2013, foto Marino Amonini).
1 - Negli anni 1917-1919 fu realizzata la centrale
di Boffetto-Piateda da parte della società AFL Falck
che utilizzava le acque dell’Adda derivate al
Baghetto di Chiuro. Purtroppo il canale derivatore
proprio a Valbona usciva allo scoperto deturpando
pesantemente e tagliando di netto il piccolo nucleo
rurale. Con l’alluvione del 1987, che danneggiò sia
il canale derivatore, sia il bacino dissabbiatore,
fecero seguito i lavori di ristrutturazione e la
demolizione del ponte canale che mortificava
l’abitato. Sono ancora visibili i due imbocchi nella
montagna chiusi da pesanti inferiate.
2 - Nel 2008 la Comunità Montana Valtellina di
Sondrio e il Comune di Piateda stipularono una
convenzione per la gestione di servizi finalizzati alla
valorizzazione del patrimonio agro-forestale
comunale, cui fece seguito il progetto di
“Riqualificazione in ottica multifunzionale del
Sentiero delle Marmitte lungo il torrente Serio
sopra la contrada Valbona in Comune di Piateda”.
A oggi mancano ancora gli accessi e le protezioni ai
vari punti panoramici e i pannelli didattico-illustrativi riguardo alle tematiche ambientali, storiche e
naturalistiche peculiari della zona.
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il ponte sul Serio a Valbona, inizio dell'escursione (27 maggio 2011, foto Marino Amonini).
bianco-rosso, è ben evidente e compie
un anello che proprio qui ha la sua
chiusura e che decidiamo di percorrere in senso orario (sx). Attraversato
il ponte, proseghiamo diritti (E) sulla
via acciottolata inoltrandoci tra le case
di Valbona (m 341). Non passa inosservata la galleria lasciata dal canale
derivatore, ora chiusa da una cancellata e adibita a ricovero di materiali e
attrezzi. Alla fontana svoltiamo a sx
dove il sentiero acciottolanto3 s'alza
3 -Il terreno scosceso ha reso indispensabile, contro
l’erosione da calpestio e delle acque meteoriche,
ammantare di ciottoli tutto il percorso.
nel bosco ormai lasciato all’incuria.
Uno spesso strato di foglie e humus
ricopre la via attutendo i nostri passi.
Concede una piacevole sensazione,
tanto che pare di camminare sospesi,
ma può trasformarsi in una insidia,
specie in discesa dove diventa un
affare da funamboli rimanere in piedi.
Percorso l’ampio tornante destrorso
da cui ci si affaccia su Piateda e sul
corso dell’Adda, prendiamo velocemente quota verso S. I giovani
castagni presto lasciano posto a roverelle, betulle e radi ginepri, mentre
il nostro incedere resta sospeso tra il
Le marmitte del Serio
99
Versante orobico
Escursionismo
Valbona dopo l'alluvione (luglio 1987, foto Marino Amonini).
Valbona dopo l'alluvione (luglio 1987, foto Marino Amonini).
fragore dell’Adda che scorre tra i massi
nel fondovalle e l’affanno del respiro.
A m 550 incontriamo la chiesa di
San Vittore (ore 0:45)4 (bivio a sx e
cartello giallo), isolata nella boscaglia,
ora abbandonata e in stato di grave
deterioramento, testimonia l’importanza baricentrica di quest’area
4 - “Nei pressi dell'Adda, dalla parte della matrice,
sorge la chiesa vicecurata dedicata a Santa Caterina
Martire: vi è il Battistero e vi si conserva decorosamente la SS. Eucaristia; si seppelliscono i morti e vi si
amministrano i Sacramenti per mano del cappellano
dell'arciprete di Tresivio, che ordinariamente risiede
appunto a Boffetto […]. Poco discosto dal predetto
villaggio, vi è l'altra chiesa di San Vittore: e poco dopo
s'incontra l'altra chiesa di Santa Croce, ambedue
appartenenti alla comunità di Boffetto”. Tratto dagli
atti della visita del vescovo di Como Feliciano
Ninguarda nel 1589.
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le rovine di Betöi (26 dicembre 2006, foto Marino Amonini).
nel sistema insediativo tradizionale,
centro di raccolta dei fedeli sparsi nei
maggenghi limitrofi.
In corrispondenza del bivio per la
chiesa, un sentiero s’inoltra verso il
torrente dove si trovano i resti di un
probabile ponte di pietra e oltre il
quale nulla rimane nell’intrico delle
piante divelte.
La salita riprende incessante, con
pochi tratti di respiro. Raggiunto il
crinale dal quale si ode il fragore delle
acque del Seriolo, poco avanti - a
m 600 ca. - un sentiero entra sulla dx
verso un ramo secondario del Serio
ove si possono già vedere alcune
cascate e relative pozze. Questa devia-
zione è facoltativa, ma terminata la
visita si consiglia di tornare sui propri
passi senza lasciarsi ingannare dal
sentiero che sale a fianco al torrente
perché si perde nel bosco scosceso.
Ripresa la via maestra, percorriamo un ultimo tratto ripido seguito
da due curve profondamente incassate nel terreno sino al cartello indicante la deviazione per le marmitte. Il
sentiero finalmente spiana e in breve
avvistiamo l’antico nucleo di Bettoli
(Betöi, m 704, ore 0:30).
In totale abbandono da decenni, il
bosco lo sta avvinghiando nella sua
possente e inesorabile morsa. Dalla
consistenza del nucleo capiamo che
Primavera 2014
La demolizione del canale a Valbona (1993, foto Marino Amonini).
doveva essere un centro abbastanza
importante, sia per le dimensioni
dei manufatti, sia per la presenza di
un oratorio. Facendo attenzione che
non ci crolli addosso quel poco che
rimane, attraversiamo questo luogo
desolato fino a scorgere i resti della
chiesa di Santa Croce5. L’ambiente
è molto suggestivo e nel tentare di
descrivere le emozioni che si accendono rischieremmo di cadere nella
retorica. Del resto qui si vedono
applicati i discutibili precetti di John
Ruskin6 il quale sosteneva, tra le altre
cose, che i monumenti dovessero
morire di morte naturale, in quanto
avverso a ogni forma di intervento
che andasse oltre la manutenzione
non sostitutiva. Così la chiesa come
l’adiacente contrada dei Betöi è da vari
decenni in stato di totale abbandono,
pericolosa per i rischi di crollo.
Nella chiesa di Santa Croce, con le
dovute cautele, merita osservare l’ordito delle pietre che compongono i
resti della volta sopra l’altare e quella
del locale ribassato a N, un vero capolavoro di posa. Interessante anche la
pietra rettangolare che costituisce il
piano d’altare con un foro quadrato
centrale. Grazie al peso e alle notevoli dimensioni è ancora al suo posto,
mentre l’elegante portale d’ingresso
in beola verde ha subito la visita
dei furfanti che l’hanno smurato,
trafugandolo.
5 - Un doveroso riconoscimento ai gruppi di
Protezione Civile e ANA di Piateda per gli
interventi di manutenzione ai ponti, pulizia e
sgombero delle piante schiantate sul sentiero e messa in sicurezza del tratto che attraversa i Betöi.
6 - John Ruskin (1819 – 1900): scrittore, pittore,
poeta e critico d’arte britannico.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le rovine di Santa Croce (6 giugno 2012, foto Marino Amonini).
Prestando molta attenzione alle
rocce lisciate che affiorano tutt’intorno e in presenza di umidità diventano molto scivolose, guidati dal
fragore dell’acqua guadagniamo la
soprastante passerella a scavalco del
ramo principale del Serio (m 730,
ore 0:10).
E finalmente ecco comparire le
mitiche marmitte dei Giganti. Se ne
vedono alcune, in sequenza, ma da
questo punto verso il basso si susseguono repentine, una più spettacolare
dell’altra, di varie dimensioni e serrate
in strette gole. Un vero prodigio della
natura che si riscontra soprattutto in
quei luoghi ove l’acqua ha scavato
l’alveo su fondo roccioso non particolarmente duro. Una volta conosciuto il
fenomeno e compreso il meccanismo
di formazione è facile riscontrarle in
molti posti, come quelle del torrente
Caronno a Scais, del Cormor a Franscia, in val di Lemma, in val Bodengo,
quelle in Arquino del Mallero).
Ha inizio la discesa. Si offrono ora
due possibilità:
- una è di seguire il sentiero bollato
che scostandosi parecchio dal torrente
scende verso la val Sorda lungo una
mulattiera selciata altrettanto ripida e
insidiosa quanto quella di salita sino
a immettersi su una sterrata che in
breve raggiunge l’abitato di Casacce
e continua sino a incontrare una
cisterna dell’acquedotto dalle forme
tondeggianti;
- l’altra è quella di scendere costeggiando il lato orografico sx del Serio
sino al ponticello di cemento a m 450
ca.; qui s’imbocca la sterrata sulla sx
che in breve si ricollega al percorso
precedente raggiungendo la cisterna
(soluzione meno agevole7 ma al
tempo stesso di maggior soddisfazione
poiché consente di osservare la lunga
sequenza di gole, scivoli, marmitte e
giochi d’acqua8).
Dalla cisterna si prende verso E (dx;
evitare la traccia che dopo pochi metri
scende ripida sulla sx) il vecchio sentiero
che rapidamente riporta a Valbona
(m 341, ore 1).
