toshiba sd 220e

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toshiba sd 220e
IL GIORNALE ITALIANO DI
RADIOLOGIA MEDICA
Società Italiana
di Radiologia Medica
Direttore Responsabile
Andrea Giovagnoni
Radiologia Generale e Pediatrica
Università Politecnica delle Marche, Ancona
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Carlo Catalano, Roma
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Vittorio Miele, Roma
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in Oncologia
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Neuroradiologia
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ed Economia Sanitaria
in Radiologia
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Segreteria SIRM
Via della Signora, 2
20122 Milano, Italy
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Radiologia
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Radiologia
Odontostomatologica
e Capo-collo
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e Interventistica
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Tomografia Computerizzata
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IL GIORNALE ITALIANO DI
RADIOLOGIA MEDICA
OBIETTIVI
Il Giornale Italiano di Radiologia Medica
è la seconda, nuova rivista ufficiale della
Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM)
completamente in italiano inviata in forma
cartacea ai Soci SIRM. La rivista nasce
con l’intento di rappresentare un nuovo e
pratico strumento di comunicazione dei
risultati e degli sviluppi della ricerca clinica
e di base nel campo della Radiologia e
di aggiornamento professionale volto
allo sviluppo culturale e professionale dei
radiologi italiani.
La rivista accoglie contributi di imaging
diagnostico, tecniche interventistiche,
Radioterapia, Medicina Nucleare,
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Un Comitato Editoriale costituito secondo
le regole dello Statuto SIRM, provvederà
alla selezione dei contributi pubblicati sotto
forma di articoli originali, articoli di revisione,
editoriali, casistica clinica e casi quiz, di
articoli brevi di tecnica e metodologia, lettere
al Direttore e articoli tradotti dalla versione
in lingua inglese de “la Radiologia Medica”
organo ufficiale della SIRM.
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renderanno la pubblicazione indispensabile
per i radiologi e specialisti dell’area
radiologica completando l’offerta editoriale
della SIRM; Il Giornale Italiano di Radiologia
Medica si pone come un giornale di facile
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dell’Editor-in-Chief, Professor Andrea
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Pattamapaspong N, Srisuwan T, Sivasomboon
C et al (2013) Accuracy of radiography,
computed tomography and magnetic
resonance imaging in diagnosing foreign
bodies in the foot. Radiol med 118: 303-310.
Nel caso di capitoli di libri o di trattati si
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e il titolo del libro, c) l’Editore, il luogo,
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SR: Vascular anatomy. In: Redman HC, Cho
KJ (eds) Gastrointestinal angiography, WB
Saunders, Philadelphia, 1986, pag. 32-79.
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Direttore Responsabile
Andrea Giovagnoni, Ancona, Italia
Produzione Editoriale
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Pubblicazione registrata presso il
Tribunale di Milano al N. 3 dell’8/1/2014
Poste Italiane S.p.A.
Spedizione in abbonamento postale 70%
CN AN
Pubblicazione bimestrale
Marzo-Aprile 2014
Anno 1 - Numero 2
ISSN 2283-8376
Segretario Amministrativo
L. BRUNESE
Scienze per la Salute, Università degli Studi del Molise
86100 Campobasso (CB)
e-mail: [email protected]
Direttore de “La Radiologia Medica”
A. GIOVAGNONI
Istituto di Radiologia, Università Politecnica Marche
Ospedali Riuniti “Torrette-Lancisi-Salesi”; 60100 Ancona (AN)
Tel.: 071/5964076, e-mail: [email protected]
Società Italiana
di Radiologia Medica - SIRM
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente
C. FALETTI
Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Ospedale C.T.O.
10126 Torino (TO), Tel.: 011/6933732
e-mail: [email protected]
Presidente eletto
C. MASCIOCCHI
Diagnostica per Immagini, Ospedale S. Salvatore di Coppito
67100 L’Aquila (AQ)
TeI.: 0862/414258, e-mail: [email protected]
Consiglieri e Vice-Presidenti
N. GANDOLFO
Dipartimento Diagnostica per Immagini
ASL 3 Genovese-Regione Liguria, SC Radiologia Villa Scassi
Via Onofrio Scassi 1, 16125 Genova, Tel.: 010/8492651
e-mail: [email protected]
R. GRASSI
Dipartimento di Internistica Clinica e Sperimentale
Magrassi-Lanzara - DAS di Radiologia, Radioterapia,
Medicina Nucleare e Urgenza
Il Università di Medicina e Chirurgia
Azienda Ospedaliera Universitaria
80138 Napoli (NA), Tel.: 081/5665203
e-mail: [email protected]
Consiglieri
L. BAROZZI
Radiologia, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna (BO)
e-mail: [email protected]
M. A. CALVISI
Radiologia, Azienda Usi N° 3, Ospedale S. Francesco
08100 Nuoro (NU), Tel.: 0784/240356
e-mail: [email protected]
G. CARRAFIELLO
Cattedra di Radiologia, Università dell’Insubria Varese
21100 Varese (VA), Tel.: 0332/278770, e-mail: [email protected]
A. P. GARRIBBA
Radiologia, Dipartimento di Medicina Diagnostica, ASL BA/4
P.O.”Di Venere”, 70100 Bari (BA), Tel.: 050/5015245
e-mail: [email protected]
A. GIOVAGNONI
Istituto di Radiologia, Università Politecnica Marche
Ospedali Riuniti “Torrette-Lancisi-Salesi”; 60100 Ancona (AN)
Tel.: 071/5964076, e-mail: [email protected]
l. MENCHI
Radiologia Diagnostica, Azienda Ospedaliero-Universitaria
Careggi Firenze (FI), Tel.: 055/794111
e-mail: [email protected]
M. MIDIRI
Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale
Università degli Studi di Palermo, 90143 Palermo (PA)
Tel.: 091/6552309, e-mail: [email protected]
B. PERIN
Presidio Ospedaliero di Este, 35042 Este (PD)
Tel: 042/9618128, e-mail: [email protected]
T. PIRRONTI
Dipartimento di Bioimmagini eScienze Radiologiche,
Istituto di Radiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
00168 Roma (RM), TeI.: 06/3015 4394-6054-4557-3274
e-mail: [email protected]
C. ZUIANI
Radiologia, Università di Udine, 331 00 Udine (UD)
e-mail: [email protected]
Presidente SNR
F. VIMERCATI
Dipartimento dei Servizi, P.O. Macedonio Melloni
A.O. Fatebenefratelli ed Oftalmico, 20100 Milano (MI)
TeI.: 02/63633204, e-mail: [email protected]
Direttore de “II Radiologo”
C. BIBBOLINO
Dip. Diagnostica, Servizi e Ricerca Clinica
Ist. Naz. per le Malattie Infettive ”L. Spallanzani”
00100 Roma (RM), TeI.: 06/55170285
e-mail: [email protected]
Direttore del sito web
P. SACCO
Radiologia Universitaria, Azienda Ospedaliera
Universitaria Senese, 53100 Siena (SI)
Tel.: 0577/585702, e-mail: [email protected]
Delegato per le Attività Informatiche
G. BENEA
Radiologia Clinica Diagnostica ed Interventistica
Azienda USL di Ferrara,44023 Lagosanto (FE)
TeI.: 053/3723311, e-mail: [email protected]
Coordinatore Collegio dei Dirigenti
Radiologi Ospedalieri
C. PRIVITERA
U.O.C.di Radiologia, Ospedale Vittorio Emanuele
Az. Ospedaliero Universitaria ”Policlinico Vittorio Emanuele”
95100 Catania (CT), TeI. 095/7435299
e-mail: [email protected]
Coordinatore ECM
V. MIELE
U.O. Diagnostica per Immagini nel DEA e per le Urgenze
Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, 00100 Roma
TeI.: 06/58703051, e-mail: [email protected]
Presidente Congresso Nazionale
C. BARTOLOZZI
Radiologia Diagnostica e Interventistica
Università di Pisa, Azienda Ospedaliero - Universitaria Pisana
Ospedale Cisanello, 56100 Pisa (PI), Tel.: 050/995551
e-mail: [email protected]
Segretario alla Presidenza
A. BORRÉ
Radiologia Diagnostica, Ospedale M. Adelaide
Azienda Ospedaliera CTO, 10126 Torino (TO)
Tel.: 011/6937311 e-mail: [email protected]
SEZIONI DI STUDIO E PRESIDENTI
Cardioradiologia
F. DE COBELLI
Radiologia, IRCCS Ospedale San Raffaele, 20132 Milano (MI)
TeI.: 02126436107, e-mail: [email protected]
Diagnostica per Immagini in Oncologia
A. D’ERRICO GALLIPOLI
U.O. Diagnostica per Immagini, Istituto Nazionale
per lo Studio e la Cura dei Tumori
Fondazione Senatore Pascale, 80131 Napoli (NA)
TeI.: 081/5903576, e-mail: [email protected]
Ecografia
L. DERCHI
DISSAL - Radiologia, Università di Genova, 16122 Genova (GE)
TeI.: 010/3537233, e-mail: [email protected]
Etica e Radiologia Forense
A. CAZZULANI
Servizi Diagnostici eTerapeutici, Azienda Ospedaliera G. Salvini
20024 Garbagnate M.se (MI), Tel.: 02/994302435
e-mail: [email protected]
Gestione Risorse ed Economia Sanitaria
in Radiologia
A. ORLACCHIO
Dip.di Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare
Radiologia Interventistica e Radioterapia
Policlinico Universitario Tor Vergata, 00133 Roma (RM)
Tel.: 06/20902400, e-mail: [email protected]
Mezzi di Contrasto
V. DAVID
Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Azienda Ospedaliera
Sant’Andrea, 00189 Roma (RM), Tel.: 06/33775285,
e-mail: [email protected]
Neuroradiologia
M. MUTO
Diagnostica per Immagini, AORN Cardarelli, 80122 Napoli (NA)
Tel.: 081/7473838, e-mail: [email protected]
Radiologia Addominale Gastroenterologica
R. DI MIZIO
Servizio di Radiologia, ASL Pescara
Presidio Ospedaliero San Massimo-Penne, 65017 Penne (PE)
Tel.: 085/8276306, e-mail: [email protected]
Radiologia d’Urgenza ed Emergenza
M. SCAGLIONE
Dipartimento di Diagnostica per Immagini
Presidio Ospedaliero Pineta Grande, 81030 Castel Volturno (CE)
TeI.: 082/3854196, e-mail: [email protected]
Radiologia Informatica
E. NERI
UO Radiodiagnostica l Universitaria, Dipartimento di Ricerca
Translazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
Divisione di Radiologia Diagnostica e Interventistica
Università di Pisa, 56100 Pisa (PI), Tel.: 050/997313
e-mail: [email protected]
Radiologia Muscolo-Scheletrica
E. A. GENOVESE
Radiologia, Università dell’lnsubria
Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi, 21100 Varese (VA)
Tel.: 0332/393465, e-mail: [email protected]
Radiologia Odontostomatologica e Capo-collo
G. ETTORRE
U.O.Radiodiagnostica e Radioterapia, Az. Osp. Univ.
Policlinico Vittorio Emanuele, 95123 Catania (CT)
Tel.: 095/3782360, e-mail: [email protected]
Radiologia Pediatrica
C. FONDA
Diagnostica per Immagini
A.O.U. Meyer Ospedale Pediatrico, 50139 Firenze (FI)
Tel.: 055/5662986, e-mail: [email protected]
Radiologia Toracica
R. POLVEROSI
O.U. Radiologia, Azienda ASL 10 - Veneto Orientale
30027 San Donà di Piave (VE)
Tel.: 042/1227605 e-mail: [email protected]
Radiologia Uro-Genitale
M. SCIALPI
Sezione di Radiologia Diagnostica ed Interventistica
del Dipartimento di Scienze Chirurgiche
Radiologiche e Odontoiatriche, Università di Perugia
Ospedale S. Maria della Misericordia, 06153 Perugia (PG)
Tel.: 075/5783507, e-mail: [email protected]
Radiologia Vascolare e Interventistica
F. FLORIO
Diagnostica per Immagini, IRCCS-Casa Sollievo
della Sofferenza, 71013 San Giovanni Rotondo (FG)
TeI.: 0882/410570, e-mail: [email protected]
Radioprotezione e Radiobiologia
F. SCHILLlRÒ
Dipartimento Magrassi-Lanzara, Seconda Università
degli Studi di Napoli, 80128 Napoli (NA)
Tel.: 081/5665204 e-mail: [email protected]
Risonanza Magnetica
R. MANFREDI
Radiologia, Università di Verona, Policlinico G.B. Rossi
37134 Verona (VR), Tel.: 045/8124301
e-mail: [email protected]
Senologia
P. PANIZZA
Radiologia Diagnostica l, Fondazione IRCCS
Istituto Nazionale dei Tumori, 20133 Milano (MI)
Tel.: 02/26432529, e-mail: [email protected]
Tomografia Computerizzata
F. MUSANTE
Dipartimento dei Servizi Ospedalieri, Azienda Ospedaliera
SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, 15100 Alessandria (AL)
Tel.: 0131/206350, e-mail: [email protected]
1
2
1
2
1
2
1
2
3
4
3
4
3
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3
4
Radiologia - Neuroradiologia 2014
“72 casi da discutere e 7 conferenze”
SIRM AINR SIRM Puglia
Auditorium Ospedale
“SS. Annunziata” Taranto
11-12-13 giugno 2014
36 Crediti ECM
Per informazioni
Tel. 099.4585664-463 Fax 099.4585455
[email protected]
[email protected], www.agirin.it
Radiologia - Neuroradiologia 2014 “72 casi da discutere e 7 conferenze”
Mercoledì 11 giugno
08:00
Registrazione
08:30-09:00 Presentazione del Corso
M. Resta (TA), C.Andreula, (BA)
09:00-13:00 I Sessione: Encefalo, Testa-Collo
09:00-10:00 La Conferenza
M. Resta (TA), M. Donatelli (TA)
10:00-13:00 Casi Clinico-Radiologici
A. Beltramello (VR), F. Caranci (NA), G. Ettorre (CT)
13:00-15:00 Colazione di lavoro
15:00-19:00 I Sessione: Colonna e Midollo Spinale
15:00-16:00 La Conferenza
C. Andreula (BA)
16:00-17:00 Casi Clinico-Radiologici
S.Cirillo (NA), G.Sirabella (NA)
17:00-19:00 II Sessione: Neuro Pediatria
17:00-18:00 La Conferenza
A. Rossi (GE)
18:00-19:00 Casi Clinico-Radiologici
A. D’Amico (NA), A. Rossi (GE)
Quest’anno non ho colpe per le “elucubrazioni numeriche”, quest’anno il responsabile è Mino
Andreula e proverò, nelle brevi righe che seguono a spiegarne il motivo. Nella realtà cambia
poco rispetto all’esperimento dell’anno scorso. L’idea di un corso con la sola presentazione di
casi complessi, o comunque insoliti od originali, giunti a soluzione clinica o istologica, pare sia
stata gradita. Ci siamo, credo, reciprocamente anche divertiti. Molti di voi ci hanno però chiesto
di prevedere almeno una lezione introduttiva per sessione. Non potevamo che accogliere questo
suggerimento, ma abbiamo pensato di “rivisitarlo” a modo nostro. Abbiamo chiesto a 7 relatori
di esperienza nota e consolidata di preparare una vera e propria “conferenza”, come si usava
un tempo senza diapositive o al massimo qualche diapositiva da usare come “scaletta”. Una
lezione magistrale per inquadrare le problematiche maggiori e contestualizzare l’argomento
della sessione alla realtà attuale. E poi i casi, varrà sempre la regola dei 20 minuti…allo scadere
di questo tempo, rigidamente segnato da un counter, il moderatore della sessione avrà il potere
di abbassare il microfono e cambiare musica. Libera scelta a chi presenta di mostrare anche
casi flash di 5 o 10 minuti, pertanto i casi presentati potranno essere anche più di 72, ma
sicuramente non meno di questo numero. Sono previste due sessioni al giorno, una al mattino
ed una pomeridiana, tranne la mattina del secondo giorno quando abbiamo voluto tenere uno
spazio per la neuro-pediatria. La scelta dei relatori, soprattutto per le conferenze, risponde a
criteri del tutto personali, miei e di Mino Andreula, di cui ci assumiamo ogni responsabilità ma
l’esperienza dei corsi passati ci rassicura. Chiediamo scusa ai tanti personaggi delle discipline
radiologica e neuroradiologica il cui nome a tutto diritto avrebbe dovuto comparire nella faculty,
ma la struttura stessa dei nostri corsi, con un’ora intera per ciascuna presentazione “strangola”
i tempi. Quanto al 72, i numeri magici 7 e 2, il 7 ± 2, hanno a che fare con l’alchimia, la religione,
la filosofia, la psicologia…ne parleremo, anzi, ve ne parlerà Mino Andreula, il grande affabulatore,
io non sono che la sua spalla, una spalla “appesantita”, come lui ama esprimersi in RM, da più
di 30 anni di esaltanti discussioni fra di noi, e non solo scientifiche.
Maurizio Resta
Giovedì 12 giugno
09:00-13:00 I Sessione: Torace e Cuore
09:00-10:00 La Conferenza
L. Brunese (CB)
10.00-13:00 Casi Clinico-Radiologici
V. Buffa (RM), A. Vallone (RM), V. Miele (RM)
13:00-15:00 Colazione di lavoro
15:00-19:00 II Sessione: Addome e Pelvi
15:00-16:00 La Conferenza
G. Angelelli (BA)
16:00-19:00 Casi Clinico-Radiologici
A. Reginelli (NA), M. Scaglione (Castel Volturno), S. Cappabianca (NA)
Venerdì 13 giugno
09:00-13:00 I Sessione: Muscolo-Scheletrico
09:00-10:00 La Conferenza
C. Faletti, (TO), C. Masciocchi (AQ)
10:00-13:00 Casi Clinico Radiologici
L. Macarini (FG), A. De Marchi (TO), A. Conchiglia (AQ), M. Zappia (CB)
13:00-15:00 Colazione di lavoro
15:00-19:00 II Sessione: Imaging Vascolare
15:00-16:00 La Conferenza
N. Burdi (TA)
16:00-19:00 Casi Clinico-Radiologici
T. Popolizio (S.G. Rotondo), F. Quinto (BT),
MC. Resta (TA), G. Lucente (TA), D. Monaco (TA)
19:00-19:30 Consegna del questionario e chiusura dei lavori
RELATORI
C. Andreula, G. Angelelli, A. Beltramello, L. Brunese, V. Buffa, N. Burdi, S. Cappabianca,
F. Caranci, S. Cirillo, A. Conchiglia, A. D’Amico, A. De Marchi, M. Donatelli, G. Ettorre, C.
Faletti, G. Lucente, L. Macarini, C. Masciocchi, V. Miele, D. Monaco, T. Popolizio, F. Quinto,
A. Reginelli, M. Resta, MC. Resta, A. Rossi, M. Scaglione, G. Sirabella, A. Vallone, M. Zappia
Sponsor Ufficiali
ISO 9001:2008 certificato n°'a1 9175.AGIR
Abbott Vascular, ab medica, Bayer, Bracco, Boston Scientific, Codman Johnson
& Johnson, Covidien, CrossMed, GMC Biomedica, General Electric Healthcare,
ImpleMed Italia, Meditalia, Philips, Siemens, Stryker, Tecnosp, Terumo, Toshiba.
IL GIORNALE ITALIANO DI
RADIOLOGIA MEDICA
VOLUME 1 - NUMERO 2
MARZO-APRILE 2014
LETTERA DEL DIRETTORE
167
I perché di un nuovo Giornale
A. Giovagnoni
EDITORIALE
169
Il Radiologo e la medicina umana
A. E. Cardinale
ESTRATTI DA “LA RADIOLOGIA MEDICA”
172
Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 3, March 2014
177
Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 4, April 2014
LAVORI ORIGINALI
CARDIORADIOLOGIA
182
Cardio-tc con apparecchiatura a 256 strati ottimizzazione della tecnica e valutazione dosimetrica
M. Belgrano, P. Bregant, M. Fute Djoguela, W. Toscano, E. Marchese, M. A. Cova
190
Utilità della Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) nella valutazione del coinvolgimento
del ventricolo destro (VD) in pazienti con infarto miocardico (IM)
N. Galea, M. Francone, I. Carbone, D. Cannata, F. Vullo, R. Galea, L. Agati, F. Fedele, C. Catalano
RADIOLOGIA SENOLOGICA
198
Confronto tra metodiche nella valutazione dei volumi delle lesioni maligne mammarie:
l’ecografiavolumetrica3Dpuòessereutile?
P. Clauser, V. Londero, G. Como, R. Girometti, M. Bazzocchi, C. Zuiani
GESTIONE DELLE RISORSE ED ECONOMIA SANITARIA IN RADIOLOGIA
206
TC-PETinpazientioncologici:analisideicostinonsanitarinellavalutazionecosto-beneficio
A. Orlacchio, A. M. Ciarrapico, O. Schillaci, F. Chegai, D. Tosti, F. D’Alba, M. Guazzaroni, G. Simonetti
214
Associazione dello stress da lavoro con depressione e ansia nei medici radiologi
N. Magnavita, A. Fileni
RADIOLOGIA ADDOMINALE
222
Studio comparativo tra ablazione percutanea laser e a radiofrequenza in pazienti
conHCCunifocaledidimensioni≤a4cm
A. Orlacchio, F. Bolacchi, F. Chegai, A. Bergamini, E. Costanzo, C. Del Giudice, M. Angelico, G. Simonetti
232
Risonanza Magnetica con Acido Gadoxetico nella valutazione dell’Epatocarcinoma
e dei noduli ipointensi nella fase epatobiliare
E. Iannicelli, M. Di Pietropaolo, M. Marignani, C. Briani, G. F. Federici, G. Delle Fave, V. David
RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
243
“Termoablazione con radiofrequenze (RFA) delle metastasi (MTS) epatiche
da carcinoma mammario (CM): un’arma in più nel trattamento multimodale della malattia avanzata”
A. Veltri, C. Gazzera, M. Barrera, M. Busso, F. Solitro, C. Filippini, I. Garetto
RADIOLOGIA TORACICA
250
Pattern TC ad alta risoluzione tipico e atipico nella sarcoidosi polmonare:
relazione con l’evoluzione clinica e la risposta alla terapia
R. Polverosi, R. Russo, A. Coran, C. Giraudo, A. Battista, C. Agostini, F. Pomerri
NEURORADIOLOGIA
260
Spazi di Virchow-Robin dilatati e Sclerosi Multipla: studio con Risonanza Magnetica 3T
R. Conforti, M. Cirillo, P. P. Saturnino, A. Gallo, M. R. Sacco, A. Negro, A. Paccone, G. Caiazzo, A. Bisecco, S. Bonavita, S. Cirillo
INSERTO “100 ANNI DELLA RIVISTA”
267
Appunti di radiumterapia (statistica e tecnica)
M. A. Bioglio
CONTRIBUTO DELLA SEZIONE DI RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
276
La Radiologia Interventistica è morta: viva la Radiologia Interventistica!
Luci ed ombre, certezze e speranze della Radiologia Interventistica Italiana
F. Florio
278
Risultati dell’indagine conoscitiva sull’attività di Radiologia Interventistica in Italia: Censimento 2013
F. Florio, R. Cioni, R. Golfieri, R. Niola, M. Rossi
291
Consensus Conference: PTA-stent carotideo
R. Iezzi, N. Burdi, G. Carrafiello, A. Cotroneo, A. Doriguzzi Breatta, F. Fanelli, A. Fileni, R. Gandini, L. Inglese, R. Niola
M. Pastore Trossello, F. Pilato, M. Puglioli, F. Salvatore, V. Villari, F. Florio
302
Consensus Conference: il trattamento dell’epatocarcinoma
R. Golfieri, U. Cillo, R. Cioni, A. Doriguzzi Breatta, F. Farinati, M. Grosso, F. Orsi, A. Rampoldi, C. Spreafico, F. Trevisani, A. Veltri
310
Consensus Conference: Traumi Pelvici
R. Corso, A. R. Cotroneo, B. Gallo, P. Fonio, S. Magnone, R. Niola, E. Pampana, A. Rampoldi, L. Rizzi, D. Rossato
318
Consensus Conference: trattamento delle metastasi epatiche da neoplasie del colon
G. Masi, A. Veltri, V. Mazzaferro, C. Battiston, A. Marchianò, C. Aliberti, I. Bargellini, E. Giampalma
328
Trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale mediante stenting
adiversionediflusso:esperienzaunicentrica
W. Lauriola, V. Strizzi, M: Falcone, G. Ciccarese, F. Briganti, F. Florio
ERRATA CORRIGE - RADIOLOGIA TORACICA
336
Malattie granulomatose diffuse del polmone. Approccio combinato patologico-HRCT
G. Dalpiaz, M. Cirillo, A. Cancellieri, G. Stasi
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 167-168
LETTERA DEL DIRETTORE
I perché di un nuovo Giornale
A. Giovagnoni
Direttore Responsabile
Quando nasce un nuovo giornale sorge prepotente una domanda che molti si sono fatti e che per primo mi sono posto:
era proprio necessario?
Era proprio necessario interrompere dopo cento anni la pubblicazione di una rivista come “la Radiologia Medica” che è
stata per un secolo bandiera scientifica e culturale della nostra
Società e con la quale generazioni di Radiologi italiani si sono
cimentati e hanno mosso i loro primi “passi” nella difficile e
spesso travagliata avventura nel mondo scientifico?
E ancora: era proprio necessaria una “Radiologia Medica”
pubblicata in Inglese solo on-line con il titolo in italiano e
una rivista in italiano con un nuovo nome “Il Giornale Italiano di Radiologia Medica” tutto questo nel corso di una crisi
economica e per certi versi istituzionale che non lascia spazio
a criticabili o volatili iniziative?
Questa lettera nasce dall’esigenza di rendere partecipi i Soci
SIRM di alcune delle motivazioni più rilevanti che sono state
alla base della difficile decisione che il Comitato Editoriale e
il Consiglio Direttivo (CD) hanno assunto, nell’interesse della
Società. Andiamo per ordine.
La rivista societaria” La Radiologia Medica” è stata fino al dicembre del 2013 pubblicata in doppia lingua italiano e inglese
nella doppia veste, cartacea e on-line edita dalla Springer che
ne curava il posizionamento editoriale nei principali circuiti
delle banche dati internazionali con il riconoscimento conseguente di un Impac Factor (IF) .
La Rivista veniva distribuita ai soli Soci SIRM gratuitamente
sia nella versione cartacea, con relativa spedizione domiciliare, che nella versione on-line attraverso il sito WEB della
SIRM; il costo dell’abbonamento, della spedizione postale e
quello della gestione del sito WEB e il link con Springer era
compreso nella quota di iscrizione annuale alla SIRM.
Il nuovo Direttore, il Comitato Editoriale e tutto il CD si
sono trovati all’inizio dello scorso anno di fronte a questioni
molto complesse di tipo economico-finanziario ed editoriale
che imponevano decisioni operative non più derogabili.
Il testo in inglese della Rivista assicurava la visibilità internazionale ma costringeva ad un lavoro di traduzione e editing
con consulenti di “madrelingua” a costi preoccupanti. I crescenti costi per la stampa della versione cartacea e per la spedizione postale si contrapponevano alle significative contrazioni
dei proventi delle pubblicità da parte degli sponsor “storici”.
La rivista cartacea veniva distribuita unicamente ai soci SIRM
non esistendo possibilità di abbonamento per non Soci in Italia e all’estero; la Springer peraltro si assicurava la distribu-
zione della rivista attraverso i circuiti on-line nel complesso
meccanismo degli abbonamenti “a pacchetto” della vasta produzione della casa Editrice senza che SIRM potesse controllare o beneficiare dell’operazione.
L’esigenza di mantenere un alto IF garantito come è noto da
un alto indice di citazione dei singoli articoli, rendeva necessario l’esclusione di contributi magari poco “scientifici” o
poco originali in un panorama internazionale, ma di sicuro
interesse per la attività professionale del radiologo italiano
: ne hanno fatto le spese molti lavori di revisione di casistica, di case report o prettamente educazionali che sono stati
a malincuore rigettati perché immolati nel nome del IF. Ci si
trovava di fronte a un doloroso bivio: accettare lavori di grande “appeal” scientifico per mantenere indici bibliometrici interessanti o privilegiare l’originale mission della Rivista nata
e cresciuta come organo scientifico- educazionale societario?
L’utilizzo di “maglie” larghe per l’accettazione di lavori
avrebbe comportato due ripercussioni immediate: la drastica caduta del IF e l’allungamento a livelli insopportabili, dei
tempi di pubblicazione causa l’enorme numero di lavori accettati; al gennaio 2013 La radiologia Medica disponeva di
circa 150 lavori accettati e in attesa di pubblicazione . Nella
più rosea delle ipotesi i tempi conseguenti fra invio e pubblicazione dei lavori si sarebbe attestato a circa 20 mesi.
La spinta ad uscire da questo cunicolo era ormai inevitabile:
dare il giusto riconoscimento all’enorme numero di contributi
scientifici dei Soci, salvaguardando e valorizzando l’immenso valore culturale e scientifico che tali esperienze rappresentano, insieme alla necessità di ridurre i tempi di pubblicazione
dei lavori originali mantenendo un apprezzabile IF.
La tempesta era all’orizzonte e da modesto ma accorto marinaio ho spinto per un approdo sicuro: edizione nella sola
lingua inglese per “la Radiologia Medica” on “line”, per
assicurare il mantenimento e se possibile, l’aumento dell’IF
(basterà un piccolo aumento dell’IF per far salire la rivista
al II quartile nel ranking internazionale) abbattendo i costi di
gestione dell’editing “madrelingua” e per stimolare gli Autori
italiani al confronto e alla vetrina scientifica internazionale. “La Radiologia Medica” si presenta ora con una veste più
moderna, non appesantita da una doppia colonna/lingua, con
costi di gestione ridotti vista la riduzione delle pagine (eliminazione del testo in italiano) con cadenza mensile (non più
gli otto numeri annuali) e con la reale possibilità di ridurre i
tempi di pubblicazione a livelli competitivi che speriamo di
assestare entro il 2014 a 6 mesi.
168
La realizzazione di due numeri monografici/anno con Guest
Editors di chiara fama, su argomenti di grande attualità, garantirà un’ ulteriore occasione di grande visibilità per la rivista
e per la radiologia italiana. Il titolo in italiano rimasto nella
sua originale formulazione, garantisce da un lato il mantenimento del livello di IF ad oggi raggiunto e dall’altro perpetua
nel nome, l’identità di una Società forte di una tradizione più
che centenaria. La nuova rivista cartacea “il Giornale Italiano
di Radiologia Medica” sostituisce, a domicilio del Socio, la
storica rivista; la drastica riduzione dei costi di stampa frutto
di una attenta valutazione comparativa prezzo-qualità su scala
nazionale ha permesso di mantenere inalterata la gratuità del
Giornale per i Soci. E’ in corso di realizzazione uno “spazio” dedicato nel sito web SIRM atto a raccogliere la versione
elettronica della Rivista e funzionare da collettore per i nuovi
contributi inviati al Comitato Editoriale.
La rivista nata con lo scopo di superare le criticità sopra esposte è ora in grado di pubblicare articoli scientifici dei Soci di
grande interesse generale, senza la pressione esercitata dal IF
ma anche articoli pratici , a risvolto professionale-educazionale il cui primo obiettivo è quello di soddisfare le diverse
esigenze pratiche dei radiologi italiani. La veste tipografica
moderna da ampio spazio alle immagini con una struttura editoriale nuova dove le varie tipologie di contributi ( pictorial
essay, Case Report , consensus conference, linee guida, lettere, editoriali ecc.) , trovano pari dignità e spazio.
In particolare in questo numero fra gli altri, vengono pubblicati alcuni articoli proposti dalla Sezione di Studio di Radiologia Vascolare e Interventistica che per prima ha raccolto
l’invito del Comitato Editoriale, con grande impegno e professionalità, a collaborare per la piena riuscita di questa nuova
iniziativa SIRM. Altre Sezioni di Studio sono state invitate ad
utilizzare questo nuovo strumento societario non mostrando
tuttavia, ancora la stessa sensibilità e reattività dei colleghi
interventisti.
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 167-168
La nuova rivista nell’anno del Centenario de “La Radiologia
Medica” accoglierà ancora un articolo “storico” ( si è partiti
dal numero 1 del 1914 saltando di decennio in decennio) in
quanto convinti della importanza della conoscenza del nostro
glorioso passato.
Nel prossimo numero verrà dato spazio ai contributi presentati al Convegno Nazionale SIRM di Firenze con la pubblicazione prima dei Corsi monografici e di seguito, dei migliori
Posters scientifici ed educazionali: la strada per la realizzazione di un giornale che ricalchi il più blasonato Radiographics
è ormai aperta.
In un momento difficile, di grande crisi economica e di valori
la SIRM ha scommesso su se stessa investendo in un progetto che espande l’offerta editoriale nella convinzione che la
diffusione della cultura e delle conoscenze siano la migliore
garanzia per la sopravvivenza e lo sviluppo della disciplina.
La Radiologia Medica e Il Giornale Italiano di Radiologia
Medica costituiscono oggi una realtà editoriale che vede la
SIRM all’avanguardia in Europa fra le Società Scientifiche
nazionali da tutti invidiata.
Nuove idee in campo, nuove energie attraverso una razionalizzazione delle risorse e un lavoro corale di grande efficacia
sarà la ricetta per dare forza alle nuove sfide per un futuro migliore; sta ora a tutti noi, ai singoli Soci, alle strutture
istituzionali come Gruppi Regionali e Sezioni di Studio, far
crescere e migliorare quello che con fatica ma grande determinazione è stato dal Comitato Editoriale e dal CD SIRM fin
qui realizzato . La strada è lunga e noi solo all’inizio; il percorso difficile, faticoso, ma sicuramente stimolante: una sfida
quotidiana che tutti stanno interpretando con il massimo della
determinazione. Spesso ci viene spontaneo ripensare ad una
frase attribuita ad un grande della musica (H. Von Karajan):
… coloro che hanno raggiunto tutti i propri obiettivi, probabilmente li avevano impostati troppo bassi”….. .. speriamo di
non aver esagerato.
A. GIOVAGNONI - Direttore Radiologia Pediatrica e Specialistica - Università Politecnica Marche - Az. Ospedali Riuniti “Torrette - Lancisi - Salesi” - 60100 Ancona
e.mail: [email protected] - Tel.: +39 071 5964076
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:169-171
EDITORIALE
Il Radiologo e la medicina umana
AdelfioElioCardinale
Vice-Presidente del Consiglio Superiore di Sanità – Professore emerito di Scienze delle Immagini - Università di Palermo
Da sempre la comunità radiologica italiana – dagli antichi
maestri ai grandi presidenti del nostro sodalizio scientifico-professionale – si è battuta con vigore per affermare la
figura del medico radiologo, come asse portante dei percorsi
diagnostici e terapeutici, per non far declinare la nostra professione nella palude di una figura ancillare dei vari clinici e
specialisti.
Oggi la medicina è caratterizzata da uno sbilanciamento della
componente tecnologica ed economico-finanziaria ( per non
dire ragionieristica) rispetto alla componente antropologica
dell’ “arte lunga”, ricordando la bella definizione della medicina da parte di Ippocrate.
Questo fenomeno connota anche l’attività del radiologo. Gli
strepitosi progressi della nostra disciplina - con un caleidoscopio di immagini, grafiche, tecniche e metodiche terapeutiche – hanno trasformato in pochi anni l’antica radiologia.
Lo studio dell’uomo con i raggi X dava un’immagine morta
delle strutture corporee. Le nuove tecnologie permettono di
carpire il soffio della vita, ricordando l’affabulatrice espressione di Pietro Cignolini. La posta è sempre più alta. Siamo
all’inizio di un nuovo Rinascimento.
Oggi gli uomini di scienza, con il loro disegno teorico e dottrinario, fanno tornare alla mente l’affermazione che Ferdinando Cospi fece su Galeno nel 1677: «Dio di notomista lo
fece diventare teologo» .
Anche la radiologia contemporanea, quasi sempre, è intesa e
praticata come professione veloce e intensa: ritmi frenetici,
con impiego di tecnologie in serie, come una catena di montaggio; ordini secchi e concitati di medici e personale sanitario; barelle che passano veloci; ambulanze a sirene spiegate;
una frenetica serie di azioni, operando, intubando, somministrando, iniettando.
Nella radiologia la relazione tra lo specialista e il malato diviene asimmetrica, non solo in termini fisici ma anche intellettuali. Il rapporto si è molto diradato sino quasi a scomparire. Gli spettacolari successi possono suscitare nel radiologo
l’«hybris», l’orgoglio smisurato che scatena l’ira degli dei.
E’ necessaria una rivisitazione della nostra professione,
nell’ambito più generale della medicina, ricordando il filosofo positivista Auguste Comte, il quale affermava che non si
conosce una scienza senza cognizione della sua storia.
Zakharin, cattedratico, internista, medico alla corte dello Zar
e Maestro di Anton Cechov, propugnava il concetto che “pensare da medico” significa individualizzare ogni singolo caso:
non esiste la malattia ma il malato, di cui bisogna conoscere,
oltre ai sintomi, la storia, l’ambiente di vita e di lavoro, e di
cui bisogna penetrare la sofferenza emotiva, oltre che fisica.
Il medico che si arma nella professione di curiosità e di interesse per il prossimo non deve temere la complessità del suo
compito, deve amarla. Una complessità da sempre presente
nel dolore del suo paziente, ma oggi come mai svelata da
mille indicatori, da lenti di ingrandimento sofisticate, incisa
da mani robotiche, enumerata e codificata da cartelle digitali.
Una complessità velata da un’entropia di informazioni cui al
momento nessun altro esperto, se non la mente del medico,
può porre ordine.
Nel cuore, comunque, v’è l’obiettivo di “recare sollievo” e di
“migliorare qualità e aspettative di vita” del suo paziente. Il
medico utilizzerà l’approccio euristico per osservare e intuire il metodo scientifico, per formulare l’ipotesi diagnostica
e contraddirla senza pregiudizi con l’acquisizione di nuove
evidenze. Utilizzerà, infine, ogni strumento diagnostico vagliandone appropiatezza e accuratezza, senza mai scambiare
il mezzo per il fine.
Nel tempo attuale riscontriamo una sanità frazionata e tecnocratica. Negli ultimi decenni la medicina è evoluta in organizzazioni sempre più complesse. Nel nostro Paese, oltre a
medici e chirurghi, esistono 29 professioni sanitarie, 64 tra
specializzazioni e discipline di perfezionamento, onerose catene gestionali e amministrative.
La ricerca scientifica biomedica ha raggiunto straordinari traguardi di sviluppo tecnico, chimico-fisico, elettronico,
nano-sperimentale. L’epoca del post-umano, con una vera e
propria medicalizzazione dell’esistenza. Il corpo considerato, in maniera riduzionistica, un assemblaggio di meccanismi
che si possono riparare, ove il complesso spirituale dell’uomo viene spesso considerato menzogna o eccedenza. L’uomo
non è solo un ammasso di molecole.
Occorre ricomporre i saperi e ricondurre il malato da numero
a individuo, con una maggiore percezione dei bisogni dei pazienti. E’ necessario riposizionare la persona al centro della
relazione di cura, con un recupero autentico delle antichissime radici umanistiche della medicina, fondate su rispetto,
ascolto, spirito critico, speranza, solidarietà.
Qual è l’essenza della medicina? Una pratica basata su scienze ed esercitata in un mondo di valori. Una professione che
ha come centro e finalità un essere sociale dotato di ragione e
coscienza. La medicina – nei suoi canoni classici guaritrice,
curativa, preventiva, riabilitativa – resta una scienza “debole”, che non possiede algoritmi certi, come quelli necessari
170
per risolvere un’equazione. Il medico molte volte decide in
condizioni probabilistiche.
Il rapporto medico-paziente, da tempo immemorabile, è saldato da un legame prevalentemente umano, che non presenta
solo fondamenta scientifiche, ma è basato sulla “religio medici”, cioè la religione medica del dovere, inerente sia alla
sacralità dell’uomo che all’etica caritativa verso il soggetto
debole. Tale rapporto complesso verso l’essere vivente nella
sua totalità – con funzioni pedagogiche e di tutela – si sintetizza nella pietas, vale a dire attenzione alle sofferenze del
paziente, con una comprensione partecipe dei suoi patimenti,
anche attraverso la pratica.
Quest’alleanza plurimillenaria si è rotta per tre motivazioni
ascrivibili al medico, al malato, all’irrompere crescente e tumultuoso della tecnologia e al moloch della produttività e del
pareggio dei bilanci nella sanità pubblica.
Purtroppo oggi la medicina si annoda facendo perno sulle
sindromi morbose e non sul soggetto infermo. Ne consegue
un’attenzione crescente alla fisiopatologia della malattia e un
deteriore allontanamento dalla realtà antropologica dell’uomo sofferente. Il paziente non è più organismo complesso e
unitario, ma somma di organi o apparati.
Oggi non c’è più tempo e patrimonio mentale per un’arte
medica ove esperienza, colloquio e rapporto diretto siano
fondamentali per una riappropriazione da protagonista della
professione medica. Una medicina arida e distante, rinchiusa
in una presupponente torre dottrinale, sorda ai valori umani,
perciò condannata a non sapere nulla del mondo e della vita.
Il malato, trattato come un numero o una cosa – a causa
dell’eccesso di specializzazione, spersonalizzazione, burocrazia – diviene sempre più ostile e cova un rancore vendicativo verso quella che considera una lobby ingorda. A ciò
si aggiunge che il cittadino e i suoi familiari richiedono non
solo l’obbligazione di mezzi ma l’obbligazione di risultato,
vale a dire la guarigione sempre e comunque.
Nell’attuale “ società terapeutica” – rileva George Steiner – si
è rimossa l’idea della morte, rimasta dominante per millenni.
L’ultimo atto della vita viene nascosto e le persone hanno
perso il senso di una fine.
Da qui l’emergere di una sempre maggiore responsabilità da
parte dei medici, che devono acquisire nuove abilità di comunicatori e scrupolosi mediatori tra i linguaggi scientifici e
i diversi registri della comunicazione sociale, che il filosofo
e sociologo Habermas sin dagli anni Ottanta efficacemente
definì “agire comunicativo”, non solo descrittivo ma efficace
costruttore di nuove realtà e relazioni sociali.
Si è trascurata l’analisi delle carenze nella capacità di relazione del medico con il paziente. Non di rado i medici sono
indifferenti alla sofferenza; ne consegue la necessità di migliorare la formazione etica, psicologica e comportamentale
di chi opera in campo sanitario. E’ questo non solo compito
ma dovere delle istituzioni preposte, delle facoltà mediche,
degli ordini professionali, per inculcare e trasmettere l’etica
grigia del dovere quotidiano, senza riflettori, palcoscenici e
riconoscimenti. Rispetto del paziente: tema culturale che sta
a monte di ogni prassi, sul quale bisogna intervenire soprattutto nei giovani.
L’Organizzazione mondiale della sanità auspica, ormai da
tempo, un approccio al malato centrato su una visione globale del bisogno di cura che, oltre agli aspetti strettamente
medico-clinici, prenda in considerazione le esigenze psicolo-
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:169-171
giche, relazionali e spirituali della persona malata.
Il passaggio epistemiologico dal modello biomedico (disease-centered) al modello centrato sulle tre dimensioni distinte
e interrelate disease-illness-sickness, che considera olisticamente il paziente come persona in un contesto, richiede una
formazione adeguata, sia teorica sia esperienziale, affinchè
possa realizzarsi quel rapporto medico-paziente, basato su
una comunicazione efficace, che è considerato il cardine del
sistema-salute in quanto elemento fondante, imprescindibile
della cura.
Oggi, da più parti si auspica una medicina, come “arte” fondata su un forte rapporto etico-socio-antropologico con il malato, attraverso varie espressioni: medicina umana, narrativa,
condivisa, dell’ascolto, con una sempre migliore comunicazione medico-paziente.
Gli attuali metodi di formazione del medico, rappresentano
sempre un progresso? I corsi di studio risvegliano – specie
nelle nuove generazioni – l’attenzione verso il mondo della
sofferenza, costruendo un professionista sapiente e generoso,
sensibile alla sofferenza altrui in forza di una reciproca plurimillenaria alleanza con il malato? Dopo decenni di esperienza da docente e preside universitario qualche dubbio appare
lecito.
Le disfunzioni che spesso degenerano in quella che viene definita “malasanità” sono in gran parte collegate ad una serie
di fattori connotati trasversalmente da una subsidenza dell’etica. In estrema sintesi la salute come profitto. Ne deriva anche la “Medicina Difensiva”, con danni al malato e alti costi
per la comunità, valutati pari a circa il 10 per cento dell’intero
stanziamento per la sanità italiana. Una somma enorme: circa
13 miliardi di euro, secondo una recente analisi dell’Istat.
Emerge la necessità di nuovi metodi e contenuti formativi,
per i quali occorrono equilibrio e sintesi tra esigenze diverse.
Una valida medicina – etica, equa, solidale – ha una stretta interrelazione con lo stato sociale e il bene comune: una
costruzione sulla quale si incardina il diritto all’eguaglianza sociale, all’omogeneità territoriale, al paritario accesso ai
servizi.
La sapienza umanistica, senza la quale non si spiega l’origine e lo sviluppo delle scienze moderne, resta l’orizzonte
irrinunciabile. In questo contesto è il dolore a interrogarci,
costringendoci a collocare in una giusta prospettiva i progressi scientifici e quindi a riflettere sui limiti del nostro agire, su
ciò che dipende da noi e ciò che non possiamo mutare senza
alterare un nostro giusto rapporto con la realtà.
Il mantenimento della prossimità medico-malato costituisce
un vincolo, percepito dall’accudito come espressione di affetto e protezione.
Si può ricondurre a cinque linee fondamentali l’innovazione del processo formativo medico-chirurgico: insegnamento
centrato sullo studente, formazione clinica incardinata sul
malato, “medical humanities” (o scienze spirituali, come
preferiscono alcuni), saperi integrati, cultura pedagogica dei
docenti. La medicina, con tutte le sue diramazioni, costituisce un insieme organico, vero e proprio cuore pulsante delle
scienze umane.
Per evitare il naufragio nelle lande desolate della tecnocrazia, le scienze umane (etica, bioetica, deontologia, filosofia,
diritto, antropologia, sociologia, filosofia della scienza, biopolitica, biodiritti, storia della medicina, in parte confluenti
nella “science policy”, espressione anglossassone solo par-
171
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:169-171
zialmente tradotta in “politica della scienza”) devono essere abbinate a una prassi più consentanea alla dignità e alle
esigenze del malato. Non una professione fondata su numeri,
tabelle, formule, logaritmi, grafiche, ma una somma di competenze che dischiudono una background knowledge articolata e complessa.
E’ necessaria una rivalutazione culturale, disciplinare e accademica della storia della medicina, come testimoniato anche
da interpellanze parlamentari. La sua progressiva scomparsa
dai piani di studio delle Facoltà priva gli studenti di quegli
stimoli culturali, etici e deontologici, che da sempre caratterizzano la formazione e la professione medica.
Le scienze umane sono il “respiro della mente”: permettono
una formazione slegata dall’impiego delle macchine, con la
capacità - per lo sperimentatore e lo scienziato – di comprendere i valori spirituali e, quindi, di autoconoscersi. L’uomo
amico e ricercatore della sapienza.
Per contro gran parte dei medici contemporanei – e i giovani
in particolare – ritengono che la storia della medicina, o della scienza più in generale, sia una immota contemplazione
del passato, con nostalgie basate su vecchie e logore zimarre
concettuali.
La ricorrenza appena trascorsa del primo centenario della
fondazione del nostro sodalizio scientifico e quella in atto de
“La Radiologia Medica” consentono un momento di riflessione. Un plauso va dato agli organi di governo della Sirm
e ai direttori delle nostre riviste ufficiali per averla celebrata
con convegni, manifestazioni, conferenze e ristampa di articoli storici. Evidenziare i momenti più importanti della Radiologia, significa accendere una scintilla di memoria.
L’evoluzione storica rappresenta un patrimonio necessario a
una migliore conoscenza delle idee scientifiche. Un occhio
sul passato che illumina il presente, ricostruendo i lenti mutamenti e i bruschi cambiamenti della disciplina. Lo sviluppo
non è una marcia lineare ma un percorso sinuoso e irregolare.
Il passato come fonte di spiegazioni e illuminazioni. In estrema sintesi la storia riassume origini, evoluzioni, conquiste,
travagli, sconfitte, riprese e avanzamenti della scienza medica o delle specifiche discipline.
Questo perché i futuri professionisti della sanità assumano
sin d’ora piena consapevolezza che medicina è scienza basata
sui valori umani: ogni professionista, sia esso medico o infermiere o tecnico della sanità, deve possedere la competenza
indispensabile per esercitare correttamente la propria professione, ma anche l’umanità di chi ha scelto come propria
missione quella di concorrere a risolvere i problemi di salute
della persona malata. Si stimolerà quindi sempre negli studenti lo svilupparsi o il potenziarsi di una cultura umanistica
perché è da essa che in buona parte discende quel peculiare
sentimento che, come s’è detto, deve sempre abbinarsi all’abilità professionale.
A questo progetto sta lavorando un gruppo di accademici,
studiosi, esperti, religiosi, politici. Una sinergia tra buona
politica e buona sanità. Nel quadro della sostenibilità finanziaria, bisogna chiaramente indicare che al centro del sistema
sanitario non c’è il pareggio del bilancio, ma la produzione di
salute per l’uomo. Il funzionamento delle aziende è il mezzo,
la tutela della salute il fine.
Un vero e proprio manifesto per la vera medicina, che si ritrova pienamente nelle parole del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: “Sta
crescendo la consapevolezza che la malattia e il dolore sono
un tema globale e simbolico, non soltanto fisiologico. L’accompagnamento umano, psicologico, affettivo e spirituale è
tutt’altro che secondario. C’è bisogno di tornare a una concezione umanistica della medicina”. Principi che valgono anche per i medici di morale laica.
Occorre un reagente morale, un lavoro pedagogico tenace. Il
mestiere del medico – faticoso, difficile, angosciante – deve
tornare ad essere arte della cura, sempre condotta tra scienza
e valori umani. Bisogna che non si disperda il patrimonio di
saperi e professionalità che i medici italiani hanno accumulato, per non sdrucire la trama e l’ordito del patto plurimillenario tra medico e malato.
Per la Radiologia, scienza quanto mai intrisa di tecnologia,
bisognerebbe esser capaci di delineare un orizzonte, nel quale possano conciliarsi la tradizione degli studi e le spinte centrifughe sempre più forti cui essa è sottoposta.
Queste spinte – in accordo con Gianni Guastella – provengono da un lato dalla rapida evoluzione della società, che si
arricchisce sempre più di elementi esterni, destinati a ridisegnare le coordinate delle nostre tradizioni culturali; dall’altro
dalla globalizzazione e dall’inedito scenario comunicativo
che si è aperto grazie alle nuove tecnologie dell’informazione. La Rete, capace di interconnettere un numero prima impensabile di fonti e di agenzie del sapere, ci ha improvvisamente catapultati in un contesto comunicativo assai più vasto
e ricco di quello a cui eravamo abituati.
Il capitale umano digitale diviene sfida ai consueti processi
educativi, con l’obiettivo di una rinnovata formazione capace di intrecciare i contenuti disciplinari perenni, con il loro
dischiudersi alle mutate finalità conoscitive e professionali.
Il simbolo dell’arte medica è il caduceo, vale a dire il bastone alato con attorcigliati simmetricamente due serpenti, che
rappresentano conoscenza e saggezza. Il significato è che per
applicare la conoscenza c’è bisogno di saggezza. Chi edifica
questa medicina sapienziale cura il male e sconfigge l’inverno dello spirito.
A. E. CARDINALE - Vice-Presidente del Consiglio Superiore di Sanità - Professore emerito di Scienze delle Immagini - Università di Palermo
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176
ESTRATTI DA “LA RADIOLOGIA MEDICA”
xxx
Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 3,
March 2014
M. Guazzaroni, A. Spinelli, I. Coco, C. Del Giudice
V. Girardi, G. Simonetti
F. Paparo, M. Revelli, A. Semprini, D. Camellino
A. Garlaschi, M. A. Cimmino, G. A. Rollandi, A. Leone
Value of strain-ratio on thyroid real-time
sonoelastography
Seronegative spondyloarthropathies: what radiologists should Know
Radiol med (2014) 119:149–155
DOI 10.1007/s11547-013-0320-9
Radiol med (2014) 119:156–163
DOI 10.1007/s11547-013-0316-5
Abstract
Abstract
Purpose. The aim of this study was to determine the accuracy
of elastosonography in the differential diagnosis of thyroid
nodules using a qualitative [evaluation of the stiffness score
(SS)] and quantitative assessment [evaluation of the strain ratio (SR)].
Inflammatory involvement of the spine and sacroiliac joints
is the most peculiar feature of seronegative spondyloarthropathies (SpA), which include ankylosing
spondylitis, psoriatic arthritis, reactive arthritis (Reiter’s syndrome), enteropathic spondylitis (related to inflammatory
bowel diseases) and undifferentiated spondyloarthropathies.
SAPHO syndrome may also be considered a SpA, but there is
no clear agreement in this respect. Imaging, along with clinical and laboratory evaluation, is an important tool to reach a
correct diagnosis and to provide a precise grading of disease
progression, influencing both clinical management and therapy. Conventional radiography, which is often the first-step
imaging modality in SpA, does not allow an early diagnosis.
Computed tomography
(CT) demonstrates with a very high spatial resolution the tiny
structural alterations of cortical and spongy bone before they
become evident on plain film radiographs. Magnetic resonance imaging (MRI) is the only modality that provides demonstration of bone marrow oedema, which reflects vasodilatation and inflammatory hyperaemia. The primary aim of this
review article was to examine the involvement of the spine
and sacroiliac joints
in SpA using a multimodal radiological approach (radiography, CT, MRI), providing a practical guide for the differential diagnosis of these conditions.
Materials and methods. In our single-centre retrospective
study, 368 patients were enroled between December 2010 and
March 2012 (134 men, 234 women, mean age 56.1 ± 14.2)
with a diagnosis of thyroid nodules, who underwent conventional ultrasonographic and elastosonographic evaluation.
The SS and SR were assessed and the results were expressed
in terms of sensitivity, specificity, positive predictive value
(PPV) and negative predictive value (NPV). The nodules
were subjected to needle aspiration.
Results. Forty-four nodules were malignant (TIR > 3) and
324 benign on cytological analysis. Considering a cutoff of
SS >2, we had 91 % sensitivity, 68 % specificity, 27 % PPV
and 98 % NPV. Considering a cut-off of SR > 3.28, we had
81.8 % sensitivity, 82.7 % specificity, 39.1 % PPV and 97.1
% NP.
Conclusions. The SR calculation did not provide additional
data to the SS, which remains the elastosonography benchmark. It will be necessary to validate these preliminary data
by larger prospective randomised trials.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176
A. Splendiani, F. Ferrari, A. Barile, C. Masciocchi
M. Gallucci
Lei Yan, Yong-Dong Li, Yue-Hua Li, Ming-Hua Li
Jun-Gong Zhao, Shi-Wen Chen
Occult neural foraminal stenosis caused by
association between disc degeneration
and facet joint osteoarthritis: demonstration
with dedicated upright MRI system
Outcomes of antiplatelet therapy for
haemorrhage patients after thrombolysis:
a prospective study based
on susceptibility-weighted imaging
Radiol med (2014) 119:164–174
DOI 10.1007/s11547-013-0330-7
Radiol med (2014) 119:175–182
DOI 10.1007/s11547-013-0328-1
Abstract
Abstract
Purpose. The aim of our study was to evaluate the presenceof
dynamic foraminal stenosis using a new low-field dedicated
magnetic resonance (MR) unit with a balancing system
that allows images to be acquired both in the recumbent and
upright position. Imaging of lumbar spine with the patient in
a supine, nonweight-bearing position is likely to misrepresent
the degree and potential risk of spinal stenosis.
Purpose. The authors evaluated the effect of susceptibility-weighted imaging (SWI) for antiplatelet therapy on
post-thrombolysis microbleeds (MB).
Materials and methods. In the period between September
2008 and May 2011, we selected 630 symptomatic patients
aged 40–65 years (mean age 56) who underwent conventional
MR in clinostatic position. The study only included selected
patients (total 160) who underwent clinostatic and orthostatic
evaluation using a dedicated MR system (Gscan). The biomechanical parameters were also considered. Changes in the
dimension of the neural foramina were compared using the
presence of disc and facet degeneration by statistical analysis.
Results. Stenosis of the intervertebral foramen was never
found in the presence of normal intervertebral discs either in
the presence or in the absence of facet disease, in either clinostatic or orthostatic position. Sixty-one stenotic levels were
detected which were visualised exclusively in scans obtained
under weight-bearing conditions. We named this dynamic
condition ‘‘occult stenosis’’. In all of these cases, disc disease
was associated with facet pathology.
Conclusion. Our data show that the association between disc
pathology and facet osteoarthrosis can cause occult foraminal stenosis. Strategies to image the spine under physiological
load conditions may improve the clinical diagnosis of radicular pain.
Materials and methods. A total of 146 patients without
symptomatic intracranial haemorrhage on computed tomography after thrombolysis were allocated to two groups:
group A (n = 72) received antiplatelets 24 h after recombinant
tissue plasminogen activator, regardless of SWI-detected haemorrhage; group B (n = 74) received antiplatelets for patients
without SWI-visualised haemorrhage.
Results. Haemorrhage was detected by SWI in 22 and 28 patients in groups A and B, respectively. The difference in mean
NIHSS (National Institutes of Health Stroke Scale) score in
group A between baseline and 6, 24 h, 7, 14 days was -1.6,
-1.7, -3.6, -5.9, respectively; in group B, the difference in
mean NIHSS score between baseline and 6, 24 h, 7, 14 days
was -2.6, -3.3, -5.4, -8.7, respectively. The difference between
groups in reduction of mean NIHSS score from baseline was
1.0 (p<0.001) at 6 h, 1.6 (p<0.001) at 24 h, 1.8 (p = 0.001) at 7
days and 2.8 (p<0.001) at 14 days. NIHSS scores at 7, 14 days
and modified Rankin scale at 90 days were significantly lower
in haemorrhage patients in groups B than in A, whereas the
hospital stay was shorter and the rate of favourable outcome
at 90 days was higher.
Conclusion. Our results indicated that SWI was an effective approach for the guidance of antiplatelet therapy in
post-thrombolysis MB.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176
C. Ferro, E. Andorno, A. Guastavino, U. G. Rossi
S. Seitun, G. Bovio, U. Valente
M. Torella, P. De Franciscis, C. Russo, P. Gallo, A. Grimaldi,
D. Ambrosio, N. Colacurci, M. T. Schettino
Endovascular treatment with primary
stenting of inferior cava vein torsion
following orthotopic liver transplantation
with modified piggyback technique
Stress urinary incontinence:
usefulness of perineal ultrasound
Radiol med (2014) 119:189–194
DOI 10.1007/s11547-013-0317-4
Radiol med (2014) 119:183–188
DOI 10.1007/s11547-013-0325-4
Abstract
Abstract
Purpose. This study was undertaken to evaluate primary stenting in patients with inferior vena cava torsion after orthotopic liver transplantation performed with modified piggyback
technique.
Materials and methods. From November 2003 to October
2010, six patients developed clinical, laboratory and imaging
findings suggestive of caval stenosis, after a mean period
of 21 days from an orthotopic liver transplantation performed with modified piggyback technique. Vena cavography
showed stenosis due to torsion of the inferior vena cava at the
anastomoses and a significant caval venous pressure gradient.
All patients were treated with primary stenting followed by
in-stent angioplasty in three cases.
Results. In all patients, the stents were successfully positioned at the caval anastomosis and the venous gradient pressure
fell from a mean value of 10 to 2 mmHg. Signs and symptoms
resolved in all six patients. One patient died 3 months after
stent placement due to biliary complications. No evidence of
recurrence or complications was noted during the follow-up
(mean 49 months).
Conclusions. Primary stenting of inferior vena cava stenosis
due to torsion of the anastomoses in patients receiving orthotopic liver transplantation with modified piggyback technique
is a safe, effective and durable treatment.
Purpose. Perineal ultrasound provides the most sensitive assessment of the degree of urethralmobility bymeasuring the
pubo-urethral distance and angle. To evaluate whether these
indices may be determinants of success in prosthetic surgery
for stress urinary incontinence, we conducted a retrospective
study of patients treated with tension-free vaginal tape-obturator (TVT-O) surgery and assessed, by measuring the pubourethral distance and angle after TVT-O, whether there was any
quantitative difference between the mean values measured in
the group of cured patients and uncured patients.
Materials and methods. We selected 51 patients who underwent TVT-O and evaluated the failure rate by means of
urogynaecological assessment. We also measured, using perineal ultrasound, the mean values of the pubo-urethral distance
and angle between the two groups of patients.
Results. We recorded a difference in the average pubourethral
distance of 3 mm ± 1.2 at rest and 2.7 mm ± 1.2 under stress
and a difference in the average pubo-urethral angle of 13° ±
6.3° at rest and 8° ± 6.3° under stress between the two groups.
Conclusions. We obtained higher mean values of pubourethral distance and angle in uncured patients compared to
those found in the group of cured patients.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176
D. Greto, L. Livi, C. Saieva, P. Bonomo, I. Meattini,
M. Loi, L. Di Brina, G. Beltrami, D. Campanacci,
G. Scoccianti, R. Capanna, M. Mangoni, F. Paiar
A. Franchi, G. Biti
A. Fiorentino, M. Cozzolino, R. Caivano, P. Pedicini
C. Oliviero, C. Chiumento, S. Clemente, V. Fusco
Neoadjuvant treatment of soft tissue sarcoma
Head and neck intensity modulated
radiotherapy parotid glands:
time of re-planning
Radiol med (2014) 119:195–200
DOI 10.1007/s11547-013-0331-6
Radiol med (2014) 119:201–207
DOI 10.1007/s11547-013-0326-3
Abstract
Abstract
Purpose. The aim of this study was to evaluate disease-free
survival (DFS), overall survival and toxicity of patients who
underwent preoperative therapy for soft tissue
sarcoma.
Purpose. To investigate the correct time point for replanning
by evaluating dosimetric changes in the parotid glands (PGs)
during intensity-modulated radiotherapy (IMRT) in head and
neck cancer patients.
Materials and methods. The data of 38 consecutive patients
affected by soft tissue sarcoma were retrospectively analysed.
Six (15.8 %) patients were treated only with neoadjuvant radiotherapy, and 32 (84.2 %) with neoadjuvant chemo-radiation therapy. Surgery was performed within 4–6 weeks after
the completion of neoadjuvant treatment.
Materials and methods. Patients with head and neck cancer
treated with IMRT were enrolled. During treatment all patients underwent cone-beam computed tomography
(CBCT) scans to verify the set-up. CBCT scans at treatment
days 10, 15, 20 and 25 were used to transfer the original plan
(CBCTplan I, II, III, IV, respectively) using rigid registration
between the two. The PGs were retrospectively contoured and
evaluated with the dose–volume histogram. The mean dose,
the dose to 50 % of volume, and the percentage of volume
receiving 30 and 50 Gy were evaluated for each PG. The
Wilcoxon sign ranked test was used to evaluate the effects
of dosimetric variations and values <0.05 were taken to be
significant.
Results. Median follow-up was 4.9 years (range 1–13.7
years). All patients received preoperative external beam radiotherapy (RT). Most patients (84.2 %) underwent neoadjuvant chemotherapy treatment associated with radiotherapy.
After neoadjuvant treatment, the majority of patients underwent wide excision (32 out of 38) and five patients had
marginal surgery; only one patient underwent amputation.
Local recurrence was observed in only two patients (5.2 %).
Fourteen (36.8 %) patients experienced metastatic relapse. At
the time of our analysis 13 patients (34.2 %) had died due to
metastatic spread of the disease. In our series, DFS in relation to distant metastases (DM) showed a significant result for
lower limb involvement (p = 0.038) and marginal excision (p
= 0.024), both predictors of a worse DFS, histology was statistically significant although it was not possible to evaluate the
risk for specific histology due to the small number of events
in the different subtypes.
Conclusions. The results obtained from our study are encouraging with regard to the feasibility and efficacy of preoperative RT in the treatment of soft tissue sarcoma in
view of the results obtained in terms of local control, limb
sparing and safety.
Results. From February to June 2011, ten patients were enrolled and five IMRT plans were evaluated for each patient.
All the dosimetric parameters increased throughout
the treatment course. However, this increase was statistically
significant at treatment days 10 and 15 (CBCTplan I, II; p =
0.02, p = 0.03, respectively).
Conclusion. CBCT is a feasible method to assess the dosimetric changes in the PGs. Our data showed that checking the
PG volume and dose could be indicated during the third week
of treatment.
176
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176
G. Acri, B. Testagrossa, F. Causa, M. G. Tripepi,
G. Vermiglio, R. Novario, L. Pozzi, G. Quadrelli
Evaluation of occupational exposure
in magnetic resonance sites
Radiol med (2014) 119:208–213
DOI 10.1007/s11547-013-0324-5
Abstract
Purpose. In an attempt to evaluate the exposure level of magnetic resonance imaging (MRI) workers to static magnetic
fields, the isotropic magnetic flux density values were integrated over time to produce the cumulative exposure. To protect occupational staff a further precautionary step is proposed
by introducing a weighting function incorporating the limits
imposed by the Italian legislation. The results obtained should
be reported, at the end of each working day, on a special dose
card, in order to record each worker’s exposure to the static
magnetic field. Moreover, this dose card could be an important tool if long-term effects occur because it provides a complete history of the occupational exposure in an MRI site.
Materials and methods. To conduct measurements, three
Hall-sensor probes were used. The consistency of experimental data, tools and methodologies used was evaluated by performing the Kruskal–Wallis test. Finally, the weighted magnitude of the magnetic flux density was integrated over time to
obtain global exposure.
Results. Measurements were performed on different MRI
scanners ranging from 0.25 up to 3.0 T. The results obtained
were compared with the 200 mT. h, which represents the upper limit of the Italian regulation. In no case was the 200 mT.
h per day exposure exceeded: however, when the strength
of the magnetic field was >200 mT the weighted function
overestimated the exposure, so that it represents a highly precautionary measure taking into account possible acute and
long-term effects. In addition, from the data recorded during
patient positioning operations by MRI staff the dB/dt curve
was obtained.
Conclusions. The areas obtained from the integral of the weighted static magnetic field strength over time can be indicative of the global exposure of the occupational staff. These
values should be reported on a special dose card that could
be considered as an important tool if long-term effects occur because it provides a complete history of the occupational
exposure in an MRI site.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181
xxx
ESTRATTI
DA “LA RADIOLOGIA MEDICA”
Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 4,
April 2014
G. Salvaggio, A. Furlan, F. Agnello, G. Cabibbo, D. Marin
L. Giannitrapani, C. Genco, M. Midiri,
R. Lagalla, G. Brancatelli
Hepatocellular carcinoma enhancement
on contrast-enhanced CT and MR imaging:
response assessment after treatment
with sorafenib: preliminary results
Radiol med (2014) 119:215–221
DOI 10.1007/s11547-013-0332-5
Abstract
Purpose. This study was undertaken to compare response
evaluation criteria in solid tumours (RECIST) 1.1 and modified RECIST (mRECIST) in patients with unresectable hepatocellular carcinoma (HCC) on sorafenib, and to describe
HCC enhancement changes before and after sorafenib treatment.
Methods and materials. Seventeen patients (12 men, 5 women; mean age 69 years; age range 58–79 years) were included. Tumour response was assessed according to RECIST
and mRECIST. Two readers placed a region of interest (ROI)
within each target lesion, on the portion showing enhancement during the arterial phase. The lesion attenuation values
measured within the ROIs on computed tomography or the signal intensity measured on magnetic resonance imaging, during the unenhanced phase, hepatic arterial phase and venous
phase were recorded. Changes in arterial and venous contrast enhancement before and after treatment were compared
among the mRECIST groups using Mann–Whitney U test.
Results. Agreement between mRECIST and RECIST was
good (Cohen’s k coefficient, 0.791). Patients with partial response had a greater decrease in arterial enhancement
(-79.8 %) than did patients with stable disease (SD) (-24.8 %;
p = 0.011) or progressive disease (PD) (-32.9 %; p = 0.034).
No statistically significant difference in arterial enhancement
variation was found among patients with SD and PD. No statistically significant difference in venous enhancementwas
found among themRECIST groups.
Conclusions. mRECIST showed a more favourable response
compared to RECIST 1.1 in patients with unresectable HCC
receiving sorafenib.
T. V. Bartolotta, A. Taibbi, G. Brancatelli, D. Matranga
M. Tumbarello, M. Midiri, R. Lagalla
Imaging findings of hepatic focal nodular
hyperplasia in men and women:
aretheyreallydifferent?
Radiol med (2014) 119:222–230
DOI 10.1007/s11547-013-0333-4
Abstract
Purpose. This study was undertaken to compare the imaging findings of focal nodular hyperplasia (FNH) in men
and women, as seen on multidetector computed tomography
(MDCT), magnetic resonance imaging (MRI) and contrast-enhanced ultrasound (CEUS).
Materials and methods. Two radiologists reviewed 195 imaging studies (17 MDCT, 81 MRI and 97 CEUS examinations)
pertaining to 111 FNHs (mean size 3 cm) in 91 patients (mean
age 39 years). For each lesion, the readers assessed size, location, echogenicity, attenuation, or signal intensity in comparison with adjacent liver parenchyma on both unenhanced and
postcontrast images.
Results. Eighty-nine FNHs (mean size 3.1 cm) were observed
in 73 women (mean age 37.9 years) and 22 FNHs (mean size
2.7 cm) in 18 men (mean age 41.2 years). No statistically significant differences were found between men and women in
terms of age, FNH lesions per patient (1.22 and 1.21, respectively), size, baseline and enhancement pattern on MRI, CEUS
and MDCT (p<0.05). A central scar in FNHs was depicted
in 4/18 (22.2 %) men and 16/63 (25.4 %) women on MRI
(p<0.05), and in 1/2 (50 %) men and 7/15 (46.7 %) women on
MDCT (p<0.05), whereas a spoke-wheel pattern, central scar,
and/or feeding vessel were seen in 5/17 (29.4 %) men and
22/80 (27.5 %) women on CEUS (p<0.05).
Conclusions. Our results did not show any differences in
imaging features, age of occurrence and size of FNH between
men and women.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181
Hye-Suk Park, Ye-Seul Kim, Ok-Seob Park
Sang-Tae Kim, Chang-Woo Jeon, Hee-Joung Kim
P. Clauser, V. Londero, G. Como, R. Girometti,
M. Bazzocchi, C. Zuiani
Effective DQE (eDQE) and dose to optimize
radiographic technical parameters: a survey of
pediatric chest X-ray examinations in Korea
Comparison between different imaging
techniques in the evaluation of malignant
breastlesions:can3Dultrasoundbeuseful?
Radiol med (2014) 119:231–239
DOI 10.1007/s11547-013-0337-0
Radiol med (2014) 119:240–248
DOI 10.1007/s11547-013-0338-z
Abstract
Abstract
Objective. The purpose of this study was to investigate the
effect of various technical parameters for dose optimization
in pediatric chest radiological examinations by evaluating
effective dose and effective detective quantum efficiency
(eDQE).
Purpose. This study was done to assess the feasibility of
three-dimensional ultrasonography (3D-US) for volume calculation of solid breast lesions.
Materials and methods. For tube voltages ranging from 40
to 90 kV in 10 kV increments at the focus-to-detector distance
(FDD) of 100, 110, 120, 150, 180 cm, the eDQE was evaluated at same effective dose.
Results. The eDQE was considerably higher without the use
of the grid on equivalent effective dose. This indicates that
the reduction of scatter radiation did not compensate for the
loss of absorbed effective photons in the grid. The eDQE increased with increasing FDD because of the greater effective
modulation transfer function (eMTF) with lower focal spot
blurring. However, most of the major hospitals in Korea employed a short FDD of 100 cm with the grid. The entrance surface air kerma values for the hospitals of this survey exceeded
the Korean reference level of 100 µGy.
Conclusions. The different reference levels might be appropriate for the same examination conducted on children of different ages. Also, it is necessary to refine the technical parameters to perform pediatric chest examinations.
Materials and methods The volumes of 36 malignant lesions were measured using conventional 2D-US, 3D-US and
magnetic resonance imaging (MRI) and compared with that
obtained with histology (standard of reference). With 2D Ultrasouns, volume was estimated by measuring three diameters and calculating volume with the mathematical formula
for spheres. With 3D-US, stored images were retrieved and
boundaries of masses were manually outlined; volume calculation was performed with VOCAL software. For MRI, volume measurements were obtained with special software for 3D
reconstructions, after each lesion had been manually outlined.
Histology measured the three main diameters and the volume
was estimated using the mathematical formula for spheres.
Interclass correlation coefficient (ICC) and Bland–Altman
plots were used to assess agreement between the volumes measured.
Results ICC indicated that a good level of concordance was
identified between 3D-US and histology (0.79). According
to the Bland–Altman analysis, limits of agreement of mean
differences of the volumes measured with the three imaging
modalities were comparable with histology: - 2 -:- 1.5 cm3
for 3D-US; -2.3 -:- 1.3 cm3 for 2DUS and -2.2 -:- 1.6 cm3 for
MRI.
Conclusions 3D-US is a reliable method for the volumetric
assessment of breast lesions. 3D-US is able to provide valuable information for the preoperative evaluation of lesions.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181
M. Belgrano, P. Bregant, M. Fute Djoguela, W. Toscano
E. Marchese, M. A. Cova
M. Bandirali, L. M. Sconfienza, A. Aliprandi, G. Di Leo
D. Marchelli, F. M. Ulivieri, F. Sardanelli
256-slice CT coronary angiography: in vivo
dosimetry and technique optimization
In vivo differences among scan modes
in bone mineral density measurement
at dual-energy X-ray absorptiometry
Radiol med (2014) 119:249–256
DOI 10.1007/s11547-013-0334-3
Radiol med (2014) 119:257–260
DOI 10.1007/s11547-013-0342-3
Abstract
Abstract
Purpose. This study was undertaken to compare the different
acquisition protocols available in a last-generation multislice
computed tomography scanner used for cardiovascular studies, with particular attention to dosimetric aspects.
Materials and methods. Our study compared prospective
and retrospective electrocardiographic-gating techniques for
cardiac imaging. For each patient, we performed in vivo dose
measurements, using Gafchromic film. We compared the effective dose values estimated from the experimental measurements and the dose data reported on the CT console. Image
quality was also assessed.
Results. Prospective acquisition allows for major dose savings compared to retrospective acquisition (mean effective
dose, 4.5 mSv with prospective acquisition versus 27.5 mSv
with retrospective acquisition). The agreement between the
experimental and software-based dose estimates was excellent and showed below 10 % of variation of the measured
dose.
Conclusion. In patients with regular rhythm and a heart rate
lower than 75 bpm, the prospective acquisition technique ensures adequate diagnostic results and allows for significant
patient dose savings.
Purpose. Our aim was to estimate the in vivo reproducibility
of bone mineral density (BMD) at dual-energy X-ray absorptiometry (DXA) and to compare fast array, array, and high-definition scan modes.
Materials and methods. A total of 378 patients (38 males
and 340 females; mean age 63 ± 9 years) underwent DXA
using a QDR-Discovery A densitometer (Hologic). Considering the three scan modes on lumbar spine and right femur, six
independent groups of 30 patients were examined twice (for
a total of 180 patients). Least significant change (LSC) and
smallest detectable difference (SDD) were calculated. The
remaining 198 patients underwent three scans of the lumbar
spine (n = 92) or of the right femur (n = 106), one for each
scan mode. The student t test and Bland–Altman analysis
used were. Scan times were recorded and radiation dose was
estimated using the ICRP60 method.
Results. Intra-scan mode reproducibility was 98–99 %, corresponding to an LSC of 1.49–2.08 %. The SDD was 0.018–
0.023 g/cm2 (lumbar spine) and 0.017–0.019 g/cm2 (right femur). All comparisons among scan modes were statistically
significant (p<0.001) but lower than SDDs, i.e. not clinically
relevant. Considering lumbar spine and the right femur, scan
times were 50 and 38 s for fast array, 98 and 74 s for array,
and 195 and 148 s for high definition, respectively; radiation
doses were 6.7 and 4.7 mSv for fast array, and 13.3 and 9.3
mSv for both array and high definition, respectively.
Conclusion. Since all BMD differences were lower than the
SSDs, the three scan modes can be considered interchangeable. As a consequence, although the absolute reduction in
time and radiation dose is relatively low, when BMD measurement is the aim of DXA, fast array can be generally preferred.
180
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181
A. M. Ierardi, C. Floridi, F. Fontana, E. Duka, A. Pinto
M. Petrillo, E. Kehagias, D. Tsetis, L. Brunese, G. Carrafiello
Hui Li, Laura Diaz, Daniel Lee, Lei Cui, Xin Liang
Yingsheng Cheng
Transcatheter embolisation of iatrogenic
renal vascular injuries
In vivo imaging of T cells loaded with gold
nanoparticles: a pilot study
Radiol med (2014) 119:261–268
DOI 10.1007/s11547-013-0343-2
Radiol med (2014) 119:269–276
DOI 10.1007/s11547-013-0335-2
Abstract
Abstract
Purpose. The aim of our study was to review our experience
and long-term follow-up in the treatment of iatrogenic renal
vascular injuries using transcatheter embolisation.
