nuove realta` famigliari - Associazione Oltremare

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nuove realta` famigliari - Associazione Oltremare
Volontari per e con gli amici immigrati
Vigevano, Viale SFORZA, 5
NUOVE REALTA’ FAMIGLIARI
Quali relazioni in una società multietnica?
Vigevano, 11 novembre 2011
Ore 9:00-17:00
Auditorium San Dionigi - Piazza Martiri della
Liberazione
1
Indice
Capitolo 1 Analisi dei dati sulle famiglie della migrazione: Comune di Vigevano
(di
Alberto Ranzini)
1.1 Introduzione
1.2 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: Paesi di provenienza e composizioni interne
1.4 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano.
1.5 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: nazionalità, genere e classi d’età degli utenti
dei servizi sociali.
1.6 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: n°. di figli e stato civile divisi per genere degli
utenti dei servizi sociali.
1.7 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: n °. Motivazione accessi ed effettiva presa dei
utenti da parte dei servizi sociali. Nazionalità e condizione abitativa.
Capitolo 2 Analisi dei dati sulle famiglie della migrazione: Comune di Gambolò
(di
Alberto Ranzini)
Capitolo 3 La ricerca qualitativa: le famiglie della migrazione a Vigevano
(di
Mariagrazia Cucurachi)
3.1 La metodologia
3.2 La ricerca
3.3 Le interviste a Vigevano
Capitolo 4 La ricerca qualitativa: le famiglie della migrazione a Gambolò
(di Alberto
Ranzini)
4.1 le interviste a Gambolò
4.2 Osservazioni sulla ricerca qualitativa a Gambolò: un’esperienza di campo tra due blocchi di
interviste
Capitolo 5 La ricerca qualitativa nella scuola (di Mariagrazia Cucurachi)
5.1 Il punto di vista dei docenti sull'ambientamento scolastico dei figli di genitori immigrati
5.2 La ricerca qualitativa in una scuola di Vigevano
Bibliografia di riferimento
Allegato 1 Traccia di intervista per le famiglie immigrate
Allegato 2 Questionari per i bambini
2
Introduzione
La ricerca che qui presentiamo è il frutto della collaborazione fra l‘associazione Oltre
Mare e l’Osservatorio e Metodi per la Salute dell’Università di Milano-Bicocca,
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale.
I due soggetti a partire dalle specifiche competenze hanno attivato una sinergia che
oltre a produrre il seguente report di ricerca ha anche permesso l’organizzazione di
un convengo di presentazione dei risultati del lavoro condotto.
Ancora una volta la collaborazione fra organizzazioni di natura diversa nel campo
della ricerca ha consentito di leggere con puntualità e attenzione una realtà
interessata dalle dinamiche migratorie come nel caso specifico.
Ci auguriamo che un simile modo di lavorare venga con sempre maggior
frequenza riprodotto anche in altri contesti poiché solo sguardi plurali possono
consentire di analizzare realtà complesse. (M.T.)
3
4
Capitolo 1 Analisi dei dati sulle famiglie della migrazione: Comune di Vigevano
(di Alberto Ranzini)
1.1 Introduzione
Il territori dei Comuni di Vigevano e Gambolò sono oggetto di un elevato e costante flusso migratorio fin
dagli inizi degli anni Novanta1. I dati che saranno presentati nelle prossime tabelle, sono aggiornati al
31/12/2010 e sono stati resi disponibili grazie al contributo degli Uffici Anagrafe dei Comuni di Vigevano e
Gambolò.2 I dati riportati sono stati raggruppati utilizzando come unità di misura la famiglia, anziché le
singole unità residenti. Tale modalità di analisi consente una lettura più idonea per la comprensione di
come, da una lato siano strutturate internamente le famiglie della migrazione e, dall’altro, di conoscere le
motivazioni degli accessi delle famiglie ai servizi sociali e le relative prese in carico dai servizi stessi.
1.2 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: Paesi di provenienza e composizioni interne
Il primo dato che merita di essere portato all’attenzione, è il numero di famiglie registrate in anagrafe al
31/12/2010, pari a 3.500. Tali famiglie provengono da 103 nazioni e tra di esse, la tabella 1.1 raggruppa le
11 nazioni con più famiglie iscritte in anagrafe. La nazione più rappresentativa risulta essere l’Egitto con 829
famiglie, seguito dalla Romania con 510 e dell’Albania con 291. E’ interessante osservare che tra le prime
11 nazioni abbiamo 3 nazioni provenienti dall’area M.E.N.A.3, con complessive 1.199 famiglie, 3 nazioni
provenienti dall’Est Europa (due di esse membri dell’U.E.), con 963 famiglie residenti, 2 provenienti dal Sud
America, con 314 famiglie, una dall’Africa centrale, 86 famiglie, e 2 dalle regioni asiatiche, 227 famiglie 4. In
sostanza, queste nazioni rappresentano tutti i continenti più popolati del mondo ed i cittadini migranti delle
stesse portano con sé usi e costumi, nonché attitudini lavorative che caratterizzano i progetti migratori.
1
I primi flussi migratori sono provenuti dall’Albania e, successivamente, dall’Egitto che oggi rappresenta la nazione più
numerosa a Vigevano. A seguito dell’entrata della Romania nell’Unione Europea nel 2007, il numero delle presenza
iscritte in anagrafe è aumentato fino a sorpassare le presenze dell’Albania stessa.
2
Desidero pertanto ringraziare i due uffici ed in particolar modo Massimo Asperges e Maria Luisa Pizzocchero, Capo
Ufficio dell’anagrafe di Vigevano e Gambolò. Quanto all’elaborazione delle tabelle stesse, desidero ringraziare la Dott.
ssa Annalisa Ornaghi dell’Università degli studi di Milano – Bicocca per il supporto dato.
3
Medio East and North Africa. Nelle discipline socio-demografiche, tale sigla sta ad indicare i paesi geograficamente
collocati in Nord Africa e in Medio Oriente.
4
Complessivamente provengono da queste nazioni 2.789 famiglie su 3.500, ossia il 79.69% di tutto il flusso migratorio
residente a Vigevano.
5
Tabella 1.1: Numero di famiglie dei primi 11 paesi di provenienza dei residenti stranieri a Vigevano (Valori
assoluti)
Proseguendo nelle analisi dei dati delle famiglie della migrazione di queste nazioni, le tabelle 1.2 e 1.3
mettono in evidenza la composizione dei minori, sia per fasce d’età, sia per genere. Anche in questo caso,
l’Egitto registra i valori più alti. In particolar modo, il dato più indicativo è quello relativo alla fascia 0-3 anni,
con 253 minori (35.34%), su una totalità di 716. L’altro dato che merita attenzione è quello relativo alla
fascia d’età 6-10 anni, con 185 minori5. Anche la lettura dei dati inerenti alle famiglie provenienti dai paesi
dell’area geografica est europea (Romania ed Ucraina) e balcanica (Albania) risulta significativa per
comprenderne le loro caratteristiche. Le famiglie provenienti dall’Albania e dalla Romania da tempo
risiedono stabilmente nelle due città oggetto della ricerca e i dati delle fasce d’età dei minori, se sommate
fra di loro, registrano 268 minori albanesi (135 maschi e 133 femmine) e 242 minori rumeni (128 maschi e
114 femmine). Diversamente, i dati inerenti ai minori di origine ucraina evidenziano la sola e marginale
presenza femminile tra i minori, così come i dati tra gli adulti (su 254 maggiorenni, solo 42 sono maschi, 34 i
minori). Questi dati evidenziano la tipologia di migrazione proveniente da questa nazione, una migrazione
femminile costituita da molte famiglie mononucleari e poche monoparentali.
5
Questi due dati sono estremamente importanti, perché rilevano due aspetti della migrazione egiziana. Da un lato
abbiamo un elevato numero di nascite, molte delle quali avvenute in Italia e una forte richiesta di ricongiungimenti
famigliari che sostegno il numero dei minori nella fascia d’età 6-10; dall’altro abbiamo il calo delle presenze nella
fascia di età 4-5 anni (133 minori). Ciò è dovuto alla tendenza di queste famiglie a far ritornare in patria le mogli con i
figli nati in Italia, salvo poi ricostituire la famiglia quando i figli sono in età scolare. Tale realtà è da circa 10 anni
costantemente registrata nelle scuole elementari della città. Va segnalato che negli ultimi anni questa tendenza è in
calo, sebbene essa sia registrata anche durante il periodo della scolarizzazione elementare. La ricerca Conoscere per
agire, effettuata nel biennio 2006-2007 dall’Associazione OLTREMARE – Volontari per e con gli amici immigrati e,
disponibile a breve sul sito www.assoltremare.altervista.org, descrive questa realtà con una tabella, incrociando i dati
delle presenze anagrafiche, con quelle delle iscrizioni scolastiche alle scuole elementari.
6
1.3 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano distinti per fasce d’età
I dati inerenti ai minori, suddivisi per genere, fasce d’età e, paese di provenienza, illustrano come la fascia
d’età 0-3 anni sia la fascia di popolazione minorenne più rappresentativa per ogni nazione in tabella. Solo i
dati sull’Ucraina non confermano questa tendenza (vedi commento alla tabella 1.1). Quanto ai dati inerenti
alla fascia d’età 6-10, gli stessi evidenziano un aumento delle presenze, rispetto alla fascia d’età 4-5.
Completano il quadro dei dati, le fasce d’età 11-14 e 15-17, sebbene questi dati siano numericamente
rappresentativi per l’Egitto, l’Albania, la Romania, il Marocco e la Tunisia. Tale rappresentatività, differenzia
le nazioni sopracitate, rispetto alle altre nazioni presenti nelle tabelle. Un’ampia presenza di minori nelle
diverse fasce d’età, evidenzia il consolidamento di progetti migratori orientati verso la stabilità. Infatti, la
maggior parte dei minori in età compresa tra gli 11 e i 17 anni, sono stati ricongiunti, alla madre o al padre,
a seconda delle tipologie di migrazione e quindi di famiglia. Diversamente, molti dei minori in età 0-10 anni,
sono invece nati in Italia. Per quanto riguarda le altre nazioni presenti nella tabella, i dati lasciano ipotizzare
una prevalenza di famiglie formate da minori in età infantile/prescolare.
Tabella 1.2: Minori di genere maschile a Vigevano per paese di provenienza e fasce d'età (Valori assoluti)
Tabella 1.3: Minori di genere femminile a Vigevano per paese di provenienza e fasce d'età (Valori assoluti)
7
Se i dati sulla composizione dei minori per fasce d’età, hanno delineato possibili analisi sulle tipologie di
famiglie e di progetti migratori, il dato sul numero medio di persone per famiglie, consente un
approfondimento di quanto scritto poc’anzi. Il dato è stato ricavato, dividendo per ogni nazione, la
popolazione residente in anagrafe, con il numero di famiglie. Dalla tabella 1.4 emerge che l’Egitto,
nonostante sia la nazione più presente, sia per il numero di residenti, sia per il numero di famiglie, detiene
un valore tra i più bassi. Questo valore deriva da un’elevata presenza di famiglie monoparentali, costituite
da giovani uomini da poco presenti sul territorio e in cerca di lavoro, i quali avvieranno le procedure di
ricongiungimento famigliare appena sarà loro possibile. Oltre all’Egitto, anche gli altri paesi nordafricani,
detengono un valore più modesto rispetto agli altri paesi in tabella, evidenziando come questa area
geografica caratterizzi il flusso migratorio verso Vigevano. E’ interessante sottolineare anche i valori della
Romania, che pur essendo la seconda nazione presente a Vigevano, detiene il penultimo valore più basso in
tabella; della Costa d’Avorio, che è il paese meno rappresentativo come numero di famiglie, ma che
esprime un valore medio secondo solo all’Albania e, dell’Albania stessa, che detiene il primato, nonostante
la differenza con la Romania nel numero di unità residenti, sia minima6.
Tabella 1.4: Famiglie straniere a Vigevano per numerosità e numero medio di componenti (Valori assoluti)
6
Paese di Provenienza
N° Famiglie
N° medio Pers/Fam.
Albania
291
3,31
Cina
124
2,85
Ecuador
177
2,88
Egitto
829
2,52
Filippine
103
2,74
Costa d'Avorio
86
3,02
Marocco
241
2,71
Perù
137
2,45
Romania
510
2,3
Tunisia
129
2,79
Ucraina
Totale
162
2789
1,78
2,67
Una conferma per quanto appena descritto, deriva dalle utenze dello sportello stranieri dell’associazione. L’utenza è
rappresentata in prevalenza da cittadini di provenienza nordafricana, che richiedono con più frequenza l’avvio delle
pratiche per il ricongiungimento famigliare. Quanto alla Romania e alla Costa d’Avorio, l’adesione all’Unione Europea
facilita l’arrivo e l’insediamento dei cittadini rumeni a Vigevano, come in tutta la Provincia di Pavia. La migrazione
ivoriana, almeno a Vigevano, risulta essere una migrazione con molti bambini al seguito e questo eleva il dato oggetto
della tabella 1.4.
8
1.4 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: nazionalità, genere e classi d’età degli
utenti dei servizi sociali.
Dopo aver analizzato i dati sulle famiglie della migrazione delle principali nazioni presenti a Vigevano, le
tabelle 1.5 e 1.6 evidenziano alcuni dati quali la nazionalità, il genere e le classi di età inerenti agli utenti in
carico presso il Servizio Socio Professionale del Comune di Vigevano7. Tra le nazioni riportate in tabella, il
Marocco registra 34 accessi (15 donne e 19 uomini). L’Egitto registra invece il maggior numero di accessi
maschili ai servizi sociali, con 26 accessi, mentre le donne rumene, (13), sono le donne che più richiedono il
sostegno sociale. Su 26 nazioni presenti in tabella, 8 di esse registrano un accesso composto da sole donne
e, tali paesi fanno parte dell’area geografica dell’Est Europa (Bulgaria e Ucraina), del Sud America (Bolivia,
Brasile e Perù) e dal continente africano (Burkina, Camerun, Nigeria e Senegal) 8. Quanto ai paesi che
registrano un accesso ai servizi di soli maschi, (8), non si osserva una particolare presenza di nazioni
provenienti da specifica area geografica. Infine, i paesi con un accesso composto da uomini e donne, (10), il
Marocco con 19 accessi di maschi e 15 di donne, è la nazione che richiedere maggiormente interventi di
sostegno sociale ed economico.
Tabella 1.5: Utenti servizi sociali Vigevano raggruppati per genere e nazionalità (Valori assoluti)
7
I dati riportati nelle tabelle di questo paragrafo, sono stati raccolti attraverso un’apposita scheda compilata per ogni
utente in carico. Complessivamente sono stati raccolte 167 schede.
8
Come la letteratura ha ampiamente documentato, le migrazioni provenienti dai paesi est europei, nonché sud
americani sono rappresentate per lo più da donne migranti che se riescono ad avviare un processo migratorio stabile,
avviano le pratiche di ricongiungimento famigliare per ricongiungersi ai propri figli.
9
Prendendo ora in considerazione il genere e le classi d’età della popolazione straniera, utente dei servizi
sociali, si osserva come nella fascia d’età 15-20 anni, la percentuale di utenti maschi si vicina al 90%. In
maniera quasi speculare, nella fascia d’età 21-30 anni, la situazione si rovescia e, l’utenza femminile
rappresenta la quasi totalità degli accessi ai servizi sociali. Nella fascia d’età 31-40 anni, si registra un
riequilibrio tra maschi e femmine, per registrare una nuova maggioranza di utenti maschi nelle fasce d’età
41-50 anni e, 50 anni e oltre. Questi dati rispecchiano la composizione delle popolazioni straniere più
rappresentative e, residenti a Vigevano. L’alta concentrazione di utenti maschi, rappresentata nella prima
fascia d’età, è data sia dalla presenza di minori non accompagnati, tutti maschi, sia dalla presenza di giovani
uomini di origine nord africana che, essendo da poco presenti sul territorio, si recano presso i servizi sociali
per avere informazioni di varia natura, nonché per richiedere contributi economici.
Tabella 1.6: Numero degli utenti dei servizi sociali Vigevano raggruppati per genere e classe d’età
1.5 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: n°. di figli e stato civile divisi per genere
degli utenti dei servizi sociali.
I dati inerenti al n °. di figli e allo stato civile degli utenti dei servizi sociali, divisi per genere, consentono di
approfondire ulteriormente il quadro statistico in essere. La fascia d’età 31-40 anni della tabella 1.7
evidenzia come utenza, per entrambi i genere, compresa in questa età abbia il maggior numero di figli. Per
le utenti donne, il 51,9% è madre di uno o più figli, mentre il dato per gli utenti uomini è pari al 45,7%.