Inaspettato, un affaccio tra le
fronde consente di abbracciare l’intero nucleo poco prima di attraversare
la passerella sul Serio. Spendiamo gli
ultimi sguardi tra le strette vie acciottolate ove aggettano rampe, ballatoi
e si mostrano piccole aie e portéc un
tempo ricchi di vita, ora muti e spesso
fatiscenti. Anche questo borgo ha
subìto i tempi moderni che, risucchiando genti ed energie distanti da
casa, gettano nell’oblio e alle ingiurie
del tempo questi luoghi tipici di quella
cultura contadina che con sapienza
e rispetto sapeva convivere con l’ambiente. A noi che scriviamo rimane il
conforto di aver esortato anche pochi
lettori a riscoprire la bellezza di questo
percorso salvandolo dal completo
abbandono, consapevoli che la conoscenza è la miglior linfa per una vita
di qualità.
7 - Per rincuorare i meno arditi confidiamo che
durante le torride giornate di luglio i ragazzi si
trovano a fare il bagno nelle marmitte traboccanti
d’acqua cristallina e passano da una pozza all’altra
inerpicandosi tra i massi o su per le sponde erbose
a piedi nudi.
8 - La discesa avviene su terreno scosceso, scivoloso
e senza un tracciato vero e proprio, quindi si
consiglia solo a persone esperte o accompagnate da
qualcuno che conosce i luoghi. Inoltre, gli affacci
sulle gole non hanno protezioni, pertanto occorre
altra prudenza
Le marmitte del Serio
101
Versante orobico
Escursionismo
Approfondimenti
La
chiesa di
San Vit tore
e il castello degli
Ambria
Nicola Giana
LA CHIESA DI SAN VITTORE
La facciata è a capanna munita di
finestrone centrale ad arco a tutto
sesto. La struttura attuale è barocca, ma
sotto l’intonaco fatiscente del portale
emergono i possenti piedritti di epoca
medioevale, segno di un probabile
edificio più antico. Tre gradini immettono all’interno che è a navata unica
ritmata in due campate con volte a
crociera. Un tempo era impreziosita
da affreschi di buona fattura e sopra
l’altare era collocata una tela di Giovan
Pietro Ligari raffigurante San Vittore
poi traslata, restaurata e sistemata
nella parrocchiale del SS. Crocifisso
a Piateda. Il complesso comprende
anche la sagrestia e un tozzo campanile
a rasa pietra con monofora ad arco.
Quest’ultimo era munito di una poderosa campana (diametro alla bocca 53
cm; peso stimato 100 kg) realizzata dai
fonditori comaschi Antonio e Niccolò
Comolli nel 1680. Fu collocata lo
stesso anno mentre era parroco di
Piateda Alta don Giuseppe Da Chiesa
(1667-1686).
«Verso la fine degli anni ’70 la
campana venne calata su iniziativa del
parroco don Enrico Sassella per mano
dei parrocchiani Bruno Micheletti,
Vittore Togni, Silvio Mascarini, l’allora giovanissimo Edoardo Micheletti e
diversi altri volontari. Trasprstata a valle
con l’ausilio di una slitta, sulla fontana
della contrada Valbona, come un eco
nostalgico, diede i suoi ultimi rintocchi.
Depositata alla base della torre campanaria della chiesa del Santissimo Crocifisso in Piateda centro, rimase per oltre
trent’anni nell’oblio. Il 31 luglio 2013,
su autorizzazione del parroco Valerio
Modenesi, la campana è stata esposta a
Piateda Alta come pezzo d’onore nella
mostra Rintocchi di eternità».1
Marino Amonini, esperto conoscitore di Piateda e di storie locali, ci ha
raccontato: «Ricordi scolastici mi riportano agli anni ’50 quando a SanVittore
1 -Tratto da L nòs calendari 2014 edito da Comune
e Biblioteca di Piateda).a
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI La chiesa di San Vittore in rovina (1980 Giancarlo Noli - in basso 1999, foto Marino Amonini).
A dx la campana della chiesa di San Vittore esposta a Piateda Alta (8 agosto 2013, fotoAmonini).
I ruderi della baita in cui Antonio Boscacci ha indivuduato i resti del catello degli Ambria (13 marzo 1999, foto Marino Amonini).
IL CASTELLO DEGLI AMBRIA
I ruderi del castello degli Ambria:
nel 1999 Antonio Boscacci, dopo insistenti ricerche, pubblicò l’articolo dal
titolo Ritrovato dopo secoli il castello
degli Ambria2. L’autore individuò nei
ruderi di una baita distante un centi2 - ll Giornale di Valtellina e Valchiavenna, 16
gennaio 1999, pag. 3
si andava anche per la Festa degli Alberi;
durante la salita lungo l’acciottolata e
ben conservata mulattiera ascoltavamo
autorità e insegnanti, quindi mettevamo
a dimora le pianticelle imparando nel
contempo a distinguere quelle spontanee
del bosco circostante. Terminata la piantumazione, il premio di una veneziana
gratificava la gita e ci metteva le ali per
naio di metri a E della chiesa di San
Vittore, su una morena quaternaria
erosa dal torrente Paiosa a E, e dai
torrenti Seriolo e Serio a O, il castrum
novum degli Ambria. La pianta è quasi
quadrata, con i lati N e S di m 6,70,
mentre i due rimanenti misurano
m 6,85. Una piccola feritoia sul lato
N, chiusa dall’interno e i due cantonali che delimitano la facciata verso
valle costituiti da grosse pietre lavorate
a filo contribuirebbero ad avvalorare la
tesi del Boscacci. Già altri appassionati
erano giunti in precedenza alle medesime conclusioni, ma la questione
pare ancora oggi non completamente
chiarita. A questo punto non ci resta
che invitare i lettori più volenterosi a
continuare le ricerche.
scendere a rompicollo fino a Valbona per
il re-inquadramento prima del ritorno
in aula.
Fino agli anni ’60 - continua
Amonini - erano celebrate la Santa
Messa in occasione del 25 aprile e le
Rogazioni - processioni per chiedere
ai Santi protezioni per le anime, la
campagna, gli animali e il clima».
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le marmitte del Serio
103
Escursionismo
Eraldo Meraldi
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Già dall’inizio del sentiero è possibile ammirare la
cascata del rin de Scègn al Crap de Scègn, incastonata
tra alberi maestosi e il cielo limpido sovrastante
(13 febbraio 2014, foto Giacomo Meneghello).
La cascata al crap de Scègn
105
Alta Valtellina
Escursionismo
Cime di Plator
Sant'Antonio di Scianno
<--Semogo
Pedenosso-->
Cascata al crap
de Scègn
punto
panoramico
Isolaccia
Il tracciato della passeggiata alla cascata del crap de Scègn (20 febbraio 2014, foto Beno). Lungo questa escursione è stato nascosto il cache (vedi pag. 57).
e devo pensare a una delle più belle meraviglie naturali che si trovano in Alta Valtellina,
mi viene in mente subito la cascata del rin de Scègn al crap de Scègn. Alta quasi cento
S
metri vigila sul paese di Isolaccia nel comune di Valdidentro.
1
1 - Rio di Scianno su CTR.
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: piazza della chiesa di Isolaccia (m 1340).
Itinerario automobilistico: Bormio seguire la
strada SS301 del Foscagno fino a Isolaccia
e
parcheggiare in prossimità della chiesa nel centro del
paese (9 km).
Itinerario
sintetico: piazza della chiesa di
Isolaccia (m 1340) - punto panoramico (m 1490) chiesa dei Santi Martino e Urbano (m 1450) - piazza
della chiesa di Isolaccia (m 1340).
Tempo previsto: 2 ore e 15 minuti.
Attrezzatura richiesta: nessuna.
R
ecentemente è stata sistemata
una mulattiera che permette di
portarsi al punto panoramico dove si
può ammirare pienamente la maestosità di questa cascata che nebulizza
le sue acque nell'aria e regala spesso
stupendi arcobaleni.
A completare lo scenario è la grande
parete rocciosa che origina la cascata,
con rocce calcaree stratificate i cui
colori scivolano dal giallo al rosso e dal
grigio al nero.
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI La cascata del Rin de Scègn dal punto
panoramico (13 febbraio 2014,
foto Giacomo Meneghello).
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Difficoltà/dislivello: 2- su 6 /
360 metri in salita con uno sviluppo di quasi 6 km.
Dettagli: EE. Semplice passeggiata su sentieri.
Tratti esposti. È meglio non andare oltre il punto
panoramico se c'è neve lungo le cenge.
Mappe:
- Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio,
1:50000
Bibliografia consigliata:
- Eliseo Martinelli, 100 escursioni in Valdidentro,
Tipografia Compagnoni, Valdidentro 2012
La cascata del rin de Scègn al crap de
Scègn è visitabile in tutte le stagioni:
- in primavera quando il risveglio
della natura rende l’ambiente più vivo
e colorato e la cascata è più imponente;
- in estate per rinfrescarsi un po' e
combattere la calura;
- in autunno, quando i colori del
bosco si infiammano e le giornate
limpide assicurano una vista più nitida;
- d’inverno, quando tutto rallenta e
anche l’acqua si ferma e va a formare
un’imponente cascata ghiacciata effimera e spettacolare, mai salita integralmente nonostante i tentativi di forti
cordate d'alpinisti.
