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ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] Lo straniero amstelodamense e l’erista Un dialogo sul metodo, di Epimenide Pseudomai, cretese Edizione critica a cura di Anonimo Glossatore Nota del curatore In recenti scavi condotti sull’isola di Eutopia, nel luogo dove si trovava l’antica Accademia, è stato ritrovato un manoscritto contenente due testi in parallelo, uno in una lingua barbarica a noi ignota, scritto con caratteri mai visti prima, che non hanno alcuna affinità con le lettere fenicie o con quelle barbariche d’oltre mare (alcune assomigliano più a disegni che a lettere vere proprie), e uno, purtroppo mutilo, scritto nella nostra lingua attica, benché con molte ripetizioni, solecismi e peculiarità stilistiche (da noi eliminate, corrette o limate ove necessario) che ci spingono a congetturare che si tratti di una traduzione di traduzione fatta da autore barbaro poliglotta (in tal caso le particolarità sarebbero da attribuire a calchi e prestiti lessicali e strutturali da lingua o lingue a noi ignote). Ulteriori studi si renderanno necessari per decidere la paternità del manoscritto, tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, possiamo dire che il secondo testo (benché mutilo) sembra essere una traduzione (o una bozza di traduzione), più o meno fedele del testo in caratteri barbari, anche perché, a un primo esame accurato, è emerso che due curiosi nomi presenti nel testo in attico sembrano essere rintracciabili anche negli strani caratteri barbari. I nomi sono i seguenti: Xenos Amstelodamense ed Erista Patavino. Si tratta dei protagonisti di un dialogo il cui tema, benché non indicato, pare essere l’educazione dei giovani al metodo della disputa (o, forse, l’uso della disputa come strumento educativo). Non siamo in grado, per mancanza di fonti coeve attendibili, di verificare la veridicità di alcune informazioni, piuttosto puntuali, fornite dal presunto autore del testo, un certo Epimenide Pseudomai, cretese. Mentre i due protagonisti del dialogo (figure storiche reali o immaginarie che siano), sembrano avere nomi indicanti una caratteristica o, più probabilmente, luoghi di provenienza (a noi purtroppo ignoti), il secondo nome del presunto autore (che richiama un Epimenide più famoso, ma non per essere sincero, che ci permette di sapere cosa pensare delle affermazioni dei cretesi), sembra alludere alla menzogna o al falso (o a un plagio condotto su testi coevi). Sia come sia, in attesa di ulteriori approfondimenti, questo è tutto ciò che possiamo riferire. Torniamo ora sulla questione tematica. Nel testo si parla di pedagoghi, della capacità di pensare autonomamente che deve essere sviluppata nelle scuole di una non meglio identificata città, purtroppo non sviluppata al di là di qualche cenno nella parte mutila finale. Potrebbe trattarsi di un errore introdotto dal copista, non pienamente padrone dell’attico, o, forse, di una città ideale sul modello della Kallipolis del nostro Platone. Alcuni studiosi ritengono di poter avanzare l’ipotesi che si tratti di un dialogo tardo (e postumo) di Platone che, com’è attestato da più fonti autentiche, coeve e indipendenti, dopo aver compiuto inutili viaggi a Siracusa (a fini politici), ed essere stato a più riprese incarcerato dal tiranno (e addirittura venduto come schiavo), avrebbe tentato di scoprire se esisteva, almeno tra i barbari di non meglio precisate terre sotto il mare (anche: terre basse, sempre al plurale), un sistema politico fondato sulle competenze (in particolare, quelle logico-argomentative), e (anche perché vi avrebbe trovato l’amore) non sarebbe mai tornato ad Atene (mentre altri sostengono che questo dialogo platonico sarebbe ispirato a vicende reali accadute allo stesso Socrate, il quale, invece di bere la cicuta, avrebbe compiuto il primo viaggio al di fuori di Atene all’età di 70 anni, accettando il suggerimento dei suoi discepoli, in particolare di Critone, che avrebbe bevuto la cicuta al suo posto per ingannare il carceriere, del resto piuttosto miope, ma secondo altre fonti Socrate avrebbe bevuto un estratto di prezzemolo). Tali informazioni, però, sembrano piuttosto inverosimili e, in taluni casi, persino anacronistiche, ragion per cui non le riferiremo oltre. D’altro lato, in questo testo, che come si è detto è impostato in forma dialogica, ad avere la meglio sembra essere Erista, e non lo “straniero” amstelodamense, come invece accade nei tardi dialoghi platonici. Tant’è vero che, alla fine del dialogo, prima del testo mutilo, il nome della città – ideale? – cambia, come il lettore potrà vedere, in un modo che richiama, l’atteggiamento dell’antagonista, che diventa così il vero protagonista del dialogo. Sul dialogo, vince lo scontro: Dialogòpoli è schiacciata da Polemòpoli. ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 6 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] [Del metodo della disputa]1, di Epimenide Pseudomai, cretese Xenos Amstelodamense: Caro Erista, sono lieto che tu mi abbia raggiunto nelle terre sotto il mare2, nel giorno in cui celebrano la loro indipendenza dall’Impero sul quale non tramonta mai il sole. La tua venuta è opportuna, perché vorrei discutere con te delle regole argomentative che dobbiamo insegnare agli studenti delle nostre rispettive scuole affinché una divergenza di opinioni possa essere risolta nel merito seguendo il Galateo 3. Il nostro obiettivo è quello di fornire le condizioni di possibilità per costruire la città di Dialogòpoli. Tu conosci bene l’argomentazione, soprattutto le tecniche della retorica proibita4 e conosci bene le posizioni che sono state sviluppate nella mia scuola, in un dialogo costante, vivo, tra i ricercatori: la pragma-dialettica5. Erista Patavino: Caro costruttore di cattedrali, hai chiesto proprio l’aiuto di un terremoto per portare a compimento il tuo progetto. Farò del mio meglio... per distruggerlo. X.A.: Da te non mi aspetto altro. So che le tue posizioni sono molto diverse. Ma se l’obiettivo finale è riuscire a raggiungere una conclusione condivisa, è anche vero che è dalle divergenze che nasce il sapere, dal conflitto che nasce la più bella delle armonie… Partiamo dalla fine. La prima regola che vorrei insegnare agli studenti la chiameremo: regola della conclusione. E.P.: Non mi sembra una buona idea partire dalla conclusione. Visto che non sarete d’accordo su niente, non avrete nemmeno le premesse per partire dalla conclusione. E poi, se non sanno che cos’è una conclusione come farai ad applicare la regola? X.A.: Allora dovrò spiegare cos’è una conclusione, e cos’è una premessa, e cos’è un ragionamento. Titolo proposto dal curatore. Le note seguenti sono tutte del curatore, eteronimo di Andrea Gilardoni. In altre parti del testo anche: “terre basse”, spesso unite a due ulteriori termini indecifrabili, grachten e polder. Si tratta verosimilmente di un’interpolazione successiva, che abbiamo provveduto a rimuovere, in quanto inutili alla comprensione del testo. 3 Il dialogo si riferisce qui a libri a noi ignoti, che invece sembrano essere ben presenti agli interlocutori. 4 Sembra qui che lo straniero si riferisca a qualcosa di molto simile all’eristica, anche in considerazione degli scambi che avverranno in seguito. 5 Ci limitiamo qui, nulla essendo riusciti a scoprire su questa scuola di pensiero, a riportare il nome della scuola, anche se nel prosieguo del dialogo sembra chiarirsi l’essenziale della pragma-dialettica, come vedrà il lettore: una sorta di decalogo per la discussione ragionevole basato sugli atti condotti attraverso il linguaggio e sulle buone regole della comunicazione. 1 2 Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 7 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] E.P.: E come farai se l’altro non ti ascolta? La prima delle mie strategie sarà quella di ignorarti. Ma per essere, come dici tu, “cortese”, ti permetterò di impostare di nuovo le tue regole della discussione, e presupporrò che si viva in una città che permette la libertà di opinione, senza la quale le tue regole non servirebbero a nulla. X.A.: E sia. Allora ricomincerò daccapo. Una discussione, se mira alla risoluzione di una divergenza di opinioni semplice, dovrà strutturarsi in quattro fasi o momenti: lo status quaestionis (o fase di apertura), la presentazione della divergenza delle opinioni (o fase del confronto, con l’assegnazione dell’onere della prova al protagonista in caso di divergenza di opinioni semplice, ma se la divergenza di opinioni è complessa entrambi avranno l’onere della prova, ed avremo allora due protagonisti che saranno anche, a turno, antagonisti), la fase dell’argomentazione vera e propria e la conclusione. All’interno di questa procedura, per favorire la risoluzione della divergenza di opinioni nel merito dovranno essere rispettate alcune regole di base, che considereremo condizioni necessarie per lo svolgimento “cortese” della discussione. Il confronto è tra due interlocutori che cercano di prevalere l’uno sull’altro ma che sono aperti all’esito della discussione. Ti proporrò dieci comandamenti. Il primo lo chiamerò la regola della libertà: in una discussione condotta secondo le regole del Galateo non è consentito impedire alla controparte di avanzare o mettere in dubbio una tesi. Intendo con “tesi” una posizione su un argomento qualsiasi, che sia però giustificabile (ove richiesto). E.P.: Tu parli di una discussione che mira alla risoluzione di una divergenza