Sociologia della partecipazione e transformazioni del lavoro in Francia

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Sociologia della partecipazione e transformazioni del lavoro in Francia
Sociologia della partecipazione
e transformazioni del lavoro in
Francia.
LAVILLE Jean-Louis (1998). « Sociologia della partecipazione e transformazioni del lavoro
in Francia », Sociologia del lavoro, n. 68, pp. 47-74.
http://www.jeanlouislaville.net
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Sociologia della partecipazione
e trasformazioni del lavoro in Francia
di Jean-Louis Laville*
Fino alla metà degli anni '70 il periodo di espansione corrispose,
nei paesi industrializzati, ad una eccezionale sinergia Stato-Mercato,
ottenuta grazie ad un sistema di macro-regolazioni definito a livello
nazionale. I forti guadagni di produttività erano destinati in seno alle
imprese ad abbassare la durata del lavoro, alla creazione di nuovo
lavoro e ad un aumento regolare del salario medio diffuso a partire
dai settori più sindacalizzati. L'indicizzazione dei prezzi e dei salari
era il risultato del perfezionamento dei meccanismi centralizzati di
negoziazione collettiva fra imprenditori e sindacati. Si alimentava
dunque l'aumento della domanda interna orientata verso beni di
consumo di massa che sosteneva così il movimento di modernizzazione dell'apparato produttivo. Nel contempo un'altra parte dei guadagni di produttività era destinata alla redistribuzione mediante dispositivi che combinavano azioni dello Stato e concertazioni fra i
partner sociali organizzati sotto la tutela dello Stato stesso.
Detto altrimenti, nel quadro del fordismo, lo sviluppo della partecipazione rappresentativa di salariati e consumatori aveva come contropartita l'assenza di qualsivoglia riconoscimento ufficiale della
partecipazione diretta da parte di essi.
In Francia, come negli altri paesi, i cambiamenti culturali, tecnologici e di mercato intervenuti agli inizi degli anni '80 hanno forte-
* I1 testo presenta alcuni elementi di riflessione formulati a partire da ricerche i
cui risultati sono stati presentati in: Laville J-L., La participation dans les entreprises en Europe, Vuibert, Paris, 1992; si veda anche: "Eléments pour une sociologie
de la participation dans I'entreprise en France", in Cahiers de recerche sociologique, n, 18-19, 1992 et: "Participation des salariés et travail productif", in Sociologie
du Travail, n. 1/93.
mente messo in discussione questo compromesso, fra l'altro mediante il riconoscimento della partecipazione diretta dei lavoratori
nell'ambito delle imprese.
Dieci anni dopo quale bilancio possiamo tracciare di questo
profondo movimento e delle sue ripercussioni nel dibattito sociologico? La prima parte della presente riflessione cerca appunto di riassumere e commentare i principali risultati delle ricerche effettuate su
tali fenomeni. La partecipazione dei lavoratori nelle imprese è stata
in effetti oggetto di numerose ricerche in Francia da circa dieci anni.
Questo si spiega attraverso la 'moda'l partecipativa che ha caratterizzato le imprese agli inizi degli anni '80 nel momento in cui la
partecipazione' diretta' non veniva praticata che in modo 'informale' 'sotterraneo' o 'non esplicito'*.
Cosa resta dopo dieci anni? Le conclusioni divergono al riguardo;
la maggior parte degli osservatori conclude riconoscendo un affievolimento del processo partecipativo3, ma altri, meno numerosi, pensano che la partecipazione si collochi proprio al centro di un nuovo tipo di impresa chiamata a confrontarsi con la gestione dell'incertezza4. Queste differenze di interpretazioni incoraggiano a continuare il
dibattito sulle forme e gli effetti della partecipazione. Per fare ciò,
l'attenzione anche ad altri paesi può apportare elementi nuovi di riflessione che non siano dipendenti dalla 'contingenza nazionale's. È
in tale ottica che si è realizzata una rete di indagini europee che ha
interessato sei entri di ricerca6.
1. Sul concetto di "moda manageriale", si veda: Midler C., "Logique de la mode
managériale", in Annales des mines, 1986 nonché: Thevenet M., "L'ecor de la mode", in Revue Francaise de Gestion, n. 53-54, 1985
2. Come ha evidenziato ad esempio Mothé D., Journal d'un ouvrier, Ed. du Minuit, Paris, 1985; Bemoux P,, Un travail a soi, Privat, Toulouse, 1981; Reynaud J.D.,
"Les régulations dans les organisations", Revue Francaise de Sociologie, n. 1, 1988.
3. Cfr. Borzeix A., Linhart D,, "La participation: un clair-obscur", in Sociologie
du Travail, n. 1 , 1988; Linhart D,, "La participation des salariés: les termes d'un
consensus", in Bachet D. (dir.), Decider et agir dans les travail, Cesta, Paris, 1985;
Martin D. (dir.), Participation et changement social dans l'entreprise, L'Harmattan,
Paris, 1990.
4. Cfr. Alter N., La gestion du désordre dans l'entreprise, L'Harmattan, Paris,
1991.
5. Ciò è ben posto in evidenza da: D'iribarne P,, La logique de l'honneur, Ed.
du Seuil, Paris, 1989, e da: Maurice M., Sellier F., Sylvestre J.J., Politique d'éducation et organisation industrielle en France et en Allemagne, Puf, Paris, 1981.
6. La ricerca è stata promossa e coordinata dal Crid-Lsci (Centre de recerche et
d'information sur la démocratie et l'autonomie, equipe membre du Laboratoire de
sociologie du changement des istitutions, Cnrs, Paris.
Proprio a partire da tali indagini che hanno dato ampio spazio alle
piccole e medie imprese7, la seconda parte del presente scritto si
propone di riconsiderare qualche constatazione anteriore ovvero di
"rimettere in discussione una serie di asserzioni correntemente sostenute da coloro che si interessano soprattutto al funzionamento
delle grandi imprese", per riprendere le parole di Sagliog.
Le monografie evidenziano i problemi della transizione alla ricerca di un rinnovamento o di una messa in causa del modello tayloristico e di attualizzazione del modello professionale. Completando
gli studi economici e sociologici9 che definiscono i principi di un
nuovo modello produttivo, questo contributo è focalizzato sulla
comprensione delle forme di coerenza ricercate dalle imprese onde
acquisire nello stesso tempo gli aspetti di continuità ed i processi di
trasformazione di sistemi produttivi obbligati contestualmente a farsi
carico della riproduzione e della innovazione. Piuttosto che un corpo
di principi generali volti a delineare un nuovo modello impresa, si
trattava di riuscire a ricomprendere le sinergie e le tensioni che emanano dal confronto fra i modelli consolidati che sussistono e le nuove esigenze produttive che emergono. I1 ricorso alla partecipazione è
riferito alle nuove caratteristiche del lavoro produttivo che rende
pertinente il concetto di appartenenza produttiva. Ma questa appartenenza non può però essere il semplice risultato di una volontà gestionale che si concretizza attraverso l'adozione di procedure partecipative; la sua possibilità di esistenza rinvia alla storia socio-organizzativa delle strutture produttive.
La terza parte cercherà dunque di precisare le forme possibili di
tale relazione; il divenire della partecipazione l'emergere di una
eventuale appartenenza produttiva dipenderà in larga parte dalla organizzazione del lavoro e dalla eredità culturale dei lavoratori. Così
si comprenderà meglio la coesistenza di analisi apparentemente con7. Piccole e medie imprese che sono state relativamente dimenticate negli studi
sulla partecipazione a vantaggio delle grandi imprese, come sottolinea: Martin D.,
Participation et changement social dans l'entreprise, L'Harnattan, Paris, 1989.
8. Saglio J., "Echange social et identité collective dans les systemes industriels",
in Sociologie du Travail, n. 4, 199 1.
9. Si possono in merito qui ricordare: Aglietta M., Andrèe C,, Boyer R., Leborgne R., Delorme R., Rolle P,, Petit P,, La seconde transformation. Trajectoires du
capitalisme contemporain, Economica, Paris, 1989; Boyer R., Coriat B., Is a new
mode of developrnent emerging? From technicaljlexibility to macro-stabilization: a
tentative analysis, Cepremap, 1987; Eyraud F., D'Iribarne A,, Maurice M., Rychener F., Des entreprises en mutation dans la crise. Apprentissage des technologies
jlexibles et émergence de nouveaux acteurs, Lest, Aix-en-Provence, 1986.
traddittorie: le prime che insistono sulla "atomizzazione dei lavoratori" che provoca il passaggio dalla partecipazione implicita alla
partecipazione esplicitalo, le seconde che insistono sul fatto che
"l'iniziativa e la creatività divengono competenze essenziali di lavoratori che si definiscono per questo professionalizzati e non per le
loro funzioni nell'ingranaggio amministrativo ed industriale"l1. Queste analisi riconducono peraltro a profili contrastanti di imprese: le
une ponendo l'accento sul modello tayloristico, le altre su un nuovo
modello professionale; tali profili contrastanti danno inoltre conto
dell'arnpiezza delle ricomposizioni in corso nel sistema produttivo
nell'ambito di un movimento di modernizzazione multiforme le cui
conseguenze sono affrontate nella quarta e conclusiva parte del presente scritto.
