presentazione prof. breccia

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ASSOCIAZIONE ARMA AERONAUTICA
SEZIONE CESMA
GIULIO DOUHET
L’EMERGENZA MALESE - PROF. GASTONE BRECCIA (UNIVERSITA’ DI PAVIA)
CESMA
18 SETTEMBRE 2014
Il 21 ottobre 1951 il governo laburista di Clement Attlee venne sconfitto nelle elezioni politiche generali del Regno Unito e Winston Churchill riprese
possesso dell’ufficio del Primo Ministro al numero 10 di Downing Street.
Quindici giorni prima, in Malesia, era stato ucciso durante un’imboscata Sir Henry Gurney, High Commissioner (governatore civile) della colonia, nel più
audace attacco messo a segno dai guerriglieri comunisti dell’MPLA 1 dall’inizio dell’insurrezione armata, nel giugno 1948. La Gran Bretagna era sull’orlo
della bancarotta; le riserve di cibo erano più scarse che nel 1941, e molti generi di prima necessità ancora strettamente razionati. Difficile pensare ad
una situazione meno adatta per impegnarsi in una campagna di controguerriglia nella giungla di una lontana provincia dell’impero, del resto ormai
rapidamente avviato alla smobilitazione : ma Churchill non era uomo da anteporre le difficoltà presenti alla prospettiva di una disfatta futura, le cui
conseguenze, a suo avviso, sarebbero state irreparabili per l’intero Occidente.
L’avanzata del comunismo nel sud-est asiatico, dopo la vittoria di Mao Zedong in Cina, sembrava inarrestabile. Churchill nutriva scarsissime speranze
sulle capacità dei francesi di resistere all’offensiva del Viet Minh in Indocina; la Malesia non doveva assolutamente cadere, altrimenti la situazione
strategica in tutto l’Estremo Oriente sarebbe stata irrimediabilmente compromessa. Pochi giorni dopo aver ripreso la guida del governo di Londra,
Churchill decise di inviare a Kuala Lumpur il suo nuovo Segretario di Stato per le Colonie, Sir Oliver Lyttelton, con una sola direttiva: «la cancrena deve
essere fermata» 2. Lyttelton arrivò in Malesia il 29 novembre 1951. Dopo alcuni giorni le sue impressioni sulla situazione nella colonia erano
decisamente scoraggianti : la polizia era inefficiente e corrotta, la guerriglia comunista sembrava godere dell’appoggio di buona parte degli abitanti di
etnia cinese (circa 2.000.000 di individui, ovvero il 38% del totale della popolazione presente in Malesia); nelle aree ai margini della giungla, dove
vivevano decine e decine di migliaia di «squatters» – «occupanti abusivi» di terre dello Stato, costretti ad abbandonare i propri villaggi durante la
guerra – le condizioni erano poi estremamente critiche, perché le forze governative erano incapaci sia di garantire la sicurezza che di prevenire il
diffondersi della propaganda comunista.
Lyttelton incontrò a Kuala Lumpur i responsabili delle miniere di stagno e delle piantagioni di caucciù, le due colonne portanti dell’economia malese,
che minacciarono di abbandonare in massa il paese se la situazione non fosse cambiata entro sei mesi. Il capo del Colonial Office promise aiuti
economici e militari, ma li mise in guardia dal prendere misure eccessive e arbitrarie contro la popolazione cinese. Soprattutto, presa coscienza della
gravità della situazione, Lyttelton decise di proporre a Churchill un piano d’azione articolato in sei punti fondamentali :
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direction of civil and military forces by one man;
reorganization of the police;
compulsory education programme «as a means of winning the war of ideas»;
more protection for squatter areas;
a Home Guard to include «large numbers of Chinese»; and finally
a review of the civil service with a view to recruiting the best men available in Britain and Malaya.
Se Londra avesse mostrato la necessaria volontà di appoggiare queste misure, la cancrena sarebbe stata fermata. L’uomo prescelto per mettere in atto
il «piano Lyttelton» fu il generale Sir Gerald Templer (1898-1979), nominato High Commissioner per la Malesia il 22 gennaio 1952. 54 anni, originario
dell’Ulster, Templer era il classico militare «tutto d’un pezzo», brusco e dal linguaggio tagliente, ma capace di farsi rispettare per la tenacia e la
capacità di condividere fatiche e pericoli con i propri subordinati. Dieci anni prima era diventato il più giovane tenentegenerale dell’esercito britannico;
adesso avrebbe dovuto affrontare una situazione per lui nuova, in un paese e in una realtà a lui del tutto sconosciute. Quando si presentò a Churchill,
che lo aveva convocato per conferirgli il nuovo incarico, il Primo Ministro gli disse una sola parola – «Malaya». Templer non ebbe la minima esitazione :
come avrebbe ricordato in seguito, «lo considerai un ordine». Tre settimane dopo era in Malesia, «dotato di poteri civili e militari maggiori di qualsiasi
altro militare britannico dopo Cromwell».
