Le tecnologie digitali per la didattica tra innovazione e nuove

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Le tecnologie digitali per la didattica tra innovazione e nuove
Reserch and Education
LIFE DESIGN
Anno II n.2
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ORIENTATORI
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di vita
rivista scientifica
A cura
dell’Università
Telematica Pegaso
RESEARCH AND EDUCATION
1
2 LIFE DESIGN Research and Education
LIFE DESIGN
Research and education
Rivista semestrale
Iscrizione Registro Stampa del Tribunale di Bari
n. 34 del 06/07/2010 ai sensi della legge sulla stampa 8 febbraio 1948 n. 47
Direzione scientifica
Vito Antonio Baldassarre (Università di Bari)
Comitato Scientifico
Pierpaolo Limone (Università di Foggia)
Michele Baldassarre (Università di Bari)
Lucia Chiappetta Cajola (Università Roma Tre)
Enzo Mansueto (insegnante e giornalista del Corriere del Mezzogiorno)
Marisa Michelini (Università di Udine)
Maria Cavalluzzi (esperta didattica yoga)
Marc Bru (Università di Tolosa - Francia)
Ronald G. Sultana (Università di Malta)
Jacqueline Thousand (Università San Marco - California)
Direttore editoriale
Domenico Pontrandolfo
(Direttore Generale dell’Associazione Nazionale Orientatori)
Direttore responsabile
Valentina De Carlo
Responsabile di redazione
Valentina Rapo
Redazione
Valentina Rapo
Filippo Vasco
Editing e impaginazione
Raffaele Cacciapaglia
Editore
Forprogest SPA
Via Crisanzio, 6
70122 - Bari
Reserch and Education LIFE DESIGN 3
Editoriale
Cari lettori,
questo, della nostra rivista, è un numero speciale; se non altro perché esce con qualche mese di ritardo a causa delle
profonde trasformazioni e dei cambiamenti che stanno positivamente coinvolgendo la nostra Associazione.
L’orientamento, come è noto, è una dimensione sempre in fieri e chi, come noi, animato da professionalità, serietà,
costanza, voglia di migliorare e crescere, si avvicina ad essa non può non mettersi nelle condizioni di una continua
propensione al nuovo, al mutamento, alla flessibilità ed assumere un atteggiamento per certi versi pionieristico. Chi è il
pioniere, se non un temerario?! È colui che apre la via agli altri nell’esplorazione di nuove terre, di nuove vie e di nuove idee.
Innanzi a situazioni problematiche, inedite, sconcertanti che si incontrano nell’esplorazione di queste nuove vie, non si
può non fare riferimento all’insegnamento di Donald A. Schön: di reflection-in-action, ovvero alla capacità di riflessione
nell’azione, sull’azione (oltre che prima e dopo l’azione). Quindi, sé è vero che il cambiamento è rapido e veloce, è anche
vero che c’è bisogno, ogni tanto, di riprendere i fili che vanno oltre il quotidiano; che guardano ad orizzonti di tempo
più vasti e che consentano di riflettere in modo autentico sulla direzione intrapresa e sugli obiettivi da raggiungere per
riuscire così a tagliare sempre nuovi traguardi. Quindi: la scelta del voler essere sempre responsabilmente coscienti e
coscienziosi nella guida e nella crescita della’Associazione può essere considerata la vera e unica ragione del ritardo della
pubblicazione del secondo numero di “LIFE DESIGN - research and education”.
Questo secondo numero, pur rispettando la classica struttura della rivista (Study - research and analysis, Best practices,
News and reviews, Recensioni), è diverso, speciale appunto. Il suo essere speciale, deriva da due semplici ma significative
motivazioni: la prima affonda le sue radici nella consapevolezza che l’orientamento occupandosi dell’uomo nella sua
totalità non può non considerare tutti gli “affari umani” e pertanto abbiamo sentito viva l’esigenza di proporvi contributi
che si occupano dell’orientamento in un ottica sempre più ad ampio spettro.
La seconda motivazione è stata quella di voler dedicare uno spazio sempre più ampio ai contributi provenienti dagli
“orientatori sul campo” rivelatesi vere fonti inesauribili di riflessioni e valutazioni.
Nella prima parte della rivista, Study - research and analysis, troviamo preziosi ed interessanti contributi dedicati al
rapporto fra orientamento e valutazione, orientamento e scuola, orientamento e formazione, orientamento e nuove
tecnologie, orientamento e salute.
Nella seconda parte, Best practices, troviamo le esperienze concrete dei nostri orientatori iscritti all’Albo.
La terza, News and reviews, è stata esplicitamente dedicata all’informazione e diffusione di tutte le novità ed attività
poste in essere dall’Associazione e dei cambiamenti in divenire all’intero dell’intero panorama dell’orientamento. Anche,
il secondo numero della rivista si chiude con le preziose Recensioni di testi utili al professionista dell’orientamento e a tutti
coloro che svolgono professioni che hanno a che fare con quanto più di complesso e delicato esiste al mondo: l’essere
umano.
Dott.ssa Valentina De Carlo
Dott.ssa Valentina Rapo
4 LIFE DESIGN Research and Education
Sommario
Sezione
Descrizione
L’Associazione Nazionale Orientatori partecipa all’incontro formativo organizzato
dall’Università Telematica Pegaso
Pag
5
Dott.ssa Mery Pontrandolfo, Presidente dell’Associazione Nazionale Orientatori
L’European Lifelong Guidance Policy Network e le politiche per l’orientamento permanente
in Europa
8
a cura del dott. Filippo Vasco
L’autovalutazione di Istituto per orientare la scuola dell’inclusione verso le priorità per il
cambiamento
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Prof.ssa Lucia Chiappetta Cajola - Università degli Studi Roma Tre - Settore Scientifico-disciplinare M-Ped/03, Didattica e
Pedagogia Speciale
STUDY - RESEARCH
AND ANALYSIS
La valutazione una preziosa risorsa per l’orientatore – Parte Prima
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Dott.ssa Valentina Rapo - Cultore della materia in progettazione e sperimentazione di ambienti multimediali per la formazione
L’orientamento diacronico formativo. Un modello da applicare fin dalla scuola primaria
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Dott.ssa Alessia Checchi - Università degli Studi Roma Tre. Funzionario amministrativo presso la Presidenza della Facoltà di
Scienze della Formazione.
Le tecnologie digitali per la didattica tra innovazione e nuove competenze
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Dott.ssa Eleonora Guglielman Docente presso Università degli Studi Roma Tre -Scuola Dottorale in Pedagogia e Servizio Sociale
La salute va orientata, ma sopratutto spiegata e capita
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Dr. Giuseppe D’Introno - Giornalista medico scientifico
L’orientatore nei Centri Informagiovani. A piccoli passi
BEST PRACTICES
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Orientatore Professionale Raffaele Astore - Responsabile Informagiovani nel Comune di Galatina LE
Una bussola non dispensa dal remare. Educhiamoci alle scelte… educhiamoci al movimento!
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Centro di Orientamento Skills Project di Spinazzola BT
Un ruolo chiave per la crescita e la cura dei cittadini europei del XXI secolo
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Dott. Danilo Iervolino – Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Università Telematica Pegaso
NEWS AND REVIEWS
Il nuovo portale dell’orientamento… e non solo!
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Dott. Domenico Pontrandolfo, Direttore Generale dell’Associazione Nazionale Orientatori
Recensioni
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Reserch and Education LIFE DESIGN 5
L’Associazione Nazionale Orientatori partecipa
all’incontro formativo organizzato dall’Università
Telematica Pegaso
Dott.ssa Mery Pontrandolfo
Presidente dell’Associazione Nazionale Orientatori
Il sodalizio costituitosi tra ASNOR e l’Università Telematica Pegaso per la diffusione e la
promozione della figura dell’orientatore, avviato da qualche mese, è stato formalmente
ufficializzato il 25 luglio scorso, durante un incontro formativo tenutosi a Napoli ed
organizzato dall’Ateneo partenopeo presso il Complesso Monumentale di Santa Maria
La Nova.
In questo appuntamento si illustrano annualmente le linee direttive e programmatiche
che l’Ateneo intende perseguire; rappresenta un importante momento di informazione
e confronto dedicato ai partner e finalizzato a migliorare modalità di collaborazione e
strategie.
L’Università Telematica Pegaso è impegnata in un continuo lavoro di ricerca,
approfondimento e sviluppo di quei settori che vengono individuati come i più
innovativi, richiesti e in crescita dal punto di vista dell’immediata spendibilità nel
mondo del lavoro dei titoli formativi ottenuti dagli studenti.
Data questa fondamentale premessa, sono facilmente comprensibili i motivi che
sono alla base e hanno portato alla definizione dell’accordo di collaborazione in
parola: l’orientamento costituisce un settore in forte crescita: aumenta la domanda di
consulenza; il lavoro scientifico alla base della ponderosa visione teorica di ASNOR è
riconosciuto in toto dall’Ateneo: il connubio è naturale.
Di questa significativa collaborazione s’è discusso in questo incontro.
Dopo i saluti del presidente Danilo Iervolino, del direttore generale Elio Pariota e del
segretario regionale dell’ANSI Domenico Manzo, l’approfondimento è stato affidato
alla responsabile dell’area didattica Lucia Martiniello ed alla referente dei corsi in area
scolastica Generosa Manzo.
Affrontando il tema delle convenzioni e delle iniziative messe in campo dall’Ateneo
per il nuovo anno accademico, con l’intervento del direttore generale ASNOR
Domenico Pontrandolfo, sono state introdotte le motivazioni e le finalità alla base di
questo partenariato: attenzione agli aspetti qualificanti ed ai benefici per gli studenti;
analisi del mercato del lavoro finalizzata all’individuazione dei settori più interessanti
dal punto di vista dello sviluppo e della propensione a creare occupazione; ricerca
scientifica mirata per la preparazione di percorsi formativi funzionali e spendibili; ferma
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volontà di costituire un punto di riferimento nel dibattito scientifico del proprio settore
di appartenenza.
L’Università Telematica Pegaso condivide l’articolata impostazione teorica prospettata
da ASNOR: riconoscendo la validità dei sette profili di orientatore, presenta un’offerta
formativa completa: un Master di I livello intitolato Professione Orientatore della
durata di 1500 ore (60 cfu), comprendente tutti e sette i profili previsti, e sette corsi di
Alta Formazione di 600 ore (24 cfu), uno per ciascuno dei profili. Un’offerta didattica
completa ed analitica come nessun’altra in Italia.
ASNOR riconosce questi corsi e ammette al proprio Albo Nazionale coloro che, ottenuto
il titolo, ne facciano esplicita richiesta.
Come chiarito dai relatori, questo è solo il primo momento di una collaborazione che
già ha in nuce implementazioni e sviluppi su cui le parti stanno già lavorando, secondo
i propri campi e competenze:
• l’Ateneo intende fondare un dipartimento specializzato in materia;
• ASNOR promuove la sua rete nazionale di Centri di Orientamento con l’obiettivo finale
di garantire sevizi di consulenza mirati e di qualità per tutti i cittadini; gli orientatori a
loro disposizione devono essere scrupolosamente formati e sinceramente preparati;
• all’interno dei Centri di Orientamento operano esclusivamente orientatori iscritti
all’Albo Nazionale; non si tratta solo di una comunità in cui è possibile condividere
esperienze e informazioni;
• l’Albo è uno spazio pensato per assicurare quella formazione continua che, in un
settore così delicato e in evoluzione come quello della consulenza alle persone,
costituisce un pilastro inalienabile (in linea con le ultime disposizioni comunitarie in
tema di Life Long Learning).
ASNOR lavora affinché, dopo la pausa estiva, la piattaforma telematica realizzata
a tal fine entri definitivamente in funzione per diventare il principale strumento di
aggiornamento e di studio per tutti gli iscritti.
Fatto questo cenno ai programmi e agli sviluppi su cui si sta lavorando per il prossimo
periodo, colgo l’occasione per salutare i lettori tutti e gli iscritti in particolare, nostra
linfa, sostegno e primo motivo di orgoglio e spinta motivazionale.
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STUDY
RESEARCH
AND ANALYSIS
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L’European Lifelong Guidance Policy Network e
le politiche per l’orientamento permanente in
Europa
Dott. Filippo Vasco
Cultore della materia di diritto pubblico
Presentiamo il report delle attività svolte nel 2009/2010 nell’ambito delle politiche di
Orientamento Permanente da parte dell’ELGPN (European Lifelong Guidance Policy
Network).
ASNOR ha da sempre condiviso uno dei principi cardine della politica comunitaria in
argomento: l’orientamento permanente è riconosciuto come una dimensione cruciale
dell’apprendimento continuo, anche perché promuove obiettivi di natura economica e
sociale. In particolare, migliora l’efficienza e l’efficacia dei settori istruzione, formazione
e lavoro attraverso il suo contributo mirato alla riduzione della dispersione scolastica,
al potenziamento dell’incontro tra domanda e offerta di competenze e all’aumento
della produttività.
Due Risoluzioni UE del Consiglio “Istruzione” (20041; 20082) hanno evidenziato
l’esigenza di potenziare i servizi di orientamento lungo tutto l’arco della vita, al fine
di fornire agli utenti le capacità per gestire i propri percorsi formativi e professionali,
nonché i momenti di transizione tra i percorsi educativi, formativi e di carriera.
Le Risoluzioni si focalizzano su quattro aree prioritarie: sviluppo delle capacità di
orientamento al lavoro (d’ora in avanti, CMS, career management skills); accessibilità
dei servizi; qualità e coordinamento dei servizi.
A seguito delle suddette Risoluzioni, gli Stati membri sono stati invitati a modernizzare
e rafforzare le proprie politiche e i sistemi di orientamento.
La Commissione europea, assistita dal Cedefop e dalla Fondazione Europea per la
Formazione Professionale (ETF), ha sostenuto attivamente tali obiettivi, attraverso
la promozione di studi mirati, la produzione, insieme all’OCSE3, di un manuale per i
policy maker, il sostegno all’apprendimento fra pari (peer learning) e lo sviluppo di
strumenti di riferimento comuni, con il supporto di un gruppo di esperti europei che si
è incontrato periodicamente tra il 2002 e il 2007.
Nel 2007, gli Stati membri hanno deciso di istituire la rete ELGPN. La Commissione
europea ha accolto favorevolmente tale iniziativa, quale impegno concreto verso
l’attuazione, a livello nazionale, delle priorità identificate nella citata Risoluzione
del 2004 e ha deciso di fornire il supporto finanziario attraverso il Lifelong Learning
Programme. Essendo una rete guidata dagli Stati membri, rappresenta anche una
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forma innovativa del Metodo Aperto di Coordinamento all’interno dell’UE.
La rete è aperta a tutti i paesi eleggibili all’assistenza nell’ambito del Lifelong Learning
Programme 2007/2013. I Paesi partecipanti identificano i propri rappresentanti e sono
incoraggiati a favorire la partecipazione di rappresentanti governativi e non governativi.
Quasi tutti i Paesi sono rappresentati da membri del Ministero dell’Istruzione; più della
metà dei Paesi è rappresentata da membri del Ministero del Lavoro ed alcuni sono
rappresentati da ONG.
Nel biennio 2009/2010 sono state organizzate quattro Riunioni Plenarie ELGPN
(Lussemburgo, marzo 2009; Riga, Lettonia, settembre 2009; Saragozza, Spagna, maggio
2010; Lisbona, Portogallo, settembre 2010). I membri della rete hanno condiviso
la decisione di basare il programma di lavoro 2009/2010 sulle quattro tematiche
identificate nella Risoluzione 2008. Di conseguenza, sono state intraprese attività
relative ai quattro Work Package (ognuno dei quali coinvolge 10/12 Paesi), finalizzate a:
• incoraggiare l’acquisizione continua di capacità di orientamento al lavoro (WP1);
• agevolare l’accesso ai servizi di orientamento da parte di tutti i cittadini, incluso
l’accreditamento di apprendimenti pregressi derivanti dall’esperienza (APEL), (WP2);
• incoraggiare meccanismi di cooperazione e coordinamento nello sviluppo di politiche
e sistemi di orientamento tra i vari stakeholder nazionali, regionali e locali (WP3);
• sviluppare meccanismi di qualità basati sulle evidenze per la definizione di politiche e
sistemi (WP4). Inoltre, il programma di lavoro 2009/2010 della rete ELGPN ha incluso
due Task Group tematici che si sono occupati di:
• politiche europee in materia di istruzione, formazione e lavoro dalla prospettiva
dell’orientamento lungo tutto l’arco della vita, inclusi riepiloghi delle politiche relativi
alle quattro tematiche dei Work Package come identificate nelle Risoluzioni del 2004
e del 2008, più un commento sul ruolo dell’orientamento permanente in relazione
all’attuale crisi economica (TG1);
• sinergia tra progetti finanziati dall’UE e relativi collegamenti con le politiche di
orientamento permanente (TG2).
CMS: Capacità di orientamento al lavoro (Work Package 1)
Le capacità di orientamento al lavoro (career management skills, CMS) sono un
insieme di competenze che forniscono, a individui e gruppi, modalità strutturate per
raccogliere, analizzare, sintetizzare e organizzare autonomamente informazioni in
materia di istruzione e lavoro, nonché per prendere decisioni e affrontare i momenti
di transizione.
Si tratta di competenze necessarie ai cittadini per poter gestire le complesse transizioni
che caratterizzano i diversi percorsi educativi, formativi e occupazionali.
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L’insegnamento delle CMS può aiutare gli individui a gestire i percorsi di carriera
non lineari, promuovendo l’uguaglianza e l’inclusione sociale. In molto Paesi sono
state avviate politiche in tal senso: programmi scolastici sostengono i giovani nel
diventare più abili nella pianificazione e nella gestione delle transizioni tra le diverse
fasi educative, formative ed occupazionali; gli universitari (sulla scia del Processo di
Bologna) cominciano a confrontarsi seriamente con la materia; per quanto riguarda
i disoccupati, molti servizi pubblici per l’impiego erogano o affidano ad esterni
programmi finalizzati a potenziare le capacità occupazionali degli adulti, al fine di
aumentare le loro possibilità di successo in un mercato del lavoro estremamente
competitivo.
Se diversi sono i termini con cui è possibile riferirsi a tali competenze (life-skills,
educazione personale e sociale, apprendimento delle capacità di sviluppo
professionale), il contenuto e le modalità di erogazione delle CMS mantengono un
elevato grado di convergenza all’interno dell’UE. Le tematiche principali riguardano i
seguenti aspetti:
• il livello su cui affrontare le diverse tematiche in materia, sulla base dell’età e del livello
di istruzione del cittadino. Si riscontra una tendenza diffusa, anche se non comune a
tutti i Paesi, all’ampliamento delle CMS;
• la necessità di identificare le CMS che rispondano alle specifiche esigenze dei gruppi
target a rischio, assegnando agli stessi gruppi target un ruolo importante nella
definizione dei programmi di CMS;
• la necessità di riconoscere le diverse tradizioni curricolari dei vari Paesi. Nell’affrontare
questo aspetto è necessario tenere conto del possibile rischio, insito in esso, di
ostacolare lo sviluppo di un quadro europeo delle CMS;
• l’importanza di un quadro nazionale delle CMS, che definisca conoscenze e abilità di
base disponibili per tutti i cittadini, e che consenta una interpretazione flessibile di
tale quadro in relazione a contesti specifici;
• la sfida di integrare le CMS in un contesto educativo. Le opzioni includono la possibilità
di avere le CMS come una “materia” autonoma e programmata; la trasmissione delle
stesse attraverso il curriculum; l’inserimento delle CMS quale attività extracurricolare
o un mix delle suddette strategie;
• lo sviluppo di pedagogie sperimentali e innovative. È fondamentale che gli educatori
vadano oltre le indicazioni puramente didattiche per includere una serie di strategie
di apprendimento esperienziale, giochi interattivi di autovalutazione e orientamento
alle scelte professionali (career game), risorse informatiche, ecc;
• la valutazione delle CMS. In alcuni Paesi, l’idea di base è che la motivazione degli
studenti sia sufficiente per l’apprendimento delle CMS e che non vi sia bisogno di
valutare tali capacità. In altri Paesi, prevale l’idea secondo cui gli studenti abbiano
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diritto a un riconoscimento formale dello sviluppo di tali abilità. In una tradizione
educativa in cui gli esami svolgono un ruolo chiave, ogni area curricolare che
non viene formalmente valutata appare inevitabilmente poco importante nella
gerarchia delle conoscenze e di conseguenza anche gli studenti attribuiscono ad
essa scarso valore. L’utilizzo di modalità innovative di valutazione, quali il “portfolio”,
ha il vantaggio di agevolare e riconoscere l’apprendimento, senza necessariamente
soffocare le metodologie innovative di insegnamento;
• le modalità attraverso cui le CMS possono essere trasmesse agli adulti nel contesto
dei Servizi pubblici per l’impiego, al fine di garantire che la persona disoccupata possa
apprendere una serie di abilità volte a potenziare le proprie capacità occupazionali.
Gli esempi migliori sono quelli dei “job club”, in particolare quelli commissionati a
service provider vicini ai gruppi target. In tali contesti, un approccio di gruppo può
più facilmente favorire l’empowerment;
• la necessità di assicurare che le CMS siano trasmesse partendo non da una prospettiva
deficitaria che vede negli utenti esclusivamente delle carenze, quanto piuttosto da
una prospettiva di autonomia e responsabilità. È importante considerare gli utenti
come persone dotate di determinati punti di forza, e non unicamente di specifiche
problematicità.
Dati questi elementi, l’ELGPN segnala che
• molti Paesi devono ancora sviluppare una quadro nazionale di CMS;
• molti altri Paesi devono ancora articolare una politica chiara relativa al collocamento
delle CMS all’interno del curriculum nazionale;
• è necessario definire una chiara strategia di formazione per coloro che dovranno
erogare le CMS, nonché identificare le risorse necessarie che potranno essere
utilizzate in diversi contesti;
• il programma di sviluppo delle CMS deve prendere in considerazione le esigenze
specifiche dei gruppi target a rischio;
• è necessario lavorare ulteriormente su strategie di valutazione più adeguate;
• è opportuno lavorare allo sviluppo di un quadro europeo delle CMS.
L’Italia, da questo punto di vista, segna il passo, soffrendo tutte le criticità indicate.
Ampliare l’accesso ai servizi (Work Package 2)
L’ampliamento dell’accesso ai servizi di orientamento è un punto all’ordine del giorno
di numerosi Paesi, inclusi le modalità di ampliamento dell’erogazione dei servizi a
diversi gruppi target, l’uso di strumenti ICT (tecnologie dell’informazione e delle
comunicazioni) e le modalità di gestione e finanziamento di servizi integrati.
Da questa analisi, sono emerse due problematiche principali:
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• le esigenze di una parte consistente di gruppi target specifici non sono state
soddisfatte adeguatamente;
• i servizi di orientamento continuano ad essere erogati in sedi e con modalità ancora
carenti, in pochi momenti del giorno o della settimana e soltanto in alcune fasi del
ciclo di vita dell’utente, limitando le possibilità di accesso continuo e lungo tutto
l’arco della vita.
A seguito della crisi economica e dei crescenti tassi di disoccupazione, i servizi di
orientamento hanno assunto un ruolo chiave. La crisi attuale sottolinea l’esigenza di
ampliare l’accesso ai servizi, con particolare attenzione ai gruppi target (es. giovani in
momenti di transizione dei percorsi educativi o nel passaggio dai percorsi formativi
al mondo del lavoro; persone che abbandonano precocemente il percorso formativo,
giovani e adulti disoccupati e persone che si trovano nel mondo del lavoro in condizioni
di svantaggio).
