PALLAGRELLO BIANCO, NERO E CASAVECCHIA LA “TRIS

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PALLAGRELLO BIANCO, NERO E CASAVECCHIA LA “TRIS
>> RUBRICHE / SCHEDA AZIENDALE
PALLAGRELLO BIANCO, NERO E CASAVECCHIA
LA “TRIS” VINCENTE DI TERRE DEL PRINCIPE
Riscoprire e valorizzare i tre vitigni autoctoni del casertano. Una scommessa che ha fatto
cambiare a Peppe Mancini e Manuela Piancastelli prima il lavoro e poi la vita
di Giuseppe Francesco Spèortelli
F
>> Vigneti a spalliera dell’azienda “Terre del
orse a nessuno mai la vite e il vino
Pallagrello nero e il Casavecchia. E perciò
hanno cambiato la vita e il destino
nessuna azienda vitivinicola è limpido
come a Peppe Mancini e a sua mo­
specchio, non solo di passione per la terra,
glie Manuela Piancastelli, ma sicuramente
ma soprattutto di innovazione tecnica e ri­
nessuno ha mutato radicalmente la storia
volgimento dell’animo come “Terre del
di tre vitigni autoctoni come hanno voluto e
Principe” di Squille, frazione di Castel
giunta alla fine degli anni ’80 delle tre
saputo fare essi con il Pallagrello bianco, il
Campagnano, sulle colline a nord­est di
varietà dimenticate è stata la casuale ma
Caserta. Lui av­
giusta chiave prima per conoscersi e poi per
vocato, lei gior­
reciprocamente aprirsi i cuori a un’imprevi­
nalista,
non
sta vicenda d’amore. «Che il vino esalti i
hanno soltanto
sensi e li apra più facilmente alla confiden­
rinunciato
L’identikit dell’azienda
Nome: Terre del Principe società agricola a r.l.
Indirizzo: Via Santi Giovanni e Paolo, n. 30
81010 Squille, frazione di Castel Campagnano (Ce)
Tel.: 0823­867126
E­mail: info@terre del principe.com
Sito web: www.terredelprincipe.com
Superficie a vigneto: 11 ha
Fatturato: 350.000 €
Bottiglie prodotte nel 2009: 55.000
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Principe” allevati a guyot: in primo piano
Casavecchia del 2005, in secondo piano, a
sinistra, Pallagrello nero del 1999, a destra
Casavecchia del 1999, sullo sfondo il massiccio
del Taburno.
alle
za e all’amore è noto, che la congiunzione
profes­
di due sentimenti sia il viatico per arrivare a
sioni per il vi­
produrre vino di alta qualità è sicuramente
gneto e la canti­
più raro, ma noi ci stiamo provando con
na:
avviate
la
nuova
impegno e il successo dei nostri vini testi­
l’hanno
monia non solo la bontà dei tre vitigni, ma
intrapresa insie­
anche l’autenticità del nostro legame ­ sor­
me, e per sem­
ride Manuela ­ . Come ogni innovazione e
pre, perché la ri­
ogni storia d’amore anche queste sono ger­
scoperta
mogliate per caso, ma è meglio che ne parli
strada
con­
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Cambia il colore della bacca, ma la varietà è sempre la stessa
Il Pallagrello nero e il Pallagrello bianco, spiega Peppe Mancini,
sono varietà arrivate dal Molise (ne esistono tracce a Roccasec­
ca), lungo il corso del fiume Volturno, in Campania, dove si sono
acclimatate. Il loro nome deriva da “pallarella”, piccola palla,
perché ha acini piccoli e tondi, perfettamente sferici. «Il Dna dei
due vitigni è identico. In pratica Pallagrello è una delle poche
varietà italiane a bacca bianca e a bacca nera. Le differenze sono
poche. Il Pallagrello nero ha grappoli più grossi e acini con
buccia più spessa, e si vendemmia a fine ottobre, il Pallagrello
bianco ha grappoli più piccoli e acini con buccia più sottile, si
vendemmia a inizio settembre. Dalla nostra ricerca storica è
emerso che del Pallagrello si trova traccia in dizionari geografici
e testi agricoli di fine 1600 e del 1700. Ma fu Ferdinando IV di
Borbone, appassionato di innovazioni agronomiche e tecniche, a