1. La 'nouvelle vague' partecipativa
Le ricerche francesi si sono interessate prioritariamente di cambiamenti indotti ad opera della partecipazione diretta introdotto negli
anni '80, più frequentemente sotto forma di riunioni destinate al personale esecutivol2. In effetti, a partire dal 1982, data nella quale la
"Legge Auroux" è stata approvata, sono stati istituiti i 'groupes
d'expression' e diversi milioni di lavoratori sono stati coinvolti. Due
milioni e mezzo con l'accordo dei 'groupes d'expression' e molte
altre centinaia di migliaia nel quadro di concomitanti iniziative im10. Cfr. Borzeix A,, Linhart D., op. cit.
11. Alter N., "Logiques de I'entreprise informationelle", in Revue Francaise de
Gestion, n. 3, 1989.
12. Cfr. Bemoux P. (en coll.), De l'expression de la negotition: six études de cas
dans la Region Rhone Alpes, Glysi, Lyon, 1985; Borzeix A,, Linhart D., Segrestin
D., Sur les traces du droit d'expression, Cnam, Paris, 1985; Bunel J., Bonafe-Schmitt J.P., Le triangle de l'entreprise, Glysi, Lyon, 1988; Chevallier F., Machines:
l'essouflement des cercles de qualité, Cahiers de recherche du Centre Hec-Isa,
1988; Chanaron J.J., Cercles de qualité et transformation du procés du travail industriel, M.R.T.(Cpe), 1985, Paris; Gautrat J., Laville J.-L., Managementparticipatif et expression des salariés, CridalIsci-CNS, 1989, Paris; Lojkine J., Innovation
sociale et innovation technologique. L'évaluation des goupes d'expression directe à
Boulogne-Billancourt, Acadie-Mres, novembre 1984; Martin D., "La participation à
l'epréuve de la représentation et du pouvoir", in L'Année Sociologique, 33, 1983;
Gautrat J., Martin D., Cheminement inventif d'une démarche participative, Cresst,
Lsci-IrescoIC~s,1984, Paris; Tixier P.E., "Lègitimité et modes de domination dans
les organisations", in Sociologie du Travail, n. 4, 1988.
prenditoriali, le più note delle quali sono state i 'circoli di qualità'
ed i 'processi di miglioramento'.
La prima fase: le relazioni umane
Di fronte alla inevitabile diffidenza che accompagna l'avvio dei
gruppi partecipativi destinati ai lavoratori e per evitare che gli stessi si
impantanino fin dall'inizio, è importante che il management dia prova
del suo impegno reale. Tali prove risiedono nei mezzi accordati alla
formazione sia per i conduttori che per i partecipanti, nell'attenzione
riservata ai problemi sollevati e nel rispetto dei ritmi previsti dallo
svolgimento delle riunioni. Se queste condizioni vengono assolte, la
fase di osservazione può essere superata e le riunioni partecipative apportano allora trasformazioni rilevanti in seno al luogo di produzione.
I1 personale operaio si coinvolge negli aspetti in cui è in grado di rilevare un riconoscimento della sua parola negata nel taylorismo. Gli effetti vissuti come positivi dai partecipanti derivano dalla scoperta arricchente di nuove relazioni con i colleghi di lavoro; il gruppo di lavoro rafforza i legami in una sorta di cooperazione attorno al lavoro.
Questa crescita di socializzazione riguarda le relazioni tra operai
ma non tocca soprattutto le relazioni fra loro e la gerarchia. Contrariamente alle ipotesi dei ricercatori legati ai movimenti sociali contrari ai "piccoli capi", tipici degli anni '7013, l'istituzione della partecipazione diretta non intacca le relazioni gerarchiche. Al contrario
tra i capi delle équipes, più frequentemente animatori delle riunioni,
e i subordinati emerge una accettazione reciproca che non esisteva
in precedenza. Essa è fondata sul rispetto ed il mutuo riconoscimento delle rispettive competenze.
Le funzioni sociali dei gruppi partecipativi spiegano il loro successo al debutto. Essi hanno contribuito a rinnovare i rapporti di lavoro ed a risolvere i più gravi problemi riguardanti le condizioni di
lavoro e l'organizzazione della produzione. In effetti, essi hanno legittimato e posto all'attenzione questioni per lungo tempo dimenticate e trascurate ed hanno aiutato a recuperare i ritardi accumulati
nella gestione ordinaria dei luoghi di produzione.
A questo riguardo l'approccio detto delle 'relazioni umane' che
non si era radicato in Francia in ambiti industriali caratterizzati dalla
conflittualità, si è poi sviluppato grazie alla partecipazione diretta.
13. Gautrat J., L'effects perturbateur de la participation dans l'amélioration des
conditions de travail, Aix-en Provence, Cordes-Lest, 1980.
Essa ha coinciso con un rinnovamento della gerarchia che essa stessa ha accelerato con una ricerca di qualità da essa parimenti agevolata. I suoi successi iniziali hanno incoraggiato un orientamento manageriale che preconizza una autorità fondata sulla competenza e
sulla 'animazione' in grado di generare coinvolgimento e cooperazione, in contrasto con il discorso precedente fondato sull'attitudine
al comando, le relazioni individuali e l'opposizione al collettivo.
Questo approccio delle relazioni umane si è esteso a detrimento
dei rappresentanti del personale e dei sindacati la cui legittimazione
si era affermata più sulla regolazione dei sistemi produttivi che sulla
contestazione di forme militari di comando e sulla mancata presa in
considerazione dei subalterni. Le opposizioni fra operai e prima linea gerarchica rappresentavano uno strumento di mobilitazione dei
lavoratori su obiettivi più generali. Le centrali sindacali traevano
forza da questi micro-conflitti che la partecipazione diretta tende invece ad attenuare. Senza dialogo con la gerarchia intermedia, i rappresentanti dei lavoratori erano attori di vertenze che negoziavano
direttamente con la direzione, divenendo interlocutori investiti di un
potere riconosciuto da tutti. Le transazioni dirette fra operai e prima
linea gerarchica diminuiscono il potere vertenziale dei sindacati senza peraltro che essi possano denunciare un rapporto diretto che essi
stessi avevano richiesto con le loro rivendicazioni.
La seconda fase: il confronto 'senza respiro'
Ma questa situazione, per nuova che fosse, non si è più di tanto
consolidata. Al contrario, le evoluzioni registrate mostrano come essa si sia rivelata temporanea. Dopo l'infatuazione del periodo pionieristico si profila rapidamente l'usura della partecipazione diretta
spiegata dalla maggior parte degli attori e degli osservatori come
una 'carenza di respiro' delle riunioni.
L'ipotesi avanzata dai rappresentanti di una sociologia del lavoro
che pone l'accento sul dominio, l'alienazione e la dimensione conflittuale dei rapp~rtisociali14 fornisce una interpretazione di tale crisi. Essa considera che i limiti delle procedure partecipative fanno ri14. Borzeix A., Linhart D., "La participation: un clair-obscur", in Sociologie du
Travail, n. 1 , X X X , 1988; Lojkine J., Innovation sociale et innovation technologique. L'evaluation des groupes d'expression directe à Boulogne-Billancourt, Acadie-Mres, Centre de Prospective et Evaluation, novembre 1984.
'
ferimento alla volontà dei lavoratori di non perdere i margini di autonomia che si sono conquistati nel loro lavoro. Questo significherebbe che la partecipazione rappresenta una perdita per i lavoratori
.e, conseguentemente, un guadagno per l'impresa. L'impresa si approprierebbe, per il tramite delle riunioni, delle pratiche 'clandestine' grazie alle quali gli operai mantenevano la loro coesione sociale.
Questo orientamento spiegherebbe la preferenza delle direzioni per i
circoli di qualità la cui efficacia consisterebbe nella loro "natura
strategica" e nel fatto ch'essi generalizzano una "partecipazione
flessibile" cancellando le comunità naturali di lavoro. Per questa ragione l'esaurimento rapido di tali riunioni sarebbe inevitabile e deriverebbe da una salvaguardia di idee organizzate da parte dei lavoratori per preservare le loro complicità.