La cascata del rin de Scègn è a due
passi dal paese e può diventare un
vero e proprio rigeneratore d’energia:
un salto d'acqua che affascina e non si
scorda facilmente, tant'è che quando
riprenderete il cammino il mondo vi
sembrerà più bello!
La cascata al crap de Scègn
107
Alta Valtellina
Escursionismo
L'imponente cascata del crap de Scègn d'autunno, ma con colori ancora estivi
(2 ottobre 2012, foto Eraldo Meraldi).
Isolaccia in una cartolina del 1930
(archivio Maurizio Cittarini).
Isolaccia in una cartolina del 1920
(archivio Maurizio Cittarini).
La fessura delle Streghe
(13 febbraio 2014, foto Meneghello).
ITINERARIO
Dalla piazza della chiesa di Isolaccia
(m 1340), seguire la strada per Livigno
e passato il ponte sul rio di Scianno,
proseguire fino a quando la strada scende
leggermente. Quindi salire verso dx lungo
la via Plomp e portarsi di nuovo ad un
ponte sul rin de Scègn1. Prima di passare
il ponte, salire una breve scaletta e costeggiare il torrente per poi seguire (qui è il
cartello che segnala l'inizio del percorso)
verso sx la vecchia mulattiera. Dopo una
cinquantina di metri si arriva a un grande
masso coperto in parte da muschi nella
cui parte destra si nota quello che era un
ricovero per animali. La mulattiera che va
a sx porta alla baita di Spigolon. Il nostro
itinerario sale invece verso dx, immerso in
un bel bosco di abeti. Dopo tre tornanti
la mulattiera si fa più ripida, ma non ci
scoraggiamo consapevoli che lo spettacolo che ci apparirà dopo ci ricompenserà
dello sforzo fatto. Dieci tornanti, tanti ne
contiamo per giungere al punto panoramico sulla cascata (m 1490, ore 0:25).
Continuiamo sulla mulattiera per altri
sei tornanti fino alla base della parete
rocciosa dove possiamo ammirare da
un’altra angolazione la cascata. Sulla
sx si inerpica un sentiero che sempre a
tornanti, salendo una zona molto suggestiva, lambisce la parete rocciosa del crap
1 - Negli antichi documenti viene indicato come Xanno,
ovvero sgabello, gradino di roccia.
108
LE MONTAGNE DIVERTENTI NEI MEANDRI DELLA ROCCIA
de Scègn sulla sx, arrivando ad inserirsi
sul vecchio tracciato che da Semogo
porta a Pedenosso, passando da Sant’Antonio di Scianno. Noi prendiamo a dx e
passimo sotto la falesia alta del crap de
Scègn e, mantenendo sangue freddo nei
pochi punti esposti, seguiamo l’ampia
cengia inclinata che ci porta in breve alla
stradina agrosilvopastorale che unisce
Sant'Antonio di Scianno (m 1650)
all’alpe Gattonino.
Pieghiamo a dx e scendiamo brevemente al ponte sopra la cascata del rio
Scianno e rientriamo a Isolaccia passando
per Pedenosso dove è d’obbligo una
visita alla chiesa parrocchiale dei Santi
Martino e Urbano (m 1450, ore 1).
Arroccata su uno sperone roccioso, risale
al XII secolo. Edificata molto probabilmente su una antica struttura fortificata,
singolare è l’imponente recinto murario
che corre attorno e che sostiene l’intera
struttura. Suggestive anche le sottili feritoie e la torre del campanile. All’interno
si trovano parecchie tele settecentesche.
Di rilievo lo splendido soffitto di legno
intagliato a cassettoni, rivestimento tipico
di molte chiese locali e risalente al 1680,
e l’altare del Rosario finemente intagliato.
Di qui seguiamo la strada fino a tornare
alla piazza della chiesa (m 1340, ore
0:50).
Fenomeni carsici e grosse fessurazioni
hanno generato vari antri nella bancata
rocciosa del crap de Scègn.
In particolare nel settore orientale,
esattamente a metà tra la cascata e la
falesia d'arrampicata, si trova una grotta
naturale che costituisce il punto d'accesso della fessura delle Streghe (sc'clapa
de la sc'tria). Si tratta di una lunga spaccatura nella roccia, alta fino a 50 m, con
un'entrata principale lunga più di 20 m
sormontata da una finestra a circa 30 m
di altezza e un ingresso posteriore a forma
di caverna. I due fori sono collegati da
un lungo camino con massi sospesi che,
con attrezzatura adeguata, può essere
attraversato1.
L'origine del nome va cercata nella
leggenda. Un tempo gli smottamenti erano molto frequenti e fino a
una quarantina di anni fa venivano
ancora attribuiti alle streghe. E infatti
a Pedenosso una strega, certa Foghìn
di Foscagno, con una fronda di conifera avrebbe innescato la frana di terra
che ancor oggi è visibile nei pressi della
contrada di Scalotta. La frana, rovinando
a valle, avrebbe infine trascinato con sé la
megera facendola finire nel buco che ne
porta il nome.
1 - Descrizione tratta da Eliseo Martinelli, 100
escursioni in Valdidentro, Tipografia Compagnoni,
Valdidentro 2012
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alfredo Martinelli2, invece, fa risalire le
origini del toponimo al Seicento, quando
un gruppo di zingari di passaggio si
sbarazzò della vecchia matriarca decrepita gettandola nell’anfratto.
Poco a occidente del crap de Scègn3 si
trova invece il pianoro chiamato böc' del
Diàul o plan de Pec', dominato da un
grande masso che sovrasta una cavità che
affonda nel terreno per una quindicina di
metri. Si racconta di presenze inquietanti
e fenomeni straordinari, coerentemente
con l'immaginario comune che attribuisce in genere alle caverne oscurità e
mistero, e le elegge ad accesso alle viscere
della terra, regno del demonio.
Nel XVII secolo, in particolare, si
pensava che in quel luogo avvenissero
balli orgiastici a cui prendevano parte il
diavolo e le streghe, come testimoniano
tanti incartamenti relaitivi ai processi per
eresia e per magia conservati nell'archivio
del Comune di Bormio..
A Isolaccia invece, riporta Eliseo Martinelli, il böc del Diàul è chiamato böc'
del Tesoro, poichè era credenza che quel
buco scendesse fino all'altezza del paese
e sul fondo si trovasse un paiolo d'oro.
Ma impossessarsene non sarebbe stato
certo semplice, poichè era sorvegliato da
Belzebù in persona.
2 - Alfredo Martinelli, L'erba della memoria, Sondrio
1964
3 - Fonte: Ilario Silvestri.
La cascata al crap de Scègn
109
Rubriche
Mustang
Regno proibito
Testi di Nicola Giugni e Luca Passarelli
Kagbeni, la "porta del Mustang". Sullo sfondo, il Nilgiri (foto Roberto Basso).
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Mustang
111
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
NUOVE STRADE
L’aereoporto di Jomsom (m 2720), punto di partenza
del trekking (foto Nicola Giugni).
Proprietaria di
una teahouse (foto
Nicola Giugni).
Trasporto pubblico a bordo di un trattore
(foto Nicola Giugni).
Studenti nel monastero tibetano di Tsarang, seconda città
del Lo ed ex capitale (foto Nicola Giugni).
La costruzione di nuove strade rischia di stravolgere
i tracciati dei trekking della regione dell’Annapurna e
di avere un impatto negativo sul delicato equilibrio fra
uomo e ambiente, rimasto intatto per secoli.
Come sempre, occorre raffrontare le istanze ecologiche con le concrete necessità delle popolazioni
locali, che sperano di avere più agevoli collegamenti
con scuole e ospedali e vedono nelle carrozzabili
un'apertura ai commerci, sia in termini di vendita dei
propri prodotti che di acquisto di beni per il consumo
personale.
Da un lato, quindi, c'è il desiderio delle popolazioni
locali di una maggiore apertura al mondo e ai circuiti
economici occidentalizzati; dall'altro c'è la necessità
di conservare al meglio quell'ambiente naturale che è
fonte, mediante il turismo che ha indotto, del benessere locale.
Al momento della nostra visita, la strada che collega
Beni, Jomsom e Muktinath, e che nel progetto integrale prevede il collegamento con il Tibet (Cina), era
interrotta in più punti da frane e smottamenti; il grosso dei danni lo fanno i corsi d’acqua, in particolare il
Kali Gandaki, le cui piene sono possenti e distruttive.
Alla fine, come sempre, le regole le impone la natura.
In cammino verso Ghami
(ottobre 2005, foto Roberto Basso).
"Last forbidden"… Davanti alla
carta geografica del Mustang
neppure Dawa - la nostra
guida, nata ai piedi dell’Everest e abituata alle espressioni
più monumentali della natura
- riesce a trattenere un moto
di ammirazione. L’ultima area
proibita, l’antico regno himalayano del Mustang, nella cui
capitale Lo Manthang siamo
giunti dopo cinque giorni di
cammino, è stato a lungo
protetto dal turismo di massa,
e il suo fascino deriva dalla
inaccessibilità e dalla reputazione di ultimo baluardo della
cultura tradizionale tibetana.
Il trekking ha inizio a Jomsom
(m 2720), base di atterraggio del volo
da Pokhara, poche case poste all’inizio
della valle scavata dal Kali Gandaki
("fiume nero", dal colore del limo
trasportato dalla corrente), uno dei
canyon più profondi e spettacolari del
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI mondo. L’intensità della luce e la forza
del vento sono caratteristiche peculiari
di quest’area; ci accompagneranno
durante i primi giorni del nostro viaggio verso N.
