fata: fuoco acqua terra aria - Parco della Murgia Materana

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fata: fuoco acqua terra aria - Parco della Murgia Materana
FATA: FUOCO ACQUA TERRA ARIA
ENERGIA: UN CAMMINO NEI TEMPI, NEI LUOGHI, TRA GLI UOMINI
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Energia, mostra, allestimento
e comunicazione visiva
Il progetto Energia è caratterizzato da performance, musica, grafica, recupero e reinterpretazione
di tradizioni popolari (orali e materiali), installazioni, arte visiva. Il lavoro è nato dalle ricerche
personali di quanti sono coinvolti nell’iniziativa,
e da suggestioni letterarie, filosofiche, artistiche,
delle quali si riportano frammenti, citazioni, echi.
Molte e diverse sono le forze creative coinvolte, e
tutte provengono dal nostro territorio. La responsabilità che questo progetto si è assunto, infatti,
è la creazione di una relazione forte fra gli artisti,
e fra gli artisti e il territorio, invitato ad avere un
ruolo attivo, “politico” nei percorsi proposti. Nella prassi relazionale, da cui si prende ispirazione
nelle forme e nelle modalità di sperimentazione e
attuazione, l’artista si concentra sulle possibilità
della persona: i sentimenti, le passioni, i sogni, le
motivazioni, i valori, l’etica, l’attività degli individui. L’arte diviene attivazione di processi in grado
di interpretare e trasformare i luoghi i tempi gli
uomini. L’arte interroga se stessa e gli uomini sulla finalità dell’opera, individua nella relazione una
modalità poetica estetica e pratica di condivisione, di approfondimento, di suggestione.
Questi pensiamo possano essere gli strumenti con
cui leggere la complessità del progetto Energia.
(Mauro Bubbico)
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Sosta 1. Il tempo del buio
I luoghi della guerra, la vita degli uomini
Possono le immagini di guerra contrastare l’orrore? Esiste un antidoto contro l’eterna seduzione esercitata dalla guerra? Susan Sontag in
Davanti al dolore degli altri inizia una riflessione sul modo in cui le
immagini influenzano la nostra percezione della realtà; si interroga
sul significato e sull’uso delle immagini pittoriche o fotografiche, visioni di orrore e crudeltà, tentando una risposta: più di tutto può fare
l’arte per la sua peculiarità di essere sintesi e percezione profonda e
originale della sensibilità morale dell’artista.
Valga per tutti un unico esempio: I disastri della guerra, ottantatré
acqueforti che Goya realizzò all’inizio dell’Ottocento raffiguranti le
atrocità perpetrate dai soldati di Napoleone nel 1808 in Spagna per
soffocare la rivolta contro il dominio francese. La guerra non è uno
spettacolo, ogni immagine è accompagnata da una didascalia che
non è neutra e informativa, da una data e un luogo, come avviene
con la fotografia, ma accentua l’orrore rappresentato, raggiungendo
un effetto cumulativo devastante.
fanno i buffoni: il primo, con un’enorme ferita allo stomaco, è a cavalcioni del secondo che giace prono e ride di un terzo che, inginocchiato, gli sventola scherzosamente in faccia un lembo di carne. (...).
Questi morti mostrano un estremo disinteresse per i vivi: per quelli
che hanno loro tolto la vita, per i testimoni – e per noi. Perché mai
dovrebbero cercare il nostro sguardo? Che cosa avrebbero da dirci?”
(Susan Sontag)
Noi che non abbiamo vissuto niente di simile non possiamo capire,
non possiamo immaginare quanto è terribile e terrificante la guerra:
“Questo è quello che pensano tutti i soldati, e tutti i giornalisti, gli
operatori umanitari, gli osservatori indipendenti che sono ripetutamente esposti al fuoco e hanno avuto la fortuna di eludere la morte
che ha falciato chi stava loro vicino. E hanno ragione.” (Susan Sontag)
La guerra della gente qualsiasi, legata alla terra
Mauro Bubbico
(foto dell’Associazione dei Caduti e Dispersi in Guerra)
Trenta riproduzioni (30x40 cm) di ritratti di soldati caduti in guerra
vengono raffrontate con altre 30 immagini di animali, messe in
relazione o suggerite dalle prime.
