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Dal bello al vero al buono: per una nuova umanità.
Accademia Santa Giulia
Brescia, 4 marzo 2013
Signor Presidente, signor Direttore, chiarissimi professori, Magnifico
Rettore e stimate autorità, carissimi studenti e studentesse, è per me un
onore e motivo di profonda gioia trovarmi qui oggi per la Lectio magistralis
del corrente anno accademico 2012-2013 dell’Accademia Santa Giulia.
Molti anni or sono ho accompagnato i primi passi della nascente
cooperativa “Vincenzo Foppa” che successivamente si sarebbe sviluppata
fino a far nascere questa pregevole Accademia, la prima ad essere
riconosciuta dopo la riforma delle accademie in Italia; oggi essa si presenta
ben avviata ed articolata ed arricchisce l’offerta formativa delle istituzioni di
studi superiori presenti nel contesto socio-culturale, civile ed economico di
Brescia.
Partecipo volentieri a questo atto accademico non solo come amico,
ma anche in veste di Segretario della Congregazione per l’Educazione
Cattolica che, per conto della Santa Sede, esercita la propria competenza su
varie centinaia di istituzioni universitarie sparse nel mondo. Si tratta, infatti,
di strutture di insegnamento, di studio e ricerca che si pongono anzitutto al
servizio della Chiesa e della formazione specializzata del proprio personale,
ma che sono anche aperte al dialogo con le istituzioni pubbliche simili per
promuovere una cultura scientifica e accademica di qualità e contribuire a
edificare il bene comune.
In questo orizzonte vorrei affrontare il tema molto interessante e
impegnativo che mi è stato affidato: “Dal bello al bene. Arte, fede e cultura
per una nuova umanità”, riassumendo le mie considerazioni in merito in tre
nuclei principali: perché parlare di nuova umanità; cercare di cogliere il
contributo che l’arte offre per una nuova umanità; indicare in tale senso il
compito delle istituzioni accademiche.
Come premessa a queste riflessioni, vorrei annotare che oggi, di
fronte alla ricerca della verità che, nonostante la crisi dei valori, rimane pur
sempre un ideale per tutti, si tende a procedere con una visione settoriale del
sapere e adottando un approccio non solistico ma parziale; questo fatto ha
come conseguenza la frammentazione del senso che impedisce di costruire
l’unità interiore dell’uomo contemporaneo.
In questo orizzonte problematico, il Magistero della Chiesa è convinto
che l’uomo sia capace di giungere ad una visione unitaria e organica del
sapere e che questo sia uno dei compiti che il pensiero cristiano ha cercato di
1
svolgere nella storia, che ci ha lasciato come eredità e che intende
continuare a proporre. Questo patrimonio di valori e di acquisizioni deve
essere messo a disposizione di tutti e farsi carico di rinnovare una tale
prospettiva del sapere per il corso del prossimo millennio1.
1. Perché parliamo della necessità di una nuova umanità?
Una prima riflessione, per entrare nel nostro argomento, dovrebbe
aiutarci a capire perché parliamo di nuova umanità. Per umanesimo non
dobbiamo necessariamente riferirci agli studi della classicità, ma agli studia
humanitatis, intesi come traduzione del termine greco paideia (da pais =
ragazzo) che indica l’ideale della formazione dell’uomo; essa consiste nel
valorizzare tutta la sua dimensione umana mettendo al centro il valore stesso
dell’uomo nella sua individualità e nell’insieme delle sue capacità. Quindi
parlare di “umanità” significa l’interesse per la dimensione specificamente
umana nell’uomo, per la promozione o comunque la difesa di ciò che rende
l’uomo veramente umano. Ora, è questo umanesimo che fonda l’umanità e
che oggi sembra minacciato. Per comprendere meglio il portato di tale
minaccia, vediamo molto brevemente come si è sviluppata l’idea umanistica
e perché oggi occorre puntare ad una nuova umanità2.
Scorrendo la storia, si notano quattro tappe che caratterizzano lo
sviluppo dell’idea umanistica. Nella prima tappa l’uomo si percepisce come
specie che si distingue dalle altre per certe proprietà esclusive. Tra gli
elementi che fanno definire l’umano in questa prima fase, vengono in primo
piano due caratteristiche specifiche: l’una, il logos, o meglio il fatto che
l’uomo è un “animale razionale” e l’altra la vita sociale, cioè l’uomo come
“animale politico”, capace di relazioni.
