Il Perù di oggi, tra boom economico e antiche fratture sociali

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Il Perù di oggi, tra boom economico e antiche fratture sociali
Il Perù di oggi, tra boom economico e antiche fratture
sociali
Di Beppe Casucci.
Lima, settembre 2013 - La Carretera Panamericana, scivola
ondeggiando per oltre 3000 chilometri lungo la costa del Perù, dalla
ordinata città di Tacna, ai confini con il Cile fino ai bordi dell’Ecuador.
Costeggia un’area oceanica che gode di uno tra i più ricchi ecosistemi,
passando vicino alle linee di Nasca, alle isole di Paracas fino a
raggiungere Lima per poi proseguire verso il Nord del Paese e le città di
Chimbote, Trujillo e Chiclayo. Dopo il dipartimento di Piura, ci si
avvicina al confine con l’Ecuator e la città confinante di Tumbes. Lì
finisce il Paese che fu centro dell’impero Inca, ma la grande arteria
che costeggia il Pacifico prosegue la sua corsa fino al Centro America.
Non è un’autostrada anche se, a tratti, compaiono lungo il percorso
caselli stradali che impongono una tassa di transito agli automobilisti,
con il ricavato della quale le municipalità del posto provvedono alla
manutenzione del proprio tratto di Panamericana.
Gli autobus che percorrono a grande velocità la carretera, sono carichi di passeggeri e mercanzie: mezzi
moderni e turistici, come anche vecchie carcasse che trasportano gente della provincia verso il luogo di
residenza. A tratti compaiono lungo il percorso luoghi di ristoro, dentro ma anche lontano dalle città.
Negli anni ’80 e ’90, il selciato di questa superstrada era pieno di buche, ed alternava tratti asfaltati con
lunghissime carreggiate di terra battuta. Non era inusuale inoltre incontrare peones locali che tenevano
pulito un tratto di pista, chiedendo in cambio un obolo agli automobilisti di passaggio.
Oggi la Panamericana appare liscia ed asfaltata, biglietto da visita di un Paese avviato al pieno boom
economico. E’ però quasi l’unica strada statale del Perù a sembrare una moderna via di comunicazione, se
si eccettua la “Carretera Central”, che origina in Lima, attraversa il valico andino di Ticlio a 5.300 metri
d’altezza, per biforcare poi verso la città andina di Huancayo a sinistra e a destra scendere verso la
provincia della Merced, ai bordi della Selva Amazzonica. Nel suo lungo percorso ai bordi dell’oceano, la
Panamericana attraversa una striscia di deserto larga poche decine di chilometri che parte dall’agitata e
pescosa costa, per terminare alle soglie della cordigliera. In effetti, la geografia del Paese è suddivisa in
tre aree distinte: la costa con la fascia desertica, la cordigliera delle Ande con i suoi microclimi e bellezze
naturali e un’estesa porzione della foresta fluviale, un ecosistema tra i più ricchi e variegati del mondo.
Tre fasce con tre climi distinti, ma anche abitate da popolazioni di differenti etnie, con propri dialetti,
costumi e ricorrenze tradizionali, differenti cucine e prodotti della terra: ma soprattutto livelli di sviluppo
spesso lontanissimi tra loro. La popolazione costiera (oltre il 55% dei quasi 30 milioni di abitanti del
Paese) ha assunto da tempo abitudini nettamente occidentali, fortemente influenzate dalla cultura degli
USA o dell’Europa.