Purpose. Malignant tumours develop strategies to avoid immune recognition and elimination by T cells, even in individuals with a fully functioning immune system. To
explore the treatment approach of adoptive immunotherapy,
we exploited T cells loaded with radiolabelled gold nanoparticles (AuNPs) to track T cells in vivo.
Materials and methods. Our retrospective analysis of cases
collected in two interventional centres consists of a total of
21 patients who underwent renal arterial embolisation (RAE)
for iatrogenic arterial kidney bleeding. Biopsy (n = 4), percutaneous nephrolithotomy (n = 4), nephron-sparing surgery
(n = 4), guidewire-induced arterial perforation during coronary angiography or renal stenting (n = 3), percutaneous nephrostomy (n = 3), renal endopyelotomy/pyeloplasty (n = 2)
and surgical nephrectomy were the iatrogenic causes. Seven
patients presented with haemodynamic instability requiring
blood transfusion (33.3 %), the remaining were haemodynamically stable (66.7 %). Diagnostic renal angiography revealed 9 actively bleeding vessels, 6 pseudoaneurysms, 4 arteriovenous fistulas and 1 arterio-calyceal fistula. In one patient
selective renal arteriography was negative probably because
the bleeding observed at CT angiography was self-limited.
Twenty-one embolisation procedures were performed in 20
patients; one patient required a second embolisation 3 h after
the first one. Embolisation was performed with microcoils,
polyvinyl alcohol particles, embospheres, spongostan emulsion and vascular plug.
Results. The technical success rate was 100 %. The overall
clinical success rate was 95 %. Apart from a patient who died
due to disseminated intravascular coagulation, no major complications requiring intensive care treatment were encountered during or after the procedures. No patient required emergency surgery or subsequent surgical treatment. No statistically significant differences in eGFR or renal function stage
appeared after RAE.
Conclusions. Percutaneous treatment can be proposed as a
first-line treatment in iatrogenic renal arterial injuries, resulting in a safe and effective procedure.
Materials and methods. Surface-modified AuNPs were radiolabelled with 111In or 64Cu. They were then transferred into
T cells via electroporation. To evaluate the effectiveness
of this process, T cells loaded with 111In-radiolabelled AuNPs
were injected directly into the right lung of nude mice for in
vivo imaging by micro-SPECT/CT. T cells loaded with
64
Cu-radiolabelled AuNPs were then injected into the tail vein
of nude mice and imaged by micro-PET/CT.
Results. High uptake signals were observed in the right lung
following the direct injection of T cells containing 111In-labelled AuNPs. Imaging showed a marked difference in the dynamic biodistribution of T cells containing 64Cu-labelled AuNPs
when compared with 64Cu-labelled AuNPs alone.
Conclusions. This study demonstrated the feasibility of the
in vivo imaging of T cells loaded with radiolabelled AuNPs.
181
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181
R. Orecchia, V. Vitolo, M. R. Fiore, P. Fossati, A. Iannalfi
B. Vischioni, A. Srivastava, J. Tuan, M. Ciocca, S. Molinelli,
A. Mirandola, G. Vilches, A. Mairani, B. Tagaste, M. Riboldi,
G. Fontana, G. Baroni, S. Rossi, M. Krengli
Proton beam radiotherapy:
report of the first ten patients treated at the
‘‘Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica
(CNAO)’’ for skull base and spine tumours
Radiol med (2014) 119:277–282
DOI 10.1007/s11547-013-0345-0
Abstract
Purpose. The Italian National Centre for Oncological Hadrontherapy (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica,
CNAO), equipped with a proton and ion synchrotron, started
clinical activity in September 2011. The clinical and technical
characteristics of the first ten proton beam radiotherapy treatments are reported.
Materials and methods. Ten patients, six males and four
females (age range 27–73 years, median 55.5), were treated
with proton beam radiotherapy. After one to two surgical procedures, seven patients received a histological diagnosis of
chordoma (of the skull base in three cases, the cervical spine in one case and the sacrum in three cases) and three of
low-grade chondrosarcoma (skull base). Prescribed doses
were 74 GyE for chordoma and 70 GyE for chondrosarcoma
at 2 GyE/fraction delivered 5 days per week.
Results. Treatment was well tolerated without toxicityrelated
interruptions. The maximal acute toxicity was grade 2, with
oropharyngeal mucositis, nausea and vomiting for the skull
base tumours, and grade 2 dermatitis for the sacral tumours.
After 6–12 months of follow-up, no patient developed tumour
progression.
Conclusions. The analysis of the first ten patients treated with
proton therapy at CNAO showed that this treatment was feasible and safe. Currently, patient accrual into these as well
as other approved protocols is continuing, and a longer follow-up period is needed to assess tumour control and late
toxicity.
A. Orlacchio, A. M. Ciarrapico, O. Schillaci, F. Chegai
D. Tosti, F. D’Alba, M. Guazzaroni, G. Simonetti
PET–CT in oncological patients: analysis of
informal care costsin cost–benefit assessment
Radiol med (2014) 119:283–289
DOI 10.1007/s11547-013-0340-5
Abstract
Purpose. The authors analysed the impact of nonmedical costs (travel, loss of productivity) in an economic analysis of
PET–CT (positron-emission tomography–computed tomography) performed with standard contrast-enhanced CT protocols (CECT).
Materials and methods. From October to November 2009, a
total of 100 patients referred to our institute were administered
a questionnaire to evaluate the nonmedical costs of PET–CT.
In addition, the medical costs (equipment maintenance and
depreciation, consumables and staff) related to PET–CT performed with CECT and PET–CT with low-dose nonenhanced
CT and separate CECT were also estimated.
Results. The medical costs were 919.3 euro for PET–CT with
separate CECT, and 801.3 euro for PET–CT with CECT. Therefore, savings of approximately 13 % are possible. Moreover, savings in nonmedical costs can be achieved by reducing
the number of hospital visits required by patients undergoing
diagnostic imaging.
Conclusions. Nonmedical costs heavily affect patients’ finances as well as having an indirect impact on national health
expenditure. Our results show that PET–CT performed
with standard dose CECT in a single session provides benefits
in terms of both medical and nonmedical costs.
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
xxx
CARDIORADIOLOGIA
Cardio-tc con apparecchiatura a 256 strati ottimizzazione
della tecnica e valutazione dosimetrica
M. Belgrano1, P. Bregant2, M. Fute Djoguela1, W. Toscano1, E. Marchese1, M. A. Cova1
1
UCO di Radiologia, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
Ospedale di Cattinara, strada di Fiume 447, Trieste, Italia, e-mail: [email protected]
2
S.C. Fisica Sanitaria, Ospedale Maggiore, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti” di Trieste, strada di Fiume 447, Trieste, Italia
Indirizzo Autore: M. Belgrano, Tel./Fax: +39-040-3994967, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 24 Aprile 2012 / Accettato: 24 Gennaio 2013
Riassunto
Obiettivo. confrontare i diversi protocolli di scansione disponibili su un tomografo multistrato di ultima generazione per
lo studio del cuore e delle arterie, considerando in particolare
gli aspetti dosimetrici.
Materiali e Metodi. si sono confrontate le tecniche prospettica e retrospettiva per l’indagine cardiaca. Per ciascun paziente sono state effettuate misure di dose in vivo, mediante
pellicole gafcromiche. Si sono confrontati i valori di dose efficace stimati dalle misure sperimentali e dagli indicatori di
dose riportati sulla consolle. E’ stata valutata la qualità delle
immagini seguendo il sistema di classificazione della American Heart Association.
Risultati. la tecnica di acquisizione prospettica garantisce un
significativo risparmio di dose al paziente rispetto alla tecnica retrospettiva (Valore medio della Dose Efficace: 4.5 mSv
con tecnica prospettica e 27.5 mSv con tecnica retrospettiva).
L’accordo tra le stime di dose sperimentali e mediante software è ottimo e contenuto entro il 10% della dose misurata.
Conclusioni. nei pazienti con battito cardiaco regolare e frequenza fino a 75 bpm, la tecnica di acquisizione prospettica
garantisce un adeguato risultato diagnostico e consente un significativo risparmio di dose al paziente .
Parole chiave tomografia computerizzata multistrato,
angio-TC, dosimetria, pellicole gafcromiche
Introduzione
L’angiografia coronarica mediante tomografia computerizzata
multistrato (AC-TCMS) costituisce una delle maggiori innovazioni in campo medico diagnostico degli ultimi dieci anni [1].
Fin dalla sua introduzione in ambito clinico nel 1998, la diagnostica per immagini del cuore e delle arterie coronarie ha
rappresentato uno dei campi di maggior interesse della TC
multistrato (TCMS) [2, 3]. Malgrado le rilevanti implicazioni epidemiologiche ed economico-sanitarie della cardiopatia
ischemica [4], lo studio dell’albero coronarico con metodiche
di tipo non invasivo è stato per molti decenni un problema di
difficile soluzione per limiti tecnici intrinseci, rimanendo dominio quasi esclusivo della coronarografia selettiva, procedura gravata da una non trascurabile mortalità e morbilità [5-7].
L’elevata risoluzione spaziale e temporale ottenibile soprattutto con gli apparecchi TCMS a 16, 32, 40 e 64 canali e la
possibilità di ottenere un’adeguata cardiosincronizzazione ha
consentito di superare almeno in parte tali limitazioni, dando
luogo ad una rivoluzione nella gestione del paziente coronaropatico [8, 9].
I numerosi studi clinici pubblicati in questi ultimi anni hanno
ormai ampiamente dimostrato come la TCMS rappresenti una
metodica dalla elevata accuratezza diagnostica sia per quanto riguarda la valutazione delle stenosi coronariche sia per il
follow-up della pervietà dei by-pass aorto-coronarici [10-17].
Le maggiori limitazioni della TCMS dipendono da limiti di
risoluzione della metodica e pertanto, come sottolineato da
Achenbach nel 2004, la chiave per ottenere prestazioni diagnostiche sempre più accurate è l’incremento della risoluzione sia spaziale sia temporale [18].
I rapidi avanzamenti tecnologici della TCMS hanno infatti
incrementato l’accuratezza diagnostica dell’imaging non invasivo delle arterie coronarie migliorando la qualità dell’immagine sia dal punto di vista della risoluzione spaziale sia
temporale. Il sempre più largo impiego dell’AC-TCMS ha enfatizzato la necessità di un controllo sulla dose al paziente durante queste procedure. Fin dai primi anni del suo sviluppo il
problema della dose di radiazioni ha condizionato lo sviluppo
della metodica [19, 20] risultando uno dei suoi principali problemi. Tutt’ora la dose di radiazioni rappresenta la maggiore
critica che viene rivolta alla metodica. Le forti perplessità in
questo senso hanno spinto le case produttrici allo sviluppo di
apparecchiature non solo dotate di maggior copertura lungo
l’asse Z, ma anche capaci di contenere la dose al paziente in
modo sempre più efficace.
La revisione della letteratura, si basa principalmente su esperienze effettuate con apparecchiature a 64 strati ed evidenzia
come sia oggi possibile effettuare un’indagine di AC-TCMS
somministrando una dose efficace pari ad 1-7 mSv in media,
a seconda della complessità e della compliance delle popolazioni di pazienti che vengono arruolate per l’indagine [21,
22]; con apparecchiature di nuova generazione (con numero
183
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
di strati maggiore di 64) è possibile effettuare indagini con
dose efficace uguale o inferiore ad 1 mSv [22-24]
Lo scopo di questo lavoro è valutare gli aspetti dosimetrici
dell’AC-TCMS con apparecchiatura a 256 strati tramite misure in vivo sul paziente con strisce di pellicole GAFCROMICH
posizionate sulla cute e confrontarli con quelli calcolati dal
software dello scanner.
Materiali e metodi
Nel periodo compreso tra novembre 2010 e maggio 2011,
sono stati arruolati un totale di 41 pazienti - 29 di sesso maschile, 12 di sesso femminile, con età media di 63 anni (range
34 – 89 anni) - sottoposti ad angio-TC coronarica mediante
TCMS (AC-TCMS) con apparecchiatura TCMS a 256 strati
(Brillance iCT, Philips Healthcare, Eindoven; Olanda).
I pazienti presentavano un BMI medio di 26.7 Kg/m2 (range:
17,5–36 Kg/m2) ed una frequenza cardiaca media di 66.9 bpm
(range: 50-95 bpm), e sono stati sottoposti ad AC-TCMS per
differenti indicazioni cliniche (Tabella 1).
Tabella 1 Caratteristiche dei pazienti ed indicazioni cliniche
Indicazioni cliniche
Valutazione aorta toracica
10 (22%)
Coronaropatia nota e sospetta coronaropatia
8 (18%)
Valutazione atrio sinistro e vene polmonari
7 (16%)
Angina stabile od instabile
6 (14%)
Pazienti con indicazioni chirurgiche
6 (14%)
Pazienti asintomatici con molteplici fattori di rischio
4 (9%)
Pregresso bypass
1 (2%)
Intervento programmato di PTCA
1 (2%)
Pregresso posizionamento di Stent
1 (2%)
Preparazione del paziente
Tutti i pazienti sottoposti all’indagine hanno ricevuto b-bloccanti ad emivita breve (100 mg di esmololo, Brevibloc - Baxter Inc. - New Jersey USA) quando la frequenza cardiaca
pre-esame è risultata superiore a 75 bpm; in virtù della breve
emivita del farmaco utilizzato la somministrazione è avvenuta
immediatamente prima della scansione angiografica; Inoltre
è stata valutata la capacità di mantenere un’apnea sufficiente
per il periodo di acquisizione del volume di dati, in media pari
a 4 – 12 secondi. In assenza di controindicazioni, pochi minuti
prima della scansione è stato somministrato del nitrato sublinguale (0,6-1,2 mg di nitroglicerina, Natispray - Theofarma
srl - Salimbene - Italia).
Protocolli di scansione
Per alcuni pazienti (16), quando richiesto dal clinico inviante, è stata eseguita una fase pre-contrastografica mirata alla
quantificazione del calcio coronarico. La quantità di calcio
a livello delle pareti delle arterie coronarie è stata valutata
mediante tecnica Ca-score seguendo il protocollo di Agaston.
Durante la fase contrastografica il mezzo di contrasto (MdC)
organo-iodato ad alta concentrazione (Iomeprolo 400mgI/ml
- Iomeron 400 - Bracco - Italia) è stato somministrato per via
endovenosa attraverso una vena antecubitale del braccio destro, mediante un’agocannula da 18 gauge; è stato iniettato
con un flusso di 4-6 ml/s un volume totale di MdC (VT)
calcolato con la seguente formula:
VT = flusso x (tempo di attesa + tempo di scansione) + (10 cc)
La differenza di flusso è condizionata dalla disponibilità di un
valido accesso periferico.
La somministrazione del MdC è stata poi seguita da un bolo
di soluzione fisiologica di 40 ml con lo stesso flusso, utilizzando un iniettore automatico Stellant a doppia testa (Medrad,
Indianola, USA). La scansione è stata sincronizzata al bolo
di contrasto mediante protocollo di triggering Bolus Tracking
fornito dall’apparecchiatura che prevede il posizionamento di
una ROI in aorta discendente ed un valore soglia regolato in
100 HU sopra il valore basale.
Le indagini sono state acquisite mediante protocollo di triggering cardiaco prospettico (che esegue acquisizioni assiali centrate generalmente al 78% dell’intervallo R-R), o retrospettivo (basato su un’acquisizione elicoidale con ricostruzione retrospettiva delle immagini isocardiofasiche), a seconda delle
differenti esigenze cliniche e della frequenza cardiaca dopo la
somministrazione del beta-bloccante. I parametri di scansione
dei protocolli d’esame sono riassunti nella Tabella 2.
Valutazione dosimetrica
Per ciascun paziente, oltre a registrare i valori di CTDI e
DLP della consolle, sono state effettuate misure di dose in
vivo mediante l’impiego di speciali pellicole autosviluppanti,
commercialmente note come Gafcromich XR-QA, che si anneriscono durante l’esposizione.
Queste pellicole tagliate a strisce larghe circa 1 cm e protette
da pellicola di plastica per evitare il contatto con la cute, sono
state posizionate sul paziente per tutta la durata dell’esame
a livello sternale, lungo la linea ascellare media a destra e a
sinistra e nello spazio interscapolare. Le strisce appoggiate sul
torace erano lunghe circa 24 cm, le altre 10 cm.
Le pellicole sono calibrate in modo da ottenere la dose in funzione del loro livello di annerimento che si ricava acquisendo
un’immagine delle pellicole con uno scanner. La funzione utilizzata è la seguente:
Dose = 1/a (1/(x-c) – b)
dove x indica il livello di grigio, ed a, b e c sono parametri
della funzione (a = 1,17E-06, b = 3,31E-05, c = 6994)
Con questa metodica è stato possibile ricavare il profilo di
dose lungo l’asse Z a livello della cute e stimare un indicatore dosimetrico sperimentale, definito INDS, utilizzato al
posto del valore del CTDIvol [25] per il calcolo del DLP. Per
ciascun esame sono state effettuate due stime di dose efficace, indicate rispettivamente come DEPhilips e DEsper, ottenute
moltiplicando il DLP per il fattore di normalizzazione EDLP
(mSv mGy-1 cm-1), pari a 0.017 per il distretto toracico.
Per stimare DEPhilips è stato utilizzato il valore del DLP totale dell’esame dichiarato sul report dosimetrico prodotto dalla
macchina. Per calcolare DEsper,il valore del DLP è stato ottenuto come prodotto tra l’indicatore dosimetrico sperimentale
INDS e il range di scansione.
184
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
Tabella 2 Parametri di scansione e ricostruzione; impiego mezzo di contrastro
Parametri
Retrospettivo
Prospettico
128x2 / 96 x 2
128x2
0,625
0,625
100 - 120
80 – 120
mAs
800
115 - 200
Pitch
0,17-0,18
-
270
270
4 - 12
4 - 12
0,8 - 0,9
0,8 - 0,9
250
250
CB/XCB
CB/XCB
Detailed cardiac
Detailed cardiac
Scansione
Detettori
Collimazione (mm)
Tensione (kV)
Tempo di rotazione (msec)
Tempo di scansione (sec)
Ricostruzione
Spessore dello strato
FOV (mm)
Filtro di convoluzione (kernel)
Risoluzione temporale
Mezzo di contrasto
Tecnica di sincronizzazione
Bolus tracking
Bolus tracking
Aorta discendente
Aorta discendente
60 - 100
60 - 100
Velocità di flusso (ml/s)
4-6
4-6
Concentrazione (mgI/ml)
400
400
Antecubitale destro
Antecubitale destro
ROI
Volume (ml)
Accesso venoso
Risultati
Dei 41 pazienti inizialmente arruolati, 5 pazienti sono stati
esclusi dallo studio per problemi tecnici legati sia al sistema
di lettura delle pellicole, sia ad anomalie del software che produce il report dosimetrico del tomografo.
La popolazione eleggibile per lo studio si è ridotta quindi a 36
pazienti (24 maschi e 12 femmine).
In base alle esigenze diagnostiche e alle caratteristiche fisiche
del paziente, gli esami sono stati eseguiti utilizzando 5 diverse modalità di acquisizione: come evidenziato in Tabella 3, il
42% (15/36) dei pazienti è stato investigato con il protocollo
prospettico (solo prospettico o prospettico con Ca-score), il
50% (18/36) con protocollo retrospettivo (distinto a sua volta
in solo retrospettivo e retrospettivo con Ca-score), riservato
principalmente ad indagini volte allo studio di pazienti con
frequenza cardiaca elevata (> 75 bpm), in presenza di frequenti extrasistole o quando fosse richiesto lo studio di tutto il
torace (indicazioni ad intervento cardiochirurgico o controllo
di bypass in mammaria). In un limitato numero di casi (3/36)
il paziente è stato sottoposto a doppia indagine, a causa del
risultato non diagnostico dell’esame eseguito con protocollo
prospettico a causa della presenza di extrasistole che hanno
comportato la presenza di artefatti da movimento; in questi
casi il protocollo retrospettivo permette una più sicura gestione delle extrasistole, soprattutto in considerazione della necessità di una seconda somministrazione di MdC, che è stata
eseguita dopo aver verificato che la dose totale di mezzo di
contrasto fosse compatibile con la funzionalità renale del Paziente. In tali casi si è optato per l’esecuzione di una seconda
scansione con tecnica retrospettiva, in quanto fornisce maggiori garanzie di successo (per la possibilità di eseguire post
processing), anche considerando l’impossibilità di somministrare ulteriore mezzo di contrasto. La dose registrata in corso
di tali indagini, ovviamente maggiore della media in ragione
della doppia scansione, è stata comunque conteggiata come
dose di un singolo esame, in quanto si è considerato come la
ripetizione di un indagine possa essere un evento fisiologico
nella pratica clinica.
Il BMI medio e la frequenza media per i pazienti sottoposti al
protocollo prospettico è risultato essere rispettivamente pari a
26,3 ± 3,3 Kg/m2 e 67,1 ± 11,9 bpm, mentre per il protocollo
retrospettivo pari a 27,08 ± 3,96 Kg/m2 e 66,7 ± 7,7 bpm.
La DEPhilips media stimata utilizzando i dati registrati sulla
consolle di acquisizione è stata pari a 2,6 mSv (range 1,1 ÷ 7,8
mSv) in caso di protocollo prospettico semplice e pari a 5,7
mSv (range 4,7 ÷ 8,2 mSv) in caso di protocollo prospettico
associato al Ca-score; per il protocollo retrospettivo la DEPhilips
media è risultata pari a 27 mSv (range 14,2 ÷ 56,4 mSv) in
caso di protocollo retrospettivo semplice e pari a 17,4 mSv
(range 10,3 ÷ 23,5 mSv) in caso di protocollo retrospettivo
associato al Ca-score (Figura 1).
La DEsper ottenuta a partire dalla dosimetria in vivo è risultata
pari a 3 mSv (range 1,1 ÷ 9,8 mSv) in caso di protocollo pro-
185
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
spettico semplice, 5,9 mSv ( range 3,4 ÷ 10,5 mSv) in caso di
protocollo prospettico associato al Ca-score, 31,7 mSv (range
15,7 ÷ 73,8 mSv) in caso di protocollo retrospettivo semplice e 17.1 mSv (range 8,5 ÷ 24,6 mSv) in caso di protocollo
retrospettivo associato al Ca-score. I dati sono sinteticamente
riportati nella Tabella 3.
Nella Tabella 4 sono evidenziati i valori dosimetrici delle indagini suddivise per tensione applicata al tubo radiogeno.
L’analisi delle pellicole gafchromiche ha consentito di tracciare dei profili di dose che descrivono i valori dosimetrici
registrati dalla pellicola punto per ogni punto lungo l’asse Z;
tali profili presentano caratteristiche peculiari a seconda che
le pellicole siano state esposte ad in corso di un’indagine eseguita con tecnica prospettica assiale (figura 2), o retrospettiva
spirale (Figura 3).
Discussione
Attualmente la letteratura basata sull’utilizzo di apparecchiature a 64 strati dimostra come la metodica AC-TMS comporti
una dose di radiazioni necessaria all’esecuzione dell’indagine
non trascurabile [22, 26, 27] e come si osservi una riduzione
della performance diagnostica quando la frequenza cardiaca è
irregolare e/o elevata (>65 bpm)[27-30].
L’apparecchiatura a 256 strati su cui è stato eseguito il nostro studio consente, in virtù della sua elevata risoluzione
temporale,, di eseguire indagini di cardio-TC con tecnica
prospettica anche in pazienti con frequenza cardiaca elevata, difficilmente valutabili con apparecchiature di precedente
generazione. Tale tecnica consente un significativo risparmio
di dose rispetto alla tradizionale tecnica di acquisizione con
Tabella 3 Confronto tra i valori delle Dosi efficaci medie stimate a partire dagli indicatori dosimetrici sperimentali e riportati sulla consolle
Protocollo
DEPhilips Media
DEsper Media
Prospettico
2.6 mSv
3.0 mSv
Prospettico con Ca-Score
5.7 mSv
5.9 mSv
Retrospettivo
27.0 mSv
31.7 mSv
Retrospettivo con Ca-Score
17.4 mSv
17.1 mSv
Prospettico+Retrospettivo con Ca-Score
16.1 mSv
18.0 mSv
Tabella 4 Caratteristiche dosimetriche degli esami suddivise per tensione del tubo radiogeno
Numero pazienti
(%)
TECNICA
ASSIALE
(+ Ca-score*)
TECNICA
SPIRALE
(+Ca-score*)
TECNICA ASSIALE
+ SPIRALE
(+ Ca-score)
DE= Dose Efficace
DE media
consolle
DE media
sperimentale
80 kV
5
(14%)
1,6
1,8
100 kV
1
(3%)
2,4
2,2
120kV
1 (8*)
(25%)
7,8 (5,7*)
9,8 (5,5*)
80 kV
-
-
-
100kV
2 (1*)
(8%)
16,6 (10,3*)
20,1 (8,5*)
120kV
11 (4*)
(42%)
28,9 (19,2*)
33,8 (19,2*)
120 kV
3 (8%)
25,3
27,6
186
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
Fig. 1 Confronto tra i valori di Dose Efficace media in funzione del protocollo utilizzato.
Fig. 2 (A) Picchi di dose a livello delle curve dosimetriche dovuti alla sovrapposizione dei pacchetti ed al Bolus Tracking, (B) pattern complesso della curva
dosimetrica di una scansione assiale con acquisizione di 4 slab, l’ultimo dei
quali è compreso solo parzialmente sul grafico in quanto esteso oltre la pellicola gafcromica. (In questo Paziente è stato acquisito tutto il distretto toracico
in relazione al quesito clinico di studio delle coronarie e dell’aorta toracica).
Fig. 3 Differente spaziatura fra i picchi dosimetrici nelle scansioni spirali,
spiegabile con il sovrapporsi delle dosi delle singole rotazioni.
ricostruzione retrospettiva delle immagini. I nostri risultati
confermano le potenzialità di questa tecnica. La dose efficace
media per gli esami eseguiti con le acquisizioni assiali è risultata inferiore di più dell’80% rispetto alla dose efficace media
stimata per gli esami ottenuti con tecnica spirale (Figura 1). Il
risparmio di dose è evidente, anche se è necessario precisare
che il valore medio della dose efficace stimata per il gruppo
di pazienti indagati con la modalità retrospettiva è particolarmente elevato a causa del range di scansione medio particolarmente ampio (valore medio pari a 30.6 cm per gli esami
senza Ca-score e 19.1 cm per gli esami con Ca-score). In più
casi infatti, per indagare problemi specifici dei pazienti sono
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
stati selezionati distretti più ampi della sola regione cardiaca
in quanto nella pratica clinica è spesso necessario indagare
oltre al distretto coronarico anche l’aorta toracica o il decorso
dei bypass confezionati isolando la mammaria interna. Se si
rinormalizza la dose efficace ipotizzando un range di scansione tipico di un esame cardiaco (circa 16 cm) si stima un valore
di DEsper media pari a 15.1 mSv, del tutto sovrapponibile rispetto a quanto riportato in letteratura (14-18 mSv) [31] [32,
33]. Da ciò si può evincere come nelle scansioni spirali con
gating retrospettivo l’avvento delle apparecchiature di nuova
generazione (successiva ai 64 strati) non abbiano determinato
una consistente riduzione della dose [22].
Anche stimando il risparmio di dose con tecnica prospettica
rispetto al valore di dose rinormalizzato, il risultato rimane
comunque considerevole (pari a circa il 70%).
187
La qualità complessiva dell’esame eseguito con acquisizione
assiale è risultata più che soddisfacente, confermando che non
sempre è necessario utilizzare il protocollo standard di acquisizione con ricostruzione retrospettiva delle immagini.
Una delle maggiori critiche all’AC-TMS da parte del mondo
cardiologico è basata sul fatto che la dose al paziente è superiore a quella necessaria per effettuare una coronarografia
convenzionale diagnostica (CAG); tale problematica risulta
pertanto superata qualora sia possibile adottare la tecnica prospettica, caratterizzata da una bassa dose. Bisogna comunque
considerare che si tratta di un’indagine puramente diagnostica, e ciò obbliga il clinico ad una attenta selezione del Paziente che deve avere una elevata probabilità pre-test di assenza
di patologia [32, 34].
I fattori discriminanti per selezionare il protocollo di acquisi-
Fig 4 Ricostruzioni cMPR del circolo coronarico destro e sinistro. RCA: coronaria destra; PDA: coronaria discendente posteriore; LAD: coronaria discendente
anteriore con piccola placca mista al terzo medio-prossimale; CX: coronaria circonflessa.
188
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189
zione sono la regolarità del tracciato ECG e la frequenza cardiaca, che non dovrebbe superare la soglia dei 75 bpm con la
nostra apparecchiatura. Il controllo della frequenza cardiaca
costituisce pertanto un elemento fondamentale del protocollo
di esecuzione della AC-TMS [35], senza la quale i vantaggi offerti dalle macchine più performanti non possono essere
adeguatamente sfruttati ed i risultati non saranno quelli attesi. È quindi essenziale la gestione farmacologica dei pazienti
[36, 37] mediante la somministrazione di farmaci beta-bloccanti. Se si differenziano le indagini in base alla tensione del
tubo impostata, si apprezza un importante risparmio di dose
con le indagini eseguite a bassa tensione (80 - 100 kV) rispetto a quelle acquisite ad alto kilovoltaggio (120 kV).
Il valore medio della variazioni percentuali tra DEsper e DEPhilips, inferiore al 10%, indica che le stime di dose efficace
ottenute rispettivamente utilizzando le misure di dose in-vivo
e gli indicatori dosimetrici riportati sulla consolle sono in ottimo accordo, considerando che l’incertezza della misura mediante pellicole Gafcromich è dell’ordine del 10-12%. È pertanto da considerarsi affidabile il report dosimetrico fornito
dal software del sistema. L’analisi dei profili di dose a livello
della cute ricavati dalla scansione della pellicola posizionata
sullo sterno, lunga circa 24 cm, è risultata fondamentale per
approfondire i principi metodologici delle due tecniche.
Le scansioni assiali prevedono l’esecuzione di una serie di
pacchetti che sono sovrapposti per alcuni mm, al fine di consentire al software dello scanner di fondere le immagini in un
unico dataset; questa sovrapposizione è bene evidente nelle
curve dosimetriche come un picco di dose lungo l’asse Z e
ampio alcuni mm, con valori circa doppi rispetto alla dose
media del plateau (Figura 2); una tipica scansione del solo distretto cardiaco richiede l’esecuzione di due – tre slab a seconda della conformazione del cuore; quando si acquisisce l’intero distretto toracico sono necessari tipicamente 4 – 5 slab.
Dal profilo di dose è possibile ricavare anche le informazioni
relative alla posizione del bolus tracking, che si colloca solitamente all’estremo craniale dell’area di scansione quando si
studia solo il distretto cardiaco, ed all’interno (solitamente al
centro) della curva quando si studia tutto il torace (Figura 3).
Il contributo del bolus tracking alla dose è molto variabile; il
report dosimetrico riportato in figura 5 evidenzia come il valore del DLP del tracker possa arrivare a un valore pari al 25%
del DLP della scansione angiografica, oltretutto senza produr-
re immagini (per un contributo assoluto di circa 0.16 mSv).
Ciò sembra dipendere dalla durata temporale della scansione
del tracker, legata a sua volta al differente tempo di circolo
del Paziente in esame, che comporta una dose maggiore in
Pazienti con funzione di pompa ridotta.
Questa osservazione ha consentito di ottimizzare il protocollo
di indagine, allungando la cadenza delle scansioni del tracker
(modificato da 1 scansione/0.5 s a 1 scansione/s) e permettendo di ridurre la dose al Paziente.
Conclusioni
Lo studio ha verificato l’affidabilità del report dosimetrico generato dal software dell’apparecchiatura.
Il contributo fornito dalla nuova generazione di scanner, come
quello in dotazione nel nostro Istituto, si comprende valutando le dosi ottenute nelle scansioni con tecnica assiale, molto
più basse rispetto alle scansioni spirali.
Lo scanner in uso presso il nostro Istituto, dotato di una risoluzione temporale di 135 ms consente di indagare in sicurezza
con tecnica prospettica Pazienti con frequenza cardiaca fino a
75 bpm, permettendo quindi un consistente risparmio di dose.
L’uso del beta-bloccante appare quindi necessario non solo
per il miglioramento della qualità dell’indagine, ma anche per
estendere l’acquisizione prospettica a bassa dose ad una maggior quota di Pazienti. Nei Pazienti per i quali sia necessario
eseguire un’acquisizione spirale risulta utile l’esecuzione di
una scansione diretta a bassa dose (Ca-score) al fine di limitare quanto più possibile l’estensione della scansione spirale ad
elevata dose. Nelle scansioni assiali, per le quali la scansione del bolus tracker costituisce una frazione consistente della
dose totale è opportuno ridurre la cadenza del tracker.
L’utilizzo di basse tensioni si rivela estremamente efficace nel
ridurre la dose al Paziente, con il limite della costituzione fisica (con BMI > 28 non si possono utilizzare basse tensioni per
l’eccessivo rumore di immagine); si rende pertanto necessario
utilizzare bassi valori di kV quando possibile.
Il medico Radiologo deve essere a conoscenza delle tecniche
di acquisizione dell’indagine AC-TMS mediante protocolli a
risparmio di dose in modo da limitare l’esposizione del paziente e proporre il protocollo di scansione più adeguato in
base all’indicazione clinica.
Per citare questo articolo:
Belgrano M, Bregant P, Fute Djoguela M, Toscano W, Marchese E, Cova MA (2014) 256-slice CT coronary angiography: in vivo dosimetry and technique optimization. Radiol med 119(4):249-256
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197
CARDIORADIOLOGIA
xxx
Utilità della Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) nella
valutazione del coinvolgimento del ventricolo destro (VD)
in pazienti con infarto miocardico (IM)
N. Galea1, M. Francone1, I. Carbone1, D. Cannata1, F. Vullo1, R. Galea2, L. Agati2, F. Fedele2, C. Catalano1
1
Dipartmento di Scienze Radiologiche, Oncologiche ed Anatomo-patologiche, Policlinico Umberto I, Università di Roma “Sapienza”
Viale Regina Elena 324, 00161 Roma, Italia
2
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Respiratorie, Policlinico Umberto I, Università di Roma “Sapienza”, Viale Regina Elena 324, 00161 Roma, Italia
Indirizzo Autore: N. Galea, Tel.: +39-328-2231647, Fax: +39-06-490243, E-mail: [email protected]
Ricevuto: 25 Luglio 2012 / Accettato: 11 Gennaio 2012
Riassunto
Introduzione
Obiettivo. Scopo del lavoro è stato valutare con Risonanza
Magnetica Cardiaca (RMC) la prevalenza di interessamento
del ventricolo destro (VD) in una popolazione di pazienti con
infarto miocardico rispetto a quella evidenziata da manifestazioni cliniche e criteri elettrocardiografici ed ecocardiografici.
L’infarto miocardico (IM) acuto del ventricolo destro (VD)
si riscontra in circa la metà dei casi di infarto della parete
inferiore ventricolare sinistra, nel 40% degli IM anteriori [2]
e solamente nel 3% dei casi è presente come entità clinica
isolata [1].
Dal punto di vista prognostico l’interessamento destro ha un
significativo impatto negativo in termini di mortalità intraospedaliera (incremento del 28% nel caso di IM inferiori [3])
e comporta un rischio da due a tre volte maggiore di complicazioni maggiori quali shock cardiogeno, eventi aritmici
potenzialmente fatali (p. es. fibrillazione ventricolare o blocco atrio-ventricolare completo) o di complicanze meccaniche,
come rottura del setto interventricolare, rottura di cuore, tamponamento cardiaco [2, 4-6].
Inoltre, gli effetti emodinamici di una disfunzione acuta del
ventricolo destro si traducono in riduzione del ritorno venoso
sinistro e con ulteriore riduzione nella gittata cardiaca in una
già compromessa contrattilità ventricolare sinistra [4, 7].
Un riconoscimento precoce dell’estensione del danno ischemico al VD ha quindi un ruolo importante nel determinare la
prognosi e predisporre una strategia di trattamento più appropriata [8-9], non sovrapponibile agli IM sinistri, mirata alla
ottimizzazione del precarico ventricolare [4] ed alla sincronizzazione atrioventricolare, con abbondante infusione di liquidi e somministrazione di farmaci inotropi come la dobutamina [10][10]. Nella pratica clinica, la diagnosi di IM del VD
è clinicamente formulata sulla base di segni obiettivi, elettrocardiografici ed ecocardiografici, tuttavia tali criteri presentano dei limiti e l’entità rimane spesso misconosciuta [11, 12].
Il ventricolo destro è, infatti, tecnicamente mal esplorabile dal
punto di vista ecocardiografico per la mancanza di un’adeguata finestra acustica e presenta una particolare conformazione anatomica per la quale anomalie della motilità regionale
del VD possono essere di difficile interpretazione [12].
I segni elettrocardiografici, tipicamente sulle derivazioni V1,
V2, V3R e V4R, sono presenti solo quando coinvolta la parete inferiore e possono essere transitori o “mascherati” dalle
alterazioni dovute all’IM acuto ventricolare sinistro; inoltre
le derivazioni precordiali destre non vengono utilizzate routinariamente.
Materiali e metodi. 97 pazienti consecutivi ammessi alla
nostra istituzione per infarto miocardico acuto sono stati sottoposti ad uno studio standard di RMC entro 5 giorni dall’evento.
La presenza nel miocardio ventricolare destro di edema e di
late enhancement è stata posta a confronto con la localizzazione dell’infarto (anteriore e inferiore), con i rilievi clinico-strumentali e con i reperti di RMC (volumi ventricolari, area a
rischio, estensione dell’infarto). L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando il test t di Student per campioni indipendenti
e la K statistica.
Risultati. Tra i 97 pazienti inclusi nello studio, la diagnosi di
infarto del VD è stata posta in 12,14 e 24 casi rispettivamente
mediante dati clinici, ECG ed ecocardiografici.
La RMC ha dimostrato la presenza di edema miocardico e
late enhancement del VD rispettivamente in 48 e 32 pazienti.
Il VD è stato interessato dall’ischemia nel 46% dei pazienti
con IM inferiore (15/32) e nel 30% dei pazienti con IM anteriore (17/56), correlandosi ad un peggioramento della performance ventricolare sia destra che sinistra (p: 0.001-0.05).
Conclusioni. Il ventricolo destro è frequentemente coinvolto
dall’infarto miocardico, associandosi a una peggiore compromissione funzionale di entrambi i ventricoli e ad una peggiore
prognosi.
Questo rilievo, spesso sottostimato dai tradizionali test cardiologici, è ben rivelato dalla RMC con potenziale impatto
clinico-terapeutico.
Parole chiave Risonanza Magnetica Cardiaca; Ventricolo
Destro; Cardiopatia ischemica; Infarto miocardico acuto
della parete anteriore; Infarto miocardico acuto della parete
inferiore
191
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197
L’ottimale visualizzazione del ventricolo destro, rilevando accuratamente i contorni dell’area ischemica e dell’area
a rischio, eleva la Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) a
metodica d’elezione nell’evidenziare l’estensione del danno
miocardico, ma anche nella stima della compromissione funzionale conseguente all’evento ischemico [13].
Lo scopo del nostro studio è stato valutare retrospettivamente
l’incidenza dell’interessamento del ventricolo destro in pazienti con infarto miocardico acuto (IM) utilizzando come
metodica di riferimento la RMC e confrontando i risultati con
i rilievi clinico-strumentali.
Materiali e metodi
Popolazione di Studio
Nel periodo compreso tra Aprile 2007 e Novembre 2011, 97
pazienti consecutivi con infarto miocardico acuto e sopraslivellamento ST (STEMI) trattati successivamente mediante
rivascolarizzazione sono stati sottoposti a RMC.
I criteri di inclusione sono stati:
1) Dolore precordiale suggestivo per ischemia miocardica con
durata superiore ai 30 minuti e valori elevati dei marcatori di
danno miocardico (troponine I o T, CK-MB) trattato entro le
12 ore dall’insorgenza mediante angioplastica coronarica;
2) Sopraslivellamento del tratto ST >0.1mV (0.1mm) in almeno due derivazioni contigue sul tracciato elettrocardiografico. I criteri di esclusione sono stati: pregressa cardiopatia
ischemica o rivascolarizzazione coronarica, shock cardiogeno, insufficienza renale (creatinina plasmatica >2 mg/dl),
controindicazioni all’esame RM e qualsiasi condizione clinica nota che potrebbe compromettere la funzione ventricolare
destra, incluse patologie croniche polmonari sia ostruttive che
interstiziali, ipertensione polmonare primitiva, cardiopatie
congenite e valvulopatie severe.
Tutti i pazienti hanno fornito il proprio consenso informato
prima di entrare a far parte dello studio in oggetto.
Diagnosi cardiologica di Infarto del Ventricolo Destro
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un completo inquadramento clinico cardiologico mediante: informazioni clinico-anamnestiche, esame obiettivo, esame ecocardiografico
ed esame elettrocardiografico standard a 12 derivazioni, con
l’eventuale aggiunta, nei casi di sospetto clinico-ecocardiografico di coinvolgimento del VD, delle derivazioni precordiali destre.
In base all’obiettività clinica, come segni suggestivi per infarto miocardico destro è stata considerata la contemporanea
presenza della triade: ipotensione arteriosa (pressione sanguigna sistolica <90mmHg), suono chiaro polmonare all’auscultazione e turgore delle giugulari o segno di Kussmaul [14].
Sulla base del tracciato ECG l’infarto è stato definito come
anteriore se evidenziato sulle derivate comprese tra V1 e V4,
inferiore se sulle derivate II, III e aVF.
La diagnosi ECG di infarto miocardico del ventricolo destro è
stata definita nei casi di sopraslivellamento superiore a 1mm
nelle derivate V1 o V4R entro le 12h dall’insorgenza dei sintomi. All’esame ecocardiografico, eseguito con apparecchio
dedicato (Acuson Sequoia, Siemens, Erlangen, Germania)
le camere ventricolari sono state valutate secondo proiezioni
standard apicale e parasternale. Il sospetto ecocardiografico
di coinvolgimento ischemico del ventricolo destro è stato
posto se presente almeno uno dei seguenti segni: anomalie
di contrattilità della parete libera del ventricolo destro (ipocinesi, acinesi o discinesi), dilatazione ventricolare, riduzione
della cinesi ventricolare globale o movimento anomalo (sbandieramento) del setto interventricolare [15].
Risonanza Magnetica Cardiaca
Gli esami di RMC sono stati eseguiti entro 5 giorni dall’ingresso in ospedale utilizzando un magnete superconduttivo da
1.5 T (Avanto, Siemens, Erlangen, Germania) con bobina di
superficie a multicanale tipo Phased Array posizionata sul torace del paziente dopo l’applicazione di elettrodi amagnetici
in posizione standard.
Tutti i pazienti sono stati esaminati in apnea, utilizzando sequenze cardiosincronizzate secondo il protocollo standard riportato di seguito:
- Sequenze Black Blood Short Tau Inversion Recovery (STIR)
T2 pesate acquisite su asse corto (basale, medio-ventricolare e apicale), cardiosincronizzate (T2 con TR = 2 RR, TE
80 ms, flip angle 90°, Spessore strato: 8mm) per rilevare
l’edema miocardico.
- Sequenze cine balanced- Steady State Free Precession
(b-SSFP) acquisite su asse corto secondo piani contigui
coprendo l’intero volume ventricolare e su asse lungo
verticale ed orizzontale, cardiosincronizzate retrospettivamente (Spessore strato: 8mm, TR 3,7ms, TE 1,85 ms, flip
angle 50°, 25 fasi di 0,7 s ciascuna, risoluzione spaziale di
1,2x1,8 mm) finalizzate allo studio della funzione bi-ventricolare.
- Sequenze Inversion Recovery Gradient Echo T1 pesate
(IRCE; TFE TR 50ms, TE 1,65 ms, flip angle 15°, preimpulso di inversione in media di 250 ms, Spessore strato:
8mm) con tecnica Late Enhancement con un ritardo di
10–15 min dopo la somministrazione endovenosa di mezzo
di contrasto paramagnetico per via endovenosa (0,1 mmol/
kg Gd-BOPTA, Multihance, Bracco, Milano, Italia), ottimizzando il tempo di inversione con il miocardio normale
(compreso all’incirca tra 220 e 300 ms), mirate allo studio
della vitalità miocardica.
Analisi delle immagini di Risonanza Magnetica
L’analisi delle immagini è stata effettuata in consenso da due
radiologi con esperienza in RMC di 7 (M.F.) e 8 (I.C) anni,
in cieco rispetto alle indagini cliniche, strumentali e laboratoristiche. Per ogni esame RM le immagini sono state valutate
semiquantitativamente utilizzando delle regioni di interesse
come riportato di seguito.
- L’edema miocardico (EM) e il Late Enhancement (LE) sono
stati valutati rispettivamente sulle immagini STIR e IRCE
su piani orientati secondo l’asse corto.
Sulla base di quanto riportato in letteratura, l’EM è stato definito
come un incremento del segnale del tessuto miocardico patologico di almeno 2 deviazioni standard rispetto all’intensità di segnale del miocardio remoto sano; analogamente per il LE è stato
considerato un incremento del segnale di almeno 4 DS [16].
192
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197
Tabella 1 Interessamento ischemico del ventricolo destro in corso di Infarto Miocardico acuto: Confronto tra dati clinici, ECG, ecocardiografia e Risonanza
Magnetica. LE-VD+/- = Presenza/assenza di late enhancement del ventricolo destro EM-VD+/- = Presenza/assenza di edema miocardico del ventricolo destro.
Risonanza Magnetica Cardiaca
LE-VD+
LE-VD-
k (LE+/-)
EM-VD+
EM-VD-
k (EM+/-)
Triade clinica
presente
assente
9
23
3
62
0,29
10
38
2
47
0, 17
Segni ECG
presenti
assenti
12
20
2
63
0,40
12
36
2
47
0,24
Segni Ecocardiografici
presenti
assenti
17
13
7
60
0,42
20
28
4
45
0,33
- Per ogni esame, le aree di LE e EM del VS sono state contornate manualmente con software dedicato e quantificate
in termini di massa e di % (massa miocardio lesionato/massa miocardica) di area ischemica e area a rischio;
- La presenza di LE ventricolare destro (LE-VD) è stata identificata quando presente un incremento di segnale a carico della porzione di miocardio ventricolare destro contiguo all’area
di LE del VS; analogo criterio è stato utilizzato per valutare
l’edema del VD, come precedentemente riportato [13];
- La valutazione della cinesi parietale segmentaria è stata
eseguita sulle sequenze cineRM per il VS secondo lo schema di segmentazione dell’American Heart Association a 17
segmenti e per il VD secondo la classificazione di Isner in
12 segmenti (4 basali, 4 medioventricolari e 4 apicali) [17].
- Riproponendo la valutazione semiquantitativa proposta nel
lavoro di Masci e coll [13], ad ogni segmento è stato attribuito un punteggio da 1 a 5: 1:normale, 2:moderata ipocinesia,
3:severa ipocinesia, 4:acinesia, 5:discinesia.
La somma dei punteggi di tutti i segmenti diviso per il numero di segmenti costituisce il Wall Motion Score Index
(WMSI)
- I volumi ventricolari sinistro e destro (Volume telediastolico
o EDV, Volume telesistolico o ESV, Frazione di eiezione
o FE, Massa miocardica del VS) sono stati misurati sulle
sequenze cine-RM con un software dedicato (syngo Argus,
Leonardo, Siemens Medical Solutions, Erlangen, Germania) tracciando manualmente i contorni endocardici ed epicardici in telediastole ed in telesistole.
- Sulla base della prevalente disposizione regionale dell’area
di LE nel miocardio ventricolare sinistro seguendo il modello di segmentazione dell’American Heart ssociation, gli
infarti sono stati classificati in anteriori, inferiori e laterali.
Analisi Statistica
I valori continui sono stati riportati come valore medio ± DS
mentre i valori discreti sono stati espressi come frequenza e
percentuale e confrontati rispettivamente con il test della t di
Student per campioni indipendenti.
La concordanza tra test è stata misurata con il metodo della
Kappa.
L’analisi statistica è stata eseguita con un software dedicato
(SPSS 11.0 per Windows, SPSS, Chicago, Illinois).
Risultati
Esami cardiologici
9 pazienti su 97 (9%) hanno manifestato contemporaneamente i tre segni clinici di coinvolgimento ischemico del ventricolo destro. All’esame ECG, circa 37 pazienti (38%) mostravano segni di infarto inferiore mentre 59 pazienti (61%) infarto
anteriore. Tra 26/97 pazienti in cui sono state acquisite le
derivazioni destre, 14 hanno mostrato un sopraslivellamento
ST nella derivazione V4 destra (in 13 casi era associato ad un
sopraslivellamento del tratto ST in DII, DIII e/o aVF).
L’esame ecocardiografico ha evidenziato in 24 casi una alterazione della funzione ventricolare destra, in particolare in 18
casi una ipocontrattilità di almeno un segmento (parete libera,
parete inferiore o apice), in 17 casi una dilatazione della camera ventricolare destra e in 10 casi una discinesia del setto
interventricolare (Tabella 1).
Risonanza Magnetica
L’esame di RMC ha confermato in 95/97 casi la presenza di
un’area di LE nel contesto del miocardio ventricolare sinistro,
nei restanti 2 pazienti con diagnosi di IM anteriore si configurava un quadro morfologico caratterizzato dalla presenza
di edema tissutale nel territorio di distribuzione della lesione
culprit (iperintensità in T2-STIR) in assenza di segni di LE
[18]. Il 58% dei pazienti mostrava IM anteriore (56/97), inferiore nel 33% dei casi (32/97) e laterale nel 9% (9/97).
Il LE-VD destro è stato osservato in 32/97 pazienti (33%) e
si associava in 17/56 (30%) casi ad IM anteriore (Fig. 1) ed in
15/32 (46%) ad IM inferiore (Fig. 2).
EM-VD è stata osservato in 48 pazienti (49%), in particolare nel 48% (27/56) dei pazienti con IM anteriore e nel 56%
(21/32) dei pazienti con IM inferiore.
La presenza di edema isolato ventricolare destro è stata riscontrata nel 16% (Fig. 3) dei casi.
Analisi volumetrica e funzionale del ventricolo destro
I dati relativi ai volumi ventricolari ed al WMSI sono riportati
nelle Tabelle 2 e 3.
193
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197
Fig. 1 Uomo di 56 anni con infarto miocardico acuto anteriore (5° giorno dopo l’evento ischemico) per occlusione prossimale della arteria discendente anteriore.
Le immagini STIR pesate in T2 (a,c) e le immagini IRCE pesate in T1 (b,d) mostrano una estesa area di edema miocardico a livello del setto interventricolare e
della parete libera del ventricolo destro (freccia bianca), cui corrisponde area di potenziamento transmurale nelle immagini di late enhancement (freccia bianca).
Si associa un diffuso ispessimento e potenziamento dei foglietti pericardici (punte di frecce bianche) per processo flogistico postinfartuale (pericardite post-infartuale epistenocardica).
Il pazienti con LE-VD hanno mostrato un significativo aumento in termini di volume telediastolico e telesistolico del
VS (p= 0.006 e 0.002), con riduzione di frazione di eiezione
del VS (p=0.009) e maggiore estensione dell’area ischemica e dell’area a rischio (rispettivamente p=0.007 e p=0.001),
come mostrato nella Tabella 2. La presenza di EM-VD è risultata associata ad un incremento di EDV e ESV del VS (p=
0.008 e p=0.03), con una riduzione della FE (p=0.05). Nel
sottogruppo con IM inferiore il coinvolgimento del VD è stato
più frequente rispetto al sottogruppo con IM anteriore sia in
termini di LE (46% vs 30%) che di EM (59% vs 48%).
mostrato EM-VD e 9 LE-VD con evidenza in particolare di
un caso di coinvolgimento ventricolare destro caratterizzato
dalla sola positività delle immagini STIR.
Confronto tra ECG vs RMC
12 pazienti con sopraslivellamento ST nella derivazione V4
destra mostravano un coinvolgimento ischemico del ventricolo destro sia all’ecocardiografia che alla RMC.
Mentre circa il 62% (20/32) dei pazienti con LE-VD non
mostravano segni elettrocardiografici compatibili con infarto
ventricolare destro.
Confronto tra dati clinici, ECG e ecocardio vs RMC
Il confronto tra numero di pazienti con diagnosi di IM del VD
sulla base dei diversi criteri clinico-strumentali e dei segni
RMC è mostrato nella Tabella 1. Dei 12 pazienti che presentavano segni clinici di infarto del ventricolo destro, 10 hanno
Confronto ecocardio vs RMC
L’esame ecocardiografico ha individuato 17 pazienti con LEVD e 20 pazienti con EM-VD, mentre in 7 e 4 casi le alterazioni cinetiche riscontrate all’ecografia non hanno avuto una
194
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197
Fig. 2 Uomo di 63 anni con infarto miocardico acuto inferiore per occlusione distale dell’arteria coronaria destra. L’immagine STIR pesata in T2 (a) e l’immagine
IRCE pesata in T1 (b) acquisite in asse corto mostrano la presenza di un’ampia area ischemica a livello dei segmenti infero-settale ed inferiore del ventricolo
sinistro con tipica estensione dell’area di edema miocardico (freccia nera) e di late enhancement (freccia bianca) alla parete inferiore del ventricolo destro.
Tabella 2 Risultati di Risonanza Magnetica Cardiaca in una pazienti con Infarto Miocardico: confronto dei volumi ventricolari rispetto alla presenza di edema
miocardico e late enhancement del ventricolo destro. LE-VD+/- = Presenza/assenza di Late enhancement del ventricolo destro; EM-VD+/- = Presenza/assenza di
edema miocardico del ventricolo destro; EDV = Volume telediastolico; ESV = Volume telesistolico; FE = Frazione d’eiezione; AI = Area d’infarto o di late enhancement (% rispetto alla massa miocardica); AAR = Area a rischio (% rispetto alla massa miocardica). WMSI-VD = Wall motion score index del ventricolo destro
Risonanza Magnetica Cardiaca
Tot
LE-VD+
LE- VD-
EM-VD+
EM-VD-
97
32
65
48
49
EDV-VS (mL)
139,1 ± 54,5
151,3± 45,5
133,1 ± 52,3
0,006
147,6 ± 47,5
130,8 ± 48,2
0,008
ESV-VS (mL)
70,7 ± 57,4
82,8 ± 55,6
64,7 ± 55,6
0,002
78,8 ± 35,6
62,8 ± 39,2
0,003
FE-VS (mL)
48,3 ± 20,2
43,7 ± 20,5
50,6 ±19,6
0,009
46,6 ± 19,2
52,0 ± 21,4
0,05
AI-VS (%)
17,9 ± 28,9
22,9 ± 30,9
15,4 ± 22
0,007
20,4 ± 26,5
15,4 ± 21,9
0,008
AAR-VS (%)
25,6 ± 36,6
33,2 ± 46,1
21,9 ± 28,4
0,001
31,3 ± 40,5
20,1 ± 26,0
0,001
EDV-VD (mL)
133,5 ± 58,9
145,7 ± 46,2
127,6 ± 62
0,001
137,9 ± 51,2
129,3 ± 57,7
0,008
ESV-VD (mL)
67,7 ± 43,8
74,1 ± 40
64,6 ± 42,7
0,031
72,8 ± 43,6
62,7 ± 44,4
0,02
FE-VD (mL)
49,9 ± 21,4
46,3 ± 22,9
51,8 ± 19,6
0,015
47,8 ± 23,6
52,0 ± 18
0,037
WMSI-VD
1,39 ± 0,6
1,67 ± 0,5
1,25 ± 0,5
0,001
1,58 ± 0,5
1,2 ± 0,4
0,001
No Pazienti
corrispettiva area di LE o EM. Nel sottogruppo di pazienti
con IM inferiore l’ECG e l’ecocardiografia mostravano coinvolgimento del ventricolo destro in 12/15 casi (80%); solo in
5 casi con infarto anteriore e LE-VD si sono rilevate alterazioni ecocardiografiche.
Discussione
Il nostro studio, in accordo con quanto riportato in letteratura
[13, 19-22] conferma la capacità della RMC di individuare un
p (LE + /-)
p (EM + /-)
interessamento ischemico del miocardio ventricolare destro,
anche nei casi in cui le indagini cliniche e strumentali di primo livello non ne abbiano posto il sospetto.
In particolare, considerando la RMC come metodica di riferimento, i nostri dati confermano una bassa sensibilità dei
segni clinici, ECG ed ecocardiografici nel dimostrare IMVD
(rispettivamente 28%, 37%, e 56%), in particolare se si considerano i soli IM anteriori.
La RMC, analogamente a quanto ampiamente dimostrato per
il VS, consente infatti la diretta visualizzazione sia dell’edema
miocardico che dell’area di necrosi, a differenza delle metodi-
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195
Fig 3 Uomo di 47 anni con infarto miocardico acuto anteriore per occlusione prossimale del ramo discendente anteriore dell’arteria coronaria sinistra. (a-d) Le
immagini STIR evidenziano un’ampia area di edema che coinvolge il setto interventricolare, la parete anteriore del VS e la parete libera del VD, sia a livello medio-basale che apicale (frecce bianche). (e-f) Le immagini ottenute con tecnica di late enhancement mostrano un fronte ischemico limitato ai segmenti antero-settali
e anteriori del VS. Il risparmio della parete libera (punta di freccia bianca) e dei segmenti apicali (freccia nera) del VD conferma una maggiore resistenza del
miocardio ventricolare destro all’insulto ischemico.
Tabella 3 Risultati di Risonanza Magnetica Cardiaca: confronto dei volumi ventricolari e della frazione d’eiezione del ventricolo destro e sinistro, dell’area
ischemica e dell’area a rischio rispetto alla localizzazione degli infarti e alla presenza di edema miocardico (EM) e late enhancement (LE) del ventricolo destro
LE-VD+/- = Presenza/assenza di Late enhancement del ventricolo destro; EM-VD+/- = Presenza/assenza di edema miocardico del ventricolo destro; EDV =
Volume telediastolico, ESV = Volume telesistolico, FE = Frazione d’eiezione, Mass = Massa miocardica; AI = Area d’infarto o di late enhancement (% rispetto
alla massa miocardica); AAR = Area a rischio (% rispetto alla massa miocardica).
che tradizionali, che invece possono solo rilevare solo indici
indiretti del danno miocitario come alterazioni della conduttività elettrica o anomalie di contrattilità e che di conseguenza
possono non rilevare piccoli infarti destri o sottostimare i casi
di IM anteriore [21].
Alcune peculiarità anatomiche, tuttavia, rendono il miocardio
del VD più difficile da studiare rispetto a quello sinistro anche con la RMC: in particolare lo spessore parietale è molto
più sottile; la posizione retrosternale più vicina alla bobina
ricevente determina spesso un maggiore segnale con una falsa
iperintensità delle strutture; spesso il miocardio necrotico è
mal distinguibile dall’iperintensità del grasso epicardico adiacente (artefatti da volume parziale). Infine, nello studio del
LE il tempo di inversione mirato all’abbattimento del segnale
del miocardio sano può essere diverso tra il miocardio ventricolare sinistro e destro, determinando artefatti o richiedendo
una doppia acquisizione per ogni piano di scansione con un
considerevole prolungamento della durata dell’esame [2223]. Per ovviare a queste difficoltà molti autori consigliano di
utilizzare sequenze ad alta risoluzione spaziale e strato sottile,
l’implementazione di sequenze di LE con soppressione del
segnale del tessuto adiposo e considerano come miocardio
patologico solo quello in continuità con segmenti miocardici
ventricolari sinistri affetti da edema o LE.
In uno studio di Kumar et al. [19], tra i 37 casi di IMA inferiore sottoposti ad indagini clinico-strumentali e RM, il 57%
196
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197
(21/37) mostravano LE del VD, mentre solo il 19%, 35% e
16% presentavano rispettivamente segni di IM del VD all’esame obiettivo, all’ECG sulla derivata V4R e all’ecocardiografia.
Nella nostra popolazione, il ventricolo destro presentava un
interessamento ischemico (LE-VD) nel 46% dei casi di IM inferiori e nel 30% degli IM anteriori, discostandosi in parte dai
valori riportati nel lavoro di Jensen et al. [21], rispettivamente
del 47% e del 65%.
Il coinvolgimento destro in IM anteriore potrebbe essere condizionato dalla presenza di varianti anatomiche relative all’arteria discendente anteriore con irrorazione della parete libera
e della regione parapicale destra da rami interventricolari anteriori particolarmente lunghi estesi oltre l’apice o in alternativa dall’origine del ramo del fascio moderatore dall’arteria
discendente anteriore distale [13]. Questa potenziale variabilità anatomica potrebbe essere pertanto la causa della difformità della nostra popolazione di studio rispetto al lavoro di
Jensen et al. [21] per i valori riguardanti gli IM anteriori.
Sebbene in letteratura esistano già lavori in cui è stata valutata
la presenza di LE del VD in pazienti infartuati, la valutazione
dell’edema miocardico del VD è scarsamente riportata. Nella
nostra popolazione è stata riscontrata una frequenza non trascurabile di EM del VD sia negli infarti inferiori (59%) che
in quelli anteriori (48 %), significativamente più alta rispetto
alla frequenza di LE-VD, presente rispettivamente nel 46% e
nel 30% dei pazienti. Si avvalora, quindi, la tesi di una maggiore resistenza del miocardio ventricolare destro all’insulto
ischemico rispetto al miocardio del VS, il quale a parità di
durata di ischemia mostra una maggiore predisposizione al
danno necrotico nel contesto dell’area “a rischio” (98% dei
pazienti hanno presentato LE del VS).
Come affermato da Goldstein, infatti, il termine “infarto del
VD” è in una certa misura un termine improprio, in quanto
spesso la disfunzione ischemica acuta del VD è rappresentato
da miocardio vitale, a differenza di quanto accade per il VS [4].
Molteplici ragioni contribuiscono alla maggiore resistenza
all’ischemia del VD: le diverse condizioni di carico grazie
alla minore resistenza del circolo polmonare, lo spessore miocardico che determina una minore domanda d’ossigeno e la
maggiore riserva d’ossigeno [4].
Inoltre la doppia afferenza arteriosa della parete libera del VD
da parte di rami della discendente anteriore e da rami conali
della coronaria destra consente un pronto rifornimento collaterale in caso di occlusione vasale [13, 26].
Nella maggior parte dei casi, piccole aree ischemiche non si
tramutano in significative alterazioni della cinesi ventricolare
destra, la quale viene compensata dalla sistole atriale e dalla
contrazione del setto interventricolare.
I nostri risultati confermano come la presenza sia di LE che
di EM nel VD sia associato ad un peggioramento della performance del VS, anche qualora si considerino i singoli sottogruppi (IMA anteriore e inferiore).
I limiti del nostro studio sono rappresentati dalla dimensione
campionaria, contenuta se si vogliono considerare i sottogruppi, e l’eterogeneità dei pazienti studiati, in considerazione della dimensione della zona infartuata e del tipo di trattamento
attuato (riperfusione farmacologica versus endovascolare, il
tempo trascorso tra l’insorgenza dei sintomi e l’instaurazione
della terapia, tipo di terapia medica somministrata).
Un altro limite è l’assenza del follow-up o di un monitoraggio
clinico della popolazione di studio che avrebbe potuto fornire informazioni prognostiche, ma che è stato deciso di non
inserire nei risultati sia per il limitato tempo osservazionale
intercorso sia perché oggetto di altri lavori recentemente pubblicati [14, 19, 24, 25].
Conclusioni
Nella nostra casistica il LE del VD è stato evidenziato nel 25%
dei pazienti con IM acuto e alla luce dei molti lavori che dimostrano come questo dato influenzi negativamente la prognosi
del paziente [19, 24, 25] appare evidente che esso sia un reperto clinico non trascurabile. In quest’ottica, la valutazione mirata sia della cinetica regionale e globale ventricolare destra che
della contestuale presenza di EM e LE appare indispensabile
nell’analisi con cardio-RM del paziente con IM acuto. Talie
rilievo dovrebbe quindi, a nostro giudizio, essere routinariamente menzionato nel referto radiologico, sia per la rilevante
frequenza che per il potenziale impatto clinico-terapeutico.
Per citare questo articolo:
Galea N, Francone M, Carbone I, Cannata D, Vullo F, Galea R, Agati L, Fedele F, Catalano C (2013) Utility of cardiac magnetic resonance (CMR) in the evaluation of right ventricular (RV) involvement in patients with myocardial infarction (MI). Radiol med [Epub ahead of
publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0341-4
La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205
xxx
RADIOLOGIA
SENOLOGICA
Confronto tra metodiche nella valutazione dei volumi
delle lesioni maligne mammarie:
l’ecografiavolumetrica3Dpuòessereutile?
P. Clauser, V. Londero, G. Como, R. Girometti, M. Bazzocchi, C. Zuiani
Istituto di Radiologia Diagnostica, Università degli Studi di Udine, P.le Santa Maria della Misericordia 15, 33100 Udine, Italia
Indirizzo Autore: P. Clauser, Tel.: +39-0432-559266, Fax: +39-0432-559867, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 6 Aprile 2012 / Accettato: 11 Gennaio 2013
Riassunto
Obiettivi. Valutare l’utilità dell’ecografia-3D nel calcolo del
volume di lesioni mammarie.
Materiali e metodi. I volumi di 36 lesioni maligne sono stati misurati con ecografia-2D, ecografia-3D, RMM ed esame
istologico. All’ecografia-2D sono stati misurati i 3 diametri
della lesione e il volume è stato calcolato con la formula per
il volume della sfera. Con l’ecografia-3D sono state acquisite le immagini volumetriche e si è tracciato manualmente il
contorno della massa. Il volume è stato ottenuto mediante il
software VOCAL. In RMM i volumi sono stati calcolati con
un software per ricostruzioni 3D. L’esame istologico (standard di riferimento) ha misurato i 3 diametri maggiori della lesione e il volume è stato calcolato con la formula per il
volume della sfera. L’accordo tra i dati è stato valutato con
il coefficiente di correlazione interclasse (ICC) e l’analisi di
Bland&Altman.
Risultati. L’ICC ha evidenziato buona concordanza tra ecografia 3D ed esame istologico (0,79). L’analisi di Bland&Altman ha trovato limiti di accordo sovrapponibili tra imaging e
istologia: -2÷1,5 mm3 per l’ecografia-3D; -2,3÷1,3 mm3 per
l’ecografia-2D e -2,2÷1,6 mm3 per l’RMM.
Conclusioni. L’ecografia-3D è un metodo utile per la valutazione volumetrica delle lesioni mammarie, che permette di
ottenere informazioni significative per la valutazione dimensionale pre-operatoria.
Parole chiave Ecografia volumetrica 3D, Tumiore mammario, Ecografia mammaria, RM mammaria
Introduzione
L’ecografia mammaria 2D (2D-US) è una metodica accurata,
disponibile, non invasiva ed economica, frequentemente utilizzata nello studio della patologia mammaria in particolare a
completamento diagnostico della mammografia, nelle mammelle dense e nella diagnosi differenziale di lesioni palpabili
o di reperti mammografici sospetti [1,2].
Si tratta, però, di un esame fortemente operatore dipendente, la cui qualità è legata alle capacità ed alle conoscenze del
medico, e con scarsa possibilità di standardizzazione dei dati
documentati [1].
Quando venga identificata ecograficamente una lesione occupante spazio, il suo volume può essere stimato utilizzando la
formula per il calcolo del volume di una sfera, sulla base della
media dei tre diametri ortogonali della lesione (antero-posteriore AP, latero-laterale LL, cranio-caudale CC), che può essere peraltro un’approssimazione qualora la lesione presenti
morfologia irregolare.
L’ecografia 3D (3D-US) sta assumendo un ruolo di sempre
maggior rilievo nella pratica clinica, anche nello studio della
patologia mammaria [3,4].
L’analisi 3D comincia con l’acquisizione del volume statico
della lesione e dei tessuti circostanti. I dati raccolti rappresentano una scansione dell’area di interesse, comprendente la
lesione target ed il tessuto circostante. Le immagini possono
essere archiviate nonché visualizzate e rielaborate in un secondo momento. La possibilità di salvare una serie di immagini della formazione in studio, e non un singolo fotogramma,
rende l’esame di più facile rivalutazione e meno operatore-dipendente.
La formazione può essere successivamente misurata tracciandone i contorni in maniera manuale, automatica o semiautomatica e, in base a queste rielaborazioni, è possibile calcolarne i volumi con software specifici (per es.: VOCAL, Visual
Organ Computer-Aided Analysis) [5].
Ad oggi l’eccessivo ingombro delle sonde 3D con matrice
quadrata o circolare non ne facilita un impiego routinario nella pratica clinica senologica e pertanto l’ecografia 2D rimane
insostituibile per l’iniziale riconoscimento della lesione.
La Risonanza Magnetica Mammaria (RMM) è un’ottima metodica per la diagnosi, la stadiazione e la descrizione a fini
chirurgici dell’estensione della patologia mammaria [6].
Essa permette un’accurata misurazione del volume delle lesioni, sia nel setting pre-operatorio sia nel follow-up delle
pazienti sottoposte a chemioterapia neoadiuvante; alcuni
studi hanno però sottolineato come la RMM possa sottostimare i reali volumi, soprattutto in presenza di lesioni di piccole dimensioni, e sovrastimarli in caso di lesioni di grandi
dimensioni [7,8].
199
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205
Il calcolo preciso dei volumi delle lesioni mammarie con l’ecografia 3D potrebbe risultare particolarmente utile in vari
setting clinici, per esempio nella valutazione pre-operatoria di
lesioni maligne o nel follow up delle lesioni benigne o probabilmente benigne (ACR BIRADS 2 e 3 [9]).
Lo scopo dello studio è stato valutare l’affidabilità della 3DUS nel calcolo del volume delle lesioni solide maligne della
mammella, rispetto alle misurazioni ottenute con 2D-US e
con RMM, utilizzando come standard di riferimento le misure della formazione eseguite dall’anatomo-patologo sul pezzo
operatorio.
Materiali e metodi
Pazienti
In un periodo compreso tra luglio e settembre 2010, abbiamo
selezionato consecutivamente tutte le pazienti che presentavano lesioni mammarie con imaging ecografico sospetto (ACR
BI-RADS US 4 e 5 [9]) e sottoposte a 14G core-needle-biopsy con diagnosi istologica di malignità. Tutte le donne hanno
espresso il loro consenso informato e lo studio ha ottenuto
l’approvazione del board di valutazione.
Abbiamo analizzato 36 formazioni, riscontrate in 34 donne
di età compresa tra i 39 e gli 89 anni (media 60). Tutte le
lesioni incluse nello studio presentavano un corrispettivo di
mass-like enhancement all’indagine RMM, eseguita dopo il
prelievo bioptico in 27 noduli (75.0%) e prima del prelievo
bioptico in 9 casi (25.0%). In queste 9 donne la biopsia è stata
eseguita sulla base di reperti sospetti alla RMM.
Le immagini con sonda 3D sono state raccolte in 26 casi
(72.0%) prima della procedura bioptica e nei restanti 10
(28.0%) al momento del posizionamento del repere per la
localizzazione pre-operatoria, circa 1 mese dopo la biopsia.
L’analisi istologica dei frustoli bioptici ha rivelato 28 carcinomi duttali infiltranti (CDI) (9 digrado I, 15 di grado II e 4 di
grado III, uno dei quali con estesa componente intraduttale),
1 carcinoma duttale in situ (CDIS) ad alto grado, 2 carcinomi
duttali infiltranti di grado II con associata componente lobulare, 2 carcinomi lobulari infiltranti (CLI) di grado II, 2 carcinomi mucinosi (uno di grado I e l’altro di grado II), ed 1 carcinoma papillifero, repeti confermati anche all’esame istologico
del pezzo operatorio (23 quadrantectomie e 13 mastectomie).
Indagini Strumentali
Ecografia
Tutte le Pazienti sono state sottoposte a ecografia 2D, eseguita da un medico in formazione in radiologia senologica e
da una specialista radiologa esperta in patologia mammaria,
allo scopo di localizzare, caratterizzare la lesione e misurarne i
tre diametri ortogonali (antero-posteriore, latero-laterale e cranio-caudale). L’esame è stato eseguito con ecografo Logiq E9
(GE Healthcare, Milwaukee, USA) dotato di sonda lineare a
matrice ML6-15-MHZ. In seguito, prima della procedura bioptica o al momento del posizionamento del repere, un medico in
formazione in radiologia senologica ha eseguito l’acquisizione
dell’immagine volumetrica con lo stesso ecografo mediante
sonda volumetrica elettromeccanica 3D-4D RSP, 6-16MHZ,
a matrice quadrata che, posizionata al di sopra della lesione,
effettua automaticamente la scansione nell’area di interesse
selezionata. Tale sonda è in grado di acquisire immagini 3D su
un’area con massimo diametro di 4 cm; lesioni che superino
tale dimensioni non risultano correttamente valutabili.
Risonanza Magnetica Mammaria
La Risonanza Magnetica è stata eseguita con un magnete a
1,5 T (Magnetom Avanto, Siemens Medical System, Erlangen, Germany) con una bobina dedicata, bilaterale, multicanale, con la paziente in posizione prona. Le immagini T1 sono
state acquisite sul piano assiale con sequenze 3D FLASH e
parametri: TR/TE=9/4,7 ms; flip angle 25°; matrice 512x512;
campo di vista 340x340 mm; spessore di sezione 2 mm; tempo di acquisizione 80 s. Il mezzo di contrasto utilizzato è stato
Gadobenato Dimeglumina 0,5 M (Multihance, Bracco, Milano, Italia) somministrato ev a bolo automatico alla dose di 0,1
ml/kg di peso corporeo alla velocità di iniezione di 2 ml/sec,
seguito da bolo di 20 ml di soluzione fisiologica. Una serie di
immagini dinamiche sono state acquisite prima dell’iniezione
del mezzo di contrasto e 5 volte dopo la somministrazione.
Al termine dell’esame le immagini sono state sottoposte a
post-processing con sottrazione delle immagini pre-contrasto alle immagini post-contrasto, ricostruzioni multiplanari
(MPR) e maximum intensity projection (MIP). Le curve della
variazione dell’intensità di segnale nel tempo sono state ricostruite posizionando una regione di interesse (ROI) sull’area
sospetta. Sono state acquisite immagini STIR T2-pesate coi
seguenti parametri: TR/TE=5930/73 ms; TI=150 ms; flip angle 150°; matrice 384x230; spessore 3 mm; campo di vista
320x320; distance factor 0,6; medie 1; oversampling 7, tempo
di acquisizione 239 s.
Misurazione dei volumi con 3D-US
I volumi delle lesioni sono stati calcolati alla fine della seduta
dal medesimo medico in formazione in radiologia senologica
che ha eseguito l’acquisizione 3D-4D, utilizzando il software
VOCAL (Virtual Organ Computer-Aided Analysis, 4D View;
GE Healthcare, Kretztechnik, Zipf, Austria). Sui 3 piani disponibili per la visione dell’immagine (assiale, A, sagittale, B
e coronale, C) abbiamo scelto il primo per tracciare i contorni
delle lesioni. Lo strumento ruota l’immagine di 360° utilizzando intervalli variabili di rotazione, scelti dall’operatore. In
questo caso si è optato per intervalli di 30° e i contorni della
lesione sono stati tracciati su ciascuna delle 6 immagini visualizzate. Alla fine del processo, l’apparecchio è in grado di
calcolare automaticamente il volume e di eseguire una ricostruzione Surface Rendering della lesione (Figura 1).
Misurazione dei volumi con la Risonanza Magnetica Mammaria
I volumi sono stati calcolati utilizzando un software dedicato per la ricostruzione 3D (Vitrea 2-Vital Images, Plymouth,
Minnesota, USA). Lo stesso medico in formazione in radiologia senologica che ha eseguito il calcolo dei volumi a partire dall’acquisizione volumetrica con sonda 3D, ha tracciato
in ogni piano assiale i contorni della lesione, utilizzando la
prima acquisizione delle immagini con mezzo di contrasto
sottratte.
200
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Le lesioni prese in considerazione sono descritte in Tabella 1
utilizzando range, media e deviazione standard.
Una volta misurati i volumi di ciascuna lesione mediante eco-
grafia 2D, ecografia 3D, Risonanza Magnetica ed esame istologico, sono stati calcolati range, media e deviazione standard
(DS) per i dati ottenuti (Tabella 2).
Il test di Student non ha mostrato differenze statisticamente significative tra il diametro massimo delle lesioni misurato dalla RMM e quello misurato dall’Anatomo Patologo (p>0.05),
mentre ha mostrato una differenza significativa tra quest’ultimo e la misurazione eseguita con ecografia 2D (p<0.05).
La media dei volumi misurati con le tre metodiche di imaging
appare minore rispetto a quella evidenziata dall’esame istologico. L’applicazione del Test di Student non ha comunque
evidenziato differenze statisticamente significative tra i volumi calcolati con le metodiche di imaging e l’esame del pezzo
operatorio (p>0.05) (esempio di un caso in Figura 2).