dargli un particolare rilievo: alle spalle della Reggia di Caserta
fece realizzare la “Vigna del Ventaglio”, distinta in dieci sezioni,
ciascuna delle quali rappresentava una varietà di vite coltivata
nel Regno delle Due Sicilie. Pallagrello nero e Pallagrello bianco
erano le uniche varietà campane là rappresentate. Allora veniva­
no chiamate Piedimonte rosso e Piedimonte bianco, prendevano
il nome dalla località di Piedimonte (Matese) dove venivano
coltivate. Di queste varietà e dei loro vini, gli unici della Campa­
nia che si servivano a corte con i vini francesi, con l’Unità d’Italia
quasi non è rimasta traccia. Tuttavia a fine 1800 ne scrive
Giuseppe Frojo, il più importante ampelografo italiano vissuto
fra il XIX e il XX secolo. Solo alcuni contadini ne avevano conser­
vato, per se stessi, la memoria storica e la coltivazione, anche
negli anni ’50 e oltre del secolo corso, quando la viticoltura
casertana è cambiata con l’introduzione di nuove varietà e la
realizzazione di nuovi impianti».
l G.F.S.
Peppe, è suo il merito di aver posto la prima
ceppi in una vigna di 150 anni di mia zia, a
pietra di tutto quello che in 20 anni abbia­
Castel di Sasso. Da essi ho prelevato le prime
mo costruito!».
marze per realizzare il piccolo vigneto. Mi davo
da fare per gioco, non pensavo di produrre un
>> Manuela Piancastelli e Peppe Mancini.
Dalle micro alle
macrovinificazioni
giorno vino da vendere. Anzi appurai subito
Peppe Mancini ripensa ai lontani ultimi anni
ne, perché quelle tre varietà non facevano par­
’80, quando da avvocato superimpegnato
te del Catalogo nazionale delle uve da vino. In
comprò una casetta di campagna con un po’ di
provincia di Caserta era coltivabile qualsiasi
terra, in agro di Caiazzo, per trascorrervi la fine
vitigno, anche estraneo alla cultura enologica
della settimana. «Pensai di impiantare una
del territorio, ma quei tre vitigni, i più antichi e
vignarella per produrmi il vino in casa. Ricor­
tradizionali, legati alle piccole aziende conta­
davo che quand’ero bambino i contadini porta­
dine, non erano mai stati presi in considerazio­
vano a mio nonno, proprietario terriero, vino
ne. Iniziai allora un certosino lavoro di enoar­
prodotto con uve di vitigni locali. Andai alla
cheologia: cinque anni di ricerche ampelogra­
ricerca di quelle varietà fra i contadini del po­
fiche e genetiche e di microvinificazioni delle
sto, e, dopo lungo cercare, ne ritrovai alcuni
uve aziendali compiute insieme col professor
che vino, pure solo per me, non potevo produr­
Luigi Moio della Facoltà di Agraria dell’Univer­
Fornitori ufficiali dei Vivai Rauscedo
sità di Napoli Federico II, che è attualmente il
nostro enologo, e con la Regione Campania.
Ogni anno portavo due quintali di uve di ogni
Oltre che produttrice di vino, la “Terre del Principe” è fornitrice ufficiale del materiale di
riproduzione dei tre vitigni ai Vivai Rauscedo, che certificano la garanzia della varietà e
della sanità fitosanitaria delle barbatelle vendute. «Durante la potatura vengono da
Pordenone squadre di tecnici che prelevano le marze dalle piante da essi selezionate e
tenute sotto controllo fitosanitario ­ afferma Mancini ­ . Preciso che, pur eseguendo
numerosi test fitosanitari per individuare viti sane, le hanno trovate tutte sanissime, esenti
da ogni malattia. Noi intanto lavoriamo a valutare l’eventuale presenza di cloni diversi per
scegliere, dopo le microvinificazioni, i migliori».
l
varietà al centro di microvinificazione del­
l’Università, presso la scuola agraria ‘De Sanc­
tis’ di Avellino. Poi dalle microvinificazioni sia­
mo passati a vinificazioni più cospicue».
