Mettere dentro l`acqua. A Villa Bellini

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Mettere dentro l`acqua. A Villa Bellini
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L’OPINIONE
Mettere
dentro l'acqua.
A Villa Bellini
acqua (del mare, del Simeto,
dell'Amenano): assieme alla lava
sembra essere un principio costitutivo dell'insediamento cittadino,
ripreso nei progetti di villa privata o
pubblica, di giardino, tra Settecento ed
Ottocento. Tra i modelli probabili del Giardino
Bellini uno è certo, quello della Villa Pacini, iniziata a costruire nel 1825 su terreni invasi dalla
lava del 1669.
Su quella striscia sabbiosa di water front
erano disseminate le residenze amene in ville
patrizie tra cui primeggiava il vivaio Biscari. Era
questo un giardino che, con le sue lussureggianti
serre, si presentava come l'attrazione principale
della passeggiata a mare, dalla Plaia (dall'attuale
Faro Biscari) al Porticello Saraceno.
L'eruzione divorò tutto, cambiando l'orografia, ridisegnando opportunità urbanistiche,
nate dalla lotta ultima fra terra ed acqua, fra lava e
mare.
Della Villa Pacini Saverio Fiducia (18781970) ha dato una straordinaria e verosimile
descrizione in Passeggiate sentimentali, (Tringale
editore, Catania 1985 alle pagine 103-105).
Eccone uno stralcio: " La foce melmosa e malsana dell'Amenano venne [nel 1861] tramutata in
un ridente giardinetto […]. Sempre ricco di alberi,
di amiche ombre e di blande frescure[…].
Arieggiava un poco i giardini cinesi, con quel suo
laghetto dove si specchiavano gli archi del viadotto e dove, sorvegliate […] da immobili cicogne,
nuotavano frotte di anitre; con i due rii che l'attraversavano: con i due o tre ponticelli di legno
che scavalcavano i rii, dalle ringhiere di politi tronchi d'albero pittorescamente intrecciati; con lo
spettacolo del pubblico lavatoio, delle centinaia di
lavandaie e della centone che queste facevano;
con la vista del mare infine, che lo riportava in
pieno clima mediterraneo. Forse era il mare il suo
numero di attrazione maggiore. Esso, che anche
durante le giornate di maltempo sciabordava quietamente alla base della lunga balconata che da via
L’
Lavandaie finiva sotto il muraglione della Marina,
si lasciava vedere fino all'imboccatura del porto,
ed in esso, proprio all'angolo formato […] dalla via
Lavandaie e da una viuzza che sboccava in piazza Alcalà, sfociavano i due rii[…] Ed era che nel
punto dove l'Amenano sboccava era dolce e non
salsa, l'acqua, e nelle ore del tramonto, prima di
rientrare nei cortili e nelle stalle dei rioni vicini, i
carrettieri, facevano una punta in quel sito, lavavano il carretto e lasciavan bere le bestie[…] I due
rii, i ponticelli di legno, i grandi ippocastani e i
pini, il monumento [ a Giovanni Pacini], la vista
del mare erano […] un riposo e un presagio".
Agorà, periodico bimestrale, nel numero 6 del
luglio settembre 2001, ospita un ben informato
profilo, redatto da Giuseppe Guzzetta su Ignazio
Paternò Castello, principe di Biscari (1719-1786),
massone, a capo della Loggia riformata "Ardore"
la cui sede si trovava nella Villa Scabrosa del 1754
("un originalissimo giardino con piscine" e con
un "romantico laghetto solcato da barche").
Villa Sciarra per il Viaggio nelle due
Sicilie negli anni 1777-1780, un diario periegetico,
dato alle stampe a Londra nel 1783-1785, dell'inglese Henry Swinburne soggiornante a Catania
nel gennaio del 1778. Per il Nostro la Villa del
Principe era stata ricavata da una recinzione di
parte della lava giunta a mare nel 1669: "su questa superficie nera ed impenetrabile il principe
creò un giardino, fece costruire appartamenti, la
collegò ad un'eccellente strada carrozzabile, fece
piantare degli alberi su terra trasportata qui da altri
In basso e nell’altra
pagina due scorci
della fontana
dell’Amenano in Piazza
Duomo a Catania
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posti e, cosa che sembra incredibile, fece costruire due grandi vasche d'acqua di acqua dolce, alimentate da sorgenti che sgorgano dalla lava. Non
so se queste acque sono collegata con il singolarissimo ruscello chiamato Giudicello, l'Amenano
degli antichi, che attraversa Catania[…]. Le vasche
della villa, gremite di pesci e di uccelli acquatici,
sono protette dalla furia del mare circostante da
un robusto molo, unica barriera tra l'acqua salat e
l'acqua dolce.