Diversamente, la lettura delle altre fasce d’età permette di leggere una differente presenza di figli nelle
famiglie degli utenti. Le utenti donne in età 21-30 anni, sono utenti madri nel 28,6% dei casi, con un
tendenza marcata ad avere 2/3 figli. Diversamente, gli utenti uomini, sono utenti padri solo nel 4,9%.
Procedendo nella lettura, i dati sulla fascia d’età 41-50 anni, quanto appena detto si modifica, osservando
un’utenza maschile che è padre nel 33,3% dei casi9, rispetto al dato sulle utenti donne (13%)10. In ultima
analisi, va segnalato il dato pari a 85,7% di utenti maschi in fascia d’età 15-20. Questi utenti sono minori
non accompagnati e sono provenienti in maggioranza dai paesi nord africani e dall’africa sub sahariana. I
9
Il 48,1% è padre di 3 figli.
10
A differenza degli utenti uomini, le donne con 3 figli a carico rappresentano solo il 5.9%.
10
dati sullo stato civile degli utenti assistiti (tabella 1.8) mostrano come la maggioranza di essi siano coniugati
(60,49% utenti donne e 84,34% utenti uomo), sebbene le donne denuncino nel 37.04% dei casi l’assenza
del proprio coniuge (uomini solo il 2,41%)
Tabella 1.7: Numero di figli per genere del richiedente e classe d'età (Valori percentuali)
Genere
FEMMINE
MASCHI
Classe d' età
0
35,3
47,1
5,9
11,8
66,7
33,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
100,0
100,0
15 - 20 ANNI
21 - 30 ANNI
31 - 40 ANNI
41 - 50 ANNI
85,7
14,3
7,7
Totale
11
37,0
48,1
11,1
3,7
100,0
69,2
15,4
51 E OLTRE
8,7
52,2
39,1
7,7
100,0
Totale
1
3,8
23,1
53,8
15,4
3,8
15 - 20 ANNI
21 - 30 ANNI
31 - 40 ANNI
41 - 50 ANNI
51 E OLTRE
2
Numero di figli
3
4
100,0
100,0
3,7
40,7
48,1
50,0
25,0
7,4
25,0
100,0
100,0
5
6
7
100,0
100,0
100,0
8,6
4,9
45,7
33,3
50,0
50,0
100,0
1,3
28,6
51,9
13,0
5,2
100,0
7,4
100,0
100,0
Tabella 1.8: Stato civile per Genere (Valori percentuali)
Stato civile
Affidato
Coniuge assente
Convivente
Minori non accompagnati
Non disponibile
Sposata/o
Vedova
Totale
F
37,04
1,23
60,49
1,23
100%
M
1,20
2,41
3,61
7,23
1,20
84,34
100%
Totale
0,61
19,39
2,42
3,64
0,61
72,73
0,61
100%
1.6 Famiglie della migrazione residenti a Vigevano: n °. Motivazione accessi ed effettiva presa
dei utenti da parte dei servizi sociali. Nazionalità e condizione abitativa.
Le ultime 4 tabelle mettono in evidenza i principali bisogni per i quali gli utenti stranieri si sono recali pressi
i servizi sociali, l’effettiva presa in carico, la condizione abitativa, nonché i principali bisogni manifestati
raggruppati per nazionalità.
Le tabelle 1.9 e 1.10 mettono a confronto motivazioni di accesso e presa in carico. Le principali motivazioni
di richiesta di assistenza, sono per disagio socio-economico (56 utenti), orientamento (70 utenti) e tutela
minori (17 utenti). Analogamente le principali motivazioni di effettiva presa in carico sono le medesime, ma
variano nelle quantità. Gli utenti assistiti per disagio socio-economico sono pari a 8711, mentre i casi che
necessitano di orientamento da 70 passano a 3412. Quanto ai casi di tutela minorile, sono assistiti 13 utenti.
Inoltre tra le motivazioni di presa in carico emergono casi di sostegno alla maternità (11) ed emergenza
abitativa (4). Nell’implementazione di interventi a sostegno degli utenti stranieri in carico, il terzo settore
fornisce un contributo molto importante. Oltremare, in partenariato con l’associazione di solidarietà
famigliare Babele di Pavia, e la Cooperativa Sociale Finis Terrae di Voghera ha potuto presentare un
progetto a valere sulla l.r. 01/08 (l’ex 23/99) volto a sostenere molte famiglie straniere in difficoltà
attraverso l’acquisto di pannolini, pappe e medicinali, nonché attraverso interventi di interpretariato
linguistico presso le strutture sociali cittadine13. La Caritas Diocesana di Vigevano, Attraverso un progetto di
Housing sociale a valere sul Piano di azione “Promuovere l’abitare sociale nelle comunità territoriali” Diffondere e potenziare l’abitare sociale temporaneo della Fondazione Cariplo, ha potuto progettare
percorsi volti al ripristino di una autonomia abitativa e lavorativa. Attualmente entrambi i progetti sono
terminati e non è stato più possibile sostenere le attività con nuove proposte progettuali.
11
Questo aumento è dato per via dell’utilizzo di uno speciale contributo aggiuntivo anti-crisi, pari ad €1.000.000 che la
Giunta comunale ha deliberato per l’anno 2011.
12
La diminuzione del numero di utenti presi in carico riguarda soprattutto gli utenti maschi, che da 30 passano a 12. Il
numero di femmine, 22, resta invariato.
13
Progetto ISIDE – Sostegno alla maternità.
12
Tabella 1.9: Motivazione accessi utenti servizi sociali Comune di Vigevano
Motivazione accessi principale
Bisogno psicopedagogico
Contributo economico
Convocazione
Disagio economico
Disagio socio-economico
Esenzione mensa
Esenzione retta servizi educativi
Informazioni
Maltrattamenti famigliari
Mancanza di ogni mezzo di sostegno
Orientamento
Perdita di lavoro
Rinnovo passaporto
Servizi Sociali
Sfratto esecutivo
Sostegno economico
Sostegno maternità
Tutela minorile
Totale
13
F
1
0
0
1
22
1
1
3
0
0
40
0
0
0
0
1
1
10
81
Sesso
M
0
1
1
0
34
1
0
3
1
1
30
1
1
0
1
0
1
7
83
Totale
1
1
1
1
56
2
1
6
1
1
70
1
1
0
1
1
2
17
164
Tabella 1.10: Motivazioni di presa in carico utenti servizi sociali Comune di Vigevano
Motivazione di presa in carico
Affido famiglia italiana
Bisogno psicopedagogico
Collocamento per tutela
Disagio economico
Disagio socio-economico
Disagio socio-economico e tutela minorile
Disagio socio-economico ed abitativo
Emergenza abitativa
Gestione separazione
Indagine per procura minorenni
Informazioni
Mancanza di ogni mezzo di sostegno
Orientamento
Orientamento e disagio economico
Orientamento e problemi di salute
Orientamento, problemi economici
Perdita di lavoro
Sostegno alla maternità
Sostegno maternità
Tutela minorile
Totale
F
0
1
0
0
36
2
0
1
0
0
1
0
22
0
1
1
0
1
7
8
81
Sesso
M
1
0
1
1
51
0
1
2
1
1
0
1
12
2
0
0
1
1
2
5
83
Totale
1
1
1
1
87
2
1
3
1
1
1
1
34
2
1
1
1
2
9
13
164
I dati inerenti alle tabelle 1.11 e 12 forniscono un ultima serie di elementi per concludere le analisi in merito
a Vigevano. Il raggruppamento per nazioni e motivazione di presa in carico, evidenzia come il disagio socio
economico e le necessità di orientamento siano le più rilevanti. Se il sostegno per con il contributo speciale
anti-crisi ha potuto sortire qualche effetto concreto, le attività di orientamento riguardano le segnalazioni
al centro per l’impiego, nonché alle strutture adibite all’ascolto e allo sportello stranieri. Da questo punto di
vista, nei colloqui avuti con la coordinatrice degli assistenti sociali di Vigevano, è emerso l’impossibilità di
fornire sostegni efficaci alle richieste pervenute, soprattutto per quanto riguarda gli utenti che hanno da
poco ricongiunto la propria famiglia. Questo dato evidenzia tutta la difficoltà che i membri neo ricongiunti
incontrato nella conoscenza e fruizione delle possibilità che il territorio offre loro. I dati sulla condizione
abitativa mostrano che su 164 utenti, 85 di essi vivano in affitto, mentre 33 vivano in case popolari.
Solamente 14 utenti possiedono un immobile di proprietà (tutti hanno in essere un mutuo). Egitto,
Marocco e Costa d’Avorio sono le nazioni che usufruiscono maggiormente degli alloggi popolari e, che
possiedono più immobili di proprietà.
14
Tabella 1.11: Nazionalità utenti e motivazione di presa in carico
Nazionalità
Motivazioni
A
l
b
a
n
e
s
e
A
lg
e
ri
n
a
B
e
n
g
al
e
s
e
B
o
li
vi
a
n
a
B
r
a
si
li
a
n
a
B
u
lg
a
r
a
B
u
r
ki
n
a
C
a
m
e
r
u
n
e
n
s
e
C
u
b
a
n
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E
c
u
a
d
o
ri
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n
a
E
gi
zi
a
n
a
Fi
li
p
p
i
n
a
G
h
a
n
e
s
e
I
n
d
ia
n
a
Iv
o
ri
a
n
a
M
a
r
o
c
c
h
i
n
a
N
ig
e
ri
a
n
o
P
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vi
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a
P
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c
a
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a
S
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S
t
a
t
u
n
it
e
n
s
e
T
u
r
c
a
U
cr
ai
n
a
100,0
Bisogno psicopegadogico
6,7
Contributo economico
3,2
Convocazione
2,9
Disagio economico
Disagio socio-economico
50,0
Esenzione mensa
8,3
25,0
50,0
50,0
100,0
100,0
37,5
38,7
100,0
25,0
26,5
100,0
50,0
100,0
25,0
50,0
40,0
16,4
0,0
3,2
Esenzione retta servizi educativi
Informazioni
Maltrattamenti famigliari
2,9
Mancanza di ogni mezzo di
sostegno
2,9
25,0
50,0
100,0
50,0
48,4
100,0
0,0
14,7
Orientamento
T
u
n
is
i
n
a
100,0
56,3
0,3
35,3
50,0
68,8
0,3
100,0
0,3
49,7
0,3
0,3
46,7
50,0
6,3
33,3
100,0
100,0
6,3
Perdita di lavoro
99,7
Rinnovo passaporto
3,2
Sfratto esecutivo
100,0
Sostegno economico
Sostegno maternità
Tutela minorile
16,7
Totale
100,
75,0
100,0
100,0
50,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
12,5
3,2
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
12,5
11,8
100,0
100,0
100,0
6,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Tabella 1.12: Paese di provenienza e condizione abitativa
Condizione
Nazionalità
Albanese
Algerina
Bengalese
Boliviana
Brasiliana
Bulgara
Burkina
Camerunense
Cubana
Ecuadoriana
Egiziana
Filippina
Ghanese
Indiana
Ivoriana
Marocchina
Nigeriano
Peruviana
Polacca
Rumena
Senegalese
Siriana
Statunitense
Tunisina
Turca
Ucraina
Totale
Accoglienza
Affitto
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
3
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
3
5
0
0
1
2
1
0
0
1
4
17
0
1
0
4
17
0
2
1
13
1
1
0
10
4
0
85
Housing
sociale
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
N.P.
Popolare
Proprietà
Totale
3
0
3
1
0
0
1
0
0
4
3
1
0
1
3
1
1
0
0
0
0
0
1
1
2
2
28
1
1
1
0
0
0
0
0
0
0
7
0
0
0
7
9
0
0
0
3
0
0
0
4
0
0
33
2
0
0
0
0
0
0
1
0
0
4
0
0
0
2
4
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
14
12
1
4
2
2
1
1
1
1
8
31
1
1
1
16
34
1
2
1
16
1
2
1
15
6
2
164
Tabella 1.13: Rapporto tra nazionalità dei coniugi
Nazionalità del coniuge
Al
g
er
in
a
B
e
n
g
al
e
s
e
B
ol
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ia
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a
B
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B
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er
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se
6
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
Bengalese
3
0
0
1
0
0
0
/
Al
b
a
n
e
s
e
Albanese
3
Algerina
Nazionalità
R
u
m
e
n
a
S
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n
e
g
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l
e
s
e
Ecu
ado
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c
a
0
0
0
0
2
0
0
0
0
0
0
0
1
0
12
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
4
C
u
b
a
n
a
S
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i
a
n
a
T
u
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si
n
a
T
u
r
c
a
To
tal
e
Boliviana
1
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
Brasiliana
1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
Bulgara
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Burkina
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Camerunense
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Cubana
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Ecuadoriana
5
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
8
Egiziana
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
30
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
31
Filippina
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Ghanese
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Indiana
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Ivoriana
5
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
11
0
0
0
0
0
0
0
0
16
Marocchina
10
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
24
0
0
0
0
0
0
0
34
Nigeriano
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Peruviana
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
0
0
0
0
2
Polacca
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
1
Rumena
6
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
10
0
0
0
0
16
Senegalese
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
1
Siriana
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
2
Statunitense
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Tunisina
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
0
0
0
0
0
13
0
15
Turca
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
6
6
Ucraina
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
2
Totale
38
6
1
1
1
1
1
1
1
1
2
30
1
4
12
24
3
1
10
1
3
15
6
164
Capitolo 2
Analisi dei dati sulle famiglie della migrazione: Comune di Gambolò
(di Alberto Ranzini)
I dati anagrafici del comune di Gambolò sono stati raccolti con le stesse modalità utilizzate per la raccolta
dai dati del comune di Vigevano. Sebbene i dati raccolti siano numericamente meno significativi rispetto
ai dati Vigevanesi, gli stessi permettono una lettura dalla quali è possibile analizzare alcuni tratti dei
processi migratori in corso. Dalla tabella 2.1 osserviamo una predominanza di famiglie proveniente
dall’Est Europa e dal Nord Africa. la Tunisia (36) e la Romania (24) sono le nazioni con più famiglie
residenti a Gambolò. Tali dati lasciano intendere uno sviluppo stabile di queste comunità che sono anche
presenti a Vigevano, sebbene la comunità tunisina non abbia la stessa presenza di quella rumena.
Tabella 2.1: Primi 11 paesi di provenienza dei residenti stranieri a Gambolò
35
30
25
20
Egitto
Cuba
Ecuador
Cina
Bulgaria
Ucraina
Brasile
Marocco
Romania
Tunisia
5
0
Albania
15
10
I dati inerenti alle tabelle 2.2 e 2.3 mostrano la presenza di minori maschi e femmine presso le comunità
elencate in tabella. Anche in questo caso, la comunità tunisina oltre ad avere il maggior numero di
famiglie residenti, hanno anche la maggior presenza di minori (31, di cui 13 in fascia d’età 0-5 anni).
Seguono le famiglie della comunità egiziana con 17 minori14 e, quelle marocchine e rumene con 14 e 13
minori. Osservando la composizione delle varie fasce d’età, si registra una forte presenza di minori in età
0-3 anni (29), e in età 6-10 anni (26). I minori in età adolescenziale sono complessivamente 12.15
14
15
Il dato sui minori egiziani è interessante, in quanto le famiglie residenti a Gambolò sono 7.
Questi dati lasciano ipotizzare che tali famiglie abbiano deciso di avviare un processo migratorio improntato alla
stabilità presso il Comune di Gambolò
Tabella 2.2: Minori di genere maschile a Gambolò per paese di provenienza e fasce d'età
Tabella 2.3: Minori di genere femminile a Gambolò per paese di provenienza e fasce d'età
I dati raccolti presso i Servizi Sociali e del Comune di Gambolò (tabelle 2.4 e 2.5) evidenziano come le
principali comunità straniere residenti sul territorio, siano anche quelle che accedono richiedono una
qualche tipologia di sostegno. Delle 12 famiglie in carico presso i Servizi Sociali, 3 famiglie sono di
nazionalità ivoriana16. Quanto alla composizione per genere ed età degli utenti in carico, si osserva come
16
Le famiglie residenti di origine ivoriane sono complessivamente 4.
nelle fasce d’età 21-30 e 31-40 l’utenza sia sostanzialmente femminile, mentre l’utenza maschile sia più
presente nelle fasce 41-50 e 50 e oltre.