Dalle analisi del Dna e dal confronto con
quello di altre uve, nazionali e internaziona­
li, è scaturito che quelle varietà sono diffe­
renti da altre uve e quindi effettivamente
autoctone. Poi dalle microvinificazioni è
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>> 3. Ceppo di Casavecchia, vitigno caratterizzato
emerso che possono produrre vini di qualità,
conforto sia delle istituzioni sia della Igt “Ter­
equilibrati e con ottime prospettive di longe­
re del Volturno” al cui interno adesso rientra­
vità, grazie al buon contenuto in polifenoli,
no. Per volontà della Regione queste tre va­
tannini e antociani e al profilo sensoriale,
rietà sono attualmente coltivabili solo in 11
da grappoli spargoli e quindi molto sani. Anche
i vitigni Pallagrello nero e Pallagrello bianco
sono molto sani.
>> 4. Ceppo di Pallagrello nero.
importante e piacevole.
Comuni del Casertano, in un piccolissimo
>> 5. Pallagrello bianco allevato a guyot.
areale di medie colline dai 250 ai 350 metri
L’influenza del vulcano spento
s.l.m, un altopiano compreso fra i massicci
Galeotta fu l’intervista
«Questi parametri oggettivi e scientifici han­
del Matese e del Taburno. I terreni, prossimi
All’inizio questo percorso Mancini l’ha com­
no avvalorato le nostre valutazioni empiriche.
al vulcano spento di Roccamorfina, sono di
piuto da solo, poi insieme con un’inattesa
La Regione Campania, dopo aver finanziato le
medio impasto, ricchi di cenere vulcanica,
“compagna di avventura”, Manuela, che da
ricerche dell’Università, inserendole in un
sabbia e scheletro, ma contengono anche ar­
giornalista del “Mattino” di Napoli si era in­
progetto più ampio sui vitigni autoctoni, si è
gilla e limo. Il microclima è particolare per­
curiosita ed era venuta a intervistare quel­
attivata per proporre al Mipaf il reinserimento
ché la vicina presenza delle montagne con­
l’originale personaggio capace di ripescare
di queste tre varietà nel Catalogo nazionale,
sente una ventilazione costante e una buona
dall’oblio tre vitigni abbandonati e produrre
obiettivo raggiunto nel 2001, dopo anni di
escursione termica fra la notte e il dì, anche
le prime 700 bottiglie. «Fui conquistata dal­
duro lavoro. Prima producevo i vini “clande­
di 10°C in estate, che favorisce la maturazio­
la incredibile impresa e dal suo autore e a
stinamente”, da allora ho potuto farlo col
ne e la conservazione dei profumi».
prova della serietà delle mie intenzioni ac­
quistai subito 3 ha a Castel Campagnano per
L’ipotesi dell’origine sannita
coltivarci le tre varietà. La vigna Piancastelli
è diventata il campo madre di questi vitigni,
dopo abbiamo comprato altri 8 ha, distinti in
Il Casavecchia è un’uva solo a bacca rossa. A vederla, con un grappolo centrale grande e
attorno tanti grappolini molto spargoli, non sembra adatto per la vinificazione, osserva
Manuela Piancastelli, ma è un’uva sana ed eccellente, che si vendemmia a inizio
ottobre. «La storia del Casavecchia è più misteriosa, di questo vitigno non si parla mai. È
originario di Pontelatone, dove ai primi del ’900 fu trovata una vecchissima vite presso
una vecchia casa, da cui il nome Casavecchia. Dalle nostre ricerche abbiamo ipotizzato
che questa sia l’uva di un vino famoso citato da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia,
il Trebulanum, perché l’attuale Pontelatone si chiamava “Trebula balinensis” ed era
una vecchia colonia prima sannita e poi romana».