La seconda tappa è quella in cui l’uomo appare migliore delle altre
specie, perché realizza più pienamente l’intenzione della natura e perché ha
una maggiore vicinanza al divino: due vantaggi che conferiscono all’uomo
una profonda dignità. Questi elementi sono presenti nella classicità greca ma
anche nella rivelazione biblica e medioevale fino a manifestarsi pienamente
nel XV secolo in Italia, cioè nel Rinascimento.
La terza tappa comincia all’inizio del XVII secolo e si basa sul fatto
che la superiorità dell’uomo non è più conferita da un’istanza superiore, dal
divino ma risulta da un’attività dell’uomo stesso, che diventa padrone della
natura. E’ l’inizio di un processo imperniato sul progetto, avviato da Bacone
e sviluppato da Cartesio, del regnum hominis: un regno dove il centro è
l’uomo con la sua razionalità.
1
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio, n. 85.
Cf. R. BRAGUE, L’umanesimo (e l’umanità) in via d’estinzione?, in “Vita e pensiero”, 2 (Anno XCV)
2012, 34-40.
2
2
La quarta tappa si afferma nel XIX secolo e può essere definita come
“umanesimo esclusivo”; si tratta della coscienza umana che diventa la
divinità suprema, davanti alla quale non vi può essere alcun’altra divinità. A
partire da Auguste Comte, filosofo considerato il fondatore della sociologia,
la formula di “essere supremo”, che prima designava Dio, viene utilizzata
per l’uomo e per introdurre nel linguaggio il termine “umanesimo” che
sempre di più diventa un cortese sinonimo di ateismo.
Dunque, mentre con le prime tre tappe l’umanesimo ha raggiunto
gradualmente il punto più elevato di sintesi dei valori umani e spirituali, del
rapporto dell’umano con il trascendente, con la quarta tappa si concretizza
una loro scissione; l’umanesimo esclusivo continua, come dice il termine, a
escludere la figura del divino in rapporto alla quale le due tappe
dell’umanesimo che l’avevano preceduto si erano definite. E si tratta
dell’esclusione del Dio della Bibbia, nella sua lettura ebraica e cristiana.
Tolte di mezzo le religioni bibliche, sgorgano altre figure del divino, fatte a
universale immagine dell’uomo, ma che non garantiscono più il fondamento
solido del vero, del bene e del giusto. Occorre, dunque, ritornare alla radice
razionale, filosofica e teologica della natura dell’uomo e dell’umano nella
sua integralità per immettere nella cultura odierna quel “novum” che lungo
la storia ha ispirato e suscitato i geni più rappresentativi della sintesi
armoniosa del bene, del vero e del bello. Da queste sublimi realizzazioni si
può continuare ad attingere per costruire nell’oggi una nuova umanità.
2. I contributi che l’arte offre per una nuova umanità
Nelle Stanze di Raffaello in Vaticano, dipinte tra il 1508 e il 1512, ce
n’è una, la prima a venire affrescata dal grande artista. Era la biblioteca del
papa committente, Giulio II della Rovere, oggi nota col termine secentesco
di “Stanza della Segnatura”. Essa rappresenta tuttora un vertice di quella
unione tra arte e fede e umanità che è il risultato, straordinario, di
quest’epoca, per altri versi tormentata e difficile3.
Certamente sotto la spinta dei teologi del pontefice, se non addirittura
del papa stesso, l’artista ha raffigurato sulle pareti le idee del bene, del vero,
del bello e del giusto. Ovvero, egli è partito dall’idea aristotelico-tomista di
Dio “sommo bene” per giungere a dire che l’uomo può e deve cercarlo con
la ragione perché Lui è somma verità, e che questa ricerca produce una
visione armoniosa della vita – cioè la bellezza – ed un consorzio umano
regolato da leggi equilibrate come il diritto civile e canonico.
Si tratta degli affreschi intitolati “L’adorazione dell’Eucaristia” (noto
col titolo improprio di “Disputa del SS. Sacramento”), “La Scuola di
Atene”, “il Parnaso”, “Giustiniano che consegna il Codex iuris civilis” e
3
Cf. M. DAL BELLO, Ritratti d’autore. Figure della pittura europea da Duccio a Rothko, Città Nuova,
Roma 2009, 31-33.