di opinioni nel merito, ma non consideri che lo scambio dialettico, per il quale è richiesta l’esecuzione di alcuni atti condotti attraverso le parole, può avere come obiettivo la persuasione di un uditorio, più che la confutazione dell’interlocutore. In questo senso, l’uso delle parole mira a influenzare un giudice, uno spettatore, più che la controparte della disputa “cortese”. X.A.: Lo considero eccome, e ne sono consapevole, ma ritengo che in questo caso si abbia più a che fare con la retorica e meno con la pragma-dialettica. Se l’obiettivo di persuadere l’uditorio, il pubblico, prevale sulle regole del mio decalogo, se cioè la strategia prevale sui fini, allora la disputa rischia di deragliare verso qualcosa d’altro, e dovrà essere rimessa in carreggiata, riparata, per parlare metaforicamente. Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 8 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] E.P.: Ho capito. Allora vediamo in che modo la farò deragliare. Tu dici che la prima regola deve essere quella della libertà. Ma come farai se io limiterò la possibilità di esprimere certe tesi o di metterle in dubbio? Che cosa farai se, per esempio, dichiarerò sacrosanta, o tabù, una tesi determinata (o un argomento che tu dovresti usare per provarla)? Se, usando mezzi estrinseci, ti metterò sotto pressione, con bastonate, appelli alla pietà, minacce? E se ti rappresenterò come stupido, malvagio, inaffidabile (con attacchi personali diretti o circostanziali), se metterò in evidenza delle contraddizioni nelle tue parole, o meglio, delle incoerenze tra le tue parole e le tue azioni? X.A.: In tal caso, non sarò in grado di condurre una discussione “cortese”, né di risolvere, insieme a te, la nostra divergenza di opinioni. E.P.: Perché, ti aspetti anche che io ti aiuti? X.A.: Non sarebbe del tutto inopportuno, se la scelta fosse dialettica e non retorica. E.P.: Come sei ingenuo... Ma continuiamo. Quale sarebbe il secondo comandamento del tuo Galateo? X.A.: Questo: chi avanza una tesi non può rifiutarsi di difenderla, ove richiesto. E.P.: Ma io scaricherò l’onere della prova sulla mia controparte. Invece di difendere la mia tesi, ti chiederò di difendere la tesi contraria, e se non sarai in grado di farlo ti chiederò allora di mostrare che la mia tesi è sbagliata, e se non vi riuscirai allora ne concluderò che ho ragione io. X.A.: Questo sarebbe però un argomento ad ignorantiam, un modo per evadere l’onere della prova che ti spetta, se sei tu ad avanzare la tesi. Ma non riuscirai a sfuggirmi come un’anguilla. Io ti terrò fermo e ti chiederò di rendere ragione di quanto affermi, senza permetterti di scaricare o far slittare l’onere della prova, che ti spetta. Né ti permetterò di ritenerla auto-evidente, di garantire personalmente la giustezza della tua tesi, né di immunizzarla, né di ignorare la mia richiesta, perché il pubblico, che ci ascolta, non cada nel tuo tranello. E.P.: Ma se io sarò capace di ingannarlo, per te non ci sarà alcuna speranza. Io non dichiarerò apertamente di voler evadere l’onere della prova, e tuttavia lo farò slittare impercettibilmente su di te. Al limite, dirò che è chi contesta una tesi a doverne dimostrarne la falsità e, non essendo in grado di farlo, a doverla accettare. Chi lo negherà? Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 9 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] X.A.: Su questo punto vedremo chi sarà più abile, tra noi due, nel formare il pubblico in corso d’opera. E.P.: Vedo che ormai ti sei decisamente spostato dal mio lato, e parli riferendoti a un pubblico. Bene. Con ciò hai decretato la tua fine. Ma andiamo avanti. Quali sono i tuoi altri “comandamenti”? X.A.: Se tu critichi una mia tesi, e se io svolgo la parte di protagonista dell’argomentazione, non puoi criticare una tesi che io non abbia realmente avanzato: non puoi cioè attaccare un fantoccio, attribuirmi una tesi fittizia, rappresentare in modo tendenzioso ciò che ho detto, enfatizzando delle parti secondarie o... E.P.: Ma io, all’occorrenza, farò proprio questo. Anzi, di più: semplificherò in modo eccessivo le tue posizioni, le esagererò, citerò le tue frasi fuori contesto, cambierò i termini della questione, farò finta che con le tue parole tu stia rispondendo a una domanda diversa da quella che ti era stata eventualmente posta. Sì, farò a pugni con un fantoccio, brucerò il mio uomo di paglia, anzi, convincerò il pubblico che occorre darti fuoco insieme ai tuoi libri (sia detto in senso affettuoso). X.A.: Vedremo chi la vincerà. Io cercherò di richiamarti alla pertinenza delle argomentazioni. Dirò che non è possibile difendere una posizione se non usando un argomento, e che l’argomento dovrà essere pertinente rispetto a quanto