Di fronte ad una tale prospettiva l'indebolimento dovrebbe evidenziare una opposizione dei partecipanti manifestata con il rifiuto
di continuare. Tuttavia, come rilevano altri sociologi "le deviazioni
autoritarie o produttivistiche possono essere sanzionate dal ritiro dei
protagonisti"l5.
Ma non si è registrato nessun movimento di disaffezione. Secondo le informazioni raccolte mediante indagini sul campo, i lavoratori
non mostravano alcuna reticenza crescente di fronte alla espressione
diretta. Sia essa stata concessa o imposta dalla legge, essi restano
maggioritariamente favorevoli in linea di principio e concentrano le
critiche sulla forma. Si tratta piuttosto del fatto che la scrematura dei
problemi più semplici ed evidenti riguardanti per la maggior parte le
condizioni di lavoro mette i gruppi di fronte alle difficoltà di trattamento dei problemi ed alla complessità di un universo decisionale
alle quali i partecipanti non sono preparati.
Onere intellettuale, dipendenza dai saperi detenuti dagli esperti e
dalle istanze decisionali controllate dalla tecnostruttura o dalla direzione, si coniugano nel rendere piiì ardua la pratica partecipativa.
Inoltre, è probabile che i cambiamenti tecnologici ed economici rimettano maggiormente in causa le comunità naturali di lavoro che le
strategie partecipative delle direzioni.
Poiché l'arrivo di nuovi macchinari è accompagnato da ristrutturazioni aziendali e da perdite di posti di lavoro, la ricomposizione
della produzione influenza la stabilità sulla quale si costruiscono le
comunità di lavoro molto di più di quanto possano fare iniziative la
cui estensione permane limitata.
15. Martin D., L'expression des salariés en France. Examen de quelques interprétations théoriques, Lsci-Iresco Cnrs, Paris, Avnl 1988.
In effetti, l'ipotesi che viene formulata da una sociologia del lavoro incentrata sulle questioni di potere analizza la partecipazione diretta come una 'miniuterizzazione' della partecipazione rappresentativa strutturata dagli stessi conflitti di interesse.
Ora, più che una opposizione fra 'partecipazione implicita' precedente le riunioni partecipative ed una partecipazione esplicita sfavorevole ai lavoratori, introdotta attraverso questi stessi dispositivi,
a noi sembra si realizzi uno spostamento di confini tra formale ed
informale attraverso la messa in atto di transazioni che integrano la
prima linea gerarchica, transazioni tra 'regolazioni di controllo' e
'regolazioni autonome'l6, laddove sono resi visibili o regolati problemi prima ignorati o dimenticati. Su questioni tecniche che danno
luogo a micro-cambiamenti si evidenziano possibilità di aggiustamenti nei quali il miglioramento delle condizioni di lavoro e del
processo produttivo possono risultare compatibili. Detto in altre parole, è evidente che, come in tutte le istituzioni deboli, i gruppi partecipativi possono risultare condannati dalla ostilità di certi attori
sociali o dalla loro strumentalizzazione; neppure la natura dei temi
trattati permette di aprire spazi di dibattito al di qua dei conflitti di
interesse ed il declino non può essere compreso a partire dai soli
'blocchi' generati dai rapporti di potere. L'ipotesi citata valorizza il
potenziale di creatività dei lavoratori che si tratterebbe di mantenere nell'ambito della informalità laddove la natura di tale potenziale
pare essere mutevole e legata alle caratteristiche del contesto. Ne
deriva dunque la necessità di caratterizzare l'ambito entro il quale
si colloca la partecipazione per situare il potenziale umane sul quale essa si fonda, valutare le condizioni di una sua eventuale 'mobilitazione' e tenere conto delle interazioni fra tale contesto e la partecipazione.
Per questo è possibile affermare il valore euristico dell'apertura di
un ambito di studio sulla partecipazione. Prendendo atto di ciò che
le ricerche sul fenomeno partecipativo hanno apportato per quanto
concerne le grandi imprese industriali che non possono però essere
considerate rappresentative dell'insieme dell'economia di mercato
contemporanea, conviene allora confrontare le osservazioni effettuate in tale ambito con quelle emerse in altri ambiti, in particolare
quello delle piccole e medie imprese la cui, importanza in termini di
occupazione non ha smesso di affermarsi. E a queste condizioni che
16. Reynaud J.D., "Les régulations dans les organisations: régulations de controle et regulation autonome", in Revue Francaise de Sociologie, n. 1 , 1988.
si può evitare il rischio di generalizzare tendenze che non rappresentano invece che costruzioni particolari dipendenti dal campo di osservazione.
Secondariamente, le evoluzioni interne alle imprese non possono
essere dissociate dalle loro azioni di adattamento ad ambienti esterni
in trasformazione. Allargando al contesto tecnico-organizzativo, proprio all'analisi socio-tecnica, una analisi socio-economica che inglobi la lettura del contesto economico in termini di mercati-prodotti
può fornire informazioni pertinenti per specificare le articolazioni
possibili tra politiche partecipative e altre politiche dell'impresa. Ciò
consiste nel considerare che le imprese, per sopravvivere e svilupparsi, si devono confrontare con la costruzione di necessarie coerenze ed insieme con una mobilità strategica elevata. Come corollario
la partecipazione non può essere affrontata nel solo quadro dello stabilimento e dei rapporti operai-gerarchia; essa deve essere collocata,
in un approccio socio-economico, all'interno di una impresa alla ricerca di coerenze.
La congiuntura ha condotto a privilegiare l'analisi della partecipazione diretta. Ma questa non può che essere reintegrata in uno studio
di tutto l'insieme delle forme di partecipazione in una determinata
impresa. Con una duplice conseguenza: nella partecipazione diretta
devono essere considerate al tempo stesso le riunioni partecipative e
la partecipazione che si esprime spontaneamente nel lavoro quotidiano. Mentre dunque molteplici cambiamenti attraversano le imprese, pare in effetti inopportuno dedicarsi all'analisi delle sole riunioni
come se queste fossero suggellate da regole rigide o da stretti vincoli normativi quali quelle che registrano gli organismi di rappresentanza del personale. L'evoluzione delle forme dirette di partecipazione nel tempo deve essere dunque compresa nell'oggetto di studio.
E infine la partecipazione diretta non può essere compresa che nei
suoi rapporti con la partecipazione per rappresentanza così come in
rapporto a tutte le altre dimensioni costitutive della gestione delle risorse umane e delle relazioni industriali. Di qui discende una questione di metodo che si incentra sulla distinzione fra differenti modalità partecipative e sulla assunzione delle loro interazioni.
2. La ricerca di una appartenenza produttiva
I1 carattere instabile o differenziato dei mercati rimette in causa
la produzione di massa consolidata, la cui estensione è stato il ca-
rattere dominante l'intero periodo espansivo. L'epoca in cui la reputazione di un marchio si costruiva su modelli immutabili per
molti anni era ormai lontana. I prodotti hanno cicli di vita sempre
più corti e le linee di produzione non durano in media più di due o
tre anni. La diversificazione dei prodotti e la loro rapida innovazione modificano il lavoro svolto durante i tempi di produzione. I
cambiamenti di gamme legati ai cambiamenti dei modelli fabbricati
esigono da parte dei lavoratori una memorizzazione di sequenze gestuali variate. La rapidità dei gesti non consente la tranquillità e se
la fatica fisica è attenuata, grazie agli interventi ergonomici, la fatica mentale risulta appesantita a causa della attenzione intensa alla
quale non è possibile sottrarsi; tantopiù che le fluttuazioni degli ordini conducono a moltiplicare i cambiamenti di turni per meglio ripartire i compiti in funzione dei carichi di lavoro e che le forme di
auto-controllo si banalizzano.
Le nuove tecnologie dell'informazione aprono le porte a nuove
possibilità di integrazione e di flessibilizzazione. Con la programmazione, sulla base di una forma elementare data, possono essere
fabbricate molte gamme di prodotti e l'alimentazione delle macchine nelle fasi intermedie può essere migliorata. Quale contropartita
della loro rapidità e modularità questi macchinari sofisticati e costosi danno in ogni caso prova di una grande fragilità. I tempi morti (tempi di preparazione delle macchine, di regolazione, di pulizia,
per guasti) devono essere il più possibile diminuiti e gli operai non
sono più coinvolti per il solo tempo produttivo; essi sono chiamati
ad intervenire per prevenire o ridurre i tempi durante i quali la
macchina si ferma. Tutti i lavoratori divengono detentori di dati
che si possono rivelare preziosi per minimizzare i guasti e massimizzare i tempi di impegno effettivo delle macchine. Più che una
intensificazione del lavoro vivo, è una mobilitazione di sapere
umano che è necessaria per razionalizzare i tempi di utilizzazione
delle macchine laddove la minore immobilizzazione si traduce in
minore profitto 'redibitorio' che l'inquadramento si preoccupa di
limitare. Gli operai sono così condotti a effettuare operazioni che
erano prima riservate ai controllori ed alla gerarchia. La produttività globale, lungi dal dipendere dalla sola rapidità gestuale, risulta
connessa alla rapidità di giudizio e di soluzione dei problemi in situazioni concrete. Una gran parte dei problemi tecnici deve essere
governata in tempo reale nel reparto onde evitare i ritardi che procurerebbe il loro trasferimento ai servizi tecnici od alla manutenzione.