I disastri della guerra. Le 83 incisioni di Francis Goya
Michele Colonna e Gianfranco Maiullari -16’ (2007)
Il video mostra la sequenza di ottantatrè acqueforti di
Goya; una voce femminile fuori campo le commenta, un’altra maschile ne legge le didascalie
Tra le immagini fotografiche capaci di spingere ad opporsi attivamente alla guerra: Dread Troop Talk. A Vision After an Ambush of a Red
Army Patrol Near Moqor, Afghanistan, Winter 1986 (Soldati morti parlano. Visione dopo un’imboscata a una pattuglia dell’Armata Rossa
vicino Moqor, Afghanistan, Inverno 1986) di Jeff Wall (1992). Wall si
immagina l’orrore della guerra in una ricostruzione da museo delle cere di tredici soldati russi in pesanti uniformi. Sono come morti
resuscitati dopo il massacro, sono immersi in un atmosfera calda,
conviviale e cameratesca.
“Alcuni sono stravaccati, appoggiati su un gomito, o siedono a chiacchierare, con il cranio scoperchiato e le mani distrutte in bella mostra. Un uomo si china su un altro disteso su di un fianco e come
addormentato, forse per incoraggiarlo a mettersi seduto. Tre uomini
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Perché questi animali non sono all’altezza delle mie aspettative? […]
In qualunque maniera guardiate questi animali, anche l’animale è incollato alle sbarre, a meno di un metro da voi, con gli occhi rivolti
al pubblico, voi state guardando qualcosa che è stato reso assolutamente marginale, e tutta la concentrazione di cui siete capaci non
basterà mai a ridargli centralità. […] Zoo, giocattoli zoomorfi e la
massiccia diffusione commerciale di fotografie di animali: tutto ebbe
inizio quando gli animali cominciarono ad essere eliminati dalla vita
quotidiana. (John Berger)
L’impressione che sia una guerra “senza faccia” non è certo dovuta alla
mancanza di volti straziati. E’ creata dal fatto che quei volti ci appaiono come elementi di una massa anonima. Così ci vengono presentati.
Sono annunciati con dei numeri. [...] Nella nostra civiltà delle immagini le guerre sono state riassunte da alcune fotografie che guardate
anche dopo anni ci riportano in Algeria, in Vietnam, in Irlanda [...].
ma nessuna riassume la tragedia irachena. Come se, appunto, quella
guerra non avesse “una faccia”. Come se i corpi straziati dalle bombe
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non avessero una storia. Non meritassero di essere raccontate. Non
avessero un nome.
(Bernardo Valli, La Repubblica, 08.02.2007)
Sono sufficienti queste immagini per stimolare in modo attuale una
riflessione sulla guerra, sulla violenza, sulla scomparsa degli animali
dal territorio dove le città, le vie di comunicazione, i villaggi turistici
hanno completato l’opera iniziata con la Rivoluzione Industriale?
Forse sì: le fotografie sono simulacri ma ci costringono a spostare
l’attenzione da una massa indistinta di informazioni all’essere umano, da un mondo animale ormai lontano a quegli occhi che osservano
noi, che abbiamo interrotto l’intimità e il rispetto con la natura. Le
foto dei soldati sono fortemente ritoccate, ci inteneriscono, mettono
in mostra visi sfuocati, imbellettati come sul letto di morte, affinché
i parenti ne conservino un buon ricordo. Quanti ne avranno ammazzati prima di essere uccisi? Non lo sappiamo, ma sono comunque
vittime, i carnefici siedono fra i mandanti della guerra. All’opposto, le
foto pulite, nitide, vivide degli animali selvatici quasi ci mettono a disagio, ci intimidiscono con la forza dei colori. Non è nostalgia di una
Età dell’oro mai esistita, non è il mito del Buon Selvaggio, ci stiamo
chiedendo dove sono gli uomini? Dove sono gli animali? Perché siamo
in un momento cruciale per lavorare su una nuova azione culturale.
Didascalia a La guerra dei mezzo cresciuti.
La guerra va preparata adeguatamente, i cittadini non sono “naturalmente” portati ad aderirvi. Non stupisca: non si sono mai viste mille
volpi attaccare insieme un allevamento di pollame, anche in tempi
non sospetti.
Servono bugie, campagne di disinformazione di massa, blandizie e
promesse di green cards, perfino l’arruolamento coatto e la galera per
i più ostinati.
I cittadini vanno portati in guerra. Per il re o per la patria, per Dio o
per l’Onu, per la democrazia o per i diritti umani (…).
Il fatto è che le guerre non le hanno mai dichiarate i cittadini o il
popolo. Sono sempre state volute, osannate, finanziate, decise dalle
classi dominanti (chi ha soldi e potere per intenderci). Poi, ad ammazzare e farsi ammazzare ci hanno sempre mandato i figli dei poveri. Non a caso, tra le truppe dell’esercito USA in Iraq, il cognome più
diffuso è Gonzales. (Gino Strada)
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Sosta 2. Il tempo della luce
I luoghi della pace, la vita degli uomini
Blocca il tempo!