L’ambiente sociale della sierra è in forte fase di evoluzione, grazie all’arrivo della corrente elettrica una
ventina d’anni fa, e con essa la televisione, l’acqua corrente, i telefoni cellulari ed in generale
anche maggiori strade e mezzi di trasporto. Più difficile l’uso di moderne tecnologie in agricoltura, vista la
complessa natura del terreno coltivabile nelle Ande. Molto più arretrata è invece la situazione nella Selva
(dove vive solo il 16% della popolazione complessiva), se si eccettuano grandi città come Amazonas,
Iquitos e Pucallpa. Il resto è una grandissima superficie di foresta fluviale, dove vivono ancora tribù che si
tengono ben lontane dalla civiltà e dove si sono rifugiati gli accoliti superstiti di Sendero Luminoso, che si
dice continuino a terrorizzare le popolazioni più limitrofe e si finanzino con il narcotraffico. Sulla costa, il
paesaggio è suggestivo, con spiagge sterminate, quasi completamente deserte, popolate da leoni marini,
foche e gabbiani, tranne a ridosso dei centri abitati dove la pesca fa spesso scempio dell’equilibrio
ecologico del mare. La carretera attraversa centinaia di paesini dove la vita è molto più dura che nella
capitale. Non mancano zone a coltivazione intensiva di arance o mango, specie quando l’acqua è
disponibile, come le aree di Huaral ad un centinaio di chilometri da Lima, le aree circostanti alle città di
Chimbote e Trujillo e soprattutto i Dipartimenti di Cajamarca e Piura, dove il gruppo Romero ha
largamente investito nel settore agroindustriale. In genere però, la gente della provincia vive della
coltivazione di pochi ettari di terra, l’allevamento di qualche animale e spesso l’aiuto di familiari andati a
cercare lavoro in una metropoli di oltre 10 milioni di abitanti, oppure emigrati all’estero. In genere,quello
che queste famiglie ricavano dal proprio fazzoletto di terra è sufficiente per le proprie necessità basilari.
Anche se da decenni la gente della provincia emigra verso la capitale, non è più facile, comunque, la vita
nella periferia di Lima popolata da sterminate baraccopoli che ospitano da anni milioni di persone arrivate
dalla Sierra e dalla Selva, in cerca nella metropoli di qualche mezzo di sussistenza. Ragazze destinate al
lavoro domestico, senza alcun contratto e spesso in cambio di cibo e ospitalità. Giovani avviati ad
occupazioni nell’agricoltura, edilizia e commercio con paghe a volte inferiori di fatto ai 200 euro mensili.
Bisogna considerare, infatti, che il lavoro informale nel Paese è la regola e non l’eccezione ed i parametri
ufficiali spesso non sono sufficienti per avere una idea chiara della situazione.
Lavoro nero, soprattutto nell’area del commercio, necessario comunque a garantite un livello minimo di
sopravvivenza in una metropoli sempre più cara. Il Washington Post ha detto qualche anno fa che il costo
della vita a Lima non è inferiore a quello di New York. Non sbagliava di molto. La distanza tra l’universo
delle favelas, ai bordi della povertà, e la crescente opulenza di una classe media in aumento, è abissale.
Dopo anni di boom economico ininterrotto, con una crescita dell’economia stimata per il 2013 del 6% ed
una lievitazione del PIL procapite superiore al 4% annuo, il Perù ha mostrato un particolare dinamismo tra
i Paesi in via di sviluppo, anche se deve ancora in gran parte modernizzare la propria struttura economica
e produttiva. Sul piano sociale, inoltre, notevoli passi in avanti sono stati fatti. Il Paese andino è in
America Latina, tra quelli che hanno registrato maggiori progressi sul terreno dell’inclusione sociale. Il
tasso di povertà si è dimezzato negli ultimi 12 anni, passando dal 54,5% del 2001 al 28,5% del 2012: un
livello certo ancora critico, ma in fase di ulteriore miglioramento. Il Paese ha combattuto l’alto tasso di
mortalità infantile che, nel 1990 era il quarto più alto a livello mondiale (75 bambini ogni mille nati) e che
è sceso da allora del 76%. Il reddito pro-capite ha raggiunto nel
2012 quota 12.062 US$, una cifra ragguardevole che pone il Paese
(secondo l’FMI) tra quelli a più rapida crescita nel XXI secolo in
America Latina, pur mantenendo un’inflazione relativamente
bassa (+3,6% nel 2012). L’attuale presidente del Perù Ollanta
Umala, ha portato il salario minimo a 280US$ anche se in molti
settori questa base non viene rispettata, a partire da quello del
lavoro domestico ed in generale nell’economia sommersa. Dal
punto di vista economico e produttivo, il quadro è nettamente
positivo, con settori in forte espansione, come quello immobiliare,
finanziario, turistico, industria ittica e settore commerciale. Il
comparto delle costruzioni è in forte crescita ormai da alcuni anni.