3
“Gregorio IX che consegna le Decretali”. Come si nota, si parte dal Bene
supremo, Dio-Trinità (l’affresco è anche il primo ad esser stato dipinto), si
prosegue con la ricerca umana del vero, si giunge alla bellezza che è sempre
sopra un monte (non a caso, il monte è il segno della contemplazione) e si
concretizza nella vita sociale secondo una buona legge.
La bellezza, dunque, non nasce per prima, perché se è vero che essa è
“l’offrirsi del Tutto nel frammento”4, questo tutto, per la visione cristiana,
coincide con l’Assoluto, che è Dio. Non per nulla Raffaello inizia la sua
“visione” con la contemplazione di Dio-Trinità, una divinità che nel dipinto
congloba realtà umana e divina in un solo scenario, dove passato presente e
futuro diventano una cosa sola in un tempo che è anche l’Oltre-tempo.
Perciò anche gli affreschi successivi che ne derivano, sono al tempo stesso
compresenti. La bellezza, infatti, “si salva da sé, perché è una realtà
metafisica”5. Ma, molto di più, essa coincide, secondo la visione cristiana,
con il Logos: splendore del Padre, mente di Dio, irradiazione della sua luce.
Perciò buono, vero e di conseguenza, bello sono elementi strettamente
connessi tra loro. Il Logos si è incarnato, e pertanto ha reso visibile
l’Invisibile all’uomo. Ma già questa manifestazione è contemplazione: “Noi
abbiamo visto la sua gloria…”, scrive San Giovanni nel prologo del suo
Vangelo; questo evento, che costituisce uno dei contenuti fondamentali della
rivelazione cristiana, dà la sorpresa della gioia, per una luce nuova che è
abbondante e bella. Il Logos incarnato è kalòs kaì agathòs, bello e quindi, in
contemporanea, buono, e di conseguenza, vero.
Da questo assunto deriva una conseguenza logica: se è vero che dal
Bene discende il Vero e il Bello, dato che la loro fonte e la manifestazione
sono uniche – si tratta infatti di Dio, l’Assoluto – si può ragionevolmente
dire che il Bello genera il Buono e il Vero.
Così, infatti, è stato per tanti secoli di arte che si è ispirata e si ispira al
Logos, cioè a Cristo. Il quale è non solo il Dio-fatto-uomo, ma l’Uomo
solidale con l’umanità intera: e ciò giustifica la rappresentazione artistica di
lui lungo duemila anni di storia, come espressione dell’intera e complessa
vicenda secolare degli uomini. Una rappresentazione di “bellezza” che “…
può consolare o turbare, può essere sacra o profana, divertente, ispiratrice o
raggelante. Può influenzarci in infiniti modi, ma mai viene considerata con
indifferenza. La bellezza esige di essere notata, parla direttamente a noi
come la voce di un amico…”6. Questo spiega le diverse manifestazioni della
bellezza lungo i secoli e l’influsso che hanno avuto sull’umanità di cui del
resto sono state espressioni.
C’è, dunque, un cammino estetico, filosofico, teologico nella
progressione secolare delle manifestazioni artistiche e quindi del loro
impatto sulla vita sociale.
4
Cf. B. FORTE, La porta della bellezza, Morcelliana, Brescia 2002, 7.
Cf. A. PAOLUCCI, Arte e Bellezza, La Scuola, Brescia 2011, 28.
6
Cf. R. SCRUTON, La bellezza, Vita e Pensiero, Milano 2011, 9.
5
4
Se è vero che l’uomo antico è ossessionato dal terrore della morte, è
altrettanto vero che il cristianesimo vi risponde accentuando l’idea
dell’immortalità e apre all’uomo una prospettiva di speranza. Anche se già
presente nel mondo classico, l’idea dell’immortalità, con l’evento teologicostorico sconvolgente della resurrezione di Cristo, diventa una realtà forte e
raggiungibile per ogni uomo. Perciò nei primi sei secoli dell’era cristiana, il
Cristo, principio dell’“uomo nuovo” è raffigurato sempre nella luce della
resurrezione, quindi come un giovane imberbe, luminoso, trionfante, signore
della storia, che dà una “nuova legge” all’umanità. Questi sono secoli di
trapasso dal mondo antico ad un’età tutta da costruire. La bellezza, che è
Cristo, offre la verità al mondo e costruisce una nuova società. Sulla base di
questa verità, si sviluppa l’epoca delle basiliche paleocristiane (a Roma,
Ravenna, Costantinopoli…), a pianta centrale in Oriente – per ricordare che
la società è già nell’Oltre-tempo redento – e a pianta longitudinale in
Occidente ad accompagnare nel “non ancora”, con la scansione delle
colonne verso l’abside, l’uomo nel suo pellegrinaggio verso la patria celeste.