Cinefabrica
È un’opera collettiva sul tema della scomparsa del vicinato. Il progetto
coinvolgerà il quartiere più problematico di Potenza: Rione Cocuzzo,
quartiere dormitorio ed ecomostro costruito in cima ad un colle; è il
quartiere simbolo dell’architettura aberrante degli anni ‘70, enormi
edifici appoggiati uno sull’altro, senza spazi verdi e luoghi d’incontro
per i cittadini.
Simbolo di questo rione è un lungo fabbricato di case popolari, ribattezzato “il serpentone”, di circa 300 metri che si adatta al crinale della
collina con i suoi 13 piani a far da barriera.
A Matera invece verrà coinvolto il borgo rurale sperimentale de La
Martella, sorto negli anni ’50, a 7 chilometri da Matera: di concezione
Olivettiana, esempio dell’urbanistica più avanzata di quel periodo,
ispirata nelle forme strutturali e funzionali dell’architettura scandinava, fu uno dei 3 quartieri creati per trasferire i contadini dai Sassi.
Come per le raccolte di beneficenza, le persone saranno chiamate a
donare un loro vestito: un sacchetto giallo verrà lasciato nelle cassette postali accompagnato da un volantino-invito: “Bloccare il tempo”
è un’opera collettiva a cui sei invitato a partecipare donando un tuo
indumento dismesso ed in buono stato: abito, giacca, maglione, pantalone, camicia, gonna, etc., possibilmente completo di gruccia. La
raccolta verrà effettuata da un gruppo di collaboratori del Progetto
Energia e sarà allestita sotto forma di opera d’arte dal 6 al 26 di ottobre 2007 negli ipogei di piazza San Francesco a Matera. Mettere il
sacco in vista e ben chiuso.
Didascalia dell’opera
La capacità dei vestiti donati dalle famiglie è quella di raccontare storie individuali e collettive. Come Christian Boltansky con le sue opere
cerca di ridare voce, attraverso vecchi oggetti e indumenti, a coloro
che una volta li hanno posseduti, in questo lavoro i vestiti vengono
sottratti al ciclo della merce per essere esposti in una opera collettiva
sulla nostalgia del Vicinato.
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Animali di grano germogliato
(gli animali del paradiso)
Vito Lospinuso
SOSTA 3. Il tempo del consumo spreco
I luoghi del non sostenibile, i comportamenti insostenibili
appositamente realizzati in terracotta da un giovane ceramista locale, sono ispirati al mondo animale e all’arte effimera barocca dei carri
trionfali e delle casse armoniche.
I piatti ancora oggi vengono preparati nelle case e portati in chiesa
per l’addobbo durante la Settimana Santa.
Quattro famiglie di terracotta con grano germogliato, rappresentanti
la faina, la pecora, il riccio e l’istrice, ed ognuna formata da 7 elementi, verranno prima esposti negli ipogei, a significare il loro ritorno
per riprendersi il territorio da cui un tempo sono stati spodestati, in
seguito saranno portati in corteo dai bambini.
Market Signs, archeologia dei consumi
Mauro Bubbico
Disfarsi dei rifiuti significa confonderli con gli elementi della nostra
immagine del mondo. Le soluzioni adottate per l’eliminazione dei rifiuti ci riportano ad una concezione mitologica del mondo fondata
sui quattro elementi primordiali: terra, acqua, aria e fuoco. Le tecniche adottate per allontanare i rifiuti da noi sono le stesse applicate
anticamente al corpo degli estinti accompagnando la separazione
con un preciso rituale: si seppellisce o si crema il cadavere e si affidano le ceneri alle correnti dei fiumi e dei mari, oppure le si disperdono
nel vento.
Terra: i rifiuti sono montagne e non ritornano mai alla terra. L’humus
non si avrà mai da prodotti confezionati, articoli usa e getta di plastica, da circuiti elettronici, da additivi e generanti chimici.
Aria: frammenti di cielo, nuvole trasportate dal vento.
Il cielo degli antichi segnava i confini dell’universo, formato da una
serie di sfere cristalline di purezza crescente, che avvolgevano la terra.
L’uomo ha perforato quei confini cristallini riversandovi rifiuti.
Acqua: il potere purificatore dell’acqua. Ai corsi d’acqua, al mare e agli
oceani è da sempre affidato il ruolo di corpo recettore, depuratore di
larga parte dei rifiuti prodotti.