Girando per la città, in centro come nelle zone residenziali, si possono osservare migliaia di grandi edifici
in costruzione. Si sa che gli investimenti esteri sono in forte aumento e hanno raggiunto una quota pari ad
un terzo del prodotto interno lordo. Il grado di affidabilità del Paese è cresciuto, tanto da convincere le
agenzie di rating ad aggiornare al rialzo la classificazione del Paese. Il prezzo degli appartamenti e degli
immobili è più che triplicato in 5 anni. “In parallelo con il grado di finanziamento delle banche ad imprese
e famiglie – commentano gli economisti : oggi finalmente i peruviani sono diventati soggetto di credito”.
Questo si è tradotto nella moltiplicazione dei mutui concessi per acquistare una casa, un’auto, o
finanziare gli studi dei figli e nel boom delle carte di credito. “Il rischio, commentano alcuni esperti, è
quello di ripetere in America Latina la bolla di cattiva finanza già scoppiata negli USA ed in Europa”. “Che
succederà infatti se l’economia cinese rallenterà e non avrà più bisogno di tante materie prime?”. Quello
di cui c’è bisogno sono le riforme strutturali, capaci di modernizzare il sistema produttivo, l’apparato
burocratico e creare un minimo di <welfare state> per combattere le situazioni di povertà estrema.
In effetti la macroeconomia non dà tutte le risposte e l’aumento enorme delle riserve monetarie del
Paese non si è tradotto necessariamente in maggior benessere economico per tutti. Moltissime
persone vivono in condizioni di povertà, soprattutto nelle aree marginali ed in provincia e non bastano le
statistiche a tranquillizzare chi è ai bordi della miseria. Un timido tentativo di inclusione sociale è stato
fatto dall’attuale Presidente del Perù, che ha istituito un sussidio minimo per le persone totalmente prive
di mezzi di sussistenza: cento soles al mese, equivalenti a meno di 30 euro. Un minimo di copertura
sanitaria viene anche concessa agli agricoltori. Ma in generale la tutela sanitaria appare inesistente per
chi non abbia un lavoro formale, o non sia in grado di pagarsi una assicurazione sanitaria. Le medicine
costano più che in Europa e malattie come il colera la tubercolosi e – specie nella Selva – la malaria sono
piaghe sociali ampiamente diffuse, come del resto le malattie al sistema respiratorio. Dopo due decenni di
depressione, con il boom economico asiatico è venuta anche la bonanza economica per l’America Latina.
Ed in effetti il nuovo benessere peruviano viene soprattutto dalla vendita delle materie prime di cui il
Paese è ricco. Un proverbio antico da queste parti, raffigura il Paese come un medicante seduto sopra una
montagna d’oro. Se non proprio una montagna d’oro, è certo che, ai tempi dei “conquistadores”, alcuni
galeoni carichi del metallo prezioso presero il largo da queste coste verso la Spagna.
L’impero Inca, iniziato nel XIV secolo, ebbe termine nel 1535 con la cattura del sovrano Atahualpa da
parte del comandante spagnolo Francisco Pizarro. L’evoluta civiltà Incaica venne brutalmente distrutta da
un esercito di mercenari brutali e spietati, superiori solo nell’armamento, che si fecero scudo della croce,
ma non certo animati da spirito di conoscenza e carità. Un piccolo esercito di 160 soldati, però dotato di
cavalli ed armi da fuoco, tra cui cannoni, con alla guida Francisco Pizarro, sbaragliò l’impero incaico, che
pure aveva accolto con ospitalità gli stranieri venuti dal mare. La superiorità tecnologica ed una buona
dose di malizia, dettero agli spagnoli il vantaggio necessario per soggiogare l’impero incaico, che pure si
estendeva dall’Ecuador al Cile. Si dice che Atahualpa, per essere rilasciato offrì di far riempire di metalli
preziosi la stanza in cui era imprigionato. Pizarro accettò l’offerta del sovrano Inca e fece addirittura
stilare un regolare contratto da un notaio. Una volta che ricevette il tesoro, però, non ebbe scrupoli a fare
assassinare il prigioniero. Così il Perù venne privato delle proprie ricchezze e della propria cultura ed
identità di popolo. Malattie portate dagli europei (ad esempio il vaiolo e l’influenza) fecero strage della
popolazione indigena che ora rappresenta solo il 31% del totale. L’obiettivo degli spagnoli era soprattutto
l’oro, cui gli indigeni conferivano solo un valore ornamentale. Qualche galeone è finito, si
dice, in fondo all’oceano e non è mai arrivato nelle mani del re di Spagna.