Il percorso si sviluppa, sia nella fase
iniziale che in alcuni tratti successivi,
lungo la strada carrozzabile che dal
1999 collega il Nepal al Tibet, attraverso il passo Kora La, a m 4660 di
altitudine. E superiori ai m 4000
sono alcuni dei valichi da noi superati
(Chogo La, m 4325, il più alto), nella
progressiva ascesa verso la capitale del
Regno Proibito.
La strada, appunto. Nel 1993
Tiziano Terzani, il celebre giornalistaviaggiatore (fu corrispondente da varie
parti dell’Asia per Il Corriere della Sera
e La Repubblica), paventava gli effetti
negativi per il delicato equilibrio sia
naturale che culturale di quest’area,
giunta a noi miracolosamente intatta
attraverso i secoli.
Vent’anni dopo, il pericolo principale per questo territorio e per i suoi
abitanti non sembra venire dalla Cina,
il cui confine con il Mustang è chiuso
da tempo, né dallo sporadico passaggio di qualche trattore di fabbricazione
indiana, che - frane permettendo svolge servizi di utilità indiscussa per
la popolazione locale. A preoccuparci
maggiormente è il rinvenimento,
anche nei lunghi tratti di sentiero
distanti dalla carrozzabile, di rifiuti
(bottiglie di plastica, lattine, carte di
snack), abbandonati non solo dai circa
3000 turisti (erano poche centinaia
agli inizi degli anni novanta) che ogni
anno decidono di spingersi sin qui,
ma anche dalla popolazione locale.
Purtroppo Dawa ci descrive un quadro
di sostanziale disinteresse del governo
nepalese per l’avvio di un programma
non solo di raccolta dei rifiuti, ma
ancor prima di sensibilizzazione della
popolazione al rispetto della natura
circostante che, seppur imponente,
vive di un equilibrio delicato, come
ovunque (ai trekkers, invece, basterebbe imporre una cauzione aggiuntiva
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI RIFIUTI E FONTI
ENERGETICHE ALTERNATIVE
Uno dei problemi più seri del Nepal è la
grande quantità di immondizia prodotta nelle
zone montuose dai trekking e dalle spedizioni
alpinistiche, aggravato dal fatto che anche gli
abitanti dei villaggi usano un numero sempre
maggiore di lattine, bottiglie e contenitori di
plastica per le loro esigenze quotidiane.
Si tratta di un problema globale e, sebbene
in misura minore - per il suo isolamento e la
limitata apertura al turismo -, il Mustang non
fa eccezione.
Lungo il percorso, ad esempio a Jomsom
e a Kagbeni, esistono punti vendita di acqua
potabile destinata agli escursionisti. Questi la
possono conservare in taniche da trasportare
con muli o cavalli. I punti vendita furono
realizzati alcuni anni fa con i fondi provenienti dal progetto internazionale ACAP (Annapurna Conservation Area) e, al momento della
nostra visita, facevano davvero pochi affari,
per la netta preferenza data dagli escursionisti
(noi compresi) all’acqua minerale in bottiglia.
Occorrerebbe, quindi, affrontare il trekking
in modo responsabile, cercando di utilizzare
il minor quantitativo possibile di lattine e
bottiglie di plastica e impegnandosi a riportarle a valle quando si è terminato il giro. Non
diversamente da quel che si fa (o si dovrebbe
fare) sulle nostre montagne.
Lo stesso ACAP promuove corsi per i
proprietari dei lodge e delle case da tè con l’obbiettivo di diffondere tecnologie alternative
per la produzione di energia elettrica e acqua
calda, in modo da ridurre l’uso di carburanti
inquinanti (cherosene) e la deforestazione.
In effetti, sui tetti di molte delle tea house
da noi frequentate erano installati pannelli
solari termici, in alcuni casi anche fotovoltaici, e lungo i corsi d’acqua in prossimità dei
villaggi ci siamo imbattuti in alcuni minuscoli impianti idroelettrici, costituiti da una
semplice turbina protetta da una casetta rustica. Fortuna vuole che, nei luoghi più remoti
della Terra, il ricorso alle energie rinnovabili
non è solo un atto di responsabilità e rispetto,
ma anche il risultato di un calcolo di convenienza economica.
Mustang
113
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
photo by Ben Moon
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Lavoro nei campi a Chusang
(ottobre 2005, foto Roberto Basso).
Vista dai tetti di Lo Manthang sul Thubchen
Gompa ( ottobre 2005, foto Roberto Basso).
di 500 dollari al prezzo del visto, per
indurli a riportare a valle i propri rifiuti).
Questi pensieri vengono allontanati, oltre che dal forte vento, dalla
osservazione estatica di un paesaggio
primordiale, la cui aridità e desolazione è dominata dall'alto dai grifoni
dell’Himalaya, che nidificano tra le
rocce, e dalle cime dell’Annapurna
(a SE, tra le nuvole, fa capolino il
Nilgiri, m 6940, imperturbabile
come una divinità buddista); in
basso il paesaggio è punteggiato da
vere e proprie oasi: intorno a gruppi
di abitazioni tradizionali, realizzate
in terra battuta e mattoni di fango, si
stendono campi gialli e rosa, di grano
saraceno e orzo, a loro volta sovrastati da monasteri tibetani, color rosso
e ocra, con i loro Gompa, templi
dipinti a strisce verticali grigie, bianche e gialle. Un paesaggio che pare
immutato dal Medioevo.
È all'interno di questi villaggi che
troviamo ospitalità lungo la salita nella
valle del Kali Gandaki, pernottando in
piccole e spartane “case da tè” nei cui
orti si può campeggiare. Queste sono
gestite da famiglie cordiali e ospitali.
LE MONTAGNE DIVERTENTI In questi luoghi remoti il
tempo scorre lento e sereno,
sicché si ha tutto il tempo per
osservare la vita locale, fatta
di gesti semplici e antichi: la
raccolta del bestiame dopo il
pascolo, la filatura della lana,
la preparazione degli alimenti,
che rimandano alle nostre
radici contadine.
Da questo ambiente rurale di
piccoli villaggi dall'economia primitiva si distanzia solo la capitale, Lo
Manthang, che comunque raggiun-
Chorten presso le rocce rosse di Dhakmar
(ottobre 2005, foto Roberto Basso).
ge le dimensioni, diciamo, di una
Castione Andevenno (capannoni
esclusi, ovvio!). La popolazione cittadina è molto vicina a quella tibetana,
sotto il profilo etnico e culturale, ed
ha un’economia piuttosto sofisticata,
derivante dagli scambi commerciali
intrattenuti per secoli con il Tibet
(ora interrotti). Tutto il commercio
del sale e della lana lungo il fiume
Kali Gandaki passava infatti per
Lo Manthang e ciò portava entrate
economiche di un certo rilievo, che
si traducevano poi nell’acquisto di
terre, cavalli e armenti.
Le case della capitale si sviluppano
in genere su due piani e hanno una
piccola corte centrale aperta; peculiari
i tetti, decorati con legna, corna di
pecora e di yak. Solo il palazzo reale
ha quattro piani e sul tetto reca le
più preziose corna di shu (una specie
estinta, nota come cervo del sikkim),
Mustang
115
Rubriche
Chorten al passo di Syangmochen (ottobre 2005, foto Roberto Basso).
Essiccazione dei cereali a Lo Manthang
(ottobre 2005, foto Roberto Basso).
Il palazzo reale di Lo Manthang
(ottobre 2005, foto Roberto Basso).
simbolo di distinzione signorile.
Le case sono riscaldate con piccole
stufe di pietra o ghisa, che scoppiettano come mitragliatrici quando sono
alimentate a sterco essiccato di yak o di
capra: la legna, infatti, viene utilizzata
raramente e più volentieri lasciata sui
tetti per ostentare la ricchezza della
famiglia. Un po' come da noi avere il
Mercedes parcheggiato davanti a casa.
Tuttavia, anche a Lo Manthang,
nelle parti più periferiche della città,
assistiamo a scene ancestrali, che ci
danno la sensazione di arretrare nel
tempo, spettatori di un’esistenza che è
stata anche quella dei nostri avi.
Non sarà l’unico viaggio nel tempo
che questo trekking ci regalerà. Nella
semi-oscurità odorosa di incenso del
Gompa di Thubchen veniamo sorpresi
dall’ingresso di un gruppo di giovani
festanti, che salgono su scale e impalcature dove stanno restaurando, alla
luce di poche lampade, alcuni affreschi risalenti al XIV secolo, con qualche finanziamento straniero e sotto
la guida di un ricercatore italiano,
Luigi Fieni, non ancora quaranten-
ne ma da oltre dieci anni impegnato
in questo progetto. Scherziamo con
Luigi, paragonando il suo lavoro, con
questi giovani apprendisti, a quello
di Cimabue con Giotto, e ci resta la
sensazione di assistere ad un miracolo
analogo. Man mano che viene eliminato lo sporco secolare, riprendono
forma Buddha ieratici, mandala e
divinità protettrici dall’aspetto terrificante, i cui colori straordinari rimandano a capolavori coevi conservati
nelle nostre città d’arte.