Fuoco: lingue di fuoco avvolgono e divorano tutto, la combustione
dei rifiuti dell’era industriale genera scorie ed emissioni dannose. Il
fuoco non trasforma i rifiuti in aria, bensì la inquina. (Guido Viale)
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SOSTA 4. Il tempo del consumo intelligente
I luoghi della piacevolezza, il vivere in simbiosi
SOSTA 5. Il tempo del rumore
I luoghi del caos, il rapporto con i suoni
Biodiversità di Roberto Picerno e Silvio Lorusso
Loop di Murgia
Concerto di Pino Basile con Tommaso Carafiglio
Allora, dovunque si andasse, avevamo sempre rami e fronde tra noi
e il cielo. L’unica zona di vegetazione più bassa erano i limoneti,
ma anche là in mezzo si levavano contorti gli alberi di fico, che più
a monte ingombravano tutto il cielo degli orti, con le cupole del
pesante loro fogliame, e se non erano fichi erano ciliegi dalle brune
fronde, o più teneri cotogni, peschi, mandorli, giovani peri, prodighi
susini, e poi sorbi, carrubi, quando non era gelso o un noce annoso. Finiti gli orti, cominciava l’oliveto, grigio-argento, una nuvola
che sbiocca a mezza costa. In fondo c’era il paese accatastato, tra il
porto in basso e in su la rocca; ed anche lì, tra i tetti, un continuo
spuntare di chiome di piante: lecci, platani, anche roveri, una vegetazione più disinteressata e altera che prendeva sfogo – un ordinato
sfogo – nella zona dove i nobili avevano costruito le ville e cinto di
cancelli i loro parchi. Sopra gli olivi cominciava il bosco. I pini dovevano un tempo aver regnato su tutta la plaga, perché ancora s’infiltravano in lame e ciuffi di bosco giù per i versanti fino sulla spiaggia
del mare, e così i larici. Le roveri erano più frequenti e fitte di quel
che oggi non sembri, perché furono la prima e più pregiata vittima
della scure. Più in su i pini cedevano ai castagni, il bosco saliva la
montagna, e non se ne vedevano i confini. Questo era l’universo di
linfa entro il quale noi vivevamo, abitanti d’Ombrosa, senza mai
accorgercene. (Italo Calvino)
Tamburelli, chitarre, loop e cupa cupe
Gli strumenti a percussione utilizzati sono quelli comunemente usati
da sempre per le sessioni musicali popolari del sud Italia: il Tamburrello e la Cupa cupa. A volte sono adattati e potenziati per esigenze
d’esecuzione ma la logica ed il modello di partenza sono quelli rilevati
‘sul campo’: strumenti fatti con materiale povero e di riciclo, più che
altro ciò che si ha a disposizione. Alcuni di essi possono essere considerati veri e propri strumenti effimeri. e dall’effimero al discount il
passo è breve.
Dalla cultura del recupero, all’abitudine del monouso, ma parliamo
di musica o di detersivi? Da contraltare la presenza di chitarre, processori ed altre tecnologie, anch’esse molto effimere e da discount.
Con la complicità della messa in scena, verranno messe in relazione
entità spazio/temporali di diversa natura e provenienza, in una sorta
di viaggio nel retrobottega del villaggio sonoro globale.
Mamix di Angelica Fojtuch -durata 5’ (2005)
Mamix è un video realizzato da Agelica Fojtuch una giovane performer polacca sul tema della maternità. L’opera è ispirata a un ricordo
della sua infanzia quando, periodicamente, al ritorno a casa del padre
marinaio, le piaceva saltare sulle sue ginocchia e giocare con il suo
braccio facendo finta fosse una bambola, una bambola viva e pulsante di sangue vero. È la ricostruzione di un gioco che nel video viene
riproposto come desiderio di diventare madre, ma anche come paura
di generare un figlio indesiderato o malformato.
Àtklés Kovacs Ivo -durata 6’ (2005)
Àtlekés è un breve film di animazione realizzato da Kovacs Ivo un giovane artista ungherese. Nascere dal ventre vivo della terra, ripercorrere le liquide architetture amniotiche prima di vedere la luce, respirare
l’aria celebrando il liberatorio rito della nascita.
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SOSTA 6. Il tempo dei suoni
I luoghi della tranquillità, il piacere dei non rumori
Sosta 7. Il tempo della nebbia
I luoghi del non respiro, la privazione
Macina & Macinino, il mulino neolitico
Antonio Nobile e Oleificio Lacertosa
Good 50x70.
Il progetto che serve alla comunicazione sociale
200 poster sui temi dell’AIDS, violazione dei diritti umani,
guerra, sottosviluppo e degrado ambientale.