Molti paesi hanno identificato nei supporti tecnologici, in particolare nelle piattaforme
web e nel telefono, un fattore determinante per lo sviluppo di tali risorse, permettendo
ad un numero maggiore di utenti di accedere ai servizi in momenti e sedi e con
metodi che si adattano meglio alle loro esigenze. Le moderne tecnologie consentono
di erogare servizi attraverso una combinazione di mezzi quali l’e-guidance e numeri
telefonici dedicati all’orientamento, incluso l’orientamento in presenza.
Le attuali modalità di erogazione dei servizi di orientamento devono essere
riprogrammate in termini di efficienza dei costi e modalità di erogazione. Numerosi
paesi dispongono di nuove leggi in materia di accesso, erogazione dei servizi
e sviluppo di nuovi strumenti e sistemi, tra le quali norme relative ai servizi di
counselling come parte delle politiche per l’occupazione (Repubblica Ceca), al diritto
di tutti i cittadini all’orientamento permanente gratuito erogato nei servizi pubblici
(Francia), all’educazione degli adulti che sostiene l’orientamento sul posto di lavoro
e la validazione dei processi di apprendimento informali e non formali (Islanda) e
alle qualifiche dei consulenti (Francia, Islanda, Polonia). Altri orientamenti in termini
di politiche individuano tra le priorità da perseguire l’uso più efficace delle ICT
nell’orientamento (Lituania) e degli strumenti ICT affinché l’orientamento diventi parte
di una strategia di e-government (Slovacchia).
Ulteriori sviluppi significativi includono un nuovo servizio integrato (Francia), l’utilizzo
di un portale internet e di un servizio telefonico come strumenti di supporto alle scelte
occupazionali, nonché un programma di promozione di iniziative di orientamento
locali collegate alle strategie di apprendimento locale (Germania), un nuovo servizio
per l’impiego rivolto agli adulti (Regno Unito) ed un sistema informatico nazionale di
informazioni sulle professioni (Turchia). Non ci sono riferimenti al caso italiano.
Numerosi sono i punti chiave intorno cui ruota tutta quella che dovrebbe essere
l’attività necessaria per raggiungere i risultati attesi:
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• complementarietà della natura dei canali di erogazione. Se da un lato il supporto
tecnologico è stato identificato dalla maggior parte dei paesi come un aspetto
importante nello sviluppo e nell’erogazione dei servizi per l’impiego, i servizi in
presenza, nella forma di attività individuali o di gruppo, restano una componente
essenziale nell’erogazione dei servizi di orientamento. Le nuove tecnologie
permettono di agevolare e di rendere più economico l’accesso ai servizi, creando
modalità di erogazione innovative e flessibili, collegate a modalità di accesso
individuale e di self-help;
• sviluppo di servizi integrati. Sviluppare servizi integrati per persone di tutte le età
è una nuova sfida, che richiede un ripensamento dei contesti istituzionali e delle
competenze professionali, nonché una nuova mentalità e una nuova cultura;
• diversi livelli di servizio per soddisfare le diverse esigenze individuali. Vi sono persone
auto-motivate, capaci di prendere autonomamente e con successo decisioni in
merito alla propria carriera, mentre vi sono persone che hanno bisogno di assistenza;
• APEL (accreditamento di apprendimenti pregressi derivanti dall’esperienza) quale
metodologia efficace per lo sviluppo dell’occupabilità. L’accesso ad un orientamento
adeguato è necessario per aiutare i cittadini, in particolare quelli con basse
competenze e senza un’occupazione, ad utilizzare l’APEL e quindi a dare valore alle
esperienze precedenti di apprendimento;
• standard nell’erogazione. Occorre sviluppare nuovi standard (es. validità, affidabilità,
accuratezza, obiettività, comprensibilità, pertinenza ai gruppi target, tempestività)
per i servizi che utilizzano le ICT;
• questioni etiche relative all’uso delle ICT nell’orientamento, tra cui la qualità della
valutazione disponibile su internet;
• accesso come questione di giustizia sociale. Per raggiungere un equilibrio
soddisfacente tra qualità e accesso ai servizi, è necessaria una maggiore comprensione
dell’efficacia dell’orientamento al lavoro, non solo in relazione ai costi, ma anche al
raggiungimento di obiettivi di equità sociale.
Meccanismi di cooperazione e coordinamento (Work Package 3).
In tutti i paesi, l’erogazione dei servizi di orientamento avviene in diversi settori ed è
coordinata e gestita da diversi Ministeri ed organizzazioni (scuole, istruzione terziaria,
servizi pubblici per l’impiego, partner sociali, volontariato, settore privato). Uno degli
obiettivi fondamentali di tali servizi è quello di aiutare gli individui a muoversi in
maniera efficace attraverso i propri percorsi di vita e di carriera.
Di conseguenza, le politiche per l’orientamento permanente devono coinvolgere
autorità e stakeholder diversi.
Questa finalità può essere perseguita attraverso l’istituzione di un forum nazionale
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sull’orientamento permanente che unisca tutti gli enti interessati, al fine di sostenere
lo sviluppo di nuove politiche e l’armonizzazione dei servizi erogati.
Per essere riconosciuto, un forum nazionale sull’orientamento permanente deve
soddisfare i seguenti quattro requisiti:
• coinvolgere il Governo, o riceverne l’accreditamento;
• essere aperto non solo ad enti governativi, ma anche ad altri stakeholder;
• includere i settori dell’istruzione e dell’occupazione;
• occuparsi dell’orientamento per i giovani e per gli adulti.
In alcuni casi il forum nazionale può essere sostituito da meccanismi alternativi ed
egualmente efficaci. Un forum (o un meccanismo simile) può operare ad uno o più dei
seguenti tre livelli:
-- comunicazione, attraverso lo scambio di informazioni e l’esplorazione di possibilità di
cooperazione e coordinamento;
-- cooperazione tra partner nell’ambito delle strutture esistenti. Può trattarsi di attività
di natura prevalentemente informale e basate su un accordo di cooperazione in base
al quale ciascun partner dispone di poteri decisionali;
-- coordinamento. É probabile che sia necessario disporre di una struttura di
coordinamento con poteri operativi e una propria forma di finanziamento (e
possibilmente con un contratto o un mandato legale).
Garanzia di qualità ed evidenze (Work Package 4).
Il WP4 si occupa di collegamenti tra politiche, ricerca e pratiche di orientamento, con
particolare enfasi su due aspetti:
• il ruolo e lo sviluppo della qualità (QA, Quality Assurance) nell’orientamento;
• le evidenze che vengono o potrebbero essere prodotte per spiegare, migliorare
e legittimare le attività di orientamento. Il ruolo trasversale dell’apprendimento
permanente richiede qualità nell’erogazione dei servizi e un approccio trasversale
alla progettazione del sistema di qualità nell’orientamento.
Dopo avere esaminato le iniziative politiche e le pratiche più interessanti dei paesi
partecipanti in merito alla qualità nell’orientamento al lavoro, e a seguito di un’analisi
delle ricerche compiute per fornire una base empirica allo sviluppo delle politiche, è
stata redatta una lista di elementi da includere nel quadro di riferimento sulla qualità
(si fa riferimento all’esperienza di Scozia, Danimarca, Germania, Inghilterra, Germani;
nessuna esperienza significativa è stata registrata in Italia). Il gruppo di esperti della
Commissione europea sull’orientamento permanente ha definito cinque punti
di riferimento comuni per i sistemi di qualità in materia di erogazione dei servizi di
orientamento:
Reserch and Education LIFE DESIGN 15
Punti di riferimento
Indicatori selezionati
Coinvolgimento di cittadini e utenti
- Disponibilità dell’informazione su diritti e servizi
- Uso ed implementazione di sistemi di customer reaction
- Pubblicazione ed uso di indagini periodiche su customer satisfaction
Competenze dell’esperto di orientamento
- Standard accettati a livello nazionale e regionale
- Sistema di certificazione/accreditamento
- Requisiti e disponibilità di formazione
- Supervisione richiesta
- Comportamento professionale e uso di metodi adeguati
Miglioramento dei servizi
- Esistenza e uso obbligatorio dei sistemi di qualità
- Standard definiti per l’erogazione dei servizi (codice etico, metodologia, rapporto consulente/clienti,
circostanze di servizio, risorse finanziarie, procedure amministrative, dispositivi ICT, informazioni
aggiornate, informazioni sul mercato del lavoro, erogazione dei servizi per utenti con esigenze speciali,
ecc.)
- Sviluppo di un piano di azione con i clienti
- Documentazione di processi e risultati dei servizi di orientamento
- Monitoraggio per valutare il miglioramento e i risultati dei servizi
Conferenza
- Esistenza di un servizio per tutte le età e/o cooperazione e coordinamento dei diversi service provider
- Accordo sui principi comuni
Risultati/impatto:
- Risultati di apprendimento
- Risultati economici e sul mercato del lavoro
- Risultati di inclusione sociale
- Miglioramento significativo di conoscenze e competenze, capacità di orientamento al lavoro, livello
di fiducia in sé stessi, competenze decisionali, capacità di essere pronti al lavoro, ecc.
- Transizione al livello successivo in termini di istruzione/formazione/occupazione
- Miglioramento dei tassi di occupazione e riduzione della dispersione scolastica
- Buoni risultati in termini di incontro tra domanda/offerta sul mercato del lavoro
- Livello e durata della disoccupazione
- Miglioramento dell’offerta di lavoro in base alla domanda
- Efficacia dei costi del servizio
L’obiettivo non è quello di imporre agli Stati membri un quadro di riferimento
prestabilito, bensì incoraggiare un dibattito che conduca ad un maggiore accordo
sugli elementi da includere nell’approccio alla qualità per l’orientamento.
I relatori si dicono soddisfatti dei risultati raggiunti nel biennio e sono già lavorano per
la fase successiva: Un obiettivo chiave sarà lo sviluppo di strumenti operativi o progetti
comuni a supporto dell’attuazione delle politiche. A questo scopo si procederà ad un
aggiornamento del manuale OCSE/UE 2004 per i policy maker e alla definizione degli
elementi e degli strumenti di riferimento comuni esistenti a livello dell’UE.
L’Italia ha fornito un delegato per il Settore Lavoro ma non è stata protagonista dei
lavori; pur partecipando al WP1 e al WP3 non ha analizzato le proprie politiche, la
sinergia tra i progetti, non ha fatto parte delle riunioni del comitato di pilotaggio ELGPN
e alle riunioni plenarie dell’ELGPN.
16 LIFE DESIGN Research and Education
L’autovalutazione di Istituto per orientare la
scuola dell’inclusione verso le priorità per il
cambiamento
Prof.ssa Lucia Chiappetta Cajola
Università degli Studi Roma Tre
Settore Scientifico-disciplinare M-Ped/03, Didattica e Pedagogia Speciale
Autovalutazione e orientamento per lo sviluppo inclusivo della scuola
Lo sviluppo della scuola può essere considerato il processo entro cui si intrecciano
valori, emozioni, competenze e azioni, e contemporaneamente pratiche riflessive, di
analisi e di autovalutazione in grado di influenzare in modo determinante le esperienze
formative sia degli allievi che dei docenti. In questa dimensione di significato, si
delinea una prospettiva culturale in cui ognuno è considerato e rispettato, e in cui le
decisioni e le pratiche didattiche sono indirizzate a sostenere tutti gli alunni nel loro
apprendimento e nella condivisione dei risultati ottenuti.
Procedendo nell’esplorazione delle culture, delle decisioni sia di politica scolastica sia
di prassi didattica, nonché del contesto in cui si opera, possono emergere opportunità
anche per la crescita dell’inclusione in modo da ridurre le spinte all’esclusione
determinate dagli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione degli alunni (Booth
T., Ainscow M., 2002) e di promuovere azioni efficaci per il cambiamento.
La promozione dell’inclusione implica infatti necessariamente un’autovalutazione
puntuale e cooperativa che fa riferimento all’insieme delle esperienze di tutti coloro
che sono coinvolti nell’attività scolastica. Al di là delle competenze individuali, si
tratta soprattutto di cogliere le modalità per sostenere la scuola e il miglioramento
professionale, sostenendo nello stesso tempo anche il coinvolgimento e la motivazione
di ciascun allievo.
L’inclusione di tutte le diversità, definita oggi“la pietra angolare”delle politiche educative,
obbliga a rivedere le modalità e le pratiche della relazione educativa nella scuola, a
cominciare dal linguaggio per comunicare, lasciando via via spazi sempre maggiori alle
componenti affettive ed emotive, per incoraggiarle e gestirle positivamente.
Ma per avere senso ed efficacia tutto ciò deve essere condiviso con il territorio e con
la famiglia. Quest’ultima in particolare deve dialogare senza barriere pregiudiziali
con la scuola poiché la tensione verso una comunità inclusiva impegna tutti e
contemporaneamente, come rotta da seguire per realizzare il cambiamento sociale e
culturale indispensabile. Una comunità che possa cioè rappresentare una rivincita sul
senso di sfiducia verso se stesso e verso l’altro che si insinua nei rapporti improntati
a fredda verticalità, e che sia invece capace di stimolare una affettività orizzontale,
pronta a trasformare in benessere psicofisico le innumerevoli ansie e i sentimenti di
inadeguatezza.
Reserch and Education LIFE DESIGN 17
Non si tratta soltanto e semplicemente “di poter disporre di risorse umane e materiali,
quanto piuttosto di promuovere un cambiamento profondo del contesto, in cui siano
previsti spazi alle differenze accolte come elemento fondante delle relazioni tra docenti
e alunni, tra alunni, tra insegnanti e famiglia” (Chiappetta Cajola L., 2008a, p. 31).
La diversità diviene, dunque, l’elemento culturale dell’azione della scuola e comprende
in sé i presupposti relativi ai sostegni e alle risorse per svolgere la sua azione, in
cooperazione solidale con il territorio e con le politiche scolastiche chiamate ad assumere
e sostenere i processi inclusivi. Seguendo questa linea di pensiero appare evidente come
non sia possibile ridurre la dimensione inclusiva della scuola al semplice inserimento in
presenza degli alunni, siano essi espressione di diversità culturali, di genere o di abilità,
oppure ad azioni didattiche basate sulla misurazione di una differenza da “colmare”.
Piuttosto appaiono necessari contesti positivi di apprendimento che riconoscano la
necessità della partecipazione di tutti gli alunni e che siano in grado di permettere ad
ognuno l’acquisizione più ampia possibile degli strumenti per l’autonomia e del senso
di appartenenza alla propria comunità scolastica.
Sviluppare il senso di appartenenza significa sentirsi parte attiva di un gruppo, assumersi
delle responsabilità all’interno di un sistema condiviso, in cui siano chiari diritti e doveri
di ognuno; significa anche dare il proprio contributo rispondendo a richieste possibili
e credibili, sviluppare consapevolmente relazioni di aiuto reciproche evitando ogni
forma di dipendenza e di assistenzialismo. Il senso dell’appartenenza si evidenzia in
questo caso anche come protezione dagli imprevisti, come prendersi cura di sé e degli
altri, e in definitiva come necessaria prevenzione alla eccessiva sicurezza individuale.
La scuola può così diventare un laboratorio vero e proprio di inclusività, socialità,
di buone pratiche, in cui ciò che si fa può essere valutato e ripensato per meglio
interpretarne i meccanismi, i nodi e gli aspetti più significativi e/o problematici per riorientarli lungo un continuo adattamento reciproco, frutto di una interazione gruppale
fatta di condivisione, di attenzione creativa e di convinzioni che vanno accrescendosi.
In questa ottica, i problemi del singolo possono essere avvertiti più leggeri e quindi
maggiormente sostenibili, ma anche più osservabili. L’agire insieme si presenta
come un valido aiuto alla vulnerabilità di ciascuno di noi, docente o allievo con o
senza disabilità, con conseguente riduzione della frustrazione e della sofferenza.
A tale riguardo, il concetto di resilienza aiuta a chiarire la considerazione appena
fatta, dal momento che designa l’arte di adattarsi a situazioni diverse (condizioni
biologiche e socio-psicologiche) e di sviluppare capacità collegate sia a risorse interne
(intrapsichiche), sia esterne (ambientali, sociali, affettive), che permettono una buona
costruzione psichica e un buon inserimento sociale (Anaut M., 2003). Ciò comporta
non soltanto la possibilità di sopravvivere ad un trauma, ma anche di poter costruire
una vita improntata al benessere attorno al trauma stesso, senza tuttavia cancellarlo.
L’arte di adattarsi non implica infatti alcuna cancellazione, ma piuttosto apprendimento
a saper procedere, ad andare avanti nella difficoltà stessa, evitando di arenarsi e
affinando le proprie capacità nell’affrontarla, senza perdersi (pur correndo questo
rischio).
“Ci si trova nel labirinto, ed occorre muoversi lungo il percorso in cui esso si distende,
18 LIFE DESIGN Research and Education
puntando al centro per poter risolvere il problema e subito dopo cercando la via
d’uscita per sfuggire alla logica stessa di quella ricerca” (Bologna C., 2007).
Una scuola inclusiva è una scuola in movimento: l’interazione personaambiente per lo sviluppo dei valori inclusivi
Senza questa continua interazione tra ambiente (non solo biologico ma anche sociale)
e persona e la loro storia, non sarebbe possibile operare verso la consapevolezza della
propria identità. L’ambiente è infatti parte integrante dell’essere, e in qualche modo
anche responsabile, e viceversa: siamo contemporaneamente entrambi, essere e
ambiente. Ecco perché più che l’essere dovremmo considerare “l’esserci”.
“Gli ambienti in cui la scuola è immersa sono più ricchi di stimoli culturali, ma anche più
contraddittori. Oggi l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di
formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche
spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici. Ma proprio per questo la scuola non può
abdicare al compito di promuovere la capacità degli studenti di dare senso alla varietà
delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che
rischiano di caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti (…) Le finalità della
scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del
suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla
famiglia e agli ambiti sociali. La definizione e la realizzazione delle strategie educative
e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni
persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità,
nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Lo studente è posto al centro dell’azione
educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici,
spirituali, religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro
progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui
e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di
significato” (Lutte G., 1984, p. 45).
L’ambiente scolastico è certamente uno spazio fertile dove promuovere la crescita sia
delle persone sia della comunità educativa in cui i saperi si coniugano con il sentire,
con la mediazione dell’esperienza affettiva, con una organizzazione della didattica in
grado di realizzare le condizioni che aiutino a crescere, a “ricordare” ciò che si è appreso
e non a dimenticarlo. Assimilare la conoscenza e ricordare passa anche attraverso la
sfera affettivo-relazionale. Si tratta infatti di un processo che mettiamo in atto per
attualizzare il sapere, per renderlo operativo e gli educatori possono facilitare questa
operazione attraverso una attenzione e un allenamento alla consapevolezza costanti
che aprono a tante opportunità.
Farsi attenti non come un obbligo astratto, ma come processo di conoscenza e di
connessione all’ambiente che ci circonda; è il modo che ci predispone alla relazione
con l’allievo, nella quale diamo e riceviamo. In questo senso, “farsi attenti” non è una
qualità che possiede l’insegnante, quanto piuttosto una risorsa cui attinge per mettere
in atto le strategie necessarie.
Reserch and Education LIFE DESIGN 19
Partire e agire dal e sull’ambiente, e quindi inevitabilmente su chi lo abita e frequenta
e chi l’osserva, implica che nessuno è escluso e che l’insegnamento si integra non
solo con l’esperire degli allievi, ma anche con gli spazi, le classi e gli uffici, come pure i
differenti ruoli coinvolgendoli tutti nel cambiamento. In questo senso, inclusione è sia
ciò che avviene quando “ognuno sente di essere apprezzato e che la sua partecipazione
è gradita”, sia che il peso dell’handicap si sta spostando dall’individuo all’ambiente.
“Inclusione implica il cambiamento: è un percorso verso la crescita illimitata degli
apprendimenti e della partecipazione di tutti gli alunni, un ideale cui le scuole possono
aspirare ma che non potrà mai realizzarsi compiutamente. Tuttavia l’inclusione comincia
a realizzarsi non appena ha inizio il processo per la crescita della partecipazione. Una
scuola inclusiva è una scuola in movimento” (Booth, Ainscow, 2008, p.110).
L’Index per l’inclusione: orientare l’ambiente scolastico verso valori
inclusivi
In relazione a quanto abbiamo affermato nei paragrafi precedenti, appare di
fondamentale importanza che la scuola disponga e impieghi strumenti che le
permettano di ottenere un buon grado di controllo sul proprio sviluppo in senso
inclusivo, analizzando ciò che fanno e autovalutandone gli effetti, e individuando le
priorità per il cambiamento per poi realizzarle in pratica.
Uno strumento innovativo ed efficace, a tale riguardo, è l’Index for inclusion di Tony
Booth e di Mel Ainscow per il Centre for Studies on Inclusive Education (CSIE) in Gran
Bretagna, che opportunamente utilizzato è proprio un modo per migliorare l’ambiente
scolastico sulla base di valori inclusivi.
Ed è un miglioramento da perseguire se si vuole evitare il rischio di parlare della persona
disabile identificandola con un prototipo privo di contesto e quindi privato delle sue
armi di difesa. In realtà è necessario storicizzare la persona e l’ambiente dove questa
vive per non escluderla dalla propria storia e per poterle permettere di riconoscersi e
riconsiderare il proprio vissuto alla luce di una diversa consapevolezza.
Questa operazione aiuta a credere nelle risorse presenti nell’ambiente e in quelle
della comunità che lo abita e lo vive, aiutando a ricercarle dentro di sé soprattutto in
presenza di situazioni di difficoltà.
A distanza di oltre dieci anni dalla sua formulazione e dalla sua diffusione in molte
nazioni, l’Index costituisce una delle più efficaci testimonianze di un percorso inclusivo.
Si tratta di uno studio che mette in discussione l’ambiente, il contesto, verificando
passo dopo passo, la rimozione di ogni ostacolo alla inclusione di tutti.
Ed è proprio questo ampliamento di prospettiva consentito dalla ricollocazione dei
bisogni del singolo nel quadro più ampio della pluralità delle differenze nel contesto
scolastico, che rappresenta l’aspetto più interessante dell’Index, e nello stesso tempo
più problematicamente aperto al dibattito scientifico internazionale.
Con la netta vocazione ad un graduale superamento della prospettiva dell’integrazione
a favore di una più ampia concezione inclusiva per realizzare un effettivo cambiamento
20 LIFE DESIGN Research and Education
che investa gli aspetti culturali, organizzativi e didattici nella scuola, il percorso che
l’Index invita a fare è quello, per un verso, di pensare e parlare delle differenze evitando
di uniformarle o di chiuderle precocemente in codici linguistici e sigle che rischiano
spesso di diventare autoreferenziali; per l’altro, di sviluppare una professionalità
docente in grado di osservare, conoscere e comprendere pienamente la complessità
degli alunni e dei loro bisogni e di considerarli portatori veri e propri di risorse.