si è detto: che non si deve cioè parlare a vanvera. E.P.: Sì, capisco, ma... e se io giocassi con le emozioni6 dell’uditorio, se usassi la mia posizione gerarchicamente superiore per motivare una superiorità cognitiva (in quanto esperto)7, riuscirei a mascherare la mancanza di argomenti o la loro non pertinenza. E il pubblico non si accorgerebbe che ho commesso una ignoratio elenchi. X.A.: Saresti un illusionista. Ma io insisterò e ti chiederò di rendere conto delle tue premesse sottintese... E.P.: Questa sarebbe allora la tua quinta regola, ma sai bene che io rifiuterò di riconoscere che le premesse sottintese che tu mi attribuisci siano davvero le mie. Anzi, ribalterò l’onere della prova ancora una volta, e ti appiopperò premesse sottintese eterogenee 6 7 Qui il termine usato, che riprende la tradizione classica, è pathos. Lo impiegheremo anche di seguito. Il testo sembra qui riferirsi al terzo strumento della retorica antica, oltre a pathos e logos: ethos. Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 10 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] rispetto alla tua tesi, o esagererò la portata delle tue. Ciò mi permetterà di confutarti più rapidamente, anche se solo apparentemente, sfruttando pathos ed ethos. Il pubblico ci cascherà. E non mi assumerò alcun onere della prova per le mie, mentre ti obbligherò a rendere conto di quelle che, scortesemente, ti avrò assegnato (e tali da essere indimostrabili). Non mi inchinerò a farti i salamelecchi, non temere. Ma continua pure, immagino che tu adesso voglia introdurre la strategia ex concessis, o del punto di partenza condiviso. X.A.: Sì. Formulerei la regola in questi termini. Non è consentito presentare qualcosa come punto di partenza condiviso, se non lo è, o negare che lo sia, se lo è. E.P.: Ma io lo negherò, o fingerò che lo sia, anche se tu non lo accetti. E dirò al pubblico che certi punti di partenza sono accettati da entrambi. Userò le mie parole in modo sleale, ambiguo, formulerò domande complesse (plurium interrogationum), piene di presupposizioni implicite, tipo: “Quando la smetterai di evadere le tasse?” o “Proprio non vuoi cancellare questa legge vergognosa?”, che ti faranno finire in trappola qualunque sia la tua disposta, a meno che non ti riesca di distinguere le domande agglutinate e i giudizi di valore impliciti nell’apparente banalità della domanda. La disputa slitterà allora sul punto di partenza, la connessione tra argomenti e conclusioni finirà in secondo piano e prevarranno le posizioni a cui si aderisce senza motivazioni argomentate. Prevarrà “la panza”. Con questo, potrai scordarti la procedura di verifica condivisa e “cortese” delle argomentazioni. X.A.: Se però mi riuscirà di sciogliere le tue domande complesse, e se mi rifiuterò di accettare i presupposti, ti terrò fermo alla struttura logica degli argomenti, e smaschererò i tuoi sofismi. E.P.: Quali? Intendi forse la negazione dell’antecedente? L’affermazione del conseguente? Ma io dirò che queste strutture benché non possano essere applicate a un ragionamento rigorosamente deduttivo, ci sono d’aiuto nei nostri ragionamenti quotidiani, in quello che un grande logico che vive dall’altra parte del grande mare8 chiama “abduzione”. E, per Non è stato possibile identificare con certezza il logico cui qui si allude, anche perché, se con “Grande Mare” si intende l’Oceano, non siamo a conoscenza di terre che si trovino “dall’altra parte”. In ogni caso, diversi mesi orsono abbiamo provveduto a inviare esploratori in quella direzione, perché potrebbe proprio trattarsi di Atlantide. 8 Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 11 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] aggiungerne ancora una, dirò che le fallacie di divisio e compositio non sono tali, se applicate al rapporto tra le parti e il tutto, perché le eccezioni non cancellano la regola, ma la inverano. E negherò pertinenza ai tuoi esempi. Se poi tu attaccherai una mia posizione cercando di falsificarla, sfruttando la dissimmetria tra verifica di una regola e sua confutazione, io negherò valore alla procedura, perché valida solo per casi particolari, mentre la regola tiene, e si trasforma in elevata probabilità, benché non in certezza assoluta. Quest’ultima, del resto, non vale certo per i ragionamenti deduttivi, in quanto ciò che conta in essi sono le premesse, e alle premesse si aderisce o tramite esempi convincenti, o perché spinti dal pathos. Ma forse tu non intendevi solo le fallacie deduttive. X.A.: No. Esistono altri modelli argomentativi, quali l’appello al popolo, la confusione di fatti e giudizi di valore, che spinge a usare in modo inopportuno e senza “canoni” adeguati, le inferenze a sostegno delle nostre ipotesi (o, come