Abbiamo valutato la concordanza fra i volumi misurati con
l’ecografia 3D e le altre metodiche di imaging utilizzando il
coefficiente di correlazione interclasse (ICC): i valori hanno
mostrato una buona concordanza fra 3D-US e 2D-US (0.85)
e tra 3D-US e RMM (0.82). Anche la concordanza tra le tre
metodiche di imaging e l’esame istologico è risultata buona,
rispettivamente: 0.79 per 3D-US, 0.82 per 2D-US e 0.79 per
RMM. L’ecografia 3D ha leggermente sovrastimato 16 delle
20 lesioni con volume <1cm3, mentre ha sottostimato 12 delle
16 con volume ≥1 cm3. La RMM ha invece sottostimato le
reali dimensioni delle lesioni in 19 casi su 36 (52.7%), sovrastimando 13 su 36 lesioni (36.1%), indipendentemente dalle
dimensioni. Nei restanti 4 casi (11.2%) i volumi misurati alla
RMM e calcolati in base ai dati dell’esame istologico erano
coincidenti. Il calcolo dell’ICC ha mostrato come la concordanza tra 3D-US ed esame istologico sia stata migliore nel
gruppo di lesioni con volume ≥1 cm3 (ICC = 0.84).
All’analisi di Bland&Altman la differenza media e i limiti
di accordo al 95% tra 3D-US e 2D-US sono risultati pari a
-0.22 cm3 (limiti da 0.72 a -1.17 cm3) (Figura 3) e tra 3D-US e
RMM pari a 0.02 cm3 (da 1.26 a -1.21 cm3) (Figura 4).
La comparazione con l’esame istologico ha mostrato valori di
a
b
Calcolo dei volumi in base ai tre diametri
Il volume delle lesioni in base ai tre diametri misurati con
la sonda lineare 2D (AP-LL-CC) ed ai tre diametri indicati
dall’anatomo-patologo è stato calcolato usando la formula per
il calcolo del volume della sfera (V=4/3πr3), con r pari alla
media dei tre diametri misurati.
Analisi statistica
I calcoli sono stati eseguiti utilizzando il software MedCalc
per Windows v. 9.1.0.1 e un foglio di lavoro Microsoft Excel
2003 (Microsoft Corporation, Redmond, WA).
Per valutare preliminarmente la sovrapponibilità dei dati valori ottenuti da imaging ed esame istologico è stato applicato
il Test di Student sul diametro massimo misurato mediante
ecografia 2D, Risonanza Magnetica ed esame istologico.
Il medesimo test è stato poi usato per cercare un’eventuale
differenza significativa tra i volumi calcolati all’imaging ed
all’esame istologico.
Si è valutata la concordanza tra i volumi calcolati tra ecografia 3D e 2D, tra ecografia 3D e RMM e tra queste metodiche
e l’anatomia patologica mediante il Coefficiente di Correlazione Interclasse (ICC). Si è valutato l’ICC anche dividendo
le lesioni in due gruppi a seconda presentassero volume <1
cm3 o ≥1 cm3 alla valutazione anatomo-patologica. Infine si
è utilizzata l’analisi di Bland&Altman per valutare la diversa
accuratezza delle metodiche nel calcolo dei volumi rispetto
all’esame istologico [10].
Risultati
Fig. 1 Immagine acquisita con la sonda volumetrica di una formazione solida con aspetto sospetto, risultata un carcinoma duttale infiltrante di grado 3 all’esame
istologico (a). L’immagine viene visualizzata mediante Multiplanar Reformatting su 3 piani: assiale e longitudinale, ottenibili anche con la sonda 2D, e ricostruita
sul piano coronale. Dopo aver tracciato i contorni della lesione l’ecografo, mediante un software dedicato (VOCAL, Virtual Organ
Computer Aided Diagnosis) calcola il volume selezionato e lo rappresenta con modalità Surface Rendering (b).
201
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a
c
b
d
Fig. 2 a) L’ecografia mostra una formazione ipoecogena a margini sfumati con aspetto sospetto, risultata un carcinoma duttale infiltrante di grado 2. I suoi diametri antero-posteriore, latero-laterale e cranio-caudale sono stati misurati nelle immagini ottenute con sonda 2D.
b) L’immagine della lesione è stata acquisita con sonda volumetrica 3D-4D prima della procedura bioptica. Dopo tracciati manualmente i contorni dell’area di
interesse, il software VOCAL è in grado di calcolarne il volume.
c) L’immagine di RMM ottenuta dalla prima acquisizione dopo iniezione di mezzo di contrasto mostra area di disomogeneo, intenso e precoce enhancement, con
margini prevalentemente sfumati e aspetto sospetto.
d) Volume calcolato sulle immagini di RMM mediante un software dedicato (Vitrea 2-Vital Images, Plymouth, Minnesota, USA), tracciando i contorni della
lesione su tutte le sezioni acquisite. Il volume misurato con ecografia 2D è risultato minore rispetto a ecografia volumetrica e RMM (2,2 cm3 rispetto a 3,1 cm3
e 3,3 cm3). L’esame istologico ha confermato le misure date da ecografia 3D e RMM (3 cm3).
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Fig. 3 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel
confronto della misura dei volumi tra ecografia 2D ed ecografia 3D
Fig. 4 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel confronto della misura dei volumi tra ecografia 3D e Risonanza Magnetica Mammaria.
Fig. 5 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel
confronto della misura dei volumi tra ecografia 2D ed esame del pezzo operatorio.
Fig. 6 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel
confronto della misura dei volumi tra ecografia 3D ed esame del pezzo operatorio.
differenza media pari a -0.5 cm3 (limiti da 1.3 a -2.3 cm3) nel
confronto con 2D-US (Figura 5); -0.3 cm3 (da 1.5 a -2.0 cm3)
nel confronto con 3D-US (Figura 6); -0.3 cm3 (da 1.6 a -2.2
cm3) nel confronto con RMM (Figura 7).
La scansione volumetrica delle lesioni ha richiesto dai 3 ai
6 secondi, a seconda delle dimensioni della formazione e di
conseguenza dell’area in esame. La rielaborazione delle immagini per il calcolo del volume da parte di un singolo operatore ha richiesto dai 2 ai 4 minuti circa, a seconda delle
dimensioni e delle caratteristiche morfologiche della lesione.
Discussione
Fig. 7 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel
confronto della misura dei volumi tra RMM ed esame del pezzo operatorio.
L’ecografia 2D, per la sua praticità e semplicità d’uso, risulta
indagine insostituibile per il riconoscimento e la caratterizzazione di lesioni non palpabili e palpabili della mammella.
Una volta identificata la lesione, tramite la sonda 3D è pos-
203
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a
b
c
d
Fig. 8 a) L’ecografia mostra una formazione ipoecogena. All’esame istologico la diagnosi è stata carcinoma duttale infiltrante di grado 2.
b) La visualizzazione sui 3 piani evidenzia meglio i contorni irregolari della formazione e la distorsione dei tessuti circostanti.
c), d) In questo caso il volume calcolato coi tre metodi è risultato sovrapponibile a quello misurato all’istologia del pezzo operatorio (2D-US = 1,2 cm3; 3D-US
= 1,05 cm3; RMM = 0,87 cm3; esame istologico = 0,9 cm3).
sibile ottenerne l’acquisizione volumetrica, comprendente la
lesione stessa e una piccola porzione di tessuto mammario circostante. Questa può essere eseguita mediante sonda ecografica lineare che effettua una scansione dell’area di interesse,
associata o meno a dei sistemi guida (rispettivamente Tracked
Freehand Systems o Untracked Freehand Systems), raccogliendo immagini 2D da cui vengono ricostruite le immagini
volumetriche [4]. In alternativa si utilizza una sonda a matrice
2D, quadrata o circolare (Two-dimensional Arrays), che viene
mantenuta ferma mentre effettua automaticamente una scansione dell’area di interesse generando un’informazione 3D in
tempo reale [4], come nel nostro studio.
Le immagini acquisite possono essere presentate sullo schermo tramite Surface Rendering (rappresentazione di volumi
circoscritti con aspetto 3D), Multiplanar Reformatting (rappresentazione dei tre piani perpendicolari tra loro, con possibilità di muoversi all’interno del volume acquisito) o Volume
Rendering [4].
Una volta memorizzate, le immagini dell’acquisizione volumetrica possono essere riutilizzate, pertanto rivalutate e
rielaborate a posteriori (anche da parte di più operatori),
contrariamente a quello che succede con l’ecografia 2D:
l’ecografia 3D risulta così una metodica meno operatore-dipendente. Inoltre l’immagine 3D permette una buona analisi delle caratteristiche morfostrutturali e dimensionali della
lesione, ed assicura il riconoscimento di pattern di imaging
caratteristici [11-14].
Alcuni studi hanno confrontato sensibilità, specificità, valori predittivi ed accuratezza diagnostica dell’ecografia 3D
rispetto a quella 2D nella diagnosi differenziale tra formazioni solide benigne e maligne della mammella, dimostrando che l’ecografia 3D non incrementerebbe l’accuratezza
diagnostica.
Ciò [14] avrebbe riscontrato un’elevata concordanza tra i vari
operatori nel definire la benignità o la malignità delle lesioni,
configurando l’eventualità che la 3D-US migliori la confiden-
204
za diagnostica e la riproducibilità. Più di uno studio ha inoltre
sottolineato l’utilità del piano coronale (C), perpendicolare ai
due visualizzabili con l’ecografia-2D, in quanto permette di
ottenere maggiori informazioni sul coinvolgimento dei tessuti
circostanti e valutare meglio le spicule neoplastiche [11-13],
anche se finora non si è potuto valutare quanto questo parametro possa pesare sull’incremento dell’accuratezza diagnostica (si veda un esempio in Figura 8).
Vari studi hanno sottolineato i limiti del calcolo del volume di
organi o fantocci eseguito in 2D sulla base dei 3 diametri, poiché tale valutazione tenderebbe a sottostimare le reali dimensioni dell’oggetto [15,16]. Anche nel nostro studio abbiamo
evidenziato come tra il diametro massimo misurato all’ecografia 2D e quello misurato all’esame istologico vi si stata una
differenza statisticamente significativa, e l’ecografia abbia
teso a sottostimare la reale dimensione delle lesioni. Inoltre la
stima matematica del volume è caratterizzata da una minore
riproducibilità sia intra- che inter-operatore. Vari autori hanno già evidenziato come la riproducibilità nella misurazione
dei volumi, sia migliore utilizzando una sonda volumetrica,
con valori di concordanza inter-operatore vicina al 100%, per
esempio nello studio della tiroide o delle lesioni focali epatiche [17-19]. E’ stato anche proposto l’uso di questa metodica
per la misurazione dei volumi renali in persone sane ed in
pazienti con alterazioni della funzionalità, e sono stati trovati
risultati rilevanti per quanto riguarda accuratezza, riproducibilità e correlazione con metodiche come la TC [15,16].
I limiti segnalati risultano maggiormente evidenti in caso di
formazioni o organi a morfologia e margini irregolari [17,18],
aspetto questo caratteristico delle lesioni maligne della mammella [11]. L’acquisizione dell’immagine 3D della lesione
richiede pochi secondi (3-6 s), e incrementa la durata dell’esame ecografico di circa 1 minuto, necessario soprattutto
all’attivazione della sonda volumetrica e all’identificazione
della lesione. Tale operazione richiede una breve curva di apprendimento da parte dell’operatore, che deve acquisire familiarità con una rappresentazione dell’immagine lievemente
differente rispetto a quella della sonda 2D.
La misurazione volumetrica può essere fatta anche a posteriori in modo differito da parte di altri operatori, così come la
valutazione morfologica della lesione e dei tessuti circostanti,
e richiede una quantità di tempo relativamente ridotta (al massimo 4 minuti per le formazioni di maggior diametro e con i
contorni meno definiti).
Il software VOCAL utilizzato nel nostro studio ha già dimostrato di avere elevata accuratezza nella volumetria di lesioni con forma irregolare, soprattutto quando viene utilizzata
l’opzione manuale per tracciare i contorni piuttosto che quella
automatica [5], così come già riportato.
La sua affidabilità cresce con il numero di piani usati per descrivere i margini dell’area di interesse, ma questo determina
un parallelo aumento del tempo necessario all’analisi. In base
ad uno studio di Pang del 2006 [20] ed alla nostra esperienza abbiamo deciso di utilizzare un angolo di 30° che appare
un buon compromesso, in quanto facile da utilizzare, privo
di significative differenze rispetto alle misurazioni eseguite a
6°, 9° e 15°, ma con un discreto risparmio di tempo rispetto
a queste ultime. E’ già ampiamente dimostrata la superiorità
della RMM nell’ottenere informazioni riguardo alle caratteristiche ed all’estensione delle lesioni; per questa ragione
abbiamo deciso di prendere in considerazione anche i volumi
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calcolati con questa metodica [7,8,21], anche se il nostro standard di riferimento sono state le dimensioni della lesione nel
pezzo operatorio analizzato dall’anatomo-patologo.
Nella revisione della letteratura abbiamo trovato un unico articolo [22] in cui gli autori abbiano preso in considerazione i
volumi di formazioni mammarie benigne o maligne misurate
con 2D-US, metodica 3D e mammografia, evidenziando una
buona correlazione. Non siamo a conoscenza di studi che abbiano valutato la sovrapponibilità fra 2D-US, 3D-US, RMM
ed esame istologico nella misurazione dei volumi delle lesioni
mammarie. Lo studio della volumetria delle lesioni mammarie con RMM ha già dimostrato buona accuratezza e riproducibilità [21,23]. La RMM ha però la tendenza a sottostimare
le lesioni di piccole dimensioni e sovrastimare le formazioni
di maggior diametro [21]: nella nostra casistica abbiamo evidenziato come la RMM abbia la tendenza a sottostimare i
reali volumi delle lesioni, indipendentemente dal loro volume
calcolato in base all’esame istologico.
La Risonanza Magnetica ha infatti sottostimato i valori rispetto all’esame istologico in 19 casi su 36 (52.3%) e sovrastimato in 13 su 36 lesioni (36.1%). Il Coefficiente di Correlazione
Interclasse (ICC) ha mostrato una buona concordanza tra i
valori dei volumi misurati con le varie metodiche di imaging, sovrapponibili sia tra ecografia 3D e 2D che tra 3D-US
e RMM. Analogamente, anche la concordanza con l’esame
istologico è apparsa soddisfacente sia per l’ecografia 2D e
volumetrica che per la RMM. In particolare, la 3D-US ha mostrato un buon coefficiente di correlazione, sovrapponibile a
quello riscontrato con la RMM, considerata standard di riferimento tra le metodiche di imaging per la corretta valutazione
dell’estensione di malattia.
Questa correlazione non è sempre stata sottolineata in letteratura: nello studio di Londero et al [7] l’ecografia ha sottostimato il diametro del tumore durante il follow up delle pazienti
in chemioterapia neoadiuvante, mentre la RMM ha mostrato
miglior correlazione con l’anatomia patologica, assieme ad
una lieve tendenza alla sovrastima della lesione. La particolare situazione e le modificazioni anatomo-patologiche indotte
dalla chemioterapia neoadivuante potrebbero determinare una
limitata capacità diagnostica dell’ecografia nel riconoscere le
modificazioni post-terapia, in particolare rispetto alla RMM
che permette di visualizzare il contrast-enhancement solo nella parte vascolarizzata della neoplasia.
I limiti di accordo al 95% calcolati con l’analisi di Bland&Altman tra l’imaging e l’esame istologico sono risultati sovrapponibili per tutte e tre le metodiche, evidenziando come
l’ecografia 3D possa essere perlomeno sovrapponibile alle altre metodiche di imaging nella valutazione delle dimensioni
delle lesioni maligne.
Ulteriore campo di applicazione suggerito dalla letteratura
potrebbe essere l’utilizzo delle sonde 3D durante le procedure
bioptiche: le immagini ottenute permetterebbero di valutare
in maniera più precisa la posizione dell’ago rispetto alla lesione e quindi migliorare l’accuratezza nel sampling tissutale
riducendo il numero di frustoli bioptici necessari alla diagnosi
istologica [24,25]. Inoltre è già stata analizzata l’opportunità,
attraverso i volumi acquisiti in 3D-US di utilizzare l’applicazione del CAD (Computer-Aided Diagnosis) alle immagini
ottenute con sonde 3D allo scopo di aumentare la sensibilità
e la specificità nel riconoscimento delle lesioni, soprattutto
quelle classificate come BI-RADS 3 [26].
205
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Conclusioni
In base alla nostra iniziale esperienza, l’ecografia 3D appare
un metodo affidabile, pratico e accurato perlomeno quanto
2D-US e RMM per misurare i volumi delle lesioni maligne
della mammella.
Essa risulta di rapida e facile utilizzazione e permette di memorizzare immagini volumetriche che possono essere rielaborate e più facilmente analizzate o rivalutate anche in un
secondo momento e da più operatori.
Per citare questo articolo:
Clauser P, Londero V, Como G, Girometti R, Bazzocchi M, Zuiani C (2014) Comparison between different imaging techniques in the
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 206-213
GESTIONE DELLE RISORSE ED ECONOMIA SANITARIA IN RADIOLOGIA
xxx
TC-PET in pazienti oncologici: analisi dei costi non sanitari
nellavalutazionecosto-beneficio
A. Orlacchio1, A. M. Ciarrapico2, O. Schillaci1, F. Chegai1, D. Tosti1, F. D’Alba3
M. Guazzaroni1, G. Simonetti1
1
Dipartimento di Diagnostica ed Imaging Molecolare, Radiologia Interventistica, Medicina Nucleare e Radioterapia
Ospedale Universitario “Tor Vergata”, Viale Oxford 81, 00133 Roma, Italia
2
Dipartimento di Sanità Pubblica, “Tor Vergata”, Roma, Italia
3
Unità di Innovazione, Sviluppo, Pianificazione Strategica e Controllo di Gestione, Policlinico Universitario “Tor Vergata”, Roma, Italia
Indirizzo Autore: A. Orlacchio, Tel.: +39-06-20902400-2382, Fax: +39-06-20902404, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 13 Giugno 2012 / Accettato: 25 Febbraio 2013
Riassunto
Introduzione
Scopo. Analizzare quanto incidono i costi non sanitari (trasporto, perdita di produttività) nell’esecuzione della PET-TC,
utilizzando protocolli TC standard con somministrazione di
mezzo di contrasto (ceTC, contrast enhanced TC) .
In oncologia moderna lo studio combinato mediante tomografia ad emissione di positroni (PET, positron emission tomography) e tomografia computerizzata (TC, tomografia computerizzata), PET-TC, riveste un ruolo cardine per la diagnosi,
la stadiazione ed il controllo dopo terapia dei pazienti affetti
da patologia neoplastica 1-4.
Attualmente nei diversi centri vengono utilizzati due differenti
protocolli per lo studio TC combinato con lo studio PET. Nel
primo viene utilizzata la TC, con basse dosi di radiazioni e
senza mezzo di contrasto (mdc), per la correzione dell’attenuazione e la localizzazione anatomica; nel secondo la TC viene
impiegata con protocolli standard e con la somministrazione
di mdc (ceTC, contrast enhanced TC), endovenosa o per os, in
modo da ottenere immagini diagnostiche di elevata qualità e
quindi rendere l’esame “completamente diagnostico”.
Numerosi studi hanno evidenziato, infatti, l’incremento del valore diagnostico che deriva dallo studio combinato PET-TC.
Lardinois et al. sono stati i primi a segnalare tale vantaggio
della PET-TC sulle altre tecniche per la stadiazione secondo
il sistema TNM 5.
Studi recenti hanno dimostrato che la PET-TC risulta la metodica di Imaging migliore per quanto riguarda la stadiazione
del tumore, superiore alla PET da sola e alle indagini PET e
TC eseguite separatamente 6.
Combinando le informazioni diagnostiche morfo-strutturali
e di vascolarizzazione con quelle metaboliche, la PET-TC
aumenta l’accuratezza diagnostica nella stadiazione e nella
ri-stadiazione del tumore del polmone, del tratto gastrointestinale, della mammella, del rene, del tratto genitourinario, del
melanoma, della testa-collo e dei linfomi 7-9.
Kanzaki et a.l sono stati i primi a valutare, in maniera retrospettiva, l’efficacia dello studio combinato PET-TC come
esame routinario nei pazienti in follow-up per carcinoma del
polmone non a piccole cellule, trattati con scopo curativo e
non palliativo.
I loro risultati evidenziano come la PET-TC abbia fornito una
Materiali e Metodi. Dall’ottobre al novembre 2010, 100 pazienti afferenti al nostro Istituto sono stati sottoposti ad un
questionario per valutare l’ammontare dei costi non sanitari.
E’ stata effettuata, inoltre, una stima dei costi sanitari (ammortamento dell’apparecchiatura, materiali di consumo e personale) derivanti dall’esecuzione della PET-TC utilizzando
ceTC e la PET-TC con basse dosi di radiazioni e una ceTC
eseguite in tempi separati.
Risultati. I costi derivanti dall’esecuzione dell’esame PETTC e ceTC separatamente ammontano a 919,33 euro, mentre
quelli per l’esecuzione dell’esame PET-TC utilizzando ceTC
ammontano a 801,3 euro. É quindi possibile ottenere un risparmio del 13%. Inoltre la possibilità di accedere una sola
volta nella struttura ospedaliera per l’esecuzione dell’esame
diagnostico consente un risparmio in termini di costi non sanitari.
Conclusioni. I costi diretti non Sanitari incidono notevolmente sulla spesa che il Paziente e, indirettamente, il Sistema
Sanitario Nazionale devono affrontare. L’esecuzione della TC
diagnostica contestualmente alla PET comporta dei vantaggi
in termini di costi diretti sanitari e non sanitari.
Parole chiave: tomografia computerizzata; tomografia emissione positroni; costo-beneficio, PET-TC; fusione immagini.
207
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 206-213
diagnosi corretta di recidiva di malattia in 34/35 pazienti e
classificato correttamente come veri negativi 198/206 pazienti. Gli autori ritengono quindi che la PET-TC possa essere
l’unico esame diagnostico necessario in pazienti in follow-up
per carcinoma del polmone non a piccole cellule, sempre però
in associazione con la RM Encefalo 10.
Sempre nell’ambito della patologia neoplastica polmonare,
Keidar et al hanno evidenziato, in uno studio prospettico, come
il solo esame PET-TC determini un cambiamento delle strategie terapeutiche nel 29% dei casi, rendendo inoltre più specifica e sensibile la stadiazione e la ristadiazione dei pazienti 11.
Hyun Hoon Chung et al. hanno valutato la capacità della gestione integrata PET-TC in pazienti con sospetta recidiva di
cancro della cervice. Secondo gli autori, l’esame combinato
PET-TC modifica il management clinico nel 23.1% delle pazienti, aumentando la sensibilità e la specificità diagnostica
nei casi dubbi di recidiva da carcinoma della cervice al solo
esame PET.
La diagnosi precoce di recidiva consente inoltre di effettuare
trattamenti terapeutici curativi nella maggior parte dei casi,
limitando quindi gli interventi palliativi. In tal modo, oltre ad
ottenere una migliore gestione clinico-radiologica delle pazienti, la PET-TC ha anche un notevole impatto sulla sopravvivenza libera da malattia12.
Nel nostro Centro, essendo in essere una stretta collaborazione tra Radiologi e Medici di Medicina Nucleare, disponendo
della tecnologia adeguata, quando non contro-indicato, l’esame PET-TC viene eseguito con l’effettuazione di una ceTC.
Tale modalità di acquisizione dell’esame PET-TC viene condotta per migliorare il valore dell’esame diagnostico e per
enfatizzare il concetto del “one-stop-shop”, di recente introduzione nella medicina moderna.
La possibilità di effettuare la stadiazione TNM con un singolo esame consente di ottenere tempestivamente una diagnosi
completa e di ridurre il tempo necessario al paziente per sottoporsi ad esami diagnostici separatamente 13. Inoltre, in un
periodo di difficoltà economica generale, la valutazione delle
risorse economiche e del loro impiego è alla base di una efficace ed efficiente gestione economico-sanitaria.
Esistono, infatti, differenti tipi di costi che possono essere valutati in ambito economico-sanitario: i) costi diretti, costituiti
dalle spese relative alle attività di prevenzione, di diagnosi e
cura dei pazienti; ii) costi indiretti, meglio conosciuti come
costi non sanitari, che il paziente e/o i familiari dello stesso
devono affrontare per ricevere l’assistenza (costi relativi al
trasporto, costi in termini di perdita di produttività). La perdita di produttività non deve essere registrata solo per i dati
relativi al paziente che esegue l’esame, ma anche per chi lo
accompagna.
Di conseguenza, la scelta di inclusione, parziale o totale, delle
diverse categorie nelle valutazioni economiche dipende dalla
prospettiva da cui viene condotta l’analisi. Il Servizio Sanitario Nazionale prende in considerazione solo i costi diretti
sanitari, mentre i fruitori del Servizio (i pazienti) devono farsi
carico di tutte le categorie di costo, sia diretto che indiretto.
La revisione della letteratura evidenzia tuttavia come, anche
negli studi che adottano una prospettiva sociale, spesso non
sia inclusa la stima della perdita di produttività, nonostante
questa costituisca mediamente la metà del costo totale di una
patologia.
Le ragioni sono da collegarsi alle problematiche metodologi-
che e alle difficoltà oggettive di quantificazione di tali costi,
nonché alle differenti posizioni assunte dalle linee guida in
materia di valutazione economica delle prestazioni sanitarie
emanate in diversi Paesi.
Scopo del nostro studio è quello di analizzare in che misura
incidono i costi non sanitari nell’esecuzione della PET-TC effettuando contemporaneamente una ceTC.
Materiali e metodi
Costi sanitari degli esami
Per calcolare il costo degli esami della ceTC, della PET-TC e
dell’esame PET-TC utilizzando la ceTC abbiamo considerato
l’ammortamento dei singoli macchinari, i materiali di consumo (18F-FDG e mezzo di contrasto) ed il costo del personale
addetto, medico e non medico.
Per calcolare l’ammortamento e stato considerato il costo di
acquisto delle apparecchiature, diviso tale costo per l’utilizzo
orario annuale, ottenendo così il costo al minuto che, moltiplicato per la durata dell’esame, dà la quota di ammortamento
delle apparecchiature imputabile ad ogni esame.
Tali dati sono stati ricavati dalla contabilità della nostra
struttura ospedaliera. Per quanto riguarda il costo del personale, siamo partiti dalle retribuzioni contrattuali annuali
ed abbiamo diviso tale retribuzione per il numero di ore di
lavoro previsto, quindi per il numero di minuti, ottenendo il
costo al minuto.
Abbiamo, quindi, moltiplicato tale costo per la durata dell’esame ottenendo così il costo delle varie figure professionali
imputabile ad ogni esame.
Per calcolare la durata dell’esame e dell’utilizzo del personale
medico sono stati utilizzati i dati riportati nel documento della
Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM) sull’appropriatezza prestazionale quali-quantitativa in Diagnostica per
Immagini 14.
Costi non sanitari dell’esame combinato PET-TC con ceTC
La nostra indagine è stata effettuata a campione in maniera
random su una serie di 100 pazienti che tra ottobre e novembre 2010 si sono recati al nostro Centro. Per uniformare la popolazione di studio sono stati inclusi solo pazienti
oncologici che effettuavano l’esame per motivi di staging,
re-staging e follow-up. Sono stati invece esclusi i pazienti
che effettuavano l’esame con indicazione neurologica (malattie neurodegenerative).
I pazienti sono stati sottoposti ad un questionario, per valutare
l’ammontare dei costi non sanitari che incidono sull’esecuzione dell’esame PET-TC utilizzando la ceTC. Tale questionario
è stato fornito con lo scopo di valutare le spese inerenti al trasporto di ogni singolo paziente, e ai costi in termini di perdita
di produttività del singolo.
Le domande comprese nel questionario riguardavano la condizione lavorativa del paziente al momento del questionario
ed il tipo di lavoro svolto, la distanza dal domicilio al nostro
Centro, il mezzo di trasporto (pubblico o privato) con il quale
si era raggiunto il Centro stesso. In caso di mezzo di trasporto
privato, doveva essere indicata la tipologia dello stesso (modello e cilindrata).
208
Inoltre, per valutare i costi relativi all’informal care, è stato
richiesto di indicare se il paziente fosse accompagnato e il
tipo di lavoro svolto dall’accompagnatore. La tipologia di
professione è stata richiesta per individuare un valore medio
della giornata lavorativa di ogni singolo paziente.
Per valutare l’ammontare dei costi relativi al trasporto, nel
caso il paziente usufruisse di mezzo pubblico, tale costo è stato approssimato al costo del biglietto indicato nel questionario. Nel caso il paziente avesse usufruito di un mezzo proprio,
sono state utilizzate le tabelle ACI, che riportano il costo per
kilometri (Km) per cilindrata corrispondente. Moltiplicando
il costo per Km per i Km percorsi abbiamo quindi ottenuto il
costo di trasporto.
Analisi statistica
È stata effettuata una statistica descrittiva generale, considerando sesso, età, stato lavorativo del paziente, eventuale presenza di accompagnatore e relativa occupazione. Per la valutazione statistica i risultati ottenuti, espressi come media±deviazione standard e percentuale sono stati ottenuti mediante
Software Microsoft Windows Office Excel2000.
Risultati
Costi sanitari degli esami
Per calcolare in maniera idonea i costi derivanti dai diversi
tipi di esame diagnostico, abbiamo evidenziato che l’esecuzione del solo esame TC prevede l’utilizzo della sala TC per
almeno 20’. Inoltre, il personale medico viene impiegato per
30’, il personale tecnico per 30’, il personale infermieristico
per 20’ ed il personale ausiliario per 15’ (Tabella 1).
Nella tabella 2 sono riportati i costi relativi al personale sanitario e non, compreso il personale di segreteria, che ammontano a 57,47 euro.
Per quanto riguarda, invece, i costi delle apparecchiature e
dei materiali di consumo, questi ammontano a 116 euro. A
tali costi vanno aggiunti altri costi generali dell’Azienda pari
a 73,55 euro. I costi relativi al solo esame TC ammontano a
247,02 euro. L’esecuzione dell’esame PET-TC è prevede l’utilizzo di un medico per 90’, del personale tecnico per 40’, del
personale infermieristico per 25’ e del personale ausiliario per
15’ (Tabella 1).
I costi relativi al personale sanitario e non, compresi quelli di
segreteria ammontano quindi a 113,23 euro. I costi delle apparecchiature e dei materiali di consumo ammontano a 424,6
euro. A tali costi vano aggiunti costi generali dell’Azienda
pari a 134,5. Per l’esecuzione dell’esame PET-TC è necessaria quindi una spesa pari a 672,3. La spesa dell’esame PET
-TC e della ceTC eseguita in tempi separati ammonta a 919,3
euro (Tabella 2).
Effettuando l’esame PET-TC utilizzando una ceTC, è necessario l’utilizzo di due medici (radiologo e medico nucleare)
per 90’, del personale tecnico per 45’, del personale infermieristico per 30’ e del personale ausiliario per 15’. I costi relativi
al personale sanitario e non, compresi quelli di segreteria ammontano quindi a 192,25 euro. I costi delle apparecchiature e
dei materiali di consumo ammontano a 474,62 euro. A tali costi vano aggiunti costi generali dell’Azienda pari a 134,5 euro.
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213
Per l’esecuzione dell’esame PET-TC utilizzando una ceTC è
necessaria quindi una spesa pari a 801,3 euro (Tabella 2).
Effettuando quindi una ceTC durante la PET-TC vi è un risparmio del 13% rispetto all’esecuzione di una c.eTC ed una
PET-TC eseguite in tempi diversi (Tabelle 1-2).
Partendo dall’ipotesi di almeno pari efficacia dell’esame PETTC con una ceTC rispetto ad un esame PET-TC con ceTC in
tempi diversi, l’esecuzione del solo esame PET-TC con c.eTC
comporta ovviamente un risparmio per il SSN e per i pazienti
limitando i costi effettivi complessivi.
Costi non sanitari degli esami
Cento pazienti afferenti al nostro centro sono stati inclusi nel nostro studio. L’età dei pazienti era in media di
56,40816±16,99717 (range 18-87). Nessun paziente ha rifiutato la somministrazione del questionario. I questionari sono
stati compilati nella maniera corretta ed i dati sono stati quindi
registrati correttamente nel 100% dei casi.
Dalla nostra analisi è risultato che, al momento dell’indagine,
35/100 pazienti erano in condizioni lavorative attive, 51/100
pensionati, 3/100 disoccupati, 4/100 studenti e 7/100 non
attivi (Tabella 3). Ogni paziente per recarsi presso il nostro
centro ha effettuato in media 67,4 km, impiegando per il solo
viaggio, tra andata e ritorno, in media 186’. L’ammontare
in denaro della perdita di produttività è stato stimato su una
giornata lavorativa intera, in relazione alla durata del viaggio
effettuato per raggiungere il nostro centro ed in relazione alla
durata complessiva (circa 3h) per l’effettuazione dell’esame.
I costi complessivi di trasporto relativi al campione prescelto
risultano quindi pari a 3050 euro, con un costo medio a persona di circa 30,5 euro.
Per calcolare il costo di una giornata lavorativa abbiamo preso
in considerazione una settimana lavorativa di 40 ore ed un
monte ore giornaliero pari a 8 ore.
L’ammontare della giornata lavorativa è stato calcolato in accordo con i dati EUROSTAT-ISTAT, che indicano uno stipendio medio per impiegati nel settore dell’industria di 22.701
euro anno, per il settore del commercio-trasporti-ristorazione
di 24.843 euro anno, per il settore assicurazioni, ricerca e servizi di 27.134 euro anno e per il settore privato di 23.406 euro
anno. Per una giornata lavorativa di 8 ore la perdita di produttività ammonta quindi a 102,16 euro (range 94,58-113,05)
(Tabella 4).
Per quanto riguarda l’eventuale presenza di un accompagnatore, abbiamo constatato che la maggior parte dei pazienti risultava accompagnata nel giorno dell’esame.
Dei 35 pazienti lavoratori, 23 risultavano accompagnati da
persone attive in senso lavorativo e 2 da persone pensionate. Dei 3 pazienti disoccupati, 1 risultava accompagnato da
una persona attiva in senso lavorativo. Tutti e 4 gli studenti
risultavano accompagnati, di cui 3 da persone attive. Dei 7
pazienti non attivi lavorativamente, 6 risultavano accompagnati da persone attive. Dei 51 pazienti pensionati, 46 risultavano accompagnati: 16 da persone pensionate, 30 da
persone attive. Si evince quindi che 80 pazienti erano effettivamente accompagnati da un familiare o da un conoscente. Pertanto, nella valutazione dell’informal care, abbiamo
individuato negli 80 accompagnatori, 57 lavoratori attivi, 1
studente e 23 pensionati (Tabella3). Per quanto concerne le
perdite di produttività queste vengono calcolate per pazienti e
209
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213
Tabella 1 Tempi derivanti dall’esecuzione degli esami ceTC, PET-TC e PET-TC con ceTC per ogni singolo operatore
IMPIEGO PERSONALE (MINUTI)
TC
PET-TC
PET-CT +
c.eCT
Medico
40’
90’
90’ + 90’
Tecnico
30’
40’
45’
Infermiere
20’
25’
30’
Ausiliario
15’
15’
15’
PET-TC
PET-CT +
c.eCT
Tabella 2 Costi sanitari derivanti dall’esecuzione degli esami ceTC, PET-TC e PET-TC con ceTC
COSTI SANITARI (€)
c.eTC
Medico
25,16
75,47
150,94
Tecnico
11,32
15,09
17,01
Infermiere
6,71
8,39
10,02
Ausiliario
3,62
3,624
3,62
Ammortamento Apparecchiature
51
198,6
198,62
Materiali di consumo
65
226
276
Spese di segreteria
6,4
10,66
10,66
73,55
134,48
134,48
247,02
672,314
801,3
Costi fissi
Tot.
Tot.
accompagnatori in condizioni lavorative effettuando la stima
del reddito giornaliero a cui “si rinuncia” per recarsi presso il
Centro o per effettuare l’esame o per accompagnare colui che
si sottopone all’esame.
Le giornate di lavoro perse dai pazienti risultano quindi pari a
35 mentre quelle degli accompagnatori pari a 57, per un totale
di 92 giornate. Se si usa come valore medio della produttività
giornaliera la cifra di 102,16 euro, le perdite di produttività relative al campione di 100 pazienti risulta pari a 9.398,72 euro.
Sommando quindi i costi derivanti dalla perdita di produttività ed dalle spese per il viaggio, possiamo dedurre che i costi
non sanitari ammontano a 12.448,72 euro, con una spesa, di
natura non sanitaria, a carico di ogni paziente di 124,48 euro
(Tabella 5). Prendendo, quindi, in considerazione sia le spese
sanitarie che non sanitarie, per i 100 pazienti inclusi nel nostro studio, c’è tata una spesa complessiva di 92.578,00 euro.
Dalla nostra valutazione emerge che il 13,5 % di tale spesa risulta completamente a carico del paziente e dei suoi familiari.
919,33
801,3
Discussione
Gli obiettivi dell’Imaging oncologico sono il rilevamento e la
localizzazione delle lesioni, compreso il rapporto con le strutture anatomiche adiacenti e i vasi, la caratterizzazione delle
lesioni, la corretta stadiazione e la valutazione della risposta
al trattamento. Alcuni di questi obiettivi richiedono tecniche
d’Imaging morfologico, mentre altre tecniche di Imaging molecolare.
La TC permette di ottenere informazioni circa l’esatta localizzazione anatomica del tessuto tumorale individuato e fornisce un dato sulla sua vascolarizzazione, grazie all’utilizzo del
mezzo di contrasto organo-iodato.
D’altra parte, l’uso della PET con traccianti specifici per la
misura del metabolismo cellulare tumorale permette di valutare il grado di aggressività del tumore, la presenza e distribuzione delle metastasi a distanza, l’effetto di trattamenti
chemio e/o radioterapici sulla vitalità del tumore e la diagnosi
210
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213
Tabella 3 Descrizione della popolazione di studio
CARATTERISTICA DELLA POPOLAZIONE DI STUDIO
Sesso (m/f)
64/46
Anni (età) media ± DS
56,4 ± 16,99
Stato lavorativo
Lavoratore attivo
35
Pensionato
51
Disoccupato
3
Studente
4
Non lavoratore
7
Accompagnatore (si/no)
80/20
Stato lavorativo dell’accompagnatore
Lavoratore attivo
57
Pensionato
22
Disoccupato
-
Studente
1
Non lavoratore
-
Tabella 4 Stipendio medio annuale e stipendio medio giornaliero per ogni settore di attività (Dati EUROSTAT-ISTAT)
SETTORE DI IMPIEGO
STIPENDI MEDIO
ANNUALE (€)
GIORNATA
LAVORATIVA (€)
Settore Industria
22701
94,58
Settore Commercio - Trasporti - Ristorazione
24843
103,51
Settore Assicurazioni - Ricerca - Servizi
27134
113,05
Settore Privato
23406
98
24521 ± 1956
102,16 ± 8,15
media ± DS
differenziale tra recidiva tumorale e necrosi da terapia radiante. In questo modo è possibile ottenere un inquadramento clinico ed una stadiazione più precisa limitando il numero di
procedure diagnostiche invasive.
I principali limiti della PET sono rappresentati dalla scarsa
rappresentazione anatomica delle strutture, che rende difficile
l’individuazione delle lesioni, in particolare quelle di piccole
dimensioni, oppure l’accumulo fisiologico del tracciante in
organi e tessuti normali quali cervello, muscoli, ghiandole
salivari, tiroide, miocardio, tratto gastrointestinale e urinario;
pertanto, risulta difficoltosa l’interpretazione delle immagini
laddove la lesione neoplastica sia localizzata all’interno di or-
gani con fisiologico accumulo di FDG. D’altra parte, si può
rilevare la mancata captazione in tumori a bassa attività metabolica (tumori neuroendocrini, carcinoma bronchiolo-alveolare) così come l’ipercaptazione in patologie non maligne, che
possono essere neoplasie benigne o lesioni infiammatorie.
È, pertanto, ormai riconosciuto che la FDG-PET e la TC sono
due metodiche complementari, e che l’impiego combinato
delle stesse è indispensabile nella pratica clinica oncologica.
All’unione delle due tecnologie si è arrivati a fronte della necessità di ridurre il rumore durante la correzione per l’attenuazione rendendola allo stesso tempo più rapida, con una riduzione dei tempi di acquisizione del 20-30%, e migliorando la
211
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213
Tabella 5 Costi non sanitari totali riferiti al campione di 100 pazienti presi in esame
COSTI NON SANITARI
Perdita di
produttività
Paziente
(€)
Perdita di
produttività
accompagnatore
(€)
Costi trasporto
(€)
3575
5823
3050
qualità dell’immagine ottenuta. Inoltre, la fusione delle immagini morfologiche ad alta risoluzione della TC con quelle PET
aiuta la localizzazione spaziale delle immagini funzionali, per
esempio, per identificare il sito anatomico ove è visibile una
zona di elevato uptake corrispondente a un tumore; così come
la TC può fornire informazioni che completano il quadro clinico, ad esempio le dimensioni di un tumore e visualizzazione
di piccole lesioni altrimenti non visibili alla PET.
Allo stesso tempo, le informazione TC possono essere utilizzate per la correzione delle limitazioni della PET, come per il
calcolo del SUV (Standardized Uptake Value) o per la correzione dell’effetto di volume parziale.
Pochi autori hanno indagato la validità e l’efficacia dell’esecuzione dell’esame combinato PET-TC effettuando una TC
diagnostica in un unico momento.
Pfannemberg et al. 15 in uno studio retrospettivo condotto su
214 pazienti oncologici riportano come lo studio combinato
PET-TC con la ceTC apporti considerevoli informazioni aggiuntive rispetto al solo esame PET-TC senza TC diagnostica.
L’esecuzione della ceTC durante l’esame combinato PET-TC
ha consentito, secondo gli autori, di aumentare la sensibilità
dell’esame PET-TC individuando nel 17% dei pazienti lesioni
negative al solo esame PET-TC e di localizzare correttamente
il 39% delle lesioni in siti sospetti, soprattutto in pazienti con
patologia neoplastica dell’apparato gastro-enterico.
Gli stessi autori 16, analizzando i risultati ottenuti in soli pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, hanno
riscontrato che l’esecuzione della TC diagnostica durante l’esame PET non influenza solo la stadiazione della neoplasia,
ma è anche necessaria nei pazienti che devono effettuare radioterapia conformazionale o trattamenti chirurgici non convenzionali. Anche Soyka et al. 17 definiscono la PET-TC con
TC diagnostica come esame di prima istanza da dover effettuare in pazienti che devono essere ristudiati per recidiva da
tumore del colon-retto. Inoltre, nella valutazione della risposta al trattamento chemioterapico in pazienti con linfoma di
Hodgkin, Orlacchio et al 18 hanno evidenziato l’importanza
dell’integrazione dell’esame PET con la ceTC, soprattutto
in presenza di captazioni sottodiaframmatiche intra e retroperitoneali o in sede laterocervicale.
Infatti, secondo gli autori, l’utilizzo del mdc consente di discriminare chiaramente tra formazioni linfonodali e fisiologici accumuli del 18F-FDG in corrispondenza dell’apparato
urinario ed intestinale, o dell’accumulo in sede vascolare.
Sempre secondo gli autori, la valutazione post-contrastografica è inoltre imprescindibile nella stadiazione delle patologie
linfomatose con interessamento di organi extranodali, poiché
in tale evenienza la sola PET/TCms basale non sempre riesce a documentare l’esistenza di malattia con lesioni focali
Totale
(€)
12448
soprattutto di dimensioni sub-centimetriche. Da queste considerazioni si evince come i due esami siano l’uno di supporto
all’altro e come siano significativi i vantaggi che scaturiscono
dal loro utilizzo integrato.
Pertanto, nei centri di Diagnostica per Immagini che dispongono della tecnologia adeguata, è opportuno effettuare una
TC diagnostica durante l’esecuzione di una PET-TC, sia per
l’indubbio valore diagnostico dell’esame combinato, sia per
ridurre la dose di radiazioni ionizzanti a cui è esposto il paziente. Infatti, per l’esecuzione di una PET-TC il paziente
è esposto ad una dose di radiazioni pari a circa 14.5 mSv
(9.6-29.8 mSv) 19. Se si esegue una TC diagnostica in un
secondo momento, a tale carico espositivo devono essere
aggiunti circa 12mSv20 derivanti dall’esecuzione di tale esame. Si può quindi ipotizzare che, eseguendo una ceTC vi
possa essere una riduzione di circa il 50% della dose di radiazioni ionizzanti a cui è esposto il paziente nel caso venga
effettuato l’esame PET-TC con ceTC.
Oltre ai benefici in termini di sensibilità e specificità diagnostica, si ottiene anche una cospicua riduzione dei tempi per
effettuare una diagnosi corretta con una riduzione dei costi,
sanitari e non sanitari, derivanti dall’esecuzione dell’esame
in un unico momento. Infatti il ritardo della diagnosi, dovuto
anche al più lungo intervallo temporale per l’esecuzione degli
esami in tempi successivi, comporta l’ampliamento dei tempi
per le scelte terapeutiche, con svantaggi clinici ed economici
non quantificabili.
In base alla nostra esperienza, non è stato evidenziato un aumento delle liste d’attesa per l’esecuzione dell’esame PETTC con una ceTC, rispetto ad un esame PET-TC senza ceTC.
La durata è infatti la stessa per i differenti esami (circa 90’)
e la possibilità che ne deriva dal poter effettuare un esame
TC diagnostico nello stesso momento, consente una riduzione
delle liste TC giornaliere.
Tale situazione risulta vantaggiosa anche per il paziente che
non deve accedere in una struttura ospedaliera una seconda
volta per effettuare una TC diagnostica. Ciò può comportare
una riduzione dei tempi necessari per ottenere una diagnosi
completa ed un risparmio sia in termini di costi sanitari sia in
termini di giornate lavorative e quindi di costi non sanitari.
Scopo di questo studio è stato quello infatti di valutare l’ammontare dei costi derivanti dall’esecuzione dell’esame PETTC con TC diagnostica, sia in termini di costi sanitari che non
sanitari. Gli studi sulle valutazioni economiche in Sanità sono
spesso effettuati in maniera retrospettiva. Pertanto, tali valutazioni risultano carenti e poco precise poiché vengono valutati
solo i costi diretti di natura sanitaria e non vengono prese in
considerazioni specifiche informazioni del singolo paziente21.
Tuttavia, anche se per il SSN le spese completamente a cari-
212
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213
co del paziente risultano invisibili, in un periodo di difficoltà
economica, è necessaria un’analisi dettagliata delle spese derivanti dall’esecuzione di una prestazione sanitaria, di qualsiasi natura essa sia22.
Per quanto concerne i costi sanitari, dalla nostra valutazione
emerge chiaramente che il costo dell’esame combinato PETTC risulta inferiore alla somma dei costi dei due esami TC e
TC-PET separatamente. Il nostro studio mostra l’importanza
di registrare i costi di natura non sanitaria e dell’informal care
nell’ambito delle valutazioni economiche in ambito sanitario.
Le spese in termini di perdita di produttività, sia del paziente che dell’accompagnatore, rappresentano una cospicua
parte delle spese totali. Infatti, i nostri risultati evidenziano
che l’ammontare di tali costi rappresenta il 13,5 % dei costi
derivanti dall’esecuzione dell’esame. In base alle nostre conoscenze non ci sono studi che correlano i costi non sanitari
nell’esecuzione dell’esame PET-TC e TC.
Studi simili sono state effettuati da Fazio et al. 23 nella valutazione economica dei trattamenti radioterapici con ipofrazionamento di dose. Gli autori, hanno evidenziato che con l’ipofrazionamento, il risparmio di sedute può essere ipotizzato
come “risparmio di giornate lavorative”.
Di conseguenza si otterrebbe una riduzione dei costi non sanitari e nella caso in cui il paziente sia accompagnato, anche
dell’informal care.
Da tale valutazione si può dedurre che ridurre il numero di
accessi per eseguire l’esame in un unico tempo risulta necessario per ridurre i costi effettivi, sia sanitari che non.
L’esecuzione della PET-TC con ceTC, in luogo della PET-TC
e della ceTC in tempi diversi, oltre a ridurre i costi diretti sanitari, porta ad una riduzione significativa dei costi derivanti
da spese di natura non sanitaria e dall’informal care. La nostra
esperienza enfatizza la necessità di risorse dedicate per effettuare l’analisi dei costi e la necessità di una stretta interazione
tra i ricercatori clinici ed economici, con riunioni periodiche
di aggiornamento per la valutazione dei costi dei diversi esami proposti. Per quanto concerne i costi, il costo dell’esame
combinato PET-TC con ceTC risulta inferiore alla somma dei
costi dei due esami ceTC e PET-TC eseguiti separatamente.
Inoltre, per quanto concerne i costi non sanitari rappresentati
dai costi di trasporto e dalle perdite di produttività per i pazienti, l’esame PET-TC con c.eTC potrebbe consentire spese inferiori rispetto alla somma degli esami c.eTC e PET-TC
eseguiti in tempi successivi. Tali valutazioni possono essere
allargate anche ad altre metodiche diagnostiche. Il recente
sviluppo della PET-MRI (position emission tomography –
magnetic resonance imaging) ha infatti aperto nuove possibilità nell’ambito dell’imaging oncologico24, tuttavia è sempre
opportuno analizzarne i diversi aspetti.
I vantaggi pratici ed i potenziali benefici clinici derivanti
dall’utilizzo della PET-MRI, dovrebbero essere controbilanciati dai costi (sanitari e non) derivanti dall’esecuzione
dell’esame. Pertanto sarebbe opportuno, anche in questo caso,
effettuare una MRI che non sia utile solo per la correzione
dell’attenuazione e per la localizzazione anatomica, ma che
abbia una validità diagnostica.
Conclusioni
L’esecuzione dell’esame PET-TC con ceTC è auspicabile nei
centri che dispongono delle tecnologie adeguate, sia per l’elevata sensibilità e specificità dell’esame, sia per la possibilità
di ridurre il carico espositivo di radiazione ionizzanti a cui è
esposto il paziente. Inoltre i risultati del nostro lavoro permettono di affermare che i costi diretti non sanitari risultano rilevanti e quindi l’esecuzione in un unico momento dell’esame
combinato PET-TC con ceTC, piuttosto che in tempi diversi,
risulta assolutamente efficiente e apporta notevoli vantaggi
in termini di costo-benificio per il singolo paziente, poiché
permette di non raddoppiare i costi relativi al trasporto e alle
perdita di produttività.
Inoltre, bisogna anche tenere presente che, per centri diagnostici che ospitano macchinari sofisticati come la PET-TC, il
bacino di utenza non si limita a coloro che vivono in zone
limitrofe ma anche in aree lontane.
Per citare questo articolo:
Orlacchio A, Ciarrapico AM, Schillaci O, Chegai F, Tosti D, D’Alba F, Guazzaroni M, Simonetti G
(2014) PET–CT in oncological patients: analysis of informal care costs in cost–benefit assessment. Radiol med 119(4):283-289
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221
GESTIONE DELL RISORSE ED ECONOMIA SANITARIA IN RADIOLOGIA
xxx
Associazione dello stress da lavoro con depressione
e ansia nei medici radiologi
N. Magnavita1, A. Fileni2
1
2
Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli 8, 00168 Roma, Italia
Istituto Nazionale di Riposo e Cura dell’Anziano (INRCA), Roma, Italia
Indirizzo Autore: N. Magnavita. Tel.: +39-347-3300367, Fax: +39-06-61909399, e-mail [email protected]; [email protected]
Ricevuto: 3 Settembre 2012 / Accettato: 31 Gennaio 2013
Riassunto
Introduzione
Obiettivo. L’attività professionale del radiologo o del radioterapista può esporre a rilevanti fattori di rischio psicosociale, così che taluni lavoratori possono trovarsi in condizioni
di distress. Scopo di questo lavoro è studiare la relazione tra
lo stress lavorativo e la presenza di sintomi di ansia, depressione e malessere psicologico e valutare quale sia il rischio di
disturbi psichici nei radiologi che si trovano in condizioni di
distress lavorativo.
L’attività del radiologo e del radioterapista espone a rilevanti
fattori di rischio professionale, di ordine strutturale, come il
sovraccarico lavorativo o le difficoltà organizzative [1], di natura “compassionale”, legato alla sofferenza dei pazienti [2],
o derivante da denunce per malpratica o da preoccupazioni
per gli errori commessi [3]. Nel confronto con altre categorie
di medici, i radiologi riportano i più alti livelli di stress da
lavoro [4].
“Distress” è un termine eterogeneo e definito in modo impreciso che si riferisce alla soggettiva risposta sfavorevole e
spiacevole allo stress. Data la definizione vaga, la prevalenza
dei lavoratori con distress varia entro limiti molto ampi, dal
5% al 50% nei vari studi [5]. Quando il distress raggiunge
rilevanza clinica, si definisce disturbo correlato allo stress
(stress-related disorder, SRD). Questo termine comprende
una serie di condizioni cliniche come la neurastenia, il disturbo dell’adattamento, il burnout, l’ansia e la depressione,
che corrispondono a diagnosi psichiatriche riconosciute nel
DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Collettivamente intesi, gli SRD rappresentano una quota
rilevante dei problemi di salute mentale nei luoghi di lavoro.
La prevalenza di questi disturbi è elevata; in Europa si stima
che la prevalenza dei disturbi dell’umore nell’arco della vita
di lavoro sia del 14,0% e quella dell’ansia del 13,6%, mentre
la prevalenza nell’ultimo anno è, rispettivamente, del 4,2% e
del 6% [6].
Il distress e i disturbi mentali da esso indotti sono molto importanti ai fini dello svolgimento dell’attività professionale. I
medici che si trovano a lavorare in condizioni di “alto strain”
presentano una maggiore quota di sintomi depressivi [7]. La
depressione, il distress e i disturbi del sonno concorrono ad
aumentare la frequenza degli errori medici [8]. Sia nei paesi
occidentali che in quelli orientali la percentuale di medici con
disturbi depressivi è molto alta, anche se i casi gravi sono
relativamente pochi [9]. I giovani sono maggiormente a rischio [10]. Tuttavia, i medici tendono a non richiedere aiuto
per i propri problemi di distress e ad automedicarsi; ciò può
aumentare la pericolosità dei disturbi mentali. Si è osservato
che la pressione determinata dai fattori psicosociali, come le
eccessive richieste lavorative e la bassa discrezionalità, ridu-
Metodi. 654 radiologi hanno risposto all’invito di compilare
un questionario per la valutazione dello stress da lavoro e
delle patologie correlate: il General Health Questionnaire e le
scale di Ansia e Depressione di Goldberg.
Risultati. I punteggi delle scale di ansia, depressione e malessere psicologico nei radiologi aumentano al crescere dello sforzo lavorativo estrinseco (effort) e di quello intrinseco
(overcommitment), mentre il controllo sul lavoro (control)
ed il sostegno sociale (support) hanno un effetto protettivo. I
radiologi che avvertono una discrepanza tra lo sforzo lavorativo e le ricompense ricevute hanno un marcato aumento del
rischio di ansia (OR 14,14 IC95% 9,15-21,86), di depressione
(OR 7,00 IC95% 4,76-10,30) e di disturbi psichici (OR 3,95
IC95% 2,62-9,57). Anche i radiologi che avvertono richieste
eccessive in rapporto alla loro capacità di controllo hanno un
aumentato rischio di essere ansiosi (OR 2,98, IC95% 2,054,31), depressi (OR 1,73; IC95% 1,21-2,48) e di soffrire di
disturbi psichici (OR 2,26 IC95% 1,48-3,45) rispetto ai radiologi che non si trovano in condizione di “distress”.
Conclusioni. La radiologia ha compiuto progressi tecnici eccezionali ed ha un ruolo insostituibile nella sanità pubblica;
deve ora realizzare un sostanziale miglioramento delle condizioni di benessere mentale dei medici radiologi, nell’interesse
non solo dei lavoratori, ma anche dei pazienti e della qualità
delle cure cui questi hanno diritto.
Parole chiave stress da lavoro, radiologi, depressione, ansia,
distress,
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221
cono il legame affettivo con la propria attività ed aumentano
l’intenzione di lasciare il lavoro [11]. La diagnosi di SRD è
di particolare importanza per tre motivi. A livello macro, il
monitoraggio epidemiologico può indicare l’andamento del
fenomeno e indirizzare scelte di strategia preventiva. In Italia,
ad esempio, si è deciso di rendere obbligatoria per tutti i datori
di lavoro la valutazione del rischio stress negli ambienti di lavoro e la predisposizione di opportune misure di prevenzione
nei casi in cui ciò è necessario [12]. A livello di azienda, l’identificazione di uno o più casi di SRD correlati al lavoro può
stimolare o potenziare azioni preventive. A livello individuale il medico del lavoro può esprimere specifiche indicazioni
(prescrizioni) transitorie o permanenti, per favorire il rientro
al lavoro o migliorare la qualità della vita di lavoro.
Per valutare le conseguenze negative per la salute mentale dei
lavoratori derivanti dall’esposizione a fattori di rischio psicosociale sono state sviluppate alcune teorie. Le più influenti
sono quella del modello demand-control-support (DCS) di
Karasek [13] e quella del modello effort-reward imbalance
(ERI) di Siegrist [14]. Entrambe postulano che il distress sia
conseguente ad uno squilibrio, tra richieste di lavoro e controllo sul lavoro nel modello di Karasek, tra sforzo e risultato
nel modello di Siegrist. Scopo di questo studio è valutare se
esiste una associazione tra la condizione di “distress” nei medici radiologi e la presenza di SRD: ansia, depressione, malessere psicologico.
Metodo
Nel corso di un Congresso Nazionale della Società Italiana di
Radiologia Medica i radiologi sono stati invitati a compilare un questionario, comprendente tra l’altro una sezione per
la valutazione dello stress da lavoro ed una per la valutazione delle sue conseguenze. L’indagine è stata autorizzata dal
Comitato Etico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Roma. Sono state raccolte 654 risposte complete.
I questionari erano anonimi e, per garantire la non identificabilità dei rispondenti, i dati socio-demografici erano limitati
a: genere, classe di età, tipo di struttura nella quale si lavora
(pubblica o privata), anzianità lavorativa, ruolo gerarchico.
L’indagine sulla percezione di stress da lavoro si è giovata del
questionario demand-control-support (DCS) di Karasek [13]
e del questionario effort-reward imbalance (ERI) di Siegrist
[14], entrambi nella versione italiana [15]. Le caratteristiche
dei questionari sono state illustrate dettagliatamente in un precedente lavoro su questa rivista [16]. Il questionario di Karasek fornisce i punteggi relativi alle scale “demand”, corrispondente alle richieste psicofisiche del lavoro; “control”, indicativa della discrezionalità nello svolgimento delle attività
lavorative; “support”, il sostegno sociale fornito da superiori
e colleghi. La tensione lavorativa (job strain) può essere definita come la proporzione di lavoratori che presentano contemporaneamente un alto carico psicologico di lavoro (“demand”
a valori superiori alla mediana) ed un basso “control” (valori
al di sotto della mediana). Alternativamente, essa può essere calcolata come rapporto pesato di “demand” e “control”
ed è quindi una variabile continua. In questo studio abbiamo
applicato entrambi questi metodi. Il questionario di Siegrist
fornisce una scala di “effort” (sforzo psicologico richiesto dal
lavoro, o “stress estrinseco”), una scala di “overcommitment”
215
(impegno eccessivo nel lavoro, o “stress intrinseco”) ed una
scala di reward (ricompense ricevute per il lavoro fatto). Il
rapporto pesato tra effort e reward fornisce una misura continua (effort-reward imbalance, ERI). I soggetti che hanno un
punteggio superiore all’unità sono considerati stressati perché
soggettivamente percepiscono una discrepanza tra sforzi e risultati.
Le conseguenze del distress sono state valutate con il General Health Questionnaire (GHQ12) e con le scale di ansia e
depressione di Goldberg, entrambi nella versione italiana [1718]. Il GHQ [19] indica la probabilità di soffrire di disturbi
psichici nel breve periodo. Si compone di 12 domande, per
ciascuna delle quali sono previste quattro risposte; nel presente studio si è adottata la tradizionale modalità di correzione
binaria, in base alla quale le prime due risposte danno 0 punti
e le altre risposte 1 punto. Con questo metodo il punteggio
finale è compreso tra 0 e 12. Il cut-off, cioè il livello oltre il
quale aumenta significativamente il rischio di soffrire di una
patologia psichica, è fissato a 2 punti perché si tratta del livello che dà migliore sensibilità e specificità [20]; quindi da
tre punti in su il soggetto potrebbe essere un “caso”. Occorre
ricordare che il concetto di “caseness” in psichiatria sociale ha
solo valore epidemiologico e non corrisponde ad una diagnosi
psichiatrica, ma ad una probabilità. L’affidabilità del GHQ12
in questo studio è elevata (alfa=0,90).
L’altro indicatore di SRD da noi usato è il questionario A/D
di Goldberg. Questo semplice strumento, ideato per aiutare i
medici di medicina generale nella diagnosi di sospetta patologia psichiatrica, è composto da due scale di 9 domande a
risposta binaria (no/si). Il punteggio finale è dato dalla somma
delle risposte affermative. La “caseness”, definita come probabilità superiore al 50% che la diagnosi sia confermata dallo
specialista, corrisponde ad un punteggio pari a 6 o più punti
nella scala di ansia, a 3 o più punti nella scala di depressione [21]. La probabilità di essere un caso cresce rapidamente
all’aumentare del punteggio. In questo studio abbiamo scelto
un cut-off pari a 4 per la scala di depressione, al fine di ridurre
la percentuale di “falsi positivi”. Nel presente lavoro l’alfa di
Cronbach (affidabilità) del questionario è risultato pari a 0,82
per la scala di ansietà, 0,79 per quella di depressione.
Il primo quesito al quale volevamo rispondere è se c’è una
relazione tra il distress occupazionale e il livello dei disturbi
psichici. Abbiamo usato quindi la regressione lineare multipla
gerarchica. Per ciascuna delle tre misure di interesse (ansietà,
depressione, malessere psicologico) abbiamo costruito una
equazione in cui tale variabile era posta come dipendente.
Come variabili indipendenti nel primo modello abbiamo posto le variabili socio-demografiche (età, genere, settore pubblico o privato, anni di lavoro, ruolo). Nel secondo e terzo
modello, abbiamo aggiunto a queste le variabili indicative
dello stress da lavoro, inserendo separatamente le variabili
di Karasek (demand, control, support) e di Siegrist (effort,
reward, overcommitment). Nel modello finale, abbiamo inserito contemporaneamente tutte le variabili relative allo stress
e quelle socio-demografiche come predittori di ciascuna delle
variabili di effetto (ansia, depressione, malessere psichico). Il
grado di associazione tra le variabili è indicato dal coefficiente di correlazione standardizzato (β). La capacità di ciascuna
equazione di interpretare correttamente la variabilità del fenomeno studiato è indicata dal coefficiente di determinazione
corretto (R2).
216
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221
Il secondo quesito era di sapere quale è il rischio di soffrire
di disturbi psichici per un radiologo che si trovi in condizione
di distress. Abbiamo quindi usato la regressione logistica binaria, ponendo come variabile dipendente lo stato di ansia, di
depressione o di malessere psicologico (“caseness”) definito
come sopra indicato. Come variabile indipendente abbiamo
inserito, separatamente, lo stato di distress valutato come “job
strain” (soggetto che è esposto ad elevata demand e basso
control) e quello valutato come “effort-reward imbalance”
(soggetti con valore di ERI>1), lo stato di isolamento sociale (“support” inferiore alla mediana) e quello di eccessivo
coinvolgimento nel lavoro (“overcommitment” superiore alla
mediana). Il valore così ottenuto (“crudo” o non aggiustato)
è stato successivamente corretto aggiungendo all’equazione
le variabili indicative del genere, dell’età, dell’anzianità lavorativa, del tipo di struttura nella quale si lavora e del ruolo
gerarchico. Sono stati così calcolati gli odds ratio (OR) e i
loro intervalli di confidenza al 95% (IC95%).
Risultati
Le caratteristiche della popolazione esaminata sono riportate
nella Tab. 1. I valori medi delle variabili indicative di stress da
lavoro e di quelle che indicano i disturbi mentali sono riportati nella Tab. 2. Tra i radiologi che hanno risposto al nostro
questionario i probabili casi di ansia (punteggio della scala A
di Goldberg superiore a 5) sono 286 (43,7%); quelli di depressione (scala D superiore a 3) 287 (43,9%) e quelli di malessere psicologico (GHQ>2) 140 (21,4%).
L’analisi di regressione lineare (Tab. 3) consente di valutare quanto il valore di ciascuna delle misure di patologia psichiatrica possa essere predetto sulla base dei dati socio-demografici e del livello di stress da lavoro. Alcune variabili
socio-demografiche risultano significativamente associate
con i punteggi di ansia, depressione e disturbi psichici, ma
nel loro insieme i fattori socio-demografici descrivono una
frazione modesta della variabilità dei problemi psichici
(coefficienti di determinazione R2 compresi tra il 3% e il 7%).
In particolare, il genere influenza in modo molto significativo i punteggi di ansia, depressione e malessere psicologico,
che sono sempre più alti nel genere femminile che in quello
maschile; l’associazione si conferma molto significativa per
tutti i disturbi indagati anche dopo inserimento di tutte le variabili predittive stress-relate. L’età si associa positivamente
alla depressione, ma negativamente conil malessere psichico
acuto misurato dal GHQ12, e tale relazione resta significativa
anche nel modello più complesso. Anche il ruolo gerarchico
ha un ruolo protettivo per il malessere psicologico (β=-0,132
nel modello completo).
Inserendo nelle equazioni di regressione lineare semplice le
grandezze del modello DCS, , la percentuale di varianza spie-
Tabella 1 Caratteristiche della popolazione
n
Popolazione osservata
%
654
Maschi
456
69,7
Femmine
198
30,3
607
92,8
47
7,2
Direttore di struttura complessa/Libero prof.
151
23,1
Direttore di struttura semplice
102
15,6
Dirigente medico
401
61,3
<45
219
33,5
46-50
180
27,5
51-55
154
23,5
>55
101
15,4
106
16,2
6-10
60
9,2
11-15
109
16,7
16-20
121
18,5
21-25
68
10,4
26-30
142
21,7
48
7,3
Tipo di impiego
Settore pubblico
Settore Privato
Ruolo
Età
Anzianità lavorativa
<5
>31
217
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Tabella 2 Valori medi e deviazione standard delle scale di stress correlate al lavoro e delle scale di ansia, depressione e malessere psicologico.
Minimo
Massimo
Media
Deviazione std.
Modello DCS
Domanda (range 5-20)
7
20
16,14
2,163
Controllo (range 6-24)
10
22
17,54
2,594
Sostegno (range 6-24)
7
24
18,01
3,882
0,44
2,40
1,138
0,282
6
25
15,41
4,625
Ricompensa (range 11-55)
18
55
41,02
8,642
Sovraimpegno (range 6-30)
6
30
14,49
6,467
0,25
3,06
0,918
0,517
Ansia (range 0-9)
0
9
4,92
2,791
Depressione (range 0-9)
0
9
3,31
2,457
Malessere psicologico (range 0-12)
0
10
1,68
2,604
Job strain
Modello ERI
Sforzo (range 6-30)
E/R Imbalance
Disturbi stress-relati
gata sale significativamente, fino a un ottavo/ un sesto della
varianza totale (coefficienti di R2 compresi tra 0,125 per il malessere psicologico e 0,171 per la depressione). Il carico psicologico del lavoro è significativamente associato con l’ansia
(β= 0,143), con la depressione (β= 0,157) e con il malessere
psichico (β= 0,094). La discrezionalità o capacità di controllo
sul lavoro si associa linearmente in modo negativo con ansia
(β= -0,269), depressione (β= -0,239) e disturbi psichici (β=
-0,141). Infine anche il sostegno sociale è negativamente associato alle tre misure di patologia (β pari a -0,092 per l’ansia,
-0,169 per la depressione e -0,127 per i disturbi psichici).
Ponendo tra le variabili indipendenti, al posto delle variabili
del modello DCS, quelle del modello ERI (Modello III della
Tab. 3) i coefficienti di determinazione migliorano significativamente, spiegando da un quarto a quasi la metà della varianza totale (0,436 per l’ansia, 0,404 per la depressione, 0,234
per il malessere psichico). Lo sforzo estrinseco necessario per
lavorare si associa in modo molto significativo con l’ansia
(β= 0,211) e la depressione (β= 0,247); lo sforzo intrinseco
(overcommitment) è associato in modo molto significativo
con l’ansia (β= 0,436), la depressione (β= 0,400) ed i disturbi
psichici (β= 0,391). Il modello più complesso, nel quale sono
inserite tutte le variabili di stress da lavoro oltre ai fattori psicosociali (Modello IV di Tab. 3) indica che il punteggio di
ansia dipende linearmente da un elevato sforzo estrinseco (β
= 0,164) ed intrinseco (β = 0,448) sul lavoro, oltre che da basso controllo (β= -0,145), basso sostegno sociale (β= -0,096)
e scarsi riconoscimenti (β= -0,100). La depressione è linearmente associata in modo positivo allo sforzo estrinseco (β=
0,223), e a quello intrinseco (β= 0,408) e in modo negativo
al controllo sul lavoro (β= -0,132). Il punteggio di malessere psichico si associa linearmente con l’eccessivo coinvolgimento nel lavoro, o stress intrinseco (β= 0,397) e con basso
controllo sul lavoro (β= -0,091).
Mediante regressione logistica abbiamo valutato il rischio di
presentare una delle condizioni patologiche in esame in funzione del superamento dei livelli soglia delle misure di stress
da lavoro (Tab. 4). I soggetti che risultano in condizione di
“distress” secondo il modello DCS, cioè che presentano contemporaneamente un alto livello dicarico psicofisico ed un
basso livello di discrezionalità hanno un rischio quasi triplicato di essere ansiosi (OR 2,98, IC95% 2,05-4,31) rispetto ai
radiologi che non si trovano in queste condizioni. I soggetti
con alto carico e scarso controllo hanno anche un rischio circa
raddoppiato di essere depressi (OR 1,73; IC95% 1,21-2,48)
e di soffrire di disturbi psichici (OR 2,26 IC95% 1,48-3,45).
Anche i radiologi che subiscono una condizione di “distress”
secondo il modello ERI (rapporto pesato tra sforzo e ricompensa superiore a 1) hanno un marcato aumento del rischio di
ansia (OR 14,14 IC95% 9,15-21,86), di depressione (OR 7,00
IC95% 4,76-10,30) e di disturbi psichici (OR 3,95 IC95%
2,62-9,57). Tali valori sono corretti tenendo conto dei fattori
sociodemografici.
La condizione di isolamento sociale sul lavoro è significativamente associata, nei modelli corretti per le variabili sociodemografiche, sia alla presenza di ansia (OR 1,49 IC95%
1,07-2,06) che di depressione (OR 2,86 IC95% 2,03-4,01).
L’eccessivo impegno sul lavoro, o stress intrinseco, si associa
in modo molto significativo a tutte le condizioni psicopatologiche indagate, determinando un significativo aumento del
rischio di ansia (OR 9,82 IC95% 6,77-14,24), di depressione
(OR 5,38 IC95% 3,78-7,59) e di disturbi psichici (OR 4,33,
IC95% 2,80-6,89).
Discussione
Il nostro studio indica che l’elevato stress occupazionale al
quale possono essere esposti i medici radiologi si associa con
malessere psichico, ansia e depressione. Entrambi i modelli
di stress da lavoro da noi usati si associano in modo molto
significativo con la presenza di disturbi psichici, anche se il
modello ERI sembra più efficiente di quello DCS nel predire
la patologia psichica.
218
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221
Tabella 3 Coefficienti di correlazione standardizzati (beta) tra le variabili socio-demografiche, le misure di stress e il punteggio di ansia, depressione e malessere psicologico. Regressione lineare gerarchica; coefficiente di determinazione corretto (R2) di ciascuna equazione. *p<0,05; **p<0,01; ***p<0,001
Ansia
Modello I
genere
Modello II
Modello III
Modello IV
0,171***
0,174***
0,094**
0,092**
-0,093*
-0,018
-0,009
0,014
settore (pubblico/privato)
0,004
-0,018
0,007
-0,012
ruolo
0,009
-0,084
-0,002
-0,042
età
domanda
0,143***
-0,007
controllo
-0,269***
-0,145***
sostegno
-0,092*
-0,096*
sforzo
ricompensa
sovraimpegno
R2
0,040
0,156
0,211***
0,164***
-0,063
-0,100*
0,436***
0,448***
0,436
0,452
Depressione
genere
0,182***
0,186***
0,111***
0,121***
età
0,003
0,080*
0,079*
0,086*
settore (pubblico/privato)
0,025
0,003
0,033
0,014
ruolo
0,054
-0,041
0,047
0,008
domanda
0,157***
0,009
controllo
-0,239***
-0,132***
sostegno
-0,169***
-0,057
sforzo
ricompensa
sovraimpegno
R2
0,033
0,171
0,247***
0,223***
-0,035
0,039
0,400***
0,408***
0,404
0.417
Disturbi psichiatrici
genere
età
settore (pubblico/privato)
ruolo
0,165***
0,168***
0,109**
0,117***
-0,216***
-0,168***
-0,165***
-0,159***
0,033
0,019
0,024
0,012
-0,106*
-0,166***
-0,106**
-0,132**
domanda
0,094*
0,027
controllo
-0,141***
-0,091*
sostegno
-0,127***
-0,053
sforzo
ricompensa
sovraimpegno
R2
0.071
0,125
0,024
0,002
-0,012
0,050
0,391***
0,397***
0,234
0,239
219
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221
Tabella 4 Rischio relativo (odds ratios ORs e intervalli di confidenza al 95%, 95%CI) di presentare un problema psichico (ansia, depressione, malessere psichico) in corrispondenza delle condizioni di distress (job strain, discrepanza tra sforzi e risultato, isolamento sociale, eccessivo coinvolgimento). Regressione
logistica. Valori grezzi e corretti per le variabili socio-demografiche (età, genere, anni di attività lavorativa, tipo di azienda, ruolo).
Tipo di distress
Ansioso
Depresso
Qualunque problema
Non corretto
OR (95%CI)
Corretto
OR (95%CI)
Non corretto
OR (95%CI)
Corretto
OR (95%CI)
Non corretto
OR (95%CI)
Corretto
OR (95%CI)
Job strain (alto carico,
basso controllo)
2,92
(2,06-4,14)***
2,98
(2,05-4,31)***
1,94
(1,38-2,73)***
1,73
(1,21-2,48)**
2,15
(1,46-3,17)***
2,26
(1,48-3,45)***
Isolamento sociale (Job
strain + basso sostegno)
1,37
(1,01-1,87)*
1,49
(1,07-2,06)*
2,59
(1,88-3,58)***
2,86
(2,03-4,01)***
1,45
(0,99-2,13)
1,41
(0,95-2,11)
Eccessiva discrepanza
tra sforzo e risultato
(ERI >1)
12,54
(8,23-18,91)***
14,14
(9,15-21,86)***
7,38
(5,07-10,75)***
7,00
(4,76-10,30)***
3,76
(2,55-5,54)***
3,95
(2,62-5,97)***
Eccessivo
coinvolgimento
nel lavoro(High
Overcommitment)
10,09
(7,01-14,53)***
9,82
(6,77-14,24)***
5,41
(3,86-7,58)***
5,38
(3,78-7,59)***
4,37
(2,84-6,23)***
4,33
(2,80-6,89)***
*p<0,05; **p<0,01; ***p<0,001
Una quota molto significativa di coloro che hanno risposto
all’indagine manifesta un probabile disagio psichico acuto
(GHQ>2 140 casi, 21,4%). Ancora maggiore è la percentuale
di quanti potrebbero soffrire di ansia (286 casi, 43,7%) o di
depressione (287 casi, 43,9%). Pur considerando il possibile
errore di primo tipo (falso positivo), si deve postulare che la
prevalenza di disturbi psichici tra i radiologi non sia trascurabile e possa essere superiore ai valori descritti in altre popolazioni lavorative [6]. La depressione e gli altri disturbi psichici
hanno un rilevante costo per la produttività sia in termini di
assenteismo che di presenteismo [22-26]. Molto più rilevante
è il fatto che tali condizioni aumentano gli errori e quindi il rischio per la salute e sicurezza di terzi, soprattutto in un settore
così delicato come quello sanitario [27-29].