Ne avrebbe fatto buon uso: due anni dopo, al momento di lasciare l’incarico, Templer «aveva spezzato la schiena della ribellione», come scrissero vari
giornali; era diventato l’eroe dell’Occidente anglosassone che si opponeva alla avanzata comunista, il primo regular soldier capace di «neutralizzare la
giungla», come si legge sulla copertina che la rivista Time gli dedicò all’inizio del 1954. Con la sconfitta dei ribelli comunisti in Malesia si affermava il
prestigio della «scuola di controguerriglia» britannica, di cui si facevano risalire le origini alle prolungate small wars imperiali di età vittoriana, e al testo
che ne aveva rappresentato la più riuscita rielaborazione concettuale, il saggio del colonnello Charles Edward Callwell che portava lo stesso titolo 4 . Ma
era stata vera gloria? In che modo, e soprattutto grazie a quali condizioni vantaggiose, peculiari della realtà malese, le forze agli ordini di Templer erano
riuscite a stroncare l’insurrezione guidata dal Malayan Communist Party?
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Un passo indietro. La decisione di passare alla lotta armata, presa dal leader comunista Chin Peng nella tarda primavera del 1948, era la conseguenza
diretta del rapido deteriorarsi delle speranze di ottenere il potere con mezzi pacifici. Gli inglesi, dopo un primo periodo di scarsa attenzione alle attività
del Malayan Communist Party, avevano proibito ogni azione sindacale, arrestato i membri del partito che facevano propaganda tra i lavoratori, e
apertamente appoggiato il progetto di trasformare la colonia in una federazione indipendente la cui guida politica sarebbe stata riservata ai malesi,
lasciando i cinesi in una posizione sociale subordinata, ai limiti della piena cittadinanza. Illudendosi sulle reali possibilità di coinvolgere nell’insurrezione
anche elementi estranei alla etnia cinese facendo esclusivamente leva sull’ideologia, Chin Peng commise un errore fatale : nonostante l’appoggio di cui
godette la guerriglia – specie dal 1948 al 1952 – tra operai, minatori e squatters cinesi, i malesi (che costituivano praticamente il 50% della
popolazione) e gli indiani (11%) si dimostrarono ostili quasi senza eccezioni, bloccando la rivolta in una situazione di stallo anche prima della svolta
segnata dall’avvento del governo Churchill. La speranza di Chin Peng, come di molti altri rivoluzionari prima e dopo di lui, era quella di disarticolare
attraverso la lotta armata l’economia del paese, provocando l’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, che
avrebbe finito per aderire al progetto insurrezionale a prescindere da considerazioni razziali e religiose; il capo del Malayan Communist Party non fu
però fortunato, perché con l’inizio della guerra di Corea, nel giugno 1950, i prezzi di stagno e caucciù salirono alle stelle, causando in breve tempo un
sensibile e imprevisto miglioramento nelle condizioni dei minatori e dei lavoratori impiegati nelle piantagioni.
Un secondo aspetto determinante fu la chiara volontà, da parte dell’amministrazione coloniale britannica, di concedere alla popolazione malese spazi di
autogoverno sempre maggiori, in un percorso che avrebbe dovuto condurre senza troppo indugio alla piena indipendenza (effettivamente proclamata
dal parlamento britannico con il Federation of Malaya Independence Act il 31 luglio 1957). La via pacifica e democratica al miglioramento sociale era
dunque aperta – a poco a poco anche all’etnia cinese – e certo meno rischiosa della lotta armata sotto la guida di un partito sostanzialmente privo di
legami storici con il paese, e persino linguistici con la maggioranza della sua popolazione.
Il concorso di questi due elementi – miglioramento economico, apertura democratica – privò l’insurrezione comunista delle sue armi migliori,
condannandola alla marginalizzazione e, nel lungo periodo, all’estinzione. La sola possibilità di vittoria per il Malayan Communist Party era quasi
certamente già svanita alla fine 1950, ben prima dell’arrivo di Templer, quando il suo predecessore – il generale Briggs 5 – aveva sfruttato le maggiori
risorse disponibili nella colonia per lanciare un ambizioso programma di reinsediamento forzato della popolazione cinese, costringendo decine e decine
di migliaia di squatters a spostarsi in villaggi recintati e sorvegliati dall’esercito, separando così i guerriglieri attivi dalla popolazione che simpatizzava
con loro. Come ha scritto recentemente Douglas Porch, lo scopo del programma – avviato da Briggs nel giugno 1950 – era quello di spostare
“.. half a million Chinese into «new villages», which turned out to be crime-infested «rural ghettos» guarded by barbed wire enclosures and
searchlights that combined all the comforts of Kitchener’s concentration camps minus the «Ladies Committee». A further 650.000 plantation and mine
workers were also forced to live behind barbed wire, subject to owners who seized the opportunity to extinguish the last vestiges of union
representation ..”