Se dunque l’inclusione riguarda tutti gli alunni, e non soltanto quelli con deficit o con
difficoltà, e prende in carico l’insieme delle differenze nell’intento di valorizzare tutte
le potenzialità, la sfida che essa pone, e che echeggia anche nelle pagine dell’Index,
implica dunque non semplicemente “fare posto” alle differenze - in nome di un astratto
principio di tolleranza delle diversità - ma piuttosto affermarle, metterle al centro
dell’azione educativa in quanto nucleo generativo dei processi vitali che si sviluppano
proprio attraverso lo scarto di prospettiva derivante dalle molteplici differenze di
cultura, abilità, genere e sensibilità che attraversano il contesto scolastico (Dovigo F.,
2008).
Da un lato si agisce sulla persona disabile perché possa avere maggiori spazi di
vivibilità e di attenzione nella comunità dove vive, dall’altro, quando si parla appunto
di inclusione, si agisce sull’ambiente per rimuovere tutti quegli ostacoli (non solo
architettonici o tecnologici) che non lo rendono fino in fondo praticabile da chi è in
difficoltà. Quando facciamo riferimento all’inclusione, e qui l’Index è chiaro, intendiamo
soprattutto un ambiente inclusivo, una società equa, pacifica, democratica, solidale
che agisce rimuovendo in continuazione gli ostacoli che ne limitano la fruibilità.
Il concetto chiave per eccellenza è proprio questo della rimozione degli ostacoli
all’apprendimento, a cui fa seguito l’analisi delle risorse e il sostegno alle diversità. La
lunga serie degli indicatori, tracciati sulle dinamiche dell’inclusione, sono un materiale
plastico e adattabile alle diverse soluzioni. Non dunque essi stessi la soluzione, ma un
orientamento verso una sostenibilità maggiore del nostro vivere sociale.
L’Index for Inclusion: uno sguardo d’insieme
L’Index for inclusion: developing learning and participation in schools è una proposta
nata dopo tre anni di studi e ricerche, per lo sviluppo inclusivo della scuola che sviluppa
a livello teorico le motivazioni, le possibilità e gli sviluppi dell’approccio inclusivo e
offre agli interessati anche utili materiali operativi (indicatori, questionari e schede) per
la rilevazione del livello di inclusione promosso nei singoli contesti scolastici.
Si tratta di un approfondito lavoro di ricerca che ha coinvolto insegnanti, genitori,
amministratori e rappresentanti delle organizzazioni delle persone con disabilità, tutti
con un’ampia esperienza rispetto ai temi dell’educazione inclusiva. La versione iniziale
è stata testata in sei scuole primarie e secondarie del Regno Unito; una versione rivista
è stata poi valutata attraverso un programma dettagliato di ricerca-azione svolto in
diciassette scuole appartenenti a quattro differenti Local Education Autority -LEA-, gli
Enti locali che in Gran Bretagna costituiscono il punto di riferimento per le politiche
educative e che godono di un’ampia autonomia rispetto all’investimento delle risorse
e all’assunzione del personale scolastico.
Reserch and Education LIFE DESIGN 21
Le scuole coinvolte hanno trovato nel materiale dell’Index un valido aiuto per
identificare il percorso di orientamento per il proprio sviluppo inclusivo che altrimenti
sarebbe stato probabilmente trascurato, e i modi per metterlo in pratica.
Fase 1
Cominciare a utilizzare l’Index
Fase 2
L’analisi della scuola
Fase 5
Revisione del processo dell’Index
Fase 3
Produrre un progetto
di sviluppo inclusivo
Fase 4
Realizzare le priorità
Fig.1 Il processo di sviluppo con l’Index e il ciclo di pianificazione dello sviluppo della scuola (Booth,Ainscow, 2002)
Le scuole stesse hanno inoltre suggerito delle modalità per migliorare sia la struttura
sia l’uso dell’Index (Booth, Ainscow, 2008, p. 108).
Sostanzialmente offre un percorso, articolato in varie fasi (fig.1) che sostiene l’autoanalisi,
l’autovalutazione e il miglioramento delle scuole, e si fonda sulle rappresentazioni del
gruppo docente, del Consiglio di istituto, dei dirigenti, degli alunni e delle famiglie,
nonché delle comunità presenti sul territorio. Il percorso implica un esame dettagliato
di come possano essere superati gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di
ogni alunno.
Sotto tale profilo, l’Index sollecita lo sviluppo inclusivo dall’interno perché muove
dalle conoscenze, dalle esperienze e dalle rappresentazioni dei suoi attori, e analizza
la scuola non solo rispetto alle politiche e alle pratiche, ma piuttosto rispetto alla
cultura, costituita dai valori e dalle convinzioni che la ispirano. Infatti, nel momento in
cui permette una descrizione della situazione scolastica secondo parametri rigorosi di
tipo sia quantitativo che qualitativo, rende possibile non solo definire il progetto vero
e proprio di sviluppo inclusivo, ma anche di avviare un processo reale di modifica e
di intervento sul sistema scuola, sulla base dei dati valutativi che consente di rilevare.
(Chiappetta Cajola L., 2010).
22 LIFE DESIGN Research and Education
Lo strumento: dimensioni, sezioni, indicatori e domande
Sulla base di un puntuale quadro teorico e di una serie di strumenti legislativi in grado di
sostenere il senso dell’autoanalisi, l’Index si presenta organizzato secondo determinate
dimensioni a loro volta articolate in sezioni che permettono di organizzare e strutturare
l’approccio alla valutazione e allo sviluppo della scuola.
Dimensioni
Sezioni
A. Creare culture inclusive
A.1 Costruire comunità
“Questa dimensione crea una comunità sicura,
accogliente, cooperativa e stimolante, in cui la
A.2 Affermare valori inclusivi
valorizzazione di ciascuno diviene il punto di partenza
per ottimizzare i risultati di tutti, diffondendo valori
inclusivi condivisi e trasmessi a tutto il gruppo
insegnante, agli alunni, ai
membri del Consiglio di istituto, ai dirigenti e alle
famiglie. I principi e i valori, nelle culture inclusive della
scuola, orientano le decisioni sulle politiche educative
e gestionali e sulle pratiche quotidiane nella classe, in
modo che lo sviluppo della scuola divenga un processo
continuo”. (Booth, Ainscow, p. 117)
B. Produrre politiche inclusive
B.1 Sviluppare la scuola per tutti
“Questa dimensione assicura che i valori inclusivi
permeino tutta la progettazione scolastica. Le politiche B.2 Organizzare il sostegno alle diversità
inclusive incoraggiano la partecipazione degli alunni
e del gruppo insegnante fin dal primo ingresso
nella scuola, forniscono aiuto a tutti gli alunni della
comunità locale e riducono le spinte all’esclusione. Ogni
decisione implica chiare strategie per il cambiamento.
Viene considerato sostegno ogni attività in grado di
accrescere la capacità della scuola nel rispondere alla
diversità degli alunni, e tutte le forme di sostegno
vengono sviluppate secondo principi inclusivi e in
modo coordinato all’interno di un quadro unitario”
(Booth, Ainscow, pp. 117-118).
Indicatori e domande
In ogni sezione sono previsti alcuni indicatori (da 5
a 11) che “definiscono un obiettivo a cui mirare e che
vanno confrontati con le pratiche abitualmente in uso
nella scuola, in modo d individuare le priorità per il
cambiamento.
Il significato di ogni indicatore è chiarito da una serie
di domande.
Le domande che seguono ogni indicatore aiutano
a definirne il significato, in modo da sollecitare la
scuola a esplorarlo in maniera dettagliata, spronando
la riflessione su un particolare indicatore e cercando
di far emergere le conoscenze esistenti sulla scuola.
Le domande approfondiscono l’analisi sullo stato
attuale della scuola, forniscono idee aggiuntive per
la costruzione di attività e servono come criterio per
valutare i progressi realizzati. Spesso è quando si
comincia a rapportarsi alle domande che si riesce a
cogliere appieno il significato dell’Index. Alla fine
di ogni gruppo di domande è inserito un invito ad
aggiungerne altre. Mirate alla realtà particolare della
scuola” (Booth, Ainscow, p. 117).
C. Sviluppare pratiche inclusive
C.1 Coordinare l’apprendimento,
“Questa dimensione promuove pratiche scolastiche che
riflettono le culture e le politiche inclusive della scuola. C.2 Mobilitare risorse
Le attività formative vengono progettate in modo da
rispondere alla
Diversità degli alunni, e gli alunni sono incoraggiati a
essere attivamente coinvolti in ogni aspetto
della loro educazione, valorizzando anche le loro
conoscenze ed esperienze fuori della scuola. Il
personale individua nella collaborazione con i colleghi,
gli alunni, le famiglie e la comunità locale le risorse
materiali e umane per il sostegno all’apprendimento e
alla partecipazione” (Booth, Ainscow, p. 118).
Ogni sezione è articolata in diversi indicatori i quali costituiscono il vero livello operativo,
a differenza sia delle dimensioni, sia delle sezioni stesse che fanno riferimento a un
piano più teorico.
L’impianto del lavoro sugli indicatori, su cui si basa la metodologia dell’Index descritta
in questa terza parte del volume, rimanda a una tradizione di studio sostanzialmente
positivista che evidenzia l’importanza di adottare metodi rigorosi applicati alla ricerca
empirica. Gli indicatori offrono, infatti, parametri direttamente osservabili e misurabili
Reserch and Education LIFE DESIGN 23
che consentono un’analisi dettagliata dei vari aspetti che definiscono l’inclusione e
sostengono lo sviluppo delle scuole sulla base dei valori inclusivi, nonché di monitorare
la propria adeguatezza rispetto al modello inclusivo stesso.
Ogni indicatore è ulteriormente chiarito da una serie di domande che aiutano a definirne
il significato, in modo da sollecitare la scuola a esplorarlo in maniera dettagliata,
permettendo di riflettere e approfondire l’analisi sul proprio stato attuale, fornendo
idee aggiuntive per la costruzione di attività e prestandosi ad essere utilizzate come
parametri per valutare i progressi realizzati.
Per tale motivo molte scuole, hanno potuto riscontrare che l’Index permette di ottenere
un buon grado di controllo sul proprio sviluppo in senso inclusivo perchè, analizzando
ciò che fanno, determinano con maggiore fondatezza le priorità per il cambiamento e
le mettono in pratica con piena consapevolezza.
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24 LIFE DESIGN Research and Education
La valutazione
una preziosa risorsa per l’orientatore
Parte Prima
Dott.ssa Valentina Rapo
Cultore della materia in progettazione e sperimentazione di ambienti multimediali per la formazione
Premessa
Molto vasto è il ventaglio dei fattori che contribuiscono a migliorare qualitativamente
il processo di orientamento e le stesse attività dell’orientatore. Tra questi sicuramente la
valutazione risulta avere un ruolo cruciale.
Il presente contributo è diviso in due parti:
• la prima è esplicitamente dedicata al dire, al fare e all’essere della valutazione;
• la seconda (che verrà pubblicata sul prossimo numero) è dedicata all’analisi del rapporto
fra valutazione e orientamento e sul come la valutazione sia realmente valore aggiunto dei
percorsi di orientamento e una risorsa indispensabile per l’orientatore.
Quando si parla di valutazione, la mente corre subito ai tanti significati ad essa associati
nel corso degli anni, che vanno dalle interpretazioni e “stime” che noi facciamo nella vita
quotidiana, infatti possiamo dire che tutti noi valutiamo tutto, ovvero attribuiamo un
valore a tutto ciò con cui entriamo in contatto.
Elaboriamo, spesso, anche se, in maniera disgiunta da una piena consapevolezza della
sua reale natura valutativa, dei giudizi, delle stime, delle misurazioni sulla base di criteri
personali, che ci orientano in una direzione piuttosto che in un’altra, che ci permettono
di scegliere, di decidere in determinate situazioni; alla valutazione come misurazione
dove ci si avvale di criteri prestabiliti e di scale di misura formalizzate, ed ancora, alla
valutazione come controllo, come operazione di verifica, accertamento, monitoraggio
di un attività o di un fenomeno.
La valutazione è un tema trasversale ai più variegati ambiti e settori dell’attività umana
ed , è proprio per questo, che si trova al centro di un forte e vivo interesse.
Inoltre, possiamo affermare che la valutazione è una delle componenti più rilevanti e
complesse dei processi di formazione-apprendimento (e quindi anche dei processi di
orientamento) e si colloca fra questi come vero è proprio centro propulsore di accesi
dibattiti e polemiche, che tutt’oggi, sono in perenne divenire.
In uno scenario così articolato, si sente l’esigenza di porre in essere una rilettura critica
della valutazione e riflettere autenticamente su di essa, sulle sue modalità, sulle sue
diverse forme, funzioni i suoi approcci.
Reserch and Education LIFE DESIGN 25
Valutazione. Oltre la mera pratica verso l’autonomia scientifica.
Cosa è la valutazione? Una pratica? Una teoria? Una scienza?
Il termine valutazione, etimologicamente, fa riferimento ad una azione che attribuisce
un valore. Ingenuamente, si ritiene che valutare sia semplicemente l’elaborazione di
un giudizio, o di una misurazione, o di una stima e che per farlo sia sufficiente saper
utilizzare gli strumenti di cui la valutazione si avvale, ma, in realtà non è affatto così.
Valutare è un attività intrinseca all’attività della mente dell’uomo, è in quanto tale,
richiede l’attribuzione di significato e assume forte valenza la dimensione decisionale,
decidere responsabilmente rispetto ad un ventaglio di possibili significati da attribuire
ad una determinata realtà. Come afferma C. Bisio, la valutazione deve poter avere
conseguenze nella realtà, non è solo produzione di un giudizio, ma produzione di un
giudizio che consenta di fare.
Tutt’oggi, il dibattito sull’autonomia disciplinare è ancora in fieri, non è giunto ad una
soluzione definitiva, perché si è dedicata maggiore attenzione alle tecniche e agli
strumenti della valutazione, ampliando così il discorso più sugli aspetti metodologici,
è meno dal punto di vista degli aspetti ontologici ed epistemologici. In tale dibattito
si afferma da un lato l’autonomia della valutazione in quanto scienza e dall’altro si
sottolinea il carattere della transdisciplinarietà della valutazione. Possiamo citare
alcuni autori, che ci consentono di comprendere meglio l’orizzonte su cui tale dibattito
si muove.
Palumbo, afferma, che parlare di autonomia non significa esulare la valutazione dagli
altri ambiti disciplinari ma, è nella correttezza metodologica del processo di valutazione
che è essa autonoma. Scriven, ritiene che la valutazione sia già scienza e la definisce
una transdisciplina, ovvero una disciplina che fornisce gli strumenti alle altre, al pari
della statistica, della misurazione, della teoria della decisione ed altre ancora.
Bisio, a tal proposito, afferma che la valutazione è una disciplina autonoma, solo se, la
sua concezione è svincolata dalla specificità degli oggetti di valutazione.
Gli orientamenti di fondo e/o approcci della valutazione in ambito
formativo - educativo
La valutazione è una realtà complessa è multiforme e per potersi orientare e districare
in tale complessità, è indispensabile porre in essere una “semplifica-zione”. Ritroviamo,
per questo, molteplici approcci che classificano e catalogano il variegato ventaglio di
modelli valutativi.
N. Stame distingue tre approcci fondamentali, ognuno dei quali costituisce un modo
particolare di assolvere alla funzione di valutare:
1. Approccio positivista – sperimentale:
-- valutazione come analisi e verifica del conseguimento di obiettivi stabiliti a priori
dal decisore
26 LIFE DESIGN Research and Education
-- forte rigore metodologico: validità, affidabilità, coerenza, pertinenza,
neutralità rappresentano le caratteristiche indispensabili che il valutatore deve
necessariamente possedere
-- enfasi sulla misurazione e sulla dimensione quantitativa
-- difficoltà di gestire prevedere eventuali variabili intervenienti non preventivate
2. Approccio pragmatista della qualità:
-- enfasi sulla dimensione della comparazione e sulla definizione degli standard e
all’apporto dei diversi autori coinvolti nella valutazione
-- rischio di una valutazione eccessivamente autoreferenziale e fortemente ancorata
ad indicatori stabiliti dall’esterno
3. Approccio costruttivista:
-- recupera la dimensione della soggettività, del qualitativo
-- punta a comprendere e interpretare un fenomeno, un intervento
-- tale approccio è aperto a cogliere anche (e soprattutto) gli aspetti inattesi
(considerati un ostacolo nell’approccio sperimentale), non sempre può garantire la
generalizzazione e l’utilizzo delle conoscenze e dei risultati ottenuti
Questi tre approcci ripercorrono cronologicamente le “quattro generazioni” proposte
da E. Guba e Y. S. Lincoln in merito allo sviluppo storico della valutazione nel contesto
americano, che troviamo raccolte nel celebre lavoro posto in essere dai i due autori
“Fourth Generation Evaluation” :
-- prima generazione: dai primi anni del XX secolo fino agli anni Trenta – Quaranta, la
valutazione coincide con la misurazione , (Binet, Galton), in cui è lo studente ad essere
oggetto di valutazione;
-- seconda generazione: anni Quaranta inizi anni Cinquanta, (Tyler), la valutazione punta
ad analizzare e descrivere i punti di forza e di debolezza, aspetti positivi e negativi dei
programmi attivati, quindi l’attenzione si sposta sul curricolo,
-- terza generazione: anni Cinquanta - Sessanta, la valutazione è intesa come giudizio,
che si è articolata secondo varie tecniche, in cui normalmente ci si affida a standard e
ci si affida ad un “giudice”,
-- quarta generazione: in questa fase, secondo gli autori la valutazione si allontana dalle
normali regole della ricerca scientifica e si apre ad un nuovo paradigma, quale quello
qualitativo, (naturalistico, ermeneutico, fenomenologico o e dello studio dei casi).
La quarta generazione nasce sotto l’influenza del costruttivismo e del modello del
responsive focusing , approccio antitetico alla tradizionale goal based evaluation,
(guardare il risultato), proposto da R. Stake, e si è affermata una responsive
contructivistic evaluation, che vede nella valutazione un processo socio - politico,
collaborativo, acquisitivo, continuo, ricorsivo, divergente, emergente, produttivo di
realtà, quindi un percorso-processo in continua evoluzione.
Reserch and Education LIFE DESIGN 27
Parallelamente, anche per gli studi docimologici è possibile individuare tre generazioni
che mostrano l’evoluzione della valutazione:
-- prima generazione: dalle origini agli anni Cinquanta, le preoccupazioni iniziali della
ricerca docimologica vertono sull’accertamento dei profitti degli allievi . Finalità:
processo didattico come realizzazione di un programma, valutazione come controllo
degli alunni, da qui i risultati;
-- seconda generazione: dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, le innovazioni didattiche
si proiettano sul significato stesso di valutazione scolastica, intesa come controllo
dell’apprendimento, Finalità – obiettivi: processo didattico come attuazione di una
programmazione, valutazione come controllo dell’apprendimento, rapporto di
circolarità fra queste due dimensioni che conducono ai risultati;
-- terza generazione: dagli anni Settanta fino ai nostri giorni, si riconosce un ruolo
centrale alla valutazione rispetto al processo di insegnamento - apprendimento.
Finalità – obiettivi: processo didattico come attuazione di una programmazione,
come sua eventuale revisione, valutazione come sostegno per l’apprendimento,
circolarità fra le due dimensioni ci conduce ai risultati. Nella terza generazione, non
si concepisce più la valutazione come mero controllo e come momento finale del
processo educativo - formativo posto in essere dall’educatore , in cui l’educando
aveva il ruolo del destinatario, ma un educando che si mette in gioco, che partecipa
attivamente e responsabilmente a tutto il processo educativo – formativo è quindi
anche nel momento valutativo.
Metodologie della valutazione: quantitativa, qualitativa, verso una
possibile integrazione
Il dibattito scientifico già dal XIX secolo, è caratterizzato dalla storica contrapposizione
tra quantità e qualità.
La dimensione quantitativa deriva dalle concezioni sperimentali - esplicative mentre,
quella qualitativa deriva, da concezioni fenomenologiche - comprendenti, tali si
differenziano non perché, ci dicono le stesse cose in modo diverso, ma perchè ci
conducono a conoscenze diverse di uno stesso “fenomeno” considerato. Ormai sono
lontani i tempi delle diatribe e delle fratture fra le due metodologie valutative ci si
muove verso l’integrazione metodologica.
Come afferma, F. Tessaro, l’integrazione metodologica non consisterà nella mera
fusione delle tecniche quantitative e quelle qualitative, quanto nell’individuare i punti
di comunicazione e di complementarità che tra esse possono esistere.
Chi vuole accertare rapidamente, sinteticamente e in modo “oggettivo” l’efficacia di un
progetto educativo – formativo, adotterà certamente procedure di tipo quantitativo. A
tal proposito, Tessaro, sostiene che la strategia dell’inchiesta può essere considerata il
compendio dell’approccio quantitativo alla ricerca valutativa ed adotta come strumento
privilegiato il questionario standardizzato applicato a campioni di popolazione.
28 LIFE DESIGN Research and Education
Le fasi metodologiche dell’inchiesta sono:
-- l’ideazione: individuazione degli oggetti di ricerca e della prefigurazione dei suoi
percorsi;
-- progettazione: qui si decidono gli strumenti d’indagine da adottare o eventualmente
da costruire, inoltre, si sceglie il campione. La scelta del campione, dipende dai costi
e dai tempi e deve essere rappresentativo della popolazione di riferimento;
-- fase di taratura: somministrazione, in anteprima, del questionario ad un gruppo
ristretto di persone aventi le stesse caratteristiche del campione prescelto. La
“taratura” mira a verificare la validità e fedeltà del questionario, se consente di rilevare
ciò che realmente si vuole rilevare;
-- realizzazione: somministrazione del questionario, o conduzione di interviste che
consente la raccolta dei dati, inseriti negli archivi informatizzati, Data Base, costruendo
così, le “classiche”“C x V” , le tabelle Casi per Variabile, dove sono inserite le risposte dei
soggetti – campione. Dall’incrocio riga – colonna si ha il valore della risposta fornita
da una precisa persona ad una precisa domanda;
-- elaborazione dei dati attraverso l’ausilio di tecniche e strumenti della statistica e della
tecnologia informatica Excel e SPSS che consentono di elaborare un enorme mole di
dati in poco tempo;
-- presentazione dei dati: riflessione su i dati elaborati, affermare se le ipotesi formulate
all’inizio sono state confutate o confermate.
Chi, invece, vuole “scavare” a fondo nel fenomeno osservato, per catturarne il senso più
profondo, che difficilmente potrebbe essere colto dall’approccio quantitativo, perché
più distaccato ed impersonale, e vuole, anche, mettere fra parentesi tutte le ovvietà, non
può non orientarsi verso l’approccio qualitativo che orientato alla comprensione e non
alla mera spiegazione, propria delle scienze naturali. Se l’inchiesta quantitativa si basa
sul criterio della validità, nel qualitativo il criterio è l’autenticità che, deriva dall’ampia
libertà nella raccolta delle informazioni, a differenza dell’investigazione misurata.
Gli strumenti di indagine o meglio le tecniche più utilizzate nella metodologia
qualitativa sono:
-- l’osservazione partecipante;
-- l’intervista in profondità;
-- lo studio di caso;
-- l’analisi conversazionale: che riguarda lo studio del conversare ordinario e quotidiano;
-- etnometodologia;
-- l’analisi del contesto;
-- le tecniche audiovisive.