Alla morte del principe Ignazio (1786)
iniziò la fine di quell'azzardo d'acqua dolce e salmastra, di peschiere e di un castello "sovra un
arsiccio e bitorzoluto macigno". Una strada (via
Villa Scabrosa) che prende il nome della Villa del
Biscari è la sola testimonianza dell'esistenza dell'edificio massonico costruito sui terreni sciarosi
antistanti il mare e sull'area retrostante l'attuale
Mercato Ittico, 'u sgabello.
La lava dell'eruzione del 1669 si spinse
fino al porto, creando un'orografia impervia (scabrosa come la grattugia che sembrò Catania ai
Fenici) e deserta che permetteva l'avvistamento
per tempo della gendarmeria borbonica e che facilitava la fuga eventuale sulle barche del laghetto di
cui sappiamo attraverso un'incisione del secolo
XVIII, riprodotta da Guido Libertini in un suo
scritto, Ville e giardini catanesi alla Mostra di
Firenze, apparso sulla "rivista del Comune di
Catania", nel numero 2 del marzo-aprile 1931.
Il mare, quindi, via di fuga dalle proprie
responsabilità delle aristocrazie ( la dinastia
Borbone ne conobbe tutte le risorse escapiste in
momenti diversi; quella sabauda se ne ricordò a
Brindisi dopo la caduta del fascismo).
Il mare, l'acqua: nella cospicua biblioteca del principe di Biscari, ortomane come tantissimi intellettuali settecenteschi, non mancavano,
tra libri di scienze naturali (la botanica primeggiava), di numismatica e manoscritti - 1399 opere a
stampa e 40 manoscritti - un buon trattato di
Architecture hydraulique di Belidor Bernard e il
testo di Cary John, Storia del commercio della
Gran Bretagna, tradotto e commentato da
Antonio Genovesi che enfatizzava giustamente il
ruolo del dominio delle acque del mare nella conquista planetaria inglese tra Cinque e Settecento.
Leggeva il principe e raccoglieva monete,
conchiglie e piante; leggeva e costruiva, con generosità di mezzi, il suo giardino privato "per dame
incipriate e cavalieri dallo spadino al fianco, per
nei e cicisbei".
Pur occupando un quarto della superficie il labirinto, Laberinto si chiamò tutta l'area.
Come mai? Per la semplice ragione che Recupero
adduce nella sua Storia naturale e generale
dell'Etna:" […] un quarto di giardino è piantato di
cipressi in viottoli, che fanno tante giravolte, che
difficilmente riesce il restituirsi nel diritto sentiero
ad uscire quell'intricato giardino".
Alla semplice ragione del Recupero bisognerebbe aggiungerne altre.
Il labirinto è una delle tante figure del
giardino geometrico alla francese che nel
Settecento si contrapponeva o coesisteva con il
modello inglese; tutt'e due i modelli si ispiravano
ad un'Arcadia cosmogonica, aspra o mite, oscura
o luminosa, paurosa o bucolica, secondo cui l'universo si rivelava come giardino che, ricreato dall'uomo, doveva racchiudere l'universo, come
fosse un'epitome del mondo. E già si faceva strada in una sorta di caos primigenio la moda architettonica, affermatasi sul finire del Settecento e
poi per l'Ottocento, di ospitare "les quatre parts
du monde en un jardin" con "obélisques, rotonde et kioskes et pagode, bâtimentes romains,
grecs, arabes, chinois", come deplorava J. Delille
in suo testo del 1782, Les Jardins ou l'Art d'embellir les paysages.
Un'altra ragione è relativa all'esoterismo
massonico e al giardino filosofico siciliano che
prediligeva gli artificiosi scenari dell'Arcadia giardiniera. Come Teseo uccide il Minotauro e trova la
via d'uscita dal labirinto, così l'uomo giunge alla
conoscenza superiore attraverso il percorso tortuoso e fallace del labirinto (di verzura o di muratura) della vita. Una figura carica di religiosità,
ossimorica: mondo del peccato, dello smarrimento morale e via di redenzione, di ascesi. E probabilmente non è lontano dal vero Lucio Sciacca,
(Catania com'era, Cavallotto Catania 1972) nel
dire che "sotto l'edificio, poi, scavando nelle
viscere della collina [di mezzogiorno], il Principe
aveva fatto costruire un dedalo di piccole gallerie,
fra di loro ortogonali, rincalzate da pietre spugnose, ornate con piante esotiche, illuminate da tenui
luci filtranti dall'alto[…] con lo scopo di meravigliare e divertire gli ospiti"
Tino Vittorio