Rientrati nella nostra teahouse, distesi per un po’ di riposo, leggiamo questa
frase nel libricino di racconti tibetani
che ci sta accompagnando durante il
viaggio: "Questa vita, piccola goccia di
pioggia, scintilla che brilla un solo istante. Dunque non sprecate neppure un
giorno, neppure una notte, per raggiungere il vostro fine". Ci sembra adeguata
alla scelta fatta da Luigi e, in cuor
nostro, ci auguriamo possa divenire
anche la nostra dimensione.
L’ultima sera a Lo Manthang è la
nostra guida Dawa a farci un altro
prezioso dono. Al termine della cena ci
116
LE MONTAGNE DIVERTENTI chiede se desideriamo visitare l’interno
di un’abitazione tradizionale, mentre
la famiglia è raccolta intorno al fuoco,
al termine di una giornata di lavoro nei
campi.
La porta di ingresso è bassa,
come anche il soffitto di travi
annerite dal fumo. Dicono, non
solo in Nepal, che le porte basse
sono fatte per insegnare l’umiltà.
La famiglia è accovacciata intorno
a un piccolo tavolo. Il padre, alzando
la testa da un piatto di polenta e dal
bhat (pietanza tradizionale a base di
lenticchie), sorride e acconsente a farci
visitare il resto della casa, due stanze
dove sono posti alcuni semplici giacigli
e poco altro. Ancora una volta abbiamo la sensazione di trovarci a tu per tu
con i nostri antenati, cosa che dovrebbe indurci a sentimenti di rispetto
profondo.
Ringraziamo, arretrando e unendo
le mani, ma appena voltatici per uscire sbattiamo la fronte contro la bassa
porta.
Primavera 2014
SHERPA
GOMPA
Gli Sherpa (shar-wa, popolo dell’Est) sono una
tribù buddista proveniente dal Tibet (XV sec), che
ha mantenuto i propri usi e costumi tradizionali e
parla una lingua non scritta derivante dal tibetano. Quasi tutti gli uomini prendono il nome dal
giorno della settimana in cui sono nati (la nostra
guida si chiamava Dawa - Lunedì - e il suo giovane
aiutante era Nyima - Domenica). Diffusamente,
anche se erroneamente, si usa la parola "sherpa"
per indicare tutti i portatori del Nepal.
Sin dalla metà del secolo scorso, ingaggiati per
le prime spedizioni alpinistiche sull’Everest, gli
Sherpa si distinsero per la loro estrema abilità e
resistenza alla fatica sia come alpinisti che come
portatori di alta quota (nella conquista dell’Everest
del 1953 Sir Edmund Hillary venne accompagnato dallo Sherpa Tenzing Norgay e l’impresa venne
attribuita, con pari dignità e merito, ad entrambi).
Al giorno d’oggi il lavoro del portatore non
gode del medesimo prestigio che aveva in passato: spesso viene svolto da contadini dei villaggi
di montagna che cercano di guadagnare un po’
di denaro per arrotondare il loro salario, accettando di portare carichi molto pesanti. Questa
situazione è spesso origine di disagio per i trekker
più sensibili, che hanno la sensazione di sfruttare
le condizioni di povertà della popolazione locale. In realtà ingaggiare un portatore è una scelta
sensata sotto vari aspetti: anzitutto si contribuisce
al sostentamento di un uomo, della sua famiglia
e quindi del suo villaggio, spesso in difficoltà
dal punto di vista economico; in secondo luogo
si tratta di un’occupazione rispettabile, una delle
migliori per molti nepalesi, attraverso la quale essi
imparano i rudimenti di lingue straniere, che è un
passo fondamentale per la propria promozione
sociale ed economica. Infine, se solo il trekker si
sforza di aprire un po’ la mente (e il cuore) scoprirà
che si tratta di persone estremamente propense al
dialogo, dotate di una visione del mondo serena
e giocosa, dalle quali è possibile imparare molto,
soprattutto dal punto di vista spirituale.
I Gompa (templi) tibetani sono molto simili tra
loro sia per conformazione che per i colori usati
e, in genere, sorgono sul fianco di una collina in
posizione molto panoramica, che evoca un senso
di importanza religiosa e spiritualità.
Al loro interno sono ornati di dipinti antichissimi e, se conservati, dai colori molto vivaci, raffiguranti il Buddha (spesso presente anche come
statua), i santi Guru Rimpoche e Milarepa, la
ruota della vita (mandala) e varie divinità guardiane, dai volti terrificanti.
Sull’altare principale sono posate delle fotografie
di personalità religiose importanti quali il Dalai
Lama, insieme a ciotole d'acqua, lampade al burro
e fiori. Per rispetto, chi entra deve sempre togliere
le scarpe, soprattutto se si tratta di scarponi da
trekking infangati…
Il Guru Rimpoche ("nato dal loto") è venerato
in Nepal e Tibet come il "secondo Buddha", per
aver fondato il Buddismo tibetano (VII-VIII sec).
In Nepal sono molti i luoghi dove, secondo la
tradizione religiosa e popolare, il Guru è passato
o ha vissuto, e lì sono stati eretti Gompa, chorten e
monasteri, sicché il trekking in Mustang può essere vissuto come un vero e proprio pellegrinaggio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI YAK O NAK?
Riguardo allo yak si tende a fare un po' di
confusione. Di questi grandi bovini dal manto
folto, presenti un po’ ovunque sulle montagne del
Nepal, solo il maschio si chiama yak, mentre la
femmina è denominata nak. A voler essere ancora
più precisi, gran parte degli yak che si incontrano
sono bestie ibride, più docili e gestibili, ottenute
incrociando esemplari puri con mucche tibetane.
Noi abbiamo provato il formaggio di yak
(buonissimo, sembrava il nostro bitto!), ma molto
probabilmente era stato fatto con il latte di una
mucca tibetana.
Mustang
117
Pizzaràgn
Professione VI grado
Picchio muraiolo cattura un Opilionide su una parete
rocciosa all'alpe Gera in Valmalenco (22 luglio 2011).
➢
Speciali
➢
Il Picchio muraiolo cerca il cibo camminando velocemente
sulle pareti di roccia e indagando buchi, crepe e anfratti
(30 ottobre 2010, foto Stefano Caldera).
Testi e foto Giovanni C. Scherini
Il Picchio muraiolo (Tichodroma muraria) è tra
le specie più amate del mondo naturale.
Non v’è autore che non ne abbia scritto se non
in termini entusiastici, ponendo questo uccello ai
vertici della classifica dei belli. Già il naturalista svizzero Tschudi nel 1870 ne parlava come di uno degli
uccelli alpini più splendidi in assoluto, accostandolo, in ragione delle sue sembianze e del suo volo,
a un colibrì alpino.
Il nome italiano sommariamente pone Tichodroma muraria tra i picchi, pur avendo con questi
ultimi solo alcune affinità legate all’arrampicata;
per il resto, a differenza dei picchi, la Tichodroma
muraria non possiede una struttura ossea e cornea
(cranio e becco) idonea alla percussione, né tantomeno una lingua appiccicosa talmente estroflettibile
da doverla arrotolare a riposo lateralmente al cranio.
L'epiteto "muraiolo" è dovuto agli avvistamenti
invernali del volatile che avvengono su torri o muraglie; in realtà però l’ambiente di elezione sono le
rupi e le pareti rocciose.
Il nome scientifico, più appropriato, si compone
del nome del genere, Tichodroma, che deriva dal
greco téikhos (muro) e dromás (che corre celermente), nonché del nome proprio muraria (che
appartiene ai muri).
La specie è presente sui principali gruppi
montuosi dell’Europa centromeridionale e Asia
minore. In Italia è diffusa sull’arco alpino e su parte
degli appennini sino agli Abruzzi, dove si manifesta
perlopiù come specie sedentaria e nidificante, ma
anche migratrice a corto raggio e svernante.
In rapporto all’ambiente frequentato la specie
è tra quelle a basso rischio di conservazione, in
quanto un vero disturbo sulle pareti rocciose, il suo
habitat, può essere causato solo occasionalmente da
alpinisti ed escursionisti.
In Lombardia si valuta la consistenza del Picchio
muraiolo in 200-600 coppie: un intervallo abbastanza largo in considerazione alle difficoltà oggettive di un monitoraggio preciso.
Per quanto riguarda la Provincia di Sondrio, De
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Carlini1 nel 1888 dava notizia di alcune catture
effettuate a Sondrio e precisamente in Gombaro,
cioè lungo le pareti rocciose delle Cassandre del
Mallero. Altri due individui a lui recapitati provenivano invece dalle valli del Bitto, dove non era raro.
Nel 1890 Bruno Galli-Valerio2 lo indicava come
poco comune intorno a Sondrio, dove si osservava
sui campanili e sulle rupi, confermando la specie
come frequente nelle valli del Bitto in estate; da
ottobre, invece, veniva osservata sulle rupi di mezza
montagna e anche sino a quelle affacciate sul fondovalle, rimanendo alle quote più basse sino al sopraggiungere della primavera.