I risultati della nostra osservazione concordano con i dati della letteratura. Una recente meta-analisi degli studi sull’associazione tra stress e patologia psichica indica che le elevate
domande psicosociali sul lavoro, la ridotta discrezionalità, il
job strain, il ridotto sostegno sociale, la discrepanza tra sforzo
e risultato predicono la comparsa di SRD [30]. Un’altra revisione di 14 studi longitudinali indica che il mancato sostegno
sociale e il carico psicologico hanno la maggiore influenza
sulla depressione [31]. I dati che emergono dal nostro studio
devono essere interpretati con cautela, tenendo conto di quanto la soggettività possa avere distorto le osservazioni. Il carattere trasversale della ricerca non consente di inferire sulla direzionalità dei fenomeni osservati. E’ stato osservato che condizioni ambientali sfavorevoli possono contribuire all’esordio
di alcuni disturbi psichiatrici, così come è vero il contrario,
e cioè che la presenza di disturbi psichiatrici può peggiorare
le condizioni lavorative [32]. Inoltre, taluni soggetti con problemi psichici potrebbero riportare in modo più sfavorevole
le condizioni di lavoro; sono i soggetti che “si lamentano di
tutto” [32]. E’ possibile anche il contrario, cioè che vi siano
lavoratori che tendono a negare sia l’esistenza di problemi
ambientali che di salute, sono coloro che “non si lamentano
di niente” [33]. La contemporanea presenza di questi due tipi
di lavoratori riduce l’affidabilità degli studi trasversali nei
quali si chiede di auto-valutare sia le condizioni ambientali
che quelle personali, causando un errore sistematico indicato
come “common method variance”. Anche se negli ultimi anni
sono stati messi a punto numerosi metodi alternativi (e più
costosi della soggettività individuale), basati su misure obiettive, matrici, algoritmi ecc., nessuno di essi è del tutto privo di
errore. Di conseguenza, gli studi trasversali conservano il proprio ruolo, che è quello di un primo passo nell’identificazione
e valutazione di un fenomeno [33]. Nel nostro caso, inoltre, il
fatto che tutti i soggetti intervistati fossero medici, ha verosimilmente aumentato l’obiettività delle risposte.
Sulla base di quanto abbiamo osservato, riteniamo che l’attività professionale dei radiologi possa giovarsi di interventi di
prevenzione primaria articolati su più livelli. Con riferimento
al modello DCS i radiologi potrebbero giovarsi di programmi
per il miglioramento della gestione dei carichi di lavoro, in
particolare degli orari di lavoro, dei processi produttivi e del
lavoro di gruppo, e di politiche aziendali per il potenziamento
del sostegno sociale. In termini di modello ERI un approccio
riorganizzativo dovrebbe includere una riduzione dello sforzo
estrinseco, soprattutto nei soggetti più giovani o di recente
assunzione, con una più corretta distribuzione dei carichi di
lavoro, una riduzione dello straordinario e pause sufficienti,
un aumento dei riconoscimenti anche immateriali per il lavoro svolto, tramite miglioramenti formativi, miglioramento
delle capacità relazionali dei dirigenti, miglioramento delle
prospettive di carriera. Appare soprattutto importante ridurre lo stress intrinseco che deriva dall’eccessivo impegno nel
lavoro modificando, con un approccio individualizzato, l’atteggiamento di eccessiva focalizzazione sugli aspetti tecnici
della professione ed insegnando ad introdurre fattori protettivi
contro lo stress quali migliori stili di vita, attività ludiche e
sportive. Questi compiti, ancorché largamente trascurati nel
nostro paese, rientrano a pieno tra le misure generali di tutela
220
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221
che la legge assegna al datore di lavoro e quindi alle aziende sanitarie pubbliche e private, che comprendono, oltre alla
valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza (quindi
anche del rischio stress da lavoro), la programmazione della
prevenzione.
La legge prevede che la prevenzione debba integrare in modo
coerente le condizioni tecniche, i fattori ambientali e il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,
consentendo la riduzione dei rischi “al minimo in relazione
alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” (D.Lgs. 81/08, Art. 15, comma a-d).
La prevenzione secondaria deve essere basata sull’identificazione precoce dei sintomi da parte del Medico Competente
e sull’intervento medico tempestivo, prima che le manifestazioni morbose possano determinare un danno per il lavoratore o per i pazienti. I medici sono particolarmente riluttanti a
chiedere aiuto per problemi psichici, perché temono i danni
(stigmatizzazione, discriminazione) che potrebbero derivare
dalla mancata riservatezza. E’ importante pertanto adottare un
atteggiamento proattivo, provvedendo al periodico screening
dei problemi psichici durante le visite periodiche, mediante
uno degli strumenti disponibili nel nostro paese per il controllo dello stress percepito o dei suoi effetti [34]. La prevenzione terziaria implica il corretto trattamento delle patologie;
in questa fase è cruciale la collaborazione tra lo specialista
psichiatra ed il medico del lavoro, per favorire la più pronta
ripresa di una piena attività produttiva [35-37].
In conclusione, possiamo affermare che la diagnostica per immagini e la radioterapia, che hanno compiuto progressi tecnici
eccezionali ed occupano un posto così rilevante tra le risorse
sanitarie del paese, devono ora realizzare un sostanziale miglioramento delle condizioni di benessere mentale dei medici
radiologi, nell’interesse non solo dei lavoratori, ma anche dei
pazienti e della qualità delle cure cui questi hanno diritto.
Per citare questo articolo:
Magnavita N, Fileni A (2013) Association of work-related stress with depression and anxiety in radiologists. Radiol med [Epub ahead of
publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0355-y
La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547
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RADIOLOGIA ADDOMINALE
Studio comparativo tra ablazione percutanea laser
e a radiofrequenza in pazienti con HCC unifocale
didimensioni≤a4cm
A. Orlacchio1, F. Bolacchi1, F. Chegai1, A. Bergamini2, E. Costanzo1, C. Del Giudice1
M. Angelico3, G. Simonetti1
1
Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare, Radiologia Interventistica e Radioterapia;
Dipartimento di Medicina dei Sistemi;
3
Epatologia, Policlinico Universitario “Tor Vergata”, Viale Oxford 81, 00133 Roma, Italy
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Indirizzo Autore: A. Orlacchio, Tel.: +39-06-20902400-2382, Fax: +39-06-20902404, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 18 Maggio 2012 / Accettato: 25 Febbraio 2013
Riassunto
Obiettivi. Confrontare l’ablazione laser percutanea (PLA) e
l’ablazione con radiofrequenza (RFA) nel trattamento dell’epatocarcinoma (HCC) unifocale ≤4 cm in pazienti cirrotici.
Materiali e Metodi. 30 pazienti con HCC unifocale ≤4 cm
sono stati assegnati in maniera randomizzata ad un trattamento: 15 pazienti sono stati trattati con PLA, utilizzando un
sistema multi-fibra collegato a un generatore laser al neodymium-yttrium-aluminium-garnet; 15 pazienti sono stati trattati con RFA con un sistema ad uncini espandibili. Il tempo
massimo di follow-up è stato 12 mesi.
Risultati. È stata ottenuta una risposta completa nell’87%
nel gruppo PLA e nel 93% nel gruppo RFA (p=ns). I tassi
cumulativi della sopravvivenza libera da recidiva locale di
malattia a 3-, 6- e 12-mesi sono risultati comparabili. Tuttavia, per lesioni ≥21 mm è stato riscontrato un tasso maggiore
di recidive nel gruppo trattato con PLA (p=0,0081). La sindrome post-ablativa è stata riscontrata in 13 pazienti (PLA
1 vs RFA 12). La produzione di Tumor-Necrosis-Factor-α è
risultata significativamente maggiore nei pazienti trattati con
RFA (p<0,05).
Conclusioni. La RFA è più efficace nel trattamento del HCC
rispetto alla PLA per lesioni ≥21 mm. Tuttavia, anche in relazione alla scarsa insorgenza di complicanze, la PLA può
essere considerata una valida opzione terapeutica per il trattamento di HCC ≤20 mm.
Parole chiave Epatocarcinoma; cirrosi epatica; Ablazione
Laser Percutanea; Ablazione con Radiofrequenza
Introduzione
L’epatocarcinoma (HCC, hepatocellular carcinoma) è la sesta
neoplasia maligna per incidenza nel mondo [1], e rappresenta
la terza causa globale di mortalità per cancro [2] provocando 600.000 morti/anno [2-3]. Nel mondo Occidentale oltre il
90% di HCC si sviluppano in pazienti con cirrosi epatica [4].
La resezione chirurgica è il trattamento di prima scelta, ma
non è spesso praticabile per la localizzazione delle lesioni, il
numero delle stesse e per il progressivo deterioramento della
funzionalità epatica del paziente con cirrosi [5-6]. Attualmente il gold-standard terapeutico rimane il trapianto d’organo
(LT, liver transplantation), di difficile attuazione però per la
scarsa disponibilità degli organi [7].
Nel corso degli anni, numerose tecniche di ablazione loco regionale sono state sviluppate per il trattamento dei pazienti
con noduli di HCC di dimensioni inferiori ai 4 cm non candidati all’intervento chirurgico.
Queste tecniche includono l’iniezione percutanea di etanolo
(PEI, percutaneous ethanol iniection), l’iniezione percutanea
di acido acetico (PAI, percutaneous acid acetic iniection ), la
termo-ablazione con microonde (MW, microwave ablation),
la crio-ablazione, la termoablazione ad ultrasuoni focalizzati
ad alta intensità (HIFU, high intensity focused ultrasound),
la termo-ablazione con radiofrequenza (RFA, radiofrequency
thermoablation) e l’ablazione laser percutanea (PLA, percutaneous laser ablation) [8].
Ad oggi la RFA è senza dubbio la tecnica più utilizzata e studiata [9].
Da una meta-analisi di studi prospettici randomizzati, la RFA
dei tumori epatici ha mostrato maggiore efficacia rispetto alla
PEI e per facilità di attuazione, sicurezza, applicabilità e per
il buon rapporto costo-efficacia è la metodica più comunemente utilizzata tra le procedure termo-ablative [10]. Un’altra
procedura termo-ablativa che negli ultimi anni ha subito un
notevole sviluppo è la PLA [11-13].
Da quando è stata introdotta nella pratica clinica, questa tecnica è stata utilizzata con ottimi risultati nel trattamento delle
neoplasie maligne epatiche.
Per quanto riguarda affidabilità tecnica ed efficacia, nel trattamento dei pazienti affetti da HCC, la PLA può essere paragonata alla RFA [14]. In base alle nostre conoscenze pochi studi
sono stati effettuati per confrontare e analizzare i risultati ottenuti mediante le due tecniche [15]. Scopo del nostro studio
è quindi confrontare la PLA e la RFA in termini di risposta
completa a 30 giorni, di tempo libero da recidiva locale di malattia, di complicanze quali l’insorgenza della sindrome post
ablativa e di produzione post-procedurale di TNFα in pazienti
cirrotici con HCC unifocale ≤ 4 cm.
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Materiali e Metodi
Pazienti
Questo studio è stato approvato dal comitato etico della nostra istituzione. Dal 2009 al 2011 trenta pazienti (21 uomini
e 9 donne) con cirrosi epatica e affetti da HCC, in maniera prospettica randomizzata, sono stati inseriti nel gruppo di
studio. L’età dei pazienti era compresa tra 52-78 anni (media
± DS 72,43±5,66). Diciannove pazienti erano in classe A di
Child-Pugh e 11 in classe B. I valori di α-feto proteina, registrati prima della procedura erano in media 561,67 ± 684 ng/
ml (range 25-1870) (Tab. 1). Tutti i pazienti del nostro studio
sono stati selezionati nell’ambito del follow-up per cirrosi
epatica e la scelta del trattamento ablativo percutaneo è stata
proposta dopo valutazione con un team multi-disciplinare di
Epatologi, Chirurghi e Radiologi Interventisti [16]. Sono stati
selezionati i pazienti con un nodulo unico di HCC con diametro di dimensioni massime di 40 millimetri (mm). La diagnosi di HCC è stata effettuata in accordo con le linee guida
dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL,
European Association for the Study of Liver) [17] per la diagnosi di HCC in pazienti cirrotici. Criteri di esclusione sono
stati l’appartenenza alla classe C di Child, una scarsa funzione
coagulativa (quick test <50%, piastrine <40,000/µL) e la presenza di lesioni.
Mediante software di randomizzazione a ciascun paziente è
stato assegnato un tipo di trattamento. Entro due settimane dal
trattamento, per valutare eventuali modifiche delle dimensioni del nodulo e/o la comparsa di nuove lesioni, tutti i pazienti
hanno eseguito un esame dinamico TC (DTC) multislice (Light Speed 64 CT, GE Medical Systems, Milwakee, USA) con
tecnica trifasica (30, 65 e 180 s) dopo somministrazione endovenosa in bolo di 125-175 ml di mezzo di contrasto (m.d.c.)
organo-iodato 350 mgI/ml, in base al body mass index del paziente, mediante iniettore automatico alla velocità di 3-5 ml/s,
seguita da somministrazione di soluzione fisiologica (20-30
ml). L’acquisizione dell’esame TC è stata ottenuta con i seguenti parametri: tempo di rotazione 0,6 s; spessore sezioni
2,5-5 mm con possibilità di effettuare retro-ricostruzioni fino
a 0,6 mm; milliamperaggio (mA) automatico (min 300 mA,
max 450 mA); 120 kV. Inoltre, per valutare l’approccio percutaneo più idoneo, tutti i pazienti sono stati sottoposti a ecografia epatica (IU22 Ultrasound system Philips Healthcare,
Best, the Netherlands) con sonda convex da 3.5 MHz (C5-1
Philips Healthcare, Best, the Netherlands). Per lesioni iso-ecogene al parenchima epatico sano, o comunque scarsamente
identificabili all’esame ecografico tradizionale, è stato effettuato una esame ecografico con mezzo di contrasto (CEUS,
Contrast-Enhanced Ultrasound) con somministrazione di Sonovue (Bracco Spa. DIV), nelle quantità di 2,5 ml, somministrato in bolo (in 2-3 s), seguito dalla somministrazione di 10
ml di cloruro di sodio (0,9%) in soluzione iniettabile. Tutti i
pazienti, prima di ogni trattamento, sono stati informati dei
benefici e dei rischi relativi alle procedure, ed hanno firmato
il consenso informato alla procedura.
Procedure ablative
I trattamenti percutanei sono stati effettuati da un unico Radiologo (A.O) con 25 anni di esperienza in procedure inter-
ventistiche addominali.
Durante la procedura è stato eseguito un continuo monitoraggio dei parametri vitali. Se necessaria è stata effettuata una
sedazione cosciente con fentanyl o midazolam somministrati per via endovenosa, e la somministrazione del farmaco è
stata modulata caso per caso. Nel sito d’ingresso l’anestesia
locale è stata ottenuta mediante somministrazione di 10 ml di
lidocaina 2%. Entrambe le procedure sono state eseguite sotto
guida combinata ecografica e TC. Per lesioni iso-ecogene o
mal evidenziabili con l’ecografia tradizionale, l’introduzione
degli aghi è stata guidata anche mediante CEUS.
Ablazione Laser Percutanea
Per la PLA abbiamo utilizzato il sistema Echolaser XVG
system composto da un ecografo MyLab7070XV-L (Esaote
Biomedica, Italia) ed un generatore laser EchoLaser X4 (Esaote El.En., Firenze, Italia) il quale utilizza una fonte di luce
al neodymium yttrium-aluminium-garnet, Nd-YAG con una
lunghezza d’onda continua di 1,064 μm ± 10 nm. L’introduzione delle fibre all’interno della lesione è stata effettuata utilizzando la stessa metodologia descritta da Pacella et al
[11]. Il numero di fibre, da 2 a 4, è stato scelta in relazione
alle dimensioni e alla posizione delle lesioni. Per ottenere una
corretta geometria di ablazione e una necrosi completa con
un sufficiente margine di sicurezza, di almeno 5 mm, le fibre
sono state posizionate in una configurazione quadrata con le
punte ad una distanza reciproca di 1-1,5 cm. Mediante guida ecografica con sonda convex da 3.5-MHz (CA621; Esaote
Biomedica, Italia), attraverso un unico punto d’ingresso, sono
stati inseriti aghi tipo Chiba all’interno della lesione. Il loro
corretto posizionamento è stato poi valutato con TC. Ciascun
mandrino è stato estratto e sostituito da una fibra al quarzo
di 300 μm, flessibile, a punta piatta, sterile e priva del rivestimento esterno nel tratto terminale. È stata impiegata una
potenza di 5 W per fibra per un determinato intervallo temporale (min 7’–max 14‘). Tutti i trattamenti sono stati monitorati
continuamente mediante ecografia. Terminato il trattamento,
le fibre sono state retratte, con il laser acceso, in modo da
evitare un eventuale seeding di cellule neoplastiche. Una TC
in condizioni basali è stata effettuata alla fine di ogni trattamento.
Ablazione con Radiofrequenza
La RFA è stata realizzata impiegando il generatore RF 3000
(Boston Scientific Corporation, Natick, MA, USA) che fornisce una potenza massima di 200W. È stato utilizzato l’algoritmo standard del produttore che prevede l’inizio con 30-50 W
e aumenti di 10 watt fino al massimo della potenza. Il livello
massimo di potenza viene applicato fino al raggiungimento
del roll-off (rapido aumento dell’impedenza tissutale e rapido declino della potenza erogata). Sono stati utilizzati aghi
monopolari a ombrello espandibili del tipo LeVeen (Boston
Scientific Corporation, Natick, MA, USA) da 15-17 Gauge
con apertura degli uncini da 2 a 5 cm. La scelta della dimensione dell’ago è stata effettuata in relazione alle dimensioni
della lesione da trattare e al margine di sicurezza che si voleva
ottenere (di almeno 5 mm). L’introduzione dell’ago elettrodo
è stata effettuata mediante guida ecografica (IU22 Ultrasound
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system Philips Healthcare, Best, the Netherlands) con sonda convex da 3.5 MHz (C5-1 Philips Healthcare, Best, the
Netherlands). La corretta posizione dell’ago elettrodo è stata
valutata mediante TC. Alla fine del trattamento gli elettrodi
sono stati estratti con la punta dell’ago calda per sterilizzare il
percorso ed evitare il seeding cellulare. Una TC senza m.d.c.
è stata effettuata alla fine di ogni trattamento.
Valutazione efficacia dei trattamenti e follow-up
L’efficacia del trattamento è stata valutata attraverso uno
studio dinamico TC trifasico a 30 giorni dalla procedura. Le
modalità di acquisizione delle immagini sono state le stesse
descritte per la valutazione pre-procedurale. I volumi delle
lesioni tumorali pretrattamento e della lesione ablativa sono
stati calcolati utilizzando una console di ricostruzione TC
(Advantage Workstation 4.3 GE Medical Systems, Milwakee, USA) mediante ricostruzioni volume rendering. I volumi
sono stati selezionati mediante una segmentazione manuale
utilizzando le immagini acquisite durante la fase di arteriosa, ove la massa tumorale era più facilmente visualizzabile.
Successivamente la medesima fase è stata utilizzata per la valutazione del parenchima dopo termoablazione. Le immagini
pre- e postprocedurali ottenute sono state successivamente
fuse utilizzando il medesimo campo di vista e sei parametri di
traslazione e rotazione nei tre piani di riformattazione, al fine
renderle comparabili.
La risposta al trattamento è stata valutata seguendo i criteri
mRECIST [18]. Sulla base dei risultati TC, l’ablazione tumorale, e quindi la risposta al trattamento, sono state definite
complete (CR, complete response) quando vi era la scomparsa di tutti i segni della lesione e nessun enhancement patologico era evidenziabile sui margini dell’area trattata. Nel caso
di una distruzione parziale della lesione, con una riduzione
di almeno 30% del volume della lesione bersaglio, l’ablazione tumorale è stata valutata come parziale o incompleta (PR,
partial response). Nel caso di ablazione incompleta si è proceduto nell’arco delle 2 settimane successive all’effettuazione
di un secondo trattamento.
I pazienti che hanno mostrato una risposta completa sono entrati nel programma di follow-up, che prevedeva valutazione
clinica e dosaggio dell’α-fetoproteina. Tutti i pazienti sono
stati inoltre sottoposti all’esecuzione di una TC dinamica trifasica al 3°, al 6° e al 12° mese. I risultati a medio termine
sono stati valutati in base alla progressione locale di malattia,
intesa come presenza di enhancement in contiguità all’area
ablata, e all’insorgenza di nuove lesioni a distanza.
Complicanze
Sono state valutate le complicanze intra-procedurali e post-procedurali secondo la classificazione della Società Internazionale
di Radiologia (SIR, Society of Interventional Radiology) [19]
distinguendole tra maggiori (eventi che determinano morbosità
ed inabilità sostanziali, un incremento delle cure, il ricovero
ospedaliero o una degenza più lunga) e minori. La presenza
della “sindrome post-ablativa”, definibile come febbre, nausea,
vomito, dolore localizzato in addome e riferito alla spalla, è
stata indagata durante il le prime 48 h dal trattamento.
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Valutazione della produzione del Tumor Necrosis Factor Alpha (TNFα) da parte delle cellule del sangue periferico
Per ciascun trattamento i campioni di sangue sono stati prelevati 4 ore prima dell’inizio della procedura ablativa, a 24 ore e
a 5 giorni dopo l’effettuazione della procedura. Il sangue è stato raccolto in provette sterili contenenti acido etilendiamminotetraacetico (EDTA, Ethylenediaminetetraacetic acid). Le
cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC, periphereal blood mononuclear cells) sono state isolate subito dopo
la raccolta del sangue mediante separazione con lymphoprep
(Nycomed, Oslo, Norway). I PBMC sono stati coltivati ad una
concentrazione pari a 2 × 106 per 18 h in presenza di 20 ng/
ml di phorbolo 12-miristato 13-acetato (PMA) e di 500 ng/ml
ionomicina (IO) (Calbiochem-Novabiochem INTL, La Jolla
CA). Dopo sessanta minuti dall’inizio della stimolazione con
PMA e IO è stato aggiunto alla coltura 1 µg/ml di brefeldina
A (Sigma Chemical Co. St. Louis, MO). Alla fine del periodo di incubazione, le cellule sono state raccolte e lavate in
soluzione salina tamponata. Successivamente le cellule sono
state risospese, ad una concentrazione pari a 2 × 105, in 20 µl
di soluzione salina tamponata ed incubate per 15 minuti con
il seguente anticorpo monoclonale: Cy-chromeTM-coniugato
(Cy-chrome)-anti-CD14 (PharMingen, San Diego CA). Di seguito le cellule sono state lavate due volte in soluzione salina
e fissate in paraformaldeide al 4%. Di seguito le cellule sono
state risospese in 20 µl PBS contenete 0,1% saponina (Sigma
Chemical Co. St. Louis, MO), 1% siero albumina bovina (Sigma) ed incubate per 20 minuti con anticorpo antimonoclonale
PE (Phyco-Eritrinato) contro il TNFα (PharMinge). Quindi
le cellule sono state lavate e risospese in soluzione salina tamponata e analizzate al citofluorimetro (FACScan flow cytometer, Becton Dickinson, Mountain View, USA). La produzione
di TNFα è stata valutata calcolando la percentuale di cellule
CD14+ TNFα+ rispetto al totale delle cellule CD14+. Cinque
soggetti sani comparabili per età e per sesso con i due gruppi
di pazienti sono stati arruolati come controlli.
Analisi statistica
Il test non parametrico di Mann Whitney ed il test esatto di Fischer sono stati utilizzati per confrontare i due gruppi di trattamento. La progressione locale di malattia è stata calcolata utilizzando il metodo di Kaplan-Mayer e le differenze tra i gruppi
sono state analizzate tramite il log rank test. Un valore di P inferiore a 0.05 è stato considerato statisticamente significativo.
Risultati
Quindici pazienti sono stati trattati con PLA e 15 con RFA.
I due sottogruppi di trattamento sono risultati omogenei per
caratteristiche di base (Tab. 1) e per dimensioni dei noduli.
Sono stati trattati 30 noduli di HCC, 1 singolo nodulo per
paziente, con un diametro medio delle lesioni di 23,3±0,84
millimetri (range 12–38 mm) ed un volume medio di 8,8±8,5
ml. È stata osservata un’omogenea distribuzione nei segmenti
epatici delle lesioni focali, con un coinvolgimento lievemente
più frequente del IV e dell’VIII segmento. 13 dei 30 noduli
erano localizzati vicino la capsula di Glisson. L’introduzione
degli aghi è stata effettuata, a seconda della localizzazione
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Tabella 1 Caratteristiche di base dei pazienti
del nodulo da trattare, in dieci pazienti per via sottocostale ed
in 20 pazienti per via intercostale. Nessuna procedura è stata
interrotta e il successo tecnico è stato ottenuto nel 100% dei
pazienti. Il volume ablato è risultato confrontabile tra le due
tecniche (RFA vs PLA, 21±8,81 vs 22,7±10,8 p >0.005).
Il controllo TC a 30 giorni effettuato dopo la prima procedura ablativa ha mostrato necrosi completa delle lesioni nel
66,7% dei noduli trattati con PLA (10/15) e nel 86,7% dei noduli trattati con RFA (13/15). I pazienti che a 30 giorni hanno
mostrato una risposta parziale al trattamento (5 pazienti del
gruppo PLA e 2 pazienti del gruppo RFA) sono stati ritrattati
con la stessa tecnica iniziale. Dopo la seconda procedura è
stata ottenuta una risposta completa (CR, complete response)
in 3 dei 5 pazienti trattati con PLA e in 1 dei 2 pazienti trattati
con RFA. È stato pertanto possibile ottenere un CR nell’87%
delle lesioni trattate con PLA e nel 93% delle lesioni trattate
con RFA ed un sufficiente margine di sicurezza è stato ottenuto in tutti questi pazienti. Per indurre necrosi tumorale
completa sono state effettuate in media 1,38 sessioni di PLA
e 1,21 sessioni di RFA per nodulo. Tutti i pazienti con CR,
hanno presentato valori di α-fetoproteina nella norma dopo le
procedure ablative. I 3 pazienti non trattati completamente,
anche dopo il secondo trattamento, hanno effettuato un altro
tipo di procedura (chemioembolizzazione).
27 pazienti sono quindi entrati nel programma di follow-up
previsto per questo studio. Nessun paziente è deceduto durante i primi 12 mesi del follow-up. Sei pazienti trattati con PLA
e 2 trattati con RFA hanno mostrato progressione locale di
malattia, nessun paziente ha mostrato nuove lesioni.
I tassi cumulativi della sopravvivenza libera da progressione
locale di malattia a 3-, 6- e 12- mesi sono stati rispettivamente
del 85%, 62% e 54% per il gruppo PLA, e del 92%, 86% e del
86% per il gruppo RFA (p=0.083) (Fig.1). Per verificare se vi
fossero variabili in grado di influenzare i risultati ottenuti, i
pazienti del gruppo di studio sono stati quindi stratificati, non
in relazione al tipo di trattamento effettuato, ma in relazione
alle dimensioni delle lesioni. Da tale valutazione, la dimensione dei noduli è risultata un parametro fondamentale per la
ripresa di malattia a distanza di tempo. Infatti, differenze statisticamente significative sono state infatti riscontrate nei risul-
tati ottenuti trattando noduli con diametro massimo d ≤20 mm
vs d ≥21 mm. I tassi di sopravvivenza libera da progressione
locale di malattia calcolati a 12 mesi sono risultati più alti per
i pazienti con noduli con diametro d ≤20 rispetto ai pazienti
con noduli con diametro d ≥21 mm (p=0.023) (Fig.2).
Inoltre, stratificando per tipo di trattamento le lesioni trattate con diametro di dimensioni ≥21 mm, un tasso più alto di
recidive è stato riscontrato nel gruppo di pazienti trattati con
PLA rispetto a quello di pazienti trattati con RFA (p=0,0081)
(fig. 3). In figura 4, 5 e 6 sono rappresentati dei casi tipici di
ablazione PLA e RFA.
Entrambe le tecniche sono risultate sicure, non si sono verificate complicanze maggiori e nessun paziente del gruppo
di studio è deceduto in seguito al trattamento. Sono state osservate complicanze minori in 2 pazienti trattati con PLA e
in 8 pazienti sottoposti a RFA (Tab. 2). In particolare questi
pazienti hanno presentato versamento pleurico (1 PLA vs 4
RFA), raccolta periepatica asintomatica (1 PLA vs 3 RFA) ed
ematoma sub capsulare (1 RFA). Tali pazienti, valutati con
esami clinico-laboratoristici e strumentali a brevi intervalli
di tempo, hanno mostrato risoluzione spontanea delle complicanze minori insorte. La sindrome postablativa è stata riscontrata in 13 pazienti (1 PLA vs 12 RFA), manifestandosi
con febbre, brividi, e con dolore localizzato in addome. Tutti i
pazienti hanno riferito un diverso grado di malessere generale
nei giorni successivi alla procedura.
Valutazione produzione TNF alfa
Nessuna differenza statisticamente significativa è stata evidenziata tra il gruppo di controllo e i pazienti del gruppo PLA e
RFA prima dell’effettuazione della procedura ablativa (33% ±
16 vs 43% ± 22, p≥0,05) e tra i due gruppi di trattamento PLA e
RFA, (44% ± 13 vs 41% ± 14, p≥0,05). A 24h dall’effettuazione della procedura una differenza statisticamente significativa
è stata riscontrata tra i controlli e il gruppo di pazienti RFA ma
non tra il gruppo di controllo e i pazienti trattati con PLA (33%
± 16 vs 82% ± 23, p<0,003; 33% ± 16 vs 41% ± 23 p≥0,05 ).
Il confronto a 5 giorni ha mostrato un ritorno ai valori pretrattamento, in assenza di differenze statisticamente significative tra
il gruppo PLA e il gruppo RFA (42% ± 17 vs 45% ± 18, p≥0,05).
Fig. 1 Curve di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia in
relazione al tipo di trattamento.
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Fig. 2 Curve di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia in
relazione alle dimensioni del tumore.
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Fig. 3 Curve di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia in relazione al trattamento, stratificate per le dimensioni del tumore: diametro ≥ 21 mm.
Fig. 4 Donna di 74 anni affetta da epatite cronica HBV correlata con nodulo HCC localizzato a livello del VI segmento epatico trattato mediante ablazione percutanea
laser. Studio TC pre-procedurale: immagine assiale (A) ed immagine volume rendering (B) che mostrano le dimensioni (20 millimetri) e localizzazione del nodulo
(freccia nera). Studio TC post-procedurale a 6 mesi di follow-up: (C) immagini assiali che confermano il successo del trattamento (freccia nera) ed immagine volume
rendering (D) che evidenzia le dimensione dell’area di parenchima tumorale ablata posta a confronto con le dimensioni volume rendering dell’esame pre-procedurale.
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Fig. 5 Donna di 69 anni affetto da epatite cronica HCV correlata con nodulo HCC localizzato a livello del VII segmento epatico trattato mediante ablazione percutanea laser. Studio TC pre-procedurale: immagine assiale (A) ed immagine volume rendering (B) che mostrano le dimensioni (24 millimetri) e localizzazione
del nodulo (freccia nera). Studio TC a 30 giorni: (C) immagine assiale che conferma il successo del trattamento ed immagine volume rendering che evidenzia
la dimensione dell’area di parenchima tumorale ablato posta a confronto con le dimensioni volume rendering dell’esame pre-procedurale (D). Controllo TC a 6
mesi di follow-up: (E-F) immagini assiale che evidenziano recidiva di malattia in sede sottoglissoniana (freccia bianca).
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Discussione
Tabella 2 Complicanze minori ed effetti avversi.
Nel presente studio sono state valutate comparativamente la
PLA e la RFA nel trattamento dell’epatocarcinoma unifocale,
di dimensioni inferiori ai 4 cm, in termini di risposta completa
(CR, complete response) a 30 giorni e di tempo di libero da
recidiva locale di malattia.
Abbiamo trattato lesioni singole con diametro massimo ≤ 4
cm, in accordo con le linee guida dell’Associazione Europea
per lo Studio del Fegato (EASL, European Association for the
Study of Liver) [17]. Numerosi studi hanno infatti evidenziato come l’utilizzo delle procedure percutanee nel trattamento
dell’HCC, consenta di ottenere risultati migliori in lesioni con
tali dimensioni [20].
Ciononostante, i trattamenti termo ablativi vengono utilizzati
anche per lesioni con diametro superiore, anche se con finalità
di down-staging e/o palliative ed alcuni Autori propongono
di associare una chemioembolizzazione preprocedurale, per
lesioni > 5 cm a causa del maggior rischio di presenza di noduli satelliti e/o invasioni vascolari microscopiche perilesionali [21]. Nella nostra esperienza, la RFA ha mostrato una
percentuale di CR maggiore rispetto alla PLA (93% vs 87%),
ottenuta anche con un minor numero di trattamenti per nodulo
(RFA, 1.21 vs PLA, 1.38). Tali risultati sono paragonabili a
quelli riportati da Ferrari et al. [15] i quali, confrontando la
PLA con RFA nel trattamento di HCC multifocale di dimensioni <4 cm in 81 pazienti, riportano una percentuale di CR
a 30 giorni più alta utilizzando la RFA, piuttosto che la PLA
(94% vs 78%). In relazione al tempo libero da progressione
locale di malattia calcolato a 12 mesi, nella nostra esperienza, le curve di sopravvivenza per la RFA e per la PLA non
hanno mostrato differenze statisticamente significative, pur
apprezzandosi un trend di superiorità nei risultati ottenuti con
RFA rispetto a quelli ottenuti con PLA (RFA 84% vs PLA
54%, p=0,083). I tassi di sopravvivenza della PLA riportati
nel nostro studio sono inferiori i risultati ottenuti da Pacella
et al. che indica invece una percentuale molta bassa (1,6%) di
recidiva locale ad un anno [11]. Tuttavia, i nostri risultati sono
in parziale accordo con i risultati preliminari di uno studio
tuttora in corso di Di Costanzo et al. (dati non pubblicati),
riportati in una review di Pacella et al. [22], che riportano tassi
di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia a
un anno non significativamente diversi tra le due tecniche.
Inoltre dai nostri dati emerge che il tasso di sopravvivenza
libero da recidiva locale da malattia è inferiore per le lesioni
con diametro superiore ai 2 cm nei pazienti trattati con PLA.
Tale dato concorda con i risultati riportati da Pacella su uno
studio sulle variabili che influenzano i risultati in termini di
progressione locale di malattia, il quale indica però un cut-off
di 3 cm sotto il quale si hanno i risultati migliori [23].
La formazione di un margine di sicurezza non adeguato è tra i
fattori di rischio più rilevanti per la progressione locale di malattia e molti autori concordano che tale margine debba essere
compreso tra 5 mm e 10 mm [24-25]. Di conseguenza, il tasso
di sopravvivenza minore nel gruppo di pazienti trattati con la
PLA nei tumori con dimensioni maggiori di 2 cm può essere
giustificato dal mancato raggiungimento di un adeguato margine di sicurezza. Condizione che può essere dovuta essenzialmente alle limitate capacità che si hanno nel monitorare la
formazione della necrosi tissutale durante il trattamento. L’ecografia e la TC sono le tecniche di imaging maggiormente
diffuse, a basso costo, nel monitoraggio delle procedure ablative. Tuttavia, il riscaldamento dei tessuti, che si verifica durante le procedure termo ablative, porta alla formazione di gas
che, se da un lato fornisce indicazione dell’avvenuta distruzione tissutale, dall’altro crea un ostacolo alla valutazione con
gli ultrasuoni [26]. Inoltre la TC non è in grado di descrivere
cambiamenti tissutali se non dopo 24H [27]. Pertanto, poiché
non è possibile utilizzare una tecnica di imaging a basso costo che non risenta di tale limite, i sistemi di ablazione locale
si sono stati sviluppati per cercare di ricreare un volume di
necrosi tissutale che sia facilmente riproducibile, utilizzando
protocolli standard indipendenti dalla tecnica di monitoraggio
utilizzata. Ciononostante numerose variabili possono influenzare la formazione del volume di necrosi [23, 28]. È quindi
necessario un sistema di feedback che consenta di monitorare
i cambiamenti tissutali in atto durante il trattamento e pertanto da questo punto di vista la RFA sembra avere un vantaggio significativo rispetto alla PLA: la registrazione continua
dell’impedenza tissutale, che si effettua durante tale procedura, fornisce, seppur sommariamente, informazioni sullo sviluppo dell’ablazione tumorale. Il raggiungimento del roll-off,
che indica l’avvenuta coagulazione del tessuto, può rendere
quindi più accurata l’efficacia loco regionale del trattamento
stesso [29]. Inoltre, un’ulteriore variabile che può rendere più
complesso l’ottenimento di un preciso margine di sicurezza,
può esser rappresentata dalla relativa difficoltà che si ha nel
posizionare i multipli aghi della PLA nella giusta geometria
ablativa, tale da indurre un volume di necrosi adeguato e riproducibile [23] . La rigidità del fegato cirrotico [30] può
rendere, per di più, difficile il controllo della traiettoria di un
ago dotato di bassa stiffness, quale quelli della PLA utilizzati
nel nostro studio, il quale, a parità di materiale costruttivo, è
dotato di un calibro minore (21G) rispetto quello della RFA
(15G-17G). Il limite del nostro studio è dovuto al campione
numericamente non elevato (30 pazienti) e nell’avere effettuato un follow-up di media durata (12 mesi).
La possibilità di effettuare uno studio prospettico randomizzato, senza l’evidenza di differenze statisticamente significative tra i gruppi di studio presi in esame, ha consentito però
di ridurre al minimo i possibili bias che si potevano creare in
sede di analisi statistica. Allo stesso modo avendo scelto poche variabili, quali criteri dimensionali e il tipo di trattamento,
è stata possibile ed attuabile una valutazione dei risultati ottenuti già ad un anno dal trattamento.
L’obiettivo del nostro studio è stato, infatti, quello di valutare
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231
229
Fig. 6 Maschio di 73 anni affetto da epatite cronica HCV correlata con nodulo HCC localizzato a livello del V segmento epatico trattato mediante ablazione con
radiofrequenza. Studio TC pre-procedurale: immagine assiale (A) ed immagine volume rendering (B) che mostrano le dimensioni (23 millimetri) e localizzazione del nodulo (freccia bianca). Studio TC post-procedurale a 6 mesi di follow-up: (C) immagini assiali che confermano il successo del trattamento (freccia
bianca) ed immagine volume rendering (D) che evidenzia le dimensione dell’area di parenchima tumorale ablata posta a confronto con le dimensioni volume
rendering dell’esame pre-procedurale.
l’efficacia loco-regionale del singolo trattamento, in relazione
al fatto che spesso i risultati delle valutazioni a lungo termine possono non essere collegate direttamente agli effetti del
trattamento. Difatti, soprattutto nel HCC, il tempo libero da
malattia e la sopravvivenza possono essere collegate all’eziologia e al grado di insufficienza epatica dovuta alla cirrosi e all’istotipo del tumore. I tassi di sopravvivenza possono
essere influenzati dall’insorgenza di altri tumori, primitivi o
secondari, o dalle complicanze indotte dall’insufficienza epatica stessa. Al contrario l’end-point valutato nel nostro studio,
ovvero il tempo libero da progressione locale di recidiva locale di malattia, può essere considerato una diretta espressione
dell’efficacia loco-regionale di una procedura ablativa [31].
Per quanto riguarda la valutazione delle complicanze peri-procedurali, entrambe le tecniche sono risultate sicure.
Nessun paziente è, infatti, deceduto in seguito al trattamento
e non sono state osservate complicanze maggiori. Complicanze minori sono state comunque osservate. In particolare
si sono verificate raccolte peri-epatiche asintomatiche in 4
pazienti, versamenti pleurici in 5 pazienti e 1 caso di ematoma sub-capsulare. L’insorgenza di tali complicanze è stata più
frequente nei pazienti trattati con RFA piuttosto che con PLA.
Ciò può esser dovuto all’utilizzo di aghi più sottili per la PLA
e dotati di minor calibro che rendono però meno traumatico
il loro inserimento nel fegato. I nostri dati concordano con
i dati presenti in letteratura che descrivono la PLA spesso
associata ad un minor numero di complicanze [14, 32-33].
In particolare nel nostro studio abbiamo documentato l’insorgenza della sindrome post-ablativa solo in uno dei pazienti
trattati con PLA, mentre 12 pazienti trattati con RFA hanno
230
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231
sviluppato tale sindrome. A tal riguardo abbiamo anche valutato l’eventuale incremento post-procedurale di TNFα nei due
gruppi di trattamento. Il TNFα è uno dei possibili mediatori
di una risposta infiammatoria sistemica che può verificarsi in
seguito al trattamento con RFA o crio-ablazione ed è quindi
uno dei fattori che influenzano l’insorgenza della sindrome
post-ablativa [34-36].
Dal nostro studio emerge che la procedura laser non induce
una significativa risposta infiammatoria in termini di produzione di TNFα. I nostri dati sono in accordo con Kallio et al.
[34] che hanno valutato la produzione di citochine pro-infiammatorie sieriche, tra cui il TNFα, in una coorte di 13 pazienti
con tumore epatico sottoposti ad ablazione laser sottoguida
RM. L’evidenza di un non incremento nella produzione di
TNFα potrebbe giustificare la minore insorgenza, nel nostro
studio, di sviluppo di sindrome post-ablativa nei pazienti sottoposti alla PLA.
Tuttavia, è bene ricordare che la sindrome post-ablativa è una
manifestazione clinica complessa regolata da una molteplicità di covariabili non analizzate nel nostro studio. In accordo
con Jansen et al. abbiamo riscontrato un incremento di produzione TNFα nei pazienti trattati con RFA [37]. La maggior
concentrazione del TNFα nei soggetti trattati con RFA può
spiegare quindi in parte la più frequente insorgenza di sindrome post-ablativa verificatesi nel nostro studio rispetto al
trattamento con la PLA.
Conclusioni
La capacità di indurre necrosi tumorale completa non ha mostrato differenze statisticamente significative tra le due differenti tecniche di ablazione; tuttavia per lesioni con diametro
d ≥ a 21 mm la RFA ha consentito di ottenere risultati migliori ad un anno dal trattamento. Un ridotto numero di complicanze minori è stato osservato nei pazienti trattati con PLA.
In particolare abbiamo osservato un solo caso di sindrome
post ablativa nei pazienti trattati con PLA. In accordo a tale
dato la produzione di TNFα è risultata significativamente più
elevata nei pazienti trattati con RFA. In conclusione la RFA
è più efficace nel trattamento del HCC rispetto alla PLA.
Tuttavia, anche in relazione alla scarsa insorgenza di complicanze, la PLA, nei centri che dispongano della tecnologia
adeguata e delle giuste esperienze e conoscenze, può essere
considerata una valida opzione terapeutica per il trattamento
di HCC ≤20 mm.
Per citare questo articolo:
Orlacchio A, Bolacchi F, Chegai F, Bergamini A, Costanzo E, Del Giudice C, Angelico M, Simonetti G
(2013) Comparative evaluation of percutaneous laser and radiofrequency ablation in patients with HCC smaller than 4 cm. Radiol med
[Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0339-y
La radiologia medica http://link.springer.com/journal/11547
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RADIOLOGIA ADDOMINALE
xxx
Risonanza Magnetica con Acido Gadoxetico nella valutazione
dell’Epatocarcinoma e dei noduli ipointensi nella fase epatobiliare
E. Iannicelli1, M. Di Pietropaolo1, M. Marignani2, C. Briani1, G. F. Federici1
G. Delle Fave2, V. David1
1
Istituto di Radiologia, Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e di Medicina Traslazionale, Facoltà di Medicina e Psicologia
Università di Roma, Sapienza, Italia, Ospedale Sant’Andrea, Via di Grottarossa 1035, 00189 Roma, Italia
2
Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e di Medicina Traslazionale, Facoltà di Medicina e Psicologia, Università di Roma, Sapienza
Ospedale Sant’Andrea, Via di Grottarossa 1035, 00189 Roma, Italia
Indirizzo Autore: E. Iannicelli, Tel.: +393385944602, Fax: +39068085348, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 22 Settembre 2012 / Accettato: 11 Febbraio 2013
Riassunto
Obiettivo. Scopo del nostro studio è valutare l’accuratezza
diagnostica della Risonanza Magnetica (RM) con mezzo di
contrasto epatospecifico nell’identificazione dell’epatocarcinoma (HCC) e delle lesioni precancerose, valutandone l’evoluzione.
Materiali e metodi. E’ stato effettuato uno studio retrospettivo su 56 pazienti con epatopatia cronica sottoposti a RM con
Acido Gadoxetico per sospetto di lesioni epatiche. Numero,
dimensioni, intensità di segnale dei noduli sono stati valutati
all’Imaging dinamico e nella fase epatospecifica. Il follow up
è stato eseguito ogni 3 mesi. L’analisi statistica è stata effettuata mediante Test Esatto di Fisher.
Risultati. Centoventi noduli sono stati individuati in 41 pazienti: 92/120 (76,6%, diametro medio 18,4mm) con pattern
vascolare tipico per HCC: in fase epatospecifica 90 noduli
erano ipointensi; 2 iperintensi. Nella fase epatospecifica sono
stati rilevati altri 28/120 noduli ipointensi (23,3%,diametro
medio 11mm) non ipervascolari; 15/28 presentavano ipointensità anche all’equilibrio. 14/28 noduli (diametro medio
13,3mm) hanno presentato enhancement in fase arteriosa in
tre-dodici mesi.
Conclusioni. La fase epatospecifica effettuata dopo lo studio RM dinamico con Acido Gadoxetico aumenta il livello di
confidenza nella diagnosi di HCC e consente l’identificazione
di noduli ipovascolari potenzialmente in grado di progredire
in HCC tipici. Tale rischio è aumentato per le lesioni > 10mm.
(p-value:0,0128).
Parole chiave Epatocarcinoma; HCC; Acido Gadoxetico;
Gd-EOB-DTPA; Risonanza Magnetica; Early-Epatocarcinoma; Cirrosi epatica
Introduzione
L’epatocarcinoma (HCC) è una delle più comuni neoplasie
maligne al mondo, terza causa di morte per cancro [1] e principale causa di morte nei pazienti cirrotici. L’accurata identificazione del numero, delle dimensioni e della localizzazione
delle lesioni tumorali sono fattori critici nel pianificare un
corretto approccio terapeutico.
E’ pertanto di fondamentale importanza identificare i pazienti a rischio di sviluppare il tumore, instaurando un corretto
programma di sorveglianza finalizzato alla diagnosi precoce.
L’epatocarcinogenesi si può considerare un processo multistep che insorge su fegato cirrotico; la neoplasia si sviluppa
con l’evoluzione da nodulo rigenerativo a nodulo displasico,
progressione in HCC inizialmente ben differenziato (early
HCC), forma scarsamente differenziata fino a neoplasia indifferenziata. Il rischio di trasformazione in HCC aumenta
con il grado di displasia; i noduli con displasia di grado elevato rappresentano vere e proprie lesioni pre-neoplastiche che
evolvono in epatocarcinoma con una frequenza riportata in
letteratura del 46%-80 in 1-5 anni [2].
In questo contesto appare indispensabile l’utilizzo di tecniche
diagnostiche che consentano un’adeguata caratterizzazione
delle lesioni focali epatiche. L’applicazione delle Evidenze
emerse dagli studi di Imaging da parte dell’American Association for the Study of Liver Disease (AASLD) ha portato
all’identificazione di Linee Guida per il paziente cirrotico che
assegnano un ruolo cruciale alla Risonanza Magnetica (RM)
e alla Tomografia Computerizzata (TC) effettuate con studio
dinamico dopo somministrazione endovenosa di mezzo di
contrasto (Mdc) [3]. La presenza del pattern vascolare considerato tipico, caratterizzato da ipervascolarità in fase arteriosa, wash out in fase portale e tardiva, in noduli di dimensioni
superiori a 1cm è ritenuta diagnostica per HCC e non è necessaria la conferma istologica tramite biopsia. Ma lo scenario
è diverso se prendiamo in considerazione l’early HCC, neoplasia ben differenziata che non presenta ancora i processi
tipici della neoangiogenesi tumorale, di difficile identificazione allo studio dinamico con TC o RM a causa proprio
233
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242
della ipovascolarità nella fase arteriosa [4]. Grande interesse
suscita pertanto l’imaging innovativo del fegato e delle vie
biliari in RM, grazie alla recente introduzione di nuovi mezzi
di contrasto epatospecifici come l’Acido Gadoxetico (Gd-EOB-DTPA), Mdc paramagnetico di tipo misto, che combina le
proprietà dei Mdc vasculo-interstiziali con quelle degli agenti
epatobiliari, che vengono captati dagli epatociti ed eliminati
per via biliare. Una nuova fase di studio, denominata epatospecifica, effettuata circa 20 minuti dopo la somministrazione
del mdc, si aggiunge allo studio standard e sembra possa modificare sensibilmente la performance diagnostica della Risonanza Magnetica [5,6]
Lo Scopo del nostro studio è valutare l’accuratezza diagnostica della RM con Acido Gadoxetico nella diagnosi di HCC e
nell’identificazione di lesioni ad uno stadio iniziale valutandone l’evoluzione e la progressione tumorale
Materiali e metodi
Casistica
Sono stati valutati retrospettivamente 56 pazienti affetti da
cirrosi epatica HCV, HBV o alcol correlata, sottoposti a RM
con mezzo di contrasto epatospecifico (GD-EOB-DTPA; Primovist®, Bayer Healthcare Pharmaceuticals) in un periodo
compreso tra marzo 2009 e luglio 2012. L’esame RM era stato
effettuato per valutare una lesione epatica sospetta per HCC,
riscontrata in un esame Ecografico o TC con Mdc, eseguito in
un periodo precedente di 1-4 settimane, o per il riscontro di
elevati livelli sierici di α-fetoproteina.
I criteri di inclusione nello studio sono stati: 1) presenza di
uno o più noduli ipervascolari in fase arteriosa con wash-out
in fase portale e/o all’equilibrio oppure presenza di uno o più
noduli ipointensi rilevabili nella fase epatospecifica; 2) disponibilità di almeno un controllo a distanza di 3 mesi effettuato
con TC con Mdc e/o RM con Mdc epatospecifico. I criteri
di esclusione in questo studio sono stati: 1) presenza esclusivamente di lesioni con caratteristiche di benignità (angiomi,
adenomi o iperplasia nodale) (n=8); 2) nessuna evidenza di
lesione focale all’esame RM; (n=3) 3) mancata disponibilità
di controllo a distanza (n=4).
Lo studio ha pertanto arruolato 41 pazienti (30 uomini e 11
donne; età media 70 anni; range 52-87 anni) con un totale di
120 noduli. Lesioni con caratteristiche di cisti o emangiomi
sono state escluse dall’analisi.
La diagnosi di HCC per i noduli di dimensioni superiori a
1cm è stata effettuata sulla valutazione dell’Imaging dinamico in accordo con le linee guida dell’AASLD del 2010 [3] o
sui reperti istologici ottenuti mediante intervento chirurgico o
biopsia; in tutti i casi è stato effettuato almeno un controllo a
tre mesi.
L’esame istologico dopo esame bioptico o resezione chirurgica è stato eseguito in 7 pazienti con noduli con pattern vascolare tipico ma con diametro inferiore al centimetro o iperintensità nella fase epatospecifica.
Gli altri noduli non HCC evidenziati nel corso dello studio
sono stati sottoposti a follow-up ogni 3 mesi fino a 12 mesi
con RM con Acido Gadoxetico.
Lo studio retrospettivo è stato approvato dal Comitato Etico
del nostro Ospedale. Tutti i pazienti hanno fornito il consenso
informato.
Imaging RM
Lo studio RM è stato effettuato con tomografo a risonanza 1.5
Tesla (Sonata Siemens, Erlangen, Germany), con l’utilizzo di
bobina di superficie posizionata sull’addome del paziente.
Lo studio prevede l’esecuzione di sequenze in condizioni
basali e dopo somministrazione di mdc epatospecifico Gd-EOB-DTPA, con studio contrastografico dinamico ed in fase
epatobiliare a 20 minuti.
In fase precontrastografica sono state eseguite sequenze sul
piano assiale T1 Gradient echo in fase ed in opposizione di
fase e T2 Turbo spin-echo Fat-Saturated (TSE-FS).
E’ stato quindi somministrato mediante iniezione endovenosa
a bolo il Gd-EOB-DTPA, con una dose raccomandata di 0,25
μmol/kg di peso corporeo, in siringa preriempita da 10mL. Il
Mdc è stato somministrato alla velocità di 0,8-1 ml/sec, seguito da un bolo da 10 cc di soluzione fisiologica alla stessa
velocità di iniezione.
Le scansioni dinamiche sono state effettuate utilizzando sequenze Volumetric Interpolated Breath-Hold Examination
(VIBE) acquisite nelle tre fasi di vascolarizzazione: arteriosa
epatica (25-35 secondi dopo la somministrazione del Mdc),
portale (dopo 70-80 secondi) e tardiva (fase di equilibrio dopo
150-180 secondi).
In fase epatobiliare sono state acquisite sequenze VIBE nei
piani di scansione assiale e coronale dopo 15-20 minuti dalla
somministrazione del Mdc e sequenze Fast Low-Angle Shot
(FLASH) 2D T1 pesate FS ad alta risoluzione.
Per ridurre il tempo di esecuzione dell’esame, nell’intervallo
di tempo fra la fase dinamica e la fase epatospecifica, sono
state eseguite sequenze T2 Half-Fourier acquisition single-shot (HASTE) FS e TSE-T2 FS con trigger respiratorio .
E’ stato inoltre eseguito uno studio in diffusione con sequenze eco planari (EPI) (b-value 50-400-800 s/ mm²) a respiro
libero. Il protocollo d’esame è schematizzato nella Tabella 1.
Analisi delle immagini
Le immagini RM sono state valutate da due radiologi con
esperienza di Risonanza Magnetica addominale, in consensus. L’analisi delle immagini RM ha preso in considerazione:
numero delle lesioni, dimensioni, caratteristiche di intensità di
segnale all’Imaging dinamico e nella fase epatospecifica. Tale
valutazione è stata effettuata anche nel corso del follow-up.
Sono stati considerati noduli di HCC: 1) le lesioni > 1cm che
presentavano all’Imaging dinamico il pattern vascolare tipico
(secondo le linee guida dell’AASLD [3]) con ipervascolarizzazione in fase arteriosa, wash-out in fase portale e /o all’equilibrio ; 2) le lesioni ipo o iperintense in fase epatospecifica
con pattern vascolare tipico. Sono stati considerati displasia
severa/early-HCC: a) i noduli con unico reperto di ipointensità in fase epatospecifica b) i noduli che allo studio dinamico
non presentavano enhancement in fase arteriosa, con ipointensità all’equilibrio (150-180 sec) ed in fase epatospecifica.
Analisi statistica
E’ stata effettuata analisi statistica con il software SYSTAT
nel gruppo di pazienti con displasia severa / early HCC.
Le variabili continue sono state analizzate tramite la statistica
descrittiva. Sulla media è stato eseguito un test T di Student
con il calcolo del relativo p-value. Un valore p inferiore a 0,05
è stato considerato statisticamente significativo.
234
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242
Tabella 1 Protocollo di studio RM
T2WI
T1WI
Contrast-enhanced MRI
Sequence
Turbo spin-echo
Fast gradient echo
Gradient echo with 3D
acquisition (VIBE)
Respiratory triggered
Yes
-
-
Fat Saturated
Yes
-
Yes
Matrix
320
256
256
Repetition time (ms)
2000-3000
125
4,5
Acquisition time
2-3 min
31 sec *
18 sec
Echo time (ms)
119
2,4 and 4,5
1,8
Flip angle (degree)
180
70
10
Slice thickness (mm)
6
5
3
Interslice gap
0
0
0
*Two breath holds were
required in many cases.
Scan delay after administration:
25-35 s, 70-80 s,
150-180 s, 15-20 m.
Others
Le variabili sono state analizzate anche con il test di Wilcoxon-Mann-Whitney, l’analogo non-parametrico del test T
di Student. Considerata la numerosità limitata del campione,
il confronto delle proporzioni è stato effettuato utilizzando il
test non parametrico Esatto di Fisher.
Risultati
Nei 41 pazienti oggetto del nostro studio sono stati identificati
un totale di 120 noduli (Tabella 2). I noduli sono stati suddivisi in due gruppi in base al pattern vascolare e alle caratteristiche di intensità di segnale in fase epatospecifica. Il primo
gruppo è costituito da 92/120 noduli (76,6%) (range 6-43 mm,
diametro medio 18,4mm) che presentavano pattern vascolare tipico per HCC all’Imaging dinamico (Fig.1a-c; Fig.2a-c).
Trentuno noduli sono stati rilevati in tre pazienti con patologia multifocale ( 5, 6 e 20 rispettivamente). Nella fase
epatospecifica 90/92 lesioni apparivano ipointense (97,8%)
(Fig.1d), 2/92 iperintense ( 2,2%) (Fig.2d,e); in questi ultimi
due casi è stato effettuato l’esame istologico con risultato di
HCC ben differenziato (fig2f). Il secondo gruppo è costituito
da 28/120 noduli (23,3%; range 4-28 mm, diametro medio
11 mm) che non presentavano enhancement in fase arteriosa,
ipointensi nella fase epatospecifica. Di questi, 15/28 (53,5 %)
(range 4-28mm, diametro medio 12 mm) apparivano ipointensi all’equilibrio nell’Imaging dinamico (Fig.3a-c); 13/28
(46,6%) (range 6-15mm, diametro medio 9,8mm) presentavano come unico reperto ipointensità in fase epatospecifica
(Fig.3c).
I risultati del follow-up effettuato sul secondo gruppo di pazienti (28 noduli) sono i seguenti: dei 15/28 noduli ipointensi all’equilibrio e in fase epatospecifica, otto noduli (53,3%
diametro medio 15,5 mm, range 7-28 mm) hanno sviluppato
un’ipervascolarizzazione con pattern tipico di HCC in un range di 3-9 mesi, con un’ incidenza cumulativa rispettivamente
del 12,5% a 3 mesi, del 37,5% a 6 mesi e del 50% a 9 mesi
(Fig.4.); 6/8 lesioni presentavano dimensioni superiori al cm
al primo controllo, mentre gli altri due di 8 e 7 mm sono successivamente aumentati di dimensione (>1cm). I restanti sette
noduli (46,6%) (diametro medio 8 mm, range 4-13 mm) non
hanno mostrato evoluzione in un periodo di 3 -12 mesi. Dei
13/28 noduli con unico reperto di ipointensità in fase epatospecifica, sei (46,1%, diametro medio di 10,8 mm range 7-15
mm) hanno mostrato un pattern dinamico tipico per HCC in
un periodo tra 6 e 12 mesi con un’ incidenza cumulativa rispettivamente del 16,6 %a 6 mesi, del 50% a 9 mesi e del 33,3%a
12 mesi (Fig.5). 3/6 presentavano dimensioni superiori al cm
al primo controllo, mentre i restanti tre erano rispettivamente
di 10, 10 e 7 mm. Questi ultimi al follow-up hanno mostrato
un incremento di dimensioni (>1cm). Tre noduli (23%) hanno presentato ipointensità anche all’equilibrio in un range di
3-6 mesi. Infine quattro noduli (30,7%) non hanno mostrato
evoluzione nel follow-up fino a 12 mesi. Di questi 28 noduli,
11 avevano dimensioni >1cm al primo controllo e successivamente 9/11(81.8%) hanno sviluppato HCC durante il follow
up. In totale, 14/28 noduli (50%) hanno presentato pattern tipico per HCC in un periodo compreso tra tre e dodici mesi (Tabella3); cinque di questi sono stati rilevati in un solo paziente. Il diametro medio (SD; SEM) dei noduli ipovascolari che
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Tabella 2 Caratteristiche d’intensità di segnale dei noduli
IMAGING DINAMICO
HCC
DS/
early-HCC
120
noduli
Enhancement
arterioso
92
(18,4 mm)
92
Wash out
/
28
(11 mm)
FASE EPATOBILIARE
Ipo
Iper
92
90
2
15
15
/
76,6%
23,4%
/
/
13
/
DS: noduli displasici; Ipo:ipointensità; Iper:iperintensità
a
c
b
d
Fig. 1 a-d RM con Gd-EOB-DTPA. HCC con pattern vascolare tipico. Lesione di 18 mm (freccia) ipervascolare in fase arteriosa (a) con wash-out in fase
portale (b) e tardiva (c). La fase epatospecifica (d) evidenzia netta ipointensità del nodulo.
236
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a
d
b
e
c
f
Fig 2 a-f Le scansioni dinamiche mostrano una lesione focale di 20mm (freccia), con rapida impregnazione in fase arteriosa (a) e wash-out in fase portale
(b) e all’equilibrio (c). Nella fase epatospecifica, scansione assiale (d) e coronale (e), la lesione (freccia) appare iperintensa per captazione ed eliminazione del
mdc. All’istologia (f) reperto di HCC ben differenziato (Fissazione in Ematossilina-Eosina).
237
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a
c
Fig. 3 a-c Non evidenza di lesioni ipervascolari in fase arteriosa (a); nodulo
ipointenso (freccia bianca) di 12mm all’equilibrio (b). In fase epatospecifica
(c) presenza di due noduli ipointensi (frecce nere).
b
hanno sviluppato ipervascolarizzazione durante il follow-up
è di 13,36mm (5,99; 1,60) (range 7-28 mm). Il diametro medio delle lesioni che non hanno presentato tale evoluzione è di
8,57mm (2,98;0,80) (range 4-15mm). Analizzando i risultati
ottenuti, posto il cut-off dimensionale di 10 mm, è stata osservata una relazione statisticamente significativa tra le dimensioni dei noduli e lo sviluppo del pattern ipervascolare; mediante il test Esatto di Fisher è risultato un p<0,05 (p=0,0128).
Discussione
Il ruolo cruciale dell’Imaging nella valutazione della cirrosi
epatica e nella diagnosi di HCC è un fatto ormai acquisito,
momento indispensabile per il corretto management del paziente. Tuttavia, solo un limitato numero di casi al momento
della diagnosi, presenta i requisiti necessari per essere sottoposto a trattamenti curativi, quali trapianto epatico, resezione
epatica o terapie locoregionali [3,7,8].
La Risonanza Magnetica grazie all’intrinseca elevata risolu-
zione di contrasto si pone oggi come la metodica più accurata
nello studio del fegato con elevata sensibilità e specificità
nella identificazione e caratterizzazione delle lesioni, considerata in molte situazioni “problem solving”; tuttavia lo studio standard, che si avvale della somministrazione di Mdc a
distribuzione vasculo-interstiziale, può a volte fornire reperti
non conclusivi nella caratterizzazione delle lesioni epatiche.
L’Acido Gadoxetico (Gd-EOB-DTPA) si inserisce in questo
contesto come un mezzo di contrasto caratterizzato da una
duplice funzionalità: grazie al tipo di escrezione che avviene
al 50% per via renale e al 50% per via biliare, si comporta
come un normale mezzo di contrasto extracellulare consentendo uno studio dinamico della vascolarizzazione delle lesioni e dell’interstizio, mentre successivamente viene captato
in maniera selettiva dagli epatociti funzionanti ed escreto per
via biliare , consentendo di verificare la presenza o assenza
di epatociti funzionanti all’interno della lesione [9]. La fase
epatobiliare viene acquisita 15-20 minuti dopo l’iniezione
del mdc; studi recenti [10,11,12] hanno dimostrato che l’utilizzo del Gd-EOB-DTPA non incrementa di molto il tempo
d’esame in quanto l’acido gadoxetico non determina effetti
significativi sull’imaging in diffusione o sulle immagini pesate in T2, che possono quindi venire acquisite subito dopo
lo studio dinamico, con uno snellimento del protocollo ed un
tempo totale d’esame di circa 25-30 minuti. Nel nostro studio novantadue dei centoventi noduli riscontrati presentavano un pattern dinamico tipico per HCC, con enhancement in
fase arteriosa seguito da rapido washout nella fase portale e/o
all’equilibrio. Comportamento considerato patognomonico in
quanto l’epatocarcinoma si caratterizza per la presenza di una
vascolarizzazione prevalentemente arteriosa che deriva da un
processo di arterializzazione del nodulo: all’aumentare delle
sue dimensioni, la perfusione della lesione neoplastica viene
assicurata in modo crescente da neovasi irregolari arteriosi
ad origine dall’arteria epatica, mentre si riduce il contributo
fornito dal sistema portale. Nella fase epatobiliare novanta
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a
c
b
d
Fig.4 a-d Lo studio dinamico non evidenzia lesioni ipervascolari (a); in fase tardiva (b) nodulo ipointenso (freccia bianca) di 8 mm con ipointensità in fase
epatospecifica (c). Il follow up a 3mesi evidenzia incremento di dimensioni (11mm), comparsa di ipervascolarità in fase arteriosa (freccia bianca) (d) ed ulteriore
localizzazione di malattia. (freccia nera).
noduli (97%) sono apparsi ipointensi rispetto al parenchima
circostante, ad indicare l’assenza di epatociti funzionanti, a
conferma della diagnosi di epatocarcinoma. L’ipointensità in
fase epatospecifica è l’aspetto ritenuto più comune per l’HCC
[9,13]. E’ singolare che nel nostro studio nessuno dei 92 no-
duli ipervascolari abbia presentato isointensità in fase portale
o all’equilibrio, aspetto spesso descritto per i piccoli HCC
nel corso di esami TC o RM effettuati con Mdc extracellulari [13,14] che, quando presente, pone problematiche di
diagnosi differenziale con le pseudolesioni non neoplastiche
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a
d
b
e
c
f
Fig. 5 a-f Paziente di 76 anni in follow-up per HCC trattato. Lo studio dinamico non evidenzia lesioni in fase arteriosa (a) e tardiva (b); nodulo di 12 mm (freccia)
ipointenso in fase epatospecifica (c). Follow up a 12mesi: la lesione (freccia) appare aumentata di dimensioni (17mm), ipervascolare in fase arteriosa (d) con
wash-out all’equilibrio (e) ed ipointensità in fase epatospecifica (f).
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Tabella 3 Evoluzione e caratteristiche delle lesioni ipointense in fase epatospecifica
Ipervascolarizzazione durante follow-up
p-value
+
-
28 noduli
14
14
Diametro medio (SD)
13,36 mm (5,99)
8,57 mm (2,98)
Noduli con diametro >10mm al primo controllo
9
2
0,0128
Noduli aumentati di dimensione durante il follow-up
5 (35%)
2 (14,2%)
0,385
Iperintensità in T2
4(28,5%)
/
0,098
ipervascolari frequenti nella cirrosi epatica, quali shunt arteroportali.
Tale comportamento può essere attribuito all’incremento
dell’intensità di segnale del parenchima epatico già nella fase
portale, per l’inizio della captazione epatica dell’Acido Gadoxetico, che esalta le differenze di contrasto anche modeste
presenti tra lesioni focali e parenchima epatico.
In questo gruppo di lesioni pertanto il valore aggiunto della
fase epatospecifica, al confronto con l’imaging dinamico, sta
essenzialmente nell’incremento del livello di confidenza nella
diagnosi di HCC; tuttavia va sottolineato che il mancato riscontro di noduli ambiguamente isointensi all’equilibrio, non
è certo un aspetto di secondaria importanza in quanto riduce
l’incidenza di errori di interpretazione e di reperti considerati
falsamente negativi.
L’iperintensità nella fase epatospecifica, presentata da due noduli di HCC con pattern tipico all’esame dinamico, si correla
con il reperto istologico di HCC ben differenziati (Fig.2f).
La captazione del Mdc è stata attribuita alla presenza di epatociti funzionanti che conservano una residua capacità di escrezione biliare [12].
Recentemente [16,17] alcuni autori hanno dimostrato che
l’espressione di OATP (Organic Anion Transporter Polypeptides) proteina di membrana trasportatore di anioni, rappresenta il punto cruciale della captazione del Mdc e che una
maggiore espressione di tale trasportatore molecolare sia responsabile della captazione del Mdc nei noduli di HCC ben
differenziato.
L’aspetto più interessante del nostro studio riguarda il gruppo
di 28 noduli non ipervascolari, ipointensi nella fase epatospecifica. Nelle sequenze T2 pesate i noduli erano isointensi con
il parenchima epatico e quindi non identificabili.
La sorveglianza effettuata nel follow-up ha dimostrato come
si sia verificata una evoluzione in 17/28 (60,7%) di questi noduli e complessivamente in un range di 3-12 mesi, 14 noduli
(50%) hanno sviluppato il processo di arterializzazione; in
questi 14 noduli le dimensioni maggiori di un centimetro e la
comparsa del tipico pattern allo studio dinamico hanno consentito di porre diagnosi di HCC escludendo shunt AV.
Questi reperti possono essere interpretati sulla base del processo di epatocarcinogenesi multistep: in fase iniziale il nodulo conserva la vascolarizzazione portale senza evidenza dei
fenomeni di neoangiogenesi tipici dell’HCC; successivamente si riduce l’apporto del sistema portale e solo nello step successivo avrà luogo il processo di arterializzazione del nodulo
con la comparsa della neoangiogenesi tipica.
Il nodulo ipovascolare, senza enhancement in fase arteriosa,
identificato per l’ipointensità nella fase portale e all’equilibrio, rappresenta quindi una neoplasia allo stadio iniziale ovvero l’early HCC che solo in uno step successivo andrà incontro a quel processo di arterializzazione che ne permetterà
l’identificazione al consueto imaging dinamico [18,19].
Nel nostro studio la progressione in HCC si è verificata anche
nei noduli che hanno mostrato come pattern iniziale solo la
mancata eliminazione biliare del Mdc, apparendo ipointensi
nella fase epatospecifica.
Kogita et al. hanno affermato in uno studio su 83 noduli che
la riduzione dell’apporto del sistema portale evidenziabile
all’ Imaging dinamico con TC o RM, è preceduto dalla ridotta captazione epatocitaria dell’acido gadoxetico nella fase
epatobiliare e quindi, come l’ipointensità delle lesioni in fase
epatospecifica sia fortemente correlata con l’epatocarcinogenesi, dimostrando l’utilità di questo agente nella diagnosi
precoce dell’epatocarcinoma. Tale reperto sottolinea ancora
una volta l’importanza del sistema dei trasportatori di membrana nel meccanismo di captazione dell’acido gadoxetico in
quanto la ridotta espressione di OATP può precedere la tipica
ipervascolarità [20],
I noduli con unico reperto di ipointensità nella fase epatospecifica possono essere considerate come lesioni precancerose,
primo step del processo di epatocarcinogenesi [21].
Dai nostri dati è emerso inoltre che i noduli ipointensi in
fase epatospecifica con dimensioni maggiori di 1 cm, hanno una probabilità significativamente maggiore di evolvere
in HCC rispetto alle lesioni con diametro inferiore al centimetro, indicando una correlazione statisticamente significativa (p=0,0128), tra parametro dimensionale e progressione
di malattia. Ma la storia naturale di queste lesioni non è ben
conosciuta e la frequenza con cui avvenga la progressione in
HCC è ancora argomento di discussione [22,23,24].
I risultati del nostro studio, nonostante la ridotta numerosità
del campione, sono in linea con gli studi e le evidenze della
letteratura internazionale [25,26] ed esortano a non tralasciare
i noduli che non appaiono ipervascolari ma a sottoporli ad
un programma di sorveglianza adeguato con l’obiettivo della
diagnosi precoce di HCC.
Non bisogna tuttavia ignorare che una parte di questi noduli, in proporzioni variabili a seconda degli studi [4,27], non
mostra evoluzione rimanendo stabili anche in un follow-up
prolungato. E’ evidente che la cautela nell’interpretazione dei
dati è necessaria; è importante finalizzare i nostri studi alla
diagnosi precoce dell’epatocarcinoma ma è altrettanto di fon-
241
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242
damentale importanza evitare di sottoporre a terapie invasive
lesioni senza potenzialità maligne.
In questo scenario la RM con Gd-EOB-DTPA rappresenta
la metodica di studio ideale e per l’elevata accuratezza dimostrata nella diagnosi di HCC è stata raccomandata, in una
recente conferenza, come metodo per la caratterizzazione dei
noduli riscontrati all’ecografia nei pazienti cirrotici [28]. Inoltre l’utilizzo del Gd-EOB-DTPA in RM è considerato cruciale anche secondo le linee guide giapponesi sul management
dell’HCC del 2011, nello studio delle lesioni con pattern vascolare atipico [29].
Il nostro studio presenta alcuni limiti: in primo luogo per l’analisi dei dati di tipo retrospettivo e la numerosità limitata
del campione, inoltre nessun confronto è stato effettuato tra la
RM con Acido Gadoxetico e la TC con studio dinamico eseguita in precedenza. Infine, considerando le esigue dimensio-
ni dei noduli ipovascolari e le difficoltà all’esecuzione della
biopsia e alla caratterizzazione istologica [3], non è stato effettuato un confronto con esame istologico ma solo follow-up
clinico e con RM con acido gadoxetico.
In conclusione il nostro studio sottolinea l’importanza e l’utilità della RM con Acido Gadoxetico nell’ identificazione e
nella caratterizzazione dell’epatocarcinoma nei pazienti con
epatopatia cronica; la fase epatospecifica ha consentito di ottenere un’ulteriore conferma dei reperti forniti dallo studio
RM convenzionale.
La possibilità di identificare noduli ipovascolari che hanno
la potenzialità di progredire in HCC riveste particolare importanza nella sorveglianza del paziente con cirrosi epatica e
pone l’indicazione ad uno stretto monitoraggio degli stessi. I
nostri dati indicano che tale rischio è maggiore per le lesioni
di dimensioni superiori ai 10 mm.
Per citare questo articolo:
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249
xxx
RADIOLOGIA
VASCOLARE E INTERVENTISTICA
“Termoablazione con radiofrequenze (RFA) delle metastasi (MTS)
epatiche da carcinoma mammario (CM): un’arma in più
nel trattamento multimodale della malattia avanzata”
A. Veltri1, C. Gazzera2, M. Barrera1, M. Busso1, F. Solitro1, C. Filippini3, I. Garetto1
1
Dipartimento di Oncologia, Istituto di Radiologia, Università di Torino, Regione Gonzole 10, Orbassano (TO), Italia
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Istituto di Radiologia, Università di Torino, Via Genova 3, Torino, Italia
3
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Torino, Corso Bramante 88, Torino, Italia
2
Indirizzo Autore: A. Veltri, Tel.: +39-011-9026780, Fax: +39-011-9026303, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 23 Novembre 2012 / Accettato: 31 Gennaio 2013
Riassunto
Scopo. Analizzare i risultati della nostra serie di RFA di MTS
epatiche da CM, per valutare il significato di tale trattamento.
Materiali e metodi. Abbiamo analizzato 45 pazienti (m 55
anni) con 87 MTS (m 23 mm). Sono stati calcolati Eventi Avversi, Ablazione Completa al primo controllo e nel follow-up
(m 30 mesi), tempo libero da recidiva (TTP) e sopravvivenza. L’efficacia locale è stata correlata con le dimensioni delle
MTS. Sono stati analizzati possibili predittori di sopravvivenza a 3 anni, inclusa l’efficacia locale della RFA (AC mantenuta a un anno vs Trattamento Fallito).
Risultati. Si sono verificati 9/87 EA (2 maggiori, 2.3%). La
AC al primo controllo è stata ottenuta nel 90% delle MTS; il
19.7% è recidivato, con TTP di 8 mesi. La differenza tra diametro medio delle AC mantenute (22 mm) e dei TF (30 mm)
è risultata estremamente significativa (p=.0005), così come la
“soglia” dei 30 mm (p=.0062). La sopravvivenza globale a
1, 2 e 3 anni è stata 90, 58 e 44%. All’analisi multivariata
l’efficacia locale della RFA non è risultata predittiva di sopravvivenza a 3 anni.
Conclusioni. nel CM la RFA epatica ha elevata efficacia locale nelle MTS fino a 30 mm, ma non è determinante per la
sopravvivenza.
Parole chiave: RFA, ca mammella, MTS epatiche, radiologia
interventistica oncologica.
Introduzione
Il carcinoma della mammella (CM) metastatico è uno stadio
della malattia espressione di una condizione patologica eterogenea, con diversi possibili quadri clinici comprendenti metastasi (MTS) solitarie, interessamento diffuso di un organo o
un tipo di tessuto (es. osso), o coinvolgimento multiorgano;
in particolare, il fegato è tra gli organi più spesso coinvolti,
risultando spesso la causa del decesso. La sopravvivenza è in
lieve ma costante aumento, grazie alla diagnosi precoce delle
MTS e alla disponibilità di nuove terapie sistemiche (1).
A limitare l’utilità del trattamento locale delle MTS epatiche
da CM è la tendenza a metastatizzare sistemicamente, al contrario, ad esempio, della malattia metastatica da carcinoma
del colon-retto (CRC), dove più comunemente il fegato è interessato in maniera esclusiva (2). Le possibilità terapeutiche
includono dunque la chemioterapia, ma anche, in pazienti
selezionate, la metastasectomia e la termoablazione con radiofrequenze (RFA) (3). La RFA è una tecnica relativamente
semplice che costituisce un trattamento locale efficace per le
MTS epatiche, con minima invasività e pochi eventi avversi
(4). Fino a oggi la RFA epatica è stata utilizzata principalmente per il trattamento dell’epatocarcinoma e delle MTS da
CRC, ma sono presenti in letteratura piccole casistiche riguardanti MTS da CM, gastrico, renale, polmonare, colangiocarcinoma e melanoma (5).
Scopo del nostro studio è revisionare la casistica personale consecutiva di RFA di MTS epatiche da CM, eseguite su indicazione clinica multidisciplinare, per valutare la sicurezza, l’efficacia
locale e l’utilità clinica a medio termine di tale terapia.