Mostra a cura di Pasquale Volpe con la collaborazione di Tommaso
Minnetti e delle Associazioni no-profit Amnesty International, Amref,
Emergency, Greenpeace, Lila, si è avvalso dell’endorsment di Icograda,
Beda, Adi Lombardia e Aiap.
Bastano due pietre per sperimentare il primo sistema per macinare il
grano. La farina che fa lievitare il pane è sostanza,
Obiettivo primario era quello di evidenziare l’importanza della
comunicazione sociale e il suo concreto sostegno, sensibilizzando
l’opinione pubblica e chi opera e studia nel settore.
I creativi di tutto il mondo sono stati chiamati a ideare dei poster,
affrontando cinque problematiche di interesse globale identificate
dall’ONU: AIDS, violazione dei diritti umani, guerra, sottosviluppo e
degrado ambientale.
Dal 10 marzo al 13 maggio 2007, i partecipanti a questa prima edizione di Good 50x70 hanno inviato i propri lavori al sito appositamente
ideato per l’iniziativa, proponendo soluzioni alternative in totale
libertà, affrontando una o più delle cinque tematiche sociali.
I poster pervenuti, 1.659 in tutto, sono stati valutati e selezionati da
una giuria composta da designer di fama mondiale: Timo Berry (Finlandia), Yossi Lemel (Israele), Alain Le Quernec (Francia), Luba Lukova (USA), Chaz Maviyane-Davies (Zimbabwe), Armando Milani
(Italia), Woody Pirtle (USA), Shigeo Fukuda (Giappone), Massimo
Vignelli (USA) e Lourdes Zolezzi (Messico). Duecento le opere scelte
dalla giuria: per ogni categoria tematica sonostati individuati dieci
vincitori ex-aequo e trenta menzioni speciali.
Good 50x70, oltre ad offrire un contenitore di comunicazione gratuita alle associazioni no-profit partecipanti, si propone come un
laboratorio nel quale una libera creatività possa misurarsi alla luce
dell’esperienza con temi importanti e cruciali, al fine di incidere realmente nella società e diventare motore di cambiamento.
Good 50x70 è una mostra itinerante. Good 50x70 è una serie di seminari e workshop.
Good 50x70 è un catalogo che raccoglie le 200 opere selezionate.
Good 50x70 è un un’asta su ebay. Good 50x70 è Good!
www.good50x70.org
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SOSTA 8. Il tempo dell’aria pulita
I luoghi del camminare, la libertà del percorrere
Costruzione del capanno della “Cortaglia”
Museo della Civiltà Contadina di Montescaglioso.
Le nuove generazioni sono le generazioni della tecnologia, la generazione dei cinquantenni è stata l’ultima generazione della tecnica. Le
nuove generazioni non sono “ladri di frutta, branchi di piccoli vagabondi che assaltano le ciliegie”, né costruiscono capanni sugli alberi
come nei fumetti di Tarzan o Black Macigno. La memoria, per essere tramandata, va narrata con la poesia e sperimentata sul campo. In questo evento collettivo, immaginando una improbabile fine del
mondo che ha risparmiato solo i bambini, un gruppo di adolescenti,
guidati da quattro anziani del Museo della civiltà contadina di Montescaglioso, costruiscono l’Ucciarola, il capanno, ricovero temporaneo
dei pastori durante la “Cortaglia” tecnica di stabbiatura (concimazione) del terreno utilizzando gli ovicaprini; durava circa 40 giorni e si
effettuava sui campi da destinare alla semina, spostando ogni sera la
posizione dei recinti mobili. Il capanno, munito di ruote, successivamente costituirà il centro della
“Malaparata” Teatro vagante per le vie cittadine.
Robusta corda costruita da crine di cavallo
Con crine di cavallo, lunghe al massimo venti centimetri si intreccia
una potente corda di venti metri. È l’ennesima magia del massaro. Dal
vivo gli animatori del Museo della civiltà contadina di Montescaglioso dimostrano la loro tecnica, fanno la loro magia.
il corteo.
Tradurre in oggetti reali le visioni fantastiche del passato, utilizzare il
corpo per dare vita alla materia apparentemente inanimata, lasciarci
trasformare dalla materia stessa: tutto questo ci conduce all’arte e al
senso della creazione.
La tradizione ci ha inseguiti nel presente con figure fantasiose, attribuendo a ciascuna di loro un significato, un rimando, che possiamo
leggere e tradurre con il linguaggio che ci appartiene.