dicevi, abduzioni) miranti a spiegare fatti sorprendenti. Ma bisognerà esercitare un controllo serrato anche su questo tipo di seduzioni e sviamenti dell’uditorio, perché le parti della disputa saranno già addestrate, saranno i guardiani del nostro sistema immunitario... contro il virus della retorica. E.P.: Ma questa regola, che prevede che qualsiasi schema argomentativo venga applicato in modo corretto, per evitare di gridare in continuazione (e con troppa fretta) “fallacia, fallacia!”, come si grida “al lupo!”, richiederebbe una delimitazione pragmatica particolareggiata dell’impiego di ciascuno schema argomentativo, dall’appello all’autorità di un esperto per distinguerne l’uso legittimo dalla fallacia ad verecundiam, l’argomento basato sull’analogia dalla falsa analogia, la falsa relazione causale (post hoc ergo propter hoc) priva di correlazioni o basata su pochissimi casi particolari che vengono indebitamente generalizzati senza un gruppo di controllo da quella condotta secondo i canoni o criteri di concordanza, differenza, gradi e variazioni concomitanti e valutate con competenze statistiche, per non parlare dell’argomento parassitario delle connessioni causali, quello della brutta china o effetto domino, che ponendo l’attenzione sulle conseguenze paventate (o desiderate) trascura di verificarne la connessione con le premesse. Tu richiedi troppe competenze al tuo pubblico. E non le avrai. Ma ti restano ancora due regole da enunciare. Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 12 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] X.A.: La regola seguente è già stata enunciata sin dall’inizio, ma tu, di fronte a una conclusione difesa con successo da parte mia, rifiuterai di riconoscerla come tale, chiedendomi comunque di ritirarla e, qualora io confutassi la tua tesi, ti rifiuteresti di ammetterlo e non la ritireresti. Non è forse vero? E.P.: Non solo. Userei le risorse messe a disposizione dell’argomento ad ignorantiam. Non so, quindi è vero (o falso, a seconda di quello che posso far accettare al mio uditorio). X.A.: Mi resta un’ultima regola, fondamentale, perché la maggior parte delle dispute potrebbero essere superate se parlassimo tutti la stessa lingua, cioè, se prendessimo i termini impiegati nei nostri scambi argomentativi nella stessa accezione. La polisemia delle parole, gli usi tendenziosi del linguaggio, sono un limite alla capacità di risolvere una disputa nel merito. E.P.: Mai rinuncerò ai doppi sensi, ai giochi di parole, alle ambiguità, al linguaggio che dice una cosa a te e altre due al mio uditorio, a introdurre significati inventati. La manipolazione del linguaggio è il succo dell’eristica. X.A.: Con questo non ci resta più nulla in comune. Quali regole pensi che potremmo seguire per una disputa secondo il modello eristico? Ora tocca a te. E.P.: Per farti piacere raccoglierò l’onere della prova e cercherò di fare il lifting alla mia retorica proibita, per renderla accettabile a un uditorio un po’ cortese. Ma che questa sia proprio la mia posizione, be’, questo lo lasceremo in sospeso. Tu ascolta e non interrompermi. In primo luogo riformulerò la tua regola della libertà in questo modo: lascialo dire. Quando il tuo interlocutore parla, non sovrapporti, non interromperlo. Questo, dal tuo punto di vista, rappresenta un’esigenza etica, dal mio, un’esigenza tattica. Lasciando parlare il mio avversario imparerò da lui, sembrerò cortese al mio uditorio, e scoprirò tutti i suoi punti deboli, le idiosincrasie, lascerò che sia lui a esporsi ai miei colpi, a farmi da bersaglio. In secondo luogo, mi metterò “nei suoi panni”. In questo esercizio di immaginazione, in questo modo di pensare allargato, ne capirò forse eticamente meglio le ragioni, ma saprò strategicamente cogliere i limiti della sua tesi, i punti deboli dei suoi argomenti, e sarò in grado di confutarlo dall’interno, senza che lui possa oppormisi, perché ne condividerò le premesse, anzi, farò finta di volerne quasi condividere l’esito, senza poterlo purtroppo fare Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 13 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] per i limiti intrinseci della sua posizione (che io non mancherò di sollevare ad nauseam). In questo modo coniugherò dialogos e polemos e simulerò la buona educazione (libertà di parola e libertà di critica), fornendo un modello per la didattica nelle scuole, mettendo in evidenza sempre i pro e i contro ma facendo pendere la bilancia verso la mia tesi, nel caso, con metodi scorretti, estranei al dialogo, ma assicurandomi che non si venga a sapere. Applicherò comunque la regola d’oro etica, che non hai mancato di sottolineare, ma la riformulerò così: non discutere come non vorresti che gli altri