Le informazioni qualitative possono essere così elaborate:
-- costruzione di sistemi descrittivi: combinazione dei risultati di più osservazioni, che
Reserch and Education LIFE DESIGN 29
consentono la costruzione di sistemi di descrizione;
-- analisi qualitativa di relazioni: qui l’intento non è solo di descrivere ma anche quello
di trovare le connessioni che spesso sono suggerite dagli stessi intervistati, nella
relazione fra eventi e fenomeni;
-- formulazioni di sintesi: aggregazione delle informazioni emerse dalla costruzione dei
sistemi descrittivi e dall’analisi qualitativa delle relazioni.
L’approccio integrato di valutazione ha una breve storia e tradizione alle spalle,
soprattutto se la si confronta con quella degli approcci qualitativi e quantitativi. L. Verdi
Vighetti, sostiene che l’integrazione è una necessità storica, istituzionale e normativa
oltre che a rappresentare una sfida coraggiosa epistemologica e/o metodologica.
Tale approccio pone in essere una “convivenza” tra quantitativo e qualitativo, la
valutazione si presenta come meta-funzione che si da il compito di comprendere più
che formulare giudizi discriminativi, quindi è un approccio aperto al dialogo, perché
consente di integrare metodologie e strumenti solitamente antagonisti. Crea quasi una
complementarietà fra i due approcci, potremmo dire (con molta ponderatezza) che
quel “quid” che manca all’approccio quantitativo viene aggiunto da quello qualitativo
e viceversa. M. Lichtner, ci invita a riflettere sul fatto che nessuno dei due approcci
può essere considerato infallibile, e quindi se riconosciamo la possibilità di errore in
entrambi gli approcci standard, a maggior ragione bisogna riconoscerla nell’approccio
integrato. Per tanto, come afferma L. Verdi Vighetti:
l’approccio integrato di valutazione ha bisogno di sviluppare e rendere esplicitala
dimensione riflessiva che è presente in ogni valutazione, in quanto essa è già riflessione
sull’esperienza alla ricerca del valore (C. Bisio, 2002, p. 283).
Forme e aspetti della valutazione
Al riguardo delle forme della valutazione, B. Vertecchi ha evidenziato i molteplici aspetti
che la valutazione assume in relazione al processo di insegnamento-apprendimento,
articolandole nel seguente modo:
1. valutazione iniziale (o di ingresso): ricognizione generale delle conoscenze che il
soggetto possiede, distinguibile a sua volta in:
-- valutazione dei prerequisiti: valutazione più specifica della precedente perché
verte sul possesso da parte del soggetto di capacità conoscenze necessarie al
processo di insegnamento-apprendimento;
-- valutazione analogica: evoluzione della valutazione iniziale, mira ad individuare
e stimare le eventuali difficoltà che ogni singolo soggetto dovrà affrontare nel
processo di insegnamento-apprendimento;
2. valutazione intermedia: coincide con la valutazione formativa,
-- valutazione diagnostica : offre uno sguardo retrospettivo al processo, ed è
proprietà comune alla valutazione iniziale e a quella intermedia;
3. valutazione finale: comprende
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-- la valutazione sommativa: relativa alla fase finale, serve ad apprezzare i risultati
conseguiti;
-- la valutazione predittiva: mira ad anticipare quali saranno i risultati positivi o
negativi effettivamente raggiungibili dal soggetto;
-- la valutazione di orientamento (o di giudizi): mira al massimo potenziamento
delle possibilità dei soggetti;
-- la valutazione prognostica: anticipa un certo corso degli eventi o concorre a
determinarlo, quella predittiva e di orientamento sono valutazioni prognostiche.
Funzioni della valutazione
Riconosciamo sette funzioni valutative fondamentali:
-- funzione di controllo: la valutazione serve a misurare i risultati raggiunti dai
programmi educativi. Il modello di riferimento è il metodo sperimentale tradizionale,
la valutazione ha il fine di verificare l’ipotesi;
-- funzione di miglioramento: si valuta per migliorare quanto realizzato. La valutazione
mira a stabilire i progressi degli studenti . L’oggetto di valutazione è il risultato delle
azioni. I criteri di valutazione sono: misurabilità, validità, attendibilità e riproducibilità.
Quindi la valutazione consiste nel confrontare l’obiettivo (comportamento atteso)
con il risultato (comportamento finale effettivamente ottenuto);
-- funzione di informazione: la valutazione serve a raccogliere informazioni attendibili
per agevolare e consentire la presa di decisioni sul programma educativo;
-- funzione di giudizio di valore: la valutazione come espressione di un giudizio circa il
merito o il valore di qualcosa;
-- funzione esplicativa o di interpretazione: qui la valutazione è tesa a spiegare e
commentare i fenomeni al fine di conoscerli per attribuirli senso e significato;
-- funzione comprendente: la valutazione serve ad interpretare, comprendere e
modificare la realtà oggetto di attenzione;
-- funzione decisionale: la valutazione consente la decisione delle strategie e delle
modalità di azione più appropriate
Le dimensioni della valutazione
La valutazione, come ormai è noto, è parte integrante e fondamentale dell’attività
formativa. Distinguiamo quattro dimensioni della valutazione:
-- valutazione di profitto (degli apprendimenti): riguarda tutte le operazioni compiute
dall’insegnante nei riguardi delle attività svolte dagli allievi. Normalmente, tale
valutazione è tripartita in valutazione diagnostica, formativa e sommativa;
-- valutazione di processo: come monitoraggio o presa di decisione in corso di attività,
Reserch and Education LIFE DESIGN 31
quindi l’insieme delle attività complesse, per le quali, la raccolta delle informazioni
può essere utilizzata per rettificare e per ricalibrare le decisioni in corso;
-- valutazione di progetto: valutazioni che si compiono sul progetto didattico –
formativo, cioè prima che esso entri nella fase attuativa;
-- valutazione di sistema: si tratta di una valutazione complessiva dell’esperienza
compiuta, si va a valutare sia il processo che il risultato dell’esperienza nella sua
totalità, in termini di gestibilità complessiva, ragionevolezza dei tempi, risorse
impiegate, chiarezza sulle finalità, coerenza del risultato rispetto agli obiettivi
dichiarati. La valutazione sistemica, non va intesa come mero giudizio finale
dell’efficacia complessiva dell’esperienza, ma come un vero è proprio monitoraggio
continuo, riguardante tutte le dimensioni coinvolte nel processo.
Concludendo questa prima parte possiamo affermare che la valutazione con le sue
tante sfaccettature, con i suoi diversi contesti e momenti di applicazione e con le sue
diverse metodologie, rappresenta un’operazione molto delicata e merita un autentica
riflessione e va affrontata con grande responsabilità.
Bibliografia
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teorie,modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola, Franco Angeli, Milano
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Sitografia per approfondire i temi trattati
http://www.formazioneadulti.com
http://www.isofol.it (certificazione delle competenze e nel mondo del lavoro).
http://www.irrelombardia.it (materiali presentati in occasione del convegno “Portfolio Portfolii”).
http://www.bdp.it/adi/portfolio/icert (valutazione autentica di M. Comoglio).
32 LIFE DESIGN Research and Education
L’orientamento diacronico formativo. Un modello
da applicare fin dalla scuola primaria
Dott.ssa Alessia Checchi
Università degli Studi Roma Tre. Funzionario amministrativo presso la Presidenza della Facoltà di Scienze
della Formazione.
La consapevolezza del ruolo strategico giocato dalla scuola in materia di orientamento
ha assunto una veste istituzionale solo nel 1997 quando, con la direttiva ministeriale
n.487 viene esplicitata e formalizzata la necessità di estendere l’azione orientativa a
tutto il curriculum scolastico. Vi si legge infatti:
“l’orientamento – quale attività istituzionale di ogni ordine e grado – costituisce parte
integrante dei curricoli di studio e, in generale, del processo educativo e formativo sin dalla
scuola materna”.
Le concezioni più mature in ambito orientativo finalmente riconoscono all’orientamento
una natura multidisciplinare portatrice di diverse prospettive tra cui una a forte valenza
educativa.
È ormai assunto che nell’intervento orientativo sono racchiuse grandi potenzialità
pedagogiche, e con l’espressione “intervento orientativo” si intende un’azione
intenzionale, programmata e controllata, i cui obiettivi educativi sono ben esplicitati e
le azioni messe in atto sono frutto di esperienza professionale e culturale, finalizzata ad
agevolare il pieno sviluppo della persona da un punto di vista affettivo-motivazionale,
culturale e professionale, attraverso l’offerta di diversi strumenti combinati insieme in
modo adeguato a formare un percorso educativo professionale.
Possiamo dire che dopo anni di dibattiti e ricerca sulla materia si è ormai giunti a
riconoscere il valore educativo insito nell’orientamento, occorre però ora riconoscere
alla scuola le relative responsabilità in merito.
“La scuola si delinea ancora come una risorsa preziosa per la definizione dell’identità socioprofessionale dei giovani e un supporto significativo nei momenti della scelta. È per questo
che per comprendere l’importanza che la scuola riveste nell’orientamento dei giovani è
necessario andare oltre la concezione di mero contesto d’apprendimento e riconoscere i
molteplici significati che le vengono assegnati. Per quel che concerne il nostro tema essa è un
vero e proprio luogo di vita oltre che di conoscenze e formazione in vista di una professione
futura; è banco di prova per sperimentare le proprie capacità di riuscita e luogo d’incontri
significativi con adulti e coetanei con cui identificarsi” (Castelli 2002).
Ma a ben vedere, i compiti che la scuola può assolvere in questo preciso contesto storico
economico sono ancora più specifici.
La società che l’azione congiunta di un certo numero di governi, gruppi, e singoli individui
ha contribuito a creare, è caratterizzata da complessità e trasformazioni repentine che
generano inevitabilmente incertezza e disorientamento.
Reserch and Education LIFE DESIGN 33
Le trasformazioni riguardano tanto il campo del lavoro e le figure professionali che lo
animano, quanto le relazioni sociali con le loro dinamiche, modalità, riti e credenze
culturali. Il soggetto pertanto è chiamato a sviluppare competenze nuove per far
fronte alla complessità e per rivedere e riformulare più volte il suo progetto formativo,
professionale e personale.
Queste competenze si sviluppano nell’arco degli anni ma le loro “fondamenta” possono
essere gettate fin dai primi anni scolastici.
Proprio in questo contesto di complessità crescente le varie agenzie formative (prima fra
tutte la scuola) devono programmare il proprio intervento; in particolare la scuola può
fornire “quella strumentazione cognitiva e affettivo-relazionale (che si esprime in requisiti
concettuali, atteggiamenti e disposizioni) ormai necessaria per garantire l’instaurarsi, in
ognuno, di processi di autoapprendimento e di auto-orientamento continui, nonché
una efficace partecipazione a corsi di aggiornamento delle competenze già possedute”
(Domenici, 1998).
Il modello di orientamento diacronico formativo è stato pensato e strutturato
proprio in tal senso.
Riprendiamo per un istante la già citata circolare ministeriale, punto di partenza di questa
riflessione. Nella frase “l’orientamento… costituisce parte integrante dei curricoli”, è
racchiusa l’essenza innovatrice dell’idea di orientamento scolastico, come a dire che
deve essere la didattica stessa a fare orientamento.
Nel modello di orientamento diacronico formativo l’orientamento, difatti, non è più
un intervento a se stante da mettere in atto in momenti specifici, e ad esso destinati,
dell’orientamento scolastico, ma è un effetto implicito dell’atto stesso del fare scuola. È
implicito nel processo didattico, per tanto inizia con esso e procede con esso dal primo
anno di scolarizzazione e per tutto il tempo in cui l’individuo è inserito in un processo di
insegnamento-apprendimento.
Nei modelli di didattica modulare ed individualizzata l’orientamento diacronico
formativo trova il suo punto di forza. Si tratta dunque di organizzare l’apprendimento
secondo dei moduli che, impegnando l’allievo nell’apprendimento di varie unità
didattiche a carattere disciplinare, gli danno la possibilità di:
• prendere coscienza di abilità, attitudini e motivazioni di cui è in possesso,
• acquisire nuove conoscenze,
• acquisire nuove abilità,
e di conseguenza:
• sperimentare nuove motivazioni
• sviluppare nuovi interessi.
Con le unità didattiche disciplinari si cerca di garantire il successo nell’esecuzione del
compito per far si che l’esperienza sia positiva sia da un punto di vista cognitivo che da
un punto di vista affettivo.
Partendo dall’assunto secondo cui è l‘organizzazione della didattica e la personalizzazione
della proposta formativa a rendere, si, possibile la valorizzazione degli interressi e delle
34 LIFE DESIGN Research and Education
attitudini individuali già presenti, ma anche a promuoverne e a svilupparne di nuovi
e più duraturi, questo modello coniuga a mio avviso obiettivi d’ordine pedagogico,
culturale e civile.
La circolarità virtuosa tra apprendimento e motivazione e le sue
ricadute in tema di orientamento.
La didattica e, di riflesso, la scuola, svolgono un’azione orientativa nel momento in cui
danno modo all’individuo in formazione di venire a conoscenza delle proprie attitudini,
ma anche e soprattutto di prendere coscienza di interessi e motivazioni potenzialmente
presenti ma probabilmente sconosciuti perché non sollecitati in modo adeguato.
Se infatti l’orientamento deve essere auto-orientamento, appare chiaro che, il lavorare
al fine di offrire all’individuo gli elementi per fare esperienza di se anche da un punto
di vista culturale, è elemento indispensabile per renderlo autonomo nelle decisioni e
nell’elaborazione di un suo progetto di vita: formativo e/o lavorativo, ma al contempo
personale.
L’individualizzazione della proposta di istruzione rappresenta, dunque, il primo elemento
costitutivo del modello diacronico-formativo e permette di smentire uno dei principali
e più radicati luoghi comuni di cui la scuola è vittima: trattare gli interessi e le attitudini
come fossero variabili indipendenti del processo di insegnamento-apprendimento e,
quindi, attribuire loro un rapporto di causalità univoco sui risultati di quest’ultimo.
Per dirla diversamente questo è uno stereotipo ricorrente, secondo il quale esisterebbe
un inevitabile nesso causale tra il corredo di capacità, di conoscenze, di abilità possedute
dagli allievi al moneto di intraprendere un percorso formativo e i risultati conseguiti
al termine del percorso stesso. Accade così che, quando questi sono soddisfacenti,
vengono attribuiti alle doti attitudinali e di impegno personale dell’allievo; quando non
sono soddisfacenti vengono fatti risalire alle carenze di carattere cognitivo motivazionale
manifestate all’accesso nella scuola.
Se si postula l’immodificabilità delle attitudini e degli interessi si nega ogni valore
dell’istituzione scolastica; quest’ultima, costretta a riprodurre in uscita, e in modo per
giunta formalizzato, le stesse caratteristiche che gli allievi presentavano in entrata
(risultati rappresentabili secondo la normale curva di Gauss), non fa altro che sancire il
suo fallimento.
È invece possibile agire sulla formazione di interessi ed attitudini grazie ad una
programmazione didattica ragionata e modularizzata che permetta, per dirla con parole
di Domenici, a ciascuno e tutti gli allievi di avvicinarsi in modo proficuo e positivo, vale a
dire affettivamente motivante, a ciascuno e tutti i contenuti disciplinari che conpongono
un dato corso di studi.
Infatti tra i due ambiti “quello cognitivo e quello affettivo-motivazionale, sussiste una
circolarità che a seconda delle condizioni può diventare virtuosa o viziosa. Se la scuola
struttura le condizioni per cui gli allievi portano a termine positivamente il proprio
compito di apprendimento, in effetti favorisce, sul piano psicodinamico, un incremento
Reserch and Education LIFE DESIGN 35
del livello di autostima di ciascuno allievo, dalla sensazione di obiettiva adeguatezza al
compito richiesto che può indurre a un maggior impegno – vissuto come significativo
e gratificante – sul piano squisitamente cognitivo, generando l’auspicata circolarità
virtuosa” (Domenici, 2001). Elemento altrettanto indispensabile di questo modello di
intervento è la diacronicità delle azioni, si sono infatti rivelati fallimentari, negli ultimi
decenni, i diversi progetti di orientamento scolastico che a vario titolo venivano messi
in atto nell’ultimo anno di ciascun grado di scuola, in posizione terminale, cioè quando
ormai si sono ben strutturati negli allievi interessi e attitudini, persino progetti di vita,
che la scuola non può più modificare positivamente anche se ha contribuito, certo, a
sviluppare, ma su un piano di totale inconsapevolezza: la loro origine scolastica è per
molti versi casuale così come casuale è il prodotto delle competenze promosse.
Il modello in sintesi
Figura 1 – L’orientamento diacronico formativo e le implicazioni affettivo-motivazionali.
36 LIFE DESIGN Research and Education
In concreto, e sintetizzando per chiarezza espositiva, il modello si compone di una serie
di attività interconnesse e operativamente riassumibili come segue:
1. accostamento reale e positivo di ciascun allievo a tutti gli ambiti disciplinari che
compongono il curriculum,
2. rilevazione lungo l’asse del tempo dell’andamento delle relazioni tra sfera cognitiva e
sfera affettiva a ciascun ambito disciplinare grazie all’impiego del dossier personale,
3. promozione di una conoscenza complessiva del contesto storico-ambientale,
culturale, sociale, economico, politico, ecc. in cui si trova a vivere il soggetto,
4. riflessione sulla strutturazione dei processi decisionali e proposizione delle capacità
di assumere decisioni,
5. offerta di pacchetti informativi relativi ai processi formativi e al mondo del lavoro ed
esperienza e conoscenza diretta di quest’ultimo,
6. promozione di condizioni favorevoli per lo sviluppo in ciascuno di un proprio e
autonomo progetto di vita.
Verso un modello integrato
In questo contesto di complessità l’orientamento gioca un ruolo fondamentale nella
costruzione di un proprio progetto di vita. Ciascuno di noi nel vivere la propria vita mette
in atto una serie di scelte e decisioni, più o meno consapevoli, che danno luogo ad un
progettazione. A mio avviso gli ambiti che tale progettazione coinvolge sono almeno
tre: personale, formativo e professionale. Essi solo apparentemente sembrano separati,
in realtà si intersecano e si influenzano a vicenda, ed un buon modello di orientamento
dovrebbe tener conto e avere cura di tutti.
Per quanto concerne il piano della progettazione formativa l’orientamento svolge un
ruolo scontato, ma a ben vedere, sono assai rare le realtà in cui le attività di orientamento
svolte hanno davvero un valore pedagogico-formativo oltre che orientativo.
Ciò implica anche la presa in carico del soggetto da un punto di vista sia psicologico
che pedagogico. Applicare un intervento di progettazione formativa vuol dire accertarsi
che il soggetto abbia chiara conoscenza delle proprie competenze, di ciò che desidera
realizzare e delle motivazione che lo sostengono, ma vuol dire anche orientare e
riorientare sia nei momenti di transizione tra un grado di scuola e l’altro, sia all’interno
dello stesso grado in caso di ripensamenti, trasferimenti e fuoriuscite al fine di renderli
meno traumatici possibile.
Un accettabile modello di orientamento dovrebbe contenere tutti gli elementi necessari,
anche se non sufficienti, per garantire l’acquisizione da parte di ciascun allievo di quella
strumentazione cognitiva indispensabile per cogliere le dinamiche del cambiamento
delle società complesse, per interpretarle, per agire con scelte oculate anche al fine di
partecipare allo stesso cambiamento e di governarlo.
Un modello siffatto non può che inserirsi all’interno di un approccio di tipo globalisticointerdisciplinare. L’orientamento diacronico formativo elaborato da Domenici si inserisce
perfettamente in questa prospettiva e assolve contemporaneamente ad un certo
Reserch and Education LIFE DESIGN 37
numero di azione diversificate tra loro, ma ugualmente importanti d’ordine formativo,
educativo, pedagogico, culturale ma al contempo anche civile.
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38 LIFE DESIGN Research and Education
Le tecnologie digitali per la didattica tra
innovazione e nuove competenze
Eleonora Guglielman
Università degli Studi Roma Tre. Scuola Dottorale in Pedagogia e Servizio Sociale
Le tecnologie dell’educazione
L’area di ricerca e applicazione della tecnologia dell’educazione si è sviluppata in
ambito internazionale nella seconda metà del Novecento sotto il nome di “education
technology” o “instructional technology”. Si tratta di un’area di confine tra diverse
discipline: tecnologie della comunicazione, pedagogia, scienze cognitive, epistemologia,
semiologia, ermeneutica, ecc. Il termine “tecnologia” si differenza a livello semantico dal
termine “tecnica”: mentre quest’ultima è descrivibile come un insieme di comportamenti
finalizzati al conseguimento di un risultato preposto, la tecnologia, ossia la tecnica più il
logos, si configura come un elemento altro e superiore. Possiamo definire la tecnologia
come lo studio dei procedimenti, la riflessione sulla tecnica e l’individuazione dei suoi
rapporti con la cultura e lo sviluppo della civiltà, in un processo metariflessivo che
abbraccia sia la dimensione astratta sia quella teorica.
Quando parliamo di tecnologia dell’educazione facciamo riferimento a dei sistemi
di mezzi didattici basati su presupposti scientifici e tecniche avanzate per la
razionalizzazione della produzione e del controllo di programmi d’insegnamento
con la finalità di risolvere problemi complessi, coinvolgenti persone, procedure, idee,
organizzazione, risorse tecniche e finanziarie (Laeng, 1990; Galliani, 1993).
Le tecnologie dell’educazione hanno trovato applicazione in campo educativo e
scolastico a partire dagli anni ’50 negli USA e nel decennio successivo in Italia. I primi
studi si fanno risalire a Skinner, professore di psicologia all’Università di Harvard, che
all’interno del paradigma comportamentista ha elaborato una tecnologia didattica
specifica che prende il nome di “istruzione programmata” e che consiste nell’articolare
i piani di studio e dei programmi scolastici in sequenze di unità minime, ciascuna delle
quali è seguita da un rinforzo positivo. L’istruzione programmata si basa sull’attivazione
di un processo automatico di apprendimento individualizzato nel quale ogni singolo
step dell’acquisizione di conoscenze è sottoposto al controllo da parte dell’allievo.
Successivamente le tecnologie educative si sono sviluppate in due principali filoni: quello
del teorie del curricolo e della programmazione (Bloom, Carroll, Gagnè, ecc.) e quello
tecnico-informatico, in cui il computer è usato come agente istruzionale e supporto
all’apprendimento. Quest’ultimo si è evoluto in due direzioni di ricerca: scienza dei mezzi
(in prevalenza audiovisivi), negli anni ’60, in cui l’attenzione è centrata sulla macchina, le
sue caratteristiche e il suo impatto nei processi formativi; successivamente, studio delle
tecnologie didattiche come vero e proprio sistema di insegnamento (Olimpo, 1993).
La diffusione delle tecnologie nella scuola ha conosciuto una significativa evoluzione:
Reserch and Education LIFE DESIGN 39
radio, stampa, televisione, audio e video registrazione, personal computer, e, negli ultimi
anni, l’uso del web, che ha segnato il passaggio dalla multimedialità all’ipermedialità,
ossia la contaminazione di elementi mediali e codici differenti inseriti in una struttura
reticolare. Anche l’uso del computer nella didattica si è profondamente modificato nel
tempo: dal modello didascalomorfo, nel quale il medium era visto come sostituto del
docente secondo un approccio comportamentistico-cibernetico, si è giunti ai modelli
di apprendimento collaborativo e apprendimento mutuato che hanno luogo negli
ambienti virtuali di apprendimento, nei quali si attuano metafore apprenditive spaziotemporali e trovano il necessario spazio di interazione e condivisione le comunità di
apprendimento e di pratica. (Trentin, 2004)
In accordo con Bruner, che definisce “amplificatore” l’ausilio di sistemi di attrezzature
esterne che consentono all’uomo di evolversi (Bruner, 1968), possiamo individuare nel
computer un amplificatore delle capacità umane e, più precisamente, dell’apprendimento.
