Sexy Shop © 2014 Editrice ZONA.pmd
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© 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore Stampa: Digital Team - Fano (PU) Finito di stampare nel mese di aprile 2014 Ufficio Stampa: Silvia Tessitore - [email protected] Progetto grafico: Serafina - [email protected] © 2014 Editrice ZONA piazza Risorgimento, 15 - 52100 - Arezzo tel 0575.081353 - 338.7676020 www. editricezona.it - [email protected] Sexy Shop romanzo di Vincenzo Marega ISBN 978-88-6438-473-3 © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata Vincenzo Marega © 2014 Editrice ZONA edizioneSEXY elettronica SHOPriservata prefazione di Andrea Silenzi È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione © 2014 Editrice ZONA dell’editore edizione elettronica riservata e priva della numerazione di pagina È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore Un sogno rock’n’roll di Andrea Silenzi © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata Di che materia è fatto il rock’n’roll? In massima parte di sogni. Sogni di un’altra vita, di altri luoghi, di possibilità infinite, di storie. Di riscatti. Di province abbandonate e di strade da divorare. E anche di sesso: intenso, liberatorio, mai assente. Sexy Shop, alla fine, è un sogno. È una storia semplice e universale, raccontata con la stessa asciutta consapevolezza con cui certi chitarristi (penso a Keith Richards) suggeriscono scenari familiari e al tempo stesso esaltanti, in cui è impossibile non riconoscersi. Una storia senza retorica, onesta e veloce nel ritmo, animata da personaggi tratteggiati in modo rapido, senza troppi fronzoli ma che da subito rivelano la loro malinconica complessità. Personaggi in difficoltà come Giorgio, travolto dal vortice delle insicurezze, o come Umberto, troppo cinico e baro per essere davvero quel che sembra. O come il protagonista Luca, ammaccato dalla vita e salvato da un amore inatteso e pieno di luce. Si muovono dentro un contenitore anomalo e contemporaneo come un sexy shop. Il luogo dove ormai tutti entrano (fisicamente o anche solo virtualmente) cercando di non farsi riconoscere, certificando l’impossibilità di essere felici, anche solo attraverso il piacere, restando se stessi. Un luogo altamente simbolico che racconta insicurezze e curiosità, dove qualcuno cerca conferme e qualcuno esplora, ma sempre cercando di tenere un piede fuori dalla porta. La storia di questo libro – e del film che ne porta in scena le vicende – è semplice, lineare, eppure piena di sentimento. È raccontata senza È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore virtuosismi, senza enfasi, ma proprio per questo riesce, con un uso essenziale delle parole, a farci entrare senza fatica in questo universo provinciale e un po’ asfittico fatto di inquietudini, paure, orizzonti un po’ corti. Ma è proprio in assenza di spazio che i protagonisti, nelle loro a tratti esilaranti vicende, mostrano tutta la loro vitale incapacità di soccombere. In modi diversi. Sono goffi, rassegnati, feroci. Sono dritti e fessi. Sono comici e tragici. Ci raccontano l’assurda umanità che entra ed esce da quel sexy shop con ironia e senza cattiveria, con un gusto del paradosso che trasforma il dramma in commedia. Sono ancora pervasi dallo spirito del rock’n’roll, quello che in altri tempi li ha strappati alla terra avvicinandoli al cielo. Sono piegati, ma non rassegnati. Sembrano distanti tra loro, e invece sono ancora vicini. E in questo continuo alternarsi di eventi miserabili e improvvise illuminazioni, di avvenimenti tragicomici e fastidiosi contrattempi, la musica resta la stella polare verso cui incollare lo sguardo, l’abbraccio che annega malintesi e rancori, il balsamo che allevia dolori e abrasioni. Non è un caso che artisti di grandi spessore come Maurizio Arcieri, Garbo, Andrea Chimenti – e tutta la pattuglia di musicisti che ha voluto partecipare a questo progetto – si siano innamorati di questo racconto. Perché loro, eroi della new wave italiana di fine anni Settanta-primi anni Ottanta, conoscono più di altri la fascinazione della musica. Loro che hanno scritto le pagine più belle di una delle rarissime epoche in cui la nostra scena musicale è stata al passo con quella anglosassone, riuscendo a produrre idee e suoni di pura avanguardia, dando voce all’urgenza di una generazione che cercava nuovi spazi. Anche il loro era un sogno