Materiali e metodi
La nostra casistica, estrapolata da una serie consecutiva di
quasi mille MTS epatiche trattate con RFA nei due centri della
nostra istituzione universitaria dal 1998 al 2011, comprende
45 pazienti femmine (età 33-81 anni, media 55 anni) con malattia metastatica da CM.
Lo studio è stato svolto nel rispetto delle linee guida per le
analisi retrospettive stabilite dalla commissione di revisione
istituzionale delle nostre Aziende Ospedaliero-Universitarie.
Pazienti e lesioni
L’indicazione al trattamento è stata posta dopo valutazione
multidisciplinare da parte dell’Oncologo Medico, del Radiologo Interventista e dell’Anestesista. La modalità d’esecuzione della RFA è stata stabilita in base al giudizio tecnico del
Radiologo Interventista.
La scelta alternativa all’intervento chirurgico è stata effettuata
per le seguenti cause:
244
ñ
ñ
strategia terapeutica oncologica
controindicazioni chirurgiche anestesiologiche (patologie
cardio-vascolari, respiratorie, etc.)
ñ altre comorbilità
ñ età avanzata
ñ presenza di MTS extraepatiche
ñ non resecabilità chirurgica
ñ rifiuto della paziente a sottoporsi a intervento chirurgico.
Nelle suddette 45 pazienti sono state trattate 87 MTS (media
1.9 MTS per paziente); le pazienti con lesione unica erano
27/45 (60%); nelle 18 pazienti con lesioni multiple le MTS
trattate sono state quindi 60 (media 3.3 MTS per paziente).
Sei/45 (13%) pazienti erano già metastatiche al momento
della diagnosi del tumore primitivo (MTS sincrone); 18/45
(40%) pazienti presentavano anche MTS extraepatiche, già
controllate o trattabili con altre terapie. Le dimensioni delle
lesioni variavano da 10 a 45 mm (media 23 mm).
Al momento dell’indicazione alla RFA l’istotipo del CM non
è stato considerato come criterio “di selezione”, così come le
terapie sistemiche pregresse o in atto, essendo stata privilegiata la potenziale utilità del trattamento locale nella gestione
della singola paziente nella specifica fase della malattia; la
RFA è stata pertanto inserita come trattamento aggiuntivo in
una terapia costantemente multimodale. Le suddette variabili
(istotipo e altri trattamenti) non sono state pertanto correlate
coi risultati della RFA.
Valutazioni pre-procedurali
Prima di procedere al trattamento, sono state valutate l’età, le
condizioni generali (performance status) e le eventuali patologie cardio-respiratorie. Inoltre, è stata richiesta una stadiazione “whole body” TC, RM e/o PET-CT pre-procedurale non
antecedente a un mese rispetto alla data prevista per la RFA.
A ogni paziente sono stati effettuati i test della coagulazione (per un’eventuale correzione di piastrinopenia o INR/PTT
aumentati), il radiogramma del torace e l’ECG, in vista della
successiva visita anestesiologica. Eventuali terapie anticoagulanti o antiaggreganti sono state adattate o sospese.
L’indicazione, i rischi e i potenziali benefici della procedura
sono stati discussi con le pazienti, che hanno fornito un consenso informato scritto.
Aspetti procedurali
Le RFA sono state eseguite in sala di radiologia interventistica, in condizioni di sterilità locale, dopo iniezione di anestetico locale nella sede d’ingresso dell’ago-elettrodo (10 ml di
lidocaina cloridrato 2% tamponata) e in regime anestesiologico di monitoraggio (ECG, pressione sanguigna, saturazione
arteriosa di ossigeno) e analgo-sedazione.
Tutte le procedure sono state eseguite sotto guida ecografica,
utilizzando apparecchiature Esaote Technos e MyLab (Genova, Italy). Le pazienti sono state posizionate in decubito da
supino a laterale sinistro, con l’obliquità più adatta alla visibilità ecografica delle lesioni e al loro raggiungimento da parte
dell’ago-elettrodo in respiro spontaneo, attraverso il tragitto
più sicuro rispetto alle strutture anatomiche epato-biliari e viscerali peri-epatiche (colon, stomaco, etc.); in caso di MTS
isoecogene con il parenchima circostante, la loro visualizzazione e il monitoraggio dell’inserzione dell’ago-elettrodo
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249
sono stati effettuati mediante somministrazione e.v. di mdc
ecografico di II generazione (SonoVue, Bracco, Milan, Italy).
Sono stati utilizzati ago-elettrodi espandibili RITA StarBurst
(RITA Medical Systems, Inc., Mountain View, CA, USA) o
LeVeen (Boston Scientific, Waltham, MA, USA). Noto che il
protocollo di ablazione si basa sulla temperatura per il sistema RITA e sull’impedenza dei tessuti per il sistema Boston
Scientific, la scelta delle apparecchiature utilizzate è stata legata alla loro disponibilità piuttosto che ad altre variabili. Il
tempo medio per ogni singola termoablazione è stato di circa
20 minuti, con differenze imposte dalle dimensioni delle MTS
e dai suddetti diversi protocolli delle apparecchiature, seguendo le indicazioni del produttore.
Al termine della procedura il tragitto dell’ago-elettrodo è stato “ablato” durante l’estrazione, per evitare l’insemenzamento neoplastico e favorire l’emostasi; dopo circa 15 minuti è
stato effettuato un controllo ecografico finale onde escludere
complicanze immediate. Le pazienti sono state tenute in osservazione la notte successiva al trattamento, al fine di monitorare il quadro clinico e l’emocromo.
Valutazione delle complicanze
Tutti gli eventi avversi sono stati registrati, suddivisi in base
ai criteri SIR in complicanze minori (clinicamente poco o
nulla rilevanti) e complicanze maggiori (con necessità di un
ricovero protratto e/o un intervento terapeutico radiologico
interventistico o chirurgico), e conteggiati in termini numerici
e percentuali.
Outcome
Pur ricordando la finalità clinica di utilizzare la RFA per la
gestione multimodale della malattia metastatica da CM più
che per ottenere risultati locali con intento radicale, si è considerato comunque utile valutare il risultato a un mese dalla
procedura mediante esecuzione di TC con mdc, per evidenziare un’eventuale ablazione parziale (AP) con residuo di
tessuto tumorale. In caso di primo controllo orientativo per
un’ablazione completa (AC), conoscendo l’elevata probabilità di progressione locale nelle RFA delle MTS epatiche, è
stata rivalutata la zona di ablazione al controllo TC con mdc a
un anno dal trattamento, al fine di verificare le AC mantenute
e diagnosticare le recidive locali (RL). Quanto alla valutazione dell’utilità clinica, sono stati poi conteggiati i decessi nella
popolazione in esame.
Le possibili evoluzioni locali o cliniche della patologia sono
state quindi considerate come:
ñ nessuna evidenza di residuo/recidiva locale (AC)
ñ evidenza di residuo locale di tessuto tumorale (AP)
ñ evidenza di recidiva locale (RL)
ñ decesso
Sulla base di questi parametri, è stato possibile calcolare l’efficacia locale al primo controllo TC (AC versus AP) e a un
anno dalla procedura (AC versus AP+RL), il time to progression (TTP) e le curve di sopravvivenza a medio termine.
Anche sulla base di precedenti esperienze nella RFA delle
MTS epatiche, sono stati analizzati quali possibili fattori prognostici di efficacia locale mantenuta a un anno le dimensioni
delle lesioni (diametro medio e diametro soglia di 30 mm).
245
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249
Vista la maggior rilevanza del conoscere l’impatto clinico
della procedura, sono stati invece analizzati più fattori prognostici di sopravvivenza, considerando l’efficacia locale
mantenuta della RFA uno di essi:
ñ unicità o molteplicità delle lesioni al momento del trattamento
ñ M0 o M1 alla diagnosi
ñ assenza o presenza di MTS extraepatiche
ñ dimensioni delle lesioni
ñ efficacia locale mantenuta della RFA o trattamento fallito
(TF) a un anno
Analisi statistica
Tutte le variabili sono state inserite in un foglio di lavoro di
Microsoft ExcelTM (Microsoft, Inc., Redmond, WA). Alcuni
dati (percentuali, medie, etc.) sono stati misurati mediante
calcoli semplici. Per quelli statistici è stato utilizzato il programma SAS (Statistical Analysis System v. 8.2; SAS Institute, Cary, N.C., USA); in particolare, per stabilire eventuali
correlazioni tra le variabili dimensionali e il risultato locale è
stata applicata un’analisi univariata (mediante l’“unpaired t
test” a due code per la comparazione tra medie e l’ “exact test”
di Fisher per valutare la significatività di diametri “soglia”),
mentre le curve di sopravvivenza (calcolate secondo il metodo di Kaplan-Meier) sono state stratificate per le variabili
sopra descritte, calcolando la significatività delle differenze
mediante analisi multivariata (“modello di Cox”).
Risultati
Complicanze
La mortalità peri-procedurale è risultata nulla.
Si sono verificati 9/87 eventi avversi complessivi (10%), solo
2 dei quali (2.3%) classificati come complicanze maggiori.
Nel primo caso si è trattato di una sintomatologia algica protratta con dimostrazione di trombosi del ramo portale sinistro,
mentre nel secondo caso si è sviluppata una sepsi da Serratia
temporalmente correlata con la procedura.
Efficacia locale
L’AC al primo controllo TC è stata ottenuta nel 90% dei casi
(78/87). Il 18% delle AC è recidivato durante il follow-up (5129 mesi, m 30), con TTP medio di 8 mesi.
L’AC a un anno dalla RFA è stata mantenuta in 54 delle 73
lesioni valutabili per sufficiente lunghezza del follow-up
(74%), essendo le altre 19 rappresentate da AP o da zone di
ablazione con segni di progressione locale di malattia durante
il follow-up (RL).
Stratificando il risultato in base alle dimensioni delle MTS, la
differenza tra il diametro medio delle AC a un anno (22 mm)
e quello dei TF (30 mm) è risultata estremamente significativa
(p =.0005) (fig. 1).
Anche la soglia dei 30 mm ha raggiunto un’elevata significatività statistica come fattore prognostico per l’efficacia locale
della RFA (p =.0062); infatti, la AC è stata raggiunta e mantenuta a un anno in 48/59 delle MTS con diametro <3 cm (81%)
e solo in 6/14 (43%) di quelle con diametro >3 cm (fig. 2).
Outcome
In tutti i casi di TF, ma anche nella maggior parte delle AC
mantenute, le pazienti sono state sottoposte a ulteriori terapie
sistemiche. In particolare, le TF sono state seguite da chemioterapia sistemica con i farmaci ritenuti di volta in volta adatti
alla singola paziente, associati a terapia ormonale in caso di
positività recettoriale; nelle AC con espressione recettoriale,
la terapia ormonale è stata comunque adottata, mentre solo
in quelle con AC e negatività dei recettori la chemioterapia è
stata dilazionata fino all’eventuale ripresa di malattia.
La sopravvivenza globale del gruppo di 45 pazienti incluse
nel nostro studio a 1, 2 e 3 anni è stata rispettivamente del
90, 58 e 44% (fig. 3); i decessi sono stati quasi costantemente associati a progressione sistemica (epatica ed extraepatica)
del CM metastatico, se non per 3/29 (10%) pazienti, in cui la
progressione è stata esclusivamente epatica.
Procedendo alla stratificazione delle curve di sopravvivenza
per le variabili descritte nei materiali e metodi, nessuno dei
suddetti possibili fattori prognostici di sopravvivenza (unicità della MTS al momento del trattamento, M0 alla diagnosi,
etc.) ha raggiunto la significatività statistica; in particolare,
neanche l’efficacia locale della RFA mantenuta a un anno dal
trattamento ha mostrato una correlazione predittiva della sopravvivenza a tre anni delle pazienti (p =.3824; HR 0.578,
CI95% 0.169-1.976) (fig. 4).
Discussione
Il CM è la seconda causa di morte per le donne nei paesi occidentali (6), con elevata tendenza alla disseminazione a distanza; le principali sedi di MTS sono ossa, fegato e polmoni. Più
del 50% delle donne affette da CM sviluppa MTS epatiche,
ma solo il 5%–18% delle pazienti ha una malattia metastatica
confinata al fegato (7); infatti, anche nella nostra casistica,
pur selezionata per il trattamento della malattia epatica, quasi
la metà delle pazienti aveva MTS extraepatiche. Se non sottoposte a nessun trattamento, la sopravvivenza mediana di
queste pazienti è di soli 4-8 mesi (6); in generale, quindi, il
CM metastatico deve essere trattato e chemioterapia e/o ormonoterapia sistemica rappresentano la terapia standard (8);
anche così, nelle serie storiche, la sopravvivenza raramente
supera i 2 anni (9). Anche per la tossicità della chemioterapia, è sempre più frequente che pazienti con malattia epatica limitata (all’esordio o residua dopo terapia standard), ed
eventuale malattia extraepatica controllata, necessitino di un
trattamento locale da integrare nell’ambito della più ampia
strategia terapeutica, con un approccio cosiddetto multimodale; la maggior parte delle pazienti, però, non viene candidata
a un intervento chirurgico per espressa scelta dell’oncologo o
della paziente stessa, basata sulle condizioni generali, l’età,
lo stato avanzato della malattia o altre controindicazioni. Per
questo motivo, negli ultimi anni si è sviluppato un crescente
interesse per le terapie ablative, con l’obiettivo di gestire una
determinata fase della malattia e la speranza di migliorare la
prognosi delle pazienti.
Nella nostra serie le indicazioni alla RFA epatica hanno ricalcato quanto detto finora; ciò nonostante ci è parso utile quantificare i risultati finora ottenuti, per chiarire i rischi e l’utilità
di tale terapia. In analogia ad altri studi precedenti, abbiamo
pertanto valutato dapprima le complicanze e l’efficacia locale
246
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249
Fig. 1 Diametro medio (+/- DS) delle MTS con AC mantenuta a un anno dalla RFA (22 +/- 7.4 mm) confrontato con il diametro medio di quelle in cui il trattamento è fallito (per AP o RL) (30 +/- 10 mm): all’analisi statistica la differenza risulta estremamente significativa (p =.0005; HR 7.965, CI95% 3.646-12.284).
Fig. 2 La soglia dei 30 mm è statisticamente molto significativa (p =.0062; HR 1.535, CI95% 1.034-2.279) come fattore prognostico per l’efficacia locale della
RFA: le AC mantenute a un anno raggiungono l’81% per le MTS con diametro <3 cm, mentre sono solo il 43% in quelle con diametro >3 cm.
247
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249
della RFA, intesa come AC evidenziata alla TC con mdc al
primo controllo e a medio termine. L’incidenza delle complicanze maggiori (2.3%) è quella prevista nelle ampie casistiche già pubblicate sulle RFA delle MTS epatiche (8). Quanto
all’efficacia locale, i nostri risultati al primo controllo (90% di
AC) sono sostanzialmente in linea con quelli presenti nei non
numerosi studi in letteratura, nei quali l’AC varia dal 79% al
96% (8, 10-14). Quanto all’efficacia locale (AC mantenuta) a
un anno, non è stato possibile ritrovare risultati specifici pubblicati confrontabili con il nostro dato (74%).
Nella ricerca di fattori che influenzino la medesima efficacia
locale, in letteratura vengono elencate diverse variabili, tra
cui le dimensioni del tumore e la vicinanza ai rami di maggior calibro delle vene epatiche e della vena porta (15). Anche
alla nostra analisi statistica, le dimensioni hanno raggiunto la
significatività come fattore predittivo dell’efficacia locale; in
particolare, la soglia dei 30 mm ricalca quella già dimostratasi
discriminante per il raggiungimento della AC di altre MTS
epatiche (es. da CRC) [16], essendo legata alle potenzialità
della apparecchiature utilizzate (zona di ablazione massima 5
cm, includente 1 cm di margine di sicurezza).
Trattando dell’impatto della RFA delle MTS epatiche da CM
sulla sopravvivenza delle pazienti, i nostri risultati si attestano
tra quelli migliori riportati in letteratura per quanto concerne
la sopravvivenza a 1 anno (90% nella nostra serie, dal 64 al
92% in altre casistiche) (8, 11), mentre per quella a 3 anni ci
avviciniamo ai dati peggiori (43.9%, laddove in letteratura si
varia dal 41.6 al 70%) (4, 14). Al di là del ridotto significato
per la scarsa numerosità del campione, questi risultati sono più
difficili da interpretare: data la non significatività statistica della AC mantenuta come fattore predittivo di sopravvivenza a 3
Fig. 3 Curva di sopravvivenza complessiva fino a 3 anni dalla RFA.
Tabella 1 Sinossi delle principali serie chirurgiche sulla metastasectomia e casistiche di RFA in pazienti affette da MTS epatiche da CM
PRIMO AUTORE
N°PAZIENTI RESECATE
MORTALITA’ (%)
COMPLICANZE (%)
Pocard17
49
0
12
Selzner18
17
6
6
Elias19
54
0
13
Ercolani20
21
0
21
Weitz21
29
0
33
Adam22
85
0
22
23
20
4
39
Kollmar24
27
0
0
Thelen25
39
0
13
Hoffman26
41
0
44
PRIMO AUTORE
N°PAZIENTI RFA
MORTALITA’ (%)
Livraghi10
24
0
0
Lawes4
19
0
0
Sofocleous14
12
0
0
Meloni8
52
0
4
Carrafiello15
13
0
0
Reddy
COMPLICANZE
MAGGIORI (%)
248
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Fig. 4 Curve di sopravvivenza stratificate per AC mantenuta a un anno versus
TF: l’efficacia locale della RFA non mostra correlazione statistica con una
maggior sopravvivenza a tre anni (p =n.s.).
anni, ci pare comunque che la sopravvivenza possa dipendere
più da altre variabili, come l’inefficacia della terapia sistemica e
la conseguente progressione tumorale generalizzata. Come illustrato nei Risultati, infatti, la grande maggioranza delle pazienti è deceduta con progressione di malattia anche extraepatica,
dopo essere state pressochè costantemente sottoposte a terapie
sistemiche fino alla dimostrazione della loro incapacità di arrestare la malattia (o alla loro interruzione per eccessiva tossicità).
Rimanendo quindi alla RFA epatica come terapia locale utile a gestire una determinata fase della malattia metastatica,
possiamo quindi concludere con due ulteriori considerazioni.
La prima riguarda la RFA come alternativa alla resezione: in
primis, come già detto, una buona parte delle pazienti non è
candidabile all’intervento chirurgico; inoltre, da un confronto
con le maggiori serie chirurgiche, emerge che la RFA epatica presenta un minor tasso di mortalità periprocedurale e di
complicanze (tabella 1); infine, rispetto alla chirurgia, la RFA
offre indubbi vantaggi per quanto riguarda tempi di ospedalizzazione e costi. D’altra parte, proprio per la scarsa efficacia
locale della RFA nelle MTS con diametro superiore a 3 cm, la
chirurgia rimane preferibile nelle lesioni più grandi. Quanto
alle indicazioni cliniche della stessa metastasectomia, una recente revisione della letteratura tenta di formulare raccomandazioni in pazienti selezionate (pazienti giovani, basso rischio
operatorio, lungo intervallo tra intervento chirurgico per CM
e riscontro di metastasi epatiche, positività dei recettori ormonali del tumore primitivo, assenza di malattia extraepatica,
dimostrata regressione o stabilità di malattia con terapie sistemiche prima della resezione, indici di funzionalità epatica
normali, intervento con intento di completa resezione delle
MTS epatiche); per i molti limiti dei pochi studi pubblicati,
comunque, anche l’impatto della chirurgia sulla sopravvivenza viene prospettato solo in termini potenziali [3].
L’ultima considerazione è che, anche alla luce della mancata correlazione tra efficacia locale e sopravvivenza, la RFA
epatica non dovrebbe essere utilizzata come unico trattamento
della malattia metastatica da CM; per incidere positivamente
sulla sopravvivenza a medio termine, infatti, è necessario basarsi su un approccio terapeutico sistemico. Tuttavia, essa può
essere proposta in alternativa alla chirurgia nell’ambito di una
strategia multimodale, essendo sicura ed efficace nell’ottenere il controllo locale della malattia limitata, specie quando sia
necessario “alleggerire” la terapia sistemica, anche per migliorare la qualità di vita delle pazienti.
Conclusioni
La RFA delle MTS epatiche da carcinoma della mammella
non è determinante per la sopravvivenza a medio termine delle pazienti, ma può essere utilizzata come trattamento locale
integrato nel contesto di una strategia terapeutica multimodale della malattia; inoltre, date la minore invasività e l’elevata
efficacia nelle lesioni fino a 30 mm, essa dovrebbe essere preferita alla chirurgia in caso di MTS epatiche mono o paucinodulari di piccole dimensioni.
Per citare questo articolo:
Veltri A, Gazzera C, Barrera M, Busso M, Solitro F, Filippini C, Garetto I (2013) Radiofrequency thermal ablation (RFA) of hepatic
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La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
RADIOLOGIA TORACICA
xxx
Pattern TC ad alta risoluzione tipico e atipico nella sarcoidosi
polmonare: relazione con l’evoluzione clinica e la risposta
alla terapia
R. Polverosi1, R. Russo1,2, A. Coran2, C. Giraudo2, A. Battista3, C. Agostini3, F. Pomerri2,4
1
UOC Radiologia, Ospedale S. Donà di Piave, Via N. Sauro, 30027 S. Donà di Piave (VE), Italia
Istituto di Radiologia, Dipartimento di Medicina, Università di Padova, Via N. Giustiniani, 35128 Padova, Italia
3
Istituto di Ematologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina, Università di Padova, Via N. Giustiniani, 35128 Padova, Italia
4
Radiologia Oncologica, IOV, IRCSS, Via Gattamelata, 35128 Padova, Italia
2
Indirizzo Autore: R. Polverosi, Tel.: +39-0421-227605, Fax: +39-0421-227607, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 30 Agosto 2012 / Accettato: 28 Maggio 2013
Riassunto
Introduzione
Obiettivi. Valutare l’importanza dell’utilizzo della tomografia computerizzata del torace ad alta risoluzione (HRCT) nel
definire pattern ed estensione della sarcoidosi e nello stabilire
l’iter clinico-terapeutico.
La sarcoidosi è una malattia granulomatosa multisistemica,
ad eziologia sconosciuta. La malattia è ubiquitaria e interessa
entrambi i sessi, di qualsiasi razza ed età, sia pure con una
lieve prevalenza nelle donne di colore.
Normalmente colpisce adulti con meno di 40 anni, con un picco di incidenza tra i 20 ed i 40 anni. In alcuni paesi è stato documentato un secondo picco nelle donne oltre i 50 anni d’età.
In Italia si stimano circa 10 casi ogni 100.000 abitanti [1].
Il coinvolgimento toracico con adenomegalie ilari è la manifestazione più frequente, seguita da alterazioni oculari e
cutanee, senza poter escludere lesioni a carico di altri organi (fegato, milza, ghiandole salivari, cuore, sistema nervoso,
muscoli, osso).
La diagnosi si pone quando il quadro clinico- radiologico è
supportato dall’evidenza istologica di cellule granulomatose
epitelioidi abitualmente senza necrosi caseosa. Il decorso e la
prognosi possono essere correlati con l’esordio e con l’estensione della patologia.
Un esordio acuto solo con eritema nodoso o una linfoadenopatia ilare bilaterale asintomantica, possono essere predittivi
di un andamento auto-limitante; mentre un esordio insidioso,
specialmente con lesioni extrapolmonari multiple, può essere
seguito da un’inesorabile progressiva fibrosi sia polmonare
che di altri organi. La mortalità complessiva da sarcoidosi varia dall’1 al 5% [2,3,4].
L’imaging ha il ruolo di confermare il sospetto clinico. La radiografia del torace è normalmente il primo esame effettuato
in questi pazienti, ma l’HRCT ha una sensibilità pari al 95%
e una specificità del 99% e permette di identificare precocemente alterazioni parenchimali che talvolta non sono visibili
con la radiografia convenzionale [5,6].
Infatti, nel 15% dei pazienti sintomatici la radiografia del torace può essere del tutto negativa, a fronte di un quadro TC
alterato [7]. Classicamente la sarcoidosi viene suddivisa in
stadi basati sul riconoscimento di alterazioni interstiziali e
adenopatie ilo-mediastiniche, da sole o in associazione, rico-
Materiali e metodi. E’ stata eseguita un’analisi retrospettiva
di 56 pazienti affetti da sarcoidosi polmonare. Sono stati individuati due gruppi: 39 pazienti con pattern radiologico HRCT
tipico e 17 con quadro radiologico atipico.
Criteri d’inclusione sono stati la presenza di documentazione
radiologica (HRCT) di malattia, un follow up clinico-radiologico di un anno e l’inizio dell’eventuale terapia entro un mese
dalla diagnosi.
Risultati. Nei soggetti non in terapia, il confronto tra i due
gruppi ha dimostrato che nei soggetti con pattern tipico il quadro radiologico è rimasto stabile, mentre un peggioramento radiologico si è osservato in più del 70% dei casi con aspetti atipici. La terapia è risultata più efficace nei pazienti con aspetti
radiologici tipici. In entrambi i gruppi sono state documentate
recidive, soprattutto nei tipici. Un paziente non in trattamento
ha presentato peggioramento clinico. Rivalutando il quadro
HRCT entro un anno dall’esordio non è emersa correlazione
tra peggioramento clinico e modificazioni radiologiche.
Conclusioni. I dati emersi suggeriscono che la persistenza
del processo infiammatorio piuttosto che il quadro radiologico all’esordio rappresenti un fattore prognostico di recidiva.
Parole chiave: Sarcoidosi, sarcoidosi nodulare, HRCT
251
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
noscibili con il radiogramma del torace (stadio 0: torace normale; stadio I: adenopatie ilari bilaterali, che possono essere
accompagnate da adenopatia paratracheale senza alterazioni
interstiziali; stadio II: adenopatie ilari bilaterali accompagnate da interstiziopatia; stadio III: interstiziopatia parenchimale
senza adenopatie ilari; stadio IV: fibrosi con evidenza di polmone ad alveare) [1,7].
L’indicazione alla terapia è molto controversa. Infatti, remissioni spontanee si verificano in circa i 2/3 dei pazienti, mentre
il decorso è cronico e progressivo in 10-30% dei pazienti [4].
Per queste considerazioni generalmente nei pazienti in stadio I
all’esordio la terapia non è indicata mentre, nei pazienti in
stadio II e III, va iniziata solo in caso di grave compromissione funzionale di uno o più organi all’esordio e/o in caso di
progressione; anche nei pazienti in stadio II o III asintomatici
è possibile seguire il paziente senza terapia, solo attraverso un
monitoraggio clinico serrato [8].
Scopo di questo studio è valutare se il pattern radiologico di
presentazione della sarcoidosi polmonare possa rappresentare un indice prognostico di evoluzione clinica sia nei pazienti che ricevono una terapia specifica all’esordio come pure
in soggetti che non la ricevono. In particolare, lo studio si
propone di valutare l’incidenza delle forme tipiche rispetto
a quelle atipiche e le possibili differenze nell’evoluzione clinica/radiologica dei due gruppi e se la terapia farmacologica
possa modificare l’evoluzione della malattia in base al tipo di
pattern radiologico.
Materiali e metodi
E’ stata retrospettivamente analizzata la documentazione
clinico-radiologica di circa 350 soggetti con diagnosi documentata di sarcoidosi con coinvolgimento polmonare, valutati
presso l’Istituto di Ematologia ed Immunologia Clinica tra il
1997 e il 2010.
Per essere arruolati nello studio i pazienti dovevano essere
stati sottoposti ad HRCT sia in fase di diagnosi o di fase attiva
di malattia, confermata da esame istologico o immunofenotipico su lavaggio bronco- alveolare (BAL), sia dalla presenza
di follow up clinico-radiologico per un anno (stesso periodo
per i pazienti in terapia e per quelli non trattai) e, nei pazienti
che avevano ricevuto una terapia, l’inizio della stessa entro un
mese dalla diagnosi. Sono stati esclusi i pazienti con quadro
HRCT di fibrosi per l’irreversibilità del quadro radiologico.
Poiché la maggior parte dei soggetti nella nostra casistica avevano presentato un miglioramento clinico e radiologico nella
prima fase del follow-up, solo i pochi casi nei quali vi è stata
recidiva o peggioramento dei sintomi clinici è stata eseguita
una rivalutazione radiologica a distanza. Abbiamo quindi valutato l’evoluzione del quadro clinico-sintomatologico entro
il primo anno di follow-up in tutti i pazienti che avevano presentato un miglioramento o stabilità al controllo. Nei pazienti
con recidiva clinica nei quali era disponibile rivalutazione radiologica abbiamo valutato la correlazione tra peggioramento
clinico e quadro radiologico.
Sulla base dei criteri prestabiliti sono stati inclusi nello studio
56 pazienti (23 maschi e 33 femmine; età media 49.8 anni,
range 29-72, tutti europei).
In 50 pazienti la diagnosi di sarcoidosi era stata confermata
istologicamente, mentre in 6 casi era stato eseguito solo il lavaggio bronco-alveolare.
Gli esami HRCT revisionati sono stati eseguiti in diversi centri radiologici, sia con tecnica standard (scansioni di 1 mm. di
spessore con intervallo di 10 mm) che con quella volumetrica (con ricostruzione delle immagini con spessore che varia
da 0-6 a 1.5 mm, utilizzando un kernel ad alta risoluzione).
Sulla base del pattern radiologico documentato con l’HRCT,
i pazienti sono stati suddivisi in soggetti affetti da sarcoidosi
polmonare tipica o atipica [9] (Tabella 1).
Nel caso di sarcoidosi tipica, i quadri HRCT presi in considerazione sono stati:
1. pattern solo linfonodale (con coinvolgimento bilaterale
simmetrico di linfonodi ilari e/o mediastinici prevalentemente
paratracheali a destra);
2. presenza di alterazioni parenchimali reticolo-nodulari: micronoduli (diametro 1-4 mm), con distribuzione perilinfatica,
simmetrica e prevalentemente coinvolgente i lobi superiori e
medi, con possibile confluenza dei noduli.
3. presenza di vetro smerigliato associato al quadro retico-
Tabella 1 Caratteristiche HRCT tipiche e atipiche di sarcoidosi polmonare in 56 pazienti
Caratteristiche tipiche (39 pazienti)
Linfoadenopatie: ilare, bilaterale, simmetrica e mediastinica (paratracheale destra) (quando presenti)
Noduli: micronoduli (1-4 mm, ben definiti, bilaterali), anche confluenti
Distribuzione perilinfatica: peribroncovascolare, subpleurica, setti interlobulari
Ispessimento dei setti interlobulari
Predominanza ai lobi superiori e medi
Vetro smerigliato associato al quadro reticolo-nodulare.
Caratteristiche atipiche (17 pazienti)
Masse o noduli solitari (1-4 cm, irregolari, ben delimitate, multiple e bilaterali), anche con broncogramma aereo
Segno della galassia
Linfoadenopatie: come nella forma tipica
252
lo-nodulare. Nel caso di sarcoidosi atipica, il quadro HRCT
preso in considerazione è stato la presenza di noduli o masse
(definite alle immagini TC come opacità irregolari ben delimitate, di 1-4 cm di diametro), associate o meno a linfoadenopatia. Queste lesioni sono tipicamente multiple e bilaterali
e possono essere localizzate nelle regioni peri- ilari o periferiche, talvolta associate a broncogramma aereo.
Alla periferia di tali masse spesso sono visibili piccoli noduli satelliti che danno origine al caratteristico aspetto definito
“segno della galassia” [10].
I due patterns principali sono stati quindi ulteriormente suddivisi in sottotipi: in 4 sottotipi per quello tipico e 2 per quello
atipico (Tabella 2)
Nel pattern tipico vengono considerate alterazioni di tipo:
ñ linfonodale (LN)
ñ linfonodale + reticolo-nodulare (LN+RN)
ñ linfonodale + reticolo-nodulare + vetro smerigliato
(LN+RN+ VS)
ñ reticolo-nodulare + vetro smerigliato (RN+VS)
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
Nel pattern atipico vengono considerate alterazioni di tipo:
ñ linfonodale + nodulare (LN+ND)
ñ nodulare (ND)
L’evoluzione del quadro radiologico è stato valutata mediante
confronto tra l’HRCT eseguita alla diagnosi ed una HRCT
eseguita entro un anno. Sulla base di tale confronto, è stato
definito il miglioramento/risoluzione del quadro, la stabilità
o il peggioramento.
I due gruppi di pazienti affetti da sarcoidosi con quadro radiologico tipico ed atipico sono stati a loro volta suddivisi tra
soggetti che avevano ricevuto terapia (steroidi, antimalarici o
immunosoppressori) e soggetti non trattati.
Si è quindi presa in considerazione l’evoluzione della sintomatologia nel corso del periodo di osservazione nei pazienti
trattati ed in quelli non trattati, anche in questo caso valutando
il miglioramento/risoluzione dei sintomi, la stabilità o il peggioramento. Sono stati considerati sia sintomi polmonari che
sintomatologia extrapolmonare o sintomi associati (eritema
nodoso, uveite, calo di peso, artralgie, febbre). Per le correlazioni statistiche è stato usato il test di Fisher.
Fig. 1 Pattern radiologico nei pazienti inclusi nello studio.
Tabella 2 Pattern HRCT di sarcoidosi tipica e atipica dei pazienti esaminati
Pattern tipico (39 pazienti)
Linfonodale (LN)
Linfonodale + reticolo-nodulare (LN+RN)
Linfonodale + reticolo-nodulare + vetro smerigliato (LN+RN+ VS)
Rreticolo-nodulare + vetro smerigliato (RN+VS)
Pattern atipico (17 pazienti)
Linfonodale + nodulare (LN+ND)
Nodulare (ND)
253
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
Tabella 3 Caratteristiche dei pazienti
SARCOIDOSI
TIPICA
ATIPICA
TERAPIA
NESSUNA
TERAPIA
TERAPIA
NESSUNA
TERAPIA
Numero di pazienti
31
8
13
4
Età media (anni)
52
44
50
41
11/20
6/2
4/9
2/2
27/4
8/2
12/1
2/2
Sintomi polmonari
5
2
2
0
Sintomi polmonari+extrapolm/sist
6
1
4
0
18
5
5
4
2
0
2
0
Sesso M/F
Diagnosi su biopsia /BAL
Sintomi extrapolmonari e/o sistemici
Asintomatici
Tabella 4 Evoluzione clinica nei pazienti trattati
Risoluzione sintomatologia
Persistenza sintomatologia
Tipici
25 (80.6%)
6 (19.4%)
Atipici
10 (77%)
3 (3%)
Tabella 5 Evoluzione radiologica nei pazienti trattati
Regressione
Stabilità
Progressione
Tipici
16 (36.4%)
11 (25%)
4 (9.1%)
Atipici
3 (6.8%)
7 (15.9%)
3 (6.8%)
Regressione
Stabilità
Progressione
Tipici
3 (25%)
5 (41.67%)
0%
Atipici
1 (33%)
0%
3 (25%)
Tabella 6 Evoluzione radiologica nei pazienti non trattati
Risultati
ñ LN+RN+VS in 5 pazienti (12,8%);
ñ RN+VS in 1 paziente (2,6%).
Sulla base dei criteri prestabiliti sono stati inclusi nello studio
56 pazienti (23 maschi e 33 femmine; età media 49.8 anni, range 29-72, tutti europei). Di questi, 39 (69.6%) presentavano
all’esordio un quadro radiologico di sarcoidosi polmonare tipica, mentre in 17 (30.3%) era presente un pattern atipico. Considerando i sottotipi, i 2 gruppi sono stati così suddivisi (Fig 1):
Pattern tipico con le seguenti alterazioni:
LN in 11 pazienti (28,2%);
ñ LN+RN in 22 pazienti (56,4%);
Pattern atipico con le seguenti alterazioni:
ñ LN+ND in 16 pazienti (94,1%);
ñ ND in 1 paziente (5,9 %).
Tra i 39 pazienti affetti da sarcoidosi con pattern radiologico
tipico, 7 casi (17.9%) erano esorditi con sintomi polmonari
(dispnea, dolore toracico, tosse), 23 (58.9%) con manifestazioni extrapolmonari/sistemiche (eritema nodoso, uveite, calo
di peso, artralgie, febbre), mentre in 7 pazienti (17.9%) erano
254
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
presenti sintomi sia polmonari che extrapolmonari. 2 pazienti
(5.1%) non presentavano sintomi e il sospetto diagnostico era
emerso per il riscontro di allargamento mediastinico ad una
radiografia convenzionale del torace eseguita in assenza di
sintomi tipici.
Nel gruppo di pazienti affetti da sarcoidosi con pattern radiologico atipico (17 pazienti), 2 pazienti (11.7%) erano esorditi
con sintomi polmonari, 9 pazienti (52.9%) con manifestazioni extrapolmonari/sistemiche, 4 pazienti (23.5%) con sintomi
sia polmonari che extrapolmonari, mentre 2 pazienti (11.7%)
erano asintomatici.
Le caratteristiche cliniche delle popolazioni studiate sono riassunte nella tabella 3.
Nel complesso 44 pazienti su 56 (78.5%) hanno ricevuto uno
schema di terapia specifico (corticosteroidi, idrossiclorochina
o clorochina, methotrexate, singolarmente o in associazione)
Tra i pazienti con quadro radiologico tipico, 31 (79.4%) avevano ricevuto terapia specifica, una percentuale simile a quella
dei 13 pazienti trattati nel gruppo con pattern atipico (76.4%).
12 pazienti (8 tipici e 4 atipici) non avevano ricevuto alcuna
terapia ed erano stati sottoposti unicamente a follow-up clinico-radiologico. Dall’analisi della casistica è emerso come la
scelta del diverso trattamento farmacologico sia stata guidata
dalla sintomatologia riferita dai pazienti e dall’interessamento
di organi specifici.
Dal punto di vista della evoluzione clinica in 10 (83.3%) dei
12 pazienti che non avevano ricevuto trattamento specifico,
la sintomatologia è regredita spontaneamente, sia per quanto
riguarda la forma tipica che la forma atipica. Solo due pazienti, affetti da sarcoidosi tipica, i quali all’esordio lamentavano
tosse stizzosa, hanno riferito un miglioramento della sintoma-
tologia, ma non una completa regressione.
Nel gruppo di pazienti con pattern tipico trattati con terapia
specifica, 25 pazienti (80.6%) hanno dimostrato risoluzione
della sintomatologia mentre in 6 casi (19.4%) veniva riferito
scarso beneficio dalla terapia. In 2 casi (6.4%) persistevano
sintomi respiratori, sintomi sistemici in altri 2 pazienti, entrambi i sintomi in 2 pazienti. Per quanto riguarda i 13 pazienti con sarcoidosi atipica che avevano ricevuto terapia, in 10
casi vi è stata regressione piena dei sintomi (77%) mentre in
3 (23%) casi il sintomo polmonare (dispnea) non ha mostrato
beneficio (Tabella 4).
Per quanto concerne l’evoluzione del quadro radiologico,
sono state confrontate le immagini HRCT eseguite in fase attiva di malattia con quelle eseguite nel follow-up sia nei pazienti trattati sia in quelli non trattati.
Nei 44 pazienti sottoposti a trattamento (78.6%), 19 (43.2%)
hanno dimostrato un miglioramento del quadro HRCT (16
con sarcoidosi tipica e 3 con sarcoidosi atipica) (Figura 2),
mentre un quadro di stabilità è stato rilevato in 18 pazienti
(40.9%, 11 tipiche e 7 atipiche) ed un quadro in evoluzione
peggiorativa in 7 pazienti (15.9%, 4 tipiche e 3 atipiche) (Tabella 5). In questo gruppo non è stata rilevata alcuna significatività statistica tra il gruppo dei pazienti tipici e quello degli
atipici in termini di evoluzione radiologica (p=ns).
Nel gruppo di 12 pazienti che non avevano ricevuto alcuna terapia specifica (21.4%) vi è stato un miglioramento del quadro
radiologico in 4 (33.3%, 3 tipiche e 1 atipica) (Figura 3), un
quadro stabile in 5 (41.6%, tutti con sarcoidosi tipica), mentre
un peggioramento è stato osservato in 3 pazienti (25%) tutti
con forma atipica (Figura 4) (Tabella 6). In questo gruppo, se
si considera il numero di pazienti con forma tipica che hanno
a
c
b
d
Fig. 2 I HRCT – Grossi addensamenti parenchimali con broncogramma aereo in entrambi i lobi superiori (a, b), anche con il segno della galassia (freccia) e
piccoli noduli con distribuzione perilinfatica (testa di freccia). II HRCT dopo un anno di terapia con idrossiclorochina e steroide e miglioramento della dispnea:
marcata riduzione degli addensamenti, ma evoluzione verso la fibrosi nella stessa sede (c,d), con bronchiettasie da trazione e retrazione delle scissure..
255
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a
c
b
d
Fig. 3 – I HRCT – Paziente asintomatico. Sarcoidosi atipica con pattern nodulare, con noduli di 5-10 mm nel lobo superiore destro (a) e inferiore omolaterale
(b). II HRCT 1 anno dopo, in assenza di terapia: marcata riduzione delle dimensione dei noduli (c,d).
dimostrato miglioramento o stabilità, e lo si confronta con il
gruppo analogo nel gruppo delle forme atipiche, la differenza
presenta significatività statistica (p=0.0182).
Quando è stata confrontata l’evoluzione radiologica tra pazienti che avevano ricevuto una terapia a confronto di quelli
che non erano stati trattati, si è osservato solo un trend a favore di una peggiore evoluzione dei pazienti atipici non trattati
vs quelli trattati (p= ns). E’ stata quindi analizzata la concordanza tra evoluzione del quadro HRCT e sintomatologia. Dei
25 pazienti con quadro radiologico tipico all’esordio che hanno dimostrato un miglioramento dei sintomi, 21 (84%) hanno
dimostrato un miglioramento o stabilità del quadro radiologico di controllo mentre in 4 casi il quadro HRCT è peggiorato.
Per quanto riguarda le forme atipiche, nei 10 pazienti che avevano riferito regressione della sintomatologia, 7 (70%) hanno
dimostrato un quadro radiologico di controllo migliorato o
stabile mentre 3 sono peggiorati.
Esaminando i pazienti non trattati, in tutti i 9 pazienti con
forma tipica e atipica nei quali vi era stata persistenza della
sintomatologia, il quadro HRCT si era dimostrato stabile o
migliorato. Si è poi analizzato nel dettaglio, nel sottogruppo
di pazienti con pattern radiologico tipico di sarcoidosi polmonare, l’andamento dei diversi patterns radiologici al fine di
valutare se vi fosse una correlazione con la prognosi .
Degli 11 pazienti con pattern radiologico solo linfonodale, 10
(90.9%) hanno presentato un miglioramento o una stabilità
(di questi 8 avevano ricevuto una terapia specifica e 2 casi
invece non erano stati trattati). 1 tra i soggetti trattati (11.1%),
avevano presentato un peggioramento radiologico al controllo a distanza, mentre nessun paziente del gruppo non trattato
aveva dimostrato progressione.
Un quadro analogo hanno presentato i soggetti con pattern
linfonodale e reticolo-nodulare. Infatti, in questo gruppo, 19
pazienti (86.4%) hanno dimostrato un miglioramento o stabilità del quadro radiologico, mentre in 3 casi (13.6%), tutti
trattati, è stata rilevata progressione (Figura 5) (Tabella 7).
In 6 pazienti è stata documentata la presenza di vetro smerigliato alla diagnosi (75%). In 4 di questi (tutti trattati) il quadro era regredito al controllo a distanza. Nei 2 pazienti non
trattati il controllo HRCT si è dimostrato stabile.
256
Tra i soggetti trattati con pattern radiologico tipico alla diagnosi, 9 casi (29%) hanno dimostrato una recidiva di sintomatologia polmonare associata o meno a sintomi extrapolmonari. In questo gruppo di pazienti non vi sono state sostanziali
variazioni all’ HRCT rispetto al precedente controllo.
1 solo caso nel gruppo dei pazienti che non avevano ricevuto
terapia specifica all’esordio ha dimostrato ripresa della sintomatologia associata a peggioramento radiologico.
Tra le forme atipiche, nei pazienti trattati, si è osservata riaccensione della sintomatologia extrapolmonare in 2 casi
(15.4%) senza modifica radiologica, mentre nessuno dei pazienti del gruppo atipico non trattato ha dimostrato progressione o ripresa della sintomatologia.
Discussione
Il quadro radiologico della sarcoidosi è ben definito nella
maggior parte dei casi e comprende linfoadenopatie ilari bilaterali, con alterazioni del parenchima polmonare, in associazione o singolarmente. Al riguardo, alterazioni caratterizzate
dalla presenza di piccoli noduli distribuiti lungo il decorso
dei vasi linfatici nei setti interlobulari (distribuzione perilinfatica), a volte lievemente ispessiti, rappresentano un quadro
radiologico tipico di sarcoidosi [11]. Tuttavia, in circa il 25-
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
30% dei casi, il quadro radiologico toracico presenta aspetti
atipici, in comune ad altre patologie come la tubercolosi, la
pneumoconiosi e forme neoplastiche, rendendo pertanto difficoltosa l’interpretazione diagnostica [12]. Precedenti studi
hanno valutato il significato prognostico delle diverse tipologie di manifestazioni radiologiche polmonari della sarcoidosi
[13,14]. In particolare, il riscontro di vetro smerigliato, noduli
e ispessimento dei setti interlobulari, rappresenta un quadro
potenzialmente reversibile, al contrario del polmone ad alveare con distorsione dell’architettura polmonare.
Non è noto se l’evoluzione di questi quadri radiologici tipici
ed atipici sia influenzata della terapia specifica della sarcoidosi e se alcuni pattern possano essere importanti nella decisione
di intraprendere o meno una terapia immunosoppressiva. Infatti, attualmente, più spesso la scelta del trattamento iniziale
è indipendente dalla presentazione radiologica e viene stabilito sulla base di altri criteri quali la sintomatologia e l’interessamento di altri organi/apparati [15,16,17,18,19].
Le manifestazioni atipiche riscontrate nel gruppo di pazienti
da noi valutato sono rappresentate da noduli, masse o addensamenti parenchimali, tutte manifestazioni che sono considerate potenzialmente reversibili con la terapia. I noduli polmonari con diametro compreso tra 1 e 4 cm sono presenti nel 1525% dei pazienti [9,10]. I risultati principali che emergono dal
nostro studio dimostrano la presenza di un quadro radiologico
a
c
b
Fig. 4 I HRCT – Paziente asintomatico. Noduli di 2 e 5 mm in entrambi
i lobi superiori (a, frecce). Minimo ispessimento nodulare dei setti nel
segmento apicale del lobo superiore destro e noduli lungo le scissure nei
lobi superiori bilateralmente (b, freccia). Numerosi linfonodi sono riconoscibili in sede paratracheale destra e nella finestra aorto-polmonare (teste di
freccia). II HRCT un anno dopo, in assenza di terapia. Comparsa di un altro
nodo nel lobo superiore destro (c, freccia) e aumento del pattern nodulare
perilinfatico in sede apicale destra.
d
257
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259
Fig. 5 I HRCT. Paziente con dispnea e tosse secca. Pattern tipico con noduli perilinfatici nei lobi superiori, tendenti alla confluenza in sede parailare sinistra
(a,b). Numerose adenopatie mediastiniche bilaterali (frecce). II HRCT, 2 anni dopo in terapia con steroidi e persistenza della sintomatologia. Marcato aumento
del pattern nodulare (c) con iniziale riduzione di volume del lobo superiore destro (d).
Tabella 7 Evoluzione dei pattern radiologici tipici in base alla terapia
TOTALE
TRATTATI
NON TRATTATI
LN
11
Migliorato
3
2
1
Stabile
7
6
1
Peggiorato
1
1
0
RN + LN
22
Migliorato
12
10
2
Stabile
7
5
2
peggiorato
3
3
0
RN + GG +/-LN
6
Migliorato/risolto
4
4
0
Stabile
2
0
2
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atipico nel 30% circa dei pazienti affetti da sarcoidosi polmonare, quindi in accordo con la letteratura [9]. Sia nei pazienti
con HRCT tipica che atipica la terapia è risultata efficace nel
controllare la sintomatologia sistemica in circa l’80% dei casi.
Questo sembra essere avvalorato anche dallo studio di Fazzi e
coll. del 2003, in cui venivano usati corticosteroidi in associazione o meno ad altri farmaci, tipo metatrexate o clorochina,
qualora fossero presenti sintomi specifici [16].
La presenza di un quadro clinico che renda necessaria terapia
specifica rappresenta un fattore di rischio per recidiva di maggior importanza rispetto al quadro radiologico d’esordio. Se
analizziamo l’efficacia della terapia sull’evoluzione radiologica emerge come la terapia immunosoppressiva sia risultata
più efficace nei casi tipici, determinandone il miglioramento
in più del 50% dei casi contro il 20% dei casi atipici, nei quali
nella maggior parte dei casi si è ottenuta solo una stabilità.
Altro dato d’interesse, pur nella limitatezza della sua interpretazione legata al numero di casi, è rappresentato dai soggetti
che non avevano ricevuto trattamento immunosoppressivo,
nei quali il quadro radiologico è rimasto perlomeno stabile
nella maggior parte dei casi.
Al contrario, più del 70% dei pazienti con aspetti atipici all’esordio ha dimostrato peggioramento radiologico in assenza di
trattamento.
Questo risultato potrebbe suggerire che intraprendere una terapia specifica nei pazienti con pattern radiologico atipico,
indipendentemente dalla sintomatologia clinica riferita dal
paziente e anche in assenza di coinvolgimento di altri organi/
apparati, possa rivelarsi sin dall’esordio utile per evitare una
progressione polmonare. Per quanto riguarda le forme tipiche,
l’opportunità di trattamento dovrebbe invece essere stabilita
sulla base di altri parametri clinici, in quanto le probabilità di
recidiva non sono assolutamente correlate al pattern radiologico.
Analizzando poi le diverse presentazioni del pattern tipico,
non sono emerse sostanziali differenze nell’evoluzione delle
forme esclusivamente linfonodali, da quelle con interessa-
mento parenchimale (reticolo-nodulare e vetro smerigliato).
Anche la presenza di vetro smerigliato non sembra influenzare negativamente la prognosi. Infatti, nella nostra casistica,
tale quadro è rimasto stabile in pazienti non trattati, e si è vista completa risoluzione dopo terapia specifica. Quest’ultimo
dato è in accordo con l’osservazione di Murdoch e collaboratori [13] circa l’identificazione di lesioni polmonari potenzialmente reversibili.
Al contrario, il nostro dato si discosta da uno studio più recente [14] il quale avrebbe identificato la presenza di vetro smerigliato come lesione evolutiva verso un quadro di polmone
ad alveare. Anche per quanto riguarda la sintomatologia, sia
nei casi tipici che in quelli atipici, il trattamento immunosoppressivo ha determinato miglioramento clinico, talora con risoluzione completa dei sintomi presentati all’esordio in circa
l’80% dei pazienti. Per quanto riguarda le recidive a distanza,
i nostri dati suggeriscono che le recidive radiologiche sono
sostanzialmente basse mentre sono significative le recidive
cliniche sia nei soggetti con aspetti tipici che in quelli con
quadro atipico alla diagnosi.
In conclusione, la ricaduta o il peggioramento clinico non
sono sempre indicativi di evoluzione radiologica polmonare, ma devono essere contestualizzati nel quadro clinico del
paziente. Infatti dalla nostra casistica le recidive si sono osservate principalmente nel gruppo che aveva ricevuto terapia
specifica, indipendentemente dalle forme tipiche o atipiche,
dato che suggerisce che il quadro clinico iniziale, insieme a
quello radiologico, identifichi correttamente pazienti che necessitano di terapia e che presentano un rischio maggiore di
ricaduta. Particolare attenzione si deve prestare in quei pazienti nei quali la sintomatologia d’esordio sia lieve ma che
presentino un quadro radiologico atipico, nei quali la terapia
si è mostrata efficace nel controllare sia l’evoluzione che le
eventuali ricadute.
Quindi l’HRCT non va eseguita di routine nel follow up del
paziente con sarcoidosi, ma solo quando un peggioramento
clinico ne giustifica la decisione.
Per citare questo articolo:
Polverosi R, Russo R, Coran A, Giraudo C, Battista A, Agostini C, Pomerri F (2013) Typical and atypical pattern of pulmonary sarcoidosis
at high-resolution CT: relation to clinical evolution and therapeutic procedures. Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/
s11547-013-0356-x
La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266
xxx
NEURORADIOLOGIA
Spazi di Virchow-Robin dilatati e Sclerosi Multipla:
studio con Risonanza Magnetica 3T
R. Conforti1, M. Cirillo1, P. P. Saturnino1, A. Gallo2, M. R. Sacco2,
A. Negro1, A. Paccone3, G. Caiazzo4, A. Bisecco2, S. Bonavita2, S. Cirillo1
1
UOC Neuroradiologia, DAI di Diagnostica per Immagini e Radioterapia, AOU Seconda Università degli Studi di Napoli
C/o CTO Viale dei Colli Aminei 21, Napoli, Italia
2
II Clinica Neurologica, AOU Seconda Università degli Studi di Napoli, Piazza L. Miraglia, Napoli, Italia
3
Centro Alti Studi di Risonanza Magnetica, Federazione Italiana Sclerosi Multipla, Seconda Università di Napoli (FISM-SUN), Clinica Hermitage,
Via Cupa le Tozzole, Napoli, Italia
4
Dottorato in Neuroscienze, Seconda Università degli Studi di Napoli, Piazza L.Miraglia, Napoli, Italia
Indirizzo Autore: R. Conforti, Tel.: 081 2545561, Fax: 081 7414288, e-mail: [email protected]
Ricevuto: 3 Ottobre 2012 /Accettato: 31 Gennaio 2013
Riassunto
Introduzione
Obiettivo. Scopo dello studio è valutare differenze di presenza, dimensioni, numero e sede degli spazi di Virchow-Robin
dilatati (SVRd), tra pazienti con Sclerosi Multipla(SM), in
fase non acuta, e soggetti sani di controllo e tra pazienti affetti da forme invalidanti (SMi) o non invalidanti (SMni) di
malattia.
Gli spazi di Virchow-Robin (SVR) sono canalicoli circondati
da pia madre, contenenti liquido interstiziale, che accompagnano i piccoli vasi nel decorso intracerebrale nello spazio
sub aracnoideo e possono essere implicati in processi infiammatori cerebrali [1, 2]. Possono essere bilaterali e simmetrici
[3] o asimmetrici [4]. Il loro riscontro in studi RM è un reperto fisiologico, presente, secondo alcuni autori [5,6,7], nel
100% dei soggetti.
Si definisce dilatato lo SVR di asse minimo superiore a 2mm
[5,8] o, secondo alcuni autori, maggiore di 3 millimetri [6].
Le cause, la storia naturale, il significato e le implicazioni cliniche della modificazione di forma e dimensioni degli SVR,
sono tuttora sconosciuti [1,9,10] e oggetto di controversie [11].
Occasionalmente possono avere aspetto atipico, con dimensioni giganti (>1.5cm), ed esercitare effetto massa con secondaria alterazione della dinamica liquorale [12, 13, 14, 15, 16].
Sono stati suggeriti vari meccanismi come possibili responsabili della dilatazione degli SVR[5], quali: modificazione della
permeabilità della parete arteriosa dei vasi che circondano [4,
9,10] disturbi del circolo liquorale [3, 4, 6, 10, 12], allungamento spiroidale dei vasi sanguigni [4, 9, 10, 12], atrofia cerebrale [10] con fenomeno ex vacuo [4, 9, 12] o perdita di
mielina [12].
Topograficamente si distinguono tre differenti sedi di SVRd
[6]: il tipo I, più frequente [12], in corrispondenza della sostanza perforata e della commissura anteriore [2, 4, 5, 6, 8, 12,
13,]; il tipo II, in corrispondenza della sostanza bianca della
convessità e dei centri semiovali [2, 5, 6, 8, 13]; tipo III, in
sede mesencefalica [6, 13].
Gli SVR partecipano all’omeostasi dei fluidi interstiziali cerebrali [12] e alla sorveglianza immunitaria del Sistema Nervoso Centrale [13]. Per tale motivo il loro numero e le loro dimensioni possono modificarsi nelle patologie infiammatorie
come la sclerosi multipla (SM) [1, 2, 10].
Studi istopatologici [17,18] hanno evidenziato SVRd contenenti infiltrati leucocitari attorno alle lesioni infiammatorie
Materiali e Metodi. Lo studio è stato eseguito analizzando in
modo retrospettivo gli esami di Risonanza Magnetica (RM) 3
Tesla (T) eseguiti a 40 pazienti affetti da SM e a 30 soggetti
sani (equivalenti per età, scolarità e sesso). I dati sono stati
esaminati con software MIPAV (Medical Image Processing,
Analysis and Visualization) per gli SVRd e FSL SIENA-X
per misurarare l’atrofia cerebrale globale (ACG) espressa
come (Brain Parenchima Fraction) BPF.
Risultati. I pazienti con SM presentano numero (p<0.011),
area (p<0.0073) e volume (p<0.0071) degli SVRd significativamente maggiori dei controlli e con una maggiore prevalenza in sedi atipiche (p<0.0069). Non si documentano differenze significative intra-gruppo, tra le diverse forme di malattia
(SMi vs SMni). Numero e dimensioni degli SVRd non correlano con l’ACG.
Conclusioni. I nostri risultati confermano i dati della letteratura circa l’incremento degli SVRd nella SM, in stadi non
acuti di malattia, supportando il ruolo immunitario degli SVR
nel Sistema Nervoso Centrale (SNC). L’indipendenza degli
SVRd dal grado di ACG e la loro prevalente localizzazione
in sedi atipiche, nei pazienti con SM, rendono gli SVRd un
potenziale marker di malattia infiammatoria-demielinizzante.
Parola chiave Spazi Perivascolari; Spazi di Virchow-Robin;Sclerosi Multipla; RM
261
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266
croniche attive della SM. Scopo del nostro lavoro è evidenziare eventuali differenze quantitative, volumetriche e di
localizzazione, degli SVRd, tra i pazienti affetti da SM Relapsing-Remitting (SMRR), in fase non acuta, rispetto a un
gruppo di volontari sani.
A seconda della gravità della malattia i pazienti SM sono stati
successivamente suddivisi, mediante la Expanded Disability
Status Scale (EDSS), in due differenti gruppi, demograficamente corrispondenti, con forma non invalidante (SMni) e
con forma invalidante (SMi) di malattia.
Materiali e metodi
Abbiamo esaminato, retrospettivamente, studi RM di 40 pazienti affetti da SM, secondo i criteri di McDonald, e di 30
volontari sani consecutivamente arruolati dal gennaio 2009 al
dicembre 2011.
Nella tabella 1, sono riassunti i dati clinico-demografici dei
pazienti (età media 42.7±8.0 – M/F=12/28) e dei volontari
sani (età media 42.8±8.9 – M/F=13/17).
Tutti i soggetti sono stati sottoposti a raccolta anamnestica clinico-demografica e visita neurologica, con valutazione della
disabilità utilizzando la scala EDSS.
Il criterio d’inclusione, per i pazienti, è stato la diagnosi di
malattia da almeno 10 anni. I criteri di esclusione sono stati:
ricadute in atto o verificatesi nel mese precedente all’esame,
terapia corticosteroidea nel mese precedente, presenza di altre
patologie neurologiche, controindicazioni all’esecuzione della RM. I criteri di esclusione, per i volontari sani, sono stati:
presenza di patologie neurologiche, presenza di alterazioni
all’esame RM, controindicazioni alla esecuzione della RM.
Dei quaranta pazienti con SM-RR, ventuno presentavano malattia non invalidante (EDSS<3.0) e diciannove malattia invalidante (EDSS>4).
Tutti i Soggetti avevano firmato un consenso informato. Il
protocollo di studio è stato approvato dal Comitato Etico locale, in accordo con gli standard etici espressi nella Dichiarazione di Helsinki del 1964.
Protocollo RM
Lo studio RM è stato eseguito con magnete ad alto campo 3
Tesla SIGNA (General Electric HDXT. Milwaukee – Wisconsin - USA), mediante sequenze assiali FSE T2-PD (TR= 3080
ms, TE= 24.1/121 ms , FOV 240x240/z, Matrice = 384x256,
NEX=2, 44 slices, thickness=3 mm, intervallo gap=0), FLAIR
( TR = 9002 ms, TE = 121 ms, TI = 2500 ms, FOV= 240x240/z,
Matrice 448x224, NEX=1, 44 slices, thickness=3mm, gap=0),
SE T1 ( TR = 400 ms, TE = 9 ms /fr, FOV 24x24/z, Matrice
384x256, 44 slices, thickness=3mm, gap=0) e con acquisizione sagittale FSPGR T1 3D (TE = 2.8, TR = 7, TI = 650, FOV
= 26x24,4, 166 slices, voxel=1,2x1,2x1mm, gap=0).
I dati RM sono stati analizzati, in doppio cieco, da due esperti radiologi, mediante analisi con software Medical Image
Processing, Analysis and Visualization (MIPAV - Center for
Information Technology, National Institutes of Health, Bethesda, Maryland).
Con questo sistema applicativo di post-processing semiautomatico, accurato e veloce, si sono identificati e valutati gli
SVRd di tutti i pazienti e di tutti i controlli, sulla base delle
loro caratteristiche morfo-volumetriche e di segnale. Gli SVR
identificati, sono stati circoscritti singolarmente e manualmente, per ciascun individuo, mediante il posizionamento di
un volume di interesse Volume of Interest (VOI), con delineazione semi-automatica dei contorni. Sono stati valutati il
numero, l’area, il volume e la sede degli SVRd, per confermarne le modificazioni già riportate in studi precedenti [2]
(Fig. 1). Abbiamo considerato anche le localizzazioni degli
SVRd, evidenziando le sedi atipiche, non inquadrabili cioè
nei tre tipi di sede standard [6].
I criteri utilizzati per le suddette valutazioni, secondo quanto
riportato in letteratura, [2,8] sono stati i seguenti: a) Morfologia: aree puntiformi o tubulari [2] più spesso sul decorso
anatomico delle arterie perforanti [8, 13] ben visibili nella sequenza FSPGR 3D T1, b) Segnale: aree isointense al liquor
[8] in T2 e in T1, ipo-isointense in FLAIR, senza modificazioni del parenchima cerebrale circostante[2,13], c) Effetto
massa: assente [8,13].
Mediante software Functional Magnetic Resonance Imaging
of the Brain (FMRIB Centre, Nuffield Dept of Clinical Neurosciences, University of Oxford, UK), con applicazione SIENAX (Structural Image Evaluation using Normalisation of
Atrophy), abbiamo elaborato le acquisizioni volumetriche T1,
ottenendo, con metodo semiautomatico, la valutazione del volume cerebrale in termini di sostanza bianca, sostanza grigia e
volume liquorale. Successivamente, abbiamo calcolato il rapporto tra le tre differenti componenti cerebrali, ottenendo la
frazione del parenchima cerebrale (rapporto BPF) espressione
del grado di atrofia cerebrale globale (ACG).
Analisi Statistica
Sono state valutate con test T-student, le differenze tra pazienti affetti da SM (SMni e SMi) e volontari sani, riguardo
volume, numero e sede degli SVRd e dell’ atrofia cerebrale.
Tabella 1 SM: pazienti Sclerosi Multipla, SMni: Sclerosi Multipla non invalidante, SMi: Sclerosi Multipla forma invalidante, DS = Deviazione Standard,
EDSS= Scala Estesa dello Stato di Disabilità, SVRd= Spazi di Virchow-Robin dilatati, ST= Sede Tipica, SA= Sede Atipica
Maschio/Femmina
Età (anni) ± D.S.
EDSS
SM
niSM
iSM
Controlli
12/28
9/12
3/16
13/17
42.7 ± 8.0
40.6 ± 8.12
44.9 ± 7.32
42.8 ± 8.9
1-6.5
1.0-3.0
4.0-6.5
0
262
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Fig. 1 Schermata di visualizzazione del sistema software MIPAV, con sequenze coregistrate T1, T2 e FLAIR e relativo ingrandimento, di uno SVRd, in sequenza T2 e T1 pesata. Nel riquadro in basso a destra sono riportati i valori delle misurazioni di area e volume dopo posizionamento di un Volume di Interesse
(VOI) ( linea rossa)..
Risultati
Fig. 2 Diagramma. SM = pazienti Sclerosi Multipla, CTR = Controlli. Differenza significativa tra numero (p=0.01) (t-test) e Volume (p=0.0071) (t-test)
di SVR d tra pazienti SM rispetto ai controlli.
Abbiamo riscontrato un numero totale di SVRd nei pazienti
con SM (64 SVRd) significativamente superiore (p= 0.011)
rispetto ai controlli (21 SVRd), sia per pazienti con SMni
(p=0.013), che SMi (p=0.035).
In particolare il 12,5% dei pazienti ha più di 4 SVRd, il 17,5%
più di 3, mentre in nessuno dei controlli sani sono stati osservati più di 2 SVRd. Inoltre, nei pazienti SM l’area e il volume
medio degli SVRd, sono significativamente superiori rispetto
ai controlli (p= 0.0073 e p= 0.0071), sia per pazienti con SMni
(p= 0.0218 e p=0.0214 ), che per quelli con SMi (p= 0.0026 e
p=0.0025). (Fig. 2) La distribuzione degli SVRd nei pazienti
con SM è, per le sedi tipiche, prevalente in corrispondenza
della Sostanza Perforata Anteriore (I tipo) rispetto alla convessità (II tipo). Non abbiamo riscontrato SVRd localizzati al
mesencefalo (III tipo). (Fig 3)
Abbiamo riscontrato una differenza statisticamente significativa (p=0.0069) della frequenza di localizzazioni di SVRd in
sedi atipiche: 34 SVRd nei pazienti SM, 1 SVRd nei controlli.
Mediante test di Ficher abbiamo riscontrato un’indipendenza
(p = 0,93 , p = 0,51) della sede degli SVRd in relazione alla
forma clinica di malattia SMni vs SMi.
In tabella 2 sono riportati in dettaglio i dati descritti.
Correlazione con l’ACG
I valori di p, inferiori a 0.05, sono stati considerati statisticamente significativi.
Per indagare la dipendenza della sede degli spazi, dall’appartenenza al gruppo tra i due sottogruppi di pazienti SM (SMni
e SMi) è stato effettuato il test di Fisher.
E’ stata calcolata la correlazione statistica (coefficiente di
Pearson) tra i parametri degli SVRd (numero, volume) e l’atrofia celebrale, per valutarne l’indipendenza da quest’ultima,
nelle differenze tra pazienti e controlli.
Il volume ed il numero degli SVRd, sia nei pazienti che nei
controlli, risulta non dipendente dal grado di ACG, espressa
in termini di BPF.
Il volume ed il numero degli SVRd nei pazienti risulta non
dipendente dal grado di ACG, espressa in termini di BPF (correlazione di Pearson: volume SVR vs BPF= r = -0,03, p=0,85
; numero SVR vs BPF r=0,14 con p=0,38).
Analogamente per i controlli abbiamo riscontrato una correlazione tra volume degli SVRd e il BPF non significativa (r
=0,16 p=0,41), così come tra il numero degli SVR e il BPF
(r=0,20 p=0,30).
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263
Fig. 3 Immagini RM della classificazione topografica degli SVR d, con relativi ingrandimenti. Tipo I: sostanza perforata e commissura anteriore sul decorso
delle arterie lenticulo-striate. a) T2 pesata, b) T1 pesata, c) FLAIR .
Tipo II: Sostanza bianca della convessità e dei centri semiovali, sul decorso delle arterie perforanti midollari d) T2 pesata, e) T1 pesata , f) FLAIR.
Tipo III: in corrispondenza del mesencefalo, alla giunzione ponto-mesencefalica
e mesencefalo-diencefalica, lungo il decorso delle arterie perforanti. g) T2 pesata, h) T1 pesata, i) FLAIR.
264
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Tabella 2 F/M: Femmine/Maschi, SMni: Sclerosi Multipla non invalidante, SMi: Sclerosi Multipla invalidante, ctrl: Controlli, paz-tot = totale dei Pazienti, SVR
d t: SVR dilatati in sede tipica, SVR d a: SVR dilatati in sede atipica, SVR tot: SVR dilatati totali. I dati statisticamente significativi sono quelli indicati in rosso
Area (mm2)
Volume (mm3)
Brain (BPF)
SVR d t
SVR d a
SVR tot
media SMni
23.351
70.054
1541489
0.762
0.905
1.667
media SMi
22.116
66.349
1476477
0.737
0.789
1.526
media ctrl
7.868
23.506
1626597
0.667
0.033
0.700
t-test SMni vs SMi
0.891
0.891
0.045
0.926
0.823
0.841
t-test SMni vs ctrl
0.0218
0.0214
0.0445
0.6997
0.0024
0.013
t-test SMi vs ctrl
0.0026
0.0025
0.0000
0.7742
0.0225
0.035
t-test paz-tot vs ctrl
0.0073
0.0071
0.0001
0.6831
0.0069
0.011
Discussione
La Tomografia Computerizzata è stata la prima tecnica radiologica, che ha consentito di vedere, in vivo, gli SVR; ma, la
relativa sensibilità e specificità della metodica, non ha consentito un’ulteriore caratterizzazione.
Con la RM, specie se con apparecchiature ad alto campo
[6,19], gli SVR sono osservati routinariamente, in corrispondenza del decorso di arterie, arteriole, vene e venule intracerebrali [9,20].
L’incremento della risoluzione spaziale e di contrasto correlato all’intensità del campo magnetico ed all’evoluzione
hardware e software [5, 6, 12], consente una migliore individuazione degli SVR, con un apparente aumento della loro
prevalenza [4]. Gli apparecchi RM attuali, visualizzano SVR
con diametro pari o superiore a 0,66 millimetri; spazi inferiori
ai 2 millimetri, come già detto, si considerano non dilatati [9]
, strutture anatomiche normali, osservabili in soggetti sani, in
differenti gruppi di età [3].
L’osservazione di SVR, nel 100% dei soggetti studiati, in un
recente lavoro [10], è in disaccordo con la loro prevalenza
riscontrata in studi precedenti [9,12], fatto comprensibile, per
il miglioramento, negli anni, della risoluzione spaziale negli
studi RM.
Nel nostro studio rinveniamo una percentuale di SVR d del
46,6% in soggetti di controllo sani e del 67,5% in pazienti
SM. La sede più frequente, di SVRd è, anche nel nostro studio, corrispondente al territorio vascolare delle arterie lenticolo striate. In questa sede le arteriole hanno traiettoria angolata
e molteplici branche raggruppate, con una prevalenza di due
volte superiore [10] rispetto al decorso delle branche distali
dell’arteria cerebrale media, e dieci volte superiore rispetto al
tratto distale delle arterie lenticolo striate stesse [10].
Il razionale immunologico, degli SVR, fu avanzato, per la prima, volta da HIS, nel 1865 [12], che, sia per la loro struttura,
che per il contenuto in cellule, li considerò spazi linfatici del
sistema nervoso centrale; ma il loro legame, col sistema immune, deriva anche da vari studi successivi.
Studi con traccianti e analisi anatomopatologiche, del cervello
umano, confermano che, gli SVR, fisiologicamente [6], oltre
a trasportare soluti, proteine solubili e leucociti [2], sono una
vera e propria via di drenaggio linfatico cerebrale, tra spazio periarterioso e sistema linfatico [12], implicati in caso di
anormalità della barriera emato-encefalica e d’infiammazione
[18]. Studi istopatologici, dimostrano che, in condizioni normali, negli SVR, sono presenti, oltre a cellule dendritiche e
microglia perivascolare, macrofagi e cellule T, che conferiscono loro un ruolo chiave, nella sorveglianza immunitaria [2].
Negli SVR, i macrofagi, oltre a regolare alcune proteine implicate nei processi infiammatori (MCH II classe, interleukine
– 1 ß), hanno contatto con i linfociti T circolanti [12] da cui
partirebbe la risposta immunitaria vera e propria [5].
L’attivazione delle cellule T, inizierebbe alla periferia del
compartimento linfoide (sede extracerebrale) e si porterebbero poi al SNC, circolando negli SVR. [2].
Studi immuno-isto-chimici, comparati a studi RM post-mortem, di cervelli di pazienti con malattia demielinizzante, dimostrano presenza di macrofagi CD68-positivi, in tutti gli
stadi delle lesioni demielinizzanti negli SVR, con infiltrati
perivascolari leucocitari, molto più frequenti nelle lesioni croniche inattive, che nelle lesioni attive [17] e SVR d descritti
anche in modelli sperimentali di SM [2, 17].
A dispetto però, del crescente interesse, per il ruolo degli
SVR, nella sorveglianza immunitaria, essi sono stati, fino a
poco tempo fa sottovalutati [2].
La SM, malattia infiammatoria cronica del SNC, è caratterizzata dalla presenza, nel parenchima cerebrale, di cellule
immunitarie, con infiammazione locale, lesioni demielinizzanti e danno assonale e neuronale [2]; ciò spiegherebbe
perché, in esami RM cerebrali, di pazienti con SM in fase
attiva, gli SVR, riserva di cellule infiammatorie, sono dilatati, [6, 18] .
S’ipotizza che, l’attività infiammatoria, della SM, avvenga
negli SVR, che aumenterebbero di dimensioni per infiltrazione da parte di cellule infiammatorie ed edema, con conseguente, apparente, maggior numero di SVR, visibili in studi RM cerebrali. A conferma di quanto detto, in uno studio
longitudinale [2], veniva osservato significativo aumento sia
del volume, che del numero degli SVR in pazienti affetti da
SM, in fase acuta, [18], rispetto ai soggetti di controllo sani,
a riprova del loro ruolo, nelle fasi attive della malattia demielinizzante, ovvero quando la barriera emato encefalica era
danneggiata [18].
I nostri risultati concordano con quelli di altri Autori [2], col
riscontro di aumento degli SVRd nella SM, in termini di numero e di dimensioni. Tale associazione, ci ha portati a riconsiderare il possibile ruolo, anche immunologico, degli SVR,
265
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266
in tale patologia, ed il loro significato in questa malattia infiammatoria cronica autoimmune.
Studi più recenti riportano, a conferma di quest’ultimo assunto, SVR aspecificamente grandi, come segno di modificazioni infiammatorie nelle SM, essendosi osservati SVR nel 55%
dei pazienti con SM, nella sostanza bianca emisferica con,
nell’85% dei casi, un numero superiore a 4. [3, 4] Nel nostro
lavoro abbiamo individuato più di 4 SVRd per paziente SM
nel 12,5 % dei casi rispetto ai controlli (0 soggetti su 30) e
più di 3 SVRd per paziente SM nel 17,5% dei casi rispetto ai
controlli (0/30). La dicotomia è, probabilmente, ascrivibile al
diverso cut-off dimensionale da noi usato.
A differenza di precedenti studi [2] in cui il numero degli SVR
non differiva tra pazienti con SM e soggetti sani in nessuna
regione cerebrale, nel nostro lavoro abbiamo riscontrato non
solo un numero statisticamente superiore di SVRd nei pazienti SM rispetto ai controlli, ma, anche, un significativo incremento del volume e dell’area degli SVRd.
Il riscontro anche di un numero significativamente superiore
di SVRd nei pazienti SM, potrebbe essere correlato a differenze di ordine metodologico, avendo noi considerato unicamente SVR di diametro maggiore ai 2mm o, anche, a differenze
della popolazione esaminata avendo valutato esclusivamente
pazienti SM in fase non acuta della malattia .
L’aumento rilevante, nel nostro studio, di SVRd in termini
di numero, area e volume, nei pazienti SM in fase non attiva, rispetto al gruppo di controllo di soggetti sani, si potrebbe
interpretare, non come reale aumento del numero di spazi perivascolari, ma, piuttosto, come possibilità di identificarne di
più, per la loro dilatazione.
Altro reperto di rilievo, nel nostro studio, non riportato finora
in letteratura, è l’individuazione, nel gruppo di pazienti SM,
rispetto ai soggetti sani di controllo, di un maggior numero,
statisticamente significativo, di SVRd in sedi atipiche; il reperto, di incerto significato, potrebbe essere spiegato, con la
necessità, in questa categoria di pazienti, di vie di drenaggio
linfatico cerebrale alternative e\o suppletive, rispetto alle sedi
classiche.
Conclusioni
Il nostro studio RM cerebrale, eseguito con RM 3T, in pazienti con SM in fase non acuta, confrontati con un gruppo di controllo di soggetti sani, evidenzia: area, volume e numero degli
SVR d, significativamente superiori nei primi, a conferma di
quanto già riportato in letteratura, in precedenti studi di RM
cerebrale, ma con apparecchi di minor potenza ed in pazienti
con SM in fase acuta.
La significatività del reperto è validata dalla mancata correlazione degli SVRd con il BPF, sia per i pazienti SM, che per
i soggetti di controllo, escludendosi così, dai risultati, l’influenza dell’ACG.
Non si è osservata, in base al grado di disabilità della SM
(SMni e SMi), una significativa differenza intragruppo di volume e numero degli SVR d.