La sorveglianza di ciascuna posizione lavorativa in configurazioni
mutevoli non può risultare efficace se non si prolunga attraverso la
cooperazione fra i lavoratori. I lavoratori stessi devono allargare il
loro campo di osservazione per collocarsi nel loro ambiente e prestarsi ad un confronto con i colleghi e con i loro interlocutori funzionali e gerarchici. Questa comunicazione implica una nuova concezione del ruolo e della gerarchia, la cui legittimità si fonda sul
coordinamento e l'animazione di gruppo, ed una nuova concezione
del ruolo della tecnostmttura a fronte di un processo di decentramento che la avvicini ai reparti. Le interfaccie fra posizioni, fra i
settori e fra i servizi condizionano largamente la pe$ormance.
Attraverso questi processi la competenza d'insieme è oggetto di
un approccio più contingente: più che nel sapere e saper fare individuale, essa risiede nella qualificazione collettiva indotta dalla organizzazione produttiva. Progressivamente l'idea che ciascuno può
avere, al suo livello, delle opinioni, delle idee o delle informazioni
utili per l'impresa ed il lavoro si è allargata. I lavoratori hanno la
possibilità di esprimersi e di giudicare l'organizzazione della produzione dal proprio punto di vista; essi sono anzi incoraggiati a farlo.
Contrariamente ad una concezione ancora forse dominante, le decisioni operative non sono più "prese in modo routinario nell'ambito
di processi che sono generalmente programmati"l7.
La gestione dell'aleatorietà si diffonde al livello dei lavoratori ed
è per questa ragione che il lavoro produttivo include al proprio interno il trattamento collettivo delle informazioni., informazioni aggiuntive rispetto alle informazioni indispensabili per il funzionamento
normale del sistema, informazioni supplementari che migliorano il
sistema in maniera infinitesimalela. I1 "plus-lavoro" cede il passo al
"plus-sapere" che la partecipazione cerca di mobilitare. Detto in altro modo l'intelligenza ipotetico-deduttiva è sollecitata al fine di assicurare la gestione dell'aleatorio nel quadro di una produzione che
è divenuto illusorio volere completamente programmare. Nell'ambito della stessa trasformazione, il lavoro riveste una dimensione etica
in quanto la collaborazione ricercata ad opera dei lavoratori deve es17. Mintzberg H., Structure et dynamique des organisations, Les Editions d'Organisation, Paris, 1982.
18. Gautrat-Mothè J., "Le participatif come méthode de traitement prévisionnel
de l'aléatoire", in Martin D. (dir.), Participation et changement social dans l'entreprise, L'Harmattan, Paris, 1989.
sere orientata verso il miglioramento della tecnica e del prodotto
consentito dalla circolazione delle informazionil9.
Tutte queste trasformazioni riguardanti il lavoro possono essere
schematizzate nella tavola n. 1 di seguito proposta.
Conseguenza di queste trasformazioni risulta essere che i sistemi
produttivi non possono più funzionare con un numero di attori ridotto, come è stato per il taylorismo fino agli anni '80, ove i fenomeni
del ritiro e dell'assenteismo erano contenuti grazie ai guadagni di
produttività ottenuti in un contesto di domanda crescente. Le imprese si devono confrontare con la necessità di un coinvolgimento individuale del numero ottimale di attori che passa attraverso la loro inter-comprensione20. Non potendo essere imposta, tale cooperazione
accettata rinvia e si fonda sulla costruzione di una nuova appartenenza produttiva, vale a dire di un legame sociale creato attorno alla tecnica ed al prodotto che contribuisce a costituire una entità sociale percepita dai suoi membri come un gruppo di appartenenza.
L'appartenenza produttiva si definisce, dunque, come una modalità di appartenenza sociale, se essa è intesa, in maniera più generale, come il legame sociale esistente in una entità sociale percepita
dai suoi membri come gruppo di appartenenza. Senza poter entrare
nei dettagli, è essenziale qui dissociare l'appartenenza produttiva
dalla comunità di impresa. L'appartenenza produttiva non è la conseguenza di un impegno su valori comuni, ma della intensificazione
di relazioni sociali durevoli incentrate su razionalità limitate21. L'ap19. Gautrat J., Sociologie de la participation en entreprise: analyse et critique
théorique 1976-1991, Crida-Lsci-Iresco, Paris, 1991.
20. Habermas precisa la distinzione tra attività orientate verso il successo, strumentali e strategiche, ed attività orientate verso la intercomprensione fondata su una
definizione comune delle situazioni (Cfr. Théorie de l'agir comunicationel, Fayard,
Paris, 1987).
21. Tale intensificazione pone il problema delle forme di coordinamento convenzionali che essa stessa richiede. Da questo punto di vista il carattere euristico
delle proposizioni sviluppate attraverso l'economia delle convenzioni non ha bisogno di essere ulteriormente sottolineato (Cfr., per esempio: Revue Economique, vol.
40, n. 2, Mars 1989; Boltanski L., Thevenot L., De la justification. Les economies
de la grandeur, Gallimard, Paris, 1991. A condizione che il riconoscimento della
pluralità delle modalità dell'azione non si irrigidisca nella presentazione di un insieme immutabile di mondi e città. L'approccio è più positivo, a nostro parere, se permane aperto per riferimento alla natura ed al numero delle modalità in funzione dei
luoghi analizzati, e storicizzati, considerando che le modalità di risoluzione dei conflitti e le modalità di elaborazione dei compromessi fra i diversi modi anteriormente
sperimentati pesano sui conflitti e sui compromessi futuri.
Tav. I
- Le nuove esigenze del lavoro produttivo
Contenuti
Cause
Capacità da porre in atto
Capacità cognitiva,
1. Varietà dei compi- - Modificazioni ra- Capacità di attenzione e di memoriz- sollecitazione della
pide dei prodotti e
ti svolti durante i
zazione
intelligenza ipotetidei processi con
tempi produttivi
conseguenti mutaco-deduttiva e introduzione di una dimenti frequenti nella programmazione
mensione etica nel
della produzione
lavoro
- Flessibilità nella
assegnazione delle
mansioni
- Importanza del lavoro indiretto nel
corso della produzione attraverso
l'autocontrollo delle
mansioni e del processo di produzione
2. Impegno individualizzato durante i
tempi non produttivi
- Massirnizzazione Capacità di osservadel tempo di impe- zione e di diagnosi
gno delle macchine
- Riduzione dei
tempi morti
- Valorizzazione
della sorveglianza e
della reattività
all'aleatorietà con
detrimento della velocità di esecuzione
delle sequenze gestuali
3. Dimensione conte- - Importanza delle Capacità di anticistuale e collettiva
interfacce fra posi- pazione e di scamzioni, settori e servi- bio con l'ambiente
delle competenze
zi
- Incoraggiamento
alla espressione ed
alla discussione sui
problemi tecnici e
produttivi
- Ricerca di una
qualificazione collettiva attraverso
mutuo apprendimento rafforzato da
molteplici confronti
partenenza produttiva non deve dunque essere caricata di nessuna
connotazione funzionale o totalizzante. Essa si distingue altresì dalla
solidarietà di mestiere tradizionale perché non si fonda su un insieme di competenze stabilizzate e trasmesse oralmente, ma piuttosto
su interazioni comunicative alimentate attraverso la condivisione ed
il trattamento collettivo di informazioni proprie ad attori differenti.
La socializzazione del dibattito tecnico è l'elemento catalizzatore
utilizzato dal management per diffondere questa appartenenza produttiva. Forme di partecipazione, vale a dire spazi di raccolta e trattamento collettivo delle informazioni, si propagano. Queste forme di
partecipazione sono collocate in un medesimo spazio tecnico e produttivo che si suppone produca un referente comune per l'insieme
degli attori.
Ma l'emergenza di un tale referente dipende dalle condizioni concrete entro le quali i partecipanti sperimentano l'accesso e l'inserimento nel dibattito tecnico. La possibilità di supportare i cambiamenti indotti, con i loro effetti di riconoscimento di competenze e di
produzione di differenze, è dipendente, al riguardo, dal costrutto sociale rappresentato dalle identità collettive forgiatesi nella esperienza del lavoro. I1 limite di fronte al quale cozza il volontarismo manageriale si può dunque esprimere così: la possibilità di costruire
forme nuove di appartenenza produttiva dipende strettamente dal
rapporto socio-storico dei lavoratori con la loro impresa, esso stesso profondamente segnato dal contesto tecnologico-organizzativo
nel quale si esercita il lavoro.