Le fate, abitatrici di boschi, delle grotte, delle rive dei fiumi, venivano
considerati esseri ben disposti nei confronti degli esseri umani, che
aiutavano nei lavori di casa, di cui proteggevano i tesori. Le streghe,
invece, maligne e dall’aspetto caricaturale, attaccavano i bambini e
distruggevano la filatura e la tessitura faticosamente lavorate durante il giorno.
I fauni, diavoletti, conigli e i monacelli erano spiritelli dispettosi, intrecciavano capelli e davano pizzicotti, lanciavano oggetti di ogni
genere senza mai farsi prendere, evitando così di doversi togliere il
cappello ed essere obbligati a svelare il luogo dove era nascosto il
tesoro.
Il gallo, il cavallo e il serpente sono i tre animali più diffusi negli
intagli lignei del Materano e sono riconducibili rispettivamente al
simbolismo dell’aria, della terra e dell’acqua. Il gallo, in particolare,
annunciatore del sole e della luna, che con il suo canto scaccia gli
spiriti notturni, è simbolo di fermezza e di vigilanza.
Laboratorio teatrale per la costruzione
di una Parata di strada
Andrea Santantonio, Nadia Casamassima e Rita Felicetti
La finalità principale del corteo è quella di riprendersi la strada dalle
automobili. Il corteo verrà preparato durante un laboratorio teatrale
di tre giornate e sarà concepito come l’insieme di una processione
religiosa, una manifestazione politica e una sfilata carnevalesca.
Il corteo farà 5 fermate, ad ogni sosta di un quarto d’ora un poeta, su
una piccola panca, decanterà con enfasi le sue poesie ad alta voce. Le
poesie, stampate su un volantino, verranno regalate al pubblico.
Altri personaggi ed oggetti ispirati alla cultura popolare compongono
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SOSTA 9. Il tempo dell’acqua
I luoghi del produrre, il senso del valore dei beni
Gli orti e le autoproduzioni
Per migliorare la qualità della vita occorrono scelte esistenziali, un
cambio culturale che da una parte ci porti alla cura dei figli e all’assistenza degli anziani e dall’altra riduca l’uso delle merci che generano
un forte impatto ambientale.
Occorre, in sostanza, un atteggiamento di sobrietà nei consumi
dell’energia e nell’acquisto di merci, in funzione dei bisogni reali e
non di quelli indotti. Bisogna favorire le autoproduzioni e lo scambio
non commerciale delle merci basato sul dono e la reciprocità. Per
molti si tratta di non perdere un comportamento virtuoso ben vivo
nelle realtà locali della nostra regione, dove possedere un oliveto e un
orto per la soddisfazione dei bisogni essenziali è una prassi consolidata anche nelle giovani generazioni. Autoprodurre frutta e verdura
significa riscoprire un sapere e un saper fare dimenticato, conquistare l’indipendenza dalle leggi del mercato.
Si può ridurre l’inquinamento dell’aria dovuto al trasporto, la quantità
di imballaggi da smaltire, e non si stimola un mercato che per vendere deve accrescere sempre più la produttività a danno dell’ambiente.
Se in una famiglia la produzione è maggiore, le eccedenze si donano
o si mettono in vendita esponendo la merce su una sedia fuori dalla
porta. Il dono e la reciprocità rinforzano i legami tra le persone di una
stessa comunità e mantengono vivi i rapporti di vicinato.
Compra da me. Gli orti e le autoproduzioni
Mauro Bubbico, Michele Colonna e Gianfranco Maiullari -10’ (2007)
Il video mostra una serie di sedie poste all’ingresso di case, con ortaggi e frutta in esposizione. L’audio trasmette le voci tipiche dei mercati
rionali, i commercianti (le sedie in questo caso) esaltano e bandiscono la loro merce al miglior prezzo, sul fondo il vociare degli acquirenti, frammenti di conversazioni dialettali e rumene.
della fabbricazione del pane, dalla semina fino alla distribuzione, e
la comunicazione che si instaura così fra uomini molto lontani tra
loro nello spazio, a partire da un unico elemento: il chicco di grano.»
(Manoel de Oliveira)
Il film, che è un documento sul pane, sulla sua lavorazione, sulla sua
consumazione e sulla sua simbologia, ha un formidabile senso ritmico, quasi musicale. Ma anche qui vi sono dei momenti in cui sembra
di tornare al senso di scoperta che caratterizzava il cinema delle origini. Penso ad esempio all’immagine di una signora che impasta il pane
in un grande recipiente, noi vediamo le sue braccia lavorare la pasta
e ci meravigliamo nello scoprire le traiettorie che fa fare all’impasto;
è uno dei momenti più belli del film, proprio perché il cinema riesce
a cogliere un gesto, un movimento oggettuale e a rendercelo nella
sua unicità; il cinema diventa lezione di sguardo e anche scoperta del
mondo (in modo bressoniano). Il cinema come scoperta fenomenica
ottenuta attraverso il guardare, quasi meccanismo scientifico, prima
che affabulatorio; lo si apprezza allo stesso modo in cui i primi spettatori rimanevano sbalorditi di fronte al movimento delle foglie nel
famoso frammento dei Lumière.