A differenza che, in studi precedenti [13], non abbiamo osservato significativa prevalenza di forma (rotonda od ovale)
degli SVR d, tra pazienti e controlli, essendo per entrambi i
gruppi prevalente quella ovale. Da notare, infine, una caratteristica specifica osservata nei pazienti con SM, rispetto ai
soggetti di controllo, che è la sede degli SVR d, che, per i primi, è significativamente più spesso atipica, da riconfermare
con ulteriori studi e su una popolazione di pazienti più estesa.
Per citare questo articolo:
Conforti R, Cirillo M, Saturnino PP, Gallo A, Sacco MR, Negro A, Paccone A, Caiazzo G, Bisecco A, Bonavita S, Cirillo S (2013) Dilated
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cento anni di storia
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:276-277
CONTRIBUTO DELLA SEZIONE DI RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
La Radiologia Interventistica è morta:
viva la Radiologia Interventistica!
Luci ed ombre, certezze e speranze della Radiologia Interventistica Italiana
F. Florio
Presidente Sez. Radiologia Vascolare e Interventistica, Direttore Dipartimento Cardio-Vascolare, Direttore UOC di Radiologia Interventistica
IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo (FG), Italia
Indirizzo Autore: F. Florio, Tel.: 0882 410979-570 0882 835250, e-mail: [email protected]
Ad oltre quaranta anni dalle sue prime pionieristiche esperienze, la Radiologia Interventistica (RI) italiana è, ancora
oggi, entità complessa e poliedrica, di cui non è agevole mettere a fuoco con adeguata accuratezza i reali contorni; sicché
ne risultano spesso offuscate la effettiva rilevanza clinica e le
potenzialità di sviluppo.
Alla semplice domanda: “cosa è oggi la RI in Italia?”, le risposte sarebbero completamente dissimili, spesso addirittura
contrastanti, a seconda del ruolo e della tipologia dell’intervistato, sia egli l’ipotetico Paziente beneficiario di una delle
tante procedure terapeutiche, l’Amministratore ospedaliero o
il giovane Specializzando in Radiologia.
Con ogni probabilità, l’ipotetico Paziente non sarebbe in grado di fornire una risposta pertinente, percependo quasi come
del tutto estranea la parola “Interventistica”; fa in genere riferimento al “Medico”, che a seconda dei casi gli ha prescritto
il trattamento, affidandolo per la sua mera esecuzione ad un
particolare Operatore, puro interprete della decisione del Clinico. A quest’ultimo egli si rivolgerà per la valutazione degli
esiti del trattamento subito ed il suo follow-up, esprimendogli
gratitudine per il buon esito terapeutico.
Per il collega Clinico, la RI è, in genere, una disciplina di
certo utile, ma non indispensabile, tranne che in alcune particolari circostanze in cui non esistano alternative terapeutiche.
Non sono molto numerosi i Clinici che riescono a riconoscere
al Radiologo Interventista la dignità meritevole di paritetica
valutazione clinica, con cui realmente condividere le scelte
terapeutiche. “Un inutile nemico”, sarebbe forse la risposta di
numerosi Chirurghi Vascolari.
Faticosa la risposta dell’Amministratore ospedaliero; con
ogni probabilità ha della RI la fuorviante percezione dei soli
elevati costi di gestione e di acquisto dei vari devices, essendo
del tutto inconsapevole dei benefici clinici, ma anche economici della disciplina.
Impossibile prevedere la risposta del Funzionario Regionale
alla Salute; con ogni probabilità non ha alcuna dimestichezza
con l’Interventistica, né questa è mai stata inserita nei piani regionali di programmazione sanitaria, di certo in ciò non
agevolata dal clima di austerity e di tagli al bilancio, che sono
ormai da tempo in atto in ogni regione italiana.
Non sono pochi i Colleghi Radiologi, almeno fra coloro dediti
esclusivamente all’imaging, che intravedono nella RI quasi
una devianza dalla genuina ed originaria vocazione all’interpretazione delle immagini; considerano la RI un semplice settore della Radiologia, del tutto analoga rispetto ad atri
compartimenti dell’imaging radiologico, senza alcuna considerazione per le sue spiccate peculiarità in termini di impatto
clinico oltre che medico-legale.
“Affascinante” sarebbe l’aggettivo più utilizzato per definire la RI dalla maggior parte dei Giovani Radiologi o Medici
Specializzandi, magari con qualche rammarico per le insufficienti opportunità di conoscenza teorica e/o la scarsa fruibilità
- durante tutto il percorso formativo - del contatto pratico con
la realtà della sala angiografica; altri, forse i più smaliziati,
risponderebbero che la RI è “bella, ma certo non aiuta a trovare spazi nell’attività privata”.
Con ogni probabilità la risposta più reale, anche se forse ispirata dall’eccessivo entusiasmo, sarebbe quella di un “addetto
ai lavori”: la RI è la branca più bella di tutta la Medicina moderna, l’unica disciplina che può consentire all’Operatore di
porre la diagnosi, di formulare l’indicazione e la pianificazione del trattamento, di attendere direttamente all’esecuzione
dell’atto terapeutico e di avere immediata documentazione
oggettiva del risultato tecnico. La gratitudine del Paziente e
la percezione immediata e tangibile dell’utilità dell’atto medico terapeutico sono esclusivo appannaggio del Radiologo
Interventista.
Tuttavia, pur con tali poco entusiastiche premesse, non è oggi
pretenzioso affermare che la nostra Disciplina ha oramai una
sua precisa collocazione nel contesto medico italiano.
E’ fuori di ogni lecito dubbio, infatti, che i “Criteri di appropriatezze clinica, strutturale e tecnologica dei Centri di Radiologia Interventistica”, chiaramente espressi ne i “Quaderni della Salute” (N° 12, novembre-dicembre 2011) possano
rappresentare il riconoscimento e la legittimazione definitivi
della RI in Italia. Gli standard operativi e organizzativi de i
“Quaderni”, ripresi successivamente anche nel Disciplinare
Tecnico (emanato dalla Sezione di Radiologia Vascolare e Interventistica e finalizzato alla Certificazione dei Centri Italiani da parte di Enti Certificatori esterni) costituiscono il “primo
mattone” su cui modellare gli attuali Centri di RI e su cui costruire quelli futuri. Il modello non teorico, ma concreto su cui
far convergere l’impegno della RI italiana, al fine di ottimizzare i parametri di sicurezza per Pazienti ed Operatori, strada
277
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:276-277
obbligata per guadagnare affidabilità e credibilità adeguate.
I dati scaturiti dall’Indagine Conoscitiva, promossa dal Comitato Direttivo della Sezione, forniscono concreta tangibilità
alla corposità della RI nel nostro Paese. Essa è distribuita con
sufficiente omogeneità in tutto il territorio nazionale (fatta eccezione di pochissime aree periferiche), con oltre centoventi
Centri censiti, soprattutto in strutture ospedaliere pubbliche;
vi operano (quasi tutti in esclusività lavorativa) oltre quattrocento medici, in grado di offrire al paziente standard qualitativi consoni, con ampio e policromo volume di procedure
terapeutiche; fra esse spiccano, numerose, quelle di rilevante
spessore clinico e che quasi sempre comportano anche un favorevole impatto economico-gestionale.
La Sezione di Radiologia Vascolare e Interventistica conta oltre ottocento iscritti (al 30 ottobre 2013), soprattutto giovani,
con larga rappresentanza di Medici Specializzandi, autentica
linfa per il futuro della RI.
La rappresentanza italiana all’ultimo Congresso CIRSE (settembre 2013) si è concretata in ben 31 Radiologi Italiani
(circa il 10% del totale dei relatori) per letture ad invito; gli
abstract scientifici e i Poster sono stati presenti in misura del
11% del totale; è la dimostrazione tangibile della vivacità dei
giovani Radiologi Interventisti Italiani.
Realtà quindi inconfutabile nel panorama clinico e radiologico italiano ed europeo, la RI è oggi una “scienza” esatta, con
standard ormai definiti, linee guida e protocolli ben codificati. La Sezione di Radiologia Vascolare e Interventistica ha
recentemente formulato linee guida per il trattamento delle
lesioni stenosanti dei tronchi epi-aortici, delle lesioni secondarie epatiche da carcinoma del colon, delle lesioni epatiche
da epatocarcinoma, delle lesioni traumatiche della pelvi e, in
associazione con altre Società Scientifiche, per il trattamento
del “piede diabetico”. Sono ormai codificati i criteri di corretta selezione e accurata pianificazione operatoria, che possono
scaturire esclusivamente dalla completa dimestichezza con
tutte le moderne metodiche d’imaging, dalla scrupolosa valutazione clinica oltre che dalla padronanza delle varie tecniche
operatorie; solo il Radiologo Interventista, sulla scorta del suo
completo bagaglio culturale, tipico del Radiologo moderno,
può oggi garantire tale multiforme appropriatezza clinica alle
procedure mini-invasive.
Per tali motivazioni, possiamo dire che la RI deve vivere ad
ogni costo, deve sopravvivere alle difficoltà economiche contingenti, agli interessi dei singoli, alle asprezze della competizione clinica. Non occorrono grandi strategie; basterebbero: la opportuna diffusione della conoscenza della RI fra gli
Studenti di Medicina e Chirurgia sin dal corso di laurea; la
adeguata formazione dei giovani in tutte le Scuole di Specializzazione in Radiologia, che dovrebbero avvalersi, quando
sia necessario, della stretta collaborazione con i Centri ospedalieri di maggior esperienza ; la cultura dell’appropriatezza
(giustificazione ed ottimizzazione) di ogni procedura mini-invasiva interventistica eseguita in ambiente radiologico al fine
di conseguire ulteriore sicurezza ed affidabilità; la cultura
dell’approccio multidisciplinare, non disgiunto da sufficiente
grado di umiltà; ma anche l’orgoglio e la consapevolezza del
proprio ruolo clinico ed il senso di appartenenza al “gruppo”
di ogni Radiologo Interventista; la proiezione della RI italiana
in chiave europea; il coraggio e la perseveranza nel cercare
il dialogo politico-amministrativo per costruire in ogni singolo Centro prospettive di lavoro e avanzamento professionale per i giovani Radiologi Interventisti. Alcune delle cose
menzionate sono appannaggio delle “Istituzioni” (Societarie,
Universitarie o Politiche); altre sono appannaggio esclusivo
di ciascuno di noi.
Sarà anche importante far conoscere le opportunità terapeutiche della RI al grosso pubblico, ai Pazienti, ma anche ai Colleghi Clinici, ivi inclusi i Medici di Famiglia ed i Radiologi
poco confidenti con l’Interventistica.
In tal senso, non si può che esprimere la gratitudine di tutti i
Radiologi Interventisti Italiani alla SIRM ed al Prof. Andrea
Giovagnoni, Direttore della Rivista Societaria, per questa iniziativa editoriale che si prospetta estremamente efficace ai
fini della divulgazione della nostra Disciplina, che tutti noi
amiamo profondamente.
Il silenzio sarebbe, nel nostro caso, colpevole, persino oltraggioso per i Giovani che ci seguono su questa strada tanto faticosa, quanto seducente e coinvolgente.
Se, pertanto, molti considerano ormai morta la RI (forse suicida, forse assassinata), dobbiamo credere e con forza dobbiamo ribadire: Viva la RI!!
F. FLORIO - Sez. Radiologia Vascolare e Interventistica, Dipartimento Cardio-Vascolare, UOC di Radiologia Interventistica, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”;
71013 San Giovanni Rotondo (FG), Tel.: 0882 410979-570, 0882 835250, e-mail: [email protected]
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290
RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
Risultati dell’indagine conoscitiva sull’attività
di Radiologia Interventistica in Italia: Censimento 2013
F. Florio1, R. Cioni2,R.Golfieri3, R. Niola4, M. Rossi5
e con la collaborazione di:
M. Matteoli, UOS Radiologia Interventistica Ospedale Sant’Andrea Roma, Italia
B. Andria, Centro di Biotecnologie AORN Cardarelli Napoli, Italia
G. Scognamiglio, CPSETSRM UOSC di Radiologia Interventistica AORN Cardarelli Napoli, Italia
1
U.O.S.C. Angiografia e Neuroradiologia, IRCCS “ Casa di Sollievo della Sofferenza”, Viale Cappuccini, 71013 S. Giovanni Rotondo (FG), Italia
Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Ospedale Nuovo Santa Chiara, Via Paradisa, 2 Cisanello Pisa, Responsabile SOD
Radiologia Interventistica, Italia
3
U.O.S.C. Radiologia Malpighi, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Via Albertoni 15
40138 Bologna, Italia
4
UOSC di Radiologia Vascolare ed Interventistica, AORN Cardarelli, Responsabile UOS Interventistica endovascolare, Via A. Cardarelli 9,
80131 Napoli, Italia
5
Ospedale Sant’Andrea II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “ Sapienza” Roma, Responsabile UOS di Radiologia Vascolare e
Interventistica, Via di Grottarossa 1035, 00189 Roma, Italia
2
Introduzione
La radiologia interventistica è approdata in Italia nel 1970 e
nel corso degli anni l’evoluzione tecnica e scientifica ha portato alla creazione di nuove figure professionali, come il Radiologo Interventista, ed allo sviluppo di unità specifiche di
Radiologia Interventistica
Diverse indagini eseguite dalla Società Italiana di Radiologia
Medica (SIRM) hanno dimostrato che la distribuzione geografica delle strutture dedicate alla RI è abbastanza casuale e
la mancanza di unità di degenza del paziente prima e dopo le
procedure è la difficoltà più frequente da fronteggiare.
Scopo principale di questo lavoro è stato quello di “fotografare” lo stato attuale delle strutture, del personale e delle attività
di Radiologia Interventistica in Italia al 2013.
Scopo ulteriore dell’indagine è stato quello di rilevare una
“mappa” nazionale con le regioni e le città in cui sono eseguite le procedure di Radiologia Interventistica
Materiali e metodi
Domande circa l’unità IR
3 - Denominazione e tipologia dell’Unità Operativa ( se si
tratta di una UOC, UOD, UOS o nessuna tipologia, semplicemente quando l’interventistica viene effettuata nell’ambito di
una UOC di Radiologia Generale)
4 - Indirizzo , telefono, fax dell’unità operativa
5 - Presenza di un magazzino condiviso o esclusivo
6 - Presenza di una attività amministrativa condivisa o esclusiva
7 - Presenza di un ambulatorio “dedicato” pre e post procedurale
8 - Presenza di posti letto in Day Hospital , Day Surgery o di
ricovero ordinario
Domande su operatori e personale
9 - Quanti medici , tecnici (TSRM) e infermieri sono presenti
nell’UO
10 - Se le risorse umane utilizzate per la RI ( medici , tecnici,
infermieri ) svolgono un lavoro esclusivo in interventistica
oppure condiviso con altre metodiche radiologiche
11 - Tipo di assistenza : guardia attiva sulle 24\ h ,pronta disponibilità (reperibilità)notturna e festiva,ulteriore pronta disponibilità oltre la guardia attiva
Domande sulle macchine
È stato eseguito un sondaggio online sui centri italiani di Radiologia Interventistica mediante un questionario rivolto a tutti i soci della SIRM .
L’indagine è iniziata nel luglio 2012 e si è protratta sino al
marzo 2013, le domande poste sono state le seguenti:
12 - Numero di angiografi fissi e mobili presenti nell’unita
operativa
13 - Età degli angiografi, intesa come anno di installazione
delle macchine
Domande relative alla struttura
14 - Numero di procedure “di base” e avanzate condotte ogni anno
15 –Tipi di procedura eseguite ogni anno
1 - Quale è la tipologia dell’Ospedale ( pubblico, privato,
accreditato, istituto di cura a carattere scientifico vale a dire
IRCCS)
2 - Ospedale sede o no di Pronto Soccorso e se DEA di I o
II livello
Domande sulle procedure
Domande sull’attività di formazione
16- Attività di formazione per specializzandi
17 - Attività di formazione per tecnici
18 - Attività di formazione per infermieri
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290
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Risultati
Ospedali
L’analisi dei questionari ha mostrato lo stato attuale dei centri
di radiologia interventistica in Italia, utilizzando come campione di riferimento i 119 centri che hanno risposto all’intervista online. I centri intervistati hanno fornito tutti i dati
in modo completo tale da garantire lo sviluppo ottimale delle
analisi. Se c’è stata necessità di integrare le informazioni, l’indagine on line è stata completata con un’intervista telefonica.
L’attività di radiologia interventistica si sviluppa prevalentemente in strutture pubbliche (73), dove nella maggior parte,
accanto alle procedure ordinarie, vengono trattati anche i pazienti provenienti da reparti di area critica, come medicina
d’urgenza, pronto soccorso e rianimazione (88%). Tra questi
centri, la maggior parte delle unità lavorano in presenza di
un DEA di secondo livello (45% vs 34% in DEA di primo
livello). L’esclusività lavorativa in RI è presente solo in 42
centri;nei rimanenti 77 l’attività di interventistica è condivisa
con altre metodiche.
Tipi di ospedali con centri di radiologia interventistica
Pubblici: 73
Privati: 7
Accademici: 6
IRCCS: 6
Accademici Pubblici: 19
Accademici Privati: 5
IRCCS Privati: 2
IRCCS Pubblici o Accademici: 1
RI che lavorano in ospedali dotati di Pronto Soccorso: 105 (88%)
RI situata in DEA di I livello: 40 (34%)
RI situata in DEA di II livello: 54 (45%)
Unità di radiologia interventistica
Le attività di radiologia interventistica sono svolte nell’ambito
di Unità Operative Complesse di Radiologia in 55 centri (43%)
Le Unità dedicate sono di tipo: Semplice in 34 centri (29%),
Dipartimentale in 27 centri (21%). Le Unità Operative Complesse sono presenti solo in 11 centri (9%). Meno della metà
delle unità di RI, precisamente 53 centri (45%) possono usufruire di un ambulatorio dedicato e indipendente. La maggior
parte delle unità non ha a disposizione letti dedicati o riservati
Circa un quarto dispone di posti Day Hospital/Day Surgery
(23%) o di letti per ricovero ordinario (10%) per ricoverare i
pazienti da trattare.
Unità di radiologia interventistica
- Sezioni operanti all’interno di UOC di Radiologia: 55 (46%)
- UOC di radiologia interventistica: 11 (9%)
- UOD di radiologia interventistica: 27 (21%)
- UOS di radiologia interventistica: 34 (29%)
Logistica
Presenza di un magazzino esclusivo: 78 (66%)
Assenza di un magazzino esclusivo: 40 (33%)
Presenza di un’attività amministrativa esclusiva: 39 (33%)
Assenza di un’attività amministrativa esclusiva: 79 (66%)
Clinical management
Presenza di ambulatorio indipendente: 53 (45%)
Presenza di letti in Day Hospital or Day Surgery: 31 (27%)
Presenza di letti per ricovero ordinario: 16 (14%)
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282
Operatori e staff
Il team standard di una unità di Radiologia Interventistica è
di solito composto da medici, infermieri e tecnici.
La maggior parte delle unità usufruisce di un numero ristretto
di operatori :1-5 medici (77%), per la maggior parte di sesso
maschile (85%) con una media di 15 anni di esperienza e un
numero di infermieri (66%) e tecnici (52%) compreso tra 1
e 5. I radiologi interventisti non hanno di solito una esclusività di lavoro per l’unità di RI e nella maggior parte dei casi
(65%) lavorano anche in altre sezioni radiologiche.
Tranne che per un caso (Ospedale Cardarelli di Napoli) non
c’è una guardia attiva h24, ma è presente una pronta disponibilità (reperibilità) notturna e festiva in 76 centri (64%), mentre in 43 centri (36%) non sussiste alcuna reperibilità.
Team di radiologia interventistica
Numero medio di medici operanti ove attiva la RI:1- 5 (92 centri)
Sesso: Maschi 368 (85%); Femmine 64 (15%)
Età media: 45 anni.
Esperienza lavorativa media: 14.8 anni
Numero medio di infermieri:1-5 in 78 centri (66%)
Numero medio di tecnici:1- 5 in 62 centri (52%)
Unità con medici che lavorano esclusivamente in RI: 42 (35 %)
Guardia attiva 24h: 1 (1%)- Ospedale Cardarelli di Napoli
Pronta disponibilita notturna e festiva: 76 (64%)
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Dotazioni tecniche
Tutte le unità di Radiologia Interventistica sono dotate almeno
di un angiografo fisso: 87 centri (73%) ,24 centri (20%) ne hanno 2, 6 centri (7%) ne hanno 3.
Per quanto riguarda gli angiografi mobili, 25 (21%) centri non
ne ha nessuno, 60 centri (50%) ne hanno uno solo, 22 centri
(18%) ne hanno 2, 3 centri (3%) ne hanno 3, 6 centri (5%) ne
hanno 4, 1 centro (1%) ne ha 5, 2 centri (2%) ne hanno 6.
La maggior parte degli angiografi sono stati installati tra il 2000
e il 2005.
La maggior parte delle macchine data più di 10 anni. Se si osserva l’istogramma con la distribuzione degli angiografi per area
geografica, si nota una uniformità di distribuzione per quanto
riguarda gli angiografi più datati, mentre per quelli più recenti,
si visualizza un picco di distribuzione al Nord Italia.
Macchine
Numerodiangiografifissipersezione
0: 1
1: 87 73%
2: 24 20%
3: 6 7%
Ns: 1
Installazionedell’angiografofisso
Prima del 2000: 24 (20%)
2000-2005: 46 (39%)
2005-2010: 23 (19%)
Dopo il 2010: 13 (11%)
Ns: 13 (11%)
Numerodiangiografimobilipersezione
0: 25 21%
1: 60 50%
2: 22 18%
3: 3 3%
4: 6 5%
5: 1 1%
6: 2 2%
Installazione dell’angiografomobile
Prima del 2000: 16 (13%)
2000-2005: 34 (29%)
2005-2010: 31 (26%)
Dopo il 2010: 25 (21%)
Ns: 13 (21%)
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Procedure
Nella maggior parte dei centri, il numero medio di procedure di base di Radiologia Interventistica eseguite in un anno
oscilla tra 100 e 300 (24%), per quelle avanzate tra 100 e
500 (34%) .
Solo il 3% (3 centri) delle unità di RI in Italia eseguono più di
3000 procedure di base e 3000 procedure avanzate (4 centri)
in un anno. Quarantasette unità (39%) eseguono meno di 100
procedure di base e sei unità (5%) meno di 100 procedure
avanzate in un anno.
Sono stati esaminati campioni di procedure vascolari (arteriose e venose) e di procedure extra-vascolari. La maggior parte
dei centri eseguono un vasto caso mix di procedure.
Procedure interventistiche/anno
Numero di procedure di base
0-20: 19 (16%)
20-50: 16 (13%)
50-100: 12 (10%)
100-300: 28 (24%)
300-600: 17 (14%)
600-1000: 11 (9%)
1000-3000: 7 (6%)
3000-6000 : 3 (3%)
Numero di procedure avanzate
0-100: 6 (5%)
100-500: 39 (35%)
500-1000: 38 (32%)
1000-3000: 29 (24%)
3000-6000: 4 (3%)
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Procedure IR prese in considerazione
Vascolari arteriose:
- TACE
- Embolizzazioni
- Fibrinolisi
- EVAR
- PTA\stenting carotide, vasi addominali o arti inferiori
Vascolari venose:
- Embolizzazione varicocele
- Posizionamento filtri cavali
- Trattamento fistole dialitiche
- PTA
Extra-vascolari:
- Polmonari
- Biliari
- Osteo-articolari
- Drenaggi
Procedure arteriose eseguite in un anno
TACE
0-50: 83 (70%)
50-100: 15 (13%)
100-150: 9 (8%)
150-200: 4 (3%)
200-300: 4 (3%)
Piu’ di 300: 2 (2%)
ND: 2 (2%)
Embolizzazioni
0-50 : 75 (63%)
50-100: 20 (17%)
100-150: 11 (9%)
150-200: 6 (5%)
200-300: 2 (2%)
Piu’ di 300: 3 (3%)
ND: 2 2 (2%)
Fibrinolisi
0-50: 105 (88%)
50-100: 9 (8%)
100-150: 2 (2%)
Piu’ di 150: 1 (1%)
ND: 2 (2%)
PTA\stenting carotide
0-50: 106 (89%)
50-100: 7 (6%)
100-150: 2 (2%)
Piu’ di 150: 2 (2%)
ND: 2 (2%)
EVAR
0-50: 103 (87%)
50-100: 10 (8%)
100-150: 4 (3%)
ND: 2(2%)
PTA\stenting vasi addominali
0-50: 108 (91%)
50-100: 7 (6%)
Piu di 100: 1 (1%)
ND: 3 (3%)
PTA\stenting arti inferiori
0-50: 52 (44%)
50-100: 23 (19%)
100-150: 15 (13%)
150-200: 4 (3%)
200-400 : 15 (13%)
400-600: 5 (4%)
Piu’ di 600: 3 (3%)
Nd: 2 (2%)
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Procedure vascolari venose in un anno
Varicocele
PTA
0-50: 89 (75%)
50-100: 20 (17%)
100-150: 5 (4%)
Piu’ di 150: 3 (3%)
ND: 2 (2%)
0-50: 101 (85%)
50-100: (98%)
100-150: 3 (3%)
150-1000: 3 (3%)
Piu’ di 1000: 1 (1%)
ND: 2 (2%)
Posizionamentofiltricavali
0-20: 103 (87%)
20-40: 13 (11%)
Piu’ di 40: 1 (2%)
ND: 2 (1%)
Trattamentofistoledialitiche
0-50: 108 (91%)
50-100: 7 (6%)
Piu’ di 100: 2 (2%)
ND: 2 (2%)
Procedure extra-vascolari in un anno
Polmonari
0-50: 90 (76%)
50-100: 9 (8%)
100-150: 5 (4%)
150-200: 4 (3%)
200-500: 8 (7%)
Piu’ di 500: 1 (1%)
Nd: 2 (2%)
Biliari
0-50: 60 50%
50-100: 26 (22%)
100-150: 8 (7%)
150-200: 6 (5% )
200-500: 13 (11%)
Piu’ di 500: 3 (3%)
Nd: 3 (3%)
Urinarie
0-50: 77 (65%)
50-100: 15 (13%)
100-150: 7 (6%)
150-200: 7 (6%)
200-500: 9 (8%)
Piu’ di 500: 1 (1%)
Nd: 3 (3%)
Epatiche
0-50: 81 (68%)
50-100: 17 (14%)
100-150:7 (6%)
150-200: 1 (1%)
200-500: 9 (8%)
Piu’ di 500: 1 (1%)
Nd: 3 (3%)
Osteo-articolari
0-50: 896 (81%)
50-100: 9 (8%)
100-150: 5 (4%)
150-200: 2 (2%)
200-500: 3 (3%)
Piu’ di 500: 1 (1%)
Nd: 3 (3%)
TIPSS (Transjugular Intrahepatic Porto-Systemic Shunt)
0: 105 (88%)
20-30: 2 (2%)
Piu’ di 50: 2 (2%)
Nd: 10 (8%)
Drenaggio di raccolte
0-50: 80 (67%)
50-100: 17 (14%)
100-150:6 (5%)
150-200:4 (3%)
200-500: 6 (5%)
Piu’ di 500: 1 (1%)
Nd: 5 (4%)
CVC (Central Venous Catether)
0: 97 (82%)
1-50: 1 (1%)
50-100: 2 (2%)
100-300: 2 (2%)
Piu’ di 300: 2 (2%)
Nd:15 (13%)
288
Attività di formazione
La maggior parte delle unità di radiologia interventistica ha
sviluppato attività di formazione per specializzandi, (57%) e
tecnici (54%), meno della metà ha attività didattiche dedicate
agli infermieri (40%).
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290
Attività didattica
Centri con attività didattiche rivolte agli specializzandi:
68 (57%)
Centri con attività didattiche rivolte ai tecnici: 64 (54%)
Centri con attività didattiche rivolte agli infermieri: 48
(40%)
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290
Discussione
Benchè non tutti i centri abbiano fornito risposte complete
secondo criteri di uniformità e nonostante non ci sia verifica sulle dichiarazioni spontanee degli intervistati, questi dati
permettono di avere un quadro sostanzialmente fedele ed aderente alla realtà nazionale.
I dati estratti dalla campionatura delle procedure menzionate nella scheda censimento, relativamente ai 119 centri che
hanno risposto all’indagine conoscitiva, rilevano un totale di
99.500 procedure interventistiche eseguite ogni anno nel nostro Paese. Si tratta ovviamente di dati orientativi perchè non
289
comprendono tutte le procedure (alcuni centri effettuano alcune anziché altre casomai non menzionate nella scheda) e
perchè i 119 centri non sono tutta la realtà italiana.
L’aspetto positivo è che la RI è ben diffusa sul territorio e non
esistono zone prive di attività pur essendo presenti differenze
nel numero di sezioni tra le diverse aree geografiche.
Purtroppo in quasi la metà dei casi la RI è praticata da medici radiologi con competenze specifiche ma nel contesto di
un’attività mista diagnostica e interventistica all’interno di
una UOC, senza personale tecnico e infermieristico dedicato
e senza un magazzino esclusivo.
In circa la metà dei casi esiste una UOS o una UOD che sem-
290
bra essere il modello organizzativo ideale della RI a seconda
del volume di attività.
Le UOC di RI sono solo 11 e ci si augura possano aumentare
nonostante l’ottica della riduzione delle UOC perseguita dalle
politiche sanitarie regionali.Per quanto riguarda l’attività in
urgenza sorprende come in molti centri non sia istituito (o
istituibile) un servizio di pronta disponibilità notturna e festiva. La risposta più verosimile potrebbe essere l’esiguità del
personale medico dedicato, o forse l’orientamento aziendale.
L’aspetto positivo è che il 25% dei centri dispone di posti letto
Day surgery/Day hospital dedicati, cosa del tutto inusuale in
passato.
La tendenza attuale delle amministrazioni è di istituire dei posti di one day surgery e pertanto i centri utilizzatori del letti
senza ricovero notturno molto facilmente potranno accedere a
quelli con ricovero di una notte. Ciò significa poter eseguire
autonomamente circa il 90% dell’attività di Radiologia Interventistica. Sarebbe auspicabile che al più presto ogni centro di
RI avesse a sua disposizione almeno l’accesso al day hospital\
daysurgery. Per quanto riguarda l’attività, anche se molti centri eseguono solo procedure di base, va rilevato comunque che
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290
in molti centri si eseguono procedure complesse.
Inoltre nonostante la dura competizione con la Chirurgia Vascolare e con la Cardiologia ,ad alta attività sia in pubblico
che in convenzione, esistono moltissimi centri dove l’attività
vascolare è presente. Purtroppo solo in circa il 50% dei centri
si svolge attività didattica formativa.
In conclusione l’indagine evidenzia una RI ben presente in
Italia ma probabilmente poco uniformemente organizzata.
Auspicabile sarebbe il disegno di una rete diffusa su tutto il
territorio strutturata in centri collegati tra loro e di livello crescente con possibilità di passaggio dei pazienti da un centro
all’altro laddove crescono le esigenze di alta specializzazione.
Nessuna area regionale andrebbe lasciata priva di copertura
assistenziale.
Inoltre, laddove possibile, in mancanza di una UOC, sarebbe
sempre auspicabile la presenza di UOS o UOD fornite di una
minima autonomia in modo da poter conservare ed elevare
quelle specificità tecnico-culturali e quell’ambiente tecnico
organizzativo necessari a competere con le molteplici specialità che sempre più tendono ad appropriarsi di procedure
imaging guidate.
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
Consensus Conference: PTA - stent carotideo
R. Iezzi1, N. Burdi2,G.Carrafiello3, A. Cotroneo4, A. Doriguzzi Breatta5, F. Fanelli6, A. Fileni7
R. Gandini8, L. Inglese9, R. Niola10, M. Pastore Trossello11, F. Pilato12, M. Puglioli13
F. Salvatore14, V. Villari15, F. Florio16
1
Dipartimento di Scienze Radiologiche, Istituto di Radiologia, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, L.go A Gemelli 8
00168 Roma, Italia
2
Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Struttura Semplice a valenza Dipartimentale di Radiologia Interventistica
Presidio Ospedaliero “SS. Annunziata”, Taranto, Italia
3
Dipartimento di Radiologia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese, Italia
4
Dipartimento di Neuroscienze e Bioimmagini, Sezione di Radiologia, Università “G. D’Annunzio”, Chieti, Italia
5
Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Istituto di Radiodiagnostica Universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino
Presidio Molinette, Torino, Italia
6
Radiologia Vascolare ed Interventistica, Dipartimento di Scienze Radiologiche, “Sapienza” Università di Roma, Italia
7
UOC Diagnostica per Immagini Istituto Nazionale Malattie Infettive INMI-IRCCS “L. Spallanzani”, Roma, Italia
8
Istituto di Radiologia, Università “Tor Vergata”, Roma, Italia
9
Laboratorio di Emodinamica e Radiologia Cardiovascolare, IRCCS Policlinico San Donato, Milano, Italia
10
UOSC di Radiologia Vascolare e Interventistica, Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Tecnologie Avanzate, AORN Cardarelli, Napoli, Italia
11
Neuroradiologia, Policlinico S.Orsala-Malpighi, Bologna, Italia
12
Dipartimento di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia, Area di Clinica Neurologica, Stroke Unit, Università Cattolica del Sacro Cuore
Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma, Italia
13
U.O. Neuroradiologia, Dipartimento di Radiodiagnostica, Radiologia Vascolare ed Interventistica e Medicina Nucleare
Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa, Italia
14
Istituto di Radiologia, Policlinico “Umberto I”, Roma, Italia
15
U.O.C. di Radiologia Vascolare ed Interventistica, A.O.U. “San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona”, Salerno, Italia
16
U.O.C. di Radiologia Interventistica, I.R.C.C.S. Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo (FG), Italia
Indirizzo Autore: R. Iezzi, Tel.: +39-06-30154977, Fax: +39-06-35501928, e-mail: [email protected], [email protected]
Riassunto
Il management dei pazienti con stenosi carotidee rappresenta
da molti anni argomento di dibattito tra gli specialisti coinvolti nel trattamento di tale patologia, sin dall’introduzione
dell’endoarterectomia carotidea (TEA) come opzione di scelta
nel trattamento e prevenzione dello stroke, con il primo trial
randomizzato multicentrico pubblicato nel 1968. Nell’ultimo
ventennio, tuttavia, lo sviluppo di metodiche endovascolari
mini-invasive, il perfezionamento del design degli stent carotidei e l’impiego di nuovi sistemi di protezione cerebrale, ha
proposto il trattamento di stenting carotideo (CAS) come alternativa alla TEA. Tale evoluzione tecnologica e la disponibilità
di nuovi presidi medico-chirurgici, ha in parte modificato le
indicazioni al trattamento di pazienti con insufficienza cerebro-vascolare non embolica secondaria a patologia aterotrombotica carotidea, alla luce anche dei risultati di nuovi trial randomizzati comparativi tra le differenti opzioni terapeutiche. In
queste linee guida sono discusse le indicazioni al trattamento
endovascolare nei pazienti sintomatici o asintomatici, l’iter
diagnostico necessario alla pianificazione di un corretto trattamento endovascolare, illustrando inoltre gli aspetti tecnici
fondamentali al fine di ottimizzare la procedura, in termini di
apparecchiature radiologiche, esperienza dell’operatore, scelta
dei materiali e gestione farmacologica. Sono inoltre trattati gli
aspetti medico-legali secondari alla compilazione di un corretto consenso informato da parte del paziente, illustrando inoltre
quale follow-up possa permetterci di individuare precocemente la necessità di eventuale reintervento.
Parole chiave Carotidi, Stenting, TEA, Linee Guida,
AngioTC, angioRM, eco-color-Doppler
Introduzione
Lo stroke rappresenta la causa più frequente di mortalità e
morbidità ed è la terza causa di morte nei paesi industrializzati
con più di 700.000 nuovi casi/anno cone più di 160.000 morti/
anno stroke-relati (1). Il 20-40% degli ictus cerebrali è legato
alla presenza di lesioni ateromasiche a livello delle carotidi
nel tratto extracranico (2).
Il management dei pazienti con stenosi carotidee rappresenta
da molti anni argomento di dibattito tra gli specialisti coinvolti nel trattamento di tale patologia, sin dall’introduzione
dell’endoarterectomia carotidea (TEA) come opzione di scelta nel trattamento e prevenzione dello stroke, con il primo trial
randomizzato multicentrico pubblicato nel 1968 (3).
Nell’ultimo ventennio, tuttavia, lo sviluppo di metodiche
endovascolari mini-invasive, il perfezionamento del design
degli stent carotidei e l’impiego di nuovi sistemi di protezione cerebrale, ha proposto il trattamento di stenting carotideo
(CAS) come alternativa alla TEA.
Tale evoluzione tecnologica e la disponibilità di nuovi presidi medico-chirurgici, ha in parte modificato le indicazioni
al trattamento di pazienti con insufficienza cerebro-vascolare
non embolica secondaria a patologia aterotrombotica carotidea, alla luce anche dei risultati di nuovi trial randomizzati
292
comparativi tra le differenti opzioni terapeutiche.
Le seguenti linee guida della Sezione di Radiologia Vascolare ed Interventistica della SIRM sono il risultato di una
consensus conference tenutasi durante il 13° Corso Interattivo “Gargano 2012”; si basano sull’evidenza scientifica degli
ultimi anni e hanno l’obiettivo di proporre degli standard di
comportamento comuni nell’indicazione al trattamento endovascolare di PTA/stenting in pazienti con patologia steno-ostruttiva carotidea, tenendo in considerazione l’impatto
clinico ed il rapporto costo-beneficio delle diverse opzioni
terapeutiche.
Tali linee guida e raccomandazioni rappresentano la posizione ufficiale della Sezione di Radiologia Vascolare ed Interventistica della SIRM su tale argomento allo stato attuale
e subiranno negli anni regolari modifiche basate su eventuali
nuovi risultati scientifici della letteratura.
Saranno discusse le indicazioni al trattamento endovascolare
nei pazienti sintomatici o asintomatici, l’iter diagnostico necessario alla pianificazione di un corretto trattamento endovascolare, illustrando inoltre gli aspetti tecnici fondamentali al
fine di ottimizzare la procedura, in termini di apparecchiature
radiologiche, esperienza dell’operatore, scelta dei materiali e
gestione farmacologica.
Saranno inoltre discussi gli aspetti medico-legali secondari
alla compilazione di un corretto consenso informato da parte
del paziente, illustrando inoltre quale follow-up possa permetterci di individuare precocemente la necessità di eventuale
reintervento.
Le raccomandazioni espresse in tale documento sono state
condivise da tutti gli specialisti coinvolti nella consensus.
Sono caratterizzate da gradi di raccomandazione (1 o 2) in
base alla qualità dell’evidenza scientifica (Grado 1: i benefici
della procedura superano nettamente i “costi”, con alto grado
di confidenza; Grado 2: benefici della procedura molto prossimi ai “costi” con decisione basata su specifici scenari clinici
e presa “caso per caso”).
Oltre al grado di raccomandazione, si associa il Livello di
evidenza: A (alta qualità: studi randomizzati), B (moderata
qualità: studi multicentrici non randomizzati, esperienze monocentriche su larga popolazione), C (bassa qualità: studi su
piccole popolazioni, esperienze preliminari, case report).
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
restanti casi la causa può essere aterotrombotica o trombo-embolica da patologie cardiache, ed in particolare da fibrillazione
atriale. In caso di patologia steno-ostruttiva, l’indicazione ad
un trattamento non conservativo di rivascolarizzazione (TEA
o Stenting) si basa sulla sintomatologia neurologica, sull’età
del paziente, sulla presenza di eventuali comorbidità ed infine
sull’aspettativa di vita. Risulta chiaro, pertanto, che la valutazione neurologica preliminare è fondamentale, consentendo
di distinguere pazienti sintomatici ed asintomatici, individuare
pazienti che necessitano di uno screening carotideo o una prevenzione primaria o secondaria in fase acuta o a lungo termine.
ñ Una stenosi carotidea si definisce sintomatica se il paziente ha presentato sintomi clinici ascrivibili ad ischemia cerebrale (TIA o stroke) o retinica (amaurosi) omolaterali
alla lesione nei 6 mesi precedenti.
ñ Lo screening è raccomandato in tutti i pazienti sintomatici, data l’elevata incidenza di stenosi carotidee significative ed il ruolo della TEA nel ridurre il rischio di stroke
(Grado 1, livello di evidenza A) .
ñ Lo screening è inoltre raccomandato in pazienti con patologia vascolare periferica, indipendentemente dall’età, in
pazienti >65 anni con uno o più fattori di rischio aterosclerotici o in pazienti da sottoporre a trattamenti chirurgici
cardiaci (Grado 1, livello di evidenza A).
ñ In tutti i pazienti con stenosi carotidea è indicata una prevenzione mirata al controllo dei fattori di rischio (ipertensione, ipercolesterolemia, tabagismo) al fine di ridurre
il rischio cardiovascolare e di stroke (Grado 1, livello di
evidenza A).
ñ In pazienti asintomatici con stenosi carotidea è raccomandata una terapia antiaggregante per ridurre il rischio di
morbilità cardiovascolare sebbene non sia dimostrata la
sua efficacia nella prevenzione primaria dello stroke (Grado 1, livello di evidenza A).
ñ In pazienti con stroke su base aterotrombotica non è indicato un trattamento medico con anticoagulanti (Grado 1,
livello di evidenza B).
ñ La terapia antiaggregante è raccomandata nella prevenzione secondaria dello stroke: ASA (100mg/die), ASA (75
mg/die) + dipiridamolo a rilascio prolungato (200 mg x
2/die) o Clopidogrel (75mg/die). L’associazione di ASA e
Clopidogrel non si è dimostrata essere più efficace della
monoterapia (Grado 1, livello di evidenza B) (8).
Inquadramento clinico e prevenzione dell’ictus
Lo stroke rappresenta la prima causa di disabilità fisica e la
terza causa di morte nei paesi industrializzati (4). La mortalità secondaria a stroke è pari a circa il 10-30%, ma i restanti
pazienti rimangono a rischio di eventi ischemici neurologici o
cardiaci ricorrenti. Recentemente la diffusione della risonanza
magnetica cerebrale ha permesso una più chiara differenziazione tra stroke e TIA. Il TIA (attacco ischemico transitorio )
è definito come un evento neurologico acuto di origine cerebrovascolare che si risolve entro 24 ore ma solitamente dura
da pochi minuti a 1-2 ore. Il rischio di TIA o stroke aumenta
con l’età, riconoscendo inoltre quali fattori di rischio l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il tabagismo, il diabete,
precedenti eventi cerebrovascolari, fibrillazione atriale e altre
condizioni cardiache che incrementano i rischi di complicanze
cardioemboliche. Nel 20% dei casi lo stroke riconosce un’eziologia aterotrombotica steno-ostruttiva carotidea mentre nei
Iter diagnostico
Nella valutazione dei pazienti con patologia steno-ostruttiva carotidea, la diagnostica per immagini ha il compito di
identificare e quantificare il grado di stenosi, caratterizzare la
struttura della placca (calcificazioni, trombosi, ulcerazioni),
valutare le caratteristiche dell’arco aortico/origine dei tronchi epiaortici, identificare eventuali lesioni steno-ostruttive
a monte o a valle (lesioni tandem) della biforcazione carotidea, escludere eventuali patologie malformative vascolari
intracraniche, identificare la presenza di circoli di compenso
intracranico oltre che fornire un’adeguata valutazione del parenchima cerebrale.
Le metodiche utilizzate a tale scopo sono l’eco-color-Doppler
(ECD), l’angioTC, l’angioRM e l’angiografia a sottrazione
digitale (DSA). In particolare, l’Angio-TC ed Angio-RM, in
293
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
quanto metodiche non invasive, hanno routinariamente sostituito la DSA come metodica di II istanza nell’iter diagnostico
della valutazione di pazienti con stenosi carotidea. Entrambe
le metodiche sono in grado di fornire la quasi totalità delle informazioni, complementari a quelle fornite dall’ECD, necessarie alla pianificazione dell’intervento di rivascolarizzazione
(TEA o stenting). Entrambe forniscono misurazioni oggettive
e ripetibili sui diametri vasali ed informazioni sulle strutture
anatomiche comprese nello studio (9).
ñ L’ECD è da considerarsi la metodica di screening e di
prima istanza nello studio del distretto vascolare della carotide extracranica, nei pazienti con sospetta stenosi carotidea, in quanto esame economico, non invasivo ed in grado di fornire informazioni di tipo sia morfologico (sede,
estensione e spessore della placca, presenza di calcificazioni, calibro vasale residuo) che emodinamico (grado di
stenosi, velocità di flusso nel lume vasale, ecc.), con sensibilità e specificità elevate (Grado 1, Livello di Evidenza
A) (10-13).
ñ L’ECD è poco indicato nella valutazione delle stenosi localizzate all’origine della carotide comune e nelle stenosi
localizzate al di sopra della biforcazione, nella valutazione
di placche calcifiche concentriche e nella valutazione di
vasi tortuosi (Grado 1, Livello di Evidenza B) (14).
ñ L’ECD è di scarsa utilità nella diagnosi differenziale tra
occlusione e sub-occlusione, per i limiti della metodica nel
campionamento di flussi molto lenti (14). Questo limite è
in parte superato dall’utilizzo della tecnica power-doppler,
sensibile alla densità di globuli rossi ed al volume ematico
ed indipendente dalla velocità di flusso, nonchè dall’utilizzo di mezzo di contrasto ecografico (Grado 1, Livello
di Evidenza B) (15-18).
ñ Quando l’ECD non è diagnostico o evidenzia una stenosi di
entità pari a 50-69% in pazienti asintomatici, è raccomandato il ricorso ad una metodica di seconda istanza (angioTC,
angioRM, DSA) (Grado 1, Livello di evidenza B) (8).
ñ L’utilizzo di angio-TC ed angio-RM andrebbe considerato
qualora l’ECD non sia dirimente nell’indicazione al trattamento chirurgico/endovascolare, nelle condizioni in cui
questa tecnica sia fortemente limitata e in previsione del
trattamento per ottenere una mappa vascolare completa
del distretto carotideo (Grado 1, Livello di evidenza B)
(19).
ñ L’Angio-TC è preferibile nella valutazione del lume residuo e nello studio della placca e nella valutazione delle
steno-occlusioni, date le elevate sensibilità e specificità,
inquanto indipendente dal flusso all’interno del vaso (Grado 1, Livello di evidenza B) (9, 20-24).
ñ L’Angio-RM è da considerarsi nei casi in cui o l’angio-TC
sia controindicata, come, ad esempio, nei pazienti con intolleranza/allergia nota allo iodio oppure nei pazienti giovani,
con lunga aspettativa di vita (rischio radiazioni ionizzanti),
in pazienti con presenza di device metallici nel tratto cervicale ed in presenza di vasi con grossolane e diffuse calcificazioni parietali (Grado 1, Livello di evidenza B) (9). La
RM ha il vantaggio di poter meglio valutare il parenchima
cerebrale, anche mediante l’utilizzo di sequenze DWI.
ñ L’utilizzo di acquisizioni TC o sequenze RM perfusionali
sembrerebbe avere un ruolo nella valutazione pre-trattamento del circolo intracranico e della vascolarizzazione
cerebrale in termini di valore predittivo di rischio di com-
plicanze ischemiche e/o emorragiche e nella valutazione
post-trattamento in termini di “ridistribuzione” del circolo
vascolare a valle dello stent.
ñ La DSA con finalità diagnostiche è raccomandata solo nei
casi in cui non sia possibile l’esecuzione di metodiche non
invasive o in casi discordanti (Grado 1, Livello di evidenza B) (25).
Indicazione al trattamento di rivascolarizzazione
Trial randomizzati di confronto tra terapia medica e intervento
chirurgico di TEA hanno dimostrato che la TEA è il trattamento di scelta per la prevenzione dello stroke per i pz sintomatici
con stenosi > 50% (NASCET, ECST) e per i pz asintomatici
con stenosi > 60% (ACAS; ACST) (26-29). In particolare, in
caso di pazienti sintomatici con stenosi >70% trattati con TEA
il tasso di riduzione del rischio di stroke o morte a 5 anni è risultato pari al 16%; non si è osservata riduzione del rischio in
caso di stenosi <50% mentre i benefici sono risultati minimi
in caso di stenosi compresa tra 50% e 69%. Nei pazienti asintomatici, i risultati dell’ACAS e dell’ACST indicano una riduzione assoluta del rischio di stroke e morte pari al 5.4% (6.4
vs 11.8%) in caso di pazienti con stenosi carotidee >80%, con
benefici minimi in caso di stenosi comprese tra 60% e 79%
(28-29). Allo stato dell’arto, non esistono trials randomizzati
di confronto tra terapia medica e trattamento endovascolare
di stenting carotideo. Nell’indicazione al trattamento di rivascolarizzazione va inoltre considerato il rischio procedurale,
identificando pazienti ad alto rischio per TEA (Tabella I) o per
PTA/Stenting (Tabella II) (30).
Scelta del trattamento (TEA vs Stenting): Indicazioni
nei Pazienti Sintomatici
La scelta tra trattamento chirurgico (TEA) e trattamento endovascolare (PTA/Stenting) è una questione ancora aperta; sulla
base delle evidenze emerse dai numerosi studi sull’argomento
nell’ultimo ventennio si è assistito ad un progressivo allargamento delle indicazioni al trattamento endovascolare (26,
31). Nel 2004 la FDA ha infatti approvato il trattamento endovascolare in pazienti ad alto rischio (ARCHeR, SECuRITY,
SAPPHIRE) e nel 2011 anche per pazienti a rischio standard
(SPACE, EVA-35, ICSS, ACT I) (7-12, 32-38).
ñ Il trattamento di rivascolarizzazione, indipendentemente dalla scelta, deve essere eseguito nell’arco di 2 settimane dall’esordio dei sintomi (Grado I, Livello di Evidenza B).
ñ La TEA rappresenta il trattamento di riferimento per i pazienti sintomatici con stenosi carotidee significative e rischio
procedurale “non-elevato”, alla luce della riduzione del tasso di stroke e mortalità periprocedurale (Grado 1, Livello di
Evidenza B). I risultati del CREST indicano una possibile
superiorità dello Stenting in caso di pazienti di età <70 anni.
ñ Lo Stenting carotideo è preferibile alla TEA in caso di pazienti ad elevato rischio chirurgico (Grado 1, Livello di Evidenza
A) ma deve essere eseguita da operatori esperti, in centri ad
alto volume, con tasso di morbidità e mortalità <4-6%.
ñ Nei pazienti a rischio chirurgico non-elevato lo Stenting può
rappresentare una possibile alternativa alla TEA in centri ad
alti volumi, con operatori esperti e documentato rischio procedurale di complicanza maggiore (decesso o stroke) <2%.
294
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
Tabella 1 Fattori che aumentano il rischio intraprocedurale identificando i pazienti ad alto rischio chirurgico per TEA
Criteri Anatomici
Comorbidità
Lesioni alte cervicali (distalmente al soma di C2)
o intratoraciche
Età >80 aa
Collo ostile chirurgico (biforcazione alta)
Coronaropatia severa
Stenosi post-attinica / Fibrosi post-chirurgica
Scompenso cardiaco (NYHA III/IV)
Occlusione della carotide interna controlaterale
Angina instabile (CCS III/IV)
Restenosi post-TEA
Recente IMA (entro 30 giorni)
Paralisi del nervo laringeo controlaterale
Frazione di eiezione Ventr SN <30%
Tracheostomia
Severa patologia polmonare (BPCO di grado II)
Severa patologia renale
Tabella 2 Fattori che aumentano il rischio intraprocedurale identificando i pazienti ad alto rischio per PTA/Stenting
Criteri Anatomici
Comorbidità
Anatomia sfavorevole (Arco aortico complesso, carotide
comune e/o interna molto angolata/ tortuosa)
Età >80 aa
Difficoltosa valicazione della placca
(placca concentrica calcifica) e posizionamento di device
di protezione embolica distale
Microangiopatia cerebrale e ridotta riserva vascolare
Placca soft vulnerabile
Coagulopatia
Difficoltoso accesso vascolare
insufficienza renale
Scelta del trattamento (TEA vs Stenting):
Indicazioni nei Pazienti Asintomatici
Il trattamento di pazienti con stenosi carotidee asintomatiche
è stato, ed è tuttora, oggetto di dibattito: la scelta va effettuata
sulla base non solo del grado di stenosi, del rischio procedurale, ma anche dell’aspettativa di vita.
ñ La TEA rappresenta il trattamento di riferimento, superiore alla terapia medica, per i pazienti asintomatici con
stenosi carotidee >80% ed aspettativa di vita superiore ai
3-5 anni (Grado 1, Livello di Evidenza B) (8, 39-46).
ñ Lo Stenting carotideo può essere considerato una valida
alternativa alla TEA in caso di pazienti con stenosi carotidea >80% ad elevato rischio chirurgico (Grado 1, Livello di Evidenza A) ma deve essere eseguita da operatori
esperti, in centri ad alto volume, con tasso di morbidità e
mortalità <3% (40-51).
ñ La terapia medica rappresenta il trattamento di riferimento
per i pazienti asintomatici con stenosi carotidee <60% o
aspettativa di vita inferiore ai 3 anni, indipendentemente
dal grado di stenosi (Grado 1, Livello di Evidenza B).
ñ Non esiste livello di evidenza scientifica ed uniformità
di opinioni su quando e come trattare i pazienti con stenosi carotidea tra 60 e 80%: in questi pazienti la valutazione della stabilità o instabilità di placca, della riserva
funzionale mediante SPECT, se adeguata o diminuita, l’aspettativa di vita (< o > 5 anni) e controlli più ravvicinati
possono orientare la scelta terapeutica (terapia medica o
rivascolarizzazione) (8, 47).
Requisiti tecnico-procedurali per lo stenting
carotideo
Quale apparecchiatura radiologica?
La digitalizzazione delle apparecchiature angiografiche consente di elaborare le immagini al fine di ottenere diverse modalità di visualizzazione, prime fra tutte il “road mapping” e
la “rotational angiography”. La procedura di CAS può essere
eseguita avvalendosi di qualsiasi apparecchiatura angiografica, ma la qualità diagnostica operativa si è dimostrata ottimale con apparecchiature digitali ad arco fisso e tecnologia
“flat panel”, in cui l’utilizzo di un unico detettore digitale
costituito da Ioduro di Cesio elimina i punti deboli dell’intensificatore di brillanza, ovvero la degradazione del segnale
dell’immagine. La qualità diagnostica operativa può essere
comunque buona anche con apparecchiature ad arco fisso
senza tecnologia “flat panel”, mentre nel caso delle apparecchiature mobili, i fattori limitanti sono rappresentati dalla
scarsa capacità di escursione dell’arco stesso e dall’essere
TSRM-dipendenti.
Le proiezioni necessarie per lo studio dei vasi epiaortici
sono l’antero-posteriore con rotazione dell’arco di 45° per la
valutazione dell’arco aortico, la proiezione obliqua laterale
sinistra con rotazione del cranio di 20°-30° verso destra ed
obliqua laterale destra con rotazione del capo verso sinistra
per la valutazione delle biforcazioni carotidee, ed, infine, la
proiezione antero-posteriore per lo studio del circolo intra-
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
cranico e del ritorno venoso, con cadenza di acquisizione
delle immagini di 2-3 al secondo (52).
ñ La procedura di PTA-Stenting carotideo deve essere eseguita in Sala Angiografica; risulta fondamentale la confidenza dell’operatore con le apparecchiature utilizzate, la
conoscenza delle potenzialità della macchina con l’ottimizzazione delle sue possibilità, al fine di ottenere una
qualità diagnostica operativa ottimale.
Quale Esperienza dell’Operatore?
La letteratura descrive l’impatto dell’esperienza dell’operatore e del numero di procedure trattate per centro (centri a basso
o alto volume) nel ridurre il tasso di complicanze procedurali.
Nel registro PRO-CAS, in cui sono incluse 5341 procedure, i
centri con un numero annuo di procedure effettuate di stenting
carotideo ≤50 si è registrato un tasso di complicanze annuo
pari al 4.6% versus 2.9% di quelli con un numero >50. Inoltre,
considerando l’esperienza complessiva, centri con un numero
di stenting carotidei <50, 51-150 e >150 si è osservato un tasso
di morte o stroke rispettivamente pari a 5.9, 4.5, e 3.0% (53).
Nel CAVATAS (the CArotid and Vertebral Artery Transluminal Angioplasty Study), trial di confronto tra TEA e stenting,
si è inoltre dimostrata una riduzione significativa di complicanze procedurali per lo stenting dall’11% per le prime 50
procedure effettuate sino al 4% per le successive (54). Simili
risultati sono stati dimostrati anche nello SPACE (Stent-Protected Angioplasty versus Carotid Endarterectomy), in cui si
è ottenuta una riduzione di complicanze dal 12.1% al 9.4% al
4.9% per centri con un volume rispettivamente < 20 pazienti,
20-24 pazienti o ≥25 pazienti trattati (34).
Inoltre, tale aspetto sembra giustificare i risultati favorevoli
per lo stenting emersi dal CREST in cui gli operatori partecipanti al trial avevano eseguito in media ≥ 30 stenting/anno;
inoltre, in tale trial si è dimostrata una riduzione dei tassi di
complicanze in base al numero di pazienti arruolati con un
tasso pari a 0% per decessi o stroke maggiori nel secondo
50% dei pazienti arruolati (38).
ñ Esiste un’evidenza scientifica che l’esperienza riduce il
tasso di complicanze procedurali correlate allo stenting
carotideo, secondaria sia alla miglior gestione tecnica della procedura che ad una migliore selezione dei pazienti.
ñ I requisiti necessari al fine di ottenere un’adeguata competenza ed esperienza nell’esecuzione e gestione di tale
procedura sono: un periodo di formazione in ambito neurologico (per la conoscenza della malattia e della sua evoluzione), avere eseguito 50 cateterismi selettivi periferici,
aver posizionato 25 stent in distretti extra-carotidei, aver
seguito corsi pratici sui materiali, aver seguito corsi pratici con casi live, aver eseguito programmi di training su
simulatori, avere eseguito > 10 PTA-Stent carotidei senza
complicanze in presenza di un supervisore, aver acquisito
esperienza con le tecniche mono-rail e con i materiali utilizzati durante la procedura.
Filtri di protezione cerebrale
Il rischio più significativo, associato alla procedura di Stenting, nel trattamento delle stenosi carotidee, è rappresentato
dal trombo-embolismo e l’introduzione dei Filtri di Protezio-
295
ne Cerebrale (FPC) è stata accolta come una possibile soluzione a tale problema (55-60).
I Filtri di Protezione Cerebrale attualmente utilizzati sono di
due tipologie: “a filtro distale” con filo guida solidale o filo
guida indipendente, ed “a blocco di flusso”, con “inversione
di flusso” e aspirazione di eventuali microemboli. I vantaggi
e gli svantaggi di ciascun device impongono una loro perfetta
conoscenza ed esperienza nell’utilizzo; in particolare, i filtri
distali mantengono la perfusione cerebrale, sono di rapido utilizzo e non richiedono cateteri/introduttori portanti di ampio
diametro. Tuttavia il loro corretto posizionamento comporta
il superamento della stenosi in trattamento senza alcun sistema di protezione, sono difficilmente avanzabili in anatomie
particolarmente tortuose e possono potenzialmente provocare
danno intimale con conseguente spasmo carotideo o dissezione intimale.
Con i sistemi a blocco di flusso si ottiene una protezione anti-embolica assoluta durante tutte le fasi della procedura; sono
applicabili anche nei casi di stenosi carotidee coinvolgenti
vasi caratterizzati da kinking/coiling severi e sono considerati
obbligatori nel trattamento di stenosi soft con evidente trombosi. Tuttavia non sono applicabili su pazienti con circolo di
Willis incompleto che risultano intolleranti all’occlusione, richiedono introduttori e cateteri portanti di maggior calibro e
sono di difficile posizionamento in tronchi epiaortici tortuosi
(8, 42, 55, 58, 61).
I punti critici dei FPC sono diversi: innanzitutto la permeabilità dei filtri a materiale particolato di calibro < 60 µm riduce
il rischio embolico ma non lo elimina completamente (filtri
distali); la possibilità di produrre danno intimale “meccanico”
durante l’avanzamento (spasmo e/o dissezione); l’impossibilità di utilizzare i sistemi “a blocco di flusso” nel 15% dei casi
(per occlusione della carotide contro laterale e Willis incompleto) che determina una riduzione della perfusione cerebrale;
il rischio di microembolizzazione in tutte le fasi della procedura, dalla diagnostica al ritiro del FPC; la loro sub-ottimale
manovrabilità in anatomie particolarmente tortuose (36, 42,
57, 59, 62-63).
In letteratura è stato riportato un outcome migliore nei pz trattati con FPC rispetto al corrispondente gruppo trattato senza
sistemi di protezione, con un tasso di stroke a 30gg dell’1.2%,
inferiore rispetto al 3.8% del secondo gruppo (64). Tali esperienze attribuiscono un’eziologia cardiaca all’incidenza di
stroke e morte a 30gg nei pz trattati senza FPC ed è stato osservato che il loro impiego riduce in maniera significativa il
tasso di complicanze trombo-emboliche, nonché l’incidenza
di stroke post-procedurali (49, 55). Tuttavia nel trial randomizzato SPACE (Stent-Supported Percutaneous Angioplasty
of the Carotid Artery versus Endarterectomy) che comparava
CEA con CAS, non sono state individuate differenze statisticamente significative nell’incidenza di stroke ipsilaterale
o morte tra il gruppo dei pazienti protetti e quello dei non
protetti durante la procedura di stenting, pari al 7% (65). Macdonald S et al, nel Filter-protected versus unprotected carotid
artery stenting: a randomised trial, ha riscontrato un maggior
numero di nuove lesioni nelle sequenze RM-DWI eseguite a
24h e 30gg dalla procedura, nei pz trattati con CAS e device
di protezione, rispetto ai pz non-protetti (66-68).
ñ L’uso routinario dei Filtri di Protezione Cerebrale ha un
impatto favorevole sui risultati clinici garantendo un migliore outcome nelle procedure di stenting carotideo, ri-
296
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
ducendo il rischio trombo-embolico (Grado 1; Livello di
evidenza B) (49, 55-57).
ñ Tuttavia, in alcune situazioni anatomiche complesse, in
caso di stenosi lunghe post-coiling o in casi di difficoltà
nel valicare la stenosi con il filtro, l’elevato rischio correlato di danno “meccanico” da avanzamento o embolia
distale da manipolazione della placca, per i filtri di protezione distale, o l’incapacità di garantire un flusso cerebrale adeguato in pazienti con occlusioni carotidee controlaterali, per i filtri a “blocco di flusso”, rivela la necessità di
procedere senza sistema di protezione (Grado 1; Livello di
Evidenza B) (49, 62-63).
ñ E’ necessario disporre di sistemi di protezione diversificati ed accumulare esperienza e confidenza con ognuno di
essi; è fondamentale inoltre l’ottimizzazione del planning
pre-operatorio e della tecnica di esecuzione dello stenting
carotideo (35, 36, 49, 59, 60, 66).
Quale stent?
Gli obiettivi dello Stenting carotideo sono: ottenere un’adeguata ricanalizzazione del vaso, con un’adeguata copertura
di placca, evitando il prolasso della stessa tra le maglie dello
stent, rispettare l’anatomia vascolare originale e promuovere
una fisiologica re-endotelializzazione dello stent. Il raggiungimento ed il rispetto di tali obiettivi consentono di ottenere
una procedura con bassi tassi di complicanze trombo-emboliche nell’immediato e nel follow-up a lungo termine.
Gli stent carotidei si differenziano per materiale (acciaio o nitinol), morfologia (cilindrici o conici) e, soprattutto, per struttura (a “celle chiuse” o a “celle aperte”) (69). Le differenti
caratteristiche degli stent ne influenzano la conformabilita’/
flessibilità (capacità di conformarsi alla tortuosità vasale durante il posizionamento), l’adattabilità alla parete vasale (capacità di adattarsi all’anatomia della biforcazione carotidea/
parete vasale) e la capacità di copertura della placca (capacità
di evitare il rischio di prolasso della placca tra le maglie dello
stent) (Tab III, IV) (70).
ñ Non vi è alcune evidenza scientifica che l’utilizzo di una
tipologia di stent possa garantire un tasso inferiore di complicanze intra-periprocedurali (71).
ñ Sulla base dell’esperienza dei partecipanti alla consensus
si è ritenuto opportuno:
1. utilizzare uno stent “a celle chiuse” in caso di pazienti sintomatici con placca instabile fibro-lipidica al fine di favorire la copertura di placca con minor rischio di prolasso
della placca intrastent e potenziale conseguente riduzione
di aggregazione piastrinica causa di eventi trombo-embolici e aumentato tasso di restenosi;
2. utilizzare uno stent in nitinolo “a celle più chiuse possibili” o stent “a celle ibride” in caso di pazienti sintomatici
con placca instabile fibro-lipidica ma con anatomia tortuosa, al fine di favorire la maggior conformabilita’/flessibilità e adattabilità alla parete vasale;
3. utilizzare uno stent “ a celle aperte” in caso di pazienti
asintomatici con placca stabile o fibro-calcifica al fine di
ottenere una minor copertura di placca e conseguente riduzione del traumatismo della stessa.
ñ La post-dilatazione dello stent va eseguita in caso di stenosi residua >30% con cateteri da PTA a “basso profilo” e
diametro variabile da 5 a 6 mm, in rapporto al calibro della
carotide interna.
Terapia farmacologica post-Stent
È fondamentale che tutti gli operatori che eseguono procedure
di Stenting carotideo siano a conoscenza delle indicazioni, dosaggi e scelta dei differenti farmaci da utilizzare nelle fasi pre/
intra/post-procedurale.
Le indicazioni farmacologiche per lo Stenting seguono quelle stabilite anche per la TEA. Esse riguardano la necessità di
controllare farmacologicamente prima e durante la procedura i
fattori di rischio cardiovascolari, intraprendere una terapia antiaggregante e anticoagulante, oltre che consentire un controllo
intra-post procedurale della pressione arteriosa. Infine, bisogna
conoscere i farmaci necessari per controllare/trattare eventuali
complicanze intra-procedurali.
ñ Il management pre-trattamento di pazienti candidati ad intervento di rivascolarizzazione carotidea consiste nel controllo
della pressione arteriosa (140/80), della frequenza cardiaca
(FC 60-80), con eventuale utilizzo di farmaci b-bloccanti e
della colesterolemia (LDL 100mg/dL), con eventuale utilizzo di statine (Grade 1, Livello di Evidenza B).
ñ In fase pre-procedurale, la doppia terapia antiaggregante
Tabella 3 Stent “a celle aperte”
Caratteristiche
Vivexx
Precise
Protege
Exponent
Zilver
Acculink
Flessibilità
+++
+++
+++
++
+++
+++
Adattabilità
+++
+++
+++
++
++
+++
Accorciamento
+
+
+
+
+
+
Copertura Placca
+
+
+
+
+
+
Scaffolding
+
+
+
+
+
+
Forza Radiale
++
++
++
++
++
++
Profilo
+++
+++
+++
++
++
++
Flessibilità Device
+++
++
++
++
++
++
Precisione Rilascio
++
++
++
++
++
+++
297
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Tabella 4 Stent “a celle chiuse”
Caratteristiche
Carotid
Wallstent
X-Act
Next Stent
Cristallo Ideale
Flessibilità
+
+
+
+++
Adattabilità
++
++
++
+++
Accorciamento
++++
+
+
+
Copertura Placca
+++
+++
+++
+++
Scaffolding
++
+++
++
+++
Forza Radiale
+++
+++
+++
+++
Profilo
+
+
+
++
Flessibilità Device
++
++
++
++
Precisione Rilascio
+
+++
++
++
ñ
ñ
ñ
ñ
ñ
è risultata efficace con aspirina (75 – 160 mg/die) + clopidogrel (75 mg/die, con preload di 300 mg 24 ore prima della procedura), oppure aspirina (75 – 160 mg/die)
+ ticlopidina (250 mg 2 volte/die nei 7 gg precedenti). Va
iniziata 3 giorni prima del trattamento. Dopo la procedura
si somministra clopidogrel (75 mg/die) o ticlopidina (500
mg/die) per 1 mese + aspirina (75 – 160 mg/die) per tutta
la vita. La terapia di associazione tra aspirina e clopidogrel
si è dimostrata superiore rispetto all’associazione tra aspirina e ticlopidina (Grado 1, Livello di Evidenza C).
Prima del cateterismo carotideo, in fase intra-procedurale, si
somministra eparina non-frazionata (UHF) da 70 a 100 UI/
Kg con l’obiettivo di ottenere un ACT di 250-300 secondi
durante il trattamento. L’eparina a basso peso molecolare
può essere somministrata anche post-CAS in casi a rischio
di trombosi intrastent (Grado 1, Livello di Evidenza C).
La reazione vaso-vagale post-stimolazione dei barocettori
del seno carotideo può essere presente nel 19-68% dei casi
con conseguente bradicardia/asistolia. Al fine di prevenire
o ridurre la severità di tale evento è utile somministrare
1 minuto prima della dilatazione dello stent 0.5-1mg di
Atropina.
Lo spasmo arterioso, reazione dell’intima alla manipolazione con guide e/o filtro di protezione, solitamente è
transitorio, risolvendosi spontaneamente in pochi minuti,
dopo la rimozione del device. Se persiste, si può infondere trans catetere nitroglicerina 100-200mg; va evitato
comunque il suo trattamento mediante PTA/stenting.
In caso di evento trombo-embolico intraprocedurale bisogna eseguire un cateterismo superselettivo intracerebrale
sino in prossimità dell’embolo e infondere farmaci transcatetere quali agenti litici (rtPA) e/o agenti antiaggreganti
(inibitori GPIIbIIIa: abxicimab – Reopro; Tirofiban – Aggrastat; Eptifibatide – Integrilin); possono inoltre essere
utilizzati device da disostruzione/rimozione meccanica o
stent per bail-out.
In caso di sindrome da riperfusione/iper-perfusione con
possibile emorragia cerebrale bisogna controllare la
pressione arteriosa, l’ACT (utilizzando la protamina se
>200secondi), utilizzare farmaci anti-epilettici ed eventuali anti-edemigeni – vasodilatatori (7-8).
Consenso informato
Nelle pratiche interventisiche il consenso informato (CI)
del Paziente è ineludibile. La Mancanza del CI è considerata, a prescindere, come una fonte di colpa. Il CI deve essere
conforme agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione Italiana,
all’articolo 5 del DL 28 marzo 2001 n.145 ed agli articoli 33
e 35 del Codice Deontologico Medico.
E’ obbligatorio che il CI sia firmato dall’avente diritto, cioè il
Paziente stesso o il Suo Tutore legale al momento della procedura, e ottenuto dal Radiologo che effettua l’indagine, che
lo controfirma, almeno 24 ore prima dell’intervento e con la
firma di un testimone. Il Radiologo che esegue la procedura
deve a sua volta assicurarsi che esso venga inserito nella cartella clinica e conservato con essa.
Nel CI devono essere riportate le finalità terapeutiche, i limiti
tecnici della procedura, i rischi insiti nella stessa e nell’uso di
farmaci e del mezzo di contrasto (mdc), le possibili complicanze (prevedibili ma non prevenibili) e le eventuali opzioni
terapeutiche alternative. Se una determinata procedura interventistica determina un rischio peculiare è preferibile utilizzare uno specifico consenso relativo alla procedura stessa. In
alternativa, è utilizzabile il modulo di CI omnicomprensivo
per tutte le procedure interventistiche (Tabella III).
ñ Il consenso informato è ineludibile.
ñ Nel consenso devono essere riportate le finalità terapeutiche, i limiti tecnici della procedura, i rischi insiti nella
stessa e nell’uso di farmaci e MDC, le possibili complicanze e l’eventuale opzione terapeutica alternativa. Il consenso viene firmato dal paziente e ottenuto dal Radiologo
che effettua l’indagine, che lo controfirma, almeno 24 ore
prima dell’intervento e con la firma di un testimone.
Follow-up post-stenting
L’imaging nel follow-up ha l’obiettivo di documentare eventuali restenosi intrastent, oltre che monitorare l’eventuale
evoluzione della patologia carotidea controlaterale. La metodica d’imaging più idonea nel follow-up post-stenting è l’eco-color-Doppler (ECD), che definisce il grado di eventuale
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
Tabella 5 Requisiti Consenso Informato Procedure Interventistiche
CONSENSO INFORMATO OMNICOMPRENSIVO PER PROCEDURE INTERVENTISTICHE
Motivazione clinica all’esame e/o alla procedura, finalità e nome del radiologo che eseguirà la procedura stessa
Dichiarazione di comprensione da parte del paziente di quanto esposto verbalmente e/o per iscritto da parte del medico
Accettazione dei rischi concernenti l’utilizzo di farmaci, del mdc e delle radiazioni ionizzanti
Informazioni sui benefici attesi, sulle possibili complicanze da cause note e/o ignote, sugli eventi prevedibili ma non
prevenibili, legati alla procedura, ai materiali impiegati e allo stato clinico del paziente
Un elenco delle procedure ed atti medici, interni ed esterni alla struttura, alternativi alla procedura proposta
Accettazione dei rischi generici e specifici della procedura interventistica in quanto ben compresi
Accettazione del possibile cambiamento in corsa della procedura, per motivi clinici imprevisti, nel caso non sia possibile la
sottoscrizione di un ulteriore modulo di CI per le condizioni del Paziente
Consapevolezza sulla non garanzia assoluta dell’ottenimento dei risultati attesi
Eventuale nome del testimone presente al colloquio informativo
Accettazione consapevole e informata
Firma del paziente e del medico radiologo con data ravvicinata all’esame
Negazione stato di gravidanza di donne in età fertile
restenosi sulla base della velocità di flusso (>50-80%: PSV >
220 cm/s; >80%: PSV >340 cm/s) (72-75). Si ricorre a metodiche di seconda istanza in caso di reperto ECD dubbio o
positivo, al fine di pianificare il successivo ritrattamento (76).
L’angioTC appare superiore all’angioRM data la capacità di
valutare le caratteristiche strutturali dello stent posizionato, al
fine di evidenziare eventuali fratture.
ñ Non vi sono evidenze scientifiche riguardo il timing del
follow-up. Alla luce della non-invasività della metodica,
si consiglia controllo ECD a 30 giorni e successivamente
a 6 e 12 mesi dal trattamento (Grado 2; Livello di Evidenza C).
Re-intervento
In letteratura è riportato un tasso di restenosi/ostruzione
post-stenting pari a circa il 3% (77-78). Tale restenosi appare
prevalentemente sostenuta da iperplasia intimale mentre rara
appare la correlazione con fratture dello stent (79-80). Nel lavoro di Lal et al. viene illustrata una possibile classificazione
dei pattern di restenosi intra-stent che può avere implicazione
nella definizione del possibile trattamento eseguibile: I: restenosi focale in sede distale; II: restenosi focale intrastent; III:
restenosi intrastent diffusa; IV: restenosi proliferativa diffusa;
V: occlusione completa (81).
ñ Il trattamento può essere eseguito per via endovascolare
(PTA convenzionale; PTA con “cutting-balloon”; PTA con
posizionamento di nuovo stent, in caso di rottura/frattura
dello stent precedentemente posizionato) o per via chirurgica open (Endoarterectomia con rimozione chirurgica
dello stent; by-pass chirurgico) (82). Il ritrattamento è indicato in caso di restenosi > 80% in pazienti asintomatici o
>50% in pazienti sintomatici (Grado 1, Livello di evidenza B) (82-83).
ñ Non vi è evidenza scientifica sul trattamento ideale delle
restenosi in quanto le differenti tecniche mostrano, allo
stato attuale, possibilità terapeutiche e rischi di complicanze sovrapponibili. Il ricorso alla terapia chirurgica
appare comunque indicato solo in casi selezionati, non
trattabili con successo per via endovascolare. (Grado 2;
Livello di Evidenza C) (84).
Conclusioni
L’evoluzione tecnologica degli ultimi anni consente di affermare che la procedura di stenting carotideo può rappresentare
una valida alternativa alla TEA. Al fine di offrire una procedura sicura ed efficace è fondamentale, tuttavia, che tutti gli
operatori esecutori di tali procedure abbiano un background
adeguato riguardo le indicazioni, l’imaging pre e post-procedurale, la tecnica di esecuzione ed i presidi farmacologici da
utilizzare routinariamente ed in caso di complicanze intra-periprocedurali.