Oggi non è il prezioso metallo che viene venduto alla Cina ed ai Paesi asiatici, ma un insieme composito di
minerali, petrolio, gas naturali,prodotti agricoli e farina di pesce. La fortuna del Perù, oggi come ieri,
dipende in gran parte dalle materie prime di cui il paese è molto ricco e soprattutto dalla crescita
economica del Sud Est asiatico che necessita di materie prime e di energia in maniera superiore alle
proprie disponibilità. Il fenomeno interessa una buona parte dell’America Latina, soprattutto il Brasile,
l’Argentina, il Perù ed il Cile: una crescita tumultuosa legata però alle sorti della performance economica
del gigante cinese. Oggi, con il rallentamento delle economie nelle aree asiatiche, i contraccolpi
cominciano a sentirsi anche in America Latina, a cominciare dal settore finanziario e costo del denaro. Per
anni l’ingente flusso di capitali esteri ha certo riempito le casse dello Stato peruviano e prodotto la
crescita di alcuni settori produttivi, ma l’enorme surplus di risorse non viene distribuito in maniera equa e
non produce automaticamente più lavoro e più reddito, o lo fa solo in parte. La povertà non è stata
ancora del tutto sconfitta e le fratture sociali sono ancora molto nette.
Il Perù, ad esempio, non ha fatto ancora i conti con la propria storia
recente. Negli anni ’80 ed inizio ’90 il Paese fu devastato dagli
attentati e dalla violenza di Sendero Luminoso, un gruppo
guerrigliero che si ispirava all’ideologia di Mao Tse Tung, e che non
disdegnava la violenza ed il terrore anche nei confronti della
popolazione rurale. La guerra civile produsse un totale di 70 mila
morti, in gran parte popolazione civile. Sendero utilizzava
l’esecuzione di avversari politici per spaventare la popolazione,
come successe alla leader delle donne del “vaso de leche” di Villa
El Salvador, Maria Elena Moyano, “colpevole” di opporsi e
denunciare la follia del terrorismo. Anche da parte governativa non
sono mancate le degenerazioni,con esecuzioni sommarie e
scomparsa di oppositori politici. Il fenomeno di Sendero fu certo un
prodotto della degenerazione ideologica, che si alimentava e
speculava però anche delle profonde ferite sociali che laceravano il
Paese. Il terrorismo fu sconfitto militarmente dal Presidente
Fujimori (ora in carcere per delitti contro l’umanità), attraverso lo sterminio o l’incarcerazione dei
componenti del gruppo guidato dal prof. universitario Abimael Guzman. Non sono mancati squadroni della
morte ed eliminazione di sindacalisti ed avversari politici da parte dei militari, cosa che è costata all’ex
presidente di origine giapponese 25 anni di carcere, quale mandante della scomparsa di numerosi
oppositori. Le cause dei rivolgimenti sociali, invece, sono state invece semplicemente dimenticate, com’è
spesso successo nella storia della popolazione, soprattutto quella indigena di questa nazione.
La capitale potrebbe oggi assomigliare in parte ad un paese del primo mondo, con i suoi grattacieli,
moderni servizi finanziari e luccicanti centri commerciali brulicanti di clienti, la ricchissima zona
residenziale della Molina ed il nuovo potere delle banche. Non bisogna dimenticare, inoltre, il copioso
traffico di cocaina prodotta nella Selva Amazzonica, che nessun governo è riuscito (o ha voluto) eliminare
e che pesa non poco sulla quota sommersa di Pil.
Si tratta inoltre ancora di una crescita diseguale. Basta allontanarsi dal centro della città e ci si trova
immersi nelle gigantesche favelas che circondano la capitale (qui chiamate pueblos jovenes): un mare
sterminato di baracche e casette in muratura che ospita almeno la metà dei 10 milioni di abitanti della
capitale. E basta allontanarsi da Lima per misurare la distanza sociale che divide il centro dalla periferia.