Nei secoli fino al Mille, anche per la ricerca del bene, del vero e del
bello, nasce di fatto l’Europa cristiana, con Carlo Magno e i suoi successori;
essa, in sostanza non è altro che l’influsso della visione teologica e
antropologica (cioè di Dio e dell’uomo) sulla cultura, sull’ambito della
conoscenza e sulla società di quel tempo.
La bellezza da astratta e celeste si fa concreta. Le massicce cattedrali
romaniche esprimono una società in difficile costruzione, poggiata su di un
Dio forte e valoroso, ma che conosce la sofferenza umana. Si cominciano a
rappresentare la crocifissione e le scene della Passione riempiono con gli
affreschi le pareti delle chiese. Il Cristo ora è un uomo barbuto che dà la
nuova legge ad una umanità impaurita dal terrore della morte e del Giudizio.
Negli arconi delle chiese infatti le scene del Giudizio finale si susseguono
con intensità per tutta l’Europa.
E’ una età “di ferro”. L’uomo crede nell’immortalità ma ha paura del
“dopo”.
La bellezza si esprime in un Cristo severo ma misericordioso, che dice
la verità: i buoni in cielo, i dannati all’inferno.
Dopo il Mille, in un’epoca che vede fenomeni come le Crociate ma
anche la nascita della borghesia, la bellezza acquista una voce chiara e
slanciata, come la teologia di Tommaso d’Aquino. Nascono le svettanti
cattedrali gotiche, irrorate di luce. La bellezza sta nella luce – e san
Bernardo ne è una guida convinta – come la verità che è sempre luminosa e
costruisce una società che vuole indagare ogni tipo di conoscenza in modo
trasparente: nascono le università.
La bellezza si fa regale e nascono le croci con le raffigurazioni del
Christus triumphans ad occhi aperti e belli, già risorto. Ma le pesti e le
guerre che devastano l’Europa suggeriscono un rapporto affettivo – anche
grazie al movimento francescano – per cui nascono i vari Christus patiens,
5
enormi crocifissi agonizzanti posti in mezzo alle chiese, espressione della
fatica dell’uomo contemporaneo, non solo delle conquiste del sapere.
E’ una bellezza realistica, perciò vera, in cui trova voce l’altro volto,
quello meno lucente dell’Europa.
L’età del rinascimento, ovvero i secoli XV e XVI, è sempre stata vista
come l’esplosione di una bellezza autentica, per molti della vera bellezza,
ossia dell’ideale “platonico” della bellezza dell’anima espressa nella
bellezza del corpo. Si può affermare che da questo momento, con il ritorno
alla “simpatia” per l’arte classica, il corpo umano diventa il grande
protagonista dell’arte. Maestri come Leonardo, Raffaello, Michelangelo,
Tiziano sono a dimostrarlo, insieme a schiere di altri autori che è ingiusto
chiamare minori. La bellezza, come supremo equilibrio di anima e corpo,
come euritmia di atteggiamenti, si esprime in questo tempo al massimo
grado ed appare come la verità e la bontà insieme. Tanto da influenzare la
vita sociale stessa, la costruzione di edifici, le piante delle città.
E’ una bellezza che ama la natura e vede il cosmo come una sola
entità di uomini e cose sorretta dalla luce divina, come sottolinea l’arte del
nord-Europa.
Ma è anche una bellezza che non ignora il dolore. Le raffigurazioni
della passione di Cristo e di Maria sono infinite, e raggiungono livelli di
impressionante realismo, si direbbe di “bruttezza manifesta” nel NordEuropa, in certe opere di Bosch e Grunewald.
E’ il filone espressionista della bellezza, quello che non si rifà al
Cristo risorto, ma al Cristo sofferente. Il rinascimento che celebra la gloria
dell’Uomo vivente, non nasconde però il travaglio umano, così, accanto ad
un’arte per i livelli sociali alti, se ne situa un’altra che dice l’anima popolare.