3. L'influenza della organizzazione del lavoro e della eredità culturale sull'appartenenza produttiva
La perturbazione del modello tayloristico
Nell'impresa del modello tayloristico le nuove esigenze del lavoro produttivo che producono la ricerca di una appartenenza produttiva vanno contro alcuni principi organizzativi del lavoro operaio. I
principi della "organizzazione scientifica del lavoro" sono ancora
applicati nonostante le nuove esigenze produttive spingano all'adozione di principi opposti. È questa contraddizione profonda che
spiega, a nostro avviso, la difficoltà di consolidamento delle differenti forme partecipative nelle imprese contraddistinte dal taylorismo, molto di più che una eventuale inadeguatezza dei metodi uti-
Tav. 2 - Il modello tayloriano
Le vecchie caratteristiche del lavoro
produttivo
Le nuove esigenze del lavoro produttivo
1. Decomposizione dei compiti
gestuali semplici
Riduzione del numero dei compiti
per ciascun posto di lavoro,
semplicità e rigidità dei compiti
resa possibile dalla prevedibilità
del processo di produzione.
1. Varietà dei compiti svolti durante
tutti i tempi di produzione.
2. Gestione dei tempi non produttivi
delegata alla direzione ed ai servizi
funzionali.
2. Impegno individualizzato
durante i tempi non produttivi.
3. Rigorosa separazione fra lavoro
3. Dimensione contestuale e collettiva
intellettuale ed esecutivo
della competenza.
Individualizzazione delle valutazioni
e separazione fra posti, settori e servizi.
lizzati per realizzare la partecipazione. Le difficoltà del modello tayloriano si comprendono a motivo della presente congiuntura nel lavoro, nel rapporto fra nuove e vecchie esigenze largamente incompatibili fra loro.
È evidente che nelle imprese organizzate sul modello tayloriano
le vecchie caratteristiche del lavoro non sono affatto scomparse in
favore delle nuove esigenze. Le nuove esigenze vengono, secondo
processi sempre singolari, a sovrapporsi alle vecchie caratteristiche
ed è tale sedimentazione che si traduce in molteplici tensioni vissute
all'interno dei sistemi produttivi.
I1 tentativo di conciliare queste due esigenze contraddittorie si
manifesta in scelte come in quella che consiste nel domandare ai lavoratori di ricoprire più posti con compiti parcellizzati piuttosto che
andare verso la polivalenza attraverso l'arricchimento delle mansioni. Si concretizza, altresì, in un certo numero di oscillazioni e compromessi instabili fra la specializzazione e la integrazione dei servizi, le organizzazioni di tipo matriciale e piramidale, la separazione
fra le categorie di lavoratori e la tendenza alla integrazione funzionale dell'insieme dei lavoratori stessi, i sistemi di classificazione e
l'emergere di una socializzazione della qualificazione. Prodotto di
questi contrasti, l'adattamento del sistema tayloriano rivela strategie
paradossali, "strategie duplici che sono in definitiva strategie che
realizzano la 'performance' della scelta e della non-scelta allo stesso
momento"22, di cui l'utilizzazione fatta della partecipazione costituisce uno degli indicatori.
In numerosi casi gli effetti registrati sono l'opposto degli effetti
perseguiti. Nel momento stesso in cui il management cerca di rafforzare l'appartenenza produttiva, le nuove esigenze produttive possono nei fatti concorrere a dissolvere i legami sociali pre-esistenti fra i
lavoratori. Per esempio, la massimizzazione dei tempi di impegno
delle macchine può implicare un passaggio dal lavoro a giornata al
lavoro a turni. I gruppi si trovano divisi: "amici si sono visti separati", "facendo il lavoro a turni hanno perduto il lavoro di gruppo", affermano gli operai coinvolti; il lavoro in équipe può anche cambiare
i tempi della pausa, risultando questi più corti e diminuendo così le
opportunità di scambio conviviale. I frequenti sconvolgimenti nella
composizione delle squadre di turnisti limitano anche la reciproca
conoscenza, fonte di mutua assistenza e di regolazione collettiva, soprattutto se le nuove tecnologie accrescono la distanza fra i posti di
lavoro. L'aumento del numero di operazioni da memorizzare, la vigilanza ed il controllo richiesto a tutti i posti di lavoro, implicano un
carico mentale più forte. Se un lavoro esclusivamente manuale poteva consentire più disponibilità di spirito e contrastare il ripiegamento su se stessi, lo stato di riflessione ed attenzione permanente necessario per "fare presto e bene" genera un effetto stressante. I1 lavoro è fisicamente meno faticoso ma lascia meno spazio alla comunicazione. Inoltre, nell'ultimo decennio, il minore aumento medio
dei salari e la paura dei licenziamenti hanno alimentato le inquietudini, sovente esacerbate dall'ammontare dei debiti contratti ai tempi
in cui si poteva facilmente trovare un lavoro o cambiarlo; anche in
tal senso il clima sul posto di lavoro ne ha sofferto. In tutti questi
casi la direzione lascia che le condizioni concrete della socializzazione che contribuivano alla qualità "dell'ambiente" si deteriorino
progressivamente. La realtà comprova che la preoccupazione per la
cultura di impresa può andare di pari passo con l'ignoranza o anche
il disprezzo per le "micro-culture di impresa9'23. Peggio, la partecipazione può avere in questo contesto un effetto perverso: accrescere
22. Bare1 Y., "Le grand intégrateur", in Connexions, n. 56, 1990.
23. Liu M., Analyse sociotechnique de l'organisation, Ed. d'organisation, Paris,
1982.
la stratificazione fra i lavoratori. I lavoratori più sprovvisti di professionalità rischiano, dopo il coinvolgimento iniziale, di sentirsi ancora meno valorizzati che in precedenza, se l'esperienza partecipativa
che li riguarda viene progressivamente abbandonata o trascurata
mentre continua per altre categorie.
La partecipazione diretta si è diffusa attraverso una grande varietà
di dispositivi nelle imprese del modello tayloriano. Quando le difficoltà incontrate sono oggetto di una analisi in termini psico-sociali,
senza che le ragioni proprie alla organizzazione del lavoro e all'eredità culturale conducano ad alcuna riflessione approfondita, la partecipazione diretta resta incorporata nella partecipazione rappresentativa e non può generare gran che in quanto a dinamiche durevoli. Si
toccano qui i limiti di una partecipazione diretta concepita come
strumento di gestione delle risorse umane i cui metodi si raffinano
costantemente, ma che resta dipendente da vincoli tecnici ed organizzativi definiti al di fuori di essa.
L'analisi culturale delle situazioni di lavoro ha dimostrato che
l'impresa del modello tayloriano determina delle culture funzionali
o delle culture rinunciatane presso i lavoratori senza professionalità
che essa impiega per lavori semplici, dequalificati e ripetitivi alla
catena e nelle produzioni in grande serie24. Queste culture, analizzate durante il periodo dello sviluppo corrispondono a posizioni di attori deboli o di non-attori, sono state, dopo di allora, sconvolte dalla
destrutturazione di numerosi collettivi di lavoro, laddove si sono
succeduti dimissioni, licenziamenti od altri movimenti accelerati di
personale. I1 paradosso consiste nel fatto che i lavoratori impregnati
di queste culture sono spinti ad esprimersi ed a partecipare nonostante la loro posizione sia divenuta altamente fragile. Dunque essi
continuano logicamente a riferirsi al registro culturale nel quale essi
sono stati relegati. Per essi, la messa in discussione del lavoro prende in contropiede gli ordini ricevuti per un decennio, quando tutte le
parole indirizzate a qualcuno che non fosse il capo erano vietate perché sospettate di incoraggiare la "perdita di tempo" e di rallentare la
produzione.