Tale concetto è ripreso da Olimpo, che nel definire la tecnologia come amplificatore
delle capacità umane ne propone un’articolazione in quattro dimensioni:
• tecnologia come amplificatore cognitivo: riguarda i contenuti e i processi
dell’apprendimento e le strategie didattiche dei nuovi modelli di apprendimento
(multimedialità, formazione a distanza, e-learning, ecc.);
• tecnologia come amplificatore cooperativo: il focus è sull’interazione e sul ruolo che
gioca nello sviluppo cognitivo. Le tecnologie sono quelle interattive e collaborative
(classi virtuali, gruppi collaborativi online, computer conference, ecc.);
• tecnologia come amplificatore informativo: relativo alla possibilità di accedere alle
informazioni (web, banche dati, documenti, raccolte di esperienze significative, ecc.); il
focus è sulle capacità di cercare le informazioni, valutarle, manipolarle, riorganizzarle
e ristrutturarle;
• tecnologia come amplificatore espressivo: riguarda il potenziamento delle capacità
espressive e lo sviluppo di un nuovo codice comunicativo con l’avvento della
multimedialità (Olimpo, 1999).
Ancora, nel tema di tecnologie e media come estensioni del nostro corpo, Maragliano
ipotizza quattro fasi progressive: nella prima la macchina estende una nostra facoltà o
un nostro senso; nella seconda rinunciamo a quella parte del nostro corpo delegandola
a un agente esterno, in una sorta di “autoamputazione”. È questa la fase che possiamo
definire più strettamente quella della tecnologia. Nella terza fase l’autoamputazione ci
destabilizza provocando in noi una reazione di torpore, ossia un porsi passivamente
nei confronti della macchina. La fase di narcosi pone le basi per un nuovo equilibrio
e per nuove estensioni del corpo e della coscienza che si realizzano attraverso i mass
medi: è questa la quarta fase (Maragliano, 2004). In questa ricomposizione le tecnologie
educative trasformano in profondità le attività formative, modificandone le seguenti
dimensioni:
• analisi delle organizzazioni formative in quanto sistemi;
• progettazione didattica e programmazione educativa;
• produzione di materiali e media didattici;
40 LIFE DESIGN Research and Education
• gestione o conduzione delle dinamiche comunicative;
• valutazione come dimensione formale nella rappresentazione dei processi
dell’insegnare e dell’apprendere;
• sviluppo, sperimentazione, implementazione di nuovi modelli educativi e ambienti
formativi (Calvani, 1995).
La didattica nel web e con il web
La rete si presta a diversi usi in campo educativo e scolastico: può essere un luogo di
comunicazione, di scambio e collaborazione, un deposito di informazioni a cui attingere,
uno spazio di pubblicazione. Gli ambiti e le funzioni della didattica in rete possono
essere articolati come segue:
• la rete come luogo in cui cercare informazioni: accesso a banche dati, consultazione di
siti, di documenti, archivi online, ecc.;
• la rete come luogo in cui pubblicare informazioni: creazione di siti web, allestimento di
ambienti virtuali, diffusione di informazioni di interesse scientifico o personale (blog,
ecc.);
• la rete come luogo di comunicazione: scambio di idee ed esperienze attraverso
strumenti di comunicazione sincrona (chat, videoconferenza) o asincrona (e-mail,
forum, ecc.);
• la rete come luogo di collaborazione/cooperazione: sviluppo di attività di gruppo per
perseguire un obiettivo (realizzazione di un progetto, crescita formativa dell’individuo
e del gruppo, soluzione di un problema comune, sperimentazione, ecc.) (Calvani e
Rotta, 1999).
La rete in quanto contenitore di informazione si configura come uno sconfinato insieme
di risorse, testi e documenti. Di fronte alla saturazione di informazione il problema è
che cosa cercare e come cercare, imparando a distinguere la pertinenza e la qualità dei
contenuti. Per esplorare le risorse in Internet è necessario acquisire senso critico, anche
in considerazione della complessità dell’esperienza che si sta compiendo in termini di
selezione, criterio di raccolta e valutazione delle risorse stesse. La capacità di reperire
informazioni in rete investe tre ordini di competenze: cercare le informazioni (sapersi
orientare nello spazio virtuale utilizzando il browser, utilizzare i principali motori di
ricerca e le loro funzioni); ordinare, classificare, strutturare e sintetizzare le informazioni
ottenute; valutare le risorse in rete secondo la loro pertinenza, veridicità, significatività,
efficacia didattica, possibilità e opportunità di utilizzo, qualità dei contenuti (Guglielman
e Vettraino, 2009).
Nella ricerca di risorse didattiche può essere utile, per iniziare, operare una distinzione
tra risorse strutturate e risorse non strutturate. Le risorse strutturate sono tutte quelle
esplicitamente costruite per offrire un sussidio alle attività educative e didattiche, come
ad esempio banche dati, siti didattici, atlanti, enciclopedie, musei, siti scolastici, università,
ecc. Le risorse non strutturate sono tutte quelle cui l’utente può liberamente attingere
per prelevare informazioni e materiali e che contribuiscono alla costruzione dei saperi
Reserch and Education LIFE DESIGN 41
informali, come ad esempio siti tematici, siti personali, blog, articoli, newsletters, riviste
e quotidiani, siti istituzionali, ecc. Un esempio di approccio critico alle risorse didattiche
in rete è quello proposto da Rotta (Calvani e Rotta, 1999) per la valutazione qualitativa
delle risorse; si tratta di esaminare l’oggetto multimediale esplorato da quattro punti di
vista:
• la sua collocazione: come è situato nel contesto, chi sono i destinatari, quali funzioni
vuole assolvere (persuadere, incuriosire, informare, ecc.);
• la qualità del contenuto: come è stato selezionato, quali sono le fonti, il gradi di
scientificità e accuratezza, ecc.;
• l’organizzazione della navigazione: la facilità di orientamento nelle informazioni, la
loro chiarezza, le interazioni stimolate, ecc.;
• lo stile: l’usabilità del sito, l’aspetto grafico, la leggibilità ecc.
La griglia di analisi si presta alla riflessione critica e all’oggettivazione dei giudizi formulati
e può essere efficacemente utilizzata come riflessione guidata di gruppo.
Nella rete il lettore diventa anche autore: attraverso siti web, blog, social network
e strumenti di pubblicazione ha la possibilità di partecipare alla costruzione
dell’informazione cessando di esserne un fruitore passivo. Scuole, docenti e studenti
attraverso la presenza in rete acquistano l’opportunità di rendersi visibili e raccontarsi,
uscendo dal confine “fisico” dell’aula o dell’istituto. La rete può essere anche un luogo di
lavoro collaborativo. Secondo il paradigma costruttivista, l’apprendimento è considerato
un processo sociale che attiva la costruzione di nuovi significati tramite la discussione
e l’interazione di gruppo; la comunità collaborativa è caratterizzata dal rapporto di
interdipendenza che si instaura tra i suoi membri, dall’impegno e la responsabilità nei
confronti del gruppo e del compito che ci si è prefissati, nella condivisione di un obiettivo
comune, dove il tutor gioca il ruolo di facilitatore e organizzatore (Guglielman, 2003).
In tale contesto l’apprendimento individuale è il risultato di un processo di gruppo. Le
tecnologie che supportano i processi di apprendimento collaborativo possono essere
suddivise in tre categorie:
• sistemi di comunicazione:
a. sincroni (testo, audio, grafica, comunicazione video)
b. asincroni (e-mail, teleconferenza, fax);
• sistemi per la condivisione di risorse: a) sincroni (condivisione di schermo e lavagna
elettronica, strumenti per rappresentare progetti), b) asincroni (accesso a files e banche
dati);
• sistemi di supporto a processi di gruppo (sistemi per la gestione di progetti, calendari
condivisi, sistemi per la produzione, strumenti di votazione, strumenti per la
generazione di idee e per discussioni aperte) (Kaye, 1994).
L’apprendimento collaborativo necessita di uno scambio e un’interazione tra pari e dello
scambio di ruoli all’interno del gruppo; la collaborazione consente un apprendimento
più fruttuoso rispetto a quello conseguito singolarmente. I fattori che facilitano
l’apprendimento nei gruppi collaborativi sono riconducibili alla creazione di un clima
emotivo e intellettivo che porta all’apprendimento, e l’attivazione di processi cognitivi
42 LIFE DESIGN Research and Education
che comprendono verbalizzazione, ristrutturazioni cognitive, soluzioni di conflitti.
L’apprendimento collaborativo si può realizzare in differenti livelli di interazione: nella
metodologia shared minds assistiamo a una condivisione del lavoro attuata secondo una
stretta collaborazione; nella division of labour (divisione del lavoro) i membri del gruppo
sono impegnati in singole attività indipendenti. Tra queste due polarità troviamo una
serie di strategie intermedie che possiamo così delineare:
• strategia parallela: il lavoro viene suddiviso in sotto-compiti affidati ai singoli membri,
che espletano la loro attività in maniera indipendente aggiornando periodicamente il
resto del gruppo;
• strategia sequenziale: ogni membro lavora, a turno, su un elaborato grezzo prodotto
da un collega, apportandovi le modifiche che ritiene opportune;
• strategia di reciprocità: tutti i membri del gruppo lavorano su una versione base del
prodotto, interagendo continuamente fra loro.
Quali competenze per i docenti?
Il tema delle competenze tecnologiche degli insegnanti negli ultimi anni è stato oggetto
di ampi dibattiti sia a livello nazionale sia nell’ambito delle trasformazioni dei sistemi
educativi europei in direzione dell’attuazione della Strategia di Lisbona (European
Council, 2000). L’insegnante deve possedere un bagaglio di competenze che includa la
capacità di utilizzare le tecnologie in digitali (Perrenoud, 2003) per progettare situazioni
di apprendimento secondo le modalità offerte dalle tecnologie e dal web:
• utilizzare le tecnologie in modo tecnico e produttivo;
• scegliere e adottare la strategia didattica più idonea e utilizzare gli strumenti
tecnologici coerenti con essa;
• usare gli applicativi e i programmi che possono essere utilizzati a scopo didattico
(trattamento testi, presentazioni, fogli elettronici, ecc.);
• produrre materiali e contenuti in formato digitale, da utilizzare offline o pubblicare in
Internet (ipertesti, immagini, video, siti web);
• utilizzare i prodotti dell’editoria elettronica nei diversi formati (Cdrom, e-books);
• utilizzare la rete per la ricerca di informazioni (navigazione, motori di ricerca,
consultazione di fonti online);
• interagire a distanza in modalità sincrona (comunicazioni dirette via computer, chat) e
asincrona (posta elettronica, forum, mailing list);
• utilizzare il cyberspazio come luogo virtuale di lavoro collaborativo e per lo scambio e
la condivisione di idee, progetti e contenuti.
La trasformazione dell’ambiente di apprendimento da luogo chiuso, gerarchico e
strutturato in luogo aperto, decentralizzato e fondato sul soggetto e sul gruppo che
apprende cambia radicalmente il ruolo del docente, che da esperto dei contenuti diviene
facilitatore dei processi di apprendimento e primus inter pares nelle dinamiche della
comunità di apprendimento. Il suo compito diventa quello di progettare e predisporre
le attività e le risorse per favorire il processo di costruzione collettiva di conoscenza in cui
Reserch and Education LIFE DESIGN 43
tutti i soggetti coinvolti condividono esperienze e conoscenze (Guglielman et al., 2009).
La stessa filosofia dell’ipertesto e dell’ipermedia, in cui il lettore diviene co-autore con
una funzione attiva e creativa e la possibilità di scegliere il proprio percorso e integrarlo
con risorse personali, ribalta in maniera radicale i ruoli tradizionali di creatore-fruitore di
contenuti didattici, rendendo insegnanti e allievi attori del processo di co-costruzione di
nuovi significati. (Ferri, 2005 e 2008; Marconato, 2009).
Il documento della Commissione Europea Common European Principles for Teacher
Competences and Qualification definisce, tra le competenze chiave, quelle riferite al
saper lavorare con l’informazione, le tecnologie e la conoscenza. L’insegnante deve
essere in grado di lavorare con diversi tipi di conoscenza, utilizzando in modo efficace
le tecnologie e integrandole nelle attività di insegnamento e di apprendimento; deve
poi essere in grado di progettare e gestire ambienti di apprendimento anche virtuali
(European Commission, 2005). È in questa prospettiva che negli ultimi anni diversi
documenti e iniziative hanno avuto per oggetto la definizione del profilo competenziale
degli insegnanti nell’ambito delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
L’UNESCO ha effettuato uno studio sul curriculum tecnologico per le scuole, nel quale
si definisccono i parametri di base per la formazione degli insegnanti alle tecnologie.
Accanto al curriculum per gli studenti è è stato delineato un nuovo curriculum per
gli insegnanti, che si sviluppa attraverso tre livelli progressivi di approfondimento
e un quarto livello trasversale: la familiarizzazione con le tecnologie e il loro uso
funzionale e “tecnico”; l’utilizzo di mezzi e strumenti tecnologici a scopo professionale,
per migliorare e ottimizzare la pratica di insegnamento; l’applicazione di approcci e
strategie didattiche mediati dalle tecnologie alle attività condotte con gli studenti; la
trasformazione profonda della pratica di insegnamento e dei processi di apprendimento
che coinvolgono sia insegnanti sia studenti. Il Curriculum prevede l’acquisizione e lo
sviluppo di conoscenze sotto il profilo tecnologico e funzionale, l’uso delle ICT nelle
varie discipline di insegnamento, la capacità di mettere in atto approcci e strategie
didattiche di tipo cooperativo e collaborativo, il saper supportare e valutare i processi di
apprendimento che si svolgono nei virtual learning environments. Le competenze sono
declinate in sei dimensioni: politiche educative, curriculum e valutazione, pedagogia,
uso della tecnologia, organizzazione scolastica e sviluppo della professione docente;
ciascun cluster di competenze è articolato nei tre livelli crescenti di padronanza
(familiarizzazione tecnologica, approfondimento della conoscenza e costruzione dei
saperi). (UNESCO, 2002 e 2008).
Le caratteristiche delle nuove competenze che i docenti dovrebbero possedere per
insegnare con l’ausilio delle tecnologie nella società della conoscenza sono state descritte
nel Common European Framework for Teachers’ Professional Profile in ICT for Education,
elaborato all’interno del progetto europeo UTeacher. Il framework è organizzato in otto
settori di competenza: Pedagogia, Curriculum/Discipline, Organizzazione, Tecnologia,
Sviluppo Professionale, Etica, Politica e Innovazione. Per ciascun settore sono descritti gli
aspetti cognitivi della pratica professionale; trasversalmente a tutti i settori sono invece
definiti gli aspetti emotivi, i valori e le attitudini personali. La matrice del framework
presenta le quattro dimensioni di interazione secondo le quali sono declinati i settori di
44 LIFE DESIGN Research and Education
competenza: interazione con se stesso e costruzione continua dell’identità professionale;
interazione con gli studenti, facilitazione dell’apprendimento e dello sviluppo
dell’allievo; interazione con i colleghi, cooperazione a livello di scuola e all’interno della
comunità di pratica; interazione con l’ambiente esterno. Come si può vedere, si tratta di
un modello basato sull’intersezione dell’asse delle relazioni sociali nelle quali ha luogo
l’azione educativa con l’asse dei settori specifici di tale azione (Cattaneo e Boldrini, 2007;
U Teacher, 2005; Bocconi, 2005; Midoro, 2005).
Nel progetto ULearn è stato invece sviluppato l’European Syllabus for Pioneer Teachers,
il quale individua cinque dimensioni competenziali dell’insegnante:
• la conoscenza scientifica degli ambienti di apprendimento e dei processi che in essi
hanno luogo;
• le capacità di utilizzo delle ICT nelle didattiche disciplinari;
• l’organizzazione scolastica e l’impatto delle ICT sul sistema scuola;
• lo sviluppo professionale dell’insegnante;
• l’accesso e la gestione all’informazione.
L’insegnante è visto come un “disseminatore” di innovazione e come un nodo di una
rete di diffusione di approcci e pratiche basati qui nuovi paradigmi digitali (ULearn
Project, 2003).
L’International Society for Technology in Education, che dal 1998 si occupa della
definizione degli standard competenziali sulle ICT di insegnanti e studenti, propone un
framework degli standard di competenze digitali per i docenti articolato in 5 dimensioni:
• saper facilitare e ispirare l’apprendimento e la creatività degli studenti;
• saper progettare e sviluppare esperienze e modalità di apprendimento e modalità
valutative basate sulle tecnologie digitali;
• saper modellare il lavoro e l’apprendimento secondo le tecnologie digitali;
• saper promuovere e modellare cittadinanza e responsabilità digitale;
• saper migliorare la propria leadership e crescita professionale (ISTE, 2008)
Questi esempi mostrano come, accanto alle competenze relative all’uso funzionale di
tecnologie e di tools digitali, sia necessaria l’acquisizione di ordini di competenze relative
agli aspetti pedagogico-didattici, sociali e organizzativi oltre a una serie di competenze
trasversali che vanno a integrare e arricchire il bagaglio conoscitivo di insegnanti e
formatori.
Infine, non si può affrontare il discorso del profilo competenziale dell’insegnante
prescidendo da quello di un’altra figura professionale emergente, il tutor online (o
e-tutor), che opera come supporto, guida e riferimento nelle attività che si svolgono negli
ambienti di formazione online e che va a integrare la figura del docente accompagnando
gli allievi nel percorso di apprendimento, guidandoli alla progressiva costruzione
delle conoscenze. A livello procedurale il tutor può operare su tre livelli: istruttore,
dove prevale l’approccio didattico fondato sull’insegnante; facilitatore, dove prevale
l’approccio basato sul soggetto che apprende; moderatore, dove prevale l’approccio
basato sul gruppo che apprende. Spesso parlando di tutor come “facilitatore” non ci si
Reserch and Education LIFE DESIGN 45
riferisce tanto all’approccio didattico quanto all’idea, di matrice costruttivista, che non
è possibile insegnare ma soltanto facilitare l’apprendimento: ciascuno è artefice della
costruzione dei propri saperi e nell’assimilare nuove conoscenze ristruttura e riorganizza
il proprio mondo mentale. In questo processo il tutor agisce come sostegno (scaffolding)
all’apprendimento e come supporto della progressiva autonomia cognitiva dell’allievo.
Il tutor online dovrebbe possedere una serie di competenze didattiche, tecniche,
comunicative e gestionali; in particolare un tutor di successo è colui che: orienta e
guida i corsisti nel reperire risorse in rete, inviare e leggere messaggi; contribuisce a
creare un ambiente di apprendimento interattivo nel quale vengono incoraggiate la
partecipazione e la condivisione; attiva strategie adeguate per permettere a ogni
corsista di esprimersi e acquisire conoscenza secondo le proprie attitudini e capacità;
incoraggia nei corsisti la metacognizione, stimolando la riflessione sulle conoscenze
apprese e a come esse impattano sul loro mondo mentale; agevola la riflessione critica
sulle problematiche del corso e gli aspetti migliorabili (Zorfass et al., 1998). L’analisi e
comparazione dei vari référentiels che delineano le competenze del tutor online (Rotta
e Ranieri, 2005; Rivoltella, 2006; Banzato et al., 2007) ci permette di individuare quattro
dimensioni di intervento che possono essere facilmente riconducibili a quattro aree di
competenza:
1. supporto tecnico (risoluzione di problemi relativi alla piattaforma e agli strumenti
tecnici, supporto per il loro corretto uso);
2. supporto pedagogico (azioni di stimolo intellettuale, presentazione dei materiali e
delle risorse, supporto nella risoluzione di problemi, organizzazione delle discussioni,
risposta a richieste di chiarimento sui contenuti);
3. supporto metodologico-organizzativo (funzioni relative al calendario delle attività,
alla tempistica, al controllo);
4. supporto sociale (sostegno emotivo, affettivo e motivazionale, mantenimento di
un clima di fiducia reciproca, stimolo di attività collaborative, analisi delle relazioni
interpersonali, risoluzione dei conflitti).
Possiamo ipotizzare quindi, quattro aree di competenza, ossia insiemi di attività
specifiche che si svolgono in un contesto operativo concreto e che caratterizzano le
professionalità e l’expertise di chi le svolge: didattica: le competenze relative al campo
dell’insegnamento-apprendimento, molte delle quali già patrimonio del formatore
tradizionale; tecnologia: le competenze relative alla conoscenza e l’uso dei mezzi
informatici e telematici e delle reti; comunicazione/interazione: le competenze relative
alle modalità di comunicazione e interazione sociale che vengono tipicamente a crearsi
nella CMC – Computer Mediated Communication – in particolare per quanto riguarda
i gruppi collaborativi e le comunità virtuali apprenditive; gestione: le competenze
riguardanti gli aspetti organizzativi e gestionali della formazione in rete, l’erogazione e
il controllo del percorso online.
Dall’analisi emerge un profilo dinamico del tutor online, che, come nodo di mediazione
tra la dimensione teorica e quella applicativa dei modelli di didattica digitale, è necessario
sia rispondente alle prerogative rivendicate da un approccio di apprendimento mutuato
e rifletta l’ottica di osservazione problematizzante assunta in relazione ai processi di
46 LIFE DESIGN Research and Education
apprendimento in rete. La riflessione intorno alla complessa figura del tutor online ci
induce quindi a sottolineare che il tutor deve sapersi muovere tra le varie tecnologie e i
vari approcci, transitando tra di essi in una forma di flessibilità nomadica che caratterizza
l’apertura e la complessità dei nuovi ambienti di apprendimento.
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Reserch and Education LIFE DESIGN 47
La salute va orientata, ma sopratutto spiegata e
capita
Dottor Giuseppe D’Introno
Giornalista medico scientifico
Le attività di orientamento alla salute passano in primo luogo attraverso lo studio di quale
deve essere la forma migliore di comunicazione medica da proporre per raggiungere
tale obiettivo specifico.
Come si possono gestire le molte cause che, in contesti sanitari, provocano cattiva
comunicazione? Quali sono gli strumenti e le tecniche per rendere ottimale la
comunicazione tra medici e pazienti, tra medici e colleghi, tra medici e infermieri, tra
medici e parenti di pazienti e viceversa?
Gli studi sperimentali riguardanti la qualità delle prestazioni in ambito sanitario sono
molti, non solo per l’aspetto diagnostico/terapeutico, ma anche per quanto riguarda
l’attenzione all’aspetto relazionale tra il malato/paziente/cliente e il personale sanitario.
Porre l’attenzione sulla qualità delle caratteristiche dello scambio di informazioni, risulta
essere un elemento essenziale per l’orientamento e per poter erogare l’assistenza che
possa soddisfare appieno l’utente.
Infatti, è impossibile pensare che i dati medici e tecnici che gli operatori si scambiano
tra di loro possano giungere al paziente/cliente chiari ed esaustivi senza operare alcuna
mediazione.