Nel 1940 il celebre ornitologo di Ponte in Valtellina Edgardo Moltoni lo qualificava come stanziale
sui monti nel periodo riproduttivo, con normali
spostamenti verso il basso in inverno sino ai
dintorni di Sondrio, Ponte, Tirano e indicando altre
località di presenza come la val Fontana, la zona
sopra Baruffini, la val Codera. In seguito Moltoni
ne segnalava la nidificazione nel Parco Nazionale
dello Stelvio tra i m 1800-2400, con osservazioni
estive alle Torri di Fraele, alla punta del Coston, in
valle del Forno e invernali tra Sant'Antonio e Santa
Caterina. Come nomi dialettali usati in provincia
Moltoni indicava: rösa, beccaràgn, pizzaràgn,
madonéta, rampeghìn di Alp, gratasàss ...
nche dopo l’inizio del terzo millennio, di
questo bell'animale non conosciamo molto
di più rispetto ai nostri predecessori, poiché non
sono mai state svolte indagini specifiche su questa
specie che, al di là dei suoi meravigliosi cromatismi,
non riveste al momento per la società alcun interesse quantificabile in termini economici.
Le osservazioni recenti lo confermano presente
ovunque in provincia tra i m 1000 e i m 2500 dove
esistano pareti rocciose con fessure e cavità idonee
alla nidificazione e a reperire ragni, lumache, larve,
bruchi, farfalle e altri insetti. Il suo incontro casuale
è comunque un evento poco frequente anche per
A
1 - De Carlini A., Vertebrati della Valtellina, Atti Soc. It. Sc. Nat.,
Milano 1888
2 - Bruno Galli Valerio, Materiali per la Fauna dei Vertebrati,
Valtellinesi. Stab. Tip. Quadrio, Sondrio 1890
LE MONTAGNE DIVERTENTI Picchio muraiolo
119
Fauna
Speciali
Posizione con ali semiaperte: Vedendolo così, fermato dalla fotografia
sulla parete, si spiega come in dialetto prenda il nome di rösa; pare in
effetti una splendida rosa rossa (16 luglio 2009).
chi si muove spesso in montagna.
Sulla scorta dei dati regionali si può
valutare presente in provincia di
Sondrio circa la metà della consistenza regionale, con 100-300
coppie nidificanti.
A queste brevi notizie sul Picchio
muraiolo circa la sua distribuzione sul territorio della provincia
e sull’habitat frequentato, possiamo
aggiungere alcune parole circa il suo
comportamento. Anzitutto si tratta
di un animale solitario al di fuori
del periodo riproduttivo, vivendo
in coppia solo durante le varie fasi
della nidificazione. Lungo questo
periodo il rapporto tra i partner
sembra essere monogamico, il
maschio difende il proprio territorio
e si esibisce nei pressi delle femmina
ostentando il sottogola nero e assumendo una posizione eretta, con il
becco rivolto verso l’alto.
Altra tipica abitudine è quella di
aprire parzialmente le ali durante il
movimento, un modo per mante-
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le zampe del Picchio muraiolo appaiono sproporzionate
rispetto alla grandezza del corpo (16 luglio 2009).
nere il contatto visivo con il partner,
mostrando la parte rossa delle ali ma
soprattutto la parte esterna nera con
macchie bianche.
Il Picchio muraiolo spicca per le
sue doti di instancabile arrampicatore. Osservando le fotografie si
evince come le sue posizioni durante
l’arrampicata si adeguino alle stesse
leggi fisiche cui deve sottostare un
alpinista, con la differenza che il
picchio, in caso di errore, ha sempre
le ali cui ricorrere e non è costretto
come l'alpinista ad ancorarsi con
corda e chiodi alla parete.
Ovviamente questo uccello non
arrampica per diletto, ma solo per
necessità alimentari, perché è solo
con una risalita passo passo delle
rupi che può individuare nelle fessure
più riposte le prede per sé, per la
sua compagna durante la cova, e per
nutrire i suoi piccoli dopo la schiusa.
Diciamo anzitutto che il peso
di questo piccolo passeriforme si
aggira in entrambi i sessi circa sui 20
Picchio muraiolo in sosta e scomposizione della forze
(16 luglio 2009).
Adulto (a sinistra) dopo l'imbeccata (16 luglio 2009).
Picchio muraiolo in progressione su parete
(16 luglio 2009).
grammi, con una lunghezza di circa
16 cm dalla punta del becco a quella
della coda.
Le zampe paiono altresì sproporzionate rispetto alla mole, con dita
lunghissime, il pollice in particolare, prolungate da unghie vistose,
ricurve, con punta acuminata. È
come se, in proporzione, un uomo
di 180 cm di altezza avesse un piede
di circa 60 cm!
Certo, la morfologia specializzata delle zampe è di per sé un indispensabile attrezzo di arrampicata,
alla stessa stregua delle piccozze e
dei ramponi utilizzati per risalire le
cascate ghiacciate, ma anche le posizioni assunte dal corpo non sono un
elemento trascurabile.
Per osservare contemporaneamente
l’allineamento delle zampe e individuare la direzione delle forze in
questione, si è scelta una posizione
di sosta, ma poi lo stesso discorso
è trasferibile alla posizione assunta
durante il movimento.
Primavera 2014
Nella foto sopra si sono dapprima
tracciate le due linee z e b (in
giallo), sovrapponendole a quelle
delle zampe (tarso). Già si vede che
l’angolo tra le due linee è prossimo
all’angolo retto. Se ora, semplificando, nel vertice si applica la forza
P (peso=20 g), questa, per la regola
fisica del parallelogramma, si scompone in un vettore B, e un vettore A,
secondo le due direzioni indicate; la
prima forza spinge sulla zampa inferiore [circa con 10 g di intensità],
aumentando l’aderenza alla parete,
la seconda spingerebbe verso il
basso l’uccello, se non fosse controbilanciata dalla forza Z, che rappresenta la trazione che l’uccello deve
esercitare con la zampa superiore per
non cadere [ca. 17 g di trazione].
In realtà il problema è un po’ più
complesso, perché la forza peso
agisce sul baricentro ed entrano poi
in gioco gli snodi delle anche ed il
bacino, ma i risultati restano sostanzialmente gli stessi.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Durante la progressione, pur
non vedendosi la zampa in posizione superiore, la testa ed il petto
sono mantenuti aderenti alla parete,
mentre la parte posteriore ne è notevolmente staccata, formando tra la
linea corpo-becco e quella del tarso
un angolo ancora prossimo ai 90°.
I termini dialettali pizzaràgn
o beccaràgn, non sono casuali in
quanto il Picchio muraiolo mangia
ragni in quantità, ma nella dieta
entrano anche altri invertebrati,
come farfalle diurne, bruchi e
molluschi.
Nella fotografia in alto, l’adulto,
più a sinistra, ha appena dato l’imbeccata a uno dei piccoli, che
peraltro invoca altro cibo, aprendo
il becco ed emettendo dei sibili. Si
tratta di un giovane ormai prossimo
all’involo, quindi circa delle stesse
dimensioni dell’adulto, ma distinguibile per il becco più corto e di
solito meno ricurvo.
Picchio muraiolo
121
Rubriche
l'iperfocale
L'arte della fotografia
L'
iperfocale è la distanza
minima di messa a fuoco
che permette di avere la
profondità di campo dall'infinito
alla metà della distanza
iperfocale. Il suo valore dipende
sia dalla focale dell'obiettivo che
dall'apertura del diaframma.
Effettuando la messa a fuoco sulla
distanza iperfocale si ottiene perciò
la massima profondità di campo
possibile con quella data lunghezza
focale e quel dato diaframma.
a cura dell'agenzia fotografica Clickalps
Per un professionista è fondamentale conoscere
i valori dell’iperfocale, ma ciò potrebbe tornare
utile anche alla maggior parte degli amatori.
Il calcolo è basato su 3 fattori :
1) lunghezza focale dell’obbiettivo (F - misurata in mm)
2) diaframma (A - adimesionale)
3) circolo di confusione (C - vale 0,026 mm su
sensori full frame e 0,015 mm su APS-C).
La formula approssimata che restituisce il valore
dell'iperfocale espressa in mm è la seguente:
Dati EXIF
Autore / Beno
Data di scatto / 18 ottobre 2013
Ora di scatto / 10:22
Fotocamera / Pentax K5
Lunghezza focale / 18 mm
Obiettivo / TAMRON 18-250 mm Di II
Tempo di esposizione / 1/1600 s
Apertura del diaframma / f/8
ISO / 200
Recensione
Un tronco sopra il lago Palabione mi offre lo
spunto per arrampicarmi su una roccia e da lì
scattare con la tecnica dell'iperfocale. Sono a
1,35 metri esatti dalla base del tronco, ho messo
a fuoco a 2,7 m, e il sensore restituisce un'immagine tutta a fuoco. Il tronco e le fronde gialle
dei larici sono solo apparentemente il soggetto
della foto; in realtà ne rappresentano le linee di
lettura, proiettando lo sguardo dell'osservatore
verso il lago e intiepidendo con colori caldi un
quadro fatto di neve e acqua. Inoltre ho sfruttato
un ramo per schermare il riflesso del sole nel lago
che avrebbe altrimenti rovinato l'immagine.
122
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arte della fotografia
123
Rubriche
Prendiamo come esempio un obiettivo fisso
50 mm con diaframma a f/16.
Nel caso di sensore full frame avremo:
Da cui ne deduciamo che se mettiamo a fuoco
a 6 metri, avremo la sensazione che sia tutto a
fuoco da 3 metri all'infinito.
Nel caso di sensore APS-C avremo:
Da cui ne deduciamo che se mettiamo a fuoco
a 10,4 metri, avremo la sensazione che sia tutto a
fuoco da 5,2 metri all'infinito.