Fu una scelta controversa, perseguita con durezza eccessiva, che causò nei primi tempi un ulteriore risentimento tra i cinesi che vivevano ai margini
della giungla; ma ebbe, dopo poco più di un anno, gli effetti sperati, privando i gruppi armati comunisti delle loro fonti di informazioni, reclutamento e
soprattutto rifornimento alimentare. Nell’ottobre 1951 Chin Peng e il «comitato centrale» del Malayan Communist Party furono costretti ad emanare
direttive per una sorta di «ritirata strategica», che prevedeva la frammentazione dei gruppi armati, originariamente forti di alcune centinaia di
combattenti, in piccole unità capaci di sostentarsi in modo autonomo, e il progressivo restringimento dell’area di operazioni alle zone più vicine al
confine tailandese.
Quando Templer arrivò in Malesia, nel febbraio del 1952, e nonostante le impressioni negative registrate da Lyttelton meno di tre mesi prima, la
guerriglia era già stata messa alle strette. Questo non significa, è ovvio, che il compito di Templer fosse semplice, o che le misure da lui prese fossero
semplicemente dettate dalle circostanze. Il nuovo High Commissioner seppe rendere ancora più efficaci sia strategia sia la tattica delle forze
governative : nella sua formulazione più semplice ed efficace, sul piano strategico Templer mise bene in chiaro che la risposta all’attività insurrezionale
non poteva essere soltanto militare, ma doveva mirare soprattutto a conquistare la fiducia e la collaborazione della gente – the answer to the uprising
lies not in pouring more troops into the jungle, but in the hearts and minds of the people. Per farlo c’era bisogno di denaro – per addestrare e armare
la Home Guard composta anche da cinesi, che potesse rendere sicura la vita della popolazione, e quindi cambiarne l’atteggiamento verso il governo;
ma anche per distribuire cibo, costruire strade, scuole e ospedali, e persino per comprare la collaborazione dei membri della guerriglia sfiduciati e
stanchi della lotta armata, che avrebbero fornito le informazioni necessarie a combattere in maniera più efficace chi ancora teneva il campo : grazie
più remunerative esportazioni di materie prime, su cui la colonia guadagnava una percentuale, Templer ebbe a disposizione risorse sufficienti, che il
governo di Londra non avrebbe potuto garantirgli.
Anche in campo tattico, Templer raccolse i frutti di quanto fatto nel periodo immediatamente precedente, specie dopo l’arrivo di Sir Harold Briggs. Già
quest’ultimo, infatti, a partire dalla seconda metà del 1950, aveva abbandonato i rastrellamenti ad ampio raggio messi in atto dal suo predecessore –
del tutto inefficaci, specie perché mancava ancora un efficiente servizio di intelligence – a vantaggio di pattugliamenti affidati a piccole unità, più
limitati nello spazio ma protratti nel tempo, in modo da non dar tregua al nemico;
in particolare aveva appoggiato lo sviluppo dei Malayan Scouts, un’unità speciale antiguerriglia affidata a «Mad» Mike Calvert, già comandante di
brigata con i Long Range Penetration Groups del generale Wingate in Birmania nel 1944, che seppero individuare e attaccare le bande di insorti nelle
aree più inaccessibili della giungla malese. Come si legge in un rapporto riservato del quartier generale delle forze di terra britanniche in Estremo
Oriente (GHQ-FARELF) il 22 dicembre 1951 :
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“.. the role of the Malayan Scouts was defined as to operate in the deep jungle areas not already covered by other Security Forces with the object of
destroying «bandit» forces, their camps and their sources of supply. No other units in Malaya were sufficiently organised or equipped for this task,
which was vital for bringing the bandits to battle ..”