In ambito sanitario la comunicazione riveste una notevole importanza, specie se si
considera che molto spesso risulta, nelle singole realtà, essere un elemento trascurato,
non solo da parte di singoli operatori, ma anche dalla componente organizzativa. Ciò
non dovrebbe accadere, soprattutto se si tiene conto del fatto che in questi ultimi anni,
è emersa una sempre maggiore ricerca di qualità delle prestazioni erogate al cittadino,
quale cliente della struttura sanitaria.
L’aspetto qui trattato spesso viene lasciato in secondo ordine, in quanto si pensa che non
vada ad influire sulla qualità globale dell’assistenza; anche se studi recenti dimostrano
che i flussi informativi, il clima di collaborazione e di comunicazione efficaci, influiscano
positivamente sull’erogazione finale dell’assistenza e sulla qualità percepita dai cittadini.
Caratteristiche della comunicazione e dell’orientamento alla salute
La prima peculiarità della comunicazione è: “Non si può non comunicare”; la
comunicazione ha una funzione sociale ed è imprescindibile nella relazioni umane.
Presuppone un insieme di regole e codici condivisi, è caratterizzata da un aspetto
verbale rappresentato dalla parola, cui è associato il contenuto, ed uno non verbale,
che spesso contiene il reale messaggio, la relazione. Gli scambi nella comunicazione
possono essere simmetrici (sullo stesso piano) oppure asimmetrici (un soggetto tende a
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dimostrare di essere al di sopra dell’altro).
La comunicazione simmetrica porta ad un rafforzamento della relazione, quella
asimmetrica alla rigidità.
La comunicazione “malata” è caratterizzata da una costante lotta per definire la relazione,
mentre l’aspetto di contenuto passa in secondo piano.
La comunicazione è argomento complesso da definire, con valori associati molto
importanti quando (in ambito sanitario) investe gli esseri umani (pazienti) che si trovano
spesso in condizione di ansia, timore, disorientamento. Il paziente si trova al centro
del processo comunicativo, rendendo necessario che gli operatori del settore medico/
sanitario acquisiscano strumenti e metodi per attuare una buona comunicazione tra di
loro e nei confronti dell’utente stesso.
Solitamente si spendono energie ed investimenti in attività misurabili ai fini produttivi,
mentre ciò non accade per l’argomento trattato. Interessi finalizzati all’analisi di questa
problematica sono limitati o assenti.
Agli occhi degli operatori sul campo, alcuni problemi organizzativi risultano di difficile
soluzione per cause
inspiegabili.
Questo comporta una disaffezione di tali operatori verso la struttura sanitaria e verso
il lavoro stesso. In questo contesto l’operatore non inserito nei quadri dirigenti, non
avendo cognizione dei criteri che guidano le scelte delle priorità, non comprende il
motivo del disinteresse dei superiori e si sente scarsamente considerato. Chi si occupa
di gestione delle risorse umane, non può non considerare l’importanza di quest’aspetto,
non può non tener sempre presente che le persone non sono un insieme indifferenziato
d’individui. Le persone in ambito di lavoro assumono connotazioni differenti: sono
“clienti” (con possibilità di scelta), “risorse” (con un valore di scambio), “giocatori di
squadra” (con ruoli specialistici) e membri di una famiglia (con valori etici radicati) o
membri intercambiabili (di un gruppo di lavoro). Ogni persona, professionista e non, ha
le proprie variabili esigenze, motivazioni e capacità; questa diversità può rappresentare
una criticità per chi coordina, gestisce e pianifica le attività svolte dalle persone, ma
può allo steso tempo essere una ricchezza se accolta come una sfida alla progettualità
e gestita in modo consapevole e positivo. La comunicazione diventa così non solo un
mezzo per lavorare, ma coincide in maniera significativa con il lavoro stesso.
La comunicazione sanitaria e l’orientamento
La comunicazione sanitaria e l’orientamento alla salute sono pratiche che si stanno
sviluppando negli ultimi anni, parallelamente ad altre discipline quali la psicologia
della salute, la sociologia medica, la comunicazione biomedica, la medicina
comportamentistica, ecc.
Si riferiscono ad ambiti in cui si trattano argomenti riguardanti la salute, ambiti specifici,
delicati, in cui le relazioni avvengono tra soggetti diversi per ruolo, cultura, conoscenze
e ceto sociale. La relazione tra operatore sanitario e paziente è sempre molto complessa
Reserch and Education LIFE DESIGN 49
e strutturata sicuramente dalla patologia, più o meno grave del paziente. Questo induce
il cittadino ad “esigere” dagli operatori prestazioni di elevata qualità; questi a loro volta
sono caricati di ansie e tensioni legate alle numerose problematiche soggettive e
professionali /organizzative.
Gli attori che partecipano ed influiscono in modo determinante nelle relazioni, sono
sostanzialmente tre:
1) i soggetti coinvolti;
2) il contesto;
3) le transazioni.
Questi, a seconda di come si interfacciano, possono dar luogo a buoni o pessimi rapporti.
Soggetti coinvolti, contesto e transazioni
Sono rappresentati da tutti quelli che partecipano al processo di assistenza, diagnosi e
cura. Medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali, tecnici dei vari servizi
ecc., ognuno stabilisce con l’altro una relazione. Infine, per il coordinamento di queste
figure si sta
facendo strada la figura dell’Orientare alla salute. I pazienti ed i loro familiari a loro volta
avranno relazioni con il personale e la struttura. Dovranno adattarsi a situazione diverse,
lontane dalle abitudini e dalla quotidianità, dovranno affidarsi ad altri senza avere la
possibilità di scegliere l’operatore più conforme alle proprie esigenze.
Il contesto in cui operano queste figure è rappresentato dal luogo di cura, l’ospedale,
ambulatorio, reparto di degenza, normalmente luoghi molto rumorosi, saturi di pubblico
e personale sanitario, luci al neon, indicazione non sempre chiare dei percorsi; in sintesi,
luoghi che sicuramente ostacolano i processi comunicativi anziché favorirli. Anche gli
spazi strutturali assumono una certa importanza: spesso gli scambi di informazioni
cliniche/terapeutiche tra gli operatori della salute avvengono nei corridoi dei reparti di
degenza, in luoghi non dedicati, al letto del paziente o in ambienti disturbati e piccoli
spazi che non permettono la necessaria concentrazione e il mantenimento della privacy.
Le transazioni rappresentano scambi bidirezionali tra gli esseri umani, non
necessariamente solo verbali, ma possono anche essere non verbali.
Conclusioni
Negli ultimi anni il mondo sanitario è stato protagonista di molti cambiamenti e di
profonde trasformazioni, di tipo culturale ed economico. Lo sviluppo della tecnologia,
delle professioni sanitarie diverse da quella medica, l’invecchiamento della popolazione
hanno fatto si che il rapporto tra domanda ed offerta di salute subisse delle profonde
trasformazioni, trovando gli operatori della salute impreparati e smarriti. Proprio qui
l’orientamento e la comunicazione alla salute deve iniziare ad operare per consentire di
poter risolvere tali problematiche a favore delle professioni mediche, ma principalmente
del paziente.
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Reserch and Education LIFE DESIGN 51
BEST
PRACTICES
52 LIFE DESIGN Research and Education
L’orientatore nei centri informa giovani. A piccoli
passi
Orientatore Professionale Raffaele Astore
Responsabile Informagiovani nel Comune di Galatina LE
Alla fine degli anni sessanta in tutta Europa iniziano a svilupparsi strutture di informazione
dedicate ai giovani. In Italia, il primo Informagiovani nasce a Torino nel 1982 sulla scia
delle esperienze francesi ma comunque in ritardo rispetto alla stessa Francia, Belgio,
Olanda, Inghilterra, Spagna.
L’anno spartiacque tra le prime esperienze e lo sviluppo massiccio delle strutture è
però il 1985, Anno Internazionale della Gioventù. Prima di tale data i centri funzionanti
si potevano contare sulle dita di una mano: difatti oltre a Torino, la presenza di un
informagiovani viene registrata a Milano nel 1984, Verona e Forlì nel 1985.
L’Italia era uno dei pochi paesi dell’Unione Europea in cui fino al 2006 non era stata definita
una politica giovanile a livello centrale, non c’era una istituzione di coordinamento delle
politiche giovanili ma solo di indirizzo, né una rappresentanza giovanile nazionale ed
europea. Le competenze infatti erano distribuite tra i diversi Ministeri del Lavoro e della
previdenza, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, degli
Affari Esteri, dell’Interno.
La carenza di un quadro legislativo di riferimento nazionale ha fatto poi in modo che si
attivassero degli interventi frazionati, legati spesso alla sensibilità ed alla disponibilità
delle varie figure tecniche e/o politiche che hanno spinto ad operare in questo settore.
L’impulso ad una implementazione dei servizi orientativi destinati ai giovani assume
forza con la pubblicazione del Libro Bianco della Commissione Europea dal titolo
“Un nuovo impulso per la gioventù europea”, ma anche con la successiva “Carta della
partecipazione dei giovani alla vita municipale e regionale” incentrata sulla concertazione
degli interventi.
In materia di programmi rivolti ai giovani, in Europa la fa da padrone il programma
Gioventù in Azione che promuove l’educazione non formale, i progetti europei di
mobilità giovanile internazionale di gruppo e individuale attraverso gli scambi e le
attività di volontariato all’estero, l’apprendimento interculturale e le iniziative dei giovani
di età compresa tra i 13 e i 30 anni.
Ma cosa si intende per educazione non formale?
Le iniziative europee in materia di istruzione e formazione sottolineano il ruolo
crescente dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Mettono in evidenza che
l’apprendimento deve comprendere l’intero spettro dell’apprendimento formale, non
formale e informale per la promozione della realizzazione personale, la cittadinanza
attiva, l’inclusione sociale e l’occupabilità. Le competenze necessarie per permettere alle
Reserch and Education LIFE DESIGN 53
persone di informarsi e divenire cittadini attivi e responsabili possono essere acquisite
attraverso un apprendimento più generalizzato. In particolare i giovani partecipano ad
una vasta gamma di attività al di fuori dei sistemi di istruzione formale, nell’animazione
giovanile e nelle associazioni giovanili, nello sport, nel volontariato e nelle attività della
società civile, in scambi internazionali e programmi di mobilità.
I principi fissati dalla Commissione Europea e dal Consiglio d’Europa nel settore
dell’apprendimento non formale e informale nelle attività giovanili sono: il carattere
volontario e spesso auto-gestito, la motivazione intrinseca dei partecipanti, lo stretto
legame con le aspirazioni e gli interessi dei giovani, l’approccio partecipativo e centrato sul
discente, il carattere e la struttura aperta, la trasparenza e la flessibilità della costruzione
dei piani di studio, la valutazione dei successi e le sconfitte in un processo collettivo, il
“diritto di commettere un errore”, la preparazione delle attività con un atteggiamento
professionale, a prescindere dal fatto che l’attività venga gestita da professionisti o da
operatori e formatori giovanili, la condivisione dei risultati con il pubblico interessato e
un follow-up dettagliato.
Potremmo qui aggiungere che per attività del sistema dell’educazione non formale dei
giovani si intendono quegli interventi di carattere informativo, documentale, formativo,
consulenziale, ricreativo e del tempo libero, finalizzati a fornire alla popolazione, su
base permanente, le più ampie opportunità di apprendimento individuale nell’intento
di migliorare conoscenze, specializzazioni e competenze idonee a supportare la
realizzazione di percorsi personali di apprendimento e di educazione, complementari
ed integrativi dei momenti formali d’istruzione e formazione.
La Commissione Europea ed il Consiglio d’Europa hanno evidenziato l’importanza
dei percorsi di apprendimento non formale ed informale, come modalità, unitamente
ai percorsi di apprendimento formale, per il contrasto al disagio giovanile ed alla
dispersione scolastica e come opportunità di acquisire comportamenti, conoscenze,
abilità, atteggiamenti, competenze diversificate e personalizzate.
Queste tematiche sono state oggetto di specifici interventi, fra gli altri, nel già citato
Libro Bianco “Un nuovo impulso per la gioventù europea” (2001), nella successiva
Comunicazione della Commissione al Consiglio (2003) e nella risoluzione del Consiglio
del 25.11.2003 in materia di obiettivi comuni sulla partecipazione ed informazione dei
giovani.
Nel 2009 il CEDEFOP, Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale
- agenzia europea incaricata di promuovere e sviluppare l’istruzione e la formazione
professionale nell’Unione europea - , utilizza definizioni ben più dettagliate per la
validazione dell’apprendimento:
• apprendimento formale: apprendimento erogato in un contesto organizzativo
e strutturato appositamente progettato come tale. L’apprendimento formale è
intenzionale dal punto di vista dell’allievo che di norma sfocia in una convalida o in
una certificazione;
• apprendimento non formale: apprendimento erogato nell’ambito di attività
pianificate non specificamente concepite come apprendimento. Tale tipo di
apprendimento è intenzionale;
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• apprendimento informale: apprendimento risultante dalle attività della vita
quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. Non è strutturato in
termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse dell’apprendimento.
Nella maggior parte dei casi non è intenzionale.
Ultimamente una nuova norma ISO 29900:2010 mira a migliorare la qualità dell’offerta
della formazione sul mercato globale, in particolare riguardo l’educazione non formale
e quindi la formazione professionale, l’apprendimento permanente e la formazione in
azienda. Essa consentirà di aumentare la trasparenza e permettere il confronto a livello
mondiale dei servizi di apprendimento.
La conoscenza d’altra parte è sempre un fattore chiave per il successo della gestione
aziendale in tutto il mondo e l’educazione viene sempre più considerata come un
servizio business-oriented.
La crescente importanza economica dell’apprendimento nella società della conoscenza
globale ha creato nuove opportunità economiche e la certezza della qualità diventa una
questione cruciale.
L’obiettivo della norma ISO è quello di fornire un modello generico per la pratica
professionale e un riferimento comune per l’apprendimento sia per i fornitori di servizi
che per i loro clienti nella progettazione, nello sviluppo e nella fornitura di educazione
non formale. La norma incoraggia un orientamento allo studente e sottolinea la gamma
completa di opzioni disponibili per la fornitura di servizi di apprendimento.
Tutta la “riflessione” fin qui esposta ci pone l’obbligo di collegarci al modello formativo
nazionale degli operatori informagiovani che il Coordinamento Nazionale nato in seno
all’ANCI ha posto in essere.
Innanzitutto viene specificato che gli “addetti” ad un informagiovani devono essere dei
professionisti preparati in grado di fornire ai giovani gli strumenti necessari per prendere
da soli le loro decisioni. Un operatore Informagiovani è quindi chiamato a “saper
ascoltare”, assicurarsi che chi è di fronte comprenda le informazioni fornite, aiutare il
giovane a valutare le diverse opzioni lasciando a lui la scelta finale.
Ma come si possono conciliare all’interno di un informagiovani le varie linee di indirizzo
che costruiscono quel mondo “orientato” di cui oggi, sempre più che mai, i giovani
hanno bisogno?
Partiamo dal presupposto che una figura la cui presenza è imprescindibile per il buon
funzionamento di un informagiovani è l’operatore.
Questi è molto più importante dell’arredo o di qualsiasi altro strumento che compone
l’informagiovani.
La sua presenza è essenziale per garantire la giusta “mediazione orientativa” tra i giovani
che si rivolgono allo sportello e le informazioni disponibili o ricercabili. Spesso l’operatore
– anzi, quasi sempre – deve saper essere “orientatore”, “sviluppatore”, “psicologo”,
“sociologo”, e così via. In più si chiede che questi sia “giovane” ma va chiarito non
nell’anagrafica quanto piuttosto nel modo di “comunicare”, di saper “aiutare” a trovare
soluzioni idonee all’individuo che gli è di fronte, a condurre l’utente ad “autorientarsi”.
Il ruolo che l’orientatore di un informagiovani deve avere è quello di essere un efficace
Reserch and Education LIFE DESIGN 55
comunicatore, padrone di strumenti quali l’ascolto attivo ma soprattutto in grado di
utilizzare strumenti empatici, cioè capacità di comprendere le emozioni fondamentali
per conoscere chi ci sta di fronte.
Dal punto di vista delle capacità tecniche, l’orientatore di un informagiovani deve essere
in grado di utilizzare le nuove tecnologie e di saper guidare al corretto utilizzo della
ricerca e selezione delle informazioni. Insomma, un ruolo anche di tutor orientativo.
Purtroppo, a tutt’oggi, manca ancora un riconoscimento di questa figura che perfino
nella legge 150 del 7 giugno 2000 non è prevista.
Difatti, l’art. 6 della predetta legge recita quanto segue “[…] le attività di informazione si
realizzano attraverso il portavoce e l’ufficio stampa e quelle di comunicazione attraverso
l’ufficio per le relazioni con il pubblico, nonché attraverso analoghe strutture quali gli
sportelli per il cittadino, gli sportelli unici della pubblica amministrazione, gli sportelli
polifunzionali e gli sportelli per le imprese.”
Ci chiediamo ora se per caso i responsabili o gli operatori degli uffici Informagiovani
sono di serie B visto e considerato che nella legge non se ne fa menzione; eppure a
questi operatori vengono richieste una serie di conoscenze non indifferenti tra le quali
ricordiamo l’essere anche un capace orientatore.
È vero anche che questa figura potrebbe entrare nella voce enunciata di “analoghe
strutture.” Ma qui, purtroppo, dobbiamo rimarcare il fatto che la figura dell’operatore di
informagiovani è ancora tutta da definire.
Un piccolo passo in tal senso potrebbe essere costituito da appositi corsi ad hoc che a
livello territoriale spetterebbero alle province e ciò al fine di qualificare gli operatori già
esistenti magari in un discorso proiettato di rete. Ma sappiamo bene che ciò è quanto
mai arduo anche se, nella costituzione dei Centri Orienta Giovani l’ASNOR potrebbe
giocare un ruolo importante e fondamentale. Non siamo anche noi una rete?
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Una bussola non dispensa dal remare
Educhiamoci alle scelte… educhiamoci al movimento!
A cura dello staff di Skills Project
Centro di Orientamento
Non si può negare che l’attuale sistema sociale stia attraversando un momento di forte
crisi valoriale ( crisi che investe di rimando anche l’identità).
La complessità sociale, i repentini cambiamenti, mettono in discussione anche l’idea
stessa di famiglia, di lavoro, di professione, di individuo; possiamo trovare le radici di
questo fenomeno in un andamento socio-culturale che si va ampliando come uno
tsunami, e che riguarda diversi contesti, sui quali presto o tardi riverserà le sue acque,
modificando radicalmente tutto, destabilizzando ogni certezza. Non per essere
apocalittici, ma la realtà è questa!
Sul fronte sociale l’individuo si trova a vivere problematiche, complicanze, derivanti
dalla crisi economica e dalle relative ricadute sull’aspetto lavorativo.
I processi sociali, culturali ed anche economici che corrispondono al nome di secolarizzazione,
consumismo, globalizzazione, individualizzazione, hanno messo in discussione il contenuto
stesso di lavoro, di famiglia, di scuola, di salute…
La prima cellula di una società è costituita dall’individuo che svolge tanto la funzione di
produttore quanto quella di consumatore.
Questo bozzetto, non personalista, ma narcisista dell’individuo ha spesso dei risvolti
e delle ricadute che trascurate, sgretolano valori, ruoli, gruppi. Si tratta di forme di
disequilibrio che minano in modo definitivo l’individuo. La società è divenuta una
trappola per topi. L’individuo non si sente accolto, riconosciuto, non si percepisce come
integrato e, come ingranaggio di un sistema che per quanto complesso lo ingloba a sé.
L’autodeterminazione ha la meglio, ma nel senso più egoistico del termine: c’è una corsa
a portare avanti se stessi, ad auto sostenersi a discapito di un sistema intero, che perde
sostenitori e seguaci.
L’individuo pascola, privo di orientamento e stenta a inserirsi nel mondo professionale
attraverso lo studio e successivamente il lavoro: le dimensioni che incidono più
pesantemente sulla vita di ognuno non danno più certezze.
C’è desiderio di bruciare le tappe, di avviarsi verso facili guadagni, verso una dimensione
lavorativa, del qui ed ora, che privilegia l’aspetto economico, l’apparire, piuttosto che
il valore dell’essere, del sapere, della cultura, che è anche trasmissione di conoscenze
acquisite nel corso del tempo, da chi ci ha preceduto e in un certo senso forgiato.
I media a riguardo hanno creato non pochi problemi, avviando attraverso trasmissioni
televisive una campagna ingannevole, che ha educato ai guadagni facili, al
protagonismo, a discapito della dignità e della decenza. La dignità, l’etica, non abita più
l’uomo. Scrivendo mi tornano in mente le arene romane, sono diversi i luoghi, i tempi, le
dinamiche, ma l’uomo non c’è.
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Non vedo patriottismo, inteso come principio di condivisione comune, ma solo un
nevrotico bisogno di apparire, di vivere l’attimo fuggente a qualunque costo e senza
esclusione di colpi. Ma andiamo per gradi, perché il domandarsi dove stiamo andando
deve avere un senso, e deve portare ad alcune mete. Forse, attraverso un feed-back, per
darsi tempo, tempo per pensare.
Sul fronte esistenziale, dovremmo imparare a narrare i fatti, per riflettere e promuovere
una inversione di marcia, ricostruendo il nostro percorso e scegliendo, anche a costo
di andare controcorrente di salvare il salvabile. Soluzione questa che potrebbe aiutarci
a superare piccoli e grandi disagi che la vita comunque ci pone di fronte. Si tratta di
scegliere se essere gregge o fare la differenza. In ambito esistenziale, ognuno si cimenta
con conflittualità quotidiane, che si traducono in disagi permanenti e nevrotici che
ci minano dentro e che ci impediscono di prendere decisioni, di operare per il bene
comune, oltre che per il nostro. Dovremmo imparare a porci delle domande, ad educarci
alla mitezza, per uscire da uno stato convulso e deviante.
Quale è il vero senso alla vita?
Cosa ha valore per noi?
Che gusto deve avere l’esistenza?
I soldi sono l’unico bene al quale ambire?
Il successo è ciò che mi garantisce il bene?
La salute prima di tutto?
Per cosa vale la pena vivere?
E soprattutto: dove voglio andare?
Cosa voglio fare del mio tempo?
La figura dell’orientatore, potrebbe sul piano esistenziale, didattico, professionale,
civico e in quello sportivo e sanitario, svolgere un ruolo fondamentale al recupero della
persona, avvalendosi di un ruolo: quello di tirar fuori il meglio da ognuno, rispondendo
alle attese spesso disilluse e alle domande senza risposte formulate da diverse categorie
sociali, lasciate aperte alla interpretazione, e mai colmate. Dovremmo pensare ad una
seconda fase del Rinascimento, ad un nuovo passaggio di frontiera, ad una svolta epocale.
Nessuno di noi va lasciato solo, abbiamo bisogno dell’altro per esercitare la componente
affettiva, quanto quella produttiva e operante della nostra natura umana che ci vuole
pionieri sociali e non isolani. Essere genitori non è un ruolo di facile attuazione, nessuno
ci ha insegnato con un manuale come avviare una famiglia, come sostenerla, o come
educare e crescere i nostri figli alla vita che verrà.
Nessuno ci ha mostrato come scansare o superare le molteplici difficoltà o variabili che
il corso della vita ci pone di fronte malgrado l’auspicato scongiuro.
Il ruolo del genitore è sicuramente tra i ruoli più difficili da gestire: non si tratta di partorire
solo un figlio ma di accompagnarlo nel progressivo andare della vita, svezzandolo in
modo armonioso, corredandolo di quelle certezze di cui ha bisogno per superare gli
ostacoli e di qualunque natura esso sia. Nessuno di noi è immune dal sostenere questo
ruolo sia che sia genitore o educatore.