Risulta inoltre fondamentale acquisire un’adeguata esperienza procedurale, ricordando l’importanza di aspetti medico-legali correlati al consenso informato del paziente. L’utilizzo
di nuove tecnologie e soprattutto i risultati di nuovi trials
potranno sicuramente ampliare ulteriormente le indicazioni a
tali procedure, fungendo da guida per una revisione futura di
tale documento.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301
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Spreafico,F.Trevisani,A.Veltri
1
Direttore U.O. Radiologia (Pad 1,2), Vice-direttore Dipartimento Malattie Apparato Digerente e Medicina Interna
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Via Albertoni 15, 40138 Bologna, Italia
Indirizzo Autore: R. Golfieri, Tel.: +39-051-6362311, Seg.: +39-051-6362307, Fax: +39-051-6362699, e-mail: [email protected]
Hanno preso parte alla Consensus: Agresti Paolo, Apollonio Biagio Francesco, Arpesani Roberto, Assegnati Guido, Balzano Silverio, Bargellini Irene,
Basile Antonio, Bevere Teresa, Bristogiannis Christos, Candelari Roberto, Castellucci Franca, Ciccarese Giovanni, Citone Michele, De Rosa Fabrizio,
De Santis Mario, Dell’Atti Cristian, Delle Vergini Ludovico, Di Chiacchio Giuseppe, Di Giambattista Guido, Doriguzzi Breatta Andrea, Falcone Michele,
Fiore Francesco, Florio Francesco, Fonio Paolo, Fucilli Fabio, Gabrielli Daniela, Giordano Aldo Victor, Gravina Matteo, Guazzaroni Marco, Iurilli Vincenzo,
Labella Luigi, Larini Pietro, Lauriola Walter, Limbucci Nicola, Lombardi Giulio, Magnano, Vincenzo, Marano Giuseppe, Marcello Roberto, Marcia Stefano,
Mazza Ernesto, Molfese Vito, Mondaini Francesco, Natali Gian Luigi, Naturali Anna Grazia, Pieri Stefano, Quinto Fabio, Rosa Alessandro, Rossi Giuseppe,
Sallei Manuela, Santoro Marco, Maria Grazia, Sicignano Carmine, Sion Monica, Sponza Massimo, Strizzi Vincenzo, Tricarico Luigi, Vezzaro Roberto
Riassunto
Il percorso di stadiazione e l’indicazione al trattamento dell’epatocarcinoma devono essere scelti poiché ritenuti i più omogenei ed efficaci rispetto alle condizioni generali del paziente.
Numerose linee guida sono applicate dai maggiori centri di
riferimento Europei, Asiatici e Nordamericani e, nel nostro
paese, di recente sono state emanate le raccomandazioni
dell’AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato)
per la gestione integrata del paziente con Epatocarcinoma. La
presente revisione riassume la posizione assunta dalla comunità di esperti Nazionali riunitasi in occasione del Congresso Gargano 2012 in merito alla stadiazione ed al trattamento
dell’HCC nei diversi stadi, alla luce delle linee guida e delle
raccomandazioni vigenti.
Parole chiave Epatocarcinoma, HCC, terapie ablative
percutanee, chemioembolizzazione
ed anatomo-patologi, considerando anche le risorse economiche disponibili. In questo ambito di patologia sono presenti
numerose linee guida internazionali e nazionali ben codificate
ed accettate universalmente, che tuttavia contengono alcune
aree grigie di imprecisione. Le linee guida di riferimento per la gestione dell’epatocarcinoma (HCC), emanate nel
2010 dall’Associazione Americana per lo Studio del Fegato
(AASLD) [1], sovrapponibili a quelle del 2012 dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL)- condivise
dall’Organizzazione Europea per la Ricerca e il Trattamento del Cancro (EORTC) [2] e le raccomandazioni del 2012
dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) [3]
si basano sul sistema di diagnosi, stadiazione e stratificazione
prognostico-terapeutica (linee guida EASL-BCLC) esposto in
Tabella 1 [4]. Queste includono lo stadio del tumore, il grado
di compromissione epatica (Classe di Child-Pugh) e le condizioni generali del paziente (Performance Status: PS) e in
conformità a questi parametri distinguono 5 stadi, per ognuno
dei quali viene indicato il trattamento di scelta.
Introduzione
La scelta terapeutica (o la combinazione terapeutica) migliore di fronte ad un paziente con sospetto o diagnosi di epatocarcinoma (HCC) è spesso problematica e deve essere basata
sia sulle caratteristiche cliniche generali del paziente sia sullo
stadio raggiunto dal tumore al momento della diagnosi. Molteplici sono le procedure a disposizione tra cui scegliere, sia
di tipo chirurgico (resezione, trapianto), sia ablative percutanee con differenti tecnologie, sia intrarteriosi con numerose
opzioni, oltre che farmacologiche. Lo spettro di procedure
endovascolari include la TAE, la cTACE, la DEB-TACE, e
la TARE, senza chiare e condivise evidenze di superiorità
dell’una rispetto all’altra in termini di sopravvivenza, ma
con differenze di costi procedurali. Il percorso di stadiazione
e l’indicazione al trattamento devono essere scelti in quanto
ritenuti i più omogenei ed efficaci rispetto alle condizioni generali del paziente. Per questo è particolarmente importante
che le indicazioni vengano condivise da parte di un gruppo
multidisciplinare, comprendente epatologi, chirurghi, chirurghi trapiantologi, radiologi, radiologi interventisti, ecografisti
Tabella 1 Sistema di stadiazione secondo Barcelona Clinic Liver Cancer
(BCLC) per il paziente con HCC (4)
303
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Tabella 2 Pazienti a rischio di sviluppo di HCC candidati alla sorveglianza per la diagnosi precoce del tumore
ñ Pazienti con cirrosi in classe A o B di Child-Pugh (livello evidenza 2b, grado raccomandazione B)
ñ Pazienti con cirrosi in classe C di Child-Pugh in attesa di trapianto di fegato (livello evidenza 5, grado raccomandazione D)
ñ Pazienti non-cirrotici con epatite cronica o malattia inattiva HBV e viremia >10000 copie /ml (livello di evidenza 1b,
grado di raccomandazione A per gli orientali; (livello evidenza 3b, grado raccomandazione B per gli occidentali)
ñ Pazienti non-cirrotici con epatite cronica HCV e fibrosi epatica ≥ F3 secondo la classificazione Metavir (o ≥10 Kpa all’elastografia [Fibroscan®]) (livello evidenza 3b, grado raccomandazione B per pazienti asiatici; livello evidenza 5, grado
raccomandazione D per pazienti occidentali)
ñ Pazienti non-cirrotici con epatite cronica HCV ed almeno uno dei seguenti fattori addizionali di rischio: età ≥ 55 anni se
maschi o ≥ 65 anni se femmine, storia familiare di HCC, co-infezione HBV e/o HIV, abuso alcolico, α 1-fetoproteina
elevata, diabete, obesità (livello evidenza 5, grado raccomandazione D).
ñ Pazienti con epatite cronica HBV o HCV, anche se trattati con successo (viremia negativa a 6 mesi dal termine del trattamento), ma con almeno uno dei seguenti fattori addizionali di rischio: età ≥ 55 anni se maschi o ≥ 65 anni se femmine,
storia familiare di HCC, abuso alcolico, α1-fetoproteina elevata, diabete/obesità, fibrosi epatica F3-F4 Metavir pre-trattamento, ridotta conta piastrinica pretrattamento (livello evidenza 5, grado raccomandazione D)
Nota bene: condizione essenziale per tutte le categorie di pazienti sopra elencate è quella di non presentare controindicazioni al trattamento radicale o palliativo
efficace dell’HCC.
Le raccomandazioni AISF differiscono dalle precedenti solo
nell’inclusione del PS 0-1 nei primi tre stadi (0, A e B). Negli
stadi very early ed early (0 e A) la prima scelta è la resezione
o il trapianto. Per i pazienti non suscettibili di chirurgia, viene
indicata l’ablazione locale mediante Radiofrequenza (RF) la
cui efficacia è diametro-dipendente, con migliori risposte nei
noduli <2 cm. Nello stadio intermedio (B) la TACE/DEB-TACE superselettiva è la terapia raccomandata. Il Sorafenib è
raccomandato come terapia di prima linea nel paziente in stadio avanzato (C) con conservata funzione epatica (Classe A di
Child-Pugh) ed è impiegabile anche nello stadio intermedio,
nei casi in cui la TACE abbia fallito.
Screening e prima diagnosi di lesione
I pazienti a rischio di sviluppare un HCC dovrebbero essere
inseriti in programmi di sorveglianza per la diagnosi precoce del tumore. Lo scopo della sorveglianza è di diagnosticare
l’HCC con diametro <2 cm, quando il rischio di invasione
microvascolare e di lesioni satelliti è ancora molto basso.
L’utilità della sorveglianza è stata dimostrata da un solo trial
randomizzato, condotto in pazienti con epatite cronica B (5),
controllati con US + AFP ogni sei mesi, che ha identificato
un maggior numero di HCC rispetto al braccio di controllo,
riducendo del 37% la mortalità specifica per tumore.
Un accettabile rapporto costo/efficacia della sorveglianza dipende dalla frequenza di malattia/rischio di sviluppo di HCC,
che viene raggiunto per un’incidenza di HCC minima annua
dello 0.2% dei casi con epatite cronica e dell’1.5% nei pazienti cirrotici (perché la cirrosi compete con il tumore per la
mortalità): un adeguato rapporto costo/efficacia viene quindi raggiunto da tutti i pazienti con cirrosi e da alcune categorie di pazienti con epatite cronica da HBV ed HCV [1].
La sorveglianza dei pazienti con cirrosi avanzata (classe C
di Child-Pugh) e non inseriti nella lista d’attesa per trapianto
di fegato non comporta un significativo miglioramento della
sopravvivenza [6].
Sulla base di questi elementi sono considerati meritevoli di
sorveglianza le categorie di pazienti elencate nella Tabella 2.
La sorveglianza deve essere eseguita solo con ecografia (sensibilità 63%) con intervallo di 6 mesi tra i controlli, effettuata
da operatori esperti. L’aggiunta del dosaggio dell’AFP eleverebbe solo del 6-8% la sensibilità a fronte di costi più elevati e falsi positivi, mentre controlli più ravvicinati (tre mesi)
aumenterebbero il costo, senza aumentare la sopravvivenza.
Lo scopo della sorveglianza è quello di diagnosticare l’HCC
con diametro <2 cm, quando il rischio di invasione microvascolare e di lesioni satelliti è ancora molto basso.
Dopo il riscontro di un HCC, le linee guida Europee (2) raccomandano comportamenti diversi a seconda delle dimensioni
(Tabella 3) Le raccomandazioni italiane AISF (3) propongono
un algoritmo (Tabella 4) che si differenzia, nel caso di riscontro di nodulo < 1cm o atipico, per l’inclusione dell’ecografia
con mezzo di contrasto (CEUS) tra le metodiche diagnostiche e per la sorveglianza trimestrale (anzichè semestrale o
trimestrale, a scelta del clinico) durante i primi 12 mesi. La
diagnosi non-invasiva di HCC si basa sull’aspetto tipico alle
Tabella 3 Algoritmo diagnostico e strategie di richiamo secondo le linee
guida EASL (2) e AASLD (1)
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metodiche contrastografiche di imaging dinamico (TC, RM
o CEUS), rappresentato da un iper-enhancement (wash-in)
in fase arteriosa, seguita da ipo-enhancement in fase portale
o tardiva(washout). Le linee guida AASLD ed EASL raccomandano in modo indifferente la TC o la RM, malgrado
un’ampia letteratura dimostri la superiorità della RM rispetto
alla TC, soprattutto per le lesioni <2 cm, specie dopo l’introduzione dei mdc RM epatospecifici. Le linee guida AISF
raccomandano: Se disponibile, ogni indagine diagnostica
precedente deve essere rivista da un radiologo esperto presso l’istituto dove il paziente sarà gestito. In caso contrario,
l’indagine diagnostica appropriata dev’essere ripetuta. La
RM Multifasica con mdc epatospecifico può fornire ulteriori
informazioni per la diagnosi di HCC ed è superiore alla TC
per la stadiazione intraepatica del tumore. La stadiazione intraepatica dell’HCC dovrebbe essere valutata mediante RM
ogni volta che il paziente è un potenziale candidato a trattamenti chirurgici o ablativi, in quanto questa tecnica è più
accurata, anche se più costosa, della TC. La TC può essere
preferita quando la disponibilità della RM può ritardare la diagnosi e la stadiazione o se i risultati della RM possono essere
influenzati da limitazioni tecniche. La stadiazione dell’HCC
dovrebbe includere una TC del torace quando il paziente è un
candidato alla chirurgia o l’HCC è oltre i criteri di Milano. In
quest’ultimo caso, una TC toraco-addominale potrebbe essere
il metodo più conveniente per la valutazione dell’estensione
tumorale. Tuttavia, nei candidati alla resezione con HCC <2
cm, la TC del torace non è obbligatoria a causa della bassissima probabilità di diffusione extra-epatica.
Tabella 4 Algoritmo diagnostico secondo le raccomandazioni AISF (3) per
nodulo ≥ 1 cm rilevato durante la sorveglianza ecografica nel paziente con
cirrosi
HCC in stadio very early ed early (Stadi 0-A)
Resezione e trapianto
La resezione è ritenuta la terapia di scelta per l’HCC singolo
<5 cm in fegato ben compensato (MELD ≤10): le raccomandazioni AISF suggeriscono di valutare per resezione anche le
lesioni singole >5 cm (fino a 10-15 cm), sulla base di evi-
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denze della letteratura che riportano dopo resezione sopravvivenze a 5 anni attorno al 45% [7,8]. In presenza di ipertensione portale (IP), classe di Child-Pugh B, iperbilirubinemia,
MELD ≥8-10 e di multinodularità è indispensabile una decisione terapeutica multidisciplinare per l’opzione chirurgica,
che dovrà tenere conto del numero e della localizzazione dei
noduli, e dell’estensione della resezione necessaria per una
radicalità, per minimizzare il rischio di scompenso epatico
post-operatorio. Solide evidenze dimostrano che la resezione
epatica può essere effettuata con successo, e con sopravvivenze a 5 anni attorno al 38-40%, anche in pazienti con IP e lesioni epatiche multiple, purché adeguatamente selezionati e in
centri di elevata specializzazione [9]. Anche nei casi di HCC
con trombosi portale limitata a rami portali di II e III ordine
e che non raggiunge il carrefour, vengono riportate sopravvivenze del 20- 30% a 5 anni [10-12]. La resezione rappresenta
anche l’approccio terapeutico di elezione nell’HCC insorto
in paziente non cirrotico, che presenta sovente un tumore di
grosse dimensioni (mediamente intorno agli 8 cm) ma tollera
ampie mutilazioni chirurgiche del parenchima epatico [13].
La tecnica di resezione per via laparoscopica è ormai diffusa
in diverse istituzioni di alta specialità: nel cirrotico, rispetto
all’approccio tradizionale, ottiene la stessa radicalità oncologica con una minore morbilità e minori costi.
Il trapianto di fegato è la prima scelta terapeutica per i pazienti in stadio early, entro i criteri di Milano (CM) e con cirrosi
scompensata. La cirrosi scompensata limita/impedisce la resezione, l’ablazione e la TACE, mentre, dal punto di vista prognostico, il trapianto risente poco della funzione epatica ed è
quindi la terapia di scelta. Al contrario, il guadagno in termini
di sopravvivenza del trapianto nel paziente non scompensato
è molto basso rispetto alla resezione, anche se il paziente ha
un HCC entro i CM [14]. Nel paziente con HCC singolo ≤2
cm (T1) e con MELD ≤ 15 i trattamenti alternativi al trapianto (resezione ed ablazione) permettono di ottenere sopravvivenze a 5 anni molto vicine a quelle del trapianto, rendendo
quindi disponibili organi per i pazienti con indicazioni non
neoplastiche al trapianto. Il trapianto può essere considerato
come seconda linea dopo la resezione o l’ablazione quando
queste abbiano fallito o il paziente abbia recidivato o evolva
verso lo scompenso. Il trapianto può essere considerato anche
in pazienti con tumore in stadio intermedio (BCLC B) oltre i
CM: questi pazienti dovrebbero essere valutati presso centri
trapianto che adottino “criteri allargati” o che si avvalgano di
protocolli di downstaging. I criteri del “metroticket” (valutazione anatomo-patologica e radiologica che stima la sopravvivenza post-trapianto dei malati trapiantati oltre i CM) è di
valido ausilio per la selezione dei candidati al trapianto oltre i
CM, considerando che oggi la soglia accettabile di sopravvivenza a 5 anni dopo trapianto è del 50%, indipendentemente
dall’indicazione al trapianto [15].
Ablazioni percutanee
Per tutte le lesioni trattabili in sicurezza, la tecnica ablativa
preferibile è la RF, per maggiore prevedibilità di efficacia rispetto all’alcolizzazione (PEI): alcune meta-analisi di RCT
dimostrano che la RF è superiore in termini sia di recidiva
locale, sia di sopravvivenza [16-19]. Tuttavia, le controindicazioni all’uso della RF, per rischio di complicanza o anche di
minor efficacia (es. in sede pericolecistica o periilare: circa
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10-15% dei casi), sono più frequenti che per la PEI; la PEI è
pertanto indicata come alternativa quando la RF non è tecnicamente eseguibile. Nei tumori ≤2 cm entrambe le tecniche
ottengono comunque risposte complete in oltre il 90% dei
casi. In dettaglio:
ñ per lo stadio very early (nodulo singolo≤2 cm) la RF è un
trattamento di prima linea (se la sede è idonea), in quanto, rispetto alla resezione, è gravata da tassi di morbilità e
mortalità, durata del ricovero e spese sanitarie inferiori, a
fronte di sopravvivenze sovrapponibili [20];
ñ per lo stadio early (nodulo singolo >2 cm e <5 cm, o fino a
3 noduli <3 cm) l’ablazione percutanea è la prima opzione
terapeutica solo nei pazienti non candidabili a resezione o
trapianto, in Child-Pugh A: in questo stadio la resezione
chirurgica ha dimostrato migliori sopravvivenze e minori
recidive rispetto alla RF [21,22].
In realtà, le raccomandazioni AISF suggeriscono che, per il
nodulo tra 2 e 3 cm, la scelta fra resezione e RF sia valutata in
modo interdisciplinare caso per caso. Per il nodulo >3 cm, ove
possibile, si propone che la scelta venga indirizzata verso la
resezione; nel paziente non resecabile, è ragionevole considerare l’impiego di trattamenti radiologici combinati/sequenziali (TACE + RF o PEI o MWA) [23]. Indipendentemente dalle
dimensioni del tumore, qualora non si sia ottenuta una necrosi
completa con tecnica ablativa e il paziente sia candidabile alla
resezione, va proposta la rimozione chirurgica della neoplasia. Nei pazienti non resecabili e non trattabili con ablazione
percutanea (per scarsa visibilità ecografica, contiguità con visceri cavi) va considerato l’impiego di un approccio video-laparoscopico, da effettuarsi presso Centri esperti.
L’ablazione con microonde (MWA) si sta diffondendo nella
pratica clinica, dimostrando ottimi profili di sicurezza ed efficacia: rispetto alla RF, i risultati sarebbero meno condizionati
dalla prossimità della lesione ai vasi e potrebbero essere trattati in modo più efficace lesioni >3 cm <5 cm [24]. Nell’unico
studio clinico randomizzato disponibile, la MWA ha dimostrato, rispetto alla RF, un’equivalenza terapeutica, ottenuta,
però, con un maggior numero di sessioni di trattamento [25].
HCC in Stadio intermedio (Stadio B)
Per questo stadio, la terapia raccomandata da tutte le linee
guida è la chemioembolizzazione (TACE) tradizionale (iniezione di una miscela di chemioterapico e Lipiodol, seguito
da embolizzazione) o DEB-TACE (microsfere embolizzanti
permanenti caricate con Doxorubicina) effettuate con modalità superselettiva.
Tuttavia lo schema di ripetizione del trattamento non è univoco (alcuni effettuano la ripetizione del trattamento ad intervalli prestabiliti ed altri “a la demande”): non vi sono studi
prospettici che supportino l’impiego preferenziale di una di
queste due strategie.
Le raccomandazioni AISF suggeriscono che la ripetizione
della TACE non sia opportuna in assenza di evidenza radiologica di attività residua neoplastica, stanti i rischi ed i costi
della procedura ed il suo possibile impatto sulla funzione epatica e la qualità di vita del paziente. Le raccomandazioni AISF
raccomandano di ripetere la procedura “a la demande”, cioè al
rilievo di persistenza o ricomparsa della malattia neoplastica
durante la sorveglianza radiologica.
Tabella 5 Algoritmo decisionale riguardante la ripetizione della TACE
in relazione alla risposta tumorale nell’HCC in stadio intermedio.
* percorso valido per ogni seduta di TACE
** in caso di cTACE è preferibile RM, in quanto l’accumulo di lipiodol può
“mascherare” un’attività residua di malattia alla TC
# risposta al trattamento definita secondo i criteri RECIST modificati
(mRECIST). CR: risposta completa; PR: risposta parziale; SD: malattia stabile (si
intende nessuna modificazione favore
Trattamenti intrarteriosi
TACE convenzionale (cTACE)
Viene eseguita di norma con dosi di 75 mg di Farmorubicina
miscelata con 10-15 ml di Lipiodol seguita da embolizzazione con Spongel, somministrati in modalità superselettiva mediante microcatetere.
Il Lipiodol non è solo un veicolo per il farmaco ma è anche un
materiale embolizzante dotato di plasticità tale da raggiungere le vene di drenaggio dell’HCC, inducendo necrosi intra- e
peritumorale.
I migliori candidati sono l’HCC singolo <5 cm, unilobare o
multinodulare con numero di noduli <5. La TACE, se effettuata con tecnica selettiva/superselettiva, ottiene una necrosi
completa della lesione trattata in più della metà dei noduli
fino a 5 cm ed in circa il 90% di quelli fino a 3 cm [3].
La TACE trova indicazione: a) nei pazienti in stadio intermedio con classe di Child-Pugh A o B7, in lesioni di diametro
fino a 8 cm.; b) nei pazienti con HCC in stadio early esclusi
da chirurgia o ablazione, come terapia neoadiuvante prima
del trapianto o in caso di residuo di malattia dopo ablazione
[19,26].
La cTACE come neoadiuvante pre-trapianto è efficace a contenere la malattia nei pazienti in lista d’attesa e sembra efficace nel prevenire le recidive post-trapianto nei malati in cui si
sia ottenuta una necrosi completa dopo TACE.
E’ raccomandato di non superare il trattamento di 2 segmenti
per seduta.
La presenza di trombosi portale periferica, segmentaria, prossima alla massa neoplastica, non è una controindicazione assoluta alla TACE, utilizzata in combinazione con la terapia
sistemica prevista per la malattia con invasione vascolare
(BCLC stadio C).
306
Embolizzazione senza chemioterapico (TAE)
È stata dimostrata, da tempo, la scarsa efficacia del Lipiodol
come carrier, poiché il picco di concentrazione plasmatica di
chemioterapico legato al Lipiodol è analogo a quello ottenibile dopo somministrazione endovenosa [27]: quindi, se il chemioterapico ha distribuzione sistemica, la sua efficacia come
aggiunta all’embolizzazione è questionabile. Uno studio istologico sui fegati espiantati [28] dopo DEB-TACE con particelle di grosso calibro (100-300 μm) ha dimostrato che solo
la metà delle particelle occludevano i vasi neoplastici, mentre
le restanti rimanevano nei vasi alla periferia del tumore: ciò
dimostra che un’importante variabile, oltre alla selettività del
trattamento, è il calibro delle particelle capace di influenzare
la loro penetrazione nei capillari neoplastici. Uno studio sperimentale [29] ha confermato che particelle di minor calibro
(70-150 μm) penetrano più profondamente nel tessuto target
con una maggiore densità spaziale e conseguente diffusione
più omogenea del farmaco. In uno dei due studi randomizzati del 2002 che dimostrarono la superiorità, in termini di sopravvivenza, della cTACE rispetto al placebo, venne valutata
anche la TAE che non risultò vantaggiosa rispetto al placebo
[30]. Al contrario, una meta-analisi ha dimostrato l’utilità,
rispetto al non trattamento, sia della cTACE che della TAE
[31], non trovando differenze significative fra le due tecniche.
In una successiva metanalisi, comprendente 3 studi randomizzati, la superiorità della cTACE rispetto alla TAE risultava ai
limiti della significatività statistica (P=0.052) [32]. Pertanto,
in assenza di studi randomizzati primariamente disegnati e
sufficientemente dimensionati per confrontare TACE e TAE,
evidenze indirette suggerirebbero l’assenza di differenze significative, in termini di sopravvivenza, tra le due tecniche.
Un recente studio comparativo tra DEB-TACE e TAE [33]
non dimostra differenze in sopravvivenza. Da una rivalutazione dei dati storici della letteratura si osserva un guadagno
in sopravvivenza dopo l’avvento delle particelle calibrate, indipendentemente dall’aggiunta del farmaco. Recenti dati sulla
risposta dopo TAE con particelle 40 e 100 μm riportano il
58% di risposte obiettive (CR+PR) ed il 74% di controllo di
malattia [34]. Pertanto, l’efficacia della TAE è condizionata
dall’impiego di particelle molto piccole, attorno a 40 μm, con
range dimensionale omogeneo, senza superare il limite inferiore di 25μm. La TAE è tecnica meno costosa della DEB-TACE e non richiede preparazione in farmacia. Da quanto detto,
si evidenzia la necessità di comparare cTACE versus TAE con
particelle molto piccole (40μm), e, successivamente, TAE 40
μm con DEB-TACE 40μm, per valutare la reale efficacia
dell’aggiunta del farmaco.
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CE: studi recenti di fase II [39,40] riportano sopravvivenze a
1 e 5 anni molto promettenti, ma sostanzialmente comparabili
con quelle riportate con cTACE [41,42]. Gli studi disponibili
di confronto diretto tra i due metodi hanno fornito risultati
contrastanti. Un piccolo studio documenta una maggiore sopravvivenza dei pazienti sottoposti a DEB-TACE rispetto a
quelli trattati con cTACE [43] ed un altro [44] una necrosi
maggiore dopo DEB-TACE, verificata su fegati espiantati. Lo
studio europeo multicentrico randomizzato PRECISION V ha
rilevato, mediante valutazione post-hoc, che la DEB-TACE è
più efficace delle cTACE, in termini di risposta radiologica,
solo in alcuni sottogruppi di pazienti più “fragili” identificati
da una o più delle seguenti caratteristiche: classe di Child-Pugh B, Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) stadio
1, malattia bilobare e patologia recidivata [45]. La DEB-TACE ha il vantaggio di essere metodica più standardizzata, di
presentare più raramente la sindrome post-embolizzazione,
che risulta di minore severità, con un minore incremento delle
transaminasi. Pertanto, la DEB-TACE sembrerebbe preferibile alla cTACE quando la cirrosi è più avanzata, nel paziente
in classe Child-Pugh B e/o con PS ≥1, (per i suoi effetti collaterali più lievi) o come II° trattamento dopo fallimento della
cTACE.
L’unico studio prospettico randomizzato, Italiano, [46] non
ha dimostrato alcun vantaggio tra cTACE e DEB-TACE in
termini di recidiva tumorale e sopravvivenza a sei mesi. Un
altro studio italiano retrospettivo di Coorte [47] ha dimostrato
una migliore sopravvivenza dopo cTACE (mediana 46 mesi
verso 19 mesi per DEB-TACE -p < 0.0001) ed un prolungato
Time to Progression (30 mesi verso 16 mesi per DEB-TACE:
p = 0.003), senza differenze in tossicità.
Pertanto, sono necessarie ulteriori conferme per proporre l’uso preferenziale della DEB-TACE nella pratica clinica.
E’ suggeribile l’uso delle particelle più piccole disponibili al
momento (70-100 μm) caricate con un massimo di 100 mg
di Doxorubicina per fiala. La frontiera futura sarà la valutazione delle particelle ancora più piccole (40-150 μm). L’uso
del microcatetere è indispensabile per ottenere il massimo di
selettività e per evitare di alterare il flusso, e per distribuire al meglio le particelle. Se si può eseguire un trattamento
superselettivo (da 1 a 3 segmenti) si possono anche trattare
due lobi nella stessa seduta. Se invece dev’essere trattato tutto
il lobo destro per la presenza di noduli in ogni segmento, si
raccomanda di eseguire la DEB-TACE in 2 sessioni, mentre
il lobo sinistro può essere trattato interamente nella medesima
seduta.
Trattamenti combinati
Drug-eluting beads -TACE (DEB-TACE)
La DEB-TACE ha presupposti teorici promettenti: impiega
particelle embolizzanti permanenti che vengono caricate con
Doxorubicina e ne garantiscono un lento ed omogeneo rilascio
nella lesione – bersaglio: ciò consente una maggiore concentrazione locale di farmaco con minor picco di concentrazione
plasmatica rispetto alla cTACE, riducendo gli effetti tossici
sistemici. Studi di fase I/II e di coorte hanno dimostrato un’efficacia promettente e bassa tossicità [38-38]. Tuttavia, non c’è
ad oggi alcuna dimostrazione di un beneficio in termini di
sopravvivenza nell’uso della DEB-TACE rispetto alla cTA-
Le linee guida AASLD/EASL-EORTC non forniscono indicazioni sui trattamenti combinati locoregionali.
Il trattamento locoregionale combinato e/o sequenziale
(TACE + ablazione percutanea) offre vantaggi rispetto all’uso
di una singola tecnica, aumentando la risposta tumorale, ampliando il volume di necrosi tumorale ottenibile ed è quindi
indicata nelle lesioni >3 cm e <8 cm [48]. La significatività
statistica per quanto attiene alla sopravvivenza a favore della terapia combinata è stata raggiunta con una meta-analisi
che ha raccolto 199 casi [49]. Un’ulteriore metanalisi recente
[23] ha dimostrato che la TACE associata alla RF/PEI per le
lesioni >3cm è superiore alla sola ablazione o alla sola TACE
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in termini di sopravvivenza a 1, 2 e 3 anni. Purtroppo le metanalisi non riescono ad analizzare e rendere omogenei i dati
riguardanti la funzionalità epatica, la numerosità delle lesioni
e non precisano la sequenzialità del trattamento. In alcuni casi
gli studi analizzati difettano in randomizzazione, follow-up
e non sono in doppio cieco. Pertanto, le raccomandazioni
AISF, pur esprimendo un parere favorevole al trattamento
combinato, suggeriscono che la decisione di utilizzare trattamenti locoregionali combinati deve sempre essere assunta in
modo multidisciplinare e proposta su base individuale [19].
La TACE combinata a RF/MWA viene eseguita nel 68% dei
Centri Italiani, con le seguenti indicazioni: lesioni di grosse
dimensioni (2.5-6 cm), ipovascolari o in sedi difficili per le
tecniche ablative.
in stadio intermedio (B) scarsamente candidabile alla TACE
per tumore grande, multifocale o ipovascolare (con presumibile scarsa risposta alla TACE) o in cui la TACE ha fallito
o nello stadio avanzato (C) localmente, con trombosi portale
neoplastica segmentaria o di branca, nell’ambito di studi clinici prospettici. I dati della letteratura esistente dimostrano
nell’HCC con trombosi portale segmentaria e/o lobare una
sopravvivenza dopo TARE non significativamente diversa da
quella in pazienti esenti da trombosi portale, che sembrerebbe
comparabile a quella ottenibile con sorafenib [53-55]: la conferma di tale dato deriverà dai risultati degli studi prospettici
randomizzati-controllati in corso.
HCC in stadio avanzato (C)
Radioembolizzazione (TARE)
La TARE prevede l’iniezione di microsfere (di resina o vetro)
radiomarcate con Ittrio90, provocando la necrosi tumorale non
attraverso l’ischemia ma attraverso una radioterapia locale,
potenziata o meno all’ischemia.
Le linee guida AASLD, EASL-EORTC ed AISF considerano
la TARE dotata di buon effetto tumoricida e con un accettabile profilo di rischio. Tuttavia, poiché il suo impatto sulla
sopravvivenza non è stato ancora stabilito, non viene raccomandata come terapia standard dell’HCC intermedio (B) o
avanzato (C), al di fuori di studi clinici controllati. Due studi
di coorte hanno documentato l’equivalenza terapeutica fra
cTACE e TARE in termini di sopravvivenza globale e tossicità nel paziente con HCC non resecabile [50,51]. Un recente
studio su ampia casistica ha dimostrato minori effetti tossici
sistemici e un tempo di progressione tumorale (TTP) migliore
con TARE rispetto a TACE: tale studio pertanto suggerirebbe
un suo impiego nei pazienti anziani, per i minori effetti tossici, e nel downstaging pre-trapianto, in quanto il TTP più lungo potrebbe ridurre il dropout dalla lista d’attesa per progressione tumorale [52]. La TARE ha indicazione nel paziente
L’unico trattamento dimostratosi, fino ad oggi, capace di prolungare significativamente la sopravvivenza del paziente con
HCC avanzato e in classe Child-Pugh A (rispetto al placebo)
è la terapia sistemica con bersaglio molecolare basata sulla
somministrazione orale di sorafenib [3]. Sono in corso studi di
comparazione tra sorafenib e Radioembolizzazione nell’HCC
localmente avanzato con trombosi neoplastica portale.
Terapie dell’HCC: il censimento italiano del 2012
Nel 2011 in Italia sono state eseguite 8959 procedure interventistiche per HCC in 78 centri (20 dei quali sedi di Centri Trapianto). La TACE è stata il trattamento più frequente (n=5176
procedure/anno, con differenti modalità: nel 57% DEB-TACE,
nel 32% TACE tradizionale, nel 5% TAE e nel 5% semplici
infusioni di Lipiodol/farmaco) seguita da: RF (n=1751), PEI
(n=578), MWA (n=414) e TARE (n=222). La TACE è stata effettuata nel 28% nel tumore in stadio Early (A), nel 59.2% in
stadio Intermedio (B) e nel 12.8% nello stadio Avanzato (C).
Circa nell’11% dei pazienti trattati con TACE, in 28/78 centri
(35.9%), è stato associato Sorafenib, per una risposta incompleta dopo TACE o in lesioni complesse.
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xxx
RADIOLOGIA
VASCOLARE E INTERVENTISTICA
Consensus Conference: Traumi Pelvici
R. Corso1, A. R. Cotroneo2, B. Gallo3, P. Fonio4, S. Magnone5, R. Niola6, E. Pampana7
A. Rampoldi8, L. Rizzi9, D. Rossato10
1
Radiologia Diagnostica e Interventistica Ospedale San Gerardo Monza
Università “G. d’Annunzio” Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Sezione di Imaging integrato e Terapie Radiologiche, Chieti
3
Rianimazione Dipartimento di Emergenza e Accettazione AORN Cardarelli, Napoli
4
Università degli Studi di Torino Facoltà di Medicina e Chirurgia Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche
Sezione di Radiodiagnostica, Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino Presidio Molinette Radiodiagnostica U
5
Chirurgia Azienda Ospedaliera, Papa Giovanni XXIII Bergamo
6
UOSC di Radiologia Vascolare e Interventistica Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Tecnologie Avanzate AORN Cardarelli Napoli
7
Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare, Radiologia Interventisica e Radioterapia, Policlinico Universitario “Tor Vergata” Roma
8
Radiologia Interventistica A.O. Niguarda Ca’Granda, Milano
9
Ortopedia Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII Bergamo
10
Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche, Sezione di Radiodiagnostica
2
Il trauma pelvico è di tipo complesso, quasi mai isolato, coesistono infatti, frequentemente, traumi associati della testa,
del torace e dell’addome e ogni politraumatizzato deve essere
considerato affetto da trauma pelvico sino a prova contraria.
Riveste estrema importanza la cosiddetta “golden hour”
durante la quale verrà determinato “the next course of the
action”, come riassunto dalle seguenti parole: the emergency
physician and trauma surgeon must determine the next course
of action: to the operating room for laparotomy versus retro
/preperitoneal packing for stabilization and/or to the angiography suite for embolization. (1)
Epidemiologia e costi sociali
L’etiologia dei traumi pelvici riconosce meccanismi quali:
incidente stradale nel 60 – 75 % e precisamente con autoveicoli nel 45 %, con motoveicoli nel 15%, da pedoni nel 40 %.
Consideriamo inoltre le cadute dall’alto nel 20 – 30 % così
come le cadute da cavallo, il crush ad altri meccanismi che
incidono per il 5 – 10 %.
Le fratture pelviche sono associate ad un’elevata mortalità e
morbidità. Nonostante i progressi fatti in emergenza, in radiologia,in chirurgia e in terapia intensiva che hanno migliorato
la sopravvivenza durante la decade scorsa, la mortalità e la
morbilità sono tuttora molto elevate. (1)
L’incidenza di fratture pelviche è stimata intorno a 23\100000
persone per anno: la severità della lesione può variare da un
trauma minore ad uno ad elevata energia che causa la morte
nella preospedalizzazione (sulla scena). I pazienti con instabilità emodinamica costituiscono un gruppo ad elevato rischio
con una mortalità del 37,2%. L’emorragia associata alle fratture pelviche contribuisce moltissimo alla mortalità di questi
pazienti. (2,3,4,5)
Le fratture pelviche esitano nell’instabilità emodinamica dal
5 al 20% dei pazienti ed è riportata una percentuale di mortalità compresa tra il 18 e il 40% (6) Gli indici predittivi di
mortalità nei traumi pelvici vanno valutati precocemente nel
corso del trattamento per essere considerati utili. La morte che
sopraggiunge a 24 ore dal trauma è spesso il risultato di una
perdita ematica acuta mentre la morte dopo le 24 ore è causata da una deficienza multiorgano (MOF). Il miglioramento
della sopravvivenza dipenderà dall’evoluzione di un controllo
precoce dell’emorragia nonché dalle strategie rianimatorie in
pazienti ad alto rischio di mortalità. (7) L’obiettivo prioritario
nei pazienti con frattura complessa del bacino è quello di
riportarli in condizioni di stabilità emodinamica. Infatti nel
trauma complesso del bacino,in condizioni di shock la mortalità è del 42%, senza condizioni di shock la mortalità scende
al 3.4% (8)
In uno studio americano (9) dove veniva esaminata una
popolazione pediatrica ( poi comparata con un gruppo di controllo di popolazione adulta) le lesioni delle ossa lunghe e
del bacino erano correlate a traumi della strada e comportavano un costo totale di ospedalizzazione nettamente superiore
a quello relativo a fratture degli arti superiori; inoltre, nella
popolazione adulta venivano presi in considerazione, non soltanto i costi del periodo di ospedalizzazione ,ma anche quelli
della riabilitazione nei 6 mesi successivi; l’importo per lesioni
degli arti superiori veniva stimato intorno ai $7788, mentre
quello relativo alle fratture del bacino e delle ossa lunghe intorno ai $31,310. Uno studio simile è stato eseguito anche in
Svezia con risultati sovrapponibili in termini di costi sociali
anche se lo studio si è basato su fratture di tipo non traumatico. (10) Se si considerano gli enormi costi legati anche al
reinserimento nella vita sociale soprattutto dei pazienti giovani, si comprende l’elevato carico socioeconomico e politico
legato a tali traumi.
Inquadramento clinico e problematiche
rianimatorie
“La strada ed il retroperitoneo sono spazi infiniti”: tale aforisma riguarda la gestione iniziale integrata negli algoritmi
di management del politraumatizzato. Il target consiste nel
collegare il più precocemente possibile il sanguinamento ad
una lesione retroperitoneale accessibile ad un atto di emo-
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317
stasi,senza sottovalutare gli altri eventuali fattori emorragici
intratoracici,intraperitoneali e degli arti, vale a dire che …il
tempo che perdiamo non deve essere “tempo perso”.
Tutti i lavori sono concordi nel trattare il traumatizzato secondo i criteri dell’ATLS :tuttavia il modello di classificazione dello shock in 4 classi proposto dall’ATLS non sempre
riflette la realtà. Talora i parametri di pazienti con progressiva perdita di sangue corrispondente ad un livello 4 di shock
possono non discostarsi molto dalla norma. Spesso si tratta
di pazienti giovani,con buone riserve fisiologiche. L’adeguatezza dell’output cardiaco non può essere dedotta dalla sola
pressione arteriosa ,il cosiddetto “criptic shock “ è una condizione associata ad aumentata mortalità (11)
Il “ damage control resuscitation “prevede un minor volume
di cristalloidi somministrati nel Dipartimento di Emergenza,con “permissive hypotension,hypovolemic resuscitation”,
finchè il controllo dell’emorragia non venga ottenuto o venga ritenuto non necessario.
In questo caso il target non è rappresentato dalla normotensione ,ma da una pressione arteriosa che garantisca la “cerebration” nel paziente sveglio ,o una pressione sistolica di 70-80
mmHg nel trauma penetrante e 90 mmHg nel trauma chiuso.
Una “fluid resuscitation” con grossi volumi aumenta la pressione arteriosa, aumentando le forze idrostatiche sul coagulo
appena formatosi; diluisce i fattori della coagulazione e l’emoglobina,riduce la temperatura,determinando un aumento
della perdita ematica. (12) . Per quanto riguarda la gestione
del sanguinamento nel trauma maggiore ,nel 2005 è stata creata una task force multidisciplinare, allo scopo di sviluppare
linee-guida per il trattamento del sanguinamento nel trauma
grave , nel 2007 è stata pubblicata la prima versione di dette
linee guida e nel 2010 vi è stato un aggiornamento delle
linee guida, prevalentemente nel campo della coagulazione
(13). Precisamente, il target è quello di raggiungere una pressione arteriosa sistolica di 80-100mmHg fino all’arresto del
sanguinamento nella fase iniziale di rianimazione, nel traumatizzato senza lesione cerebrale.
Il tipo di fluidi raccomandati sono inizialmente i cristalloidi con l’eventuale utilizzo di soluzioni ipertoniche durante
l’approccio iniziale. L’aggiunta di colloidi dovrebbe essere
considerata entro i dosaggi prescritti per ogni tipo di soluzione,nei pazienti altamente instabili. Il target di emoglobina si
assesta intorno ai 7-9 g/l . Almeno un terzo di tutti i pazienti
emorragici presenta una coagulopatia in atto all’ammissione
in Ospedale con una probabilità significativamente aumentata di sviluppare una sindrome multi organo (MOF) rispetto a
pazienti con lesioni di gravità simile che non hanno sviluppato coagulopatia .
La coagulopatia riconosce una genesi multifattoriale con
shock che dà ipoperfusione , con lesioni tissutali estese ,
attivazione della formazione di trombina e attivazione delle
cascate anticoagulanti e fibrinolitiche, successiva acidosi con
disfunzione delle proteasi plasmatiche con iperfibrinogenolisi
, ipotermia ,consumo di fattori della coagulazione ed emodiluizione . Il monitoraggio ed il supporto terapeutico alla
coagulazione vanno iniziati il prima possibile: infatti, iI monitoraggio precoce permette di cogliere la coagulopatia nella
fase iniziale e aiuta a definirne le cause,inclusa la eventuale fibrinolisi. L’intervento terapeutico precoce ed aggressivo può
migliorare la prognosi. (14) Importante è la somministrazione
precoce di plasma fresco congelato (PFC) che è fonte di fi-
311
brinogeno(0.5gr/unità) e dei fattori della coagulazione in
dose elevata(1 0-15ml/KG) senza attendere i risultati di laboratorio. Sebbene il corretto rapporto plasma\emazie sia ancora in discussione,(1:1-1:3)sembra che l’incremento di tale
rapporto determini consistenti benefici prognostici. Il plasma
prima dell’utilizzo deve essere scongelato ,richiede cross match , ha un rapido deterioramento quando è scongelato, per cui
non è possibile la pronta disponibilità nelle frigo-emoteche
dei Pronto Soccorso ,a differenza del sangue zero negativo .
La disponibilità non è al di sotto di 30-40 minuti,e nella media
dei Centri giunge anche a 90 minuti .
Per quanto riguarda la coagulopatia da trauma:nei pazienti
che assumono anticoagulanti orali l’uso del PFC è raccomandato solo se non è disponibile immediatamente il complesso
protrombinico concentrato.
La somministrazione di calcio ionizzato > 0.9 mmol/l e piastrine>50 x 109/l è da considerare in caso di trauma cranico e/o sanguinamento massivo da lesioni multiple in dosi di
100x109/l La dose iniziale suggerita è di 4-8 sacche o una
sacca da aferesi . Durante la trasfusione massiva il fibrinogeno può essere uno dei primi fattori a diminuire in maniera critica. L’utilizzo di fibrinogeno e crioprecipitato è raccomandato se il sanguinamento è accompagnato da segni
tromboelastomerici di deficit funzionale del fibrinogeno o se
i livelli plasmatici di fibrinogeno sono inferiori a 1,5-2 gr/l La
dose iniziale suggerita di fibrinogeno concentrato è di 3-4 gr
o 50mg/Kg Ulteriori dosi vengono somministrate in base ai
dati di laboratorio .
Lo studio C.R.A.S.H. -2_(Clinic Randomisation of an Antifibrinolityc in Significant Haemorrage 2) prevede una randomizzazione placebo, vi sono coinvolti 274 Ospedali , 40
Paesi,e 20211 pazienti.
Prevede la somministrazione di una dose carico di 1gr acido
tranexamico in 10 minuti ,seguito da una infusione di 1gr in
otto ore. La mortalità,indipendentemente dalla tipologia del
trauma è risultata significativamente ridotta nel gruppo trattato con acido tranexamico, senza incremento di eventi trombotici vascolari a dosi di 0-15mg/ Kg seguita da infusione di
1-5mg/Kg/ora; la terapia è guidata dal tromboelastogramma
e interrotta a sanguinamento controllato. La misura dei lattati
e il deficit di basi è raccomandata come stima e monitoraggio
sensibile della gravità del sanguinamento e dello shock. La
rapida e marcata riduzione dei lattati è un indicatore affidabile di buona risposta al trattamento nel pazienti in shock. Un
valore di lattati che rimane elevato oltre le prime 24 ore si
correla ad una elevata probabilità di morte.
E’ raccomandata la monitorizzazione di INR,PTT,Fibrinogeno e piastrine. INR e PT non dovrebbero essere utilizzati
da soli nella guida della terapia emostatica ma è consigliato
l’uso del tromboelastogramma al fine di una valutazione delle caratteristiche della coagulopatia,guidando così la terapia
emostatica.
Qualche accenno va fatto al protocollo di trasfusione massiva :è importante individuare le modalità con cui può essere
sviluppato nelle singole realtà ospedaliere interfacciandosi
con il team pre-ospedaliero con possibile attivazione del protocollo dal luogo dell’incidente , con pronta disponibilità di
sangue zero negativo e rapido invio di prelievi .Vi è necessità
di un automatismo nella preparazione delle quantità di sangue
e PFC successive,fino alla richiesta di sospensione del protocollo di attivazione (15)
312
La diagnostica per immagini
La radiografia diretta del bacino è in molti casi l’esame radiologico eseguito in prima istanza in quei pazienti che, per
motivi di reale instabilità emodinamica, non possono eseguire immediatamente la TC. Essa può darci informazioni
essenziali sulla morfologia e tipologia di frattura attraverso
le classiche proiezioni frontale, obliqua discendente ( in-let
view) o obliqua discendente (out-let view) con i limiti legati
ad una valutazione monodimensionale ed insufficiemte stima
degli elementi pelvici posteriori (sacro).
CLASSIFICAZIONE di Tile (riparazione chirurgica)
Tipo A: Fratture stabili
Tipo B: Fratture parzialmente stabili (stabilità verticale, instabilità rotazionale)
Tipo C: Fratture instabili
CLASSIFICAZIONE di Young (meccanismo della lesione)
ñ Compressione antero – posteriore (15 – 20%) provoca extrarotazione con allargamento dell’anello pelvico: “open
book” (pelvi esplosa)
ñ Compressione laterale (50 – 65 %) provoca un’intrarotazione con chiusura dell’anello: “closed book” (pelvi
implosa)
ñ Distrazione verticale -“verticalshear”- (10 – 30 %) comporta la dislocazione completa e l’instabilità di una o entrambe le emipelvi (risalita dell’emipelvi)
Tuttavia, quando possibile eseguirla,la TC multidetettore con mdc risulta fondamentale nello studio delle fratture
pelviche in particolare in quelle considerate instabili: fornisce informazioni sulle presenza di fratture sacrali, sullo stato
delle sincondrosi sacro-iliache e del complesso sacroiliaco
posteriore, sulla congruità articolare ( sublussazioni, fratture
parcellari),sulle fratture/lussazioni della giunzione lombo- sacrale, sulle fratture acetabolari ( tetto ,colonna anteriore e
posteriore ). Inoltre consente di individuare correttamente i frammenti di frattura (incarceramento, affondamento ,
rotazione) e di produrre ricostruzioni multiplanari bi e tridimensionali. Fornisce informazioni sulla presenza di lesioni
vascolari (pseudoaneurisma, fistola A-V, dissezione intimale,
occlusione trombotica vascolare, vasospasmo), sul sanguinamento arterioso in atto,sulla quantificazione di emo/retroperitoneo ,sul grading del danno parenchimale degli organi
solidi. Data l’efficacia diagnostica, la velocità di esecuzione
e la panoramicità, l’esame TC consente la verifica di lesioni
associate anche in altri distretti corporei o la presenza di altre
fonti di sanguinamento ( venoso, osseo…); non ultimo individua la presenza di aria libera in sede endo o retroperitoneale e
consente di predire quali pazienti emodinamicamente stabili
potranno beneficiare del management non.-operativo (NOM).
Tecnica di esecuzione di esame:
4 x 2.5-mm collimazione,pitch 1, ricostruzione a 1.25-3
mm,iniezione rapida di un bolo di mdc non ionico
(flusso
3.5-5 mL/sec e volume 120-150 mL),fisiologica 30 mL ,imaging quadrifasico: pre-contrasto , mdc:fase arteriosa (2330 sec.),fase venosa (60-70 sec.) ,fase tardiva (180-300 sec.).
Non viene somministrato mdc per via orale e, se ritenuto necessario,può essere effettuato anche uno studio vescicale me-
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317
diante cisto-TC.
L’imaging dei sanguinamenti si divide in:
Tipo 1 - presenza di focale area di iperdensità circondata
dall’ematoma
Tipo 2 - presenza di diffusa area di iperdensità circondata
dall’ematoma
Tipo 3 - presenza di getto (blushing)
La disponibilità di una TC multidetettore, di apparecchiature
angiografiche e tempi brevi nella risposta radiologica sono
da considerare punti cruciali nel work-up diagnostico e terapeutico.
Un concetto errato è quello che il politraumatizzato è un paziente “ troppo instabile” per effettuare la TC: con le moderne
macchine un esame dura circa 20” ed il beneficio, in termini
di sopravvivenza ed esiti che ne possono derivare al paziente,
è enorme. (16)
La Radiologia Interventistica nei traumi
della pelvi e degli organi pelvici:
quando l’esame angiografico
Nell’ambito dei traumi del bacino non vi è assolutamente
concordia tra le varie fonti di letteratura, a cominciare dagli
articoli di fine anni 70 (17) sino a quelli del 2012. Soprattutto
non vi è voce comune circa il timing angiografico . Molto
valore è stato ed è ancora dato al DPL, alla FAST ,nonostante
l’avvento della TC multidetettore che ha fatto, solo in parte,
virare il consenso per l’utilizzo di tale tecnica. In effetti la
cosiddetta instabilità emodinamica controindica l’immediata
esecuzione della TC.
Durante la resuscitazione è sicuramente indicata una FAST
che comunque non ci dà particolari indicazioni se non quelle relative alla presenza di fluido in addome, ma comunque
sostituisce il vecchio DPL ed è fattibile dovunque, anche nei
piccoli ospedali. Tuttavia, una volta che le manovre rianimatorie hanno avuto il loro effetto l’esecuzione della TC è
fondamentale per la diagnosi non solo dei traumi del bacino
ma multiorgano, per la rilevazione dei sanguinamenti attivi
arteriosi, per il timing:per l’ esecuzione di un eventuale intervento chirurgico, per il trattamento endovascolare di emorragie arteriose o per un eventuale packing se il sanguinamento
è venoso o osseo.
Molto è stato detto in letteratura, sull’angiografia come metodica “time consuming”, poco utile nella risoluzione delle
problematiche di sanguinamento e che toglie tempo prezioso a interventi chirurgici. Il management ottimale dipende
dal luogo di cura,dall’esperienza del personale che vi lavora e dall’organizzazione del team ( guardia attiva, reperibilità,presenza di angiografo solo fisso, di angiografo mobile
da poter utilizzare, se necessario, in sala operatoria per non
trasportare il paziente e poter lavorare in stretta continuità con
il chirurgo generale, ortopedico e talvolta urologo ) (18)
Le potenzialità dell’esame angiografico di rado vengono
sfruttate completamente, per cause organizzative quali l’ assenza di un coordinamento di intervento sui traumatizzati con
team unico dedicato, composto da rianimatore, radiologo e
chirurgo o per carenza di strutture dedicate che garantiscano
riduzione dei tempi tecnici dalla accettazione alla terapia ,o
per altre cause quali la sottostima della gravità della lesioni (lesioni parzialmente e temporaneamente tamponate) ,l’
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317
inadeguata valutazione della sede della lesione (es. traumi
da contraccolpo),l’ inadeguata valutazione di sanguinamenti
post-emostasi chirurgica , mancati approfondimenti diagnostici in pazienti instabili. L’angiografia conferma un sanguinamento arterioso nell’80-90% dei casi. Le lesioni arteriose
significative in seguito a trauma della pelvi sono pari al 2.5%
e rappresentano la principale causa di morte nelle prime 24
h. Tali lesioni riguardano nella maggior parte dei casi rami
dell’arteria ipogastrica.
La frequenza, in ordine decrescente, delle arterie coinvolte
nei traumi pelvici è la seguente:
ñ Glutea superiore
ñ Pudenda interna
ñ Sacrale laterale
ñ Ileolombare
ñ Otturatoria
ñ Vescicali
ñ Glutea inferiore
ñ Epigastrica inferiore
ñ Lombari
ñ Intercostali, freniche inferiori, surrenaliche, pancreaticoduodenali vanno necessariamente cateterizzate se l’ematoma aumenta di volume e non è stata trovata altra fonte di
sanguinamento. Raramente l’emorragia arteriosa pelvica è
il risultato del sanguinamento di vasi di grosso calibro:si
tratta generalmente di piccoli rami dell’iliaca interna che
attraversano profondamente il pavimento pelvico e sono
inaccessibili alla chirurgia (19)
Il 2-5 % dei pazienti con trauma pelvico necessita di esame
angiografico con eventuale embolizzazione Il segno arteriografico patognomonico di sanguinamento è lo spandimento
di mdc, ma non è al 100% prognostico di emorragia in atto.
Uno spandimento limitato all’interno di un parenchima o in
un ematoma può evolvere in maniera autolimitante in uno
pseudoaneurisma o in una FAV che può persistere, o trombizzarsi e regredire, o ancora aumentare di dimensioni ed in seguito rompersi. Vi è un eccellente correlazione tra reperti TC
ed angiografici nella dimostrazione di sanguinamento attivo e
la combinazione delle due metodiche aumenta la capacità di
diagnosi (20,21)
L’esame angiografico deve sempre essere effettuato in pazienti instabili quando non vi indicazione a una laparotomia;
da questo si deduce che lo stato di shock non è una controindicazione all’esame angiografico bensì un’indicazione assoluta e che non esiste un paziente veramente intrasportabile,
dogma, questo, a lungo ritenuto valido. (22) Se però sussiste
indicazione a una laparotomia, in tal caso la fissazione ortopedica va fatta intraoperatoriamente, ed è seguita poi dall’angiografia. L’eventuale intervento urologico è posposto a quello angiografico.
La TC è predittiva per il 92% in sensibilità e 98% in specificità per l’individuazione delle fonti emorragiche che si giovano
poi dell’embolizzazione che ha, a sua volta, un successo del
100%.
Pertanto, sulla scorta dell’esame TC multistrato viene eseguito, generalmente per via percutanea transfemorale comune
dx o sn , controlateralmente al sito della lesione, ( in caso
di inaccessibilità delle regioni inguinali si utilizza l’accesso
brachiale), un angiogramma panoramico dell’area aortoiliaca.
Si utilizza un catetere pigtail,5F, iniettando una quantità totale
di mezzo di contrasto di 25-30 cc, ad alto flusso( 20-25-cc\
313
sec), con un programma di acquisizione minima di 3 radiogrammi \sec , esteso ai tempi tardivi, per la visualizzazione
panoramica di eventuali stravasi di mezzo di contrasto indici
di sanguinamento attivo, di pseudoaneurismi, di irregolarità
del lume vasale, di spasmi arteriosi o di trombosi.
La necessità dell’esame panoramico nasce dall’importanza di
una visualizzazione completa dell’aorta sopra e sottorenale e
dei vasi da essa originantesi, per dare indicazioni nascoste invece dal cateterismo selettivo.
Dall’esame panoramico si passa, comunque, anche in assenza
di visualizzazione di sanguinamento, ai cateterismi selettivi
delle arterie ipogastriche utilizzando cateteri cobra, sheperd,
simmons, a seconda dell’anatomia vasale; in caso di positività
franca o dubbia si prosegue con i cateterismi superselettivi
delle branche dei vasi ipogastrici , al fine di adoperare un’embolizzazione quanto più selettiva possibile con risparmio
delle zone non target per evitare una estesa necrosi tissutale.
Il cateterismo deve essere rapido ma cauto, onde evitare lesioni dell’endotelio che comprometterebbero un ulteriore cateterismo. La vasocostrizione in un paziente in shock favorisce,
infatti, la dissezione provocata dal tip del catetere e la successiva trombosi.
Un angiogramma negativo può in realtà non esserlo in un
secondo momento quando le condizioni emodinamiche del
paziente sono cambiate, il vasospasmo ridotto, il coagulo
endogenamente lisato, l’effetto compressivo dell’ematoma
scemato.
Il segno inconfutabile del sanguinamento attivo è dato dallo
stravaso del mezzo di contrasto; in tali casi viene effettuata
, quando possibile con tecnica coassiale, cioè con l’utilizzo
di microcateteri, un’embolizzazione delle branche interessate
quanto più distale possibile; l’embolizzazione prossimale viene fatta solo in caso di stravasi multipli, di vasospasmo che
impedisce la cateterizzazione, di condizioni di grave shock
emodinamico del paziente che impongono l’arresto del sanguinamento con tempi brevi di procedura.
Viene generalmente utilizzato materiale embolizzante non riassorbibile onde evitare ripetute embolizzazioni, nonostante
ciò possa comportare, in caso di utilizzo non corretto, problemi di ischemia\necrosi. Infatti, il materiale riassorbibile,
entro 48-72 ore consente una rivascolarizzazione.
Tale evento sicuramente positivo al fine del risparmio tissutale, in caso di sanguinamento da trauma comporta spesso una
ripetizione della procedura di embolizzazione, per il risanguinamento dovuto alla rivascolarizzazione.
In questo caso il materiale embolizzante utilizzato sarà di tipo
non riassorbibile, ad esempio particelle di alcol polivinilico,
spirali metalliche o colla acrilica con la tecnica più indicata
al caso.
L’arresto del sanguinamento viene evidenziato all’angiografia con la scomparsa dello stravaso di mezzo di contrasto e
con il caratteristico “stampo” determinato dal tappo occlusivo
dell’agente embolizzante.
Il primo obiettivo dell’imaging è la dimostrazione “del sanguinamento attivo” nonchè di ogni altra condizione che possa
mettere a rischio la vita del paziente. Il sanguinamento retroperitoneale postraumatico è quello ricercato per primo e
trattato angiograficamente. La chirurgia, infatti, in questo
caso, dà risultati catastrofici in quanto disseca lo spazio retroperitoneale determinando la perdita del tamponamento dato
dall’ematoma coesistente. (23)
314
Il sanguinamento pelvico postraumatico riconosce una genesi
arteriosa, venosa, ossea; i traumi arteriosi sono i più severi e
sono generalmente osservati nei traumi pelvici a compressione anteroposteriore di tipo 2 e 3, compressione laterale di
tipo 3, compressione verticale e meccanismi di lesioni combinate.
Le lesioni ossee pelviche sono predittive di una lesione vascolare e quindi di una successiva embolizzazione; ulteriori
fattori predittivi sono: l’età avanzata del paziente, il numero
di trasfusioni ricevute, la rottura dei ligamenti pelvici maggiori;il 2-5% dei pazienti con traumi pelvici richiedono l’embolizzazione. (24)
La rottura di un’arteria pelvica comporta una mortalità compresa tra il 50 -75% e la causa principale di morte per trauma
pelvico è data dall’emorragia arteriosa. Il 2-5% dei pazienti
con trauma pelvico richiedono l’embolizzazione. (25)
Sarebbe auspicabile embolizzare selettivamente solo il ramo
sanguinante.
Tuttavia, a volte le condizioni cliniche del paziente non consentono un’embolizzazione meticolosa per cui si tratta l’intera branca dell’iliaca interna. (26) . Il rationale di un’embolizzazione non selettiva, in caso di pazienti emodinamicamente
instabili e senza una precisa sede di sanguinamento, ma con
evidenza di multipli foci, riconosce l’utilizzo di materiale riassorbibile ( tipo Spongostan) a livello delle arterie ipogastriche. Questo per evitare dannose perdite di tempo e comunque
per trattare il sanguinamento.
Particolare importanza riveste l’ intervento precoce del Radiologo Interventista, prima cioè che si sviluppi la coagulopatia che è alla base di una risoluzione negativa ( che viene
percepita poi come “ fallimento” della tecnica) (17) L’angiografia dovrebbe essere effettuata precocemente in corso del
management dell’emorragia pelvica per evitare complicanze
dovute alle trasfusioni massive e all’ipotensione, concetto
espresso già molti anni prima (27)
Fondamenti scientifici circa l’angiografia
in urgenza
L’angiografia pelvica è una tecnica utile nel controllo del
sanguinamento arterioso associato alle fratture del bacino.La
quota maggiore di sanguinamento nei traumi del bacino riconosce una genesi venosa (essenzialmente dalle vene ileolombari) ed ossea, dalle superfici dei capi di frattura; l’angiografia controlla solamente le lesioni arteriose e costituisce una
minoranza stimata tra il 3 e il 10%. La instabilità emodinamica
in pazienti con fratture del bacino senza ulteriori significative
fonti di sanguinamernto costituisce un’indicazione all’angiografia. In uno studio retrospettivo di 325 pazienti presso un
Trauma Center di I livello,Starr et al ( 28) trovarono che solo
il Revised Trauma Score era predittivo della necessità dell’angiografia: età, sesso, shock al ricovero e pattern di frattura non
erano predittivi di necessità per l’angiografia. Indici predittivi
utili sono lo stravaso di mdc alla TC, che ha una sensibilità tra
il 60-84% e specificità tra l’85-98%.
Il pattern di frattura, da solo, non è predittivo per l’angiografia. La combinazione dell’età ( maggiore di 60 anni ) e le
fratture pelviche maggiori è altamente associata alla necessità
dell’esecuzione di un esame angiografico, indipendentemente dallo stato emodinamico del paziente. In verità il 62% dei
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pazienti di età superiore a 60 anni che richiedono l’angiografia con embolizzazione hanno segni vitali normali al ricovero
in ospedale. Sebbene il sanguinamento sia associato alle fratture pelviche maggiori, studi retrospettivi hanno dimostrato
la presenza di sanguinamenti in fratture isolate,acetabolari o
sacrali. Nonostante la tipologia della frattura non sia predittiva, tuttavia fratture anteriori sono associate a lesioni vascolari
anteriori e fratture posteriori a lesioni vascolari posteriori.
L’angiografia pelvica con embolizzazione pare sia efficace
nel controllo del sanguinamento tra l’85 e il 97% dei casi,
anche se in alcuni casi è necessaria una reembolizzazione nello stesso paziente (sanguinamento reiterato per lo stato emodinamico cambiato:vasospasmo ridotto, effetto compressivo
dell’ematoma scemato, lisi endogena del coagulo). Il fattore
di rischio indipendente per il sanguinamento pelvico include
una quantità maggiore di due unità di sangue\h trasfuso, la
presenza di più di due vasi che richiedono l’embolizzazione,
l’ipotensione ripetuta dopo l’angiografia, l’assenza di danni
ad altri organi e il difetto persistente di basi. L’embolizzazione
standard per pazienti instabili sanguinanti dalle iliache interne
è di tipo non selettivo; in quelli stabili può essere effettuata
un’embolizzazione selettiva.
Il trattamento radiologico interventistico
delle lesioni viscerali pelviche
Nell’80% delle fratture di bacino successive ad un trauma ad
alta energia concomitano lesioni viscerali. Le vie escretrici
urinarie e le anse intestinali decorrono in stretta contiguità con
le strutture ossee e sono più a rischio di rottura.
Nel 70% delle rotture di vescica post-trauma è presente una
frattura di bacino, mentre la lesione ureterale è rara (2,5%
delle lesioni urologiche post trauma), in quanto l’uretere è
protetto dalle strutture adiacenti (muscolo psoas, vertebre,
bacino) (29,30)
Non esistono segni o sintomi patognomonici di lesioni ureterali o vescicali. L’ematuria non è un indicatore sensibile: è
presente solo nel 43% delle lesioni ureterali La diagnosi può
essere anche tardiva. I segni successivi sono dati da fistole
,urinomi , ascessi perinefrici . Il ruolo della Radiologia Interventistica consiste nel praticare una pielostomia o il posizionamento di protesi a doppio J per tutelare la via escretrice in
quanto si tratta di opzioni terapeutiche efficaci e sicure. (31)
Ruolo del Chirurgo nei traumi pelvici
La valutazione primaria del paziente prevede, secondo le linee guida ATLS®, la valutazione di vie aeree, ventilazione e
stato emodinamico. A questo fine, oltre l’esame obiettivo, ausili alla valutazione primaria sono l’rx torace e bacino e la Focused Assesment Ultrasonography for Trauma (FAST, anche
nella sua versione extended). A loro volta i traumi di bacino,
che ai nostri fini interessano prevalentemente l’emodinamica,
si dividono in stabili e instabili. La stabilità emodinamica è
definita come la presenza di una pressione sistolica superiore
a 90 mmHg, sia stato fatto o meno un adeguato riempimento volemico (2-4 sacche di emazie concentrate o 1000 ml di
cristalloidi).
In presenza di frattura di bacino, qualsiasi essa sia secondo la
315
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classificazione utilizzata (più comunemente Young and Burgess o AO/OTA), il paziente stabile esegue una TC con mezzo
di contrasto almeno bifasica (o trifasica), in modo da evidenziare sia perdite ematiche che spandimenti urinosi se in presenza di lesioni vescicali. In presenza di uno spandimento di
mezzo di contrasto da un vaso è necessario sottoporre il caso
all’angiografista. Successivamente andrà valutata l’opportunità di una fissazione esterna temporanea in caso di bacino
meccanicamente instabile.
In presenza di un paziente instabile nonostante il riempimento
la letteratura non contiene indicazioni univoche perché varie
sono le opzioni disponibili: il packing pelvico retroperitoneale (PPP), l’angiografia e la fissazione esterna. In particolare la
tecnica del PPP consiste in un’incisione mediana di circa 7-8
cm a partire dal pube, nell’incisione della fascia e nel posizionamento di 2-3 garze per lato nello spazio occupato dall’ematoma pelvico che inevitabilmente si crea in questi casi. La
manovra richiede circa 15-20 minuti ed è facilitata appunto
dalla presenza di uno spazio già creato dall’ematoma extraperitoneale sempre presente in questi casi.
Dai dati disponibili la soluzione migliore, perché più rapidamente praticabile, è l’esecuzione di un PPP seguito il prima
possibile da fissazione esterna (in mancanza di questa è possibile utilizzare il T-POD® o pelvic binder). Dopo l’intervento, qualora il paziente dovesse persistere emodinamicamente
instabile, è indicata l’angiografia urgente mentre la TC è riservata ai pazienti stabili, dopo una o entrambe le manovre.
I gruppi che hanno utilizzato questa sequenza e cioè il PPP/
fissazione e in un secondo tempo l’angiografia (32,33,34)
hanno visto ridurre la quota di angiografie a circa un quarto
dei pazienti, come pure la quantità di emocomponenti trasfusi, oltre che una mortalità per sanguinamento pelvico che nel
gruppo di Denver si è azzerata.
Esperienze recenti sono quelle di Demetriades (35,36): mortalità 35%, e di Cothren (32)(PPP e fissazione esterna + angiografia) mortalità 21% (nessuno per sanguinamento acuto) .
Le controversie riguardano l’esperienza europea che vede la
fissazione esterna e il PPP come prime manovre nel trauma
instabile . La maggioranza delle esperienze americane parla
di angiografia nei pazienti instabili nonostante la rianimazione aggressiva o di angiografia/TC solo nei pazienti che rimangono instabili dopo chirurgia
Il ruolo dell’ortopedico nei traumi pelvici
Fondamentale nei traumi pelvici è la stabilizzazione precoce
del bacino per evitare l’effetto “ serbatoio”. Quando la pelvi
viene scomposta, il volume della pelvi “vera” aumenta del
cubo del suo raggio r3. (32)
L’ematoma retroperitoneale può contenere 2 -3 L di sangue (da qui la “cascata” sequestro-ipovolemia-shock). Nelle fratture che aumentano i diametri orizzontali del bacino
il volume pelvico aumenta (2 cm del diametro orizzontale =
1,5 L; 5 cm = 5L). Il sanguinamento pelvico postraumatico
riconosce una genesi arteriosa (10-15%), venosa (85-90%),
ossea. La ricca rete di vasi collaterali mantiene un elevato
gradiente pressorio nei vasi lesi e previene la trombosi, d’altro
canto favorendo l’emorragia. Questo network è stato denominato “pelvic sink” per la presenza di quattro loop. Tre sono
arteriosi ( posteriore mediano:arterie lombari e vertebrali,
sacrale media, rami di divisione posteriore dell’iliaca interna-glutea superiore, ileolombare, sacrali laterali; anteriore
mediano: rami di divisione anteriore dell’iliaca interna-epigastrica superiore, gonadiche e rettale superiore, rami della
femorale profonda; laterale: glutee e rami femorale profonda). Il quarto loop, venoso, consiste nelle connessioni tra il
sistema portale e le vene pelviche. (36,37)
Le lesioni traumatiche dell’anello pelvico sono lesioni piuttosto rare, circa il 3% delle lesioni traumatiche osteoarticolari,
che coinvolgono in maniera più o meno complessa le strutture ossee del cingolo pelvico e il loro contenuto. La mortalità
delle fratture pelviche può variare dal 9% al 20%, ma in un
paziente emodinamicamente instabile supera il 50% ed è dovuta ad un’emorragia severa.
Classificazione
L’anello pelvico è costituito da tre ossa, il sacro e le due ossa
innominate, che si articolano posteriormente attraverso l’articolazione sacroiliaca e anteriormente mediante la sinfisi pubica. Un importante complesso legamentoso, soprattutto nella
parte posteriore dell’anello pelvico, conferisce a queste articolazioni stabilità e robustezza. La classificazione AO delle
lesioni pelviche, basata sull’integrità del complesso sacroiliaco posteriore e sulla direzione della forza di lesione, distingue
le fratture della pelvi in tre gruppi in relazione all’aumento
della gravità e dell’instabilità: tipo A, B e C. Le fratture di
tipo A sono stabili perché l’anello pelvico è integro. Le fratture di tipo B sono parzialmente instabili, mentre quelle di
tipo C sono completamente instabili per la lesione globale del
complesso legamentoso posteriore. Questa classificazione ha
rilievo non solo per il trattamento definitivo di queste lesioni,
ma soprattutto per la gestione del paziente in situazione di
emergenza.
Le lesioni di tipo B e soprattutto quelle di tipo C provocano
infatti un aumento del volume della pelvi con insorgenza di
sanguinamenti massivi e causa di instabilità emodinamica del
paziente.
Fissazione esterna in urgenza
La fissazione pelvica eseguita in urgenza per instabilità emodinamica del paziente ha lo scopo di controllare il sanguinamento mediante la riduzione del volume pelvico conseguenza
di una lesione pelvica instabile.
Questa tecnica che si avvale della fissazione esterna è stata introdotta oltre vent’anni fa e si è dimostrata efficace nel ridurre
in modo significativo la mortalità e l’impiego di trasfusioni.
Il fissatore esterno è oggi diventato un sussidio di rianimazione che deve essere applicato il più presto possibile. Sono
disponibili due tipi di fissazione esterna da impiegare nelle
lesioni pelviche meccanicamente instabili: il fissatore esterno
anteriore e la C-Clamp. Il fissatore esterno anteriore è indicato nelle lesioni di tipo B, mentre la C-Clamp è utilizzata per la
stabilizzazione delle lesioni di tipo C.
Diversi studi riportati in letteratura hanno dimostrato inoltre
che nel trattamento in urgenza del malato con lesione pelvica
meccanicamente instabile e in condizioni di instabilità emodinamica, la fissazione esterna sia la prima procedura da ese-
316
guire prima dell’angiografia e/o del pelvic packing. Questo
perché studi su cadavere hanno dimostrato che una laparotomia eseguita senza stabilizzazione scheletrica di una pelvi
meccanicamente instabile provoca un incremento ulteriore
del volume pelvico.
In conclusione il ruolo dell’ortopedico nella cura di queste lesioni traumatiche è fondamentale non solo nel trattamento definitivo di riduzione anatomica e sintesi della frattura pelvica,
ma anche in urgenza dove per l’elevata mortalità dei malati
emodinamicamente instabili è indicato eseguire, come prima
manovra, la fissazione esterna della lesione pelvica. (38,39)
Segni radiologici predittivi di un’emorragia
1- Un pattern di fratture alla Rx pelvi, da solo, non è predittivo per mortalità, emorragia, necessità di esame angiografico.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
2- La presenza di un ematoma non predice\esclude la necessità di un esame angiografico con eventuale embolizzazione.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
3- La TC pelvica è un eccellente screening per escludere
emorragie pelviche.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
4- L’assenza di stravaso di mdc non sempre esclude un’emorragia attiva.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
5- Un ematoma pelvico di dimensioni superiori a 500 cm3
ha un’aumentata incidenza di lesioni arteriose e richiede un
esame angiografico.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
6- Fratture acetabolari isolate possono richiedere un esame
angiografico come le fratture pelviche
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
7- Se necessita eseguire un uretrocistogramma retrogrado,
questo deve essere effettuato dopo una TC con mezzo di contrasto IV.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317
Devono essere considerati candidati
all’angiografia/embolizzazione
1- Tutti i pazienti con fratture pelviche ed instabilità emodinamica o segni di sanguinamento in atto, una volta escluse
ulteriori fonti di sanguinamento provenienti da altri organi.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE I
2- Tutti i pazienti con segni TC di sanguinamento attivo ( stravaso di mdc), indipendentemente dal loro stato emodinamico.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE I
3- Tutti i pazienti con fratture pelviche che sono già stati sottoposti ad angiografia con o senza embolizzazione, che hanno
segni di sanguinamento in atto, senza ulteriori fonti accertate,
devono essere considerati per un “second look” angiografico.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
4- Tutti i pazienti con fratture pelviche maggiori ( open book,
butterflysegment, verticalshear) con età superiore ai 60 anni
indipendentemente dal loro stato emodinamico.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II
5- Sebbene il pattern o la tipologia delle fratture non possa
predire la presenza di lesioni arteriose o la necessità di un
esame angiografico, le fratture anteriori sono fortemente associate a lesioni vascolari anteriori ( rami di divisione anteriore dell’iliaca interna), mentre le posteriori a lesioni vascolari
posteriori (rami di divisione posteriore dell’iliaca interna).
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III
6- L’angiografia pelvica con embolizzazione bilaterale sembra essere una tecnica sicura con scarse complicazioni maggiori. E’ stata riportata l’ischemia\necrosi del muscolo gluteo
in pazienti con instabilità emodinamica ed immobilità prolungata o trauma primitivo della regione glutea considerata, questa, come maggior causa di tale complicanza, piuttosto che
complicanza dell’angiografia.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III
7- Nei pazienti di sesso maschile non sembrano esserci alterazioni della sessualità dopo embolizzazione bilaterale delleiliache interne.
LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III
317
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327
RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
Consensus Conference: trattamento delle metastasi
epatiche da neoplasie del colon
G.Masi,A.Veltri,V.Mazzaferro,C.Battiston,A.Marchianò
C. Aliberti, I. Bargellini, E. Giampalma
Il 26 novembre 2013, all’interno del “14° Corso Interattivo
di Radiologia & Neuroradiologia Interventistica Gargano
2013”, si è tenuta una Consensus Conferenze da l titolo: “La
radiologia interventistica nel trattamento delle metastasi epatiche da neoplasie del colon”. Questo evento aveva lo scopo di
far chiarezza all’interno del mondo radiologico su questo argomento, ponendo alcuni punti fermi e dando spunti per successivi approfondimenti e sviluppi. Il ruolo della radiologia
interventistica nelle metastasi epatiche (MTS) da colon-retto
(CRC) è in realtà da molto tempo oggetto di singoli interventi
nell’ambito di congressi organizzati in campo oncologico e
chirurgico, spesso evocato nel nome di una generica e auspicata multi-disciplinarietà, ma ben poche volte è stato oggetto
di una sessione tutta focalizzata su questo tema.
Obiettivamente bisogna riconoscere che nel campo oncologico le metodiche di radiologia interventistica vengono tuttora
viste come procedure marginali, spesso estreme, con scarsa base scientifica nel loro utilizzo, ma affidate alla abilità
del singolo operatore e riservate a situazioni di incurabilità
da parte delle terapie standard. A differenza di altri settori,
come l’epatocarcinoma, non vi è alcuna terapia condotta da
radiologi interventisti che possa fregiarsi del nome di “terapia
di prima scelta” per le metastasi epatiche, in particolare da
colon-retto, in nessuno stadio della malattia. Bisogna anche
riconoscere che questa situazione, oltre alle caratteristiche
proprie della malattia metastatica e del suo comportamento
biologico, è dovuta anche alla tendenza dei radiologi alla auto-referenzialità, al loro rifugiarsi nel virtuosismo tecnico, ma
senza confrontarsi con la clinica della malattia che si ha di
fronte e senza discutere con le professionalità mediche che
questa malattia classicamente gestiscono: i chirurghi epato-biliari e gli oncologi medici.