Tabella 2.4: Utenti servizi sociali Gambolò raggruppati per genere e nazionalità (Valori assoluti)
Tabella 2.5: Numero degli utenti dei servizi sociali Gambolò raggruppati per genere e classe d’età
I dati relativi alla tabella 2.6 evidenziano quanto già osservano nei dati vigevanesi. Le utenti donne, che
hanno richiesto l’intervento dei servizi sociali, sono madri di uno o più figli più giovani rispetto agli utenti
maschi. Infatti tra le utenti donne, la fascia d’età 31-40 anni registra una presenza di minori pari al 66,7%
di tutti i minori presenti nelle tre fasce d’età. Per gli utenti uomo, è la fascia d’età 41-50 anni nella quale
abbiamo più minori (66,7%). Ad ulteriore dato che rafforza questa tendenza. La fascia d’età 21-30 anni,
presente nelle utenti donne, non compare tra gli utenti uomo, così come la fascia d’età 50 e oltre,
presente tra gli utenti uomo, non compare tra gli utenti donne.17
Tabella 2.6: Numero di figli per genere del richiedente e classe d'età (Valori percentuali)
N° di figli
Genere
classe di età
F
21 - 30 ANNI
31 - 40 ANNI
41 - 50 ANNI
Totale
31 - 40 ANNI
0
100,0
50,0
0,0
100,0
0,0
0,0
Totale
16,7
66,7
16,7
100,0
16,7
41 - 50 ANNI
51 E OLTRE
0
100
50,0
0,0
100,0
0,0
100,0
0,0
100,0
0,0
66,7
16,7
Totale
100
100
100
100
100
100
M
17
0
1
33,3
66,7
100,0
2
3
100,0
4
5
6
100,0
100,0
100,0
Sebbene le famiglie in carico presso i Servizi Sociali del Comune di Gambolò siano 12, (quelle in carico a Vigevano
163), è interessante osservare come le stesse modalità di accesso ai servizi delle famiglie Vigevanesi, siano già
leggibili anche dai dati di Gambolò.
I dati delle tabelle 2.7, 2.8, 2.9 e 2.10 inerenti allo stato civile, motivazione di accesso e, effettiva presa in
carico mostrano che le famiglie oggetto sono famiglie che hanno richiesto un sostegno economico (in
sostanza il servizio sociale di Gambolò sostiene queste famiglie attraverso la borsa alimentare e con
l’erogazione di contributi per pagamenti bollette o affitti) Quanto allo stato civile, 8 utenti dichiarano di
essere coniugati.
Tabella 2.7: Stato civile per genere
Stato civile
F
1
1
5
0
1
0
6
Non disponibile
Sep e ora conv.
Sposata
Sposato
Vedova
celibe
Totale
Sesso
M
1
0
0
3
0
1
6
Totale
2
1
5
3
1
1
12
Tabella 2.8: Motivazione accessi utenti servizi sociali Comune di Gambolò
Motivazioni di accesso
Contributo economico
Contributo locazione
Totale
F
6
0
6
Sesso
M
5
1
6
Totale
11
1
12
Tabella 2.9: Motivazioni di presa in carico utenti servizi sociali Comune di Gambolò
Motivazione della presa in carico
Disagio socio-economico
Disagio socio-economico per infortunio utente.
Emergenza abitativa
Totale
F
6
0
0
6
Sesso
M
4
1
1
6
Totale
10
1
1
12
Tabella 2.10: Nazionalità degli utenti e motivazione di presa in carico
Motivazione della presa in carico
Disagio
socioDisagio
economico Emergenza
socioTotale
per
abitativa
economico
infortunio
utente.
1
1
2
2
1
1
2
1
3
1
1
2
1
1
1
1
1
1
10
1
1
12
Nazionalità
Colombiana
Ecuadoriana
Egiziana
Ivoriana
Marocchina
Rumena
Tunisina
Ucraina
Totale
In ultima analisi, i dati delle tabelle 2.11 e 2.12 relative alla condizione abitativa e al rapporto tra
nazionalità tra coniugi, consentono di poter osservare che 5 famiglie su 12 possiedono un immobile di
proprietà e, la comunità ivoriana che ha il numero maggiore di famiglie sostenute (3 su un totale di 4
residenti), è anche la comunità che ha più case di proprietà. Quanto al rapporto tra nazionalità dei
coniugi, su 12 famiglie si registrano su casi di coppie miste (una coppia italo - tunisina e italo ecuadoriana).
Tabella 2.11: Condizione abitativa utenti servizio sociale Gambolò
Nazionalità
Affitto
Colombiana
Ecuadoriana
Egiziana
Ivoriana
Marocchina
Rumena
Tunisina
Ucraina
Totale
1
N.P.
Ospite
parente
deceduto
Popolare
1
Proprietà
1
1
1
1
2
1
1
1
4
1
1
1
1
5
Totale
1
2
1
3
2
1
1
1
12
Tabella 2.12: Nazionalità del coniuge - rapporto tra nazionalità dei coniugi.
Nazionalità
Colombiana
Ecuadoriana
Egiziana
Ivoriana
Marocchina
Rumena
Tunisina
Ucraina
Totale
Nazionalità
Colombiana
1
0
0
0
0
0
0
0
1
Egiziana
Italiana
Ivoriana
Marocchina
N.P.
Rumena
Ucraina
Totale
0
0
1
0
0
0
0
0
1
0
1
0
0
0
0
1
0
2
0
0
0
1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
2
0
0
0
2
0
1
0
2
0
0
0
0
3
0
0
0
0
0
1
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
1
1
1
2
1
3
2
1
1
1
12
Capitolo 3
La ricerca qualitativa: le famiglie della migrazione a Vigevano
(di Mariagrazia Cucurachi)
3.1 La metodologia
Prima di illustrare i principali risultati della ricerca occorre fare una breve premessa sull'utilizzo del
metodo biografico.
Una delle grandi potenzialità del metodo biografico sta nel fatto che attraverso le storie di vita individuali
si può ricostruire uno spaccato della storia sociale di una comunità, ed è inoltre possibile approfondire
dinamiche sociali, motivazioni personali, significati collettivi.
La lettura orizzontale delle storie permette di analizzare l'organizzazione del tempo della quotidianità
degli individui, la lettura verticale permette di studiare le trasformazioni nel tempo e le conseguenze dei
cambiamenti sociali sulle vite individuali.
Abbiamo costruito una traccia d'intervista (in allegato) basata su due punti principali e cioè il racconto
della storia familiare ed il racconto della loro giornata attraverso i quali si è potuto fare una lettura
orizzontale e verticale delle storie raccolte. Trasversalmente la traccia ci ha permesso di indagare sulle
dinamiche di inclusione sociale delle nuove famiglie nel territorio di Vigevano.
Abbiamo chiesto agli intervistati di raccontarci la loro vita qui. L'intervista in profondità ci permesso di
esplorare i vari aspetti della loro esperienza migratoria, del loro lavoro, delle loro relazioni con
connazionali e con gli italiani, del loro legame col territorio. Non sempre le loro competenze linguistiche
hanno permesso loro di raccontarsi con tutta la ricchezza e vividezza espressiva che una lingua madre
concede.
Le storie raccolte raccontano una realtà molto variegata e diversificata. Si va da situazioni di benessere,
buon ambientamento e relazioni consolidate, sia con connazionali che con gli italiani, a situazioni in cui a
stento si raggiunge la pura sussistenza economica con scarsi aiuti e poche relazioni. Si va da alcuni neoarrivati alla ricerca di una collocazione economica e sociale, ad altri, ugualmente in Italia da poco, ma
perfettamente inseriti. La grande ricchezza di questa ricerca sta proprio nella grande diversità delle storie
raccolte e delle situazioni narrate che ci ha permesso di avere sull'argomento molti punti di vista
differenti.
Intervistare inoltre, alcuni membri di spicco delle rispettive comunità ci ha permesso di esplorare, oltre
alle loro personali e peculiari esperienze di migrazione, anche un punto di vista interno rispetto ad
importanti comunità immigrate quali quella filippina e ucraina, o quella egiziana con qualche spunto sulla
più vasta comunità di religione mussulmana. In particolare due di loro grazie alla loro trentennale
esperienza in Italia ci hanno regalato anche un significativo sguardo diacronico sulle loro comunità e
l'evoluzione nel tempo di alcune importanti dinamiche.
Per quanto concerne la sezione della ricerca dedicata al mondo della scuola, sono state effettuate
interviste in profondità a tre docenti di cui una dedicata esclusivamente all'alfabetizzazione dei nuovi
arrivati, presso una scuola media e tre istituti tecnici, e due docenti responsabili, per le rispettive scuole
medie, degli alunni stranieri. Per ottenere il punto di vista degli allievi si è svolto un piccolo lavoro in una
classe seconda media chiedendo ai ragazzi di rispondere per iscritto ad alcune domande aperte (in
allegato) e di fare due disegni. Dato l'interesse della ricerca per le famiglie migranti, per evitare di fare
domande troppo dirette che mettessero in imbarazzo i figli di genitori migranti, e per evitare d'altro lato
di avere dati poco significativi, si è preferito fare delle domande sui luoghi della loro città e sulla storia
della loro classe e solo indirettamente sull'esperienza della migrazione.
3.2 La ricerca
Le famiglie immigrate che vivono a Vigevano raccontano di una buona qualità della vita. Raccontano della
tranquillità di una città bella e fruibile, grazie ai piacevoli luoghi di libero accesso come i giardinetti o i
vicini parchi naturali, e lo splendore del suo centro storico.
L'apprezzamento per la città e per lo stile di vita che vi si conduce giunge per alcuni ad un vero e proprio
senso di appartenenza: “a me piace proprio Vigevano perché è più o meno come lì da noi, come mia
città”. Affezionarsi ai luoghi in cui si vive, nasce a volte dal riconoscere in essi degli elementi di familiarità
con i paesaggi e le atmosfere che si sono lasciate nel paese di origine. In taluni casi il senso di
appartenenza si fa addirittura senso di piena identificazione con questi luoghi: “piano piano mi sono
abituato qua, io sono nato qua, perché ho imparato qua. Ho dimenticato tutto quello che ho imparato in
arabo. Qui ho trovato l'accoglienza. Infatti io dico: io sono nato a Vigevano nel 1977.”
Tra i luoghi del tempo libero spiccano, come quelli di libero accesso che, anche a causa dell'attuale
difficile situazione economica, sono quelli preferiti dalle famiglie migranti. Primo su tutti la splendida
piazza ducale dove chiunque può permettersi una passeggiata ed un gelato con tutta la famiglia. I
giardinetti costituiscono un importante luogo di ritrovo, in particolare per domestiche e badanti nella
pausa pranzo, i parchi sono i luoghi prediletti dove condurre la famiglie nel fine settimana specie se si
hanno figli, il mercato è il luogo per eccellenza degli incontri casuali con altre famiglie migranti, specie per
le donne. Sono molto amati da alcuni anche i centri commerciali simboli dell'opulenza del consumismo
occidentale. Se la piazza, che è anche un simbolo della città di Vigevano, è amata anche dagli autoctoni
(come testimoniano le affermazioni dei ragazzi della scuola media che hanno partecipato alla ricerca) non
può dirsi la stessa cosa per parchi e giardinetti. Infatti molti ragazzi li citano tra i luoghi meno piacevoli e
qualcuno specifica che è proprio la presenza di stranieri a renderli tali. Come vedremo la criticità delle
relazioni tra locali ed immigrati sta proprio negli incontri superficiali.
Luoghi molto importanti per passare il tempo libero sono anche le case di amici e parenti che a volte
vengono prestate o messe a disposizione per incontrarsi. Oltre alle occasioni di carattere religioso, di cui
si dirà, è nelle case che si riesce a soddisfare quel bisogno di incontrarsi e di condividere dei momenti
piacevoli che si fa più acuto proprio con la lontananza da luoghi e persone care. “Forse perché quando
arrivi qui, non trovando nessuno, sai che nessuno ti aiuta, qui ci si riunisce di più”.
Merita una menzione il bar, luogo dove ci si incontra e si possono avere informazioni per trovare lavoro,
ma allo stesso tempo è un luogo che rappresenta un rischio per l'attrazione dell'alcool e l'ozio.
Importantissimi centri di aggregazione sono i luoghi di culto la cui funzione va molto al di là di quella
puramente religiosa: il centro islamico, la chiesa ortodossa, l'oratorio e la parrocchia. In questi luoghi ci si
scambiano informazioni sul lavoro, si attivano reti di mutuo aiuto, talvolta si organizzano iniziative
ricreative. Dopo le funzioni religiose ortodosse, ad esempio, spesso i fedeli si riuniscono in un locale
concesso dalla chiesa o in un appartamento privato per consumare un pasto insieme. Nell'organizzazione
di attività ricreative collegate ad eventi religiosi spicca in particolare la comunità filippina che organizza
pranzi o feste o altri eventi in molte occasioni.
La religione dà i valori di riferimento che un individuo applica nella sua vita sociale, raggruppa le persone
offrendo luoghi e occasioni d'incontro e permette di attivare dei meccanismi di controllo sociale preziosi
per una pacifica convivenza civile. In quest'ottica bisognerebbe sostenere maggiormente le comunità
immigrate perché ottengano spazi adeguati per iniziative sociali e culturali. Viceversa questi spazi
vengono visti con timore dagli autoctoni in particolare per quanto concerne i centri islamici verso i quali
l'atteggiamento è molto peggiorato dopo l'undici settembre. “Abbiamo lottato, lottiamo ancora per avere
un posto più ampio, almeno mi danno la possibilità di fare qualcosa di più. Noi facciamo solo preghiera,
da noi non abbiamo la possibilità di mettere un tavolo i bambini imparano un po' di corano. Anche ai
bambini qua deve insegnare qualcosa della sua religione: cos'è rispetto per l'altro, perché la religione non
è solo il corano. Il corano come il vangelo come la bibbia, tutti insegnano il rispetto per l'altro.” Come
abbiamo potuto ascoltare in altre interviste l'accento non è posto su ciò che divide le religioni tra loro, ma
su ciò che le unisce: i valori etici che guidano l'agire umano e invitano all'armonia tra i popoli. In
particolare gli islamici sentono il confronto tra due culture profondamente diverse e due religioni spesso
percepite e rappresentate come antitetiche, nonostante le radici storiche comuni ed i tanti punti di
contatto.
L'insegnamento della lingua della cultura della religione sono fondamentali per sostenere i figli dei
genitori migranti durante la loro crescita personale, per rafforzare la loro autostima, per permettergli di
appropriarsi di entrambe le appartenenze. Scarse sono le opportunità offerte che andrebbero
incrementate dentro e fuori le istituzioni. Se mancassero tali opportunità, il rischio per questi ragazzi è
quello della costruzione di un'identità claudicante in cui la cultura d'origine risulti appiattita sulla
rappresentazione svalorizzante e riduttiva fornitagli dai media e dalla mentalità comune. Il rischio è che
un giorno questi ragazzi si sentano solo italiani ma vengano considerati quasi esclusivamente come
stranieri.
Vanno segnalate d'altro canto scarse opportunità di doposcuola e attività del tempo libero gratuite o
comunque accessibili alle famiglie migranti. Tali iniziative potrebbero favorire una prevenzione
dell'isolamento di taluni ragazzi dal gruppo dei pari e del rischio per altri ragazzi di intraprendere percorsi
di devianza. In particolare per quei ragazzi i cui genitori lavorano fino a tardi e che fanno fatica a seguirli
in maniera adeguata, tali iniziative risulterebbero preziose.
L'unica comunità in cui si riscontra più attenzione al problema, è la comunità filippina che si dimostra
particolarmente intraprendente anche nell'organizzazione di attività ricreative per i giovani, come ad
esempio tornei di basket e pallavolo.
Riguardo all'inserimento scolastico, la situazione, come si vedrà più approfonditamente nel rapporto sulla
scuola, è relativamente soddisfacente. Va segnalata la fondamentale importanza dei mediatori culturali
per aiutare i bambini ed i ragazzi giunti in Italia in età scolare ad affrontare al meglio i primi difficili
momenti. La possibilità di esprimere le proprie emozioni, paure, dubbi nella propria lingua, la possibilità
di avere una persona, con cui si condivide lo stesso terreno comune dell'appartenenza, che li prenda in
carico, sono valori aggiunti inestimabili. È proprio grazie a queste risorse che a volte il mediatore riesce ad
essere, oltre ad un validissimo sostegno nell'apprendimento della lingua e dei contenuti curricolari, anche
un confidente ed un alleato che allevia la fatica dell'ambientamento.
Le relazioni delle nuove famiglie con gli italiani sono generalmente discrete e non si segnalano elementi di
tensione sostanziali. Le criticità nelle relazioni con gli italiani sono date dai primi incontri o dagli incontri
superficiali. Questi tipi di relazioni sono spesso dominate dai reciproci pregiudizi e dalla reciproca
diffidenza.
Alcune dinamiche in atto nelle comunità immigrate innescano dei circoli viziosi che tendono ad
allontanarle progressivamente dalla comunità locale. Il crescere delle comunità immigrate ha accentuato
fenomeni di incapsulamento sociale: il neo-arrivato si appoggia agli altri per la ricerca di casa e lavoro,
impara poco la lingua, interagisce pochissimo con gli italiani, mantiene il più possibile inalterato il suo stile
di vita. “Il tappetino di sabbia che hanno trovato è la parentela. Quando uno viene trova il suo parente,
non va più a cercare, come ho cercato io lavoro. Viene qua ospite da amico o parente finché l'amico il
parente trova il lavoro per lui. È diverso io ho trovato fatica di lavorare non parlando la lingua. Adesso
uno parla arabo io traduco per farlo lavorare, è questo il tappeto che hanno trovato. Hanno trovato la
piazza pronta.”