Difficilmente al momento dello scatto ci si
mette a fare calcoli, ma più semplicemente si
consultano tabelle come quella in formato PDF
che troviamo a quest’indirizzo:
www.lmphotography.it/iperfocale.htm
124
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Dati EXIF
Dati EXIF
Autore / Roberto Ganassa
Data di scatto / 12 luglio 2013
Ora di scatto / 13:32
Fotocamera / Canon EOS 5D
Lunghezza focale / 17 mm
Obiettivo / EF 17-40 f/4 USM
Tempo di esposizione / 1/125 s
Apertura del diaframma / f/22
ISO / 200
Autore / Vittorio Vaninetti
Data di scatto / 5 maggio 2013
Ora di scatto / 09:43
Fotocamera / Canon EOS 5D
Lunghezza focale / 21 mm
Obiettivo / Zeiss Distagon T* 2.8/21 ZE
Tempo di esposizione / 1/50 s
Apertura del diaframma / f/16
ISO / 200
Recensione
Recensione
Un rododendro in fiore nel vallone dello Scerscen
in Valmalenco è l’occasione per utilizzare la
tecnica dell’iperfocale. Mi trovo a circa 50 cm dai
fiori più vicini a me, dunque con una focale di 17
mm, sensore full frame, e chiudendo il diaframma
a f/22, la mia immagine è completamente a fuoco
dal primo piano allo sfondo. Di certo non vado
in giro con un grosso righello per misurare la
distanza giusta ma il tutto è fatto a occhio, anche
perchè se avessi scattavo alla distanza di 40 cm
invece di 50 cm tenendo sempre la messa a fuoco
sui fiori, avrei avuto un risultato buono: la teoria
dice infatti che a f/22 sbagliando del 50% la
distanza iperfocale si ha ancora uno sfocato sullo
sfondo appena percettibile.
È molto importante conoscere i periodi e i luoghi delle fioriture
se non vogliamo fare più e più volte tanti chilometri a vuoto.
Anche se il momento preciso può cambiare da un anno all’altro
a secondo delle condizioni meteorologiche, sapevo bene che
qui agli Andossi i Crocus nivea abbondano sempre appena la
neve sparisce.
Il fiore in quel giorno ha deciso di non aprirsi completamente a
causa delle temperature ancora molto fresche.
Adottando la tecnica dell’iperfocale con il mio obbiettivo 21
mm a f.16 (quando si vuole utilizzare l'iperfocale ed ottenere un buon effetto è opportuno chiudere il diaframma per
aumentare la profondità di campo), sono riuscito ad ottenere
una foto tutta a fuoco dalla distanza di 1 metro fino al lontano
monte Bardan ancora innevato.
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arte della fotografia
125
IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Recensione (a cura di Roberto Ganassa)
Il fotografo
Nonostante questo scatto non richieda particolare tecnica, abbiamo voluto
premiarlo perché si tratta di una foto di reportage che testimonia un evento
eccezionale. Non siamo infatti in pieno inverno, ma questa immagine della
val Tartano risale al 23 maggio 2013, quando un’intensa nevicata è scesa
sotto i 1000 metri di altitudine. Ad un primo sguardo la stagione non è
lampante, ma guardando con attenzione gli alberi piegati dalla neve si vede
che questi sono in veste quasi estiva. Carichi di foglie che intrappolano la
neve sulle fronde, molti di questi si sono spezzati.
L’immagine è ben inquadrata e la traccia dell’auto (linea guida) ci porta a
entrare nella foto per cercare cosa c’è dietro l’angolo.
Mi chiamo Tripiciano Luigi e abito a Campo Tartano.
Ho ormai 59 anni e sono in pensione dopo 43 anni
di lavoro come responsabile di magazzino a Milano.
Per 30 anni ho fatto tutti i giorni il pendolare da
Campo Tartano a Milano, alzandomi alle 04:50 per
prendere il treno delle 06:48 a Morbegno, per poi
tornare alla sera col treno delle 18 ed essere a casa
poco prima delle 21. Felicemente sposato, ho una
figlia di 25 anni. Sono appassionato di meteorologia,
tant'è che ho inventato un apparecchio che misura
l'altezza della neve, presentato sui giornali valtellinesi e
non, fino ad interessare la trasmissione "Ciao Darwin"
condotta da Paolo Bonolis.
Da qualche anno pratico la fotografia a livello
amatoriale, hobby agevolato dall'abitare in un posto
già di per sé molto panoramico.
Fotocamera Lunghezza focale Tempo di esposizione Apertura del diaframma ISO Olympus C750
13mm
1/125 s
f. 3.2
50
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
· una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo",
i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
Una delle sue foto verrà pubblicata con recensione e scheda di presentazione del fotografo. Premio: abbonamento annuale alla rivista.
· una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate all'indirizzo email
[email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Dolomiti - CAI Sondalo e CAI Valmalenco salutano dalla cima del monte Paterno, presso le rinomate Tre Cime di Lavaredo (8 settembre 2013).
Valmalenco - Robi e Lori di Caspoggio sul pizzo Scalino
(4 settembre 2013).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Orobie - Max e Olga in vetta al monte Cadelle in val Lunga
(26 settembre 2013).
Le foto dei lettori
127
LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Le foto dei lettori
Val Màsino Matteo Bonelli in solitaria sulla vetta del
Badile (21 settembre 2013).
Spagna - Il GVV a Cabo Ortegal, sulla costa
nord-occidentale della Galizia (21 agosto 2013).
Orobie - Pazzoidi si arrampicano
sulla croce del Meriggio: Claudio
e Tony (busàc), Paolo di Vercelli e
Brix di Roma (17 agosto 2013).
Islanda - Paolo, Matteo e Carlo alle pendici del ghiacciaio Kverkfjoll
(12 agosto 2013).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Milano Marittima - Le due sezioni di quinta della Scuola Primaria "A. Vido" di Tirano e la classe quinta della Scuola Primaria "C. Minerva" di Villa di
Tirano durante l'indimenticabile "settimana blu" trascorsa al mare con i loro insegnanti (22 settembre 2013).
Val Màsino - Sara, Simone, Flann e Yun: anche i quattrozampe
leggono "Le Montagne Divertenti"! (20 ottobre 2013).
Val Màsino - Renzo Guerra al bivacco Rusconi sotto la vetta del
pizzo Badile (7 agosto 2013).
Orobie - Gli amici e il gruppo di ViviOrobie in val Tartano (7 luglio 2013).
Primavera 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco - Franca, Lucio e i loro amici davanti al caratteristico rifugio
Alpini all'alpe Lagazzuolo (17 ottobre 2013).
Le foto dei lettori
129
LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Le foto dei lettori
Valmalenco - Mauro, Giulia, Silvia ed Elisa di
Montagna sul pizzo Scalino (4 settembre 2013).
Sardegna - Il nutrito gruppo dei Country For Fun lancia tripudiosi saluti dalla grande isola
(31 agosto 2013).
Valmalenco - Stefano, Barbara e Laura in vetta al
monte delle Forbici (25 settembre 2013).
Toscana - Famiglia Bergomi e famiglia Parolini di Lanzada baciati dal sole dell'antica
Etruria con "Le Montagne Divertenti" (7 settembre 2013).
Birmania - Luciano Bruseghini mostra
"Le Montagne Divertenti" a un ragazzo birmano
(19 ottobre 2013).
Birmania - Con "Le Montagne Divertenti" a piedi nudi davanti alla Shwedagon Paya
(16 ottobre 2013).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Engadina - Fabrizio, Pio, Giovanna, Letizia al Corvatsh, nel
cuore del Bernina (18 agosto 2013).
Ticino - Mr Plajibo: stagione estiva da vachè a Bosco Gurin, in Vallemaggia
(13 settembre 2013).
Germania - Gianfranco e Pierangela mandano i loro saluti da
Dresda (30 novembre 2013).
Merano - Elena, Beppe, Caterina, Marco, Laura e le piccole Beatrice e Alice ai
tradizionali mercatini natalizi e alla rivista (2 dicembre 2013).
Valchiavenna - Ivo, Donata, Diego, Manuela, Isaia, Lisa, Matilde, Mario, Nella, Elena, Stefania, Mara, Stefano, Letizia, Maria, Loris, Nadia e Maria
festeggiano il 40° compleanno di Ivo Oreggioni con la loro rivista preferita (settembre 2013).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
131
LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Ponchiera - Gli atleti della Polisportiva di Albosaggia
guidati da Beno nella staffetta Montagna-Ponchiera
in occasione dell'inaugurazione della via dei
terrazzamenti (26 ottobre 2013).
Le foto dei lettori
Valmalenco - Giorgio e Alessandro sulla vetta del
pizzo Palù (11 luglio 2013).
Isola d'Elba - Omar e Nicole sulla spiaggia di Cavoli
(29 luglio 2011).
Valmalenco - Marco, Francesco, Catia, Pietro,
Monica, Cesare, Caterina, Marco, Rossana, Stefano e
Cecilia nei pressi del lago d'Arcoglio, con il magnifico
sfondo dei "giganti" malenchi (10 agosto 2013).
Dolomiti - Il CAI di Chiavenna con "Le Montagne
Divertenti" in val di Fassa (10 settembre 2013).
Germania - Giorgio, Niccolò, Stefano e Matteo
all'Oktoberfest di Monaco (29 settembre 2013).
132
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014
Valmalenco - Alberto, Barbara e il nonno
Umberto Tenzing Busi ai piedi della croce sul
pizzo Scalino (16 agosto 2013)..