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La scuola col suo fare cultura, non può omettere la relazione dialogica, empatica, dal
bagaglio curriculare, come se fossero due cose assestanti. Ha il dovere, di esercitare un
progetto di vita che non guardi solo agli aspetti contenutisti, disciplinari, che guardano
alla cognitività come solo e possibile traguardo, ma ha il compito etico, di orientare le
attitudini senza omologare, appiattire e livellare i figli al lei affidati. La scuola italiana
livella e privilegia i più meritevoli, è questa la verità, e non ponendosi domande sulla
possibilità di garantire a tutti le stesse opportunità nega il suo principio, il valore per
il quale è nata. Non si interroga sugli aspetti e i segnali che potrebbero far supporre
che le attitudini del minore siano altre. Non fa differenze sulle intelligenze espresse e
inespresse, anzi coltivate e ancora da scoprire dei suoi allievi.
L’orientatore didattico può invece con un progetto integrato e monitorato far emergere i punti
di forza e di debolezza dello studente indirizzandolo al meglio, mostrando alla coscienza del
discente le propensioni attitudinali per le quali è più portato, svincolandolo dal pensiero di
non essere capaci di…
Se ognuno in ambito professionale fosse allocato dove meglio risiede il suo interesse e
la sua motivazione, ma anche la sua intelligenza ne gioverebbe uno stato intero. Provare
soddisfazione per il proprio operato, e non essere impiegato per ripiego, determina una
presa di posizione nel sistema economico proficua e meglio gestita da chi col proprio
lavoro crea le premesse per costruire il benessere comune. La produttività, che si misura
in operosità consapevole e che riguarda il ruolo che ognuno si da, assumerebbe una
veste nuova e rinnovata.
C’è chi afferma: “In molte società democratiche , il cittadino rimane il più debole, il più esposto.
È quello che paga lo scotto di politiche sbagliate, sistemi corrotti e favoritismi che derivano
da un nepotismo dilagante.. Eppure il cittadino ha una storia che lo vede protagonista nelle
vicende politiche nel corso dei secoli. Guardando alla sua accezione classica, il cittadino ,
è colui che possiede i diritti all’interno di una comunità sia essa sociale, civica che politica.
Ma questa definizione contratta dell’essere cittadino, lo rende ancora oggi, esclusivo…ed
escludente, un modo criptato, per separare coloro che possedevano i diritti dagli “altri”…che
ne erano e ne sono lasciati all’oscuro”.
L’Orientatore Civico-Istituzionale invece è colui che supporta il cittadino affinché si sappia
destreggiare con la parte alta di una società: le istituzioni, che lo vogliono ancora ignaro
del dovuto. In tal senso, educando a leggere, riconoscere e far rispettare, tutelando i
diritti di ognuno, indottrina, guida e accompagna alla coscienza civica, riavviando una
consapevolezza negata al sé e all’altro. Il benessere non è di prerogativa per i pochi, ma
tappa da garantire a tutti e n egual misura. Dovremmo pensare ad una comunicazione
empatica, fatta di reciproca fiducia che sfocia verso quella dimensione dell’esistenza
che rende salutare ogni tipo di rapporto, ogni incontro, che arricchisce a prescindere da
come si realizzi.
Si tratta di allenare l’essere, la personalità il sé che è in noi e che è divino e insieme il
corpo che lo avvolge. Poco importa se autoctono o immigrato. Quello che conta è la
persona portatrice di quella cultura è movimento, moto perpetuo dell’umano andare.
Non un codice a barre quindi: l’uomo non ha prezzo è inestimabile, e restituirgli la
consapevolezza di ciò che porta dentro, lo aiuta a navigare, a remare in un mare meno
Reserch and Education LIFE DESIGN 59
insidioso. La metafora è un tentativo per dar voce alle domande che attanagliano la sua
esistenza, un modo sano che lo guidi verso la costruzione di un futuro comune più roseo e
consapevole, verso una terra nuova, una spiaggia dove approdare. I contributi saggistici
che seguono, curati da alcuni esperti nel settore, sono un tentativo di riconoscere a
caratteri cubitali, che si è vero, si nasce maschi o femmine… ma si diventa uomini e
donne solo vivendo. Chi sa leggere una bussola, sa anche dove andare. “L’umanità è
l’unica calamità naturale capace di minacciare sé stessa” affermava Giovanni Soriano, ma
in risposta al suo scetticismo sulla natura umana, mi appello ad una frase di Oscar Wilde:
È perché l’Umanità non ha mai saputo dove stesse andando che è stata in grado di trovare la
sua strada, ma con l’aiuto di un altro fratello. Solo, chiunque si sarebbe perso”!
Una bussola non dispensa dal remare.
L’orientamento come supporto psicologico
Il significato primitivo della parola orientamento indica quell’insieme di azioni atte a
determinare un punto “l’oriente”, come parametro di riferimento, al fine di disporre
qualcosa o di dirigere una attività. Fare psicologia dell’orientamento oggi significa
identificare il problema che attanaglia l’uomo, la persona, effettuando una vera e
propria raccolta dati, iniziando dal preciso momento in cui lo stesso si presenta a noi,
cercando di percepirne vari aspetti quali la visione che ha di sé e del mondo, dando
importanza al comportamento che egli stesso mette in atto durante l’approccio
relazionale. Il quid di professionalità dell’orientatore emerge nel saper assemblare i vari
aspetti, nell’interpretare, come un detective sociale, che osserva, ma non impone la sua
posizione, come verità assoluta:messe al vaglio di nuovi dati, tanto da creare un continuo
circolo tra ciò che si osserva e ciò che si dice richiede conclusioni provvisorie, per
condurre verso una maggiore consapevolezza della meta da raggiungere, dei propositi
da adottare. Nella mia esperienza, ho registrato un atteggiamento che mi ha portato ad
affermare che nonostante il desiderio di cambiare, di orientarsi verso una meta, gli attori
sociali rimangono attaccati alla sicurezza dei propri pensieri e comportamenti, evitando
i rischi di affrontare una trasformazione, che essi stessi auspicano che avvenga. Eppure
il transito verso la soluzione, esiste, ma può essere resa possibile solamente se saranno
date le basi per rafforzare le proprie risorse, che esistono e che sono il punto di forza che
ognuno porta come bagaglio con sé. Ma come sostenere il cambiamento?
Utile, per affrontare il cliente ed i suoi disagi, è l’approccio olistico e le sue teorie, in cui il
perno centrale è la percezione dell’ essere umano nella sua totalità, si sottolinea l’aspetto
unitario della personalità nel suo momento biologico e psicologico. Nell’evoluzione di
una personalità si manifesta più precocemente una condotta concreta che rappresenta
una reazione automatica diretta agli stimoli, e successivamente una condotta astratta
che è una risposta elaborata e ragionata agli stimoli. A. Angyal estende e auspica verso
il concetto di integrazione all’ambiente in cui l’individuo vive introducendo il concetto
di biosfera, che include individuo e ambiente come aspetti di un’unica realtà che solo
astrattamente si possono separare. Nell’ orientamento vi sono una serie di concetti e
strumenti di lavoro, che per l’appunto si basano su un approccio olistico, quali il Life
60 LIFE DESIGN Research and Education
Career Development, il Life Career Assessment ed il concetto di Sé Possibile; per aiutare
concretamente la persona è opportuno analizzare due grandi sfere che permettono
di conoscere come si esprime il Sé. Partiamo dalla valutazione della vita e dalla
carriera, in particolar modo nel Life Career Development, si osserva come ogni attività
dell’individuo corrisponda a molteplici sfaccettature dell’identità personale. Diviene
di primaria importanza in questo approccio il termine Life in cui si sottolinea, come
precedentemente indicato, la totalità della persona e il suo auto-sviluppo attraverso
un dettagliato studio dell’interazione e integrazione dei diversi ruoli, contesti ed eventi
che ognuno sperimenta. Tramite tale procedimento diviene possibile sia al cliente che
al consulente comprendere quale è la “storia” e progettare un possibile cambiamento.
Ritengo giusto in merito evidenziare al fine di ottenere maggior chiarimento sul lavoro
che compie un orientatore nell’ambito dell’orientamento psicologico, considerando le
fasi del LCA:
• valutazione delle esperienze professionali pregresse e del percorso formativo,
il soggetto deve fare un cammino al contrario per comprendere che tipo di scelte
sono state fatte alla base di quell’ incarico. Si sollecita il paziente a fornire esempi
concreti di esperienze sia positive che negative (tecnica degli incidenti critici) su
entrambi i fronti per evitare generalizzazioni astratte;
• giornata tipo, il racconto effettuato dal soggetto permette di capire bisogni
limiti e risorse della persona ad esempio fornendo una spia sul grado di autonomia
o creatività che contraddistingue il soggetto. La giornata tipo riflette i bisogni
repressi del sé del soggetto;
• tempo libero, un tempo liberato dal dovere ricco o meno di passioni del
soggetto ed è lavorando su quest’ultimi aspetti che si riuscirà meglio a capire i
bisogni e le capacità;
• pregi e difetti, tecnica molto usata anche durante la selezione, permette di
individuare i punti di forza e quelli da colmare. Questo sarà anche correttivo e
non solo di supporto;
• valutazione riepilogativa, la fase finale deve restituire forza, il cambiamento
del soggetto, che deve acquisire consapevolezza del percorso fatto ed essere in
grado di stilare una traccia dei bisogni di carriera sui propri presupposti personali.
È di fondamentale importanza osservare ed indagare sui Sé possibili, che fungono
da incoraggiamenti per il comportamento futuro, nei termini di Sé da imitare o
evitare; nel loro insieme permettono una valutazione del Sé attuale, ossia su ciò che
vogliamo e possiamo diventare.
Lo sviluppo come processo continuo e permanente
Nel corso della storia, l’evoluzione umana si è modificata notevolmente. Nel corso
dell’esistenza si tende a mettere in atto un processo per riuscire a gestire la propria
vita sul piano psicologico, relazionale e comportamentale. L’anima è considerata
quell’elemento che da senso all’esistenza, ma anche il maggior disagio quando
assistiamo ad una mancanza di senso. I modelli teorici hanno accompagnato i processi
Reserch and Education LIFE DESIGN 61
storici: nelle società primitive non esisteva una azione professionale. Il sapere quanto
l’esperienza era depositata dagli anziani alle nuove generazioni e trasmessa per mezzo
di regole di grande pregnanza, derivanti da una saggezza acquisita nel corso del tempo,
che ne aveva forgiato la persona. Ne deriva che da queste regole i giovani acquisissero
di rimando il modo più consono per affrontare l’ambiente sociale le competenza, per
destreggiarsi negli accadimenti della vita: la scoperta delle attitudini, degli interessi
lo aiutavano a creare tanto l’identità sociale quanto quella professionale Fino al XIX
l’orientamento come pratica spontanea era svolta in ambito familiare. L’orientamento
trova giustificazione con l’avvento della società industriale. L’accrescersi dei bisogni e
delle richieste del sistema economico produttivo diedero vita ad un orientamento come
pratica professale. La società aveva bisogno di forza lavoro qualificata, preparata e nel
contempo integrata sul piano organizzativo.
L’orientamento da prima privato diventa un problema di interesse collettivo che
abbisogna di metodi che indirizzino i giovani alla scelta di un lavoro rispondente alle
proprie attitudini e aspirazioni di vita. Il passaggio dallo studente al lavoratore implica
una scelta meticolosa e attenta.
Il pascolare per campi sconosciuti senza una bussola orientativa potrebbe pregiudicare
il progetto di vita di chiunque. Il ruolo dell’orientatore sta nel collocare “l’uomo giusto al
posto giusto” (Lawe, 1929).
Analizzando aspetti del passato e riscontri più recenti, dovremmo porre la nostra
attenzione in prima istanza sui diversi approcci che hanno portato alla concezione
dell’orientamento a partire da quello diagnostico-attitudinale; caratteriologico-affettivo;
clinico-dinamico e maturativo-personale.
In seconda istanza il processo di orientamento attraverso ottiche che guardino: al
processo continuo, formativo, alle categorie di utenti nonché scolastico professionale.
In terza istanza alla distinzione tra l’orientamento scolastico propedeutico all’attività
lavorativa e ad un possibile progetto mirato alla realizzazione delle proprie aspirazione
lavorative, alla luce delle attuali esigenze del futuro lavoratore in prospettiva
longitudinale.
La maieutica nell’orientamento narrativo: l’orientatore come ostetrico
di scelte
L’orientamento narrativo, ideato nel 1997 (Batini, Salvarani, 1999a, 1999b; Batini, Zaccaria,
2000; 2002), è un metodo che lavora attraverso l’utilizzo di narrazioni (romanzi, racconti,
film, immagini, canzoni) e di materiali biografici (direttamente, metaforicamente) delle
persone con le quali si lavora.
La metodologia dell’orientamento narrativo risponde in modo nuovo, spesso creativo,
alle esigenze dell’individuo che attraversa momenti di scelta “soggettivamente definiti”
(Batini, Del Sarto, 2005; Batini, Giusti, 2008). Secondo questa metodologia, orientare
un individuo “significa trasferirgli competenze di autorientamento, con la finalità di
scelte (il plurale è d’obbligo) immediate o future, in direzione di una decisione o per
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una lettura più appropriata di un contesto esistenziale e/o professionale, per progettare
un percorso formativo o per migliorare la percezione di sé in direzione di un’efficacia
maggiore nell’azione di soddisfacimento dei propri bisogni, di realizzazione dei propri
progetti e desideri, in direzione di una maggiore chiarezza su questi stessi” (Batini, Del
Sarto, 2007, p.48).
Al centro del processo c’è la persona, il suo vissuto, la sua biografia personale, formativa
e professionale, la storia dei suoi eventi critici e dei modi in cui li ha affrontati, il suo
modo di percepirsi e raccontarsi, le sue aspirazioni, i suoi progetti; ci si lavora attraverso
le narrazioni, attraverso stimoli narrativi, attraverso percorsi di implementazione di
competenze narrative.
Tale approccio ha la finalità di sviluppare nell’individuo la sua competenza narrativa,
intesa come capacità di narrare, di raccontare, ma anche ascoltare una storia, di
interpretare ed attribuire senso e significato (favorire processi di sensemaking,
produzione di senso) agli eventi, alle situazioni, alle direzioni che ciascuno intraprende,
cosciente di essere in un’azione situata (il senso e significato che attribuisco oggi al
mio percorso o semplicemente a ciò che mi accade può essere differente dal senso e
significato che attribuirò domani, o tra una settimana, alle stesse cose; il significato che
attribuisco al mio percorso formativo, poniamo, scrivendo un libro è diverso di quello
che potrei dare di fronte ad un gelato con degli amici), ma anche un processo capace di
stimolare una direzione (oggi ho questa traiettoria la quale so che, almeno parzialmente,
sarà modificata e compresa in modo nuovo) e dunque una progettualità e un’agentività
dei soggetti con una flessibilità maggiore di altri metodi di orientamento.
La narrazione è definita come un processo cognitivo attraverso il quale strutturiamo,
in unità di tempo temporalmente significative, unità di esperienza, attribuendogli un
ordine e delle relazioni (Batini, Del Sarto, 2005, p.33). Lo stesso processo si ripete nel
momento in cui ascoltiamo una narrazione, basti pensare all’operazione di “riempimento”
che viene fatta quando, mediante l’immaginazione, collochiamo dati mancanti in una
sequenza narrativa ascoltata.
Il pensiero narrativo agisce inoltre, in modo tacito, in qualsiasi situazione professionale,
nella quale le capacità previsionali del professionista vengono esercitate tramite una
narrazione del “probabile” per compiere l’azione più adeguata allo svolgersi degli eventi
previsti. Il recupero di esempi narrativi significativi consente una riflessione intorno ai
significati e la costruzione di narrazioni ulteriori, tramite attività suggerite ad hoc, può
rivestire un’importanza fondamentale per la formazione della professionalità o per
compiere delle scelte, o per progettarsi.
Dunque le strutture narrative, derivanti dai concetti di schemi di storie, di modelli
mentali, di sistemi funzionali della memoria, sono forme universali attraverso le quali le
persone comprendono la realtà, se la rappresentano, le attribuiscono senso e significato
e ne parlano. La narrazione non ha, però, soltanto una funzione interpretativa. In altri
termini, il Sé individuale emerge sia dalle narrazioni sul vissuto personale che l’individuo
stesso propone (narrazioni autobiografiche, ma non solo) sia dalle narrazioni che
altri compiono su di lui, elaborate entrambe dall’individuo stesso in nuove forme di
coscienza. Risulta facile inferire come la mescolanza di questi due “mondi”, interno ed
Reserch and Education LIFE DESIGN 63
esterno, costituisca uno dei principali veicoli di produzione di significato e di possibilità
di scambio rispetto ad esso.
Quando racconto un evento nella narrazione sono frammisti l’evento e l’interpretazione
che ne do (i sentimenti, le emozioni che mi ha provocato...) costruendo dunque,
attraverso la stessa narrazione, il significato che io attribuisco a quell’evento.
Sintetizzando, potremmo asserire che la vita umana è contraddistinta dai significati,
ovvero che la nostra vita è condizionata più dalle opinioni e dai significati che attribuiamo
agli eventi che dagli eventi medesimi (Bruner, 1990; Watzlawick et al., 1971; 1978). Le
narrazioni giocano un ruolo centrale proprio nel processo di significazione degli eventi:
le narrazioni con cui (in cui) i soggetti organizzano le esperienze e gli eventi in genere
costituiscono il fondamento della percezione che hanno degli altri, di se stessi, del
mondo esterno. È attraverso la narrazione che si attribuiscono significati agli eventi, si
“ordina” e si può condividere la propria esperienza. Attraverso essa si “allena” la capacità
di autoanalisi e, quindi, la consapevolezza di sé, che la pratica dell’orientamento
primariamente intende sviluppare nel soggetto.
L’Orientamento come supporto alla pedagogia delle diversità
A differenza dei bisogni educativi speciali, l’educazione inclusiva mira a garantire la
partecipazione di tutti gli alunni al processo di apprendimento in quanto persone e non
soggetti appartenenti a una categoria speciale (disabile, straniero, Rom, donna).
I temi dell’inclusione e dell’educazione inclusiva non possono essere ridotti a esercizi
lessicali, in quanto rappresentano una rottura epistemologica, anche attraverso
l’interruzione dei linguaggi, rispetto alle idee di integrazione, di integrazioni e bisogni
educativi speciali.
La teoria sull’identità sociale concettualizza il gruppo come luogo di origine dell’identità
sociale: nell’uomo è spontanea la tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte ed a
distinguere il proprio gruppo di appartenenza (ingroup) da quelli di non-appartenenza
(outgroup), eplicitando consequenzialmente dei meccanismi di favoritismo per il proprio
gruppo (e l’inverso per gli outgroup).
Secondo tale teoria, l’identità sociale dell’individuo si costruisce attraverso tre processi
funzionalmente collegati:
1. Categorizzazione: l’individuo costruisce “categorie” discriminanti di appartenenza,
basate su fattori di vario tipo (per età, genere sessuale, posizione sociale o lavorativa,
religione, appartenenza politica, tifo per una squadra di calcio, ideologie di
riferimento, appartenenza etnica, ecc.), tendendo a massimizzare le somiglianze tra
i soggetti all’interno della categoria, massimizzando al contempo le differenze con
le categorie contrapposte.
2. Identificazione: le varie appartenenze ai diversi gruppi forniscono la base
psicologica per la costruzione della propria identità sociale. L’identità sociale è in
effetti costituita da una gerarchia di appartenenze multiple. È possibile distinguere
64 LIFE DESIGN Research and Education
tra Identità Situata (in un dato momento un’appartenenza può essere maggiormente
saliente rispetto ad altre) ed Identità Transitoria (ad es., chi si autopercepisce ed
autocategorizza come “tifoso” solo in occasione dei Mondiali di calcio e non in altre
situazioni).
3. Confronto Sociale: l’individuo confronta continuamente il proprio ingroup con
l’outgroup di riferimento, con una condotta marcatamente segnata da valutazioni
in favore del proprio ingroup. Il proprio gruppo viene implicitamente considerato
“migliore” rispetto agli “altri”, che vengono metodicamente svalutati o confrontati
in chiave critica.
Oggi nella società attuale si parla soprattutto di favorire l’integrazione sociale di persone
con handicap ed extracomunitarie, in teoria tanto si sta facendo in questo senso ma di
fatto, cosa è realmente cambiato rispetto al passato?
Esistono forme di emarginazione che sono ancora più gravi perché sono prodotte dal
pregiudizio, dall’ignoranza, dall’azione attiva di gruppi e persone verso altri gruppi e
altre persone. Esse sono:
• il pregiudizio sull’origine delle persone (o razzismo),
• il rifiuto verso gli aderenti a religioni o confessioni diverse dalla propria,
• la discriminazione verso l’appartenenza ad un sesso o verso scelte di relazione affettiva
(principalmente verso gli omosessuali),
• la discriminazione verso transessuali,
• il disconoscimento verso le persone diversamente abili,
• il timore che produce distanza verso gli ammalati,
• il disprezzo verso altri gruppi sociali, quali ad esempio: i nomadi; i nativi.
Compito della società deve essere il rimuovere tutte le emarginazioni perché producono
disagio, sofferenza, squilibrio, tensioni, spreco di risorse (personali e intellettuali). La
diffusione di una “cultura” dell’emarginazione verso individui o verso gruppi sociali può
sfociare in comportamenti criminali anche estremamente gravi.
Obiettivi generali su cui orientarsi potrebbero essere per iniziare:
• una riflessione sulla visione della realtà vissuta dal punto di vista dei ragazzi;
• produzione continua di stimoli per una maggiore consapevolezza dei propri stereotipi
e pregiudizi legati all’Altro;
• una diversa modalità di lettura della realtà promuovendo più criticità delle informazioni
e favorendo il dialogo interculturale nel riconoscimento della diversità come una
risorsa.
La scuola deve consolidare il ruolo di iniziazione a una pedagogia dell’infanzia pronta
ad accogliere, rispettare e valorizzare i diversi volti antropologici, offrendosi come
eccellente sede educativa di decondizionamento etnocentrico, azzerando la formazione
di stereotipi, pregiudizi, assiomi e dogmatismi veicolati dai massmedia e dalla famiglia.
La dimensione orientativa, dà alla scuola il compito di educare al rispetto delle diversità
culturali, promuovendo una diffusa conoscenza e coscienza multilaterale avvicinando
all’altro, come diverso da sé ma empaticamente onnicomprensivo di bisogni.
Reserch and Education LIFE DESIGN 65
In generale i problemi che l’Orientamento in campo educativo affronta, appartengono
a tre grandi famiglie, quelli che riguardano:
• l’allievo come individuo singolo o come gruppo di individui;
• l’insegnamento, i suoi contenuti e la sua applicazione;
• la scuola, la sua azione e i suoi scopi.
Si tratta, di gestire il processo di costruzione dell’individuo, applicando un orientamento
che lo sproni ad essere, e a divenir.