rock’n’roll. Diverso da quello dei loro fratelli maggiori, più cupo, magari più concettuale. Ma era sempre fuga, riscatto, affermazione. Un collante, un razzo lanciato verso il futuro, una speranza. Un esorcismo contro la morte. Il salvagente per i protagonisti di Sexy Shop e, in fondo, un po’ per tutti. A.S. © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore I Quel fastidioso ronzio aveva svegliato il mio cervello, ma il corpo sembrava non volerne seguire l’esempio. Alzai con fatica una palpebra e cercai di articolare alcune parole: “Amore… mi prepareresti un caffè che io resto ancora un attimo a letto? Non ce la faccio proprio, solo due minuti, giuro”. “Lo hai detto anche mezz’ora fa, alle sette e mezza, quando ha suonato la tua sveglia: come sempre arriverai in ritardo per l’apertura”. Le parole di Anna mi fecero trasalire. Mezz’ora? La mia sveglia aveva già suonato e questa era la sua?? Cazzo, questa volta Umberto mi avrebbe brutalizzato d’impropèri, al telefono ma sempre estremamente sgradevoli. Aprii di scatto gli occhi e balzai giù dal letto con un guizzo felino, cercando d’infilare al volo un paio di pantaloni e gli altri indumenti sparsi in giro: il mio stile nel vestire era decisamente casual. L’abbinamento che avevo inconsapevolmente realizzato rivelò tutta la sua originalità quando mi catapultai in bagno per lavarmi la faccia. Lo specchio fu impietoso: pseudojeans marroni, camicia verde stinto sotto un maglioncino blu e scarpe da ginnastica bianche. Dopo un rapido summit tra i neuroni rimasti, decisi che poteva andare peggio; dove lavoravo nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Mentre lavavo i denti sentii dalla cucina l’odore del caffè che, immancabilmente, quella santa donna mi aveva preparato. Amavo Anna. © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore Lei era il regalo inaspettato che la vita m’aveva fatto due anni prima. Esile ma molto energica, così graziosa coi suoi capelli castani a caschetto e quei grandi occhi scuri che esprimevano tutta la sua dolcezza. Era una persona solare, sempre allegra, positiva anche nelle avversità, nonostante non avesse avuto, in trentacinque anni, un’esistenza facile. Contrariamente a me che, accudito dalla famiglia fino al termine degli studi e oltre, ero perennemente incazzato con il mondo. Nessun’altra avrebbe potuto prendersi cura di me come lei e, dopo quasi un anno di convivenza, non mi capacitavo ancora che lo stesse facendo: intendo, sopportarmi. Amava gli animali ma mi ero imposto sull’argomento, evitando che qualche quadrupede si aggirasse per i cinquanta metri quadri di casa nostra. In compenso, o quasi per bilanciare la carenza, il suo lavoro consisteva nel portare a passeggio cani di persone benestanti con poco tempo da dedicare ai piccoli amici. Era una dog sitter, occupazione che le calzava a pennello. Nient’altro poteva essere maggiormente in sintonia col suo modo d’essere. “Ti amo, donna meravigliosa!”, le dissi mentre avvicinavo la tazza bollente alle labbra e il sapore del caffè prendeva il posto di quello del dentifricio al fluoro. “Tieni, mangia almeno questa brioche”. Afferrai l’involucro di plastica colorata che Anna mi porgeva mentre m’infilavo il giubbotto di pelle, le diedi un bacio al volo e corsi verso la porta dicendo: “Ciao tesoro, ci vediamo stasera, chiudo il negozio e corro a casa, prometto che dopo ti farò un sacco di coccole”. “Ok, ma adesso vai. Magari più tardi passo a trovarti, devo fare un paio di giri con i cani e se riesco mi allungo fino al negozio”. “Mi farebbe piacere, ti aspetto. A dopo allora, ciao”. L’ascensore era occupato e io ero in ritardo. Corsi giù per le scale, raggiunsi il seminterrato e inforcai la fedele Vespa PX 125 bianca che, © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore come sempre negli ultimi ventisette anni, anche stavolta partì al primo colpo di pedale. Una vera garanzia. “Non ne fanno più così!”, pensai mentre mi immettevo nel traffico, alle 8.50. Il negozio non stava proprio dietro l’angolo. Dopo sei mesi di andirivieni casa-lavoro avevo calcolato che, salvo imprevisti e con una guida moderatamente spericolata, potevo farcela in una quindicina di minuti, e anche oggi avrei fatto del mio meglio. Dopo una lunga gimcana tra le auto in colonna giunsi alla meta. Parcheggiai la Vespa davanti al negozio e guardai l’orologio: sedici minuti netti, erano le 9.06. Rialzai da