Il corto di cui stiamo parlando è anche fortemente emozionante ed è
un aspetto che è presente sempre nel cinema di de Oliveira. In questo
caso, al di là dell’emozione che danno il montaggio e la scoperta dello
sguardo, si tratta di un sentire malinconico dato dal fatto che viene
mostrata la natura ciclica della raccolta del grano, che nella nostra
cultura ha da sempre simboleggiato la nascita e la morte.
Così l’ultima inquadratura del film, in cui vediamo un campo di grano
solcato dal vento, restituisce un forte senso di mistero e di malinconia nell’immaginare il grano di nuovo pronto al raccolto e al “sacrificio”. [AUTORE????]
O pão, documentario sul pane
O pão (il pane), Portogallo, 1959, col., 24’, v.o. con sottotitoli italiani.
Regia di Manoel de Oliveira
«Mi sono servito del pane per affrontare molte cose della realtà portoghese...
Ho cercato soprattuto di mostrare il ruolo dell’uomo in ogni tappa
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SOSTA 10. Il non tempo dell’acqua
I luoghi dell’inquinamento, la perdita ancestrale
SOSTA 11. Il tempo della terra
I luoghi dell’estrazione, la dipendenza insostenibile
H2Oro – L’acqua, un diritto dell’umanità
Compagnia teatrale Itineraria
La macchina utile di Antonio Simmarano
Mauro Bubbico
Da un progetto di Fabrizio De Giovanni e Maria Chiara Di Marco nasce questo spettacolo di teatro-documento per sostenere il diritto
all’acqua per tutti, per riflettere sui paradossi e gli sprechi del “Bel
Paese”, per passare dalla presa di coscienza a nuovi comportamenti.
L’acqua non deve diventare “l’oro blu” del XXI secolo, dopo che il petrolio è stato “l’oro nero” del secolo XX. L’acqua deve invece essere considerata come bene comune, patrimonio dell’umanità. L’accesso all’acqua potabile è un diritto umano e sociale imprescrittibile, che deve
essere garantito a tutti gli esseri umani. Perché questo avvenga bisogna sottrarre l’acqua alla logica del mercato e ricollocarla nell’area dei
beni comuni, alla cui tavola devono potersi sedere tutti gli abitanti
della Terra con pari diritti, comprese le generazioni future. Attraverso
una documentazione rigorosa si affrontano i temi della privatizzazione dell’acqua, delle multinazionali, del contratto mondiale dell’acqua,
delle guerre dell’acqua e delle dighe, degli sprechi e dei paradossi nella
gestione dell’acqua in Italia, del cosa fare noi-qui-ora, della necessità
di contrastare e invertire l’indirizzo di mercificazione e privatizzazione. Uno spettacolo per affermare che un altro mondo è possibile, non
all’insegna del denaro, ma della dignità umana.
La filosofia di vita del mondo contadino è tutta basata sul concetto di
riuso. Niente si butta e tutto si riutilizza, in questo modo la vita delle
giovani generazioni è assicurata. Potrebbe sembrare un concetto applicabile solo a materiale organico, ma la stessa filosofia di vita viene
applicata anche nella costruzione di una macchina agricola.
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La storia
Nel 1985 Antonio Simmarano, agricoltore diretto di Montescaglioso,
per praticare l’agricoltura biologica, che gli vietava l’uso di diserbanti
chimici per combattere le erbe parassite, inventò la macchina adatta
allo scopo, mettendo insieme parti meccaniche di altri veicoli.
Lui stesso racconta che nel 1985, dopo cinque anni di lavoro sul prototipo nell’Officina Dipalma, vennero ad assistere alle prove generali
docenti e studenti della Facoltà di Agraria di Bari e che nell’occasione
fu girato anche un video.
Un colorato ombrellone e una grossa ventola sul cofano garantiscono
il giusto refrigerio all’autista. Grazie a questo stratagemma Antonio
può gestire al meglio le asperità e i dislivelli del terreno tenendo le
lame al giusto livello. Guardando il breve documentario sulla macchina all’opera, non risulterà difficile cogliere in tutto questo una straordinaria metafora della nostra vita. L’erba cattiva è sempre riconoscibile, è più alta e fagocita quella buona togliendole la vita.