Quest’ultima trova la sua espressione più vibrante nei secoli XVII e
XVIII, con l’arte barocca che si svolge in una doppia direzione, in una
Europa ormai in lotta religioso-politico-economica fra protestanti e cattolici.
Da un lato il trionfalismo cattolico che punta al revival classico con un’arte
idealizzante, dall’altra un realismo esasperato sia da parte cattolica – come
Caravaggio e gli spagnoli – che da parte protestante – con Rembrandt e
Vermeer. E’ l’epoca delle basiliche e delle abbazie barocche, delle piazze
sontuose, ma anche dei ritratti non solo dei potenti ma dei borghesi, della
vita quotidiana e del dolore di ogni giorno. La forte componente
individualistica del pensiero, basato ormai sul soggettivismo, genera una
grande varietà di stili. Dove è la verità? Non è più unica, né il bello è uno
solo, né coincide necessariamente con il buono: nascono diversi tipi di
società, monarchie costituzionali come in Inghilterra, nel ‘700 le prime
democrazie.
L’arte, più che esprimere o influenzare la società, pur descrivendola,
diventa espressione del singolo creatore: una tendenza destinata a farsi
strada nell’800 con il romanticismo e in pratica destinata a rimanere sino ad
oggi.
6
E’ nel secolo XIX, dopo la rivoluzione francese e in mezzo a quella
industriale, che l’uomo diventa l’assoluto protagonista dell’arte, senza più
riferimenti al trascendente, come sostiene anche la filosofia emergente in
questo tempo. Il Logos appare spezzato o, meglio ancora, ridotto alla sola
condizione umana. La natura non appare più come voce del Creatore ma
amata per sé stessa (come fa l’Impressionismo), spesso indipendente
dall’uomo. Si arriva al “secolo breve”, cioè il ‘900, con una bellezza
frantumata (il cubismo), schiacciata (come fa l’arte di Bacon) diventata pura
astrazione o estetismo. Siamo dinanzi ad una bellezza che non presume né la
verità né la bontà né di costruire la società, perché ha perso il suo
riferimento al trascendente e si è ripiegata più che sull’uomo sul grido
dell’uomo che si trova davanti al buio dell’anima. Basta pensare al celebre
Urlo di Munch o a Guernica di Picasso.
Quale bellezza salverà il mondo, ovvero quale bellezza sarà fonte di
bontà e di verità, per citare Dostoevskji?
Forse quella che è “… l’occhio di Dio che vede tutto con una vastità
ed una profondità di sguardo straordinarie”7. D’altra parte non c’è speranza
senza una qualche idea di bellezza.
Al termine del Concilio Vaticano II, Paolo VI scriveva così, nel suo
Messaggio agli artisti: “Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di
bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza come la verità,
è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che
resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare
nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani… Che queste mani siano
pure e disinteressate! Ricordatevi che siete custodi della bellezza nel mondo:
questo basti ad affrancarvi dai gusti effimeri e senza veri valori, a liberarvi
dalla ricerca di espressioni stravaganti o malsane”8.
L’arte di oggi va in cerca, cercando come Diogene col lumicino una
luce. Forse ritrovando il Dio incarnato si ritrova la strada. Anche se questo
Dio sembra sia nella notte, oltre l’orizzonte. Forse è nello sguardo di amore
che, come Francesco d’Assisi, si può ritrovare la strada. Non per nulla da lui
è nata una nuova forma d’arte che è stata anche stile di vita9.
In definitiva, si tratta di ritrovare il senso della vita. Guardando alle
nostre radici, valorizzando il patrimonio di bellezza, si possono riscoprire
energie e ispirazioni nuove per il presente. Ma, come si diceva, occorre uno
sguardo di amore e chiedere agli istituti di studi superiori, come è questa
Accademia d’arte, di affrontare il sapere e i diversi percorsi di conoscenza
con questo sguardo. E qui veniamo al compito specifico che deve essere
assunto oggi per dare un contributo di qualità alla formazione di una nuova
umanità.
7
Cf. A. PAOLUCCI, op. cit., 28.
PAOLO VI, Messaggio agli artisti, 8 dicembre 1965, nn. 4-5.
9
Per le diverse epoche storiche, si può confrontare F. CAROLI, Il volto di Gesù, Mondadori Milano, 2011.