L'autoctono di fronte a questo fenomeno, da parte sua alza ulteriormente il muro di diffidenza nel
confronto con insiemi di individui che si muovono in gruppo comunicando in una lingua straniera. “Se lei
va al mercato adesso vede specialmente la donna che non lavora cammina coi bambini, la gente li
guarda..., non proprio con sospetto ma... sono vestiti arabi, li guardano come una persona estranea. Non
trovano accoglienza perché sono tanti. Se io vengo trovo il paesano, trovo il cugino, stanno insieme, non
riescono più a integrarsi.”
Come per altre località anche a Vigevano le catene migratorie determinano per alcune comunità un vero
e proprio trasferimento di piccole cittadine dal paese d'origine a qui. È il caso del territorio del piccolo
governatorato di Sharkia nel basso Egitto che è la provenienza più diffusa tra gli egiziani di Vigevano. In
casi di questo tipo sarebbe interessante organizzare qualche forma di gemellaggio per valorizzare questa
dinamica sociale.
Se gli immigrati cercano sempre più di ricreare degli spazi culturalmente e socialmente simili a ciò che
hanno lasciato nel paese d'origine, parallelamente l'autoctono raramente lascia aperti degli spazi che
inneschino percorsi di inclusione sociale. “Integrazione non significa lo straniero si deve integrare dentro,
è l'italiano che integra dentro lo straniero. Come lei mi ha incontrato con un cuore, io sento sicurezza
verso di lei; però se mi guarda male, io non ho più sicurezza di lei e mi spavento, perché lei è proprietaria.
Come straniero non sai niente, non sai la lingua, non sai parlare, non sai esprimerti, allora ti senti un po'
spaventato. Se lei non si avvicinava a lui, lui non viene mai vicino a lei, questo lo garantisco. Questo
parlando di persona per bene: non di delinquenti, io parlo di persone che si vogliono inserire. Secondo
me l'integrazione deve essere l'incontrario: non è l'immigrato che deve integrarsi, è l'italiano che deve
integrare.” Queste sono le parole di un testimone privilegiato del fenomeno migratorio che, con i suoi
trenta anni di esperienza in Italia, ha visto profondamente mutare nel tempo la capacità della comunità
locale di ospitare ed accogliere le famiglie migranti. Da i suoi racconti (cfr. intervista 4) si desumono i
cambiamenti nello stile e nei ritmi di vita della comunità locale che un tempo erano in perfetta sintonia
con una grande capacità di accoglienza che oggi si è perduta assieme a quel modo di intendere le
relazioni umane.
È a livello di incontri superficiali il terreno dei maggiori fraintendimenti o piccoli conflitti. Ad esempio
relazioni superficiali di vicinato, o incontri per strada, dove una parola o una situazione di tensione
pregressa bastano ad innescare piccoli incidenti. Laddove si instaura una relazione di vicinato più intensa
o una relazione di lavoro duratura, spesso i rapporti si fanno più distesi e non sono rari i casi di rapporti
che si intensificano fino quasi a sconfinare in relazioni di carattere affettivo. In particolare nel mondo del
lavoro femminile, dove la lavoratrice immigrata entra nelle case, si prende cura delle persone care, piano
piano il rapporto può diventare di piena fiducia. A volte i datori di lavoro prendono in carico la lavoratrice
e si occupano di alcune esigenze sue e della sua famiglia, pur mantenendo inalterato il legame di
subalternità. “Mio figlio l'hanno mandato loro, pagano loro la scuola di calcio, vengono prenderlo a casa,
perché io lavoro. Quell'orario vengono a prenderlo poi lo portano la sera e così mi sento tranquilla.” Gli
atti di generosità saranno ripagati dalla lavoratrice, vincolata da un legame di riconoscenza, col suo
massimo impegno e disponibilità. A volte, ma in casi più rari, questa presa in carico va molto oltre il
rapporto di lavoro e, superando il limite della subalternità, può trasformarsi, specie una volta terminato
del tutto il rapporto di lavoro, in una relazione puramente elettiva. “E' rimasta quest'amicizia e adesso
come adesso fanno da nonni, nonni a tempo pieno, ci vogliamo un mondo di bene. Lì ho perso una
famiglia, qui l'ho ritrovata. Loro non avevano nessuno, sapevano che io non ho nessuno”
Molto diversa la situazione del mercato del lavoro maschile maggiormente colpito dalla crisi. Infatti
l'attuale fase di crisi economica, che sta portando pesanti conseguenze sulle famiglie migranti, tocca
particolarmente i lavori tipicamente maschili come quelli nell'edilizia e nelle fabbriche. Di conseguenza
colpisce in particolare le comunità in cui sono solo o prevalentemente gli uomini a lavorare. I filippini ad
esempio, grazie alla loro intraprendenza e grazie al fatto di adattarsi a lavorare in cooperative di pulizie o
come domestici nelle case, o cooperative di catering, reagiscono meglio alla crisi. Viceversa più complessa
è la situazione di marocchini o egiziani, ed anche per chi è in Italia da lunga data spesso è molto difficile
lavorare in modo stabile. In queste comunità talvolta la famiglia tradizionale subisce uno scossone
laddove la moglie, precedentemente casalinga, è costretta a lavorare per mantenere la famiglia e si
trasforma nell'unico percettore di reddito. Il ribaltamento dei ruoli economici tradizionali comporta la
ridefinizione di tutti gli equilibri familiari.
La crisi mette in ginocchio famiglie da poco ricongiunte costringendo talvolta i mariti a rimandare
indietro moglie e figli perché è molto più oneroso mantenerli qui, mentre restando da soli possono,
nonostante tutto, inviare rimesse sufficienti a sostenere la famiglia nel paese d'origine, dove la vita è
meno cara. Nelle situazioni più difficili, le famiglie immigrate sopravvivono con piccoli aiuti (spesa e vestiti
della Caritas) e con i pochi soldi di qualche lavoretto saltuario in nero. In taluni casi limite, non avendo
neanche i soldi per rientrare nel paese di origine, si arriva a chiedere soldi ai parenti rimasti lì. Tutte le
spese non strettamente necessarie vanno tagliate. “Adesso abbiamo tagliato tante cose. Non si può. I
bambini hanno capito. Anche se hanno questa età qua, hanno capito”. Le situazioni di ristrettezza
economica portano a responsabilizzare i figli stimolando le virtù della sobrietà e della capacità di
accontentarsi di poco nel contesto di una società che continua ad ostentare spreco ed opulenza. In tutte
le situazioni più critiche solo una forte coesione familiare permette di affrontare bene la pesante
situazione.
Con l'arrivo della crisi i lavoratori sono diventati ancora più ricattabili e sono costretti, per poter
sopravvivere, ad accettare qualsiasi lavoro in nero con paghe da miseria o a fare molti chilometri per
poter lavorare: “se capita qualche giorno di lavoro, non si chiede quale lavoro. Dice che serve operaio fare
imbiancatura, va. Pulizia, va. Basta che c'è. Qualche giornata che guadagna a fine della giornata qualche
soldino. 4 euro all'ora va bene.“
Anche chi ha un contratto in regola sa di non essere tutelato: “diritti non ne ha, quest'anno gli è successo
un infortunio al lavoro, per le sue dita, tutte e due. Siamo andati all'ospedale e gli ha detto il dottore:
dieci giorni. Però mio marito ha rifiutato di fare dieci giorni, perché lui era sicuro, se li fa, dopo lo
mandano via. Anche se abbiamo diritto, ma non riusciamo, perché sappiamo bene che dopo il primo
sbaglio che fai, ti mandano via. Poi ha dovuto andare a lavorare così con una frattura ad un dito... però è
andato lo stesso a lavorare”.
La crescita delle comunità immigrate ha ampliato le reti di sostegno e di mutuo aiuto. Le comunità si
organizzano per esempio per aiutare chi è in difficoltà a causa della crisi con borse della spesa o aiuti
pecuniari. Il centro islamico ad esempio consegna periodicamente delle borse di spesa a quelle famiglie
che sono più in difficoltà e che non accedono agli aiuti della Caritas per motivi religiosi o non chiedono
aiuto per una rispettabile forma di pudore o di vergogna.
Nelle diverse comunità si sono attivati nel tempo dei meccanismi di aiuto e di mediazione: chi è in Italia
da più tempo aiuta chi è arrivato da poco per affrontare le difficoltà con burocrazia, servizi sanitari e
quant'altro, surrogando il ruolo dei mediatori linguistici. “Qualcuno vuole l'impegnativa del medico per
fare esami, andavo sempre dal medico per loro, perché non parlano bene. Per spiegarsi, per capire cosa
dice il dottore, cosa dice l'avvocato, cosa dice il sindacato, io leggo bene italiano e anche parlo un po', io
già da 15 anni qua, andato a scuola qua.”
Vedere altri migranti affrontare con fatica le stesse difficoltà che si è dovuto superare nei primi tempi qui,
fa scattare il meccanismo della solidarietà come avviene, ad esempio, tra le donne ucraine accomunate
anche dalla stessa tipologia di lavori e di relative problematiche. In particolare le badanti che dormono
presso i datori di lavoro subiscono dure conseguenze nei casi di rottura del rapporto di lavoro. “Una
ragazza perde lavoro non ha dove dormire. Io ho posto, allora sta in sala finchè non trova lavoro. Quando
muore la persona (di cui erano badanti), o cambiano lavoro, non si trovano bene, allora devono da
qualche angolo sbattere. Allora: 'mi puoi invitare?' Come fai a dire di no. Se so che anche io avevo
bisogno.”
Va segnalato come il lavoro di badante spesso entri in conflitto con la possibilità di seguire la propria
famiglia. Quando una donna è costretta a dormire dai datori di lavoro, infatti, pochissimo è il tempo che
le rimane per occuparsi della sua famiglia o dei suoi figli. Ad esempio nel caso di una donna rumena che
riesce a passare con i suoi figli solo poche ore alla settimana nel suo giorno libero, che è il mercoledì,
mentre le ore di pausa pranzo sono concesse in un orario in cui i suoi figli sono a scuola. “Mi da tanta
fatica questo lavoro. L'ho chiesto, tante volte mi danno tre ore quattro ore, però me li danno in orari
sbagliati. Me lo date quando ho bisogno la sera un'oretta con i miei figli. Non vuole. Mercoledì sera gli
preparo da mangiare li lavo guardano la televisione mangiano e a dormire. L'indomani mattina si lavano li
vesto li accompagno a scuola. Non mi vedono quando ritornano da scuola. Questa è la mia vita. Dimmi se
questa ti sembra una vita per dei bambini.” Per coloro che hanno lasciato i figli al paese d'origine si tratta
di un lavoro che, tranne in casi fortunati, non consente di avviare un ricongiungimento.
La crisi e la conseguente mancanza di lavoro ha messo in difficoltà molte famiglie costringendole a
rivolgersi ai servizi sociali per aiuti economici. Per accedere ai servizi e per ottenere degli aiuti i migranti
devono apprendere il linguaggio e le procedure della burocrazia ma specialmente devono avere una
costanza ed a volte una certa dose di determinazione. Infatti i tempi di attesa sono generalmente molto
lunghi ed è necessario tornare più e più volte per avere informazioni sull'andamento di una pratica. “Ci
siamo trovati bene, l'unica cosa che non basta andare una volta, devi andare e tornare, andare e tornare
(nel modo di dirlo si sente la fatica) per avere qualcosa. Per esempio quando chiediamo un contributo per
le bollette, non basta andare a chiedere una volta, ti dice sempre di tornare per vedere: 'no ancora no.'”
Le criticità riguardo ai servizi sanitari sono date dalla mancanza di mediatori linguistici che permettano
anche a chi non ha competenze linguistiche adeguate di potersi spiegare, ricevere un aiuto corretto,
comprendere le indicazioni terapeutiche. Spesso laddove l'immigrato non riesce ad esprimersi ed a
comunicare col personale sanitario non di rado riceve trattamenti bruschi e sbrigativi. Spesso in tali
contesto risulta fondamentale oltre alla competenza linguistica, la consapevolezza dei propri diritti e la
determinazione nel chiederne l'applicazione. Come racconta una donna in Italia da trenta anni che
afferma di non aver avuto problemi nella relazione con medici ed infermieri durante un suo ricovero
ospedaliero: “non ho difficoltà forse perché parlo anche, perciò... reclamo“.
Un elemento è comune a tutte le interviste: tutti indipendentemente dalla situazione positiva o negativa
che stanno vivendo, quasi automaticamente, affermano che consiglierebbero a chi è rimasto al paese di
origine di non venire. Per ciascuna intervista cambiano le motivazioni, cambia l'intensità con cui
l'affermazione è espressa ma il concetto è sempre lo stesso: qui non è più come un tempo non ci sono più
tante opportunità, non sempre c'è lavoro, la crisi si fa sentire.
Ciò nonostante nei paesi di origine molti sono ancora affascinati dal mito di un’Europa civile e opulenta
dove c'è spazio per tutti e non sempre si da credito ai racconti di chi è qui ad affrontare le difficoltà del
presente. “Oramai noi diciamo la verità. Però nessuno crede quello che diciamo noi: 'voi non dite la
verità'. Trovi tante persone che stanno arrivando ancora, che non credono che la vita è un po' dura qua.
Io dico che è difficile trovare lavoro e se trovi lavoro non trovi quello che ti paga, se ti paga un mese, ti
tratta male un altro mese, paghi tanto per l'affitto, paghi tanto per la spesa. Le persone che non sono
andate fuori, non credono questo. Perché vedono che quelli che tornano da fuori hanno soldi. Però da
dove questi soldi e come l'ha fatti... Come ci trattano al lavoro, come si riesce vivere di là....”
Le famiglie migranti stanno pagando più degli italiani le pesanti conseguenze della crisi e in molti casi per
loro si è fatto molto più pesante il fardello di sacrifici e privazioni che li attendono. Queste ulteriori
difficoltà vanno ad aggiungersi alla “normale” fatica del migrare connaturata all'esperienza del partire e
del lasciare luoghi familiari e persone care, la fatica di ripartire da zero, di sopportare la nostalgia, la fatica
di ambientarsi, ma soprattutto la fatica di accettare condizioni di vita e di lavoro che nel paese di origine
spesso non si prenderebbero neanche in considerazione, pur di perseguire gli obiettivi che ci si è proposti,
pur di mantenere decorosamente la famiglia e garantirsi un futuro.
3.3 Le interviste a Vigevano
Intervista 03: M., donna ucraina
Questa è la storia di una donna ucraina che emigra da sola, in seguito alla malattia del marito e della
madre. Figlia unica di una famiglia benestante, in possesso di due lauree, conosce 7 lingue. In Ucraina
aveva svolto la funzione di responsabile di un supermercato e poi quella del direttore di un teatro.
Arriva in Italia nel 2001: “non avevo scelta, mio marito tumore, mia madre malata, avevo tre figli, chi li
manteneva?”. Viene rapinata durante il viaggio, con i pochi soldi rimasti acquista una scheda per
chiamare a casa e trascorre il primi tre giorni senza neanche mangiare, arrangiandosi a dormire alla
stazione durante un gelido gennaio: “Ne ho passate di brutte. Sono arrivata in Italia con 10 dollari in tasca
non avendo dove andare a dormire. Tre giorni passati senza mangiare, solo bere l'acqua del rubinetto.
Perché avevo paura anche comprare un panino, perché se compro un panino spendo soldi e mi resta
poco, cosa faccio?... E quando arrivi al punto che tu dormi come barbone in un angolino alla stazione
centrale... Io sono figlia unica e provengo da una famiglia molto benestante che a suo tempo non mi ha
fatto mai mancare niente. Arrivare qui e dormire come barbona... Quando tu vivi una giornata e non sai
cosa ti aspetta neanche fra un'ora. Quello che sarà sarà. Tornare indietro non potevo”. Stretta dalla
necessità affronta un vero e proprio salto nel buio e impreparata alle evenienze corre seriamente il
rischio di perdersi. Specialmente nelle prime ondate migratorie sono molte le storie di migranti che partiti
senza reti sociali di sostegno rischiano di non farcela, travolti, come in questo caso del furto, da episodi
sfortunati.