discutessero con te. Ma questo solo in teoria, perché la realtà è diversa, tanto è vero che a volte ci si scontra in nome dell’invito a dialogare. Di conseguenza, poiché lo scontro avviene sempre tra due persone che la pensano diversamente, ogni invito ad abbassare i toni, ogni tentativo di imbrigliare le passioni, non rende un buon servizio alla disputa. Oltre alla regola d’argento dell’ascolto, che ti ho già indicato, ne aggiungo una per così dire di bronzo (più che una regola, come le precedenti, sarà una mossa, una tattica, quella della faccia di bronzo o, se preferisci, come si dice in una città non troppo lontana dalla mia, di tolla): io mi atterrò alla mia verità, gli altri si tengano la loro. E di qui non mi smuoverò, perché nessun argomento sarà mai compiutamente dimostrativo, in una disputa (e se lo fosse lo negherei). Si può dissuadere chi è persuaso, ma “sconvincere” chi è convinto è impresa molto più ardua. Al più, influenzerai chi non sa cosa pensare. X.A.: Le tue regole sono sicuramente efficaci, ma forse dovremmo trovare qualcosa che sia accettabile a un pubblico di esperti. In tal caso dovresti scegliere piuttosto il mio Galateo. Oppure... oppure dovremmo cercare di trasformare il Galateo del disputator cortese in un Manuale del perfetto erista che, però, segue le regole della polemica, come chi in guerra limita le proprie possibilità per rispettare le leggi della guerra, che non sono affatto sospese, essendo anzi proprio allora pienamente vigenti, e che aspettano al varco chi le abbia violate, una volta la guerra finita. E.P.: Ammesso che spetti a un giudice terzo valutare eventuali violazioni di leggi di guerra, e non al vincitore, tanto per rifiutare la tua analogia. Comunque proviamoci. Innanzitutto ti dirò allora che contraddicendomi susciterai la mia attenzione, non la mia irritazione; e che nella mia corte c’è un Galateo per quando si litiga, così come nella tua c’è Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 14 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] quello delle buone maniere. Con questo atteggiamento potremmo cercare di trovare una via comune. Ma vediamo i diritti e i doveri. Non ti pare che, in una polemica si abbia il dovere di non ritenersi infallibili, di non ritenere le nostre idee intoccabili, né i nostri argomenti incontrovertibili? X.A.: E come no? È il principio stesso della fallibilità che è alla base del mio modello di discussione. E.P.: Solo che io cercherò di essere convincente e se lo sarò meno del mio interlocutore lo ammetterò, almeno per me, senza necessariamente confessarlo all’uditorio che devo persuadere. Tenendomi aperto al dubbio potrò rivedere le mie posizioni di partenza e rafforzarle. X.A.: Cercherai di avere un punto di partenza comune con il tuo avversario? E.P.: Per forza, se non per altro, almeno perché senza non potremmo nemmeno misurarci. Il metro di giudizio, l’arena dovrà essere definita. X.A.: Avrai un criterio di verità? E.P.: Non potrò evitarlo, in primo luogo per me, in secondo luogo per il pubblico esperto, che potrà chiedermi di rendere conto di certe mie affermazioni false o indimostrabili. E nel criterio di verità dovrò includere anche le prove richieste per la mia posizione, se mi si chiederà di dimostrarla. Se riterrò di non farlo, dovrò spiegare perché la richiesta è assurda. Le prove dovranno essere pertinenti e sufficienti. Allo stesso modo non dovrò eludere le obiezioni, né ignorare le contestazioni. Perché la ragion d’essere della polemica sta in questo, altrimenti naufragherebbe, per usare una metafora affine al tuo deragliare. Tanto più che, qualora tu la sbolognassi a me come io ho fatto con te, dopo la patata bollente scotterebbe ancora di più, quindi dovrò evitare di rifilare a te l’onere della prova. Dovrò essere chiaro, nella misura del possibile, altrimenti mi si potrebbe accusare di essere ambiguo o oscuro, e la mia posizione ne risulterebbe indebolita. E se deformassi le posizioni altrui discuterei contro un fantoccio, quindi dovrò applicare quello che tu chiameresti il principio di carità interpretativa, cioè il rafforzamento delle posizioni dell’interlocutore che si vuole annientare. X.A.: E, per tornare alla mia regola della conclusione, che cosa pensi che si dovrebbe fare? Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 15 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] E.P.: In caso di stallo, dovrò sospendere il giudizio, se possibile, e dovrò essere pronto a riaprire la questione in presenza di nuovi elementi. X.A.: Mi sembra che manchino i diritti, da questo elenco di doveri. Ti aiuterò io. Tu correggimi se ti sembra che io fraintenda la tua posizione. In questo duello affermerai il diritto di dubitare di qualsiasi cosa, anche di quelle più sacrosante, per il piacere del dubbio e della polemica. Sosterrai la tua verità di parte, perché alla verità della controparte non devi pensarci tu, a meno che non sia funzionale alla tua vittoria. Ti sottrarrai al gioco dell’avversario, se le risposte possono metterti in difficoltà, come avveniva con Socrate, godrai cioè di un prezioso margine di libertà e non ti metterai nei guai da solo. Difenderai te stesso e le tue posizioni, ma se lo farai in modo scorretto, blindando quasi le tue posizioni, spetterà alla controparte correggerti, se ci riuscirà. Distinguerai tra chiudere una polemica e risolvere una disputa e insisterai per poter concludere il tuo ragionamento, qualora il tuo avversario cercasse di impedirtelo. Aspirerai alla vittoria, perché è dalla competizione che nasce il sapere. L’accordo, l’unanimità sono buone cose quando sono risultato di un confronto in cui le divergenze non siano state mascherate ma siano chiaramente emerse. Userai gli argomenti che ritieni necessario usare, e quelli che preferisci. All’occorrenza, ti indignerai, o susciterai indignazione, commuoverai, e non disdegnerai il ricorso alle fallacie patetiche contro la logica, l’equilibrio, la cortesia. Ti adatterai insomma alle condizioni della disputa in corso senza lasciarti troppo vincolare dal mio modello ideale di discussione pragma-dialettica. In un dibattito, l’essenziale non è che ci siano o non ci siano fallacie e mosse scorrette – cosa difficilmente evitabile – ma che si riesca a riconoscerle e neutralizzarle (o farle passare sottobanco). Ti appellerai a una terza parte e chiederai che si giudichino le tue posizioni e gli argomenti utilizzati per difenderle, non la tua persona, e ti appellerai al diritto di cambiare (consensualmente) le regole della discussione, metterai cioè, se ti sembrerà il caso, in discussione la discussione stessa. E.P.: Mi sembra che ora ci siamo, e che, nella nostra disputa che contrapponeva il metodo del Galateo a quello dell’eristica abbiamo, senza dapprima volerlo, proprio appellandoci a un giudice, trovato un compromesso: regole condivise per una disputa polemica, evitando l’istigazione a uccidere ma anche il compromesso irenico. Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 16 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] X.A.: Eppure ancora mi manca qualcosa. La verità. La nostra disputa dovrebbe mirare alla verità, non solo a persuadere il giudice. E per trovare la verità, oltre alle regole del disputante polemico (o cortese), in questo elogio di Suadela in una delle sue manifestazioni, Eris, dovremmo accettare una procedura congiunta di verifica delle nostre posizioni, verifica accettabile per il pubblico e al pubblico (formato e informato) comprensibile, che, sola, può permettere una deliberazione conclusiva. E.P.: Ma questa sarebbe un’indagine scientifica, non una disputa polemica. Su questo non ti seguirò. Qui si riapre la divergenza. La nostra discussione è servita per farla emergere. Almeno su questo saremo d’accordo. La mia città non è la tua. X.A.: E sia questo il tuo contributo alla fondazione della città di Eris. Non la fonderemo sulle regole di cortesia della pragma-dialettica, ma sulla retorica proibita, sulla competizione, sulle mosse scorrette. La fonderemo sulla realtà, e non sull’utopia. Ma il mio Galateo sarà tanto più forte quanto più sarà l’immagine speculare del tuo fallimento. E.P.: Del tuo, non del mio, perché nella mia Polemòpoli non si vuole raggiungere una conclusione condivisa rispettando le regole di cortesia, non si ammettono salamelecchi o inchini. Si mira invece allo scontro, utilizzando mosse non scorrette ma comunque tendenziose, verbalmente violente, trucchi, inganni. Perché l’obiettivo non è la condivisione di una posizione, ma l’eliminazione dell’avversario, e, all’occorrenza, la manipolazione del pubblico, o del giudice. Perché a me non interessa rendere corretta la conclusione, bensì rendere più forte il discorso più debole. Perché sono io a decidere cosa significano le parole, io a decidere chi ha il diritto di parlare, io a stabilire se un argomento è accettabile, e se tu non sei d’accordo non ti lascerò parlare, e nasconderò o manipolerò le tue parole, ti citerò fuori contesto, farò in modo che l’uditorio ritenga che tu abbia torto prima ancora che tu inizi a parlare. Denigrerò la tua persona, farò in modo che non sentano quello che dici, coprirò la tua vocina con una grancassa, stravolgerò il senso delle tue parole nel momento in cui le ripeterò. E rovescerò le regole della logica. X.A.: Sì, è quello che mi aspetto da te, ma io creerò una struttura istituzionale che ti obbligherà a rispettare le regole della discussione ragionevole. Io formerò un pubblico di giovani alle