Questa caccia allo spreco del tempo, risultato della applicazione
da parte del servizio "tempi e metodi" degli strumenti di analisi e di
standardizzazione del lavoro, si è inserita in un sistema di gestione
focalizzato sul controllo dei costi della mano d'opera diretta. Essa
24. Sainsaulieu R., L'identité au travail, Presses de la Fondation National des
Sciences Politiques, Paris, 1977.
ha dunque parallelamente indotto una rappresentazione del tempo di
produzione dove il più piccolo atto è correlato ad una quantità di
produzione. Reintrodurre le preoccupazioni di miglioramento della
qualità e di reattività ai mezzi di scambio delle informazioni, di ricerca e di discussione collettiva costituisce una rottura completa con
le abitudini consolidate. A ciò si aggiunga l'incomprensione che si è
venuta a creare tra gli operatori e la tecnostruttura. La tecnostruttura
ha stabilito prevalentemente dei contatti con la gerarchia ed i professionisti della manutenzione piuttosto che con gli operai. Abituata ad
una cooperazione fra pari, in servizi che presentano una grande
omogeneità culturale, è portata, se vuole promuovere una forma
cooperativa di lavoro con i dipendenti, ad affrontare la prova della
eterogeneità culturale, in un clima di diffidenza reciproca tenuto in
vita da tutti i micro-conflitti, latenti o palesi, attorno alla assegnazione dei tempi sui posti di lavoro.
Le culture di fusione e di rinuncia proprie ai lavoratori senza professionalità hanno fato sorgere delle solidarietà informali di clan o
delle solidarietà oppositive di classe, separate dalle culture negoziali
proprie alla tecnostruttura, ai quadri ed ai professionisti della manutenzione. Sono ad un tempo le culture della fusione e della rinuncia
e le loro differenze con le culture della negoziazione che ostacolano
il consolidarsi di appartenenze produttive.
La crisi del modello tayloriano può essere descritta come l'espressione di una antinomia tra le forme di solidarietà costituitesi nella storia del suo funzionamento e quelle da introdurre per far fronte alle
pressioni concorrenziali contemporanee. L'apporto dei lavoratori al dibattito sulla produzione è limitato dal grado di complessità dei loro
posti e delle loro funzioni. Più sono semplici e programmati, più il loro intervento si rarefà e si indebolisce rapidamente. E questo attesta
l'affievolimento dei circoli di qualità nelle imprese del modello taylorimo. L'assenza di informazioni da gestire penalizza il dibattito collettivo e può condurre ad un rafforzamento di forme di autorità carismatiche o paternalistiche. Queste sono dunque alcune delle ambiguità del
passaggio ad un post-taylorismo annunciato da lungo tempo ma che
tarda ad identificare le nuove 'coerenze' potrebbe poi fondarsi.
4. L'emergenza di un nuovo modello professionale
I1 modello professionale era stato marginalizzato nel periodo di
espansione per l'aumento del numero e del volume dei mercati cor-
Tav. 3 - Il modello professionale
Le vecchie caratteristiche del lavoro
produttivo
Le nuove esigenze del lavoro produttivo
l . Varietà dei compiti da realizzare durante il tempo di produzione
Comspondente ad un sapere e ad un
Corrispondente a dei sapen e dei saperfare consolidato che si definiscono
fare non consolidati
per riferimento ad un mestiere
2. lhpegno individualizzato durante i tempi non produttivi
Fondato sull'espenenza e la formazione Fondato su un approccio cognitivo
in situazioni di lavoro
ai problemi della produzione
3. Dimensione individuale
3. Dimensione contestuale e collettiva
delle competenze
delle competenze:
- interazioni neil'ambito di un mestiere;
- interazioni fra differenti
professionalità e con i tecnici
di produzione;
- monopolio delle conoscenze
- riavvicinamento fra lavoro diretto
ad opera di professionisti
ed indiretto, attraverso la circolazione
delle conoscenze nell'intento
di sistematizzare e di razionalizzare
il loro uso nell'organizzazione della
produzione
rispondenti a prodotti standardizzati di massa. Ma le nuove esigenze
del lavoro produttivo fanno largamente riferimento alle caratteristiche del modello professionale e determinano conseguentemente una
riattualizzazione di questo modello.
I punti comuni tra le caratteristiche del lavoro professionale tradizionale e le nuove esigenze produttive concernono la varietà dei
compiti svolti e il coinvolgimento individualizzato necessario per
ridurre le aleatorietà. Ciò non impedisce di rilevare le differenze
nel contenuto dei compiti e nella natura individuale o collettiva delle competenze. La riscoperta del modello professionale si accompagna ad una 'inflessione': al modello tradizionale si viene ad aggiungere un nuovo modello professionale che si distingue da esso a diversi livelli.
Nel modello tradizionale esiste una cultura di mestiere. L'inter-relazione fra attori della produzione si può effettuare sulla tecnica e
sul prodotto propri ad una professione nella simmetria e nella reciprocità di relazioni rafforzate da una forte omogeneità di status. I1
nuovo modello professionale cerca, invece, di costituire o di mantenere un collettivo qualificato per gestire una incertezza crescente;
esso opera una reale creazione istituzionale nella quale si deve inventare I'inter-relazione aperta ad attori appartenenti a differenti statuti professionali e a differenti culture.
Trasversalità devono essere gestite fra differenti professionalità
come tra operai professionali, tecnici ed ingegneri di produzione, nel
momento in cui la nozione di mestiere è messa in discussione. Nel
modello tradizionale, l'attore gestiva la sua attività a partire da un
saper-fare acquisito attraverso una formazione in situazioni di lavoro
integrate dall'esperienza. Nel nuovo modello professionale, l'attore
è portato a mobilitare, attraverso operazioni mentali, conoscenze che
divengono delle risorse per evitare gli imprevisti. Nello stesso modo
l'etica di mestiere trasmessa nel1 apprendistato e nei rituali che lo
circondano è rimpiazzata da un etica di produzione, dato che le
competenze divengono collettive e contestuali invece di essere individualizzate e generali. Detto questo, al di là delle differenze rilevabili tra i modelli, emerge la forte congruenza tra le nuove esigenze
del lavoro produttivo e le caratteristiche già presenti nel modello
professionale. Se il modello tayloriano è sconvolto dai cambiamenti
del lavoro produttivo, il modello professionale, il cui ambito di validità appariva estremamente circoscritto durante il periodo espansivo,
accresce considerevolmente il suo spazio di efficacia.
Nel modello professionale, l'adattamento dei comportamenti alle
nuove esigenze produttive è legato alla adozione di una organizzazione del lavoro qualificante, sia perché le imprese sono rimaste impregnate dal modello professionale lungo tutta la loro storia, sia perché esse danno inizio ad un movimento di riprofessionalizzazione
del lavoro che si evolve dal modello tayloriano verso il modello professionale.
Nel corso del decennio 1970, le esperienze di modificazione della
organizzazione del lavoro si erano interrotte sulla rigidità dei sistemi
di gestione, la concezione del progresso tecnico e le culture generate
dal taylorismo25. La questione dell'organizzazione del lavoro, lungi
dall'essere chiusa, per via di questo fallimento, si è riproposta di
nuovo, non più a partire dagli effetti su11 uomo del taylorismo nelle
imprese con tecnologie e mercati stabili, ma piuttosto a partire
dall'evoluzione dei mercati e delle tecniche che inducono ad interro7
7
25. Piotet F., "L'amélioration des conditions de travail entre échec et institutionnalisation", in Revue Francaise de Sociologie, n. 1 , XXIX, Janvier-Mars 1988.
garsi sul ruolo del lavoro umano. I1 problema diviene quello di un
cambiamento della organizzazione del lavoro e del sistema di gestione in condizioni di incertezza.
Per le imprese prima fondate sul taylorismo e che optano per una
nuova professionalizzazione, le difficoltà si dimostrano elevate nel
confrontarsi con questi due sconvolgimenti che contraddicono abitudini radicate nei modi di agire quotidiani. Le principali difficoltà sono evidenziate dal ruolo della gerarchia. I capi sono condotti ad abbandonare il ruolo disciplinare. Per responsabili abituati ad esercitare un potere di comando, la contraddizione tra la realizzazione dei
programmi di produzione in quantità e qualità ed il rispetto delle regole dell'impresa esplode quando essi esercitano la funzione di responsabilizzare i loro gruppi ed allorché la sanzione o la ricompensa
possono mettere in causa la motivazione perseguita. Tanto più nei
sistemi in cui si fa appello alla polivalenza, ogni insufficienza di
competenze tecniche non può essere occultata. La gerarchia superiore, non abituata al modello professionale, può anche avere problemi
ad accettarla anche se essa stessa vi ha dato impulso. Rinunciare al
controllo e sostituirlo con un dialogo con i gruppi che gestiscono i
loro spazi di autonomia non è cosa facile.
È per questo che il ritorno verso il modello professionale ha avuto
luogo soprattutto nelle medie imprese, laddove il primitivo ambiente
di lavoro caratterizzato dalla vicinanza delle relazioni facilita tali
evoluzioni. In questa configurazione, la gestione delle risorse umane
non consiste in un adattamento a vincoli fissati dall'esterno; si cerca
di pensare congiuntamente la gestione delle risorse umane e l'evoluzione della tecnologia e delle organizzazioni.