Una giorno si è addormentata in chiesa ed il prete l'ha condotta dalle suore, dove ha soggiornato per un
mese finché ha trovato un lavoro come badante. Quando l'anziano di cui si occupava è morto dopo quasi
tre anni, è rimasta in amicizia con la sua famiglia e successivamente, quando lei ne ha avuto necessità,
l'hanno ospitata e le hanno prestato 30000 euro per aiutarla nell'acquisto della casa. Queste persone
hanno acquistato a loro volta una casa in Ucraina dove si recano in estate con i figli viaggiando con un
camper. Si è creato quindi un vero e proprio legame elettivo di amicizia con la condivisione delle vacanze,
e la fiducia più totale che porta a prestare una somma davvero ingente di danaro. Nonostante si tratti di
un esempio estremo non è raro ascoltare racconti in cui l'immigrata, che si è fatta conoscere per le sue
buone doti lavorando nelle loro case, stringe nel tempo una relazione intensa coi datori di lavoro che può
andare dalla presa in carico unilaterale della lavoratrice fino a casi simili a questo.
Nel 2007 i figli sono rimasti soli in Ucraina e li ha dovuti ricongiungere “mia madre peggiorava, mio marito
anche. Sapevo che da oggi a domani dovevo fare qualcosa e dovevo anche viaggiare più spesso. Io dovevo
decidere: tornare indietro o portare i ragazzi qui. Erano rimasti completamente soli. In campagna soli.
Piccolo aveva 6 anni, femmina aveva 15 anni quando è morta mia madre, grande aveva 18 anni. È dal
2007 che sono qui. Sono inseriti molto bene. Non avevano difficoltà perché se non c'ero io, c'era sempre
questa famiglia presente, c'erano i nonni, perché ormai 'nonni' noi li chiamiamo. Allora c'erano sempre
loro presenti.“ La famiglia cui la donna fa riferimento è una coppia di signori di una certa età che non
hanno figli, che svolgono in pieno il ruolo di nonni e l'aiutano nella gestione dei figli. Ad esempio vanno a
prendere suo figlio piccolo a scuola, comprano vestiti e indumenti per tutti i suoi figli, ma specialmente
passano del tempo con loro. “Era un po' dura, perché tre figli, nessuno lavora, la lingua, era un po' dura.
Però sono fortunata con questa famiglia, ringrazio iddio, perché loro mi sono stati dietro.” Questi signori,
che per breve tempo sono stati i suoi datori di lavoro, nel tempo hanno preso in carico la nostra
intervistata e la sua famiglia: “è rimasta quest'amicizia e adesso come adesso fanno da nonni, nonni a
tempo pieno. Ci vogliamo un mondo di bene. Lì ho perso una famiglia, qui l'ho ritrovata. Loro non avendo
nessuno, sapendo che io non ho nessuno, non ho parenti, con chi parlare.” Infatti dopo la morte del
marito e della madre nel 2007, essendo lei figlia unica, non ha più alcun parente stretto. “Io non ho
nessuno. Io e i miei tre figli”. Questa seconda relazione instaurata dalla nostra intervistata è tanto
intensa e affettiva da surrogare in pieno e simmetricamente per entrambe le parti le relazioni affettive
mancanti: se questa coppia ha adottato una famiglia garantendosi una figliastra e dei nipoti elettivi,
simmetricamente questa donna ed i suoi figli hanno ricostruito sostegno e affetti persi in Ucraina.
Con l'arrivo dei figli le spese aumentano e diventano più importanti gli obiettivi che con grande
determinazione la donna si è prefissata, primo su tutti l'acquisto di una casa. Voleva a tutti i costi che i
suoi figli entrassero direttamente in una casa tutta loro: “io lavoravo di notte, lavoravo venti ore su
ventiquattro, dormivo due ore e due ore dovevo starci, lavare, pulire. È dura. Però io voglio quella casa.
Certe volte un italiano non ce la fa'. Io sola con tre figli ci sono riuscita. Quando arrivi a una cosa hai una
soddisfazione di quello che hai fatto.” Il bilancio della sua storia, da questo punto di vista, è molto
positivo: superati i periodi bui può affermare di avere raggiunto da sola traguardi inimmaginabili per tanti
immigrati ed anche per alcuni italiani.
Dopo il ricongiungimento quindi invece di iniziare a lavorare di meno, per dedicare più tempo ai figli,
accetta ulteriori impegni ed inizia ad affrontare giornate di lavoro pesantissime che la portano ad avere
momenti di crollo fisico. Di mattina faceva le pulizie negli in appartamenti privati e la notte la panettiera:
“ci si dà da fare se si ha bisogno”. Lavorare senza tregua, mangiare poco, riposare niente l'ha fatta
dimagrire enormemente e le portava degli episodi di svenimento. La grande determinazione di questa
donna, la sua incredibile tenacia la portano a sottovalutare i limiti fisici della propria possibilità di
sacrificio “Io sono molto testarda, nonni dicono che sono testarda. Quando arriva una cosa che vuoi, tu
non lo vedi il pericolo che c'è dietro. Io devo avere questa cosa. È vero che sono arrivata al punto che ho
perso tanti chili, ero dimagrita tantissimo e camminando in strada svenivo. E quando sono arrivata al
punto che svenivo, avevo paura. Ho detto: e se è il cuore? Perché non capivo perché svenivo. Lavori lavori
lavori, è un'abitudine, non capivo perché svieni.”
La sua grande caparbietà si era trasformata in un'incoscienza che non le faceva vedere il pericolo. Solo il
pensiero della responsabilità per i figli e lo spavento l'hanno fatta cambiare rotta. “Quando (gli
svenimenti) capitato una volta, seconda volta fuori di casa, ok: figli non vedono. Ma quando in casa, figli si
spaventano, portano pronto soccorso... abbiamo fatto anche il foglio: se mi succede qualcosa i figli
restano coi nonni. Perché i ragazzi erano minorenni, il grande era ancora in Ucraina perché finiva
università. E se mi succede qualcosa, qualsiasi cosa, dove vanno a finire? È dura: quando ho portato i miei
figli ho cominciato a lavorare troppo. I nonni dicono basta, adesso basta. Io ne conosco tantissime che
lavorano per avere sua casa, per avere sua macchina, per far star bene i figli, conosco tantissime, mica
sono da sola.“ Molte effettivamente sono le donne in emigrazione specie provenienti dall'est che
affrontano sacrifici immani con grande determinazione, per ottenere dati risultati che in genere
coincidono con l'acquisto di una casa al paese di origine e non è raro ascoltare storie simili a questa.
Questa overdose di lavoro era anche a detrimento del tempo trascorso coi figli, che era ridotto alla
condivisione della cena: “tempo per la verità (per stare coi figli) non ne avevo. Se tu torni a casa alle sette
e alle nove devi stare già in panificio, hai proprio quelle due ore che devi preparare da mangiar e a tavola.
Basta. Primi tempi no. Proprio con l'arrivo dei figli ho dovuto lavorare di più. Prima i miei ragazzi erano lì
con la mia mamma, io facevo le mie ore, dalle sette ore alla 10 ore al giorno, la notte dormivo. Quando
sono arrivati qui i ragazzi: casa in affitto non volevo. Se entro in casa in affitto non esco più. Vuol dire che
devo fare di tutto. Questa famiglia che mi conosceva già, sono stati anche in Ucraina a casa mia, allora
loro si sono fidati a prestarmi 30.000 euro più quello che avevo io, per subito pagare notaio e fare rogito.
” Come avevamo già accennato è stata la grande amicizia e la fiducia accordatale da una famiglia
italiana a permetterle di esaudire il suo sogno.
Raccontando le sue vicende e facendo un piccolo bilancio la donna esprime una grande soddisfazione
nell'essere riuscita nel suo intento. “Da quello che avevo quando sono arrivata e da quello che ho qui: 'dal
nero al bianco'. Adesso ho mia figlia che lavora, che mi aiuta. Il primo passo, quello più pesante è passato.
Adesso sto bene. Ormai lavoro io, lavora mio figlio, lavora mia figlia.“ Attualmente oltre a fare la colf
svolge part time il ruolo di mediatrice culturale nelle scuole. Dei suoi tre figli Ii più grande fa il falegname
a Vigevano, la seconda ha frequentato una scuola di pasticceria e fa la cameriera a Milano e il più piccolo
frequenta la 4° elementare.
La nostra intervistata dà una grande importanza alla religione e frequenta regolarmente le funzioni
religiose cristiano ortodosse. Dopo la messa ci si riunisce per mangiare tutti insieme, ucraini moldavi e
italiani, ognuno porta qualcosa da condividere. “Da quando hanno fatto questa chiesa ortodossa qui a
Vigevano, ogni tanto di domenica facciamo le feste, tutti si riuniscono, vengono a casa mia, dopo chiesa.
O pranziamo in chiesa o pranziamo a casa mia, se in chiesa c'è la camera ognuno che arriva porta
qualcosa e lì ci si riunisce. La cosa strana che ho scoperto che ci sono anche italiani, è una cosa strana.
Quando c'è stata la prima messa e quando hanno saputo sono venuti. Sono gente italiana però sono
ortodossi anche. Loro arrivano da Sanremo anche, fanno un bel viaggio. Una famiglia da Morimondo, e
poi altre ...”
La chiesa ortodossa oltre alla funzione strettamente religiosa offre l'opportunità di incontrarsi e di
conoscersi è un luogo di ritrovo “dove non si guarda se sei moldavo russo o ucraino, quando sei a tavola
alla fine non si guarda. Comunque si parla italiano perché il prete è italiano, la lingua è questa, possono
venire chissà da dove, però la lingua è questa. “
Anche i figli sono molto legati alla religione ed alle sue tradizioni. Ci racconta con orgoglio che sua figlia,
rimasta a Vigevano per le vacanze pasquali, ha rispettato tutte le tradizioni della pasqua ortodossa : “per
la pasqua ero lì in Ucraina, mia figlia era da sola, ha 19 anni. Mi chiama 'dov'è il cesto per andare in
chiesa?' Perché da noi mettono tutto nel cesto: la colomba, le uova che colorano a casa, un po' di sale, un
po' di zucchero, un po' di papavero, nel piatto un po' di salame e di cetriolo tutto quanto, e vanno in
chiesa a benedirlo. Lei comunque abitudine di quello che si faceva da noi, anche senza di me è andata in
chiesa, perché deve essere così. Sai che dovrebbe dire una ragazza di 19 anni stare 4 ore in chiesa? Non è
che stanno 10 minuti, stanno 4 ore. Quelle domenicali due ore e mezza. E invece quando fanno qualcosa
in più, battesimo matrimonio, altre due ore. E gente stanno tutti in piedi, non puoi nemmeno sederti.
Comunque gente ci vanno e mia figlia per la pasqua è andata.”
Conosce e frequenta altre donne ucraine e moldave con cui ci si scambiano favori e ci si incontra ai
giardinetti quasi tutti i giorni alle 14, durante la pausa dal lavoro. Prima, durante i giorni di pioggia ci si
poteva incontrare nella sede di un'associazione culturale fondata da una donna ucraina. “Di solito si
incontrano tutte al parco anche adesso. Tutti giorni alle due. Di solito danno il permesso dalle due alle
quattro, o dalle tre alle cinque, due ore per uscire. Anche adesso passando ho incontrato, ho salutato.
Certe volte quando qualcuna fa compleanno o qualcuna ha compleanno di figlia o figlio però sono lì (in
Ucraina,) portano torta. Se piove prima c'era l'associazione allora andavamo lì. C'è una giornalista una
nostra giornalista che prima era qui che scriveva, sua figlia una cantante ha cantato anche la Tosca alla
Scala, si sono trasferite a Milano adesso. Però i primi tempi erano qui è lei che ha creato un'associazione”.
Grande è il bisogno d'incontrarsi tra donne immigrate: “forse perché quando arrivi qui, non trovando
nessuno, sai che nessuno ti aiuta, qui ci si riunisce di più”.Talvolta si prestano la casa per incontrarsi.
Molto forte è la solidarietà tra queste donne che attiva reti di mutuo soccorso. Ad esempio se una di loro
faceva la badante e la persona di cui si occupava muore, perde contemporaneamente lavoro e casa; tra
loro si aiutano ed ospitano queste persone in difficoltà. “Una ragazza perde lavoro non ha dove dormire.
Io ho posto, siccome ho la casa di tre camere allora sta in sala finché non trova lavoro. Quando muore la
persona (di cui erano badanti), o cambiano lavoro, non si trovano bene, allora devono da qualche angolo
sbattere. Allora: 'mi puoi invitare?' Come fai a dire di no. Se so che anche io avevo bisogno. A me mi
hanno aiutato proprio italiani, come faccio io a non aiutare una ragazza che so che passa la stessa cosa
che ho passato io. Quel pensiero che mi è passato, io non auguro a nessuno di passare quello che ho
passato io. Perché davvero... quando non sai quello che ti aspetta tra un'ora, quello che sarà sarà...”
Scatta il meccanismo dell'identificazione nelle comuni sventure ordinarie nelle storie di emigrazione e
aiutare chi si è trovato nelle nostre stesse situazioni è spontaneo e consolatorio.
Riguardo alla comunità ucraina di Vigevano, la nostra intervistata ritiene che la maggior parte siano ben
ambientati e ben sistemati. La chiave di questo benessere è dato dall'adattabilità. Non vanno per il sottile
riguardo alle offerte di lavoro, ma si accontentano di quanto il mercato può offrire. “La cosa strana è che
se una persona cinese o se un marocchino cercano lavori un po' diversi, un ucraino anche un moldavo:
basta che si guadagna. Sono pronti a fare qualunque sia lavoro”. Per cercare lavoro “certe volte vengono
allo sportello stranieri, chiedono se c'è qualche lavoro, certe volte arrivano anche alla Caritas, certe volte
anche in chiesa tramite passaparola.”
Oltre ad alcune famiglie, qui ci sono tante donne che lasciano la famiglia lì e vengono a fare le badanti. A
volte in Ucraina sono pensionate, ma qui vengono da sole: “certe volte sono donne che sono già in
pensione vengono qui. Pensioni di 80 euro, ma ormai i prezzi (là in Ucraina) sono come qui”. La maggior
parte di queste donne “sono sole, sono completamente sole. Ci sono anche quelle che dopo si trovano
qui bene o si trovano compagno, e allora riescono a portare qui figlio o figlia. Allora restano anche qui.
Però sono poche quelle che restano qui completamente. Deve esserci proprio un legame, o che si
sposano... Sono tante quelle che viaggiano avanti e indietro che lavorano e viaggiano. Sono badanti o
fanno pulizie.”
Anche i giovani ucraini talvolta “quando hanno possibilità scappano e vengono qua a guadagnare”.
Gli uomini ucraini sono pochi, anche per la scarsità di lavoro: “uomini ci sono, però pochi. Perché se per la
donna si può trovare lavoro, è più facile, per uomo no. Sicuramente marito resta sempre lì con figli, la
donna che deve lavorare e fa sempre avanti e indietro. Quelli che portano i figli, dopo portano anche il
marito, se ce l'hanno. Però devono già avere il punto di riferimento. Deve avere quel lavoro, perché se
porta qui e non lavora... Paghi casa compri da mangiare fai le spese e alla fine non ti resta niente, o stai
qui o stai lì: è la stessa cosa. Perciò quando hai già il punto di riferimento che puoi trovare il lavoro hai
quella casa sei sistemato, ok. Quei ragazzi che conosco io, si sono sistemati quasi tutti.” Ad esempio ci
racconta un caso di ricongiungimento al femminile di marito e figlia: “c'è una famiglia giovanissima lei fa
le pulizie da una famiglia che ha una grossa villa a Gravellona. Le hanno dato una cameretta e lei si è
portato qui marito e la bambina di 8 anni. Marito trovato lavoro, fa il muratore. Situazione tranquilla,
lavorano tutti e due“.
Nel suo insieme la comunità ucraina locale dimostra grade capacità di adattamento e spirito di sacrificio
come dimostra la stessa storia della nostra intervistata “Neanche a me faceva molto piacere a dire la
verità.... io sono stata lì (in Ucraina) responsabile di un supermercato, primi tempi, dopo sono stata otto
anni come direttore del teatro. Io non posso dire che arrivare qui, fare le pulizie... anche per me era una
cosa..., anche fare la badante... Però quando hai bisogno... Se io lavoravo lì e potevo arrivare non oltre
200 euro al mese, essendo da sola, con marito ammalato, con madre ammalata, con tre figli: come fai?
Finché lavorava lui, lavoravo io, si poteva andare avanti. Quando sei da sola non ce la fai più. Allora vai,
cerchi dove si guadagna di più. E quel tempo che sono arrivata qui che si guadagnava 700 euro, lì che
costava tutto poco, un chilo di pane 20 centesimi, sono riuscita ad andare avanti. A dire la verità non mi
permettevo nemmeno di mangiare un gelato perché pagare un euro è tanto. E quando sono arrivata a
casa dopo tre anni, ho aperto il frigorifero e dal frigorifero gelati che cadevano, mi sono arrabbiata. Io
sono anni che non ne assaggio neanche e voi qua... ma come vi permettete i soldi qua solo per comprare
gelati. Ogni cosa ha il suo limite. Casa mia se resta la pasta un cucchiaio, io non butto nulla.”
