Laboratorio “Vapore, lavoro, energia”
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Laboratorio “Vapore, lavoro, energia”
Classe quarta B a.s. 2011/12 Laboratorio “Vapore, lavoro, energia” Svolto presso la “Fondazione Scienza e tecnica” di Firenze Un esempio di macchina a vapore che tutti noi usiamo quotidianamente è la caffettiera moka. Anche se è un oggetto conosciuto da tutti, non tutti sanno come funziona:come fa il caffè ad uscire dal tubicino? Riempiamo la parte A di acqua e poi nella parte B viene messo il caffè che uscirà poi diluito nell’acqua nella parte C. Quando l’acqua viene scaldata produce vapore, che essendo costretto dentro la parte A all’aumentare della temperatura aumenta la sua pressione (trasformazione isovolumica): se per esempio la temperatura del vapore è 120° C la pressione esercitata è di circa 1,5 atm e così l’acqua, per effetto della pressione esercitata su di essa dal vapore, sale nel tubicino sciogliendo la polvere di caffè della parte B e fuoriuscendo dalla parte C. Si tratta di una vera e propria “macchina a vapore” perché è un congegno che fa lavoro dal momento che sposta dell’acqua. Storia delle macchine a vapore Intorno all’inizio del 1700 in Inghilterra si ha la prima rivoluzione industriale e si incrementò anche lo sviluppo dell’estrazione di materie prime, come il carbone. Venivano investiti molti capitali sulle miniere ma molto spesso si doveva far fronte al problema dell’allagamento. La macchina a vapore di Thomas Savery Per risolvere questo problema Thomas Savery nel 1693 ideò una macchina a vapore per pompare acqua dalle miniere e spingerla in superficie. L’acqua contenuta nella caldaia si scalda, creando così vapore. Il processo inizia chiudendo le valvole D e C e aprendo le valvole B e A, in questo modo il vapore prodotto va verso il cilindro; a questo punto la pressione del vapore spinge l’acqua del cilindro verso l’alto. Vengono chiuse le valvole A e B e si aprono la D e la C attraverso la quale viene versato l’acqua fredda in grado di far ricondensare il vapore; il vapore all’interno del cilindro crea una depressione in grado di far salire l’acqua dalla miniera all’interno di sé, e così via. Esperienza Proviamo a far risalire l’acqua per effetto di una depressione come nella macchina di Savery. Versiamo dell’acqua bollente dentro ad un’ampolla di vetro, togliamola e chiudiamola velocemente (in modo che rimanga del vapore intrappolato) con un tappo in cui è inserito un capillare. Rovesciamo l’ampolla facendo pescare il capillare in una bacinella contenente acqua colorata. Pian piano che il vapore contenuto nell’ampolla, a contatto con l’ambiente, si raffredda diminuisce la sua pressione e si crea così una depressione che fa risalire l’acqua colorata della bacinella nel tubicino fin dentro l’ampolla. La macchina a vapore di Thomas Newcomen Il problema principale della macchina di Savery era l’impossibilità di aspirare acqua da profondità troppo elevate. Fu Thomas Newcomen che nel 1712 ideò la prima macchina con cilindro e pistone collegato ad una sorta di bilanciere a cui si poteva appendere, tramite una corda, il carico (per esempio un recipiente pieno d’acqua): si poteva così arrivare alla profondità desiderata (bastava infatti allungare la corda). La macchina a vapore di James Watt James Watt, eccellente tecnico dell’Università di Glasgow , nel 1769, lavorando ad un modello della macchina di Newcomen, la modificò introducendo il condensatore (mentre prima il vapore veniva condensato nel cilindro). Inoltre riuscì a trasformare il movimento verticale del braccio, in movimento circolare (parallelogramma di Watt). Il “condensatore separato” che rappresentò un tappa fondamentale nell’evoluzione della macchina a vapore. Con questo accorgimento il vapore non veniva più condensato nel cilindro in cui si muoveva il pistone ma in un condensatore separato da esso. In tal modo era possibile mantenere il cilindro sempre caldo (con un buon isolamento termico) e il condensatore sempre freddo. Così l’efficienza della macchina veniva notevolmente incrementata e il consumo di combustibile diminuiva. Spunti per un approfondimento Con la macchina a vapore di Watt inizia la rivoluzione industriale. Le macchine a vapore furono impiegate nell’industria tessile, metallurgica, agricola. L’invenzione di nuove macchine tessili capaci di incrementare enormemente la produzione di filati e di tessuti portò alla creazione di grandi complessi tessili quasi completamente meccanizzati. Con lo sviluppo delle nuove invenzioni nascevano le grandi fabbriche per la tessitura e la filatura, fonderie e ferriere le cui dimensioni non avevano nulla a che vedere con quanto esisteva in precedenza. I battelli a vapore si svilupparono molto su fiumi e laghi ma la competizione fra navi a vela e navi a vapore si protrasse a lungo. Il Clermont, battello a vapore di Robert Fulton nel 1807 Celeberrime furono le prime locomotive di George Stephenson (1781 – 1848) che, con il figlio Robert (1803 – 1859), costruì alcune celebri macchine che, come il Rocket, avevano alcune caratteristiche profondamente innovative: per esempio la caldaia multi-tubolare. Le locomotive di Stephenson circolarono sulla linea ferroviaria Stockton-Darlington di 40 chilometri inaugurata nel 1825. L’esibizione pubblica della locomotiva “Catch me if you can”di Trevithick (1808) Il Il Rocket di Stephenson (1829) In Italia la prima linea - la Napoli-Portici - di circa 7 chilometri venne inaugurata nel 1839 e verso la fine degli anni ’80 dell’Ottocento si contavano in Italia oltre 10.000 chilometri di binari. Negli Stati Uniti il ruolo del vapore nella conquista del West fu fondamentale e dalle 40 miglia di strada ferrata del 1830 si passò alle oltre 160.000 miglia nel 1890! Tipica locomotiva americana della seconda metà del 1875 circa Cominciano gli studi teorici sul calore: si pensava al calore come ad un “fluido calorico”, ma Thompson osservando il calore prodotto nell’alesatura dei cannoni (smussare la bocca del cannone) cominciò a collegare il calore al movimento. Sadi Carnot (1796-1832) studiò lo schema di macchina termica per aumentarne il rendimento e superare così il divario tra Francia e Inghilterra. Con l’esperimento del mulinello di Joule si determinò l’equivalente in joule di 1 caloria.