8
7
3. Il compito delle istituzioni: allargare gli orizzonti della mente e
del cuore
In questa prospettiva, le istituzioni accademiche devono interrogarsi
sul loro compito non solo per quanto riguarda l’insegnamento delle varie
discipline ma anche per il loro ruolo di influsso sulla vita sociale e culturale
del territorio e dell’intera società. Ecco perché parliamo della necessità di
promuovere una nuova umanità. Occorre, in questo senso, riflettere sulla
vocazione e missione degli istituti di studi superiori nel contesto odierno.
Ci aiuta in questo l’ampio contributo offerto dagli interventi di Papa
Benedetto XVI. Per lui l’Università è prima di tutto una istituzione al
servizio della verità. Se l’insegnamento superiore è anche finalizzato a
formare gli studenti alla vita professionale e ad essere cittadini responsabili,
questi obiettivi non sono pienamente raggiunti se non attraverso la finalità
gerarchicamente primaria, che è il gaudium de veritate10.
Il servizio alla verità, secondo Papa Ratzinger, si articola in almeno
quattro aspetti: 1. deve essere “disinteressato” e scevro da ogni forma di
strumentalizzazione; 2. si rifrange nella duplice missione di ricerca
scientifica e di trasmissione del sapere11; 3. s’incarna in un «dialogo tra fede
e ragione» e, più globalmente, in una «integrazione della conoscenza»12; 4.
si apre su «una preoccupazione etica»13 e si pone al servizio della società14.
Il tema della bellezza e del bene si inquadrano in questa prospettiva e sono
una risposta alla crisi dei processi di conoscenza.
Ma, per comprendere la crisi attuale dell’Università occorre risalire
alla sua origine, dove la fede aveva dichiarato possibile la ricerca della
verità e, più ancora, obbligava a questa ricerca; la fede è, per natura sua, una
domanda di intelligenza (fides quaerens intellectum)15. La ragione che la
modernità ha cercato non è che una ragione monca, impoverita e ristretta.
Pertanto oggi si richiede che l’Università dia spazio ad una ragione allargata
al bene, al vero e al bello e, dunque, promuova una ragione arricchita. Per
attuare questo passaggio occorre che si transiti dalla scienza alla saggezza,
dalla ragione alla fede, dal logos all’amore.
a. Una concezione empirista, pragmatica e scettica della ragione, che
pure ha dato le sue prove importanti e fonda le scienze, non può tuttavia
pretendere di identificarsi con la totalità dell’intelligenza umana. Per questo
10
Secondo la parola di Sant’Agostino, Confessioni, X, XXIII, 33.
Questa distinzione è onnipresente nella Ex corde Ecclesiae e struttura per esempio l’organizzazione del
paragrafo su: “Natura e obiettivi”. Pertanto, il n. 20 riprende i quattro aspetti costitutivi della ricerca dal
punto di vista della trasmissione del sapere sviluppato nei numeri 16-19, iniziando così: «Data l’intima
relazione tra investigazione e insegnamento» (ECE, nn. 16 e 17).
12
ECE, n. 16 e 17.
13
ECE, n. 18.
14
Cf. ECE, n. 30.
15
Cf. BENEDETTO XVI, Udienza generale, 21 ottobre 2009.
11
8
il Papa chiama a una dilatazione degli orizzonti della razionalità, sulla base
di una giusta visione dell’uomo; Giovanni Paolo II, parlava di antropologia
«integrale», Benedetto XVI parla di un’antropologia «concreta»16. La
ragione ristretta corrisponde a una visione astratta dell’uomo, mentre la
ragione allargata corrisponde a un’antropologia concreta, cioè adeguata alla
totalità del reale. Vale la pena di sottolineare il paradosso: certamente, la
prospettiva materialista si presenta come immediatamente concreta, dal
momento che essa riduce l’uomo a ciò che è corporeo e la verità a ciò che è
sperimentabile; ma essa amputa l’uomo della sua realtà totale, e dunque
concreta: l’«esperienza storica concreta» colpisce «l’uomo nella verità più
profonda della sua esistenza». Di conseguenza, «il nuovo dialogo tra fede e
ragione […] se non vuole ridursi a sterile esercizio intellettuale, deve partire
dall’attuale situazione concreta dell’uomo [che è bisognoso del bene e del
bello], e su di essa sviluppare una riflessione che ne raccolga la verità
ontologico-metafisica»17.