In Ucraina i figli erano stati seguiti dalla madre che gli ha dato un'educazione austera che noi
definiremmo “all'antica”, abituandoli alla disciplina. “Forse dipende dai ragazzi come sono cresciuti con la
mia madre lì e dopo i nonni qui. Forse con un'educazione... mia madre era molto severa. Io ai miei figli
non ripeto mai due volte. Se io chiamo una volta, lascia tutto e viene da me. Così è stata anche mia madre
con me. O così o niente. Certe volte il piccolo gioca dico 'non riesco a passare' subito raccoglie tutti i suoi
giocattoli perché mamma deve passare. Come cresciuto un bambino da piccolo... sono molto più viziati
italiani.”
Secondo la nostra intervistata in Ucraina è la donna che ha in pieno la responsabilità della famiglia anche
del suo sostentamento economico. Gli uomini hanno il vizio di bere e si disinteressano alla famiglia,
mentre in casa la moglie è il capo. Diversamente secondo lei avviene in Italia: “forse perché bambino
desiderato da padre e da madre. Anzi più padre che gestisce la famiglia, madre solo cura il figlio. In
Ucraina tutto su spalle di donna, non so perché ma il vizio proprio di bere gli uomini. Ma anche uomo che
non beve, sono pochissimi uomini che pensano alla famiglia. Ma è abitudine. La moglie in casa è lei il capo
di famiglia. Lei che deve arrangiarsi di tutto. È per quel motivo se qui il bambino ha tutto, sicuramente
quando è grande vuole di più. Se invece lì il bambino da piccolo si arrangia anche con giocattolo fatto con
della carta, anche con sassolini gioca, sicuramente si contenta dopo comunque sia. Mia figlia piccola,
perché già ero in crisi, mio marito ammalato, non riuscivo a comprare più le bambole, allora lei giocava
con quello che rimasto del grande. Appena che sono arrivata in Italia che lei aveva otto anni mandavo a
casa ogni mese una bambola. Dopo tre anni che son tornata io mi sono trovata tutte quelle bambole
sull'armadio, una vicino all'altra. Non giochi? E lei non sapeva nemmeno come giocare con queste
bambole. Per lei era bambola il piccolo, mio figlio piccolo che lei doveva accudire. Lei doveva guardare la
nonna che era malata. A otto dieci anni doveva lavare la nonna in più lei andava a scuola preparava
colazione per lei e per piccolo. Qui a dieci anni, non penso...” Si tratta di uno stile educativo basato su una
forte responsabilizzazione dei figli, diversamente dal nostro attuale stile educativo improntato viceversa a
proteggere a tutti i costi i figli ed a preservarli da tutto ciò che rappresenta fatica sacrificio o dovere.
La differenza però tra bambini italiani ed ucraini non è comunque data tanto dal benessere, quanto dal
tipo di educazione. “Mio figlio grande lì aveva tutto. Ancora stavo bene lì, lavoravo, a lui non mancato
nulla. Però forse educazione nella famiglia è diversa. Da noi molto credenti gente molto credente, perciò
la domenica si va in chiesa, appena si siedono a mangiare si dicono le preghiere. Sono bambini più
credenti, ma proprio in casa. Prima a scuola c'era il comunismo, è in casa che sono cresciuti così.“
La donna sottolinea le profonde le differenze di mentalità con i ragazzi italiani che “sono più viziati. Però
conosco famiglie se hanno bisogno, quelli che hanno necessità, lavorano. Perciò tutto il mondo è paese. È
vero che qui sono più protetti dai genitori. Se non ho io, mia madre mi aiuta. Invece lì se io non ho, mia
madre non mi deve dare. Qui una signora anziana, dove ci sono ricoveri, si manda al ricovero. Da noi
come dovere devi guardare la tua mamma, non puoi mandare in un ricovero, è il tuo dovere. Ci sono
anche posti così, però lì troverai solo quelli che non hanno proprio parenti, ma se uno ha figlio figlia ma
anche nipote, non troverai mai che ti mandano a casa di riposo. Come se ci fosse dovere, io devo fare di
tutto. Però è anche vero che non ci sono anziani così capricciosi come qui, anche con la malattia
diventano o invecchiando diventano come bambini. Ma il benessere che fa cambiare la persona. Se uno
ha passato di peggio sa capire. Se uno non sa cosa vuol dire...”
Uno degli aspetti più utili del confronto tra diversi orizzonti culturali sta anche nel fatto che attraverso gli
occhi degli altri risaltano con maggiore limpidezza certe nostre caratteristiche altrimenti appannate dalla
lente dell'ovvietà.
Diversa la mentalità anche in tema di ospitalità e di solidarietà tra vicini di casa. “Un piccolo esempio: io
quando ho comprato questa casa ho imbiancato tutta la scala, perché da quando era quel palazzo non era
mai stata imbiancata. Mentre imbiancavo la casa, siccome abito al terzo piano ho fatto anche tutta la
scala. In questo palazzo c'era anche un'altra ragazza ucraina allora l'ho fatto assieme a lei. C'è una
famiglia italiana: non sono usciti per dire 'avete voglia almeno un caffè?'. Invece in Ucraina una persona
quello che ha in frigorifero, quello che ha in cantina, ti porta tutto, ti mette sul tavolo. Forse la gente si
apre di più, si accontentano di poco”. Dura è la critica generale alla mentalità locale sia in tema di
ospitalità che di incapacità di accontentarsi da un lato e di fare sacrifici dall'altro.
Se dovesse dare un consiglio a d una persona che vuole venire qui
direbbe che ciò che serve è “il
coraggio. Prima sistemarsi lei e dopo il resto. Però se riesci a mandare soldi e far sistemare lì, è meglio. Se
io avessi potuto lasciare i miei figli con qualcuno, avrei preferito lasciare lì, mandare i soldini far stare lì.
Perché lì anche di poco si accontentano. Qui quando hai tanto, vogliono di più. Perciò se è possibile
guadagnare qui e sistemare i suoi figli lì, è molto meglio.” Va ricordato infatti che la nostra intervistata ha
definito il suo progetto migratorio travolta da eventi che non le hanno dato molte opportunità di scelta.
Riguardo alla sua personale esperienza di migrante afferma: “io non pensavo mai di rimanere qui. Io ho
fatto sacrifici di lavorare tanto. Io pensavo sempre: 'ho tre figli ogni figlio deve avere sua casa'. Vuol dire
che io lavorando qui avevo una casa dove siamo cresciuti e nati, mi sono comprata altre due case lì.
Adesso mi trovo con tre case, i miei figli qui e un'altra casa qui. A che servivano quelle case lì? Si è vero,
non posso vendere perché chissà forse una volta vanno. Però adesso mi trovo così dopo tanti sacrifici.”
Intervista 04: K., uomo egiziano
Nato al Cairo laureato in economia commercio, pioniere dell'immigrazione in Italia, in cui arriva nel 1977,
parte con motivazioni totalmente diverse da quelle dei migranti dei recenti flussi: laureato con
formazione occidentale desidera viaggiare. “Io non avevo intenzione assoluta dell'Italia volevo andare a
studiare in Inghilterra, la mia partenza dall'Egitto perché cercavo di studiare non cercare lavoro, ho fatto
un giro col treno perché volevo vedere com'è fatta l’Europa perché studiavo, ho fatto. In Francia ho
sentito la voglia di andare a casa, quando sono tornato qua di passaggio mi hanno rubato alla stazione
centrale tutti i documenti biglietto, tutto. Questa è una storia da scrivere, questo qua è veramente
immigrato, non immigrato di oggi che è tenuto su un tappeto di sabbia, di seta, non ha più la difficoltà
che ho avuto io nel '77. allora era difficoltoso perché non ci sono tanti stranieri e si trova fatica di vivere,
di capire. Ho passato sei mesi proprio brutti brutti e poi lavorato al circo, l'unica cosa per straniero.
Andato all'ambasciata ma non avevo la possibilità di dimostrare che ero egiziano perché senza
documenti. Non c'è più comunicazione con mia famiglia. Alla fine, stringendo perché è storia lunga, mi
sono trovato qui a Vigevano. Io sono di una famiglie di costruttori di calzature e allora mi son fermato a
lavorare come modellista, perché noi là anche se studiamo andiamo alla fabbrica impariamo. Poi ho
lavorato come manovale, poi mi è piaciuto il mestiere mi sono iscritto a una scuola serale ha fatto il
geometra. Il lavoro è iniziato così.”
Giunto a Vigevano, dopo soli quindici giorni subisce un episodio di violenza ingiustificata da parte delle
forze dell'ordine. Fermato bruscamente per il controllo del permesso di soggiorno viene malmenato e
trattenuto dalla polizia. Ciò nonostante decide di restare a Vigevano: “ho trovato la gente che mi ha
accolto. Ero deciso a tornare a casa perché ero ferito. La gente, tutti sono venuti hanno riempito la
caserma fino dal maresciallo. 'Cosa ha fatto quel ragazzo? Ma è bravo, è buono, mai fatto niente'. Mi
hanno accolto in un modo, non potevo neanche immaginare. Il bene e il male sono cose che mi hanno
fatto tornare e restare con loro. Quello che poi è diventato mio suocero ha cercato in tutti i modi di farmi
permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Mi hanno aiutato tantissimo. Restare è diventata una sfida.
Ho trovato un amore di gente, ma l'amore è quello che è più forte, non è la cattiveria. Quello che ti fa
andare o quello che ti fa ritornare, è l'amore, l'amore è la cosa più importante. Affetto di persone, di
comportamento. Ero innamorato della via, di bambini di vecchi di grandi. C'era una latteria, ci si
trovavano tutti i bambini. I bambini mi accoglievano mi chiamavano, mi saltavano addosso, adesso hanno
tutti quarant'anni. Ho tante fotografie con loro quando erano bambini. Era per me la mia famiglia. Non ho
voluto andare via perché mia famiglia lì... dopo 15 giorni!”. Questo racconto riporta l'immagine di un
tempo che sembra ormai antico in cui un ragazzo solo senza aiuti trova lo spazio di un'accoglienza ,di un
affetto nella cornice di una vita di comunità legata ad una latteria, negozi ormai scomparsi persino dalla
nostra memoria. L'immagine della vita di una stradina in cui tutti si conoscono e si incontrano, che non fa
più parte del nostro stile di vita, sempre più chiuso in spazi privati.
“Ho trovato l'accoglienza ma non finisco mai dimenticare ho avuto sorella zio zia cugino mi son trovato in
via val san Martino. Infatti io dico io sono nato a Vigevano nel 1977, mi hanno aiutato. Parlando inglese
italiano, imparato così poi piano piano andato avanti. Poi la ragazza italiana che ho conosciuto, è mia
moglie adesso, abitava sopra la latteria. Ci siamo sposati avuto due bambini. “
“Quando ero qua mi son trovato veramente la gente intorno a me perché come straniero tutti quanti
parla ridiamo scherziamo con quel poco italiano che capisco io ridevo lo stesso, la battuta un po' inglese
un po' italiana. Ho trovato l'accoglienza veramente, ho fatto la famiglia, poi piano piano lavorando come
muratore ho fatto la mia impresa”
Nasce spontaneo il parallelo con la fase attuale dell'immigrazione e la riflessione sul cambiamento nel
modo di comportarsi dei migranti e nel modo di reagire degli italiani. “Adesso se va al mercato dentro ci
sono tanti stranieri in giro se guardi. Nel '77 la gente non conosceva l'Egitto, non sapevano neanche cos'è
il medio oriente, allora mi prendevano come calabrese. Hanno iniziato a capire quando piano piano
iniziato a parlare. Se lei va al mercato adesso vede specialmente la donna che non lavora cammina coi
bambini, la gente li guarda..., non ha proprio sospetto ma... sono vestiti arabi, li guardano come una
persona estranea. Non trovano accoglienza perché quando sono venuti, sono tanti. Se io vengo trovo il
paesano, trovo il cugino stanno insieme, non riescono più a integrarsi. Però quando da solo, non si integra
lo stesso perché non c'è più l'accoglienza di una volta, non c'è più la vicinanza tra uno e l'altro, poi
specialmente dopo il 2001 è peggiorata la situazione per stranieri.” Essere in tanti presenta il vantaggio di
avere una rete di sostegno di connazionali la consolazione di parlare la propria lingua di mantenere talune
abitudini, tuttavia non stimola l'immigrato ad aprirsi allo stile di vita locale.
“Il tappetino di sabbia che hanno trovato è la parentela. Quando uno viene trova il suo parente, non va
più a cercare, come ho cercato io lavoro. Viene qua ospite da amico o parente finchè l'amico il parente
trova il lavoro per lui. È diverso io ho trovato fatica di lavorare non parlando la lingua. Adesso uno parla
arabo io traduco per farlo lavorare, è questo il tappeto che hanno trovato. Hanno trovato la piazza
pronta. Così come quando i meridionali sono emigrati in Germania se uno va trova la zona napoletana è
così per quanto riguarda i migranti.” Le comunità immigrate cresciute in numero danno sostegno ai nuovi
arrivati anche nella ricerca di lavoro e nell'affrontare tutte le difficoltà dei primi tempi, ma gli
impediscono di mischiarsi di avvicinarsi alla lingua ed allo stile di vita autoctono.
La sua posizione e l'esperienza della sua lunga storia di emigrazione lo hanno abituato a riflettere con
sguardo molto acuto su dinamiche e cambiamenti nel fenomeno: “io siccome sono responsabile del
centro culturale islamico, lo vedo quando li vedo camminare tre quattro ragazzi egiziani insieme dello
stesso paese, donne tutte insieme e maschi tutti insieme, ma non trovi una donna italiana con una
straniera magari un uomo con un uomo in senso di amicizia. Ci siamo i vecchi, ma ormai i vecchi sono
tagliati fuori, ognuno ha trovato il suo lavoro, sa dove andare ma non c'è l'incontro con italiani perché
non c'è bisogno. Però chi ha bisogno non ha la parola per chiedere e rimane dentro il suo guscio col suo
paesano fino a che non trova per lui il lavoro”. Il rischio è che col consolidarsi di queste dinamiche si
verifichi un vero e proprio incapsulamento delle comunità immigrate rendendo le relazioni con la
comunità autoctona potenzialmente sempre più problematiche.
Questa attitudine a ritrovarsi solo tra loro contrasta col suo carattere espansivo vivace aperto. “Per
incontrare, si trovano tutti quanti ai giardini donne, magari con i bambini si mettono lì sedute lì. Anche
perché loro non entrano in caffè. Io vado in tutti i caffè mi conoscono, perché vado in caffè, faccio così
come l'uccellino, vado bevo caffè magari chiacchiero con qualcuno. Loro quando vanno a pregare si
trovano chiacchierano di loro affari di loro storie. Entrano nei caffè ma in gruppi, magari si trovano con
qualche padrone di lavoro. Però se entrano in caffè non trovano libertà di parlare perché loro parlano
arabo. Però io sono abituato quando parlo con loro, parlo mezzo arabo e mezzo italiano. E poi quando
vedo qualcuno che cammina e parla italiano, parlo subito tutto in italiano, per dare sicurezza a chi
cammina. C'è diffidenza. Se io parlo arabo, magari c'è chi dice 'guarda questo parla arabo ma che dice'.
Voglio dare la sicurezza per la sua lingua. Io ho abituato loro così. Quando uno cammina non parlate
arabo cercate di parlare italiano, anche se un po' storto, però la gente capisce, voi parlate italiano però
siete tranquilli. Tu guarda due persone camminano (parlando arabo) la gente si ritirano anche se sono
tranquilli (quelli che parlano arabo) Loro sono più spaventati loro di voi. Perché sono io ospite. Mi sento
spaventato ….come entrato nella casa di ladri. È un po un problema. Non so come.”
Le profonde differenze tra la sua storia e quella della maggior parte della comunità egiziana immigrata lo
pongono in una posizione quasi appartata rispetto ad essi.“Io veramente vengo dal Cairo e tutte queste
persone qua vengono da una provincia fuori dal Cairo circa 80 chilometri, campagna, vengono da un'altra
città. Son tutti di là. Se chiedi Sharkia, tutti a Vigevano sono di là, proprio il paese si è spostato qua. Noi
del Cairo siamo cinque o sei.” Effettivamente la maggioranza della comunità immigrata di egiziani a
Vigevano proviene dal governatorato di Sharkia (Sharqiyya), piccola regione del basso Egitto a vocazione
agricola. A parte il suo ruolo di responsabile del Centro islamico il nostro intervistato non ha grosse
relazioni con queste famiglie giunte con le ultime ondate migratorie. “Loro sono attaccati tra di loro, noi
non abbiamo il tempo. Loro abitudini non combaciano con nostre abitudini perché sono abitudini del
medio oriente. Con loro non riesco a comunicare in italiano, anche in moschea parlo un po' arabo, poi
certe volte scatta l'italiano perché certe cose non riesco a spiegarle in arabo, la mentalità traduci la parola
italiana in arabo però certe volte sbaglia perché la parola italiana tradotta in arabo è diversa dentro al
discorso cambia il significato. Solo con due famiglie di connazionali ha stretto relazioni più intime:
“Famiglie due ci vediamo a casa nostra a casa loro parliamo italiano, inseriti del Cairo parlano italiano,
parliamo italiano insieme.”