regole della discussione cortese, e con loro la mia Dialogòpoli. E loro saranno i tuoi giudici implacabili. Loro ti obbligheranno a rispettare le regole, altrimenti ti Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 17 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] sanzioneranno e ti toglieranno punti. Il tuo è un modello strategico, ma eticamente sbagliato. Io però li allenerò, finché saranno in grado di resisterti. Saranno immunizzati contro la tua retorica proibita. E.P.: Ma io farò in modo che il pubblico, e gli stessi tutori dell’ordine istituzionale, del tuo setting argomentativo, divengano irragionevoli. Farò in modo che il loro logos sia al servizio del mostro policefalo delle passioni. Su questo mostro fonderò la mia Polemòpoli. Come vedi, non c’è tra di noi alcun punto di partenza condiviso, non una conclusione possibile. E nemmeno strumenti in comune. Il resto, le tecniche argomentative, saranno al servizio del desiderio, non della “verità”. X.A.: Ma così annienteresti la base dello scambio, il principio di cooperazione. E.P.: Adesso ci siamo. Il vero problema, il nucleo della nostra divergenza di opinioni e di pratiche, è di tipo teorico. È dunque opportuno che venga chiarito. Il fatto è che tu ritieni che il principio di cooperazione valga anche nella disputa. Ma la verità è che il principio di cooperazione servirebbe solo ad assicurare il dominio di una delle parti. Perché mai, perché mai la parte perdente dovrebbe accettare volontariamente di farsi incatenare, se può vincere facendo altrimenti? Perché dovremmo sottostare a questa regola che cancella la possibilità di credere in ciò per cui non si hanno prove, per esempio in ambito morale, politico, religioso? Come pensi di poter applicare la tua regola? Nella mia Polemòpoli, la misura dell’efficacia sarà la persuasività di una delle due parti, o pensi di poter escludere chi non ha argomentato in modo cortese? E lo farai violando la tua regola della libertà? Facendo ricorso a strumenti esterni come le minacce o la violenza? I divieti? La verità, la mia verità (ma forse ogni verità è una menzogna strategica), è che il tuo Galateo richiede violenza per essere accettato, e che vietando questi comportamenti scortesi tu stesso ti troveresti a violare le tue regole. A commettere un colpo di stato argomentativo. La tua Dialogòpoli sarebbe una tirannide su un “popolo di minorenni”, e solo a un nucleo ristretto di “giudici ragionevoli” spetterebbe di decidere a chi spetta l’esercizio della libertà di parola. Mi viene da ridere, se devo immaginarmi la scena. X.A.: E le risate sarebbero un nuovo tipo di argomento, per citare il nostro ambiguo maestro, Socrate? Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 18 ERIS Rivista internazionale di argomentazione e dibattito eris.fisppa.unipd.it/Eris [email protected] E.P.: A me interessa prevalere, ottenere ragione dal pubblico, non averla nel merito, come invece interessa a te. Sulla tua Dialogòpoli ho già concluso. Su chi la propone ho usato un attacco personale, accusandoti di incoerenza. E la scena di te che dici a una massa indomabile quali regole di cortesia rispettare ha un che di ridicolo. Allora ti dirò, se ti fa piacere, che sei stato bravissimo, come quell’atleta che ha lanciato il giavellotto a ottanta metri di distanza e ha preso una medaglia: bisogna riconoscergli una mira infallibile... Sì. Lo humor è proprio un argomento devastante. X.A.: Sia dunque questa la tua lode di Eris, quella di un umorista, del quale io sarò la vittima sacrificale. Postilla del curatore A questo punto la traduzione si interrompe. Il manoscritto è stato strappato. Eserciti di esperti sono al lavoro per decifrare il testo originale, manca però, almeno per ora, una chiave d’accesso. Ci restano solo alcune frasi e parole isolate inserite, proprio mentre sembra iniziare un nuovo dialogo con l’arrivo di un nuovo interlocutore, sul modello della “struttura di soccorso” dei dialoghi platonici. Ecco comunque quel poco che resta. Le parentesi quadre indicano parti corrotte o mancanti, non decifrabili. Le integrazioni, indicate con <…>, sono ipotesti testuali del curatore. «[…] ma, finito l’intermezzo, è ora di ricominciare daccapo. A questo banchetto ho mangiato troppo e non ho digerito tutto. Né Polemòpoli né Dialogòpoli sono risultate suff<icienti.> Sarà necessario tornare sul metodo della deliberazione co [...], per sottrarlo alla tutela della retorica. [...] Innanzi tutto propongo [...] e al disp<utante> [...] e Logon Didonai ci aiuterà [...] e ci serviranno criter<i> per valutare le inferenze plausibili e poss<ibili>. […] Per raggiungere Argu<p>òl<i>s [...]» Anonimo Glossatore Lo straniero amstelodamense e l’erista Eris, Vol. 1, n. 1, pp. 6-19 (2015) 19