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SOSTA 12. Il tempo del vento
Il disegno tra cielo e terra, il suono
e l’ebbrezza dell’aria pulita
Mbeubeus
di Simona Risi -durata 19’ (2006)
Nella discarica di Mbeubeus, in Senegal, ogni giorno arrivano i rifiuti
della città di Dakar. Ci lavorano e vivono più di 2.000 persone, chi
recupera, chi vende, chi compra, chi ripara e ricicla e, oltre 300 sono
bambini. Sempre più case crescono ai bordi della discarica perché,
per molti poveri, il commercio ed il riciclo dei rifiuti è più redditizio
che coltivare i campi arsi dalla desertificazione del sahel. Mame Ngor
è uno dei 300 bambini che lavora in discarica come recuperatore.
Paleoliche I e II
di Francesco Cabras e Alberto Molinari -Durata 9’ (2007)
storica della rivoluzione industriale; nell’arte questo passaggio si avrà
negli anni Venti con le Avanguardie storiche e il Dadaismo in primis
che, a un nuovo modo di guardare l’uomo e il mondo, volle accostare
nuovi materiali e tecniche per rappresentarlo. Tre nomi si desidera
citare: Kurt Switters con i suoi collage di biglietti trovati per strada
e gli scarti di oggetti nei cumuli d’immondizia; Marcel Duchamp con
Allevamento di polvere e Piero Manzoni con Merda d’artista.
Ispirandosi al lavoro dello scultore svizzero Jean Tinguely e alle macchine inutili di Bruno Munari si assemblano e si saldano pezzi di ricambi precedentemente selezionati rovistando dagli sfasciacarrozze
locali.
Nelle principali piazze della città si possono ammirare alberi segnavento giganteschi semoventi, macchine inutili munite di ruote e
meccanismi preposti a trasmettere il movimento, oppure figure zoomorfe, figure somiglianti ad animali, o antropomorfiche, somiglianti
a figure umane.
Una breve rapsodia ventosa in tre movimenti girata in Saradegna, tre
movimentistagioni della giornata: l’incedere, il volo e la tenebra. Pensando a Cervantes e alla fantascienza anni cinquanta. Sinossi II
Dall’Alba al tramonto un’altra giornata che soffia a ritmo di valzer,
questa in Toscana e con un elemento umano, spettatore al cospetto
delle forze della ntaura, ma anche protagonista.
Pieter - Jan De Pue
durta 20’ (2007) Belgio
Due persone si trovano nel cuore di un deserto che un tempo è stato
il letto del più grande fiume del mondo; sono cerca di acqua.
Energie
di Thorsten Fleish -durata 5’ -Germania
Segnavento e sculture con pezzi di ricambio
figure zoomorfe e antropomorfe
Antonio Colonna e Mauro Bubbico
I rifiuti e gli oggetti dismessi hanno sempre suscitato l’attenzione
di romanzieri, poeti e artisti. Nella letteratura occidentale l’oggetto
desueto e non funzionale diventa protagonista a partire dalla svolta
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Bibliografia utile
Silvana de Mari, Il drago come realtà, Salani Editore, 2007.
Marc Augé, Tra i confini, Bruno Mondadori, 2007.
Leonardo Sinisgalli, Civiltà della cronaca, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2005, a cura di Francesco d’Episcopo.
Marc Augé, Nonluoghi, Elèutera, 1993.
Lidia Decandia, Anime di luoghi, Franco Angeli / Metodi del Territorio,
2004.
Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, 2003.
Georges Didi-Huberman, Ninfa Moderna, il Saggiatore, 2002.
Georges Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto, Raffaello Cortina
Editore, 2005.
Giuliano Scabia, Opera della notte, Einaudi, 2003
Ernst Friedrich, Guerra alla Guerra, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2004.
Guido Viale, Un mondo Usa e Getta, Universale Economica Feltrinelli,
2000.
Jean Baudrillard, Patafisica e arte del vedere, Giunti citylights, 2006.
Paul Valéry, Discorso sulla fotografia, Filema, 2005.
John Berger, Sul guardare, Bruno Mondadori, 2003.
Sebastiano Vassalli, La morte di Marx e altri racconti, Einaudi, 20062007.
Guido Viale, Vita e morte dell’automobile, Bollati Boringhieri, 2007.
Giuliano Scabia, Lettere a un lupo, Casagrande, 2001.
Elisabetta Silvestrini, Gualani e lavandaie, Museo Nazionale delle
Arti e Tradizioni Popolari, Roma 1995
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