Durante il racconto delle sue vicende personali il nostro intervistato ci espone le sue riflessioni personali
sull'idea di accoglienza e integrazione. “Sono venuto qua nel 77, ero la prima persona qua straniero,
veramente, ti dico la verità non ho proprio sentito assolutamente di essere straniero perché sono stato
accolto, differenza di quelli di oggi. Qua parlano sempre dell'accoglienza o parlano dell'integrazione.
Integrazione non significa lo straniero si deve integrare dentro, è l'italiano che integra dentro lo straniero
Come lei mi ha incontrato con un cuore, io sento sicurezza verso di lei, però se mi guarda male io non ho
più sicurezza di lei e mi spavento io, perché lei è proprietaria. Come straniero non sai niente, non sai la
lingua, non sai parlare, non sai esprimerti, allora ti senti un po' spaventato. Se lei non si avvicinava a lui,
lui non viene mai vicino a lei, questo lo garantisco. Questo parlando di persona per bene: è diverso di
delinquenti, io parlo di persone che si vogliono inserire. Secondo me l'integrazione deve essere
l'incontrario: non è l'immigrato che deve integrarsi, è l'italiano che deve integrare. Purtroppo l'italiano si
spaventa del colore marrone o della barba e si allontana. Ma se lei è il padrone di casa deve invitare un
caffè, deve invitare magari un saluto, diventa più facile, io parlo con lei, o sbaglio? Però se io entro da lei
dico buongiorno e lei si spaventa senza neanche sapere cosa volevo dirgli... io sempre ho lottato per la
parola integrazione“. Dagli esempi riportati emerge chiaramente la dinamica della diffidenza e
dell'avvicinamento tra chi ospita e chi è ospitato che si percepiscono reciprocamente come diversi.
Ci racconta la nascita e l'evoluzione del centro islamico di cui è stato uno dei fondatori. “ Io sono rimasto
per 5-6 anni da solo qua non c'era ancora l'immigrazione. Immigrazione mondiale è iniziata dal '90.
Quando abbiamo fatto noi la moschea '86 pregavano tre persone, cinque al massimo, non c'era più
nessuno. Il centro islamico abbiamo costruito nel 1995 però era prima un posto chiuso come un garage.
Abbiamo trovato un posto in via mulini tranquillamente. Abbiamo avuto problemi dopo l'11 settembre
son tutti 'ah gli immigrati gli stranieri i mussulmani'. E poi avevamo cercato la possibilità di avere un posto
più largo, perché la comunità aumenta, il posto diventa più stretto. Abbiamo lottato lottiamo ancora per
avere un posto più ampio, almeno mi danno la possibilità di fare qualcosa di più. Noi facciamo solo
preghiera da noi non abbiamo la possibilità di mettere un tavolo i bambini imparano un po' di corano.
Anche i bambini qua deve insegnare qualcosa della sua religione cos'è rispetto per l'altro perché la
religione non è solo il corano. Il corano come il vangelo come la bibbia tutti insegnano il rispetto per
l'altro. È un dio uno insegnato a tutti, una lingua o un'altra insegna la stessa cosa. Il corano insegna il
rispetto per l'altro.” Come in altre interviste, la religione è tenuta in una considerazione altissima non
tanto e non solo per l'aspetto fideistico in sé o per l'identificazione con un orizzonte di riferimenti
culturali, quanto per i valori e le regole morali da applicare alle relazioni interpersonali.
Nel rispetto dello spirito universalistico dell'Islam hanno deciso di organizzare un centro per tutti gli
islamici senza dividersi per provenienze nazionali: “centro islamico per tutti, tunisini marocchini anche
dal Senegal Costa d'avorio. Vengono specialmente il venerdì, perché il venerdì è di preghiera. Lo spazio è
piccolo, ma siccome abbiamo l'interno e anche il cortile in affitto. Noi facciamo la preghiera da
mezzogiorno e mezzo all'una veloce veloce perché tutti tornano a lavorare. Noi preghiamo 5 volte al
giorno.” Chi lavora fuori Vigevano va a pregare nel paese dove lavora se ha la possibilità e così chi lavora a
Vigevano ma è di fuori viene al centro Islamico qua.
Il centro islamico è anche il luogo dove si esplicano talune azioni di mutuo soccorso nella comunità per far
fronte all'attuale situazione di crisi che mette molte famiglie in difficoltà. “Poi facciamo un'accoglienza: le
offerte una volta a settimana facciamo una borsa di spesa e consegnammo a ragazzi che non lavorano e
famiglie bisognose. Giustamente non vanno alla Caritas, si vergognano, stanno a casa. Noi giriamo con la
macchina, sappiamo la famiglia senza marito o magari il marito si vergognava di chiedere. Non c'è lavoro,
sono aumentati i bisognosi anche da noi. E poi magari c'è chi prende e se ne va a casa (in Egitto), chi ha i
documenti a posto e può andare e tornare al momento giusto, però chi non ha la possibilità di tornare a
casa rimane sempre qui. Magari il marito fa andare la moglie coi bambini giù poi rimane da solo qua. Se la
cava con qualsiasi cosa poi spedisce i soldi qua. O magari se proprio si trova alle strette, non si trova
niente, se ne va a casa senza perdere tempo.” La crisi trasforma le strategie migratorie e costringe
famiglie da poco ricongiunte a spezzarsi nuovamente.
“C'è il problema non c'è lavoro, se non c'è per gli italiani figurati per loro. Quando ci sono quelli vecchi
quelli che hanno il permesso anche la famiglia quando c'è difficoltà non riesce ad andare avanti li faccio
andare a casa. Perché un uomo con tre bambini non riesce a vivere insieme. Allora fa andare la famiglia a
casa e poi spedisce i soldi. Almeno hanno loro casa là possono vivere anche con poco. Sono tanti. Le
donne qui non lavorano. Mi dicevano: 'voi non fate lavorare le donne'. Non è vero, dammi un lavoro
dignitoso e le facciamo lavorare. Però non c'è lavoro.”
Nella sua esperienza di emigrazione date le numerose sfide che ha dovuto affrontare non si è mai sentito
di consigliare qualcuno di venire qui, tantomeno ora in un momento di crisi del mercato del lavoro. “Io
dico non venire. Non c'è lavoro. Io dopo quattro anni che sono stato qua, 4 anni senza comunicazioni con
la mia famiglia, quando sono andato giù mi chiedevano come si sta: non posso garantire. Prima era facile
fare permesso fare il visto, adesso è difficile. Il lavoro c'è ma è questione di fortuna. Mai consigliato
neanche ai miei fratelli, trovi difficoltà anche di lingua.”
Anche il nostro intervistato sta attraversando un momento di grave crisi sul lavoro che lo ha costretto a
rimettere in discussione la sua posizione. “Sono tornato ieri dal Cairo ho fatto 20 giorni. Quando vengo io
ci troviamo in casa nostra tre piani uno, ciascuno ha il suo appartamento. Famiglia tipo siciliana (ride).
Siccome c'è crisi. Sono fermo da un po' di tempo. Dopo 35 anni di lavoro mi trovo una crisi enorme
enorme da 8 mesi non sto lavorando. Allora una fatica il lavoro. Allora ho cercato la possibilità di qualche
altra cosa al Cairo.”
Avere un legame stretto con due luoghi offre maggiori opportunità per affrontare le difficoltà del
presente. “Io mi considero italiano perché dico la verità mi sento più italiano che egiziano perché da 35
anni qua. Da casa mia 25 anni quindi sono 10 anni di più. Io mi sento più italiano che egiziano. Però la
fortuna ho due nazioni se ho difficoltà di qua vado di là. Il vantaggio è questo. Però vedo una crisi sia per
grandi che per giovani in generale, non parlo di giovani immigrati, di giovani in generale. C'è problema c'è
fatica di trovare lavoro. Non so quanto possiamo tirare avanti. Allora sono andato a vedere com'è, un giro
per vedere la situazione com'è. Però io giustamente arrivato ad un'età. Non posso lavorare sotto padrone
prima di tutto. Non lo so se si spaventano perché io sono impresa conosciuta ma non c'è l'offerta. Tra di
noi anche si sfruttano cercano di sfruttare l'occasione di manca il lavoro allora sfruttano. Io dico la verità
non mi piace essere sfruttato. Perché sono preciso il mio lavoro. Voglio prima io soddisfarmi perché mi
piace il mio lavoro, amo il mio lavoro. Mi diverto, non vado a lavorare, mi diverto. Se una cosa è brutta
devi farla bene perché mi piace la cosa fatta bene. Poi costa poco costa tanto devi farla bene. Quando
vado a lavorare bene come piace a me non viene pagato come si deve, prendo i soldi. Allora non mi trovi
possibilità di lavorare. Altri con poco vanno a lavorare per vivere, anche sfruttati e senza essere in regola.
Poi vanno perché piuttosto che stare a casa. Ma a me chi mi chiede di farlo, mi conoscono tutti ma si
vergognano: 'magari vieni a lavorare per poco', non mi offrono. Allora io mi trovo in crisi ma crisi forte. Io
passo il tempo dopo 35 anni di lavoro conosciutissimo. Mi conoscono tanti. Però non trovare il lavoro mi
crea problema, non dico psicologicamente, io mi fido di Dio, se la difficoltà c'è devo uscire da qualche
parte.”
“Mia moglie lavora in ufficio commercialista. Ma prima non lavorava adesso ha trovato lavoro ma
giustamente per tirare avanti la famiglia lavora lei adesso. Io vado a cercare qualche parte ma è difficile.
Adesso con la situazione di oggi non si può permettere di stare a casa, se c'è l'occasione si va a lavorare.
Lei lavorava prima, quando ci siamo conosciuti che era appena diplomata e poi quando abbiamo avuto il
primo figlio è stata a casa per maternità poi è stata licenziata. Poi abbiamo avuto l'altro figlio. Poi qualche
commercialista le faceva fare 740, capitato uno studio commercialista per sei otto mesi, idem l'altro.”
Come in altri casi, anche qui la moglie prima casalinga si fa carico della famiglia. La differenza col caso
dell'intervista 7, che vedremo in seguito, è che mentre quella famiglia, precedentemente alla crisi, era
una famiglia tradizionale in cui la moglie non aveva mai lavorato né studiato, nel caso del nostro
intervistato, si tratta di una coppia mista in cui la moglie italiana aveva studiato ed aveva già lavorato in
precedenza. Quindi date queste premesse risulta minore lo choc della nuova situazione rispetto al
proprio contesto culturale. Resta il malessere, appena sottinteso dall'intervistato, per il cambiamento di
status e di ruolo dentro e fuori la famiglia. Piuttosto che crogiolarsi in sentimenti di autocommiserazione,
preferisce glissare sull'argomento, presentandosi viceversa nella sua veste migliore, aperto ottimista
pronto a rimettersi costantemente in gioco. “A me piace ridere sempre. Chi mi vede all'inizio dice ma K.
non hai problemi? Io problemi ce li ho, però a me piace stare tra la gente con un bel sorriso, poi sempre la
battuta. A me piace ridere, parlare con la gente scherzare. Non sono l'uomo che fa il muso. Al mattino
prendo un caffè al bar anche se faccio colazione a casa però io caffè devo prendere per forza,
obbligatorio. Magari si trova una persona chiacchiera il lavoro c'è non c'è.”
“La cosa più bella devo ringraziare iddio di due cose una buona donna e buoni figli, poi i soldi la salute è di
dio. Però i soldi non ci interessano. Se hai figli e moglie che aiuta il marito a tenere tutta la situazione: è
un capitale enorme. Avere figli per bene è un capitale che non finisce più. Sono tutti sportivi, sono
abituati a lavorare con me, grazie a Dio gli ho insegnato bene anche il corano, l'educazione. Io non ho
lavoro, non ho soldi, però ho buoni ragazzi. Perché potevo anche avere tantissimi miliardi però i ragazzi ti
mangiano tutto. Sempre ringrazio iddio quando prego ho avuto una buona famiglia e questa è la cosa
migliore.”
“Il grande ha trovato un lavoro. Personal trainer a Milano perché è laureato a scienze motorie alla
Cattolica. Uno 25 anni uno 21 anni primo anno tecnico di radiologia. Non sono sistemati ma è difficile.”
Ai figli ha cercato di insegnare oltre al corano anche la sua lingua d'origine. “Qualcosa di arabo, se la
cavano. Il grande gioca a calcio e poi mandato in Egitto a fare un po' di provini lì da solo. Lui parla arabo,
quando viene qua chiude il rubinetto arabo. Se la cava a capire a spiegare. Come quando dico a uno
immigrato: 'parla, un po’ scarso però ti capiscono lo stesso'. Però se tu non parli proprio rimani così.”
Forte è il riconoscimento dell'importanza di conoscere la lingua d'origine per le nuove generazioni ma
altrettanto forte il suo sentimento di responsabilità nei confronti dei connazionali, che sprona
costantemente ad imparare la lingua come chiave per avvicinarsi di più e lasciarsi conoscere meglio dalla
comunità locale.
“All'inizio quando erano bambini spiegavo qualcosa in arabo poi piano piano, con la pigrizia mia, la fatica
di lavoro, non c'era neanche il tempo di parlare e si parla italiano. Questo è sbagliato anche perché la
moglie è italiana parla anche lei con i miei, dice le cose necessarie. Discorsi, no si tira indietro, parla tu.
Parliamo un po' italiano quando mia moglie va al mercato qualche donna la conosce si ferma e
chiacchiera un po' ma in italiano.”
I suoi figli sono cresciuti insieme ai ragazzi italiani e con essi hanno stretto e loro amicizie. “Solo italiani
perché loro sono più vecchi, non abbiamo nessun egiziano della loro età. Si sentono più italiani che altro.”
l'identificazione con i luoghi dove sono nati e cresciuti è molto forte come si evince dai suoi racconti.
“Noi abitavamo al Cairo in centro: un casino, il traffico, con la macchina devi fare zig zag. Loro hanno
imparato qui a Vigevano. Il primo va a lavorare a Milano però non gli piace Milano, c'è traffico. Piace
questa città qua perché è piccola è tranquilla non c'è confusione. Se escono fuori Vigevano sono pesci
fuor d'acqua. A me piace tutto, quando vado in Egitto divento egiziano subito.”
“Dal mio inizio abituato come un qualsiasi immigrato, poi piano piano io sono abituato qua, io sono nato
qua perché imparato qua , dimenticato tutto quello che ho imparato in arabo, il cervello è tutto italiano, i
pensieri tutto quanto italiano, movimento italiano, vestiti italiano. Quando vado a casa mia, non mi
vedono egiziano, faccio fatica di là... trovo fatica coi miei paesani perché mi vedono come italiano.”
Come dicevamo la sua posizione all'interno della comunità è di spicco relativamente al suo ruolo
istituzionale ma è una posizione a parte, quasi defilata, per le differenze di atteggiamento, di mentalità, di
stile di vita, di provenienza geografica. Con i suoi connazionali la relazione è complessa e contraddittoria.
“Sono di uno stesso paese e tutti quanti accorpati tra loro, si trovano tra di loro il sabato o la domenica. Io
sono staccato. Anche ora io trovo fatica coi miei paesani perché mi guardano come un italiano. Perché se
qualcuno mi chiede un problema con un italiano, un ebreo, un egiziano un mussulmano, se hai sbagliato
dico hai sbagliato. O sei ebreo o sei cattolico. Se uno dice ho avuto un problema con questo, se è
sbagliato lo faccio pagare se è giusto ti faccio avere tuo diritto. Per questo mi tiro un po' fuori. Sostengo il
giusto, io non riesco a sostenere se è falso. Se hai ragione ti do la ragione, se hai sbagliato devi pagare.
Questo è il mio principio. Dicono io sono tuo paesano, sono tuo fratello. Io dico sempre se mio fratello
sbaglia con qualcuno io dico hai sbagliato, anche se è mio fratello. Così è giusto. Così ha detto Dio.” Non
accetta la logica corporativa con cui si muovono i suoi connazionali né le rigide contrapposizioni tra
gruppi diversi, essendo egli stesso al confine tra due culture che convivono armoniosamente nella sua
vita.