E’ per questo motivo che, quando il dott. Florio ha incaricato
noi moderatori di organizzare questa Consensus, il primo pensiero è stato quello di cercare di costruire questo dialogo inter-disciplinare, in modo da prendere atto dello stato dell’arte
attuale della terapia delle metastasi epatiche, capire quello che
la radiologia interventistica può offrire e come questo possa
inserirsi in un approccio ragionato e giustificato da basi scientifiche alla malattia metastatica. Per questo abbiamo invitato
alcuni rappresentanti italiani che sono noti per essere esperti
qualificati nel loro campo d’azione, anche a livello internazio-
nale, ma anche aperti e disponibili al dialogo, in modo che le
presentazioni e la discussione fossero contrassegnate non da
uno sfoggio di tecnica e di cultura, ma da una sincera voglia
di trovare insieme un accordo che potesse far luce in questo
campo e possibilmente portare a proposte di nuovi cammini
da esplorare, che potessero accumunare le diverse competenze presenti.
Qui di seguito vengono riportati i riassunti degli interventi
dei relatori.
Ci è sembrato che fosse giusto iniziare la sessione con un
inquadramento generale della malattia metastatica da parte
dell’oncologo medico. Il Dott. Gianluca Masi ci ha illustrato una breve ma assai interessante presentazione dal titolo:
“oncologia medica: criteri clinici e bio-molecolari per la selezione dei pazienti, integrazione/rapporto con le terapie loco-regionali”.
Le metastasi epatiche da carcinoma del colon-retto rappresentano certamente un setting dove l’integrazione tra le varie
opzioni terapeutiche disponibili (terapie mediche, chirurgia,
trattamenti loco-regionali) è fondamentale, infatti in questi
pazienti una strategia terapeutica ottimale consente di ottenere in circa il 50% dei casi o una completa guarigione o una
lunga sopravvivenza.
Storicamente la chirurgia è stata la prima opzione terapeutica
che ha consentito di ottenere questi risultati (Wilson SM and
Adson MA, Arch Surg 1976). Le casistiche più recenti con
follow up di almeno 10 anni confermano che circa il 20% dei
pazienti che si presentano con metastasi epatiche resecabili e
vengono resecati radicalmente hanno una sopravvivenza superiore a 10 anni (Tomlinson J, J Clin Oncol 2007).
Quindi il primo criterio di selezione per questa categoria di
pazienti è la valutazione della resecabilità chirurgica. A questo proposito bisogna ricordare che purtroppo i pazienti che si
presentano con metastasi epatiche resecabili sono di fatto una
minoranza dei pazienti con carcinoma colorettale metastatico. Nel corso degli anni però le cose sono cambiate. Infatti
a partire dalla fine degli anni ’90 i trattamenti medici si sono
arricchiti di nuovi farmaci e questo ha consentito di ottenere
un a regressione di malattia significativa in una percentuale
maggiore di pazienti. Si è così creato una nuova categoria di
pazienti che sono i pazienti inizialmente non resecabili, ma
che lo diventano dopo una buona risposta alla chemioterapia.
319
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327
I dati di letteratura confermano che la prognosi di questi pazienti radicalmente operati dopo chemioterapia è sovrapponibile a quella dei pazienti resecabili “up front” (Adam R, J
Clin Oncol 2009).
Quindi un secondo criterio di selezione dei pazienti è la risposta alla terapia medica.
L’integrazione con le terapie mediche ha portato anche ad una
evoluzione del concetto di resecabilità, che è passato da criteri
molto restrittivi a criteri molto più ampi, in cui di fatto i fattori
limitanti sono la possibilità di ottenere una resezione radicale
mantenendo una adeguata riserva funzionale epatica e la storia naturale della malattia (assenza di diffusione extra-epatica
significativa) (Mavros MN, J Surg Oncol 2013).
Nell’ultimo decennio la integrazione tra terapie mediche
innovative e la chirurgia epatica “moderna” ha prodotto un
significativo miglioramento della prognosi dei pazienti con
MTS con una sopravvivenza mediana che è passata da 12 a
36 mesi e con una sopravvivenza a 5 anni che nei pazienti
con sole metastasi epatiche è arrivata circa al 50% (Kopetz
S, J Clin Oncol 2009). Inoltre c’è da sottolineare che vi sono
numerose casistiche in cui i pazienti sottoposti a resezione
epatica nel 50% dei casi circa hanno una recidiva solo epatica
e non sistemica (De Jong MC, Ann Surg 2009). Quindi un terzo elemento molto importante per la selezione dei pazienti è
la storia naturale della malattia, con la persistenza di metastasi
solo epatiche o con la presenza di una malattia cosiddetta “liver dominant” cioè dove le metastasi epatiche condizionano
fortemente la prognosi pur in presenza di una limitata metastatizzazione extra-epatica (Masi G, Ann Surg 2009).
Certamente prevedere il decorso clinico della malattia non è
semplice. Ad oggi possiamo utilizzare gli score prognostici
clinici, quello di Fong che valuta la stadio iniziale del tumore, il numero e la dimensione delle metastasi, il CEA basale
ed il disease-free interval è il più validato (Fong Y, JAMA
1999). Putroppo abbiamo ancora oggi pochi fattori biomolecolari da utilizzare. I più validati sono lo stato mutazionale
di BRAF (Loupakis F, Br J Cancer 2009) che è un fattore
prognostico estremamente negativo, e lo stato mutazionale di
KRAS (Amado RG, J Clin Oncol 2008) che è un importante
fattore predittivo di resistenza agli anticorpi anti-EGFR e che
recentemente sta emergendo anche come fattore più frequentemente associato a metastatizzazione polmonare (Vauthey
JN, Ann Surg 2013). Da quanto detto finora (incremento della
sopravvivenza mediana, persistenza di malattia solo epatica o
prevalentemente epatica in una quota significativa di pazienti)
emerge un forte razionale all’utilizzo in maniera integrata dei
trattamenti loco-regionali. In particolare le principali indicazioni potrebbero essere le seguenti:
Trattameti ablativi (rfa, mwa)
ñ Metastasi limitate nel numero (<3) e nelle dimensioni (<35 cm a seconda della metodica utilizzata)
ñ Pazienti non candidati ad un intervento chirurgico per comorbidità
ñ Pazienti in cui la resezione up front non sia ritenuta indicata per motivi oncologici (score prognostici negativi o
BRAF mutato)
ñ Ricadute localizzate dopo l’intervento chirurgico
ñ Integrazione alla chirurgia se non sia possibile una resezione R0
Chemioembolizzazione
ñ Pazienti con malattia “liver-prevalent” già trattati con terapia sistemica
ñ Pazienti che non possono eseguire terapie mediche sistemiche
ñ Pazienti incapaci di tollerare terapie sistemiche
ñ Come tentativo per superare chemio-resistenza in casi selezionati
Radioembolizzazione con yttrio-90
ñ Pazienti con malattia solo epatica, ma non resecabile
ñ Pazienti con malattia “liver-prevalent” già trattati con terapia sistemica
ñ Pazienti non candidati ad un intervento chirurgico per comorbidità
ñ Terapia di salvataggio in pazienti refrattari ai trattamenti
standard
ñ Pazienti in cui si voglia ottenere una maggiore regressione
tumorale sfruttando il sinergismo tra chemio e radio – terapia al fine di una possibile resecabilità chirurgica
Ad oggi certamente c’è un grosso interessa a sviluppare una
buona integrazione con la radioembolizzazione visti i promettenti dati di letteratura (Hendlisz A, J Clin Oncol 2010). In
generale è importante sottolineare 2 aspetti: il primo è che appare fondamentale condurre studi clinici metodologicamente
corretti per poter integrare al meglio le opzioni terapeutiche
disponibili. Il secondo è che la decisione della strategia terapeutica del singolo paziente deve essere sempre discussa
all’interno di un team multidisciplinare.
Il secondo intervento ci ha introdotto nella prima delle procedure terapeutiche di tipo radiologico. Il Dott. Andrea Veltri
ci ha parlato di: “Ablazioni: stato dell’arte, MW, indicazioni
consolidate”. La resezione chirurgica completa è attualmente
considerata la terapia curativa, ma solo circa un quarto dei
pazienti è operabile. Le Ablazioni sono pertanto nate per i
pazienti inoperabili con le stesse finalità della chirurgia; lo
scopo comune di ogni terapia delle MTS da CRC è, infatti, di
aumentare la sopravvivenza [1].
Il termine ablazione tumorale è definito come l’applicazione
diretta di energie chimiche o fisiche, specie termiche, a masse tumorali nel tentativo di ottenerne l’eradicazione o almeno
una distruzione sostanziale. Le tecniche ablative più sperimentate per le MTS da CRC sono le terapie termiche; esse
includono sorgenti in grado di ottenere la necrosi tumorale
usando energie termiche calde (es. RF, laser) o fredde (crioablazione) [2]. Lo Stato dell’Arte è pertanto rappresentato
dalla termoablazione con radiofrequenze (RFA), ossia la terapia ablativa ipertermica più utilizzata tra quelle disponibili
(laser, ultrasuoni focalizzati, etc.).
Le apparecchiature per RFA sono tecnologicamente standardizzate da alcuni anni e diffusamente conosciute. La stragrande maggioranza degli studi clinici, inoltre, non ha dimostrato né la superiorità tecnica di un’apparecchiatura rispetto a
un’altra, né, da un altro punto di vista, il valore prognostico
dell’uso di una diversa apparecchiatura sull’efficacia locale
della RFA o sull’outcome dei pazienti. Limite comune sembra però essere una minor capacità di ottenere l’ablazione
completa proporzionalmente al crescere del diametro della
MTS; in particolare, studi retrospettivi hanno dimostrato la
320
significatività statistica di cut-off dimensionali tra 2 e 4 cm
per l’efficacia locale della RFA [3]. In sintesi, la necessità di
un sufficiente margine “di sicurezza” intorno alla zona ablata,
documentata anche sperimentalmente [4], riduce la radicalità della RFA per MTS di diametro crescente; ciò ha indotto a
ricercare sorgenti di energia più potenti, di cui le microonde
(MW) rappresentano quella ad oggi più sperimentata: a parità
di rischio di complicanze (circa il 3% di complicanze maggiori)
[5], la MWA sembra consentire una superiore efficacia locale,
con maggior percentuale di ablazioni complete in caso di MTS
fino a 4.5 cm di diametro [6], ma mancano ancora valutazioni
adeguate della sua utilità clinica in termini di sopravvivenza.
Per affrontare il capitolo Indicazioni Consolidate bisogna
quindi ritornare alla RFA, per la quale i risultati clinici esistono già, per quanto basati quasi esclusivamente su serie storiche [1]. Ancora oggi, infatti, la letteratura offre un solo trial
randomizzato tra chemioterapia e chemioterapia associata a
RFA, che dimostra che l’associazione con la RFA ha ottenuto
un prolungamento del tempo di sopravvivenza libero da malattia, ma dove l’effetto definitivo della RFA sulla sopravvivenza globale rimane indeterminato [7].
Quanto alle casistiche retrospettive (RFA spesso inserita in
una terapia multimodale), negli studi in cui è stata valutata
la RFA percutanea delle MTS da CRC, la mediana di sopravvivenza è variata tra 24 e 52 mesi, con una percentuale di
sopravvivenza globale a 5 anni del 18–44% dalla prima RFA
[1]. Le dimensioni delle MTS rappresentano il fattore prognostico principale dell’outcome clinico, con percentuali di
sopravvivenza a 5 anni oltre il 45% [7,8,9] e mediane intorno
a 50 mesi per i pazienti con lesione principale di diametro
inferiore a 2.5 cm [8,9], e differenze significative tra questi e
quelli con diametri superiori; altro predittore negativo risulta
la malattia metastatica extraepatica, ma non tanto da costituire
una controindicazione assoluta al trattamento [9].
In conclusione, ancora oggi le considerazioni possibili basate
sulle evidenze sono che la resezione chirurgica delle MTS da
CRC rimane la terapia di scelta per i pazienti operabili [10],
ma la RFA percutanea dovrebbe essere considerata la prima
opzione terapeutica per i pazienti con lesioni non resecabili o
condizioni che controindichino l’anestesia generale o la chirurgia addominale [11].
Nel dettaglio, secondo i “Criteri di appropriatezza del management radiologico delle neoplasie epatiche maligne” dell’American College of Radiology del 2012, l’ablazione termica
deve essere considerata abitualmente indicata in caso di MTS
solitaria da CRC se di diametro < 3-5 cm (sulla base però
dell’expertise locale) [12].
La possibilità riportata in letteratura di utilizzare la RFA nel
“test-of-time” oncologico prima della resezione chirurgica
[13], suggerisce infine la possibilità di disegnare un trial randomizzato per comparare prospetticamente RFA e resezione
in caso di piccola metastasi solitaria, valutando anche costi e
qualità di vita.
Al termine dell’intervento di Veltri è seguita una lunga discussione, in cui è stato trovato un consenso comune riguardo alla
possibilità di proporre, sulla base delle pubblicazioni esistenti, uno studio comparativo tra RFA e chirurgia resettiva nelle
metastasi singole con diametro inferiore ai 3-5 cm.
Il terzo intervento è stato del Dott. Vincenzo Mazzaferro, sul
tema: “terapia chirurgica: quali criteri per la decisione clinica
e la valutazione dei risultati”.
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327
Il trattamento delle MTS è molto complesso: un campo in cui
tutte le figure professionali in gioco devono ammettere dei
limiti e forse fare anche dei passi indietro se vogliamo davvero andare verso l’approccio multidisciplinare. Focalizziamo
pertanto l’attenzione al contributo che la chirurgia può fornire
nell’ambito di una logica multidisciplinare. La chirurgia ha le
maggiori potenzialità di cura rispetto agli altri trattamenti. Dividiamo grossolanamente le metastasi in resecabili e non resecabili, o che comunque verosimilmente non saranno mai resecabili. Vi è però un grande “contenitore” intermedio che sono
i Pz potenzialmente resecabili, i quali sono classificati generalmente dalle condizioni della loro malattia epatica: quante
MTS, quanto grandi, i loro rapporti con le vene epatiche e così
via. Dallo schema che comprende questa classificazione deriva anche cosa proporre ai Pz. Ai pazienti facilmente resecabili
la proposta è senz’altro quella di operarli e potenzialmente
guarirli. Nel Pz non resecabile l’obiettivo è quello di estendere la sopravvivenza attraverso i trattamenti di tipo medico. Per
i Pz potenzialmente resecabili, categoria assai mal definibile,
bisogna fare uno sforzo per tentare di riportarli alla chirurgia,
visto che questa è l’unica in grado di guarirli. Qualunque sia
la terapia chirurgica o medica, dobbiamo considerare i fattori
prognostici, che valgono anche per le terapie loco-regionali:
le MTS sincrone o metacrone, il numero e le dimensioni, il
coinvolgimento linfonodale, i rapporti con le vene epatiche e
con i dotti biliari, i margini di resezione, la presenza di malattia extraepatica, la chemioterapia peri-operatoria, il livello
del CEA. Tutti questi dati contano nella scelta della terapia
e nella prognosi del Pz, qualunque sia il trattamento che intendiamo impiegare. Per esempio: le resezioni delle metastasi
sincrone si possono fare, ma la letteratura mostra che la sopravvivenza e la PFS (progression free servival) va peggio di
quelle per MTS metacrone. Il caso delle metastasi bilaterali:
sono gravate da una prognosi peggiore che quelle monolaterali. Si possono fare le epatectomie in due tempi, si possono
fare simultaneamente resezioni e ablazioni. Un altro punto
è il coinvolgimento linfonodale: la positività dei linfonodi
dell’ilo epatico sono gravati da prognosi assai peggiore , con
sopravvivenza a 5 anni poco superiore allo zero. I linfonodi
peggiori dal punto di vista prognostico sono quelli del tripode
celiaco e i retro-pancreatici che probabilmente, se identificati
all’imaging pre-operatorio, dovrebbero essere considerati una
controindicazione all’intervento chirurgico. Anche la malattia
extraepatica peggiora fortemente la prognosi; è ben vero che
questa a volte può essere rimossa, ma comunque la prognosi
del Pz rimane peggiore rispetto all’assenza di questo fattore.
I margini di resezione sono un aspetto importante, come abbiamo già sentito dire parlando delle ablazioni. Deve essere
però considerato che l’aggiunta dei nuovi farmaci e dei nuovi
schemi terapeutici può annullare la differenza prognostica che
c’è tra una resezione con margini R0 e una con margini R1
(infiltrazione microscopica). Questo vuol dire che il gap rappresentato da una resezione forzatamente a margini R1 può
essere gestito dall’approccio multidisciplinare tra chirurghi e
oncologi medici. Un altro problema è quello relativo alle metastasi che, trattate in fase pre-operatoria, scompaiono: anche
in questo caso il problema viene risolto nella gran parte dei
casi con la collaborazione con i radiologi, mediante le tecniche di imaging , tra le quali la ecografia intra-operatoria,
eventualmente con l’opzione del mezzo di contrasto. In ogni
caso la risposta alle terapie pre-operatorie è legata ad una
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prognosi migliore, e questo vale sia per l’area chirurgica che
interventistica. Poiché quello che conta è la risposta patologica alla chemioterapia, mentre questo dato può essere ottenuto
dopo la resezione della metastasi, quando si tratta la lesione
con una tecnica interventistica, come l’ablazione, questo dato
è più difficile da ottenere.
Torniamo ora alla partenza e alla classificazione delle metastasi per fare un punto della situazione. In particolare ci focalizziamo sulle MTS intermedie, resecabili ad alto rischio e
potenzialmente resecabili. Queste categorie (resecabili, non
resecabili e potenzialmente resecabili) sono definite dai fattori prognostici, elencati in modo che sia valido e obbiettiva bile
per tutti. I noduli facilmente resecabili sono i noduli singoli,
con il CEA <100, metacroni, senza coinvolgimento linfonodale. Un pz invece che deve fare prima una embolizzazione
portale o una ablazione intra-operatoria è comunque un Pz
ad alto rischio. I Pz che andrebbero ad una chirurgia convenzionale, ma hanno alcuni fattori prognostici negativi, come il
CEA >100, sono MTS sincrone o sono più di quattro, devono fare la chemioterapia neoadiuvante prima dell’intervento.
Quindi solo i Pz facili e con malattia molto contenuta vanno
direttamente alla chirurgia, mentre tutti gli altri, per un motivo o per un altro, devono avere un passaggio per una terapia
neoadiuvante. Ovviamente su ciascuna di queste categorie si
possono sviluppare studi e prospettive diverse, ma con rispetto di una logica terapeutica di questo tipo.
Il quarto intervento è stato ancora di tipo chirurgico, avendo
come tema uno degli aspetti forse più interessante e di riconosciuta utilità, cioè quello della integrazione tra chirurgia e
radiofrequenza. Il Dott. Carlo Battiston, ha parlato di: “terapia
chirurgica integrata: chirurgia + RFA intraoperatoria”.
Il trattamento chirurgico delle metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale suscita un grande interesse nell’ambito della
chirurgia oncologica ed epatica in relazione ai buoni risultati
ottenibili in termini di sopravvivenza in uno stadio di malattia
avanzata.
Solo il 15-25% di pazienti con metastasi epatiche sono suscettibili di intervento di resezione epatica [Evrard, BJS 2012]
. Per questo motivo negli ultimi anni diverse strategie sono
state adottate per aumentare il numero di pazienti resecabili.
L’ approccio combinato resettivo e termoablativo permette
di aumentare il numero dei pazienti operabili mediante ablazione delle lesioni non resecabili mantenendo un volume di
fegato residuo sufficiente . Tale trattamento è stato proposto
in letteratura per la prima volta a metà degli anni novanta ma
fino ad oggi non sono apparsi dati significativi conclusivi della reale efficacia e dei risultati della metodica.
Fattori che contribuiscono alla mancanza di dati certi in letteratura sono la mancanza di studi comparativi tra RFA e resezione per tumori simili e la presenza di diverse definizioni di
metastasi “resecabili“.
Una recente revisione della letteratura sui risultati della RFA
conclude che mancano studi randomizzati e quelli retrospettivi giungono a conclusioni discordanti ( Minami, Gut and
Liver 2013 ).
La review della “American Society of Clinical Oncolgy” sottolinea come la resezione rappresenta il trattamento elettivo
per le metastasi epatiche colo-rettali ( Wong SL , JCO 2010 )
L’approccio laparotomico offre i seguenti vantaggi :
ñ Trattamento più accurato rispetto ad approccio laparoscopico o percutaneo [ Eisele, EJSO 2010];
321
ñ L’approccio “open” con eventuale contemporaneo clampaggio ilare permette di trattare lesioni contigue alle principali strutture vascolari che si ritenevano non trattabili
[Evrard , EJSO 2004] ;
ñ L’approccio percutaneo non è utilizzabile per lesioni > 5
cm, in posizioni particolari, se multiple > 3. Facilità di
puntamento grazie alla mobilizzazione del fegato.
[Elias , JSO 2005]
Dalla nostra esperienza la laparotomia permette: un’ accurata
stadiazione della malattia; plurimi trattamenti contemporanei; un miglior controllo del sanguinamento; il trattamento delle metastasi contigue ai vasi principali, in particolare
adiacenti alla vena cava inferiore ed alla confluenza delle
vene sovra epatiche; minor rischio di diffusione neoplastica
e di lesioni degli organi contigui.
Volendo cercare di riassumere i dati della letteratura i candidati per tale procedura sono :
ñ Pazienti precedentemente sottoposti ad epatectomia maggiore
ñ Lesioni centro-epatiche
ñ Lesioni di piccole dimensioni < 30 mm
ñ Pazienti con metastasi bilaterali: indicazione ad emiepatectomia e lesioni centrali nel parenchima residuo
La revisione della lettura evidenzia che :
ñ 1/3 delle pubblicazioni sono “case report”
ñ Solo 3 lavori hanno > 100 pazienti
ñ Alcuni lavori riguardano anche metastasi non colo-rettali
ñ Trattamenti falliti : dal 1.8 al 39%
ñ Principali cause di fallimento: contiguità strutture vascolari
lesione > 3 cm → Recidiva locale per lesioni > 3 cm : 22%
< 3 cm : 1.6 - 3.8%
Concludendo l’approccio combinato di resezione e termoablazione :
ñ Aumenta la percentuale di interventi curativi rispetto alla
sola chirurgia ( dal 20 al 35 % ).
ñ Migliora la sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia
ñ Permette di ablare le lesioni altrimenti intrattabili situate
vicino alle strutture vascolari
ñ E’ una tecnica con morbilità e mortalità comparabili alla
chirurgia tradizionale.
Il Dott. Alfonso Marchianò e il dott Vincenzo Mazzaferro
hanno quindi approfondito insieme un tema interessante, in
cui la Radiologia Interventistica gioca un ruolo importante
e consolidato: il tema è stato: “L’obiettivo di preservazione
d’organo nel trattamento delle metastasi epatiche complesse-bilaterali: ruolo della Radiologia Interventistica (Embolizzazione portale, RFA) e della chirurgia”.
Il trattamento più efficace per le metastasi epatiche da neoplasia del colon resta la resezione chirurgica. Sebbene il successo
della chirurgia resettiva epatica sia correlato a molte variabili il parametro più importante rimane costituito dal volume
e dalla funzionalità del fegato residuo post resezione, il così
detto future liver remnant (FLR). I pazienti con un inadeguato FLR presentano un più frequente riscontro di insufficienza
epatica post resettiva con una più elevata mortalità post operatoria. L’embolizzazione portale (PVE) descritta nel 1986
da Kinoshita è la tecnica di riferimento per i pazienti con un
322
insufficiente FLR candidati a chirurgia resettiva, avendo soppiantato la legatura chirurgica per una superiore efficacia e
sicurezza. L’analisi dei risultati di questa procedura sono basati principalmente su piccole serie, non essendo disponibili
studi controllati o randomizzati. Alcuni aspetti controversi
sono stati affrontati in una meta analisi pubblicata nel 2013 su
Cardiovascular Interventional Radiology (14). In particolare
sono state valutate alcune variabili tecniche, le complicanze e
l’efficacia riscontrata. Per quanto riguarda la tecnica impiegata l’ approccio percutaneo ipsilaterale andrebbe privilegiato
rispetto a quello controlaterale in quanto non gravato da danni
potenziali del FLR e da un accesso meno problematico ai rami
destinato ad S4, ma non vi sono dimostrazioni conclusive di
una effettiva superiorità di un approccio rispetto all’altro.
Anche la PVE con approccio transileocolico, in genere eseguito nel corso di una mini-laparotomia mantiene campi di
applicazione relativamente ampi nell’ambito di un integrazione con una chirurgia resettiva epatica dilazionata in due o
più fasi. Gli agenti embolizzanti più comunemente impiegati
sono risultati essere le miscele di N-butyl cyanoacrylato e
lipiodol o le particelle di PVA in combinazione con spirali
metalliche, quindi materiali non riassorbibili che dovrebbero
prevenire la ricanalizzazione portale periferica. Sebbene siano necessari studi più ampi i dati di questa review suggeriscono che n-butyl cyanoacrylato da solo o in combinazione
con il lipiodol sia l’agente embolizzante più efficace, in quanto induce un più elevato incremento medio del volume del
FRL. Il successo tecnico e clinico complessivo medio riferito
della PVE è molto elevato, rispettivamente del 99.3 % e del
96,1 %. Solo il 2.8 % dei pazienti non è stato sottoposto a
resezione chirurgica per una ipertrofia ritenuta insufficiente
ed un ulteriore 0.4 % dei pazienti è risultato non resecabile
per complicanze correlate direttamente alla procedura quali
ematomi sotto capsulari od estensione della trombosi portale.
Comunque circa il 20 % complessivo dei pazienti sottoposti
a PVE non è stato poi trattato con resezione epatica. La progressione locale, sia nei segmenti sottoposti ad embolizzazione che a quelli non embolizzati (circa 6,1 %) e la diffusione
extraepatica ( circa 8,1 %) restano le cause principali di non
resecabilità dopo PVE. Anche per questo motivo l’intervallo
di tempo tra la PVE e la resezione chirurgica dovrebbe essere
limitato il più possibile. Inoltre i dati volumetrici disponibili,
presentati in particolare da Ribero (15) dimostrano che dopo
una ipertrofia iniziale nelle prime tre settimane, viene poi raggiunta una fase di plateau. (16-18)
Sono state quindi affrontate due tematiche che stanno molto a
cuore ai Radiologi e che in qualche modo completano le procedure terapeutiche di tipo radiologico disponibili: la chemioembolizzazione (TACE) e la radioembolizzazione (TARE).
Il Dott. Camillo Aliberti ci ha parlato delle indicazioni attuali
e studi della TACE.
Il razionale per la terapia arteriosa intraepatica si basa sul
fatto che al parenchima epatico il sangue viene fornito dalla
vena porta , mentre i tumori epatici (primario e metastatico)
ricevono il loro apporto di sangue quasi esclusivamente dalla
arteria. Il concetto di chemioembolizzazione (TACE) è quello
di combinare agenti chemioterapici e materiale embolizzante
e infonderli nelle arterie epatiche che forniscono i tumori del
fegato. L’ipossia indotta dagli agenti embolizzanti agisce sia
inducendo la necrosi delle lesioni, sia potenziando l’azione
del chemioterapico.
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327
La TACE è stato introdotta nella pratica clinica sin dal 1980
da Yamada .
La doxorubicina è il farmaco più comunemente usato per il
carcinoma epatocellulare , mentre cisplatino , 5 - FU , doxorubicina e mitomicina sono utilizzati per i tumori secondari. Nella TACE convenzionale (cTACE) l’agente chemioterapico è miscelato con un mezzo di contrasto liposolubile (
Lipiodol ultrafluido , Laboratoire Guebert , Francia), che fa
da veicolo del chemioterapico e da embolizzante . Diversi
agenti embolici possono essere aggiunti alla miscela Lipiodol
(LUF)-chemioterapico per aumentare l’effetto ischemizzante:
Gelfoam e particelle di alcool polivinilico sono gli agenti più
comunemente utilizzati. La relativamente recente introduzione delle microsfere a rilascio di farmaco (Drug Eluting Beads,
DEB), che legano in modo più stabile i chemioterapici e li
rilasciano più lentamente in modo controllato all’interno del
tumore, migliora la capacità rispetto alla cTACE di ottenere
concentrazioni elevate di chemioterapico nelle lesioni target
riducendo i picchi sistemici di chemioterapico, riducendo così
al minimo gli effetti collaterali . Queste microsfere hanno dimensioni tra 40 e 900 micron, sono realizzate in materiale
non degradabile , alcool polivinilico (PVA). Mentre la TACE
è considerata la terapia di prima scelta nell’epatocarcinoma
in stadio intermedio secondo BCLC, ci sono pochi dati per
supportare il suo utilizzo per il trattamento di MTS da CRC,
dove essa ha limitata applicazione clinica. Sono presenti in
letteratura alcuni lavori osservazionali condotti su piccole serie di pazienti, non responsivi alla chemioterapia sistemica,
in cui vengono descritte buone risposte obiettive e tossicità
moderata. Fiorentini et al. hanno condotto l’unico studio randomizzato controllato disponibile fino ad oggi, confrontando
DEBIRI (DEB legate ad irinotecan) con la chemioterapia sistemica (FOLFIRI). L’endpoint primario era la sopravvivenza
; endpoint secondari erano la risposta obiettiva, la recidiva, la
tossicità , la qualità della vita , il costo e l’influenza di marcatori molecolari . Questo studio ha mostrato una differenza
statisticamente significativa tra DEBIRI e FOLFIRI per OS
(7 mesi) , PFS (3 mesi) e durata del miglioramento qualità
della vita (5 mesi).
Pertanto ad una revisione della letteratura la chemioembolizzazione denominata DEBIRI può rappresentare una possibilità terapeutica per i pazienti con MTS non operabili , soprattutto non responsivi dopo la prima linea di trattamento
chemioterapico. Studi clinici controllati sono necessari per
stabilire come la TACE possa collocarsi in questi pazienti e
integrarsi con le altre linee di terapia. A questo proposito può
essere interessante l’integrazione della chemioembolizzazione con farmaci anti-angiogenici , al fine di ridurre il possibile
stimolo alla neoangiogenesi indotto dalla ipossia post- TACE
e conseguentemente migliorare i risultati della TACE in termini di time-to-progression e sopravvivenza dei pazienti.
La Dott.ssa Irene Bargellini ha fatto una interessante relazione sulle indicazioni attuali e future della TARE.
La Radioembolizzazione Transarteriosa (TARE) consente di
eseguire una radioterapia ad alte dosi localizzata alla regione
tumorale, risparmiando il tessuto epatico non tumorale, con
conseguente riduzione della tossicità epatica e sistemica.
La maggior parte degli studi ad oggi pubblicati sono studi di
fase II, che hanno dimostrato la sicurezza della procedura ed
una certa efficacia in termini di controllo della malattia (19-25).
Ad oggi è stato pubblicato un unico studio di fase III prospetti-
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co randomizzato che ha incluso 44 pazienti chemio-refrattari,
randomizzati a terapia con solo fluorouracile o combinazione
di TARE e fluorouracile. Tale studio riporta un significativo
incremento nel tempo mediano alla progressione della malattia nel gruppo del trattamento combinato (4,5-5,6 mesi versus
2,1 mesi) con una tendenza ad una migliore sopravvivenza
(mediana, 10 mesi versus 7 mesi) tuttavia non statisticamente significativa, verosimilmente anche in rapporto al limitato
numero di pazienti arruolati (26).
Tuttavia questo studio, nonché le prime esperienze pubblicate
anche in pazienti in diverse linee chemioterapiche, ha consentito la messa a punto e l’attivazione di alcuni trial internazionali di fase III. I principali interessano pazienti in prima linea
randomizzati a chemioterapia standard versus chemioterapia
e TARE (studi SIRFOX, Foxfire e Foxfire Global) e pazienti
in seconda linea anch’essi randomizzati a chemioterapia versus chemioterapia combinata a TARE (studio EPOCH).
In attesa che i risultati di tali studi divengano disponibili nei
prossimi anni, pur non essendo possibile definire con certezza
il ruolo della TARE nell’ambito dei pazienti con metastasi da
carcinoma del colon-retto, è possibile suggerirne alcune applicazioni. In particolare, il profilo di sicurezza, tollerabilità
e versatilità della TARE rendono questo tipo di trattamento
potenzialmente indicato in varie tipologie di pazienti:
1) pazienti chemiorefrattari, laddove si presuppone che le cellule tumorali abbiano sviluppato resistenza al chemioterapico
ed un trattamento radioterapeutico mirato possa rappresentare una valida alternativa terapeutica; questa oggi rappresenta
nella pratica clinica l’indicazione più certa, anche grazie allo
studio di Hendlisz A e coll.(26). E’ necessario considerare che
i pazienti da selezionare per la TARE devono essere in buone
condizioni cliniche (ECOG 0-1), con interessamento metastatico esclusivamente o prevalentemente localizzato al fegato, il
quale non dovrebbe superare il 50% del volume epatico (preferibilmente il 25%);
2) pazienti in prima o seconda linea, in associazione con chemioterapia sistemica. Il trattamento radioterapico ottenibile
con TARE può essere combinato in sicurezza con la chemioterapia sistemica, anche tenendo presente l’effetto sinergico
che alcuni farmaci (radiosensibilizzanti) possono avere in associazione con la radioterapia. In questo ambito si può anche
tener presente la possibilità di eseguire quella che oggi viene
denominata ““radiation lobectomy”, che consiste nell’utilizzo
di più alti dosi radianti ad un intero lobo affetto da malattia
al fine di ottenere, oltre al trattamento tumorale, la ipotrofia
del lobo trattato con ipertrofia compensatoria del lobo controlaterale. In tale modo, un paziente inizialmente considerato
“non resecabile” prevalentemente in relazione al basso volume epatico residuo dopo una eventuale resezione, potrebbe
essere portato ad intervento chirurgico (27).
3) pazienti con controindicazioni o intolleranza a trattamenti
chemioterapici.
Infine la Dott.ssa Emanuela Giampalma ha concluso con una
relazione di grande interesse riguardante il ruolo dell’imaging
nella valutazione della risposta terapeutica.
Il monitoraggio mediante imaging della risposta tumorale alle
terapie sia sistemiche che locoregionali rappresenta un elemento di fondamentale importanza in ambito oncologico, soprattutto con l’introduzione dei nuovi farmaci molecolari (che
agiscono sull’angiogenesi e sul metabolismo/proliferazione
tumorale) e delle nuove terapie locoregionali epatiche (che-
323
mioembolizzazione con microsfere, radioembolizzazione).
Questi nuovi trattamenti non determinano più, come le chemioterapie standard, una riduzione dimensionale delle lesioni
per effetto citotossico, ma fenomeni di necrosi o di inibizione
della crescita cellulare che spesso non si traducono in diminuzione dimensionale. Pertanto l’utilizzo dei criteri di valutazione della risposta basati sul parametro dimensionale non consente di distinguere precocemente i pazienti responders dai
non responders, condizione cruciale per evitare di continuare
senza efficacia trattamenti costosi e potenzialmente tossici.
Inoltre nella comunità scientifica è forte l’esigenza di disporre di criteri di valutazione della risposta potenziali surrogati
della sopravvivenza come end point primario, da utilizzare
nei trials di Fase II e III, per poter ottenere risultati degli studi
RCT sui nuovi farmaci validabili in tempi ragionevoli, onde
evitare sprechi economici rilevanti nell’attesa delle valutazioni della sopravvivenza che normalmente necessitano di tempi
medio-lunghi (5-10 anni).
I criteri dimensionali, evoluti dagli storici WHO (28) fino a
più recenti RECIST 1.0 (29) e RECIST 1.1 (30) rappresentano parametri di valutazione quantitativa (misurabili e riproducibili) che si sono affermati in quanto testati in studi
eseguiti su larghe serie di pazienti (31, 32) e rappresentano i
parametri oggettivi comunemente usati nella pratica clinica
per determinare la risposta dei tumori alle terapie. Presentano
però diversi punti di debolezza: problemi nel definire in modo
preciso le dimensioni in caso di lesioni con profili mal definiti
alla TC; rischio di significative differenze inter-osservatore
e intra-osservatore in misure sequenziali ripetute nel follow
up; difficoltà nel valutare correttamente la reale quantità di
tumore residuo all’interno della lesione, specie dopo terapie
sistemiche con i nuovi farmaci molecolari o dopo terapie locoregionali (33, 34).
Inoltre il meccanismo d’azione delle nuove terapie target differisce rispetto ai farmaci citotossici, producendo inibizione
dell’angiogenesi, o della proliferazione cellulare e apoptosi,
condizioni tutte che non si traducono in una riduzione dimensionale delle lesioni.
Conseguentemente si sono sviluppati negli ultimi anni criteri
di valutazione quantitativi funzionali che sono specifici o per
il tipo di tumore o per il tipo di terapia utilizzata.
I principali esempi sono i criteri Choi (35) per i tumori gastrointestinali stromali, i criteri EASL (36) e mRECIST (37)
per l’epatocarcinoma.
Anche nel setting delle metastasi epatiche da tumore colorettale viene sentita molto forte l’esigenza di identificare nuovi
criteri di valutazione della risposta dopo l’introduzione delle nuove terapie con anticorpi monoclonali. A tal proposito
Chun et al. (38) hanno dimostrato che le MTS da CRC che
rispondono al Bevacizumab, appaiono più omogeneamente
ipodense e a margini ben definiti senza diminuire in dimensioni. Da queste evidenze hanno quindi proposto di adottare
nuovi criteri definiti come “morfologici” per la valutazione
della risposta.
Nel loro studio infatti è stata identificata una correlazione statisticamente significativa tra i criteri morfologici e la sopravvivenza dei pazienti analizzati, mostrando anche una buona
concordanza inter-osservatore; il limite di questi criteri è però
rappresentato dal fatto che non sono né oggettivi né quantitativi e quindi scarsamente riproducibili. Infatti questi stessi
criteri morfologici non si sono dimostrati altrettanto validi nel
324
valutare la correlazione tra risposta radiologica del tumore
e risposta patologica dopo chirurgia, in una serie di pazienti
trattati in un setting di terapia adiuvante con iniezione intrarteriosa di microsfere caricate con irinotecan (DEBIRI) (39).
Questo studio conclude quindi che i criteri morfologici così
come i criteri RECIST non sono in grado di predire né la risposta patologica tumorale né l’outcome a lungo termine.
Diversi studi pubblicati nell’ultimo decennio si sono focalizzati sull’impiego delle misurazioni volumetriche nella valutazione della risposta alla chemioterapia delle metastasi epatiche da ca colorettale; il più recente pubblicato da Fang et al
(40) ha confermato un tendenziale vantaggio dell’utilizzo di
questo metodo rispetto ai criteri RECIST, con una percentuale
di discordanza di poco superiore al 13%, specie in presenza
di lesioni con morfologia irregolare e margini maldefiniti, con
minore variabilità inter-osservatore.
La difficoltà però di queste valutazioni ad affermarsi come criteri di riferimento dipendono da alcuni limiti: allungano i tempi di valutazione rispetto ai RECIST (possibile superamento
con introduzione di sistemi semiautomatici negli apparecchi
TC/RM); aumentano i costi; non c’è consenso relativamente
ai valori di riferimento da utilizzare per distinguere i diversi
gradi di risposta (specie tra risposta parziale e malattia stabile). Conseguentemente gli autori concludono che nella pratica
clinica, visto anche la bassa percentuale di discordanza, è più
funzionale l’impiego dei più semplici criteri RECIST.
Maggior consenso invece si sta creando sull’impiego dei criteri Choi nella valutazione della risposta delle MTS alla chemioterapia.
Questi criteri, basati sulla misurazione automatica della densità utilizzando una ROI disegnata sul profilo delle singole
lesioni, sono in grado di rilevare precocemente la risposta alla
terapia utilizzando la percentuale di riduzione della densità
misurabile alla TC che riflette la riduzione della vascolarizzazione neoplastica (neoangiogenesi) e la presenza di necrosi.
Rappresentano quindi criteri molto promettenti soprattutto
nei pazienti sottoposti a chemioterapia con i nuovi farmaci
antiangiogenetici o a trattamenti intrarteriosi epatici (TARE,
DEBIRI), anche in considerazione del fatto che sono misurazioni quantitative, oggettive e facilmente utilizzabili nella
pratica clinica.
Chung et al (41) hanno comparato questi criteri, noti anche
come “modified CT criteria” con i criteri RECIST 1.1 in due
gruppi di pazienti, uno trattato solo con chemioterapia standard e uno trattato con chemioterapia + bevacizumab, nel
predire il TTP. Questo studio ha dimostrato che i criteri Choi
sono superiori ai criteri RECIST 1.1 nel predire il TTP sia
dopo chemioterapia standard che dopo trattamento con anticorpi monoclonali anti- VEGF.
Un’altra interessante modalità di valutazione della risposta
che si sta affermando in oncologia, è rappresentata dall’impiego della 18F-FDG PET, ad oggi prevalentemente utilizzata nella patologia linfomatosa. Nel 2009 sono stati proposti
criteri di valutazione della risposta qualitativi e quantitativi
di tipo metabolico, utilizzando la PET, e definiti come PERCIST 1.0 (PET Response Criteria in Solid Tumors) (42), che
si basano sul fatto che esiste una stretta relazione tra la captazione di 18F-FDG e numero di cellule neoplastiche attive nelle
lesioni tumorali.
Conseguentemente la riduzione dopo terapia dell’uptake del
glucosio, corrisponde ad una perdita/riduzione di cellule tu-
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morali vitali, ponendo come limite dell’indagine lesioni con
diametro inferiore ad un range compreso tra 0.4 e 1 cm, condizione che espone a un eccesso di falsi positivi per risposta
completa.
La valutazione qualitativa della risposta alla PET si ottiene
comparando la captazione delle lesioni neoplastiche con la
captazione di alcune strutture normali quali muscoli, cervello e fegato e rappresenta il metodo comunemente usato nella
pratica clinica.
La valutazione di tipo quantitativo si basa invece sulla misurazione delle variazioni del SUV (Standardised Uptake Value), o del SUV normalizzato alla massa corporea o alla massa corporea magra (SUL) che per essere attendibile prevede
l’esecuzione di studi, sia in baseline che nel follow up, che
utilizzino lo stesso tipo di preparazione del paziente, la stessa
modalità di somministrazione del tracciante e lo stesso protocollo di acquisizione ed elaborazione dell’indagine.
Recentemente Fendler et al (43) hanno testato diversi parametri basati sul SUV rilevato alla PET come predittori della
sopravvivenza dei pazienti affetti da metastasi epatiche da
tumore colorettale, trattati con radioembolizzazione, riscontrando che solo cambiamenti del volume metabolico e della
glicolisi complessiva delle lesioni correlano con la sopravvivenza dei pazienti, mentre questa correlazione non è risultata
per il valore del SUVpeak e del SUVmax .
In considerazione comunque della non routinaria esecuzione
della PET nel follow up dei pazienti affetti da metastasi epatiche da tumore colorettale trattati con radioembolizzazione, la
valutazione dei cambiamenti metabolici dopo terapia non può
essere considerata una modalità applicabile su larga scala nella pratica clinica per valutare la risposta. Per superare questo
limite recentemente
Tocchetto el al (44) hanno condotto uno studio di comparazione tra i criteri Choi e le variazioni dell’attività metabolica rilevate alla TC, considerate come standard di riferimento della
risposta alla terapia in un gruppo di 28 pazienti affetti da metastasi epatiche trattati con Yttrio90. I risultati di questo studio
hanno dimostrato che le variazioni della densità rilevate alla
MDTC correlano in modo significativo con l’attività metabolica valutata alla PET dopo la radioembolizzazione, portando
gli autori a suggerire l’impiego dei criteri Choi come utile
surrogato per identificare precocemente la risposta nel setting
di pazienti descritto.
Alla luce dei recenti sviluppi tecnologi delle apparecchiature di Tomografia Computerizzata e di Risonanza Magnetica,
si stanno aprendo nuove frontiere nella valutazione imaging
della risposta alle terapie sistemiche e locoregionali in ambito
oncologico, rappresentate dalla CT-perfusion e dalla MRIDWI (45, 46).
Queste tecniche infatti sarebbero in grado di evidenziare in
modo quantificabile le variazioni dell’angiogenesi o della
cellularità tumorale dopo le cosiddette targeted therapies, elementi molto importante per discriminare precocemente i pazienti responders dai non responders. Allo stato attuale, dopo
i primi promettenti risultati sperimentali, restano però ancora
da definire in modo standard e riproducibile su ampie serie di
pazienti, i parametri di riferimento da applicare nella pratica
clinica, considerando anche la loro stretta dipendenza con le
diverse tipologie di apparecchiatura e gli specifici software
applicativi che presentano peraltro un inevitabile incremento
dei tempi e dei costi delle indagini.
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Alla luce di quanto fin qui esposto, appare evidente come la
valutazione della risposta alle terapie oncologiche sia sistemiche che locoregionali rappresenti tuttora una sfida per il radiologo che deve cercare di adeguarsi alle nuove esigenze imposte dalla comparsa di terapie innovative sempre più mirate per
le quali i criteri di valutazione considerati finora standard di
riferimento appaiono insufficienti a cogliere precocemente le
variazioni indotte dai nuovi farmaci.
Nell’ambito delle metastasi epatiche non operabili si dovrà
quindi cercare di applicare criteri di risposta sempre più basati
o sul tipo di tumore o sul tipo di terapia utilizzata, cercando
di impegnarsi nel testare i nuovi criteri non più unicamente
dimensionali ma funzionali su ampie serie di pazienti o all’interno di trials sperimentali.
In tal senso, dai dati attualmente rilevabili in letteratura, tra
i nuovi criteri proponibili, quelli che potrebbero trovare un
maggior impiego nella pratica clinica sono a mio avviso i criteri Choi (modified-CT criteria) in quanto risultano quantificabili (quindi oggettivabili) e facilmente riproducibili (quindi
con maggiore concordanza inter-osservatore) senza incidere
significativamente sui costi e sui tempi delle indagini.
Relativamente all’impiego dell’imaging funzionale TC e/o
RM, allo stato attuale mancano ancora sufficienti evidenze
per considerare la CT-perfusion o la MRI-DWI metodiche
affidabili e proponibili nella pratica clinica, necessitando di
ulteriori validazioni all’interno di studi dedicati anche in considerazione degli alti costi sia economici (i software dedicati
non sono integrati nell’equipaggiamento standard delle apparecchiature) che di tempo medico (lunghi tempi di post-processing). Analoghe considerazioni, anche se non rappresenta
specifico campo di competenza radiologico, credo si possa
dire per i criteri funzionali della PET.
POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE DELLE TERAPIE LOCO-REGIONALI NELLA TERAPIA DELLE METASTASI
EPATICHE DA CARCINOMA DEL COLON-RETTO
1) METASTASI RESECABILI >>>CHIRURGIA CONVENZIONALE
A: BASSO RISCHIO ( M+ unica <5 cm, metacrona ) >>>> chirurgia
RF (o MW) possibile alternativa in pz unfit per chirurgia o non resecabili
*Studio randomizzato chirurgia vs RF (o MW)
B: ALTO RISCHIO ( metastasi multiple):
B1 (<4 mts, metacrone, CEA<100) >>>chirurgia
RF (o MW) possibile trattamento combinato chirurgia e ablazione
B2 (>4 mts, sincrone, CEA>100)>>>tp neoadiuvante>>>chirurgia>>>tp adiuvante
*Possibile utilizzo di TACE o TARE in alternativa o combinazione con chemiotp sistemica in fase neoadiuvante
2) METASTASI POSSIBILMENTE RESECABILI >> >tp eoadiuvante>>>CHIRURGIA AVANZATA>>> tp adiuvante
Embolizzazione portale
Trattamento combinato chirurgia e ablazione
*Possibile utilizzo di TACE o TARE in alternativa o combinazione con chemiotp sistemica in fase neoadiuvante
3) METASTASI NON RESECABILI >>> chemioterapia sistemica
Combinazione TACE o TARE con chemioterapia sistemica di prima linea o seconda linea
TACE o TARE in seconda linea
*TARE in seconda linea
*: possibili strategie future
BIBLIOGRAFIA
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L. Pereira, Thierry de Baère.
Interventional oncologic approaches
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RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA
Trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale
mediantestentingadiversionediflusso:esperienzaunicentrica
W. Lauriola1, V. Strizzi1, M. Falcone1, G. Ciccarese1, F. Briganti2, F. Florio1
1
2
UOC di Radiologia Interventistica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo, Foggia, Italia
UO di Neuroradiologia Interventistica, Ospedale Policlinico Federico II, Napoli, Italia
Indirizzo Autore: W. Lauriola, e-mail: [email protected]
Introduzione
Il trattamento endovascolare standard dell’aneurisma cerebrale consiste nell’embolizzazione della sacca aneurismatica.
Questa è comunemente ottenuta mediante il riempimento della sacca con spirali metalliche che ne inducono la trombosi; in
caso di aneurisma ad ampio colletto può associarsi il remodelling o il posizionamento di stent a cavaliere del colletto. Tali
procedure endovascolari sono accompagnate da una percentuale di recidiva non trascurabile ed escludono la possibilità di
trattamento di una buona quota di aneurismi di biforcazione,
di grandi dimensioni, con colletto ampio, con arteria originante dalla sacca o fusiformi [1-8]. I nuovi stent a diversione
di flusso hanno rivoluzionato la tradizionale “filosofia” del
trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale per cui
dal “vecchio” concetto di embolizzazione si è passati a quello
della “ricostruzione” dell’arteria parente e questo ha notevolmente ampliato il campo di applicazione delle tecniche endovascolari. Infatti dalla letteratura emerge che nei confronti
delle precedenti tecniche lo stenting a diversione di flusso,
oltre a garantire una efficacia clinica superiore consente anche
il trattamento di aneurismi difficilmente o non altrimenti trattabili per via endovascolare [1,9-14]. Probabilmente proprio
i benevoli risultati della letteratura sono motivo di rapida diffusione e di progressivo ampliamento delle indicazioni degli
stent a diversione di flusso [1,14] che comunque restano controindicati in caso di insostenibilità di un regime terapeutico
di doppia antiaggregazione prolungata come, ad esempio, in
caso di aneurisma rotto, almeno nella fase acuta. Scopo del
lavoro è valutare i risultati tecnici, angiografici e clinici della nostra esperienza di trattamento di aneurisma intracranico
mediante stent a diversione di flusso Pipeline Embolization
Device.
Materiali e tecnica
Dal gennaio 2011 a dicembre 2013 presso l’UOC di Radiologia Interventistica dell’ IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza in San Giovanni Rotondo (Foggia, Italia) sono stati
eseguiti 31 trattamenti endovascolari di aneurisma cerebrale
mediante stenting a diversione di flusso con PED (Pipeline
Embolization Device, ev3 Neurovascular, Irvine, California,
USA). Tutte le procedure sono state eseguite in elezione dalla
stessa equipe operatoria. ! ! !2
Popolazione studio
La popolazione studio è rappresentata da 25 pazienti di età
media di 56,6 anni (range 23 - 77 anni), 17 (72%) dei quali
di sesso femminile e 8 (28%) di sesso maschile. 23 (84%)
pazienti sono stati trattati per aneurisma singolo e 2 (8%) per
doppio aneurisma Tab.1.
Tabella 1 Popolazione studio
POPOLAZIONE STUDIO
%
Totali
25
Maschi
7
28
Femmine
18
72
Pz trattati per aneurisma singolo
23
92
Pz trattati per doppio aneurisma
2
8
Etàmedia (anni)
56,64
range:
23-77
In 10 (40%) pazienti l’aneurisma si è manifestato con ESA,
in 9 (36%) con cefalea, 1 paziente, portatrice di aneurisma
vertebrale intracranico gigante, si è presentato alla nostra attenzione affetta da gravi segni di compressione bulbare; nei
restanti 5 pazienti l’aneurisma è stato diagnosticato durante
esami eseguiti per riduzione del visus, diplopia, deficit del 3°
nervo cranico, cefalea con epilessia (paziente portatore anche di meningioma e neoformazione polmonare metastatica)
e ipoacusia.
329
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335
Tabella 2 Esordio clinico
CLINICA
ESA
n.
Pazienti
%
10
40
Cefalea
9
36
Riduzione visus / diplopia
2
8
Deficit3°n.c.
1
4
Cefalea con epilessia
1
4
Ipoacusia
1
4
Gravi segni di compressione
bulbare
1
4
Casistica aneurismi
Sono stati trattati in totale 27 aneurismi, 23 (85,18%) del
circolo cerebrale anteriore, 3 (11,11%) di quello posteriore e 1 (3,70%) di carotide cervicale alta. 3 aneurismi erano
localizzati in corrispondenza dell’arteria carotide interna
terminale, 5 nel tratto sovraclinoideo, 10 in corrispondenza
dell’infundibolo dell’arteria comunicante posteriore (6 dx;
4 sn), 4 nel segmento carotideo cavernoso, 1 in nel sifone
carotideo, 1 nell’arteria carotide interna cervicale alta, 2 in
corrispondenza dell’ostio dell’arteria cerebellare postero-inferiore, in 1 caso si trattava di aneurisma dissecante vertebrobasilare. Tab. 3.
Tabella 3 Sede aneurisma
ANEURISMA:
sede
CircoloAnteriore
n.
Aneurismi
%
23
85,18
ACoPdx
6
22,22
ACoPsn
4
14,81
Carotide terminale
3
11,11
Carotide cavernosa
4
14,81
Carotide sovraclinoideo
5
18,52
Carotide sifone
1
3,70
Carotidecervicale alta
1
3,72
CircoloPosteriore
3
11,1
Vertebro-basilare
1
3,70
Vertebrale-PICA
2
27
totale aneurismi trattati
25 (92,60%) aneurismi presentavano morfologia sacciforme
e 2 (7,40%), entrambi del circolo posteriore, avevano morfologia fusiforme. Il diametro medio della sacca aneurismatica
è risultato pari a 12 mm (range 3 - 36 mm), con 2 aneurismi
(7,40%) large (15-25 mm di diametro) e 4 (14,80%) giant (>
25 mm di diametro).
Il diametro medio del colletto è risultato pari a 4,69 mm, il
rapporto medio tra diametro massimo del lume vero della sacca aneurismatica e quello del colletto è risultato !4 ANEURISMA: sede n. Aneurismi ! % Circolo Anteriore 23 85,18
ACoP dx 6 22,22 ACoP sn 4 14,81 Carotide terminale 3 11,11
Carotide cavernosa 4 14,81 Carotide sovraclinoideo 5 18,52
Carotide sifone 1 3,70 Carotide cervicale alta 1 3,72 Circolo
Posteriore 3 11,1 Vertebro-basilare 1 3,70 Vertebrale-PICA 2
7,40 totale aneurismi trattati 27 100 pari a 2,35 mm. 11 pazienti portatori di aneurisma singolo (11/27; 40,74%), 7 dei
quali giunti alla nostra attenzione per ESA, erano stati trattati
in precedenza con altre tecniche percutanee endovascolari: 9
con spirali e 2 con spirali e stent neuroform. Un solo aneurisma (sovraclinoideo gigante) è stato trattato con spirali e PED
nella stessa seduta -Tab. 4 e 5 -.
Tabella 4 Aneurisma: morfologia e dimensioni
ANEURISMA:
morfologia & dimensioni
n.
%
Totali
27
Sacciformi
25
92,60%
Fusiformi
2
7,40%
Large(15-25 mm)
2
7,40%
Giant (> 25 mm)
4
14,80%
Diametro medio sacca (mm)
12 ,0
range: 3-36
Diametro medio colletto
(mm)
4,69
range: 2-11
Rapporto diametro medio
sacca/colletto (mm)
range: 1,5-11
Diametro sacca anr rotto
range (mm)
Diametro sacca anr non rotto
range (mm)
2,35
3,0-22,0
4,5-36,0
Tabella 5 Aneurisma: caratteristiche
ANEURISMA:
caratteristiche
n.
%
Rotti
10
37,00%
7,40
Non rotti
17
63,00%
100
PrecedenteTEV
11
40,74%
330
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335
In 7 dei 10 aneurismi manifestatisi con ESA il trattamento con
PED è stato eseguito dopo recidiva di altri trattamenti endovascolari; nei restanti tre casi (aneurismi con diametro massimo
della sacca rispettivamente di 4.4, 6.5 e 3 mm e rapporto sacca/colleto < 1.5 mm, tutti causa di ESA modesto con paziente
collaborante) il trattamento è stato eseguito dopo 7-14 giorni
dall’evento acuto. -Tab. 6-.
Tabella 6 Aneurismi rottitrattati con PED
ANEURISMI con ESA
Totali
Trattati con PED dopo altro TEV
Trattati con solo PED
n.
10
7
3
apertura dello stent a copertura dell’intero colletto aneurismatico. Il follow up prevedeva esame angiografico 1 mese
(solo nella prima fase di esperienza), 3 e 6 mesi dopo il trattamento e successivamente ogni 6 mesi; dopo documentata
esclusione angiografica dell’aneurisma dal circolo cerebrale
i controlli radiologici sono stati eseguiti con esame angioRM
a cadenza annuale. Il follow up clinico è stato eseguito mediante consulenze ambulatoriali e, in alcuni casi, telefoniche.
Nella valutazione del successo angiografico si è tenuto conto
dei soli controlli arteriografici mediante cateterismo selettivo
dell’arteria parente dell’aneurisma trattato, considerando successo unicamente i casi di totale assenza di segni di perfusione dell’aneurisma. E’ stato valutato il successo angiografico
dell’intera popolazione studio, dei trattamenti con solo PED e
dei trattamenti delle recidive.
Risultati
Stenting
Tutti i trattamenti sono stati eseguiti in elezione dalla stessa
equipe operatoria, in sala angiografica su apparecchio Philips
Allura X PER FD 20 (Philips Flat Panel Detector Systems,
Olanda). Con paziente in anestesia generale, attraverso approccio arterioso femorale comune, è stato veicolato il PED a
cavaliere del colletto dell’aneurisma mediante microcatetere
(Marksman, 3.2 Fr, 135/150 cm) coassiale in catetere portante
(Soft Tip 6 Fr, 110 cm, Boston Scientific; collegato a sacca
di soluzione fisiologica eparinata). Lo stent è stato rilasciato mediante ripetuti movimenti alternati di “push and pool”
di spingitore e microcatetere. Sono stati rilasciati in totale 31
PED (Pipeline Embolization Device, PED, ev3 Neurovascular, Irvine, California, USA) del diametro variabile da 2,5 a 5
mm e lunghi da 16 a 25 mm. Nella scelta dello stent si è tenuto
conto del diametro massimo, approssimato per eccesso, del
segmento arterioso in cui rilasciare lo stent. Le misurazioni
vascolari sono state eseguite usando il software dell’apparecchio angiografico.
Sono stati confezionati, in totale, 31 PED per 27 aneurismi;
23 aneurismi sono stati trattati con singolo PED e 4 con doppio PED -Tab. 7.
Tabella 7 Aneurismi / PED
ANEURISMI
PED
Aneurisma trattato con
Singolo PED
23
23
Aneurisma trattato con 2
PED embricati
2
4
Aneurisma trattato con 2
PED non embricati
2
4
Totale
27
31
Il successo tecnico della procedura è stato del 93,55% con
stent correttamente rilasciato in 29 su 31 procedure -Tab. 8.
Terapia farmacologica e follow up
La preparazione del paziente candidato al trattamento di stenting a diversione di flusso per aneurisma intracranico non rotto è stata ottenuta mediante assunzione di doppia antiaggregazione (cardioaspirina 100 mg cp 1/die e ticlopidina 250 mmg
cp 2/die) per i cinque giorni precedenti il trattamento. Nei tre
casi di trattamento con solo PED dopo ESA tale protocollo è
stato sostituito con l’assunzione di ticlopidina 250 mg, 5-7
cp, 3-6 ore prima del trattamento. Durante il trattamento è stato eseguita iniezione continua nel catetere guida di soluzione
fisiologica eparinata (5000 UI in 500 cc), eparina bolo e.v,
1000 UI/ora e acido acetilsalicilico (Flectadol) 1 gr e.v. subito
prima del rilascio dello stent. Nel post trattamento si esegue
antiaggregazione doppia per 30 giorni (cardioaspirina 100 mg
cp 1/ die e ticlopidina 100 mg cp 2/die) e singola (cardioaspirina 100 mg cp 1/die) per i successivi 60 !6 ANEURISMI
con ESA n. Totali Trattati con PED dopo altro TEV Trattati
con solo PED 10 7 3 giorni; in caso di aneurismi di grandi
dimensioni è stata associata terapia cortisonica a posologia
variabile con la clinica e le dimensioni dell’aneurisma. E’
stato considerato successo tecnico la completa ed omogenea
Tabella 8 successo tecnico
RISULTATI
SUCCESSOTECNICO
Corretto posizionamento stent
INSUCCESSOTECNICO
Malposizionamento stent
n.
%
29/31
93,55%
2/31
6,45%
Nei due casi di insuccesso tecnico (aneurisma carotideo intracavernoso e di arteria comunicante posteriore) l’insufficiente
copertura del colletto aneurismatico da parte del primo stent,
migrato caudalmente durante la fase di rilascio, ha richiesto
il posizionamento, durante il follow up, di un secondo PED
parzialmente embricato al primo, ottenendo l’esclusione completa dei due aneurismi dal circolo rispettivamente dopo 30 e
90 giorni. Un caso di aneurisma dissecante vertebro-basilare
con arteria basilare fenestrata, rifornito da entrambe le arterie
331
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335
vertebrali e da noi già trattato con spirali e stent Neuroform
in arteria vertebrale dx e sn, è stato successivamente trattato
embricando un PED all’interno dei Neuroform. In un caso di
aneurisma giant intracavernoso, trattato contestualmente con
PED e spirali, è stato rilasciato un secondo PED dopo migrazione del primo nella sacca aneurismatica fig. 3. In nessuno dei 31 trattamenti di stenting a diversione di flusso e in
nessuno dei successivi controlli angiografici è stata eseguita
dilatazione dello stent o del vaso parente.
I controlli angiografici dell’intera popolazione studio eseguiti
mediante cateterismo selettivo dopo 1, 3, 6 e 12 mesi dal trattamento hanno evidenziato un tasso di esclusione completa
dell’aneurisma dal circolo rispettivamente del 50%, 87.5%,
81.8% e 90% -Tab. 9.
Ai controlli angiografici a nostra disposizione nessuno dei tre
aneurismi del circolo posteriore è risultato interamente escluso dal circolo cerebrale. I controlli angiografici a 1, 3, 6 e
12 mesi degli aneurismi trattati unicamente con PED hanno
evidenziato l’esclusione completa dell’aneurisma dal circolo rispettivamente nel 50%, 81,81%, 76,92% e 90,90% -Tab.
Tabella 9 Successo angiografico dell’intera popolazione studio
n. follow up
Aneurismi perfusi
Aneurismi
ESCLUSI
Aneurismi
ESCLUSI %
1 MESE
14
7
7
50,0%
3 MESI
16
2
14
87,5%
6 MESI
22
4
18
81,8%
12 MESI
20
2
18
90,0%
n. follow up
Aneurismi perfusi
Aneurismi
ESCLUSI
Aneurismi
ESCLUSI %
1 MESE
10
5
5
50%
3 MESI
11
2
9
81,81%
6 MESI
13
3
10
76,92%
12 MESI
11
1
10
90,90%
Tabella 10 Successo angiografico dei trattamenti con solo PED
Fig 1 Successo angiografico di aneurisma trattato con PED.
a, b: aneurisma giant sovraoftalmico con diametro della sacca di circa 36 mm; c: elaborazione tridimensionale; d: fase di rilascio del primo PED con microcatetere per GDC posizionato nella sacca aneurismatica; e: rilascio di spirali, precedente alla migrazione del PED nella sacca; f, g: controllo finale dopo rilascio di altre spirali e di secondo PED.
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Tabella 11 Successo angiografico dei trattamenti di recidiva
n. follow up
Aneurismi perfusi
Aneurismi
ESCLUSI
Aneurismi
ESCLUSI %
1 MESE
4
2
2
50%
3 MESI
5
0
5
100%
6 MESI
9
1
8
88,88%
12 MESI
6
1
5
83,33%
Fig. 2 Successo angiografico di trattamento di recidiva
a,b: recidiva dopo 12 mesi dal secondo trattamento di embolizzazione con GDC; c,: fase stenting PED; d,e,f: controllo dopo 2 mesi dal trattamento con PED che evidenzia esclusione
completa dell’aneurisma dal circolo cerebrale.
10-. Fig.1. I controlli a 1, 3, 6 e 12 mesi degli 11 trattamenti
eseguiti per recidiva hanno rilevato una esclusione completa
dell’aneurisma dal circolo rispettivamente del 50%, 100%,
88,88% e 83,33% -Tab. 11- Fig.2. I controlli angiografici eseguiti al termine della procedura e nel successivo follow up non
hanno rilevato stenosi significative intrastent o in prossimità
dei suoi estremi prossimale e distale, nè ischemie da occlusione
di branche laterali allo stent.
Al contrario, stenosi di vario grado sono state segnalate in alcuni controlli eseguiti con esame angioRM o angioTC. Nel follow up la maggior parte dei pazienti hanno riferito una progressiva riduzione dei sintomi che ben si correlava con il grado di
esclusione angiografica dell’aneurisma dal circolo cerebrale. Il
miglioramento clinico è stato maggiore e più rapido nei pazienti portatori di aneurisma non giant e non large. In nessun caso
è stato riferito un peggioramento dei sintomi se si fa eccezione
333
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del caso complicanza. Non si è ottenuta nessuna complicanza
immediata mentre è stata registrata una (3,22%) complicanza
maggiore a 18 ore dal trattamento: decesso da emorragia per
rottura di aneurisma gigante sovraoftalmico. In questo caso era
stato eseguito nella stessa seduta embolizzazione della sacca,
con spirali, e rilascio di due PED essendo il primo migrato nella sacca. Fig. 3.
Tabella 12 Complicanze
COMPLICANZE
n.
%
IMMEDIATE
0/0
0%
1/31
3,22%
TARDIVE
In un caso di trattamento di aneurisma di arteria comunicante
posteriore si è verificata l’occlusione asintomatica e temporanea dell’arteria oftalmica; in un caso di aneurisma di arteria
carotide terminale si è registrata l’occlusione asintomatica e
persistente del segmento A1, compensato dall’arteria comunicante anteriore.
Discussione
Numerose esperienze di trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale dimostrano come il posizionamento di stent
tradizionale a cavaliere del colletto aneurismatico possa favorire, attraverso una diversione del flusso, la trombosi della sacca; la diversione di flusso è maggiore se si embricano due o più
stent. Questo ha favorito la creazione di nuovi stent, detti “a
diversione di flusso”, in grado di promuovere una alterazione
di flusso “più efficace” degli stent tradizionali [10,15,16]. Lo
stent a diversione di flusso, grazie ad alcune caratteristiche e
in particolare alla marcata ristrettezza dei pori, si caratterizza
per la capacità di promuovere contemporaneamente, da una
parte, la riduzione di flusso nell’aneurisma (effetto meccanico
di diversione del flusso) e dall’altra, la riepitelizzazione del
colletto (effetto biologico di ricostruzione vasale); entrambe
le azioni favoriscono la trombosi della sacca e l’esclusione
dell’aneurisma dal circolo cerebrale. Inoltre la diversione del
flusso non ostacola la perfusione di eventuali arterie originanti dalla sacca aneurismatica o lateralmente allo stent (effetto
di risparmio delle arterie collaterali) [1,10,15,16]. Nel presente lavoro sono stati considerati i trattamenti di flow diverter
stenting eseguiti con il solo Pipeline Embolization Device
(PED); questo è uno stent autoespandibile molto flessibile,
composto da cromo-cobalto (75%) e platino (25%), a maglie
molto strette e sottili, con circa il 30-35% della superficie
Fig. 3 Complicanza
a, b: aneurisma giant sovraoftalmico con diametro della sacca di circa 36 mm; c: elaborazione tridimensionale; d: fase di rilascio del primo PED con microcatetere per GDC posizionato nella sacca aneurismatica; e: rilascio di spirali, precedente alla migrazione del PED nella sacca; f, g: controllo finale dopo rilascio di altre spirali e di secondo PED.
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coperta da metallo (versus il 6-9% degli stent tradizionali) e
diametro del poro variabile da 0,02 a 0,05 mm2 [1,10,15,16].
Nella nostra esperienza, superata la fase di apprendimento, il
trattamento dell’aneurisma cerebrale mediante PED è risultata semplice e i tempi di trattamento sono risultati contenuti;
le percentuali di successo sono risultate elevate e in linea con
la letteratura. Tra i maggiori risultati da noi conseguiti vi è
quello di essere riusciti a trattare con successo anche casi di
recidiva multipla e ostinata (come il caso di seguito indicato
come CASO A), aneurismi complessi non altrimenti trattabili per via endovascolare o senza alcuna chance terapeutica
(come i casi di seguito indicati come B e C).
CASO A: aneurisma plurirecidivante, cavernoso, large, ripetutamente trattato con GDC, GDC Matrix e stent neuroform e
risultato definitivamente escluso dal circolo dopo 3 mesi dal
trattamento con PED.
CASO B: aneurisma fusiforme, gigante, di arteria vertebrale
intracranica manifestatosi con gravi segni di sofferenza bulbare e giudicato non chirurgico. I controlli con angiografia
e TC eseguiti rispettivamente a 1 e 3 mesi dal trattamento
hanno rilevato una riduzione di perfusione dell’aneurisma superiore al 50%; la paziente è poi stata persa al follow up.
CASO C: caso molto complesso di aneurisma vertebrobasilare gigante, dissecante, con fenestrazione di basilare, rifornito da entrambe le arterie vertebrali, manifestatosi con ESA
e trattato più volte, con scarso successo, con spirali e stent
neuroform in arteria vertebrale dx e sn. Successivamente è
stato posizionato un PED all’interno di ognuno dei due neuroform; nei controlli clinici il giovane paziente ha riportato
una progressiva riduzione fino alla risoluzione dei sintomi,
mentre i controlli angiografici a 1 e 3 mesi hanno evidenziato
l’esclusione completa dell’aneurisma dall’a. vertebrale dx e la
significativa riduzione di perfusione dell’aneurisma da parte
dell’arteria vertebrale controlaterale che si è programmato di
trattare con un secondo PED. Non abbiamo evidenziato differenze significative, in termini di successo angiografico, tra
trattamenti eseguiti con solo PED e quelli eseguiti per recidiva
dopo altri trattamenti endovascolari (11 casi) - Tab. 10 e 11 -,
né è stata rilevata correlazione del successo angiografico con
le dimensioni dell’aneurisma o con il grado di ristagno di mdc
nella sacca aneurismatica nell’immediato post procedura. Al
contrario è stata rilevata relazione tra successo angiografico e
sede dell’aneurisma dal momento che, al termine del presente
lavoro, nessuno dei tre aneurismi del circolo posteriore (uno
all’origine dell’arteria cerebellare postero-inferiore, controllato con angiografia a 1, 3, 6 e 12 mesi dal trattamento; uno
bivertebro-basilare dissecante, controllato a 1,3 e 6 mesi; uno
vertebrale intracranico, fusiforme, e perso al follow up dopo
il controllo a 1 e mesi) è risultato interamente escluso dal circolo cerebrale. Nessuno dei controlli arteriografici eseguiti al
termine delle procedure e nel follow up ha rilevato stenosi
significative intrastent o in prossimità dei suoi estremi prossimale e distale, né ischemie da occlusione di branche laterali
allo stent. Le tecniche di trattamento endovascolare tradizionali dell’aneurisma cerebrale sono gravate da una percentuale
non trascurabile di recidiva che, in genere, aumenta con le
dimensioni dell’aneurisma. In questa esperienza il processo
di esclusione dell’aneurisma dal circolo cerebrale è apparso
spesso !13 lento ma sempre progressivo e in nessun caso di
documentata esclusione completa dal circolo l’aneurisma è
poi apparso riperfuso, neanche ai controlli più tardivi (18 - 30
Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335
mesi). Questa rappresenterebbe un’altra importante differenza con le tecniche endovascolari tradizionali in cui la recidiva
può verificarsi anche dopo trombosi completa dell’aneurisma.
In due casi, eseguiti nella prima fase della nostra esperienza
di flow diverter stenting, in cui ripetuti controlli angiografici
avevano evidenziato persistenza di perfusione dell’aneurisma, è stato posizionato un secondo PED coassiale al primo
ottenendo la successiva esclusione dell’aneurisma dal circolo
in tempi brevi. In entrambi i casi avevamo il sospetto che il
primo stent, lievemente migrato caudalmente durante la fase
di rilascio, non si estendesse abbastanza a valle del colletto.
Questo ci ha imposto una più attenta valutazione del rapporto
spaziale stent-colletto al termine delle successive procedure,
anche con l’ausilio di proiezioni angiografiche multiple; inoltre ci ha consigliato, in casi analoghi, di embricare un secondo
PED in tempi più rapidi. Abbiamo registrato una sola complicanza: emorragia e decesso dopo 18 ore dal trattamento.
Si tratta di una paziente di 43 anni, portatrice di aneurisma
gigante sovraoftalmico, con diametro della sacca di circa 36
mm, colletto stretto, mal valutabile e compreso in segmento
carotideo terminale irregolare e stenotico. L’aneurisma, dai
colleghi considerato ad elevato rischio chirurgico, si manifestava con cefalea persistente e refrattaria a terapia conservativa da lunga data. Dopo rilascio di diverse spirali nella sacca e
la successiva migrazione del PED nella sacca aneurismatica,
si è proceduti, nella stessa seduta, al rilascio di altre spirali e al posizionamento di un nuovo PED. L’arteriografia al
termine del trattamento evidenziava perfusione residua (con
ristagno di mdc) di piccola parte della sacca in corrispondenza
della sua base d’impianto e spirali ben compattate sul fondo.
Al risveglio dall’anestesia generale, al termine del trattamento, le condizioni cliniche della paziente erano buone e senza deficit. Come anche descritto in letteratura [9,10,13,14],
probabilmente fenomeni legati alla ridistribuzione del flusso
e delle pressioni di perfusione, in regime di doppia antiaggregazione, hanno alterato il già delicato equilibrio emodinamico
ed emostatico del fragile segmento carotideo terminale, favorendone un sanguinamento disastroso Fig. 3. Naturalmente
questo comprende tutte le limitazioni di un lavoro retrospettivo, unicentrico eseguito su una casistica limitata; pertanto le
considerazioni espresse non hanno alcun carattere conclusivo
e meritano di essere approfondite e convalidate da ulteriori
studi, randomizzati, con casistiche più ampie ed eterogenee e
follow up più lunghi.
Conclusioni
In conclusione in questa esperienza il trattamento endovascolare di aneurisma cerebrale mediante stent a diversione
di flusso PED è apparsa, superata la fase di apprendimento,
sicura e mostra elevate percentuali di successo, anche quando
eseguito in caso di recidiva dopo altri trattamenti endovascolari o in caso di aneurismi “complessi”. Inoltre lo stenting a
diversione di flusso ha significativamente ampliato il campo
di applicazione del trattamento endovascolare rendendo possibile il trattamento di aneurismi cerebrali difficilmente o non
altrimenti trattabili con le altre tecniche endovascolari. Sono
auspicabili futuri perfezionamenti tecnologici che consentano
una maggiore semplicità di rilascio ed apertura dello stent, la
possibilità di un suo recupero e riposizionamento prima della
completa apertura e una maggiore radio-opacità.
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335
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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:336
ERRATA CORRIGE - RADIOLOGIA TORACICA
Malattie granulomatose diffuse del polmone.
Approccio combinato patologico-HRCT
G. Dalpiaz1, M. Cirillo1, A. Cancellieri2, G. Stasi1
1
Servizio di Radiologia, Ospedale Bellaria, AUSL di Bologna, Via Altura 4, Bologna, Italia
2
Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore, AUSL di Bologna, Bologna, Italia
Indirizzo Autore: G. Dalpiaz, Tel.: +39-051-6225657, e-mail: [email protected]
a
b
Fig. 8 a Infezione da Micobatteriosi non-tubercolari (NTM). Nella “forma
classica” la ricostruzione coronale evidenzia aspetti tipo tree-in-bud e sporadici
noduli centrati sulle vie aeree nei lobi superiori
a
Fig. 9 a, b Aspergillosi bronco-polmonare allergica. Nelle scansioni TC sono
visibili bronchiectasie centrali con impatto mucoide e pareti ispessite, coinvolgenti prevalentemente i bronchi segmentari e subsegmentari delle regioni
superiori (a,b).
b
Fig. 10 a, b Bronchiolite aspirativa in paziente con acalasia esofagea. Aree gravitazionali bilaterali con ispessimento bronchiale e minimi aspetti tipo tree-in-bud
(a). La scansione TC con finestra per mediastino dimostra una dilatazione esofagea con livello idro-aereo (b).