Contributi a cura dello staff
Dott.ssa Lara Forina
Psicologa- Orientamento Promozione alla salute;
Stefania Conca
Orientatore Civico-Istituzionale
Ins. Raffaella Rizzi
Orientatore Esistenziale
Dott.ssa Anna Saulle Pedagogista
Orientatore Didattico
Dott.ssa Francesca Conca Psicologa
Orientatore Interculturale;
Dott.ssa Maria Forina
Esperta in pratiche di Orientamento – Presidente Skills Project
Bibliografia
Domenici G., Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Editori Laterza, Roma-Bari 1998
Cesana R., Pizzardi E., Percorsi di orientamento nel sistema formativo integrato in «Professionalità» n.62 marzo/aprile 2001
Pombeni M. L., Progetto riordino e sviluppo di strumenti orientativi: le azioni orientative nell’obbligo scolastico e formativo,
Ce.Trans. – Università di Bologna
Pombeni M. L., La consulenza nell’orientamento: approcci metodologici e buone pratiche in «Professionalità» n.65 settembre/
ottobre 2001
Scandella O., Marina Cavallini, Piergiorgio Reggio, Un sistema territoriale per l’orientamento: l’orientamento dalle pratiche
educative alle politiche attive del lavoro in CISEM Informazioni n.10 ottobre 2001
Marostica F., L’orientamento nel sistema scolastico dell’Emilia Romagna in “Innovazione educativa” n.3-4/2002
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NEWS AND
REVIEWS
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Un ruolo chiave per la crescita e la cura dei cittadini
europei del XXI secolo
Dott. Danilo Iervolino
Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Università Telematica Pegaso
Insieme all’Istituzione accademica che rappresento, credo sinceramente nel valore
aggiunto che un servizio di orientamento personalizzato e ben condotto possa avere
per garantire a tutti un più elevato grado di autonomia personale e, quindi, di benessere.
Per quanto non ancora riconosciuto normativamente, il ruolo e il profilo dell’orientatore
è sempre più apprezzato anche in Italia. Tramite le continue analisi e i dati sempre
aggiornati di cui disponiamo in Ateneo rispetto al placement di studenti diplomati e/o
neo-laureati, sappiamo che tali categorie (e, soprattutto i loro genitori) lo cercano per
chiedere un consiglio super partes in queste difficili situazione di scelta. Lo gradiscono
i giovani che non si sono qualificati (altra categoria a cui prestiamo molta attenzione;
si veda, in proposito, il progetto uniprofessioni) e che rischiano di impantanarsi nella
palude di un mercato del lavoro sempre più esigente. Lo consultano le donne, al rientro
dalla maternità. E così pure gli over 50, soprattutto dopo una fuoriuscita dall’azienda
in crisi. Categorie diverse di persone, accomunate dal bisogno di avere una bussola su
cui fare affidamento. La domanda di orientamento cresce perché cresce il numero di
opzioni possibili: dalla fioritura di corsi di laurea ai nuovi lavori, il rischio di perdersi è
altissimo.
Data tale situazione, è stato illuminante incontrare e condividere studi e ricerche con
l’Associazione Nazionale Orientatori. Dopo approfonditi incontri e ripetuti confronti sul
tema condividiamo la vision per cui l’orientamento ha un’applicazione potenzialmente
così generale che sarebbe davvero limitante continuare a riferirla soltanto ai vari passaggi
formativi o ai percorsi di immediata professionalizzazione.
L’orientamento oggi va visto secondo un itinerario che tenga conto dei mutamenti
che si sono verificati intorno a noi. Sono profondamente mutate negli ultimi trent’anni
le nostre concezioni in ordine all’intelligenza, alle motivazioni, alla comunicazione,
all’apprendimento. È mutato anche il concetto teorico di orientamento (di cui si parla
soprattutto nei Paesi più avanzati della nostra Comunità e nel nord America; dobbiamo
ad ASNOR l’introduzione nel nostro Paese di questo tema); ora è anzitutto di tipo
multidimensionale; si configura come processo continuo e dinamico che accompagna
non solo i cicli formativi ma, in generale, quelli vitali; serve da aiuto all’autovalutazione,
da stimolo culturale e all’esperienza; è apertura a nuove conoscenze ed interessi.
Alla base di questa concezione c’è l’idea di una persona che costruisce la propria identità
alla luce di una educazione dinamica e permanente. Per tutte queste ragioni abbiamo
deciso di partecipare alla diffusione della cultura dell’orientamento: insieme ad ASNOR,
vogliamo costruire un progetto concreto e in grado di sostenere e accompagnare i
processi decisionali delle persone, perché siano in grado di affrontare le incertezze e le
Reserch and Education LIFE DESIGN 69
complessità che il nostro sistema di vita sembra moltiplicare continuamente.
Questa è la finalità precipua; per raggiungerla, è chiaramente necessario che la consulenza
sia data da operatori in grado di offrire servizi di qualità e di garantire standard che siano
sempre monitorati e valutabili. Servono specificità adeguate ai diversi contesti; ciò che
rileva attualmente, invece, è che troppo spesso il ruolo dell’orientatore è coperto da
insegnanti, formatori o consulenti che, a vario titolo, si propongono al pubblico con
motivazione e buona volontà ma senza un’adeguata preparazione.
Per fare l’orientatore non bisogna essere maestri. E neppure formatori: l’orientatore non
deve trasferire dei saperi; rischierebbe, in tal caso, di reprimere l’autonomia decisionale
dell’utente. Orientare vuol dire ascoltare.
E sicuramente di ascolto hanno bisogno i tanti neolaureati, per tornare a parlare del
nostro settore, che si accontentano di trovare una occupazione, quale essa sia, aldilà
di competenze acquisite e aspirazioni personali. Sono giovani che, se pur preparati
nelle loro discipline, spesso non lo sono rispetto alle prospettive occupazionali che li
riguardano. Difficilmente fino al momento della laurea uno studente si pone il problema
della scelta della professione che intende svolgere. Pigrizia, paura, disinteresse (ma anche
poca attenzione da parte delle istituzioni a questi temi) sono elementi che frenano le
domande e la ricerca proattiva di informazioni. Il risultato è che questi ragazzi, una volta
laureati, si ritrovano ad accettare la prima offerta che gli capita, all’insegna del “tanto
un posto di lavoro è uguale all’altro”. E invece non si accorgono di quale rischio corrano
nell’approcciarsi in maniera così depressa al lavoro.
È assolutamente il caso di supportare il riconoscimento e la diffusione professionalizzante
del profilo dell’orientatore. Sull’iter di studi più adeguato le opzioni sono diverse. Molti,
tra gli esperti, consigliano di conseguire una laurea in Psicologia del lavoro. Ma non
mancano sostenitori delle lauree in Scienze dell’educazione, Sociologia, o Filosofia.
Appare subito evidente che tali corsi, per quanto importanti e molto formativi, mancano
di specificità. Una laurea ad hoc per orientatori ancora non esiste. Ci rendiamo conto che
questo è un vero paradosso prodotto dalla mancanza di una cultura dell’orientamento
in Italia.
All’Università Telematica Pegaso abbiamo pensato ad un master e a corsi di Alta
Formazione specifici che, seguendo le linee teoriche proposte da ASNOR, costituiscono
un unicum nel panorama formativo nazionale. Invito tutti i gentili lettori a visitare il
nostro sito unipegaso.it nella sezione dedicata all’orientamento; dopo la pausa estiva, ci
proponiamo di implementarla significativamente con nuovi progetti e nuove iniziative
che siamo certi potranno costituire un buon viatico per il definitivo sviluppo di questo
profilo professionale.
Pegaso è un’Università “aperta” (Open
University) non s tatale, istituita con
Decreto Ministeriale del 20 aprile 2006
(G.U. n. 1 18 del 23.5.2006 Suppl.
Ordinario n. 125). La sede centrale è a
Napoli ed è presente su tutto il territorio
nazionale attraverso i Poli D idattici
Remoti ( E-Learning C enter Point),
strutture polifunzionali di supporto per
tutte le esigenze degli utenti.
I Titoli Accademici
LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
LAUREA IN SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE
DIPLOMA DI SPECIALIZZAZIONE
DOTTORATO DI RICERCA
MASTER UNIVERSITARI DI I E II LIVELLO
CORSI DI ALTA FORMAZIONE
CORSI DI PERFEZIONAMENTO
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Il nuovo Portale dell’Orientamento… e non solo!
Dott. Domenico Pontrandolfo
Direttore Generale dell’Associazione Nazionale Orientatori
Solo otto mesi fa, proprio qui sulla nostra rivista scientifica, animato da entusiasmo e
stupore ringraziavo tutti voi numerosissimi visitatori e fruitori del sito (attualmente quasi
600 al giorno) per il vivo interesse col quale da sempre seguite e partecipate a tutte le
attività che l’Associazione realizza su scala nazionale ed europea.
Oggi, con altrettanta passione e rinnovate consapevolezze, mi ritrovo a parlare del nostro
sito, ma con un scopo diverso, quello di presentarvi il nuovo Portale dell’Orientamento
ASNOR.
Da pochi giorni, infatti, sempre all’indirizzo www.asnor.it, è online il nuovo Portale
dell’Associazione con il nobile intento di ampliare, rilanciare e facilitare la funzione
informativa e per certi versi formativa svolta sin’ora dal nostro vecchio sito.
Questo cruciale passaggio, da sito a portale, se in termini tecnico-organizzativi
rappresenta l’evoluzione logica, non può però essere considerato un passaggio scontato,
anzi, è un passaggio complesso e alquanto delicato, che ha richiesto, e richiede, un
notevole e costante impegno da parte di tutto lo staff dell’Associazione.
La scelta di realizzare un Portale interattivo dell’orientamento e per l’orientamento ha
ragioni e valenze diverse: di carattere scientifico, di qualità, di organizzazione, di una
migliore relazione con i fruitori, di marketing, di competitività… Per quanto diverse,
tali ragioni, sono tutte legate da un’unica certezza: questo è un modo, anzi il modo,
per stare al passo con i tempi, per partecipare al perpetuo cambiamento della società
della complessità e dell’informazione. Quindi, l’esigenza di cambiare, di trasformare, di
svecchiare il proprio modo di stare in rete, per l’Associazione, trova la sue ragion d’essere:
• nella necessità di migliorare il rapporto con tutti i visitatori che intenzionalmente e
quotidianamente scelgono di connettersi sulla pagina web di ASNOR, per poter così
rispondere in modo sempre più efficace ed efficiente ai bisogni specifici di conoscenza
e/o di far beneficiare di alcuni servizi che l’Associazione stessa offre;
• dalla necessità di semplificare la vita di chi si trova a navigare fra i nostri link, così da
consentire con un semplice clik la circolazione delle informazioni tra tutti gli attori
coinvolti in quello che potremmo definire “sistema orientamento” ;
• dalla necessità di creare aggregazione fra tutti i membri della stessa “comunità
dell’orientamento”, e fra tutti i sistemi che realizzano attività orientative;
• dalla necessità di favorire una reale mobilità degli orientatori professionisti sul territorio
nazionale ed europeo;
• dalla necessità di facilitare e garantire la circolazione delle informazioni e delle buone
prassi in materia di orientamento tra tutti gli attori coinvolti;
• ed infine dalla necessità di offrire alla persona sevizi integrati .
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Il Portale ASNOR, dunque, si fa vero luogo di incontro virtuale e, si presenta con una
rinnovata e più accessibile veste grafica e risulta essere molto più semplice da consultare
oltre ad essere più ricco di contenuti, di notizie, di risorse di approfondimento, di eventi,
di informazioni.
Una delle novità più significative riguarda il sistema di etichettatura dei contenuti che
permette varie possibilità di accesso ai materiali presenti sia attraverso un motore di
ricerca interno sia grazie ai collegamenti trasversali determinati dai tag e dalle categorie.
Oltre a questo il portale presenta un’organizzazione dei contenuti più immediata
ed intuitiva; molto più ampia è la sezione dedicata alle news, viene introdotto un
vasto e variegato ventaglio dedicato ai link utili; l’iscrizione al servizio di newsletter
consentirà, con cadenza mensile, di aggiornare ed informare gli iscritti su eventi, notizie,
appuntamenti e molto altro.
A queste novità, va aggiunta la Biblioteca degli Orientatori: prezioso spazio, fatto per
gli orientatori dagli orientatori stessi. Gli e-book, presenti e scaricabili nella biblioteca
virtuale, sono il frutto dell’esperienza sul campo realizzata da ciascun iscritto all’Albo
che ha deciso di condividere il proprio elaborato finale con l’intento di agevolare lo
scambio di saperi e favorire l’aggregazione fra i vari operatori del settore.
Ampio spazio viene dato ai nostri Partner con i quali si stanno muovendo tanti passi in
avanti per la realizzazione del Sistema di Orientamento Integrato. A tal proposito, vorrei
farmi portavoce di un ulteriore novità nella novità e aprire qui una breve parentesi:
affinché questo Sistema di Orientamento Integrato non solo si realizzi concretamente
ma acquisti spessore scientifico ed etico, legittimità, rilevanza sociale e valenza di
tipo preventivo, si sente viva l’esigenza di creare un nuovo spazio di ricerca in tema
di orientamento, che vada a ripensare l’orientamento fra teoria e pratica non solo in
una logica top-down, ma soprattutto in quella bottom-up, dove l’analisi della pratica
orientativa porti a nuove riflessioni teoriche e ad un rigore metodologico a forte
credibilità scientifica. È per raggiungere questo nobile obiettivo che l’Associazione
in perfetta sinergia con l’Università Telematica Pegaso, uno dei suoi più prestigiosi
partner, ha deciso di realizzare Il Laboratorio di Orientamento: laboratorio di ricerca
e di intervento per l’orientamento alla persona, alla scelta ed alla consapevolezza
esistenziale. Il laboratorio di orientamento avrà come obiettivi specifici:
• quello di analizzare la situazione esistente in ambito di orientamento non solo a
livello nazionale ma in una logica di studi comparati per creare una road maps
dell’orientamento;
• concorrere a definire una più concreta identità di ruolo dell’orientatore (abilità,
conoscenze e competenze);
• individuazione di criteri di valutazione dell’efficacia dei programmi di formazione in
materia di orientamento;
• elaborare proposte di direttive e buone prassi da contrapporre alla situazione di
anomia vigente;
• cercare un possibile iter condiviso e condivisibile di riconoscimento, accreditamento e
certificazione della professione;
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• concorrere alla rilevazione, all’approfondimento e alla diffusione delle ragioni
scientifiche, culturali, e sociali che giustificano la necessità dell’orientamento;
• si pone come ambiente organizzato per l’approfondimento degli studi specifici e per
lo sviluppo di progetti e sperimentazioni in campo di orientamento;
• si pone come servizio agli studenti e ai ricercatori delle altre Università che intendono
contribuire alla ricerca teorico e pratica sull’orientamento secondo un angolatura
pluridisciplinare;
• elaborare, sulla base delle ricerche di coloro che vi aderiscono, modelli di progettualità
in tema di orientamento secondo la logica del Sistema di Orientamento Integrato ;
• messa a punto di strumenti e protocolli di orientamento per persone e per i
diversamente abili;
• progettazione di percorsi formativi in virtù della necessità di garantire la continuità dei
processi formativi/educativi;
• elaborazione e messa a punto di nuove metodologie e strumenti per l’orientamento;
• messa a punto di strumenti e protocolli di valutazione e monitoraggio dei processi
attraverso l’uso di nuove tecnologie;
• pubblicazioni in materia di orientamento - nuove linee di sviluppo e nuove normative
nello scenario nazionale ed europeo;
• diffusione dei risultati di ricerca attraverso la rivista scientifica Life design - research
and education e seminari, convegni;
• servizio di documentazione e indicazioni bibliografiche sul tema dell’orientamento;
• banca dati sui servizi di orientamento esistenti sul territorio;
• news riguardanti iniziative di studio e di formazione in tema.
Un laboratorio che vuol essere un vero centro propulsore di ricerca, sviluppo innovazione
in materia di orientamento.
Chiudendo la parentesi dedicata al Laboratorio, futuro link del nostro Portale, vorrei
informarvi che è possibile seguire le nostre attività anche attraverso il cellulare grazie ad
in una versione mobile del portale.
Concludo il presente contributo con un invito a visitare il nuovo Portale, non solo
come meri fruitori ma come attori protagonisti delle complesse politiche e attività di
orientamento.
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RECENSIONI
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Antonia Rubini
Pedagogia e politica.
Il contributo della comunicazione per un
educare alla cittadinanza responsabile
Guerini Scientifica, Milano 2010.
Se dovessimo individuare un termine che, come il seme sta alla pianta, sintetizza questo
lavoro, la parola è Fiducia.
Il libro nasce dalla curiosità, dalla voglia di individuare e comprendere quali fatti
sottostanno alle numerose, ma finora vane, affermazioni di politici, commentatori e
praticanti della politica sulla demotivazione della gente rispetto alla politica e sulla
necessità di porvi rimedio, alla voglia di dire la propria opinione o di collaborare alla
soluzione dei problemi di comunità piccole e grandi.
Poiché, secondo il punto di vista del pedagogista, sempre alla ricerca delle strategie per
dotare la persona degli strumenti utili a dar senso alla sua esistenza, affinché si realizzi
per lei migliore dei mondi possibili, non basta solo dire, occorre anche fare, e per fare
occorre sapere, conoscere, comprendere, il libro fornisce dati, spiegazioni, motivazioni
utili a ben comprendere il fenomeno del venir meno della fiducia, per poter individuare
possibili soluzioni al problema.
Allora guida il lettore lungo il percorso di trasformazione della politica, per
comprenderne le metamorfosi, a partire dalla definizione che il filosofo Aristotele ci ha
lasciato della politica.
Ci parla di spettacolarizzazione della politica, di personalizzazione, di tecniche di
costruzione del personaggio, tutto finalizzato a catturare il consenso del cittadino,
sempre più travolto dai problemi e dai ritmi di un mondo caotico, alle prese con la
nuova realtà della globalizzazione, con tutte le conseguenze che ciò comporta e che si
ripercuotono sulla sua esistenza.
Ci porta a considerare la distorsione della comunicazione, divenuta unidirezionale,
quindi impositiva, sorda e antidemocratica. Ci mostra la forza persuasiva, pervasiva
e oppressiva che le tecnologie possono esercitare e di cui la politica si serve per
“costringere” le scelte dell’uomo. Tutto ciò con riferimenti a realtà e personaggi precisi
del mondo occidentale.
E quando il quadro di spoliazione della libertà di scelta della persona è chiaro, prospetta
le possibili soluzioni e ben si comprende la necessità della creazione di un uomo
nuovo, consapevole del fatto che la realizzazione di se stesso, il ripristino della libertà
della persona passa attraverso il suo impegno ad essere presente, attivo e partecipe
alla soluzione dei problemi della comunità, che la propria libertà sta nella libertà
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dell’altro, di un homo civicus che si contrapponga e sconfigga la logica dell’homo
emptor. Ma come è possibile giungere a tanto risultato? Il libro ci dice che ciò può
avvenire attraverso la forza dell’associazionismo, capace di contrapporsi e sconfiggere
la condizione di sudditanza in cui ciascun cittadino, separato dal suo simile e chiuso nel
proprio egoismo è stato ridotto dagli interessi economici e di potere di pochi.
Si tratta, a questo punto, di una vera rivoluzione che restituisca il giusto valore alla
politica e che non può certo svilupparsi spontaneamente; serve un progetto, un
percorso, servono degli attori capaci di aiutare le persone a riconquistare la propria
libertà. Partendo dal presupposto che di tale compito non possono farsi carico altri che
scienze il cui focus è la persona, nelle pagine del libro si prospettano le ragioni per cui
queste non possano che essere la Politica e la Pedagogia, le quali, pur con le differenze
che le caratterizzano, sono in grado di portare nuovamente la persona a essere artefice
del proprio destino, a riconquistare la perduta fiducia nell’altro.
Si tratta, pertanto, di un lavoro di indubbia utilità sia per l’esperto, che può trarre spunti
di riflessione e indicazioni di lavoro, sia per il cittadino che può trovare nelle sue pagine
risposte a interrogativi e stimoli a riappropriarsi del proprio ruolo nella società.
A.R.
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Enrico Menduni
I media digitali.
Tecnologie, linguaggi, usi sociali
Editori Laterza, Bari 2007
“Computer, telefonini, Internet, videogiochi, fotografia, tv, lettori mp3, navigatori
satellitari: la nostra vita quotidiana è invasa dalle tecnologie digitali, sempre più
miniaturizzate, economiche, alla portata di tutti.
Si sta realizzando una complessiva ricollocazione dell’intero sistema mediale, con
intrecci reciproci sempre più facili e intensi, nell’ambiente generato dal computer,
diffuso tramite Internet, incorporato nei mass media.
Questo manuale spiega, con linguaggio accessibile e rigore scientifico, che cosa sono
e come funzionano i media digitali, in cosa consiste la convergenza multimediale e
quali sono le sue conseguenze, le pratiche sociali, i problemi. Vi si troverà non solo
il complesso quadro tecnologico in continua evoluzione dei nostri anni, ma anche
l’interazione del digitale con i media esistenti e il suo impatto sulle tendenze culturali.”
Molto utile, per gli orientatori in formazione e non, nella società della conoscenza e
dell’informazione, è la lettura di questo manuale dedicato ai nuovi media digitali che
consente di acquisire e/o affinare in modo semplice la conoscenza sui nuovi media
digitali, per poterli adoperare nella quotidianità della propria professione senza correre
il rischio abusi o malnutrizioni tecnologiche.
Nel testo non si parla semplicemente di nuove tecnologie, ma anche e soprattutto
della trasformazione digitale dei vecchi media in nuovi media della peculiarità di tale
trasformazione. Inoltre, spiccato interesse risultano essere gli usi sociali e i linguaggi
propri dei media digitali che vengono ampiamente trattati nella seconda parte del
testo di E. Menduni.
F.V.
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Carlo Zeuli
Giudici e Padri
Romanzo
CSA Editrice, Castellana Grotte (BA) 2011
Ci lusinga presentare in questa sede una recensione speciale dedicata al romanzo di
Carlo Zeuli, uno dei nostri orientatori.
Il romanzo in questione si intitola Giudici e Padri ed è una vera e propria opera di
denuncia sociale. L’autore racconta una storia di separazione e del difficile rapporto
delle famiglie con i tribunali.
Il protagonista del testo è un padre separato. Il suo nome è Carson, e per quanto risulti
essere un buon padre viene messo nell’impossibilità di crescere il suo amato figlio e di
rispettare gli stessi obblighi imposti dalle sentenze di giustizia.
La trama, molto ricca di intrecci, dà vita alla storia di persone legate da vincolo di
parentela acquisito che per vicissitudini varie non solo si scoprono capaci di farsi
del male reciprocamente, ma anche di farsi “giustizia” da soli, laddove le istituzioni
falliscono miseramente.
Il romanzo risulta essere molto coinvolgente in quanto l’autore mette il lettore nelle
condizioni di fare le proprie riflessioni basandosi sulle proprie esperienze personali.
“Il romanzo non ha una semplice conclusione, del tipo ‘felici e contenti’, per il semplice
motivo che non ha una fine. Storie come queste finiranno di esistere quando l’opinione
pubblica prima, e le amministrazioni politiche poi, rispetteranno di più la famiglia e i
suoi figli e di meno gli interessi delle categorie professionali che costruiscono imperi
economici sulla pelle della brava gente.” Quindi, un opera che per certi versi mostra in
toto la durezza e la complessità della vita di persone normali costrette all’anormalità e
per altri , invita al prendere coscienza di queste difficoltà per riuscire ad andare oltre.
M.A.
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