L'impresa del modello professionale genera culture negoziali, vale a dire culture di riconoscimento reciproco e di accettazione delle
differenze26. L'impossibilità del controllo esterno rinvia all'obbligo
di regolare i rapporti fra integrazione ed autonomia attorno al tema
della competenza. L'impresa si organizza come supporto funzionale
al centro operativo. La gerarchia adeguata al modello professionale
è una gerarchia in grado di animare il dibattito tecnico dell'équipe
produttiva in grado di dialogare con la tecno-struttura ridotta che
non si dedica più alla standardizzazione dei processi ma all'interfaccia con l'ambiente.
Nell'enunciare tali caratteristiche emerge come evidente che il
modello professionale, mai scomparso ma la cui presenza concentra26. Sainsaulieu, op. cit., 1977.
ta nelle unità produttive medie o piccole era occultata durante il periodo di espansione per la diffusione del modello tayloriano, riprende una sicura attualità. Esso fa appello a capacità la cui importanza
è ritornata in auge in relazione alla natura delle nuove esigenze produttive.
Da lungo tempo, nel modello professionale, la cooperazione produttiva è alimentata dalla condivisione dei codici propri del mestiere. Di fatto il modello professionale ha preparato le condizioni attuali della produzione mantenendo il legame tra la specificazione della
produzione e l'appropriazione delle esigenze di questa da parte dei
lavoratori della tecno-struttura e della gerarchia. È qui che il modello professionale si può trovare rivalorizzato nel momento in cui,
d'altra parte, si confronta con cambiamenti tecnici che mettono in
causa i mestieri sui quali un tempo si fondava. In tale contesto, la
transizione dai vecchi mestieri verso le professionalità in corso di
definizione è facilitata dall'affermazione delle prove di una appartenenza comune. Tutte le riaffermazioni del carattere duraturo di questa appartenenza contribuiscono ad assicurare i membri dell'impresa
ed a confermare l'identità collettiva che rischia, altrimenti, di essere
compromessa dai mutamenti. Questa riaffennazione può essere contenuta nelle risposte date alle questioni sollevate da tali mutamenti,
nel momento in cui si privilegiano la ricerca di coesione sociale intema per la scelta ed il controllo delle nuove tecnologie, il reclutamento, la qualificazione, la motivazione all'adattamento ed al perfezionamento attraverso la formazione teorica ed in situazioni concrete di lavoro.
5. L'ampiezza delle ricomposizioni
Insomma la possibilità di una appartenenza produttiva dipende
dalla organizzazione del lavoro e dalla eredità culturale degli attori
essi stessi interdipendenti.
L'organizzazione del lavoro è determinante per il grado di autonomia individuale e collettiva che essa definisce. I1 grado di autonomia individuale può essere concepito come la risultante di differenti
fattori fra i quali la natura dei compiti svolti o l'organizzazione dei
ruoli: più i compiti sono qualificati (tempi del ciclo rilevanti, esistenza di auto-regolazioni e di auto-controlli, diversità e complessità
dei prodotti fabbricati), più l'autonomia individuale è grande; più il
numero delle operazioni da effettuare è importante, più la modalità
attraverso le quali si connettono le operazioni è modulabile, più i
flussi fra le posizioni possono essere regolati dai lavoratori invece di
essere automatici e più l'autonomia individuale è grande. L'autonomia collettiva, quanto ad essa, aumenta con la polivalenza quanto'
più è regolata dall'équipe e non imposta dalla gerarchia. La modalità di definizione degli obiettivi e lo spazio di lavoro contribuiscono
ugualmente: più il periodo (mese, settimana, giorno, ora) entro il
quale sono fissati gli obiettivi è lungo, più esso permette una gestione dei tempi di lavoro e delle pause da parte dei lavoratori la qual
cosa accresce la loro autonomia; più la distanza fra le varie posizioni e la lunghezza delle linee ed i sotto-insiemi produttivi sono flessibili e più la composizione delle équipes è stabile, più l'autonomia
collettiva ne risulta rafforzata. È nelle situazioni in cui il lavoro è
più professionalizzato e aleatorio, che l'autonomia è più forte, e fornisce materia di dibattiti che generano e consolidano l'appartenenza
produttiva.
L'eredità culturale è sicuramente funzione delle storie individuali,
delle identità locali ed ideologiche, ma è anche ancorata nelle relazioni vissute sul lavoro. Le culture negoziali dei professionisti che
beneficiano per le loro competenze di un riconoscimento sociale che
dona loro lo spazio per affermare le loro differenze e negoziare le
loro alleanze li hanno predisposti ai mutamenti odierni, a condizione
tuttavia che essi supportino il passaggio dai mestieri tradizionali alle
professioni emergenti. Le culture funzionali ed rinunciatarie di coloro che professionisti non sono risultano, al contrario, sinonimo di
una solidarietà di resistenza o di opposizione ed hanno alimentato
comportamenti contrari alla cooperazione produttiva. Queste culture
sono state colpite dai mutamenti che si sono tradotti, fra l'altro, in
minacce per l'occupazione, in riduzioni degli aumenti generalizzati
dei salari, in una accentuazione dei divari tra categorie socio-professionali, in una diminuzione delle opportunità di mobilità, in una svalorizzazione del saper-fare acquisito attraverso l'esperienza a profitto dei 'saperi' astratti. Tutte queste trasformazioni, lungi dal modificarle hanno di fatto rafforzato le tendenze alla dipendenza, la preoccupazione della sicurezza, la paura della iniziativa, ed è in questo
stesso momento che l'impegno personale in un insieme collettivo
viene sollecitato.
Se si accetta questa prospettiva, il declino degli scenari partecipativi, sia che questi siano circoscritti ai reparti come i gruppi di
espressione o i circoli di qualità, sia che siano proposti per l'impresa
nel suo insieme come i progetti di impresa, si spiega allorché essi
lasciano immutati i principali ostacoli alla partecipazione che sono
la povertà di compiti e le limitazioni dei saperi. Nelle imprese del
modello tayloriano, ed in Francia particolarmente, l'incapacità a delineare un circolo virtuoso che consenta la coesistenza di una organizzazione del lavoro più qualificante ed un apprendimento culturale, potrebbe dar luogo ad un circolo vizioso: la delusione di fronte al
declino dei tentativi partecipativi potrebbe rafforzare la chiusura in
un "taylorismo assistito dal calcolatore"27.
Le nuove condizioni di produzione implicano adattamenti differenziati che seguono i modelli di impresa sui quali si innestano.
I1 succedersi dei processi sociali di internalizzazione delle nuove
esigenze evidenzia che certi principi, unanimemente riconosciuti come importanti in un nuovo modello produttivo, quale quello che
consiste nell'assicurare una qualità elevata ad un costo ragionevole,
si declinano differentemente a seconda dei modelli sui quali essi
vengono and innestarsi.
Nel modello tayloriano, il vincolo consiste nell'abbinare la diversificazione dei prodotti con la limitazione dei costi. In caso di domanda sostenuta sul lungo periodo e di cicli produttivi estesi le economie di scala restano importanti. La concentrazione e la specializzazione delle attività sono destinate a crescere di importanza ad opera del mercato, la qual cosa condiziona l'ampiezza dell'automatizzazione, essa stessa fattore di compressione di costi. La produzione di
massa può essere rilanciata su un numero di attività ristretto ed una
gamma di prodotti più differenziata ottenuta attraverso modificazioni finali apportate ad insiemi di componenti standardizzati. In tale
configurazione è possibile parlare di flessibilità dinamica28 o di automatizzazione flessibile29. Nel modello professionale, il vincolo insiste piuttosto sulla specificazione del prodotto in mercati instabili in
cui la reputazione e l'attitudine tecnica contano più che il prezzo
praticato per clienti il cui numero è ridotto e con i quali vengono intrattenuti legami durevoli. In questo caso, è possibile parlare di specializzazione flessibile30.
27. Coriat B., L'atelier et le robot, Bourgois, Paris, 1990.
28. Coriat B., Flexibilité technique et production de masse. De la spécialisation
fiexible à la jlexibilitédynamique, Comunication au colloque Intemational sur la
théorie de la régulation, Barcelone, 1988.
29. Aglietta M. e1 alii, op. cit., 1989.
30. Piore M.J.-Sabel C.F., The Second Industrial Divide, Possibility for Prosperity, New York, Basic book, 1984.
Se le monografie non consentono in alcun modo di pronunciarsi
sulla ponderazione rispettiva, esse indicano che le politiche seguite
dalle imprese non possono essere ricomprese in una di queste strategie; esiste piuttosto una coesistenza di tali strategie in funzione dei
modelli da cui sono nate le imprese. L'importanza della dimensione
diacronica non può essere dimenticata in un approccio sincronico.