b. Se l’homo sciens (scientifico e tecnologico) deve aprirsi all’homo
sapiens, questo deve a sua volta accettare di aprirsi nella direzione
dell’homo credens. A questo proposito, Benedetto XVI rileva che è
importante, «far uscire la riflessione filosofica dalla sua autosufficienza»18 e
ritrovare la dimensione trascendente, religiosa e, potremmo aggiungere,
estetica della ragione. Questa convinzione del Papa è talmente nodale che la
si ritrova, sempre diversamente esposta, ma sempre riaffermata, in ciascuno
dei suoi grandi discorsi al mondo della cultura o all’Università19, dove fonda
le sue argomentazioni su una duplice convinzione che si potrebbe qualificare
di nobiltà e di debolezza. Circa la nobiltà, l’uomo che è creato da Dio è
destinato a qualcosa di più grande di sé, a Dio stesso [che oltre a verità è
bontà e bellezza], e la ragione è aperta alla luce della fede20. Circa la
debolezza, occorre considerare che l’uomo è più fragile di quel che non si
16
Il termine «concreto» è una categoria del pensiero di Benedetto XVI (cf. PASCAL IDE, «Le Christ donne
tout», in Benoit XVI, une théologie del l’amour, Paris, L’Emmanuel, 2007, 136-141). Si incontrano, per
esempio, due casi nel Discorso ai partecipanti al VI simposio europeo dei professori universitari (Roma, 7
giugno 2008), in essi si tratta della stessa convinzione: mentre la prospettiva ereditata dall’Illuminismo dà
al termine «concreto» una accezione parziale, quella che propone il Magistero corrisponde alla «persona
umana nella sua uni-totalità».
17
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al VI simposio europeo dei docenti universitari, Roma, 7
giugno 2008.
18
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al VI simposio europeo dei docenti universitari, Roma, 7
giugno 2008.
19
Si possono vedere i seguenti discorsi: all’Università di Ratisbona nel settembre 2006, all’Università «La
Sapienza» di Roma nel gennaio 2008, al Collegio dei Bernardins a Parigi nel settembre 2008,
all’Università cattolica d’America a Washington nell’aprile 2008, al Castello di Praga nel settembre 2009,
a Westminster nel settembre 2010.
20
Con audacia, Benedetto XVI mette faccia a faccia «l’universalità di Dio e l’universalità della ragione
aperta a Lui» (Discorso al mondo della cultura, Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008).
9
creda, le sue convinzioni e le sue attività richiedono un riferimento e una
stabilità che non possono, ultimamente, venire che da Dio e dalla religione21.
La conseguenza di una tale visione è, dunque, una nuova unità del
sapere che scongiura l’iperspecializzazione diffusa oggi. Benedetto XVI
parla a questo riguardo di una «ricerca ‘sinfonica’ della verità»22, facendo
allusione a un’opera famosa del suo collega e amico, il teologo svizzero Von
Balthasar23. In questa prospettiva, il lavoro quotidiano di una università che
si ispira ai valori cristiani, sulla base del costante dialogo della ragione e
della fede, dovrà essere quello di scoprire l’unità intrinseca che lega le
diverse branche del sapere24. Ecco perché Benedetto XVI parla spesso
dell’università cattolica come di un «laboratorio»25.
c. Ma il duplice allargamento della ragione alla saggezza filosofica e
alla luce della fede non è ancora tutto, in quanto la conoscenza non può mai
essere limitata alla domanda puramente intellettuale26. Per questo il Papa ci
porta fuori da una concezione soltanto logica e fredda, dove la ragione parla
a se stessa ed esclude tutto ciò che le è estraneo, per entrare in una visione
dove la ragione include l’amore. In altre parole, si tratta di passare dal
soliloquio freddo dell’uomo moderno al calore del dialogo, poiché «la
persona umana» non si realizza se non «nella verità e nell’amore»27. Ora,
«verità significa di più che conoscenza: conoscere la verità ci porta a
scoprire il bene. La verità parla all’individuo nella sua interezza, invitandoci
a rispondere con tutto il nostro essere».
Conclusione
La cultura in cui viviamo è quasi solo una cultura scientifica e tecnica,
concentrata unicamente sull’utile, sull’opera prodotta dall’uomo ed ha perso
la capacità di apertura al Trascendente, ha marginalizzato la capacità umana
di meravigliarsi di fronte alla natura e al creato; in altre parole, ha
21
«La fede apre gli occhi della ragione, allarga il nostro orizzonte e ci permette di trovare le risposte
necessarie alle sfide delle diverse epoche» (Discorso ai membri della Commissione teologica
internazionale, Roma, 5 dicembre 2008).