La provincia continua ad essere fortemente trascurata. Anzi, più ci si allontana dalla costa, più sembra di
tornare indietro negli anni, anzi nei decenni, in termini di sviluppo ed assenza di servizi alla popolazione.
Di conseguenza, tranne poche città della costa, la gente continua ad emigrare verso il centro
abbandonando i paesini delle Ande e della Selva Amazzonica, in cerca di un futuro migliore. La rete di
comunicazione stradale è ancora molto limitata, con pochissime strade asfaltate: il tutto reso più difficile
dall’estensione del Paese che è grande almeno 5 volte l’Italia, ed ha quasi la metà della sua superficie
coperta dalla foresta Amazzonica, le cui città sono collegate con Lima soprattutto via aerea, vista
l’assenza di una rete stradale moderna all’interno della foresta fluviale.
Visitando i paesi delle Ande, splendidi e suggestivi, nella ricchezza delle proprie antiche tradizioni, non si
può non notare, purtroppo la distanza – in termini di moderno sviluppo – che separa questi limitati
aggregati umani dalle grandi e medie città della costa. La cittadina di Corongo, a circa 200 kilometri a
Nord di Huaraz capoluogo del Dipartimento di Ancash, aveva 20 anni fa oltre 10 mila abitanti. Oggi non
raggiunge le mille unità ed è chiamata “la ciudad de los candados” (la città dei lucchetti), per il numero
preponderante di case abbandonate e chiuse a chiavistello, in quanto l’intera famiglia si è trasferita a
Lima, Huaraz o Chimbote. E questo è solo uni di mille altri esempi. Non c’è avvenire infatti nei paesini
della provincia del Perù e la distanza sociale è misurata non solo in livelli di reddito o gli scarsi servizi
messi a disposizione della popolazione rurale, ma soprattutto dal razzismo esistente tra i ceti sociali, tra
la costa e la provincia, tra chi porta un nome spagnolo e chi ne ha uno Quechua, tra chi ha la pelle più
chiara e chi è di provenienza meticcia. “Cholo” è il termine con cui un costegno definisce il giovane
arrivato dalle Ande, un termine a volte carico di disprezzo anche se non sempre. Il Perù di oggi ha una
scommessa da giocare e lo deve fare fino a che c’è ancora tempo: utilizzare questa fase non infinita di
crescita economica per modernizzare il Paese, attraverso grandi riforme strutturali della propria
economia, struttura burocratica e sistema politico. “Soprattutto – commenta un piccolo imprenditore
andino – è urgente ampliare e facilitare la rete di comunicazione tra centro e provincia, in modo da
ridurre gli altissimi costi di trasporto delle merci. Creare occasioni d’impiego anche lontano della costa, in
modo da frenare il sanguinoso esodo da ogni angolo del grande paese verso la capitale” (che conta quasi
un terzo dei 30 milioni di abitanti del Perù). E’necessario, in sintesi, ridurre il divario sociale tra una
classe media in arricchimento e la grande maggioranza della popolazione che vive ancora al di sotto dei
livelli di povertà. E soprattutto modernizzare il settore produttivo, creando una più estesa industria di
trasformazione, mercato secondario e terziario. L’alternativa, potrebbe essere fatale,se la richiesta di
materie prime dai Paesi asiatici dovesse cedere di colpo. I primi segnali di una inversione di tendenza sono
già presenti nei mercati internazionali, per cui sarebbe urgente operare con rapidità. Oggi il Perù ha
ancora una grande occasione, molto più favorevole che in Europa, di migliorare: di passare da un Paese in
Via di Sviluppo ad una nazione del Primo Mondo. Potrà farlo anche se diventa una moderna democrazia
capace di sbarazzarsi della piaga della corruzione e dalla fortissima influenza del mercato della cocaina.
Lo potrà fare se riuscirà a creare e consolidare una estesa classe media, riducendo le distanze sociali e
superando le barriere delle discriminazioni e del razzismo interno, che ne hanno per secoli rallentato il
cammino verso la propria emancipazione.