Le nuove coerenze che vengono cercate non possono essere affrontate senza tenere conto dei modelli ai quali le imprese si sono avvicinate nella loro storia. Portata e limiti dei cambiamenti non possono dunque essere compresi qui per riferimento alle caratteristiche
delle strutture preesistenti.
La messa in prospettiva storica propria a ciascuna impresa trova
una rispondenza anche a livello più generale.
Alla fine del diciannovesimo secolo ed alle soglie del ventesimo
si è operata una scelta sociale tra due concezioni di produzione di
beni; il modello tayloriano si è imposto a scapito del modello professionale. I1 modello professionale, fondato sulla produzione di mestiere, cercava il miglioramento dell'espressione produttiva. I1 progresso tecnologico poteva rafforzare la qualificazione operaia permettendo di dedicare delle competenze professionali alla realizzazione di prodotti più vari grazie a macchine dagli utilizzi multipli.
Con tecnologie che facilitano i cambiamenti di serie rapidi e poco
costosi nell'ambito di una stessa 'famiglia' di beni ed i cambiamenti
nei materiali lavorati e nelle operazioni effettuate, si trattava di produrre gamme estese di prodotti per mercati molto differenziati. I1
modello tayloriano è stato elaborato a partire da una volontà di riduzione dei costi con l'avvento della produzione di massa. I1 progresso
tecnologico, pertanto, rendeva possibile la sostituzione del saper fare
operaio con attrezzi, le attività manuali scomposte in compiti semplici potevano essere effettuate con macchine specializzate dotate di
una grande affidabilità e rapidità di esecuzione ed una possibilità di
apprendimento accelerato. Si trattava di produrre volumi considerevoli per soddisfare segmenti di clientela determinati fondandosi sul
coordinamento manageriale per la progettazione e la programmazione dei compiti e dei flussi. I costi fissi elevati erano compensati da
una riduzione dei costi unitari in relazione all'aumento delle quantità prodotte, la qual cosa spingeva ad una stabilizzazione del mercato come del lavoro.
Si era instaurato un dualismo industriale, nel quale il modello
professionale è sopravvissuto rimanendo largamente occultato dalla
diffusione del modello tayloriano. La produzione di mestiere si è
collocata in un ruolo complementare rispetto alla produzione di
massa con la quale la dinamica dello sviluppo veniva identificata.
I1 nuovo sistema di performance industriale obbligava la ricerca
di un compromesso fra preoccupazione per la produttività, privilegiata nel modello tayloriano, e preoccupazione per la flessibilità,
privilegiata nel modello professionale. Un ventaglio di possibilità
tende così ad aprirsi:
- i due modelli si oppongono di meno di quanto non costituiscano i
due poli di un insieme unico che poteva essere definito "'industrializzato" e "deindividualizzato~~~~,
dato che insiemi di prodottiservizi sempre più differenziati si sono realizzati seguendo norme
industriali; fra questi due poli si sviluppano modelli misti;
- le forme di flessibilità sono diverse e le imprese hanno margini di
manovra per decidere le forme da adottare. Per le imprese che
hanno optato, interamente o parzialmente, per la flessibilità qualitativa, alimentata da differenti modalità partecipative, le nuove
esigenze produttive si traducono nella ricerca di comportamenti
lavorativi che presuppongono l'esistenza di una appartenenza produttiva. I1 consenso è chiamato a rimpiazzare tendenzialmente il
controllo gerarchico reso inoperante dalla natura delle capacità da
mobilitare.
Ciò spiega un capovolgimento: il modello professionale, per lungo tempo considerato come una sopravvivenza del passato destinato
a scomparire, si trova ad essere rivalorizzato dalla riserva culturale
di appartenenza che dimostra di detenere. Esso eredita solidarietà
produttive fondate sul mestiere che, anche se devono evolvere, rappresentano acquisizioni la cui utilità viene di nuovo esercitata. Nel
modello professionale, sia l'eredità culturale degli attori che la struttura della organizzazione del lavoro generano forme di appartenenza
produttiva. I1 modello tayloriano, al contrario, eredita forme di solidarietà strutturate attorno all'opposizione ed alla protezione, che sono per larga parte antinorniche con quelle richieste oggi. È in questo
senso che il modello professionale ritorna di attualità nelle condizioni moderne della produzione. Nuovamente occorre intendersi bene
sul significato di questa riattualizzazione industriale. Non si tratta di
un ritorno ad un modello precedente ma di una riattualizzazione di
alcuni dei suoi principi sotto una forma inedita e che rimane ancora
da esplicitare. Se la parte dei lavoratori non qualificati diminuisce
31. D'hibarne A,, "Nouveau modèle d'enterprise et contexte national", in Emploi, croissance et compétitivité, op. cit., p. 108.
nell'ambito della popolazione operaia, la totalità delle occupazioni
operaie non è certo in via di riprofessionalizzazione; sono piuttosto i
comportamenti richiesti, sia ai lavoratori professionalizzati sia ai lavoratori senza professionalizzazione, che si avvicinano a quelli posti
in opera tradizionalmente nell'universo professionale. La riattualizzazione del modello professionale fa più riferimento alla pertinenza
dei comportamenti legati al modello 'autonomia-iniziativa-percezione globale del processo' che al contenuto dei mestieri nei quali questo modello si incarnava dal momento che questi si trovano sconvolti dall'innovazione tecnologica.
Riprendendo le categorie di Simmel32 la forma di sociabilità propria al tayloriamo può essere interpretata come un impegno limitato
alla prestazione, liberatore di fronte alla dipendenze personali, ed un
riconoscimento reciproco che concorre all'astrazione crescente delle
relazioni sociali. I limiti di questa forma di sociabilità sono generatori di reazioni manageriali tendenti a suscitare un'adesione mediante culture o progetti di impresa. Puntando ad un impegno della persona nella sua interezza che trascura la presa in carico delle acquisizioni della individualizzazione, queste ritrovano l'ispirazione olistica
già presente nella storia delle imprese attraverso il patronage ed il
patemalismo33.
I1 problema posto dalla nozione di appartenenza produttiva è
quello della emergenza di un'altra forma di legame sociale nell'impresa. Si tratta di una forma di sociabilità che concilia conoscenza
reciproca ed impegno nella prestazione che consentirebbe di vivere
nella sfera economica delle implicazioni personalizzate, pur lasciando spazio alle differenze. La qual cosa presuppone che sia garantita
nell'impresa l'espressione di una pluralità di interessi34. Questa for32. Sirnrnel G., Philosophie de l'argent, Press Universitaire de France, Paris,
1987.
33. Tixier P.E., ha presentato, a titolo di ipotesi esplicativa, una caratterizzazione del modello post-razionale che si iscrive in tale tendenza. Cfr.: "Légittimité et
models de dornination dans les organisations", in Sociologie du Travail, XXX, n.4,
1988; e Meauchamp N. o Noiriel G. ci ricordano le forme assunte dal protezionismo e dal paternalismo. Cfr. Meauchamp N,, Paternalisme et sortie du paternalisme au Creusot, Travaux sociologiques du Isci, n. 19, Paris, Crrs-Iresco. Noiriel G.
"Du patronage au paternalisme: des formes de domination de la main d'oeuvre dans
l'industrie métallurgique", in Le mouvement social, n. 44, Julliet-septembre 1988.
34. Questo excursus di ricerca è un poco esplorato in: Laville J.L., Economie et
solidarité. Contribution à une approche sociologique de l'économie, Thèse d'Université, Institut dlEtudes Politiques de Paris, 4 tomes, 1992.
ma di sociabilità trova eco in altre recenti ricerche che evocano un
contesto propizio alla "affermazione di legami concreti fondati su
una realtà" ed "una implicazione limitata" o ad un "movimento non
regressivo di messa in comune dei rapporti di produzione nella misura in cui questo sarebbe il prodotto di un compimento della socializzazione anziché esserne la negazionen35. Una tale modificazione
dei rapporti sociali interni alle imprese farà sorgere certamente degli
interrogativi, in particolare porrà in modo più acuto la questione della esclusione dal lavoro. Se l'impresa produce legami sociali in un
contesto di ripiegamento civico e di anomia sociale, essere disoccupati di lunga durata non significa essere largamente esclusi da tale
sociabilità?
35. Secondo Ion G., "Lien social, groupements volontaires et représentation", in
Le lien social, Actes du XIIIe Colloque de 1'Association intemationale des sociologues de langue francaise, Genève, Tome I bis, p. 486.
36. Secondo Segrestin D., La réabilitation de l'entreprise. Un point de vue sociologique, Thèse d'Etat, Institut d'Etudes Politiques, Paris, Document n. 2, Essai
Inedit, pp. 126-127.