22
BENEDETTO XVI, Discorso agli insegnanti e agli studenti dell’Università di Parma, Parma, 1 dicembre
2008.
23
Cf. HANS URS VON BALTHASAR, Die Wahrheit ist symphonisch Aspekte des christlichen Pluralismus,
coll. «Kriterien» n. 29, Einsiedeln, Johannes, 1972.
24
Cf. BENEDETTO XVI, Discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico all’Università Cattolica del
Sacro Cuore, Milano, 25 novembre 2005.
25
«L’Università cattolica è dunque un grande laboratorio» (Discorso per l’inaugurazione dell’anno
accademico all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 25 novembre 2005); «le Università
diventano sempre più delle comunità impegnate in una ricerca instancabile della verità, dei ‘laboratori di
cultura’» (Discorso ai partecipanti all’incontro europeo dei Professori d’Università, 23 giugno 2007).
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Cf. BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro europeo dei docenti d’Università, 23 giugno
2007.
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BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro europeo dei docenti d’Università, 23 giugno
2007.
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minimizzato la dimensione della bellezza e della contemplazione. Se si
vuole promuovere oggi una nuova umanità occorre ricuperare il senso dello
stupore e dell’emozione che è strettamente connesso alla bellezza. Ma per
giungere a questo scopo è indispensabile che l’uomo superi il ripiegamento
sul proprio io, proietti il suo sguardo sull’altro e sul mondo e sappia dilatarsi
a contemplare l’Oltre. L’assenza di stupore conduce inevitabilmente alla
superficialità, alla chiusura e alla tristezza perché si guarda solo alle proprie
opere e si rischia di dimenticare il dono della natura e del creato che ci sono
stati affidati da Dio. Chesterton scriveva: “il mondo perirà per mancanza di
meraviglia”.
Una nuova umanità nascerà solo se si darà spazio alla dimensione
spirituale che si alimenti del divino e del Trascendente e si arricchisca della
bellezza, del bonum et pulchrum che sempre suscita meraviglia. Per il futuro
abbiamo bisogno non solo di esercitare il “cogito ergo sum” di Cartesio,
cioè di dare spazio alla ragione, ma anche il “cogitor”; in altri termini
occorre unire alla razionalità puramente umana l’esperienza del sentirsi
pensato e amato da Dio. Questa apertura nei confronti di Dio che ama
l’uomo e tutta la creazione rende l’uomo più cosciente delle sue possibilità
di co-creatore insieme a Dio, di custode e perfezionatore della creazione: lo
rende più “umano”. L’arte, la bellezza, il gusto estetico sono gli strumenti
con cui l’uomo, aperto alla meraviglia e allo stupore del “pulchrum”, può
“plasmare” con amore la natura e dischiudere gli orizzonti ad una nuova
umanità, perché la sintesi del bello, del buono e del vero introduce nelle
relazioni umane e sociali un “ethos” che dà l’anima e il sapore alla società.
Benedetto XVI, al termine degli esercizi spirituali per la Quaresima di
quest’anno dedicato alla fede, il 23 febbraio scorso, pochi giorni prima di
ritirarsi, ha detto, riferendosi all’arte del credere e all’arte del pregare, che la
“bellezza è il sigillo della verità” e che in un mondo segnato dal male la
Bellezza deve apparire come “caput cruentatum”. “Il Figlio incarnato, il
“Logos” incarnato, è coronato con una corona di spine; e tuttavia proprio
così, in questa figura sofferente del Figlio di Dio, cominciamo a vedere la
bellezza più profonda del nostro Creatore e Redentore; possiamo, nel
silenzio della ‘notte oscura’, ascoltare tuttavia la Parola. Credere non è altro
che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio,
ascoltare la Parola, vedere l’amore”28.
Auguro a questa Accademia e ad ogni artista che in essa viene
formato di attingere l’ispirazione della bellezza e della propria arte a queste
dimensioni profonde della ragione e dello spirito. Grazie.
+ A. Vincenzo Zani
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BENEDETTO XVI, L’Osservatore Romano, 24 febbraio 2013, 1.
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