Templer utilizzò al meglio il Far East Land Forces Training Centre (meglio noto come Jungle Warfare School, «scuola di combattimento nella giungla»),
già attivo dal 1950, ordinando che tutte le unità dell’esercito assegnate al suo comando seguissero corsi di addestramento specifico;
contemporaneamente si sforzò di cambiare i principi d’impiego della forza aerea, riducendo drasticamente il numero delle missioni di mitragliamento e
bombardamento a vantaggio della ricognizione, del supporto logistico e delle «operazioni speciali» :
“.. the role of the air force shifted [from strafing and bombing] to intelligence gathering; the movement of troops and the evacuation of the wounded;
supply drops to jungle forts set up to win over aboriginal groups and units on extended jungle patrols; and propaganda flights in which leaflets were
distributed or «voice aircrafts» circled over the jungle canopy broadcasting messages to known insurgent groups. While the bombing of clearly
identified jungle-based targets was used when solid intelligence was developed, the instances of such operations became fewer as the Emergency
wore on. It was the auxiliary tasks that the air force performed which proved to be most valuable ..”
Una strategia efficace, tattiche adeguate, un nemico privo sia dell’appoggio della maggioranza della popolazione che del sostegno esterno di una
potenza amica: la Malayan Emergency, nel 1954, poteva ormai dirsi risolta sia dal punto di vista militare che da quello politico, anche se piccoli gruppi
di guerriglieri continuarono ad operare fino al 1960.
Il successo della British Counterinsurgency avrebbe lasciato tracce profonde, probabilmente aldilà dei meriti conquistati sul campo. «Conquistare i cuori
e le menti della popolazione» (winning the hearts and minds of the people) era la formula perfetta – facile da comprendere, memorizzare e
propagandare – per indicare una possibile via d’uscita a chi doveva combattere la guerriglia nei difficilissimi anni del secondo dopoguerra. Della sua
diffusione fu responsabile Sir Robert Thompson (1916 - 1992), già membro dello Stato Maggiore di Briggs e Templer : grazie a lui, prima attivo in
Vietnam (su richiesta del presidente Diem) come consulente ufficiale britannico per la contro-insurrezione, poi – dopo essere rimasto deluso dalla
scarsa attitudine statunitense a seguire i suoi consigli – libero pensatore e autore di un saggio fortunatissimo, la strategia dei cuori e delle menti,
condensata in cinque principi fondamentali, divenne popolare e nota in tutto il mondo.
La débacle statunitense in Vietnam, se da un lato provocò una sorta di rigetto nei confronti della COIN, dall’altro non fece che preparare la riscoperta e
l’affermazione della «dottrina Thompson» in anni a noi più vicini. John Nagl tracciò un parallelo strettissimo tra la vittoria in Malesia e la sconfitta
statunitense in Vietnam, imputandola anche alla diversa capacità, a suo avviso, di analizzare i problemi, imparare dall’esperienza, adattarsi e soprattutto
trasmettere le nuove conoscenze all’interno dei due eserciti, in modo da modificare in maniera sostanziale (e in tempo utile) la strategia e la tattica
utilizzate per combattere la guerriglia 10. Che Nagl abbia ragione o meno, il suo saggio ha avuto negli Stati Uniti un influsso profondo, contribuendo a
creare una nuova scuola di pensiero, di cui il generale David Petraeus ha raccolto le fila al momento di assumere responsabilità di comando in Iraq. Il
prodotto di questo ripensamento è stato il FM 3-24 (Counterinsurgency), pubblicato congiuntamente dall’U.S. Army e dall’U.S. Marine Corps sotto la
supervisione dello stesso Petraeus e del suo collega James F. Amos (USMC), ma con il decisivo contributo di John Nagl 11: alla Malesia è dedicata
esplicitamente solo una pagina, molto interessante, sullo sviluppo delle forze di polizia 12, ma tutta l’impostazione generale della COIN – che risale fino
a Robert Thompson e all’esperienza britannica dei primi anni ‘50 – vi è accolta, aggiornata e ridefinita per le nuove realtà operative del terzo millennio.
Nulla di male in tutto questo, ovviamente: molti dei principi della British COIN sono evidentemente sensati, e adatti ancor oggi alla problematica realtà
della «guerra tra la popolazione». Anche se, bisogna aggiungere, l’applicazione pratica della «dottrina Petraeus» (ammesso che si possa chiamare tale)
in Iraq e Afghanistan ha avuto successo temporaneo e limitato. Quello che mi preme mettere in luce, in chiusura di questa breve riflessione, è un
piccolo paradosso legato alla nascita e soprattutto alla diffusione e alla fortuna dei principi enunciati per la prima volta alla metà degli anni ’60 da Sir
Robert Thompson : da un’eccezione, la vittoria in Malesia, si sono ricavate le regole per condurre la COIN contemporanea.
Ma la guerriglia ridisegna ogni volta il proprio orizzonte strategico, pur sfruttando molto spesso tattiche e stratagemmi antichissimi : e «conquistare i
cuori e le menti» della gente può rivelarsi, in alcuni casi specifici, impresa superiore alle capacità operative non solo degli eserciti più potenti, ma anche
dei comandanti culturalmente più avveduti.
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