Dolomiti - Andre, Betty e Corra portano "Le
Montagne Divertenti" a scarpinare sui percorsi
di guerra del monte Lagazuoi, in Alto Adige
(22 settembre 2013).
Cuba - Cristian, Yanet, Leidys, Beppe, Miriela, Yaciel, Yamile,
Paola, Sabrina e Melanis a L'Havana (27 novembre 2013).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Grecia - Mauro e Cristina davanti all'Acropoli
di Atene durante la loro vacanza alle isole
greche (17 ottobre 2013).
Svizzera - Da Kleine Sheidegg, sua maestà l'Eiger! Con Dario e Isabella
(29 aprile 2013).
Le foto dei lettori
133
LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Isole Canarie - Due signori di Caspoggio
portano al mare
"Le Montagne Divertenti".
Le foto dei lettori
Hong Kong - Dario e Cristina davanti al
colosso di quasi 500 metri durante la loro
recente partecipazione alla "Vertical race"
sul grattacielo ICC100 (30 novembre 2013).
Isole Canarie - Roberta e Albina prima del safari sulle dune di Maspalomas sull'isola della
Gran Canaria (10 novembre 2013).
Austria - Luca, Gioele, Michele, Luca, Valter, Danilo, Jacopo e Piero nel viaggio su due ruote
dallo Stelvio a Vienna, qui in sosta davanti al carcere di Mauthausen (17 luglio 2013).
134
LE MONTAGNE DIVERTENTI Egitto - Luca Magini porta Le Montagne Divertenti
al Cairo (16 settembre 2009).
Orobie - Roberto Guerra volge le spalle alle
imponenti cascate del Serio (23 giugno 2013).
Valmalenco - Marco e Ciago verso il passo degli
Ometti. Ciago era a un tiro dall'obiettivo, ma ha
dovuto rinunciarne la conquista per il freddo
(4 settembre 2013).
Primavera 2014
Namibia - Quelli del gruppo bancario Crevalcir posano per scatti "very hot" sulle dune del deserto del Namib (21 ottobre 2013).
Alta Valtellina - Enzo, Marco, Chiara, Milena e la mascotte a
quattro zampe Guidino al passo di val Viola (24 settembre 2012).
Lourdes - Roberta, Valentina e Katja con il vescovo di Bratislava
(28 settembre 2013).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lourdes - Le bikers Katja, Valentina, Clara, Daniela e Roberta, insieme a
Remo, Alberto, Fabrizio, Ugo ed Alex dello staff in occasione della scorsa
edizione della Santiago in Rosa (28 settembre 2013).
Le foto dei lettori
135
Rubriche
soluzioni del n.27
Vincitori e
Giochi
vinti
A
B
C
D
Öt tusegàm?
La bacca non commestibile è la B: Phytolacca americana. Le
altre bacche sono:
A- le bacche degli “spacasass”, ovvero del bagolaro: si mangiano
e sono dolciastre;
C- sono i mirtilli (e spero li conoscano tutti);
D- è l’uva e, se non troppo trattata, è commestibilissima!
I vincitori, tutti racchiusi in un secondo, sono:
1- Sergio Proh di Mossini
2- Gianpiero Barola di ValMàsino
3- Simone Nonini di Sorico
El ciüsè olt
Considerando
4- Giuliano Curtoni di Cosio
5- Federica Lavelli di Cisano Bergamasco
Hanno inoltre indovinato: Luca Gottifredi, Ivan Andreoli, Luca
Draghi, Giuly Pedroli, Mario, Paolo Gorla, Marilisa Selvetti,
Adriano Maffi, Johny, Marco Fanchetti, Federica Sassella,
Giorgio, Enzo Pini, Irene Colombo, Egle di Torre, Vittorio,
Marioberto, Simone, Luca, Martino, Serena, Aure, Liana
Nobili, Franchino, Antonio Onesti, Silvana, Bruna Sarotti,
Alessia, Michele Battoraro, Roberto Carna, Stefano.
che la vetta del monte Legnone è nascosta delle nubi, qual'è la
cima più alta visibile in questa fotografia scattata dalle pendici della corna
di Mara? Il più veloce dalle ore 21:00 del 5 aprile 2014 riceverà uno zaino
tecnico personalizzato Le Montagne Divertenti, il secondo un paio di bastoncini telescopici Skitrab. Il 3° classificato avrà un abbonamento annuale a Le
Montagne Divertenti, il 4° e il 5° una berretta Skitrab.
Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
Ma ch'el?
Ma ch'el?
L’oggetto misterioso, parte della collezione di Angelo Parolo, è una
foratrice per il legno che, a seconda dei paesi prende il nome di:
trivèla, talàdro, tenevèla, ürùbio, gròbul, tràpen, veròbi, vedrùggio …
Serve per praticare fori nel legno, anche in travi squadrate come
la preséf dove vengono legate le mucche.
Cos'è e a cosa serve?
Il più veloce dalle ore 21:00 del 3 aprile
2014 riceverà uno zaino tecnico personalizzato Le Montagne Divertenti, il secondo
un paio di bastoncini telescopici Skitrab. Il
3° classificato avrà un abbonamento annuale
a Le Montagne Divertenti, il 4° e il 5° una
berretta Skitrab.
Scrivi la tua risposta su
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
I vincitori, tutti racchiusi in meno di un secondo, sono:
1- Aurelio Besseghini di Grosio
2- Simone Nonini di Sorico
3- Marioberto
4- Mario
5- Irene
Hanno inoltre indovinato: Ivan Andreoli, Martinozza, Luca,
Giuliano, Marianna (e fin qui han risposto tutti alle 21:00.00!),
Alessia Besseghini, Marilisa Selvetti, Sergio Proh, Vittorio,
Andrea di Mondadizza, Federica Sassella, Sandro Passini, Marco
Fanchetti (e fin qui entro le 21:00.01!), Bruna Sarotti, Luana,
136
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cinzia Giordani, Antonietta Parolo, Mauro, Fabio, Stefano,
Giorgio Enzo Pini, Sofia De Bernardi, Adriano Maffi, Guglielmo
Salvetti, Stefano R, Sutti Silvio, Angelo Libera, Alessia, Sonia,
Liana Nobili, Fermo, Stefano Foiadelli, Martino Dei Cas,
Silvana, Ilario Rampoldi, Nicola, Francesco, Alex, Gabriella,
Johny, Giovanni Nesa, Serena, Martino, Bonelli Luigi, Michele,
Maria Gusmeroli, Danilo Pasini.
Primavera 2014
abbiamo posticipato le date dei concorsi per permettere agli abbonati, vittime dei disservizi postali, di
partecipare ai giochi.
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
137
Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Ricette
coi fiori di robinia
Beno
In primavera fiorisce la robinia (o acacia), colorando di bianco i versanti e profumando i sentieri.
Per queste ricette occorrono fiori coi petali ancora carnosi e trovarli non è certo difficile. Quando alle basse
quote questi finiscono, basta alzarsi un po' per incontrare le nuove fioriture (la pianta prolifica fino oltre i m
1000). Evitate di lavare i fiori, se no perdono il profumo e i petali: perciò coglieteli in zone non polverose.
I fiori sono lunghi circa 2 cm e simili a quelli dei piselli, sono riuniti in grappoli pendenti e facili da cogliere se ci
si munisce di una forbice: basta stare attenti alle spine della pianta e ai pungiglioni di api e vespe che van ghiotte
del polline.
Risotto di robinia
Ingredienti per 3 persone:
• 6 pugni di riso
• brodo di carne (1 litro)
• 1 cipolla
• qualche manciata di fiori di robinia
• un bicchiere di vino bianco
Tritate la cipolla e fatela soffriggere con olio e burro,
quindi unite i fiori di robinia privi del picciolo. Quando
sono appassiti, unite il riso e fate tostare. Sfumate con il
vino bianco e unite pian piano il brodo mescolando con
attenzione fino a far cuocere il risotto.
Fiori di robinia fritti
•
•
•
•
•
•
fiori di robinia appena colti
farina tipo 0
birra
acqua
olio di semi di girasole
sale
Fare la pastella è la cosa più delicata.
Iniziate con un etto di farina in un recipiente e versate
1/3 di bicchiere di birra e acqua (q.b.), mescolando fino
a ottenere una pastella fluida, densa, ma non eccessivamente (in questo occorre farci l'occhio).
Immergete il fiore nella pastella, quindi nell'olio
bollente muovendolo leggermente; così i fiori non si
incollano l'un l'altro e non si forma un blocco unico. Fate
cuocere bene girando i fiori di tanto in tanto, poi scolateli con una schiumarola a rete larga e adagiateli su carta
assorbente. Salate a piacere e servite.
Data la quantità di fiori nei boschi e la bontà della frittura, è facile fare indigestione!
138
LE MONTAGNE DIVERTENTI Fioritura di robinia in val Venina (22 maggio 2011, foto G. Meneghello).
Primavera 2014
Affido a questa pietra il mio ricordo.
Su questi monti che furon la mia culla,
pellegrinai.
Poi il mondo.
E ritornai a trovar la pace che lasciai.
Da umile pastore quassù vissi.
In questa quiete e nel suo dolce incanto.
E a perenne memoria su questa pietra scrissi
per i futuri nepoti il mio rimpianto.
Busti Luigi, 1895
LE MONTAGNE DIVERTENTI 141