terra come ogni mattina due fioriere che, di mia iniziativa, avevo sistemato all’ingresso per dare un certo tocco d’eleganza all’attività. Immancabilmente le trovavo rovesciate: evidentemente, qualcuno ci amava. Infilai la chiave nel lucchetto della prima saracinesca. “Quel barbone di Umberto potrebbe spendere qualche euro per un motore elettrico, con tutti i soldi che ha”, pensai mentre l’alzavo con sforzo disumano. Salutai Gina e Lina, le manichine, sempre impeccabili nei loro completi attillati di pelle nera. Probabilmente era arrivato il momento di cambiarle d’abito; magari qualcosa di rosso, in vista delle prossime festività natalizie. Ripetei l’operazione con la seconda saracinesca e salutai anche Dina e Pina che, decisamente più discinte delle altre, indossavano provocanti lingerie e mi mandavano occhiate languide dietro il trucco pesante. Arrivai all’ultima saracinesca, quella che apriva l’ingresso al luogo dove trascorrevo la maggior parte del mio tempo da sei mesi. Esitai un attimo, dopo aver girato la chiave: tolto il lucchetto che custodiva i sogni proibiti di una moltitudine d’esseri umani, mi chinai. E con un gesto energico riportai alla luce l’appariscente insegna rossa: SEXY SHOP. © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore II Come fossi finito in quel posto a quarantadue anni me lo chiedevo ogni mattina, entrando e guardando la vasta gamma di cazzi di gomma nell’espositore a sinistra. Non che avessi mai avuto grandi ambizioni lavorative, a parte quando con Umberto e Giorgio, a sedici anni, fondammo gli Onirica, la nostra rock band. Io suonavo la chitarra, Giorgio era il bassista e cantante del gruppo, Umberto il batterista. I nostri sogni di gloria durarono solo qualche anno di concertini nei bar della provincia. Finiti gli studi, qualche impiego saltuario e alla fine il mio bel lavoro da impiegato in una fabbrica della zona. Ci stavo da dio dal signor Zacchi, il titolare della ditta Bulloneria Zacchi. Niente di che, per carità, ma la paga era decente e i colleghi passabili. Il signor Zacchi era un uomo sulla sessantina, un metro e sessantacinque scarsi per un’ottantina di chili, due mani come badili e una faccia tonda e sorridente; tanto era deciso e risoluto nei rapporti d’affari quanto cordiale e disponibile con i suoi sessantotto dipendenti. Si poteva definire la classica brava persona che aveva lavorato sodo fin da giovane e che, con un po’ di fortuna e scelte azzeccate, da semplice operaio era riuscito a mettere su la fabbrichetta che dirigeva con orgoglio, cercando di scansare le varie crisi economiche che ciclicamente si abbattevano sul paese. Non aveva nulla da obiettare se tenevo i capelli lunghi raccolti in una coda, come disse al primo colloquio per l’assunzione, purché mi presentassi © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore sempre in ordine e puntuale. Dopo qualche mese di insistenti richieste, mi permise anche di portare un ministereo che piazzai sulla mia scrivania. Iniziai così un tentativo d’indottrinamento musicale dei colleghi, la maggior parte dei quali considerava decisamente rock i Pooh e si concedeva qualche entusiasmo per Nek. La prima volta che misi su un brano degli AC/DC ebbi la netta sensazione che mi considerassero un piccolo emissario di Satana, salito dagli inferi per spargere il seme del male attraverso la musica. Da allora decisi di tenere il volume decisamente più basso, per non turbarli troppo. I quattordici anni da dipendente impiegatizio presso la ditta di bulloni passarono veloci e senza troppi scossoni. Tutto procedeva alla grande; da un paio di mesi avevo anche conosciuto una nuova ragazza, Anna, mia attuale compagna, per la quale avevo completamente perso la testa, tanto che decidemmo in poco tempo di andare a vivere insieme e facevamo addirittura progetti per l’acquisto di una casa. Insomma, avevo trovato un generale equilibrio nella mia vita. Forse per la prima volta potevo dire di sentirmi sereno e al mattino mi svegliavo con il sorriso, felice di affrontare una nuova giornata. Questo finché non arrivò il 23 settembre dell’anno scorso. © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore www.editricezona.it [email protected] © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore © 2014 Editrice ZONA edizione elettronica riservata È VIETATA qualsiasi riproduzione o condivisione di questo file senza autorizzazione dell’editore