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vigna Monticelli (7 ha) e vigna Masciani (1
ha). Nel 2003 abbiamo costituito l’azienda
“Terre del Principe società agricola a r.l.”. La
vigna Piancastelli è composta da impianti
vecchi con densità di 3.500 ceppi/ha: le tre
varietà vengono allevate a semipergola caser­
tana, tipo un doppio guyot alto; gli impianti
nuovi delle altre due vigne sono stati realiz­
zati tutti a spalliera allevata a guyot con
5.000 ceppi/ha».
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>> 6. La cantina aziendale.
Le produzioni
hanno vinto molti premi. I “3 bicchieri” del
La potenzialità massima dell’azienda è di 80­
Gambero Rosso, nel 2009 Ambruco, i “5
90mila bottiglie e «non intendiamo crescere
grappoli” dell’Associazione italiana somme­
di più: vogliamo mantenere il controllo della
lier nel 2010 Centomoggia, e altri ancora.
qualità, dal vigneto, producendo non più di
Inoltre i nostri vini hanno ricevuto ottimi giu­
1,2­1,5 kg di uva per ceppo, al bicchiere pie­
dizi da Robert Parker, la cui guida, Wine Advo­
questi risultati sono fonte di grande orgoglio».
no ­ assicura Manuela ­ . Produciamo sette
cate, è la più prestigiosa e famosa al mondo
Lunga è la strada finora percorsa a partire
vini: i bianchi Fontanavigna (Pallagrello bian­
per quanto concerne il vino. Premi e giudizi
dalle vecchie piante prefillosseriche della vi­
co 100%) e Le Sèrole (Pallagrello bianco
fanno conoscere e apprezzare molto all’este­
gnarella di Peppe, ma i “genitori” del Palla­
100% affinato in barrique), il rosato Roseto
ro, in più molti importatori sono particolar­
grello bianco, del Pallagrello nero e del Casa­
del Volturno, da uve di Pallagrello nero e Casa­
mente attenti alla ricerca di produzioni di qua­
vecchia non hanno alcuna intenzione di fer­
vecchia, i rossi Casamoggia (da Casavecchia
lità. I nostri vitigni autoctoni rendono origina­
marsi. Infatti, sottolinea Mancini, «da quasi
in purezza), Ambruco (da Pallagrello nero in
le
per
due anni abbiamo aperto in azienda un pic­
purezza), Castello delle Femmine (Pallagrello
fronteggiare adeguatamente la crisi dei con­
colo bed & wine che riceve numerose richie­
nero 50% e Casavecchia 50%) e il cru Vigna
sumi, stanchi dei soliti vini? Ora siamo cono­
ste da italiani e stranieri appassionati di eno­
Piancastelli (Pallagrello nero 70% e Casavec­
sciuti in gran parte del mondo, in più oggi una
turismo, di vino e di queste belle contrade.
chia 30%). E li commercializziamo esclusiva­
decina di aziende, su circa 100 ettari, coltiva­
Agli ospiti offriamo una ristorazione sempli­
mente a ristoranti ed enoteche di alto livello,
no le tre varietà. Per noi, che ci sentiamo i
ce, ma unica, in cui abbiniamo i nostri vini ai
per il 45% in Campania, il 25% nel Centro­
“genitori” di queste tre
Nord Italia, il 30% in Usa, Messico, Belgio,
varietà
Svizzera, Norvegia e Giappone. Questi vini
toctone,
l’offerta.
Quale
au­
modo
migliore
7. e l’attuale piccola bottaia. Una struttura più
ampia, scavata nella roccia e acquistata nel
centro di Castel Campagnano, sta per essere
allestita per una maggiore capacità di
affinamento.
prodotti di eccellenza del territorio.
Infine da qualche mese abbia­
mo acquistato nel centro di
Castel Campagnano un’anti­
ca cantina sotterranea che
risale al nono secolo dopo
Cristo, tutta scalpellata a
mano, coeva del vecchio
Castello longobardo. Es­
sa, a 10 metri sotto il pia­
no stradale, accoglierà la
bottaia. È un non casuale
ritorno all’antico, alle ra­
dici, perché i vini di vec­
chi vitigni hanno bisogno
di
>> Bottiglie di Pallagrello bianco degli anni ’20 del XX secolo.
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>> I sette vini attualmente prodotti dall’azienda “Terre del Principe”.
vecchie
cantine».
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