“Io sono responsabile del centro culturale non posso fidarmi del mio paesano, egiziano ma non è della
mia città nemmeno mio vicino di casa in Egitto, per cui non puoi capirlo, non posso capire la sua
mentalità, si è mussulmano, ma i mussulmani non sono tutti uguali, come i cattolici. Non posso dire gli
italiani sono tutti mafiosi, come ti dicono tutti. Ma nemmeno egiziani. Ma non ti puoi fidare: questo è mio
paesano è bravo. Se non conosco non posso difendere nessuno. Dicono ma è mussulmano: ma i
mussulmani sbagliano, anche loro. Devo essere sicuro di che mentalità ha. Non posso dire i mussulmani
sono tutti buoni, questo non posso dirlo. Io posso garantire quelli che vengono a pregare sono gente per
bene. Chi prega, chi pratica, ha più conoscenza degli sbagli che fa. Chi non pratica, non pensa gli sbagli
che fa. Grazie a dio qua a Vigevano non è mai successo niente di grave. Una comunità tranquillissima città
tranquilla. Incidenti tra egiziani e egiziani litigano vengono carabinieri o polizia trovano loro che litigano,
però a livello sicurezza, mai successo niente. Noi controlliamo. Come responsabili ci siamo io egiziano poi
un marocchino e un tunisino, l'abbiamo creata tutti insieme per non fare centro mussulmano egiziano,
uno marocchino etc. noi abbiamo cumulato. Se c'è qualche testa diversa li controlliamo noi. Abbiamo
voluto fare un centro culturale insieme che accoglie tutti.” La religione dà i valori di riferimento che un
individuo applica nella sua vita sociale, raggruppa le persone offrendo luoghi e occasioni d'incontro e
permette di attivare dei meccanismi di controllo sociale preziosi per una pacifica convivenza civile.
Grazie a questo intervistato, sia nelle vesti di responsabile del centro islamico che come pioniere
dell'emigrazione, abbiamo un ottimo punto di vista che ci ha consentito con racconti e riflessioni
personali di ricostruire una panoramica sulla situazione, non solo delle famiglie egiziane ma in parte
anche di quelle nordafricane.
Intervista 05: F., donna rumena
La storia di F. è la fortunata storia di una migrazione al femminile e di un matrimonio misto. Trentasei
anni, laureata in scienze economiche, in Romania aveva lavorato come modella, con contratti all'estero, e
come insegnante e docente di religione. Era abituata alla vita all'estero perché tutte le estati andava dagli
zii in Austria.
Nel 2004 giunge a Milano con un contratto da modella e prima di ripartire va a trovare una sua amica che
vive a Vigevano. Proprio in quei giorni viene a conoscenza di un lavoro come cameriera in un bar, e si
ferma a Vigevano a lavorare. Conosce l'attuale marito, che ha una concessionaria d'auto, e molto
rapidamente decidono di sposarsi. Da questa unione nascono due figli di 4 e 2 anni.
Dopo la maternità è risultata idonea ad un concorso per lavorare al nido. Collabora part time come
mediatrice culturale nelle scuole. Frequenta un corso per tages-mutter e vorrebbe lavorare in un nido o
aprirne uno suo.
In questa storia emerge come i figli siano un veicolo di socializzazione per i loro genitori ed in particolare
per le mamme: è il fatto di avere i figli nella stessa classe o nella stessa scuola l'innesco che permette di
intessere delle relazioni, che possono restare superficiali o approfondirsi nel tempo. F. ci racconta delle
buone relazioni con le altre mamme con cui a volte si intrattiene per due chiacchiere o per un caffè al bar.
“Sì siamo in tante ci conosciamo, è un gruppo” di mamme. In particolare ha due amiche con cui si
scambiano reciprocamente dei favori, tipo andare a prendere o andare ad accompagnare i bambini:“per
lasciare i bambini devi fidarti delle persone”. Le sue due amiche sono una rumena e una italiana il cui
figlio è alla materna col suo.
La sua perfetta integrazione è dimostrata dal fatto che l'anno scorso faceva la rappresentante di classe
nella scuola dell'infanzia di suo figlio. Quest'anno non ha voluto perché il bambino si ammalava spesso:
“non riuscivo a far fronte a tutto”.
La sua settimana è molto piena: accompagna i figli due volte la settimana in piscina e ad un corso di
psicomotricità, tre volte la settimana alla sera ha il corso di tages-mutter ed a volte anche al sabato tutto
il giorno. Per permetterle di frequentare il corso, il marito, la suocera, oppure le amiche si alternano per
tenere i suoi bimbi.
Al fine settimana vanno al mare, oppure al castello sforzesco o nei parchi immersi nella natura ad
esempio vicino al Ticino: “ci sono i posti dove fare pic-nic. Per loro è bello perché per esempio in autunno
c'è questa foresta e gli alberi cambiano colore delle foglie loro sono affascinati, ci sono i funghi, c'è il
Ticino”.
È cristiana ortodossa ma ha deciso di battezzare i figli con rito cattolico: “dato che ho sposato un ragazzo
italiano, che vivo in un paese dove siete cattolici, mi sembra giusto allinearmi alle leggi alle norme, alla
cultura. Loro frequentano una scuola italiana, li ho battezzati cattolici, anche io non sono cattolica però,
ho parlato con un prete: voglio fare il corso per battezzarmi. Perché non sono mai stata una praticante
ortodossa, più quando ho fatto l'università, per forza, essendo come seconda preparazione maestra di
religione dovevo andare tutte le sere un'ora in chiesa”. La decisione di battezzarsi col rito cattolico
discende anche dal progetto di sposarsi con rito cattolico, visto che per ora sono sposati solo civilmente:
“noi vogliamo sposarci in chiesa”. Va segnalato un altro elemento che ci dimostra la quasi completa
inclusione sociale della nostra intervistata e cioè l'uso del lessico tipico della mentalità italiana
contemporanea, che ammette l'uso dell'espressione “ragazzo “ o “ragazza” per denominare una persona
adulta. Molto interessante anche l'atteggiamento della donna riguardo alla strategia del buon
adattamento che prevede non soltanto il rispetto per le regole del luogo ma arriva fino all'adesione ai
modelli culturali e alla religione dominante.
Il bilancio della sua storia di emigrazione è positivo e lo è anche quello del rapporto con le persone che ha
conosciuto qui: “io mi sono sempre sentita bene qua, sempre molto ben accolta, sempre mi hanno messo
a mio agio, anzi, tutte le persone che incontravo, molto molto gentili con me, volevano sempre sentire
com'è in Romania, com'è con Ceausescu con la dittatura, che lavoro facevo, poi tutti affascinati se dicevo
che facevo la modella. Come si vive, cosa mangiamo, la tradizione, la cultura. È molto bello fare questo
scambio culturale....” Racconta in modo piacevole la sua permanenza in Italia, racconta di aver sentito
una curiosità verso il suo paese forse innescata anche dal fascino di una giovane bella donna e dall'appeal
del suo lavoro di modella come spiega lei stessa.
La sua fortunata esperienza di emigrazione la porta a considerazioni ottimistiche sulla capacità di
accoglienza della società italiana: “Se una persona è seria, fa la brava, lavora, nessuno la guarda male. Io
l'ho visto sulla propria pelle, qua non c'è razzismo. Almeno con chi fa il bravo “
Ciò nonostante c'è una faccia dell'emigrazione che lascia segni dolorosi anche in chi non ha dovuto
affrontare grossi sacrifici. “Però è anche molto dura separarti dai tuoi familiari... Non lo so, io spero che i
miei figli da grandi non si separino da me. E' una cosa strana perché mi sono abituata, però non lo
consiglierei a nessuno. Sì di fare le visite all'estero sì, io sono sempre stata una che è sempre andata in
giro, mi piace viaggiare. Ma (emigrando) comunque soffri... Soffri te, e fai soffrire gli altri. Io la penso così,
pur essendomi sempre trovata bene. Probabilmente mi sono trovata troppo bene per mettermi insieme a
un ragazzo, sposarmi, prendere una decisione”.
Nonostante la sua situazione invidiabile, nonostante nella sua particolare storia non ci siano stati grossi
momenti di difficoltà, questa donna sente intensamente il dolore della lontananza e della separazione
che è intrinseco in qualsiasi storia di migrazione. Ricorda che, quando ha conosciuto suo marito, era sul
punto di partire. Aveva già fatto il biglietto di sola andata per la Romania, ma questo incontro l'ha decisa
ad acquistare anche il biglietto di ritorno.
La donna afferma che prima di avere i figli e una sua famiglia qua, sentiva ancor di più la mancanza della
sua famiglia e di quello che aveva lasciato là. Inoltre da sposata, avendo una casa più comoda, può
ospitarle i suoi familiari che vengono più spesso a trovarla.
Il marito si è detto ben disposto ad andare eventualmente a vivere in Romania: “ a volte mi dice: 'ma
perché non andiamo a vivere in Romania?', lui sarebbe disposto a cambiare. Però ho detto: 'abbiamo
bambini, prendiamo una decisione per sempre'. Perché adesso sono alla materna, però quando
cominceranno la scuola, loro devono avere comunque una stabilità.” L'arrivo dei figli ribalta le tutte le
decisioni e le prospettive: se da single o in coppia si può decidere con maggiore semplicità del proprio
futuro, i bambini complicano le scelte specialmente riguardo alla lingua ed all'inserimento scolastico e
sociale. Per il momento la donna ci racconta di non aver insegnato neanche una parola di rumeno ai suoi
figli.
La nostra intervistata mantiene la consapevolezza del fatto che le prospettive non sono rosee per tutti
coloro che emigrano in particolare per le donne: “mia sorella una volta mi ha chiesto se veniva in Italia, se
aveva un lavoro, se aveva un futuro, se poteva fare qualcosa.” Sua sorella fa' la commessa e studia
all'università, e lei le ha sconsigliato di venire: “ se vieni qua, forse troverai. Però cosa puoi fare: fare le
pulizie, fare la badante... non è brutto... però poi, se vuoi avere una famiglia, la badante deve stare in
casa, non puoi. Se hai i figli, sei da solo, non hai i genitori, zii, cugini, non puoi avere un lavoro dalla
mattina alla sera, perché non hai nessuno. Anche se li porti al nido, a scuola, alle quattro, massimo alle sei
finiscono. Se vai (a lavorare) al supermercato non finisci alle sei di lavorare, di solito i supermercati
lavorano sabato e domenica. Anche negozi a volte sabato e domenica, in centro storico lavorano, come
fai? Non puoi farlo.”
Ancora meno invidiabile la situazione di chi è emigrato lasciando i figli là: “comunque non ti trovi bene,
perché c'è il figlio che pensi sempre. Io vedo famiglie di rumeni continuano a piangere. Quanto mi manca
mio figlio, adesso se era con me gli davo la caramella. Io non riesco a capire come riescono a stare senza i
figli...”
Sente l'importanza del suo lavoro di mediatrice sotto il profilo umano più ancora che sotto quello
dell'alfabetizzazione e del supporto allo studio. Dalle sue parole si intuisce una grande dedizione a questo
lavoro e un'attenzione particolare alla relazione con i ragazzi che segue: “E lei diceva 'meno male che
viene lei, perché per queste due ore non sono lì che mi guardano tutti, che mi sento molto a disagio.”; “li
ascolto, poi li vedo sollevati che vanno nella classe, perché mi raccontano. 'la maestra secondo te cosa mi
ha detto, secondo te perché mi guardano così i compagni, ma secondo te cosa devo dirgli'. Poi li vedo che
stanno bene.” Alcuni bambini le raccontano le loro pene di figli di genitori separati e lei, che a volte dopo
le ore di lezione si trattiene a lungo a parlare con loro, aggiunge: “non potevo non ascoltarli”.
Intervista 06: L. Donna Albanese
Giunge in Italia per ricongiungersi al marito che lavorava nell'edilizia, lasciando alla cura dei nonni i due
figli. In seguito all'espulsione del marito, di cui durante l'intervista pudicamente quasi tace, resta sola in
Italia per due lunghi e dolorosi anni, in cui predispone tutto per riunire tutta la famiglia in Italia. La figlia
oggi ha 14 anni e frequenta la I ragioneria e il figlio ha 12 anni e frequenta la I media.
La donna ci racconta dei suoi primi tempi in Italia: “non è semplice all'inizio, ci sono tanti sacrifici, arrivi
qua, non hai lavoro. Arrivi qua, non hai una casa. Arrivi qua con una valigia e devi affrontare ogni
sacrificio. Io ho avuto l'aiuto di mio fratello quando sono arrivata all'inizio, poi c'era mio marito che
lavorava un po'. Sennò cosa facevo... All'inizio è stata dura, però grazie a Dio dopo due, tre mesi ho
trovato lavoro.”
Le motivazioni della sua partenza, come nella maggior parte dei casi, sono di carattere strettamente
economico: “qui lavoro tutto il giorno, perché là non avevo lavoro e ciò che faccio qua, là non potevo
fare, se non mi aiutavano i genitori. Invece qua, ciò che ho voluto fare l'abbiamo fatto. Là non avevo
lavoro, facevo una due ore al giorno, quindi per me qua la vita è cominciata proprio... Mi son sentita
bene, anche se non avevo dietro i miei figli. Però siccome ho cominciato lavoro subito per me è stata una
grande gioia. Forse anche per quello ho sopportato tutti gli anni perché ho pensato: 'com'ero là non
avevo lavoro”. Essere in grado di lavorare e di sostenere decorosamente la propria famiglia, non significa
solo dare risposte a bisogni materiali, ma è una condizione intrisa di sentimenti, di valori e di significati
che lascia affermare che la vita ha inizio iniziando a lavorare, affermazione che lascia intravedere una
precedente situazione di pura sopravvivenza.
Ma nonostante la gioia del poter lavorare, la donna ha dovuto affrontare il sacrificio più grosso, la
separazione dai figli: “solo perché mi sono trovata bene (in Italia) e mi hanno accolto, mi sono sentita
amata da tutti, quindi sono andata avanti, andavo 2-3 volte all'anno (in Albania), li vedevo (i figli). Mi sono
trovata bene dall'inizio (in Italia) anche se soffrivo, piangevo. Perché sei anni sono sei anni. Li ho lasciati,
due anni il piccolo e poi l'ho rivisto dopo due anni, tutti e due. Per tutta la vita non mi dimentico, anche se
dico: sì passano. Dentro di me quegli anni non mi passeranno mai. Anche perché adesso mi danno
veramente una gioia... Però quando mi viene in mente... Non riuscivo a dormire, li vedevo nei sogni.
Oddio come stanno, li chiamavo. Ma sì i miei genitori i miei suoceri, loro li hanno cresciuti. È andata così,
però con difficoltà, per me la vita è cominciata qua con la famiglia, perché là senza aiuto non potevi”. Se il
lavoro dà la gioia del potercela fare, la vera vita comincia solo con l'arrivo dei figli.
In questo frangente doloroso la donna non ha potuto valersi della solidarietà di chi vive una condizione
comune: “su quelli che noi conosciamo sono stata solo io a lasciare i figli là. È stato un periodo brutto
quando è cominciata la scuola. La gioia di portarli il primo giorno, non l'ho potuta avere... e poi vedevo le
mie amiche che li portavano, che hanno la stessa età....(parla sull'orlo del pianto). La gioia di un genitore
è portare i figli il primo giorno a scuola e la lontananza per me è stata dura quando cominciava la scuola
ogni anno, per me era... mi alzavo stavo là a guardare tutti i bambini. Iddio è grande in qualche modo mi
ha dato la forza per andare avanti. Perché ogni giorno dicevo: 'adesso vado, non ce la faccio più'”
Quando finalmente quattro anni fa' tutto è pronto per il ricongiungimento, alle aspettative positive si
affiancano le preoccupazioni: “(i figli) si son trovati subito bene. Perché io ero in ansia, ho detto: la lingua
non la sanno. Però in due, tre mesi loro sono trovati proprio benissimo, la lingua e tutto quanto. Poi il
comune mandava la maestra che li aiutava. Sono felici, sono stati felici dal primo giorno che sono venuti
qua… Perché io ero sempre in ansia: oddio sei anni che non vivono con me! Invece sono stati bene”. I
primi giorni, quando andava a lavorare, la vicina di casa ogni tanto andava a vedere se i suoi figli avessero
bisogno di qualcosa.
L'arrivo dei figli ha ridato vita alla sua quotidianità: “per me è stato come un inizio. Andavo a lavorare,
tornavo: 'Oddio vado a casa, ho la casa piena.' Quando non c'erano loro io ero distrutta. Tornavo a casa e
dicevo: che faccio a casa?... avevo mio marito però...”
Da 10 anni lavora dalla stessa famiglia come colf, dove l'hanno messa in regola: “mi son trovata con delle
brave persone qua in Italia che son tutt'ora che lavoro da loro, 10 anni. Da quando sono arrivata, sempre
da loro. Mi hanno raccolta proprio come una figlia, per me sono una seconda famiglia. Mi hanno messo in
regola. È uscita la legge e mi ha fatto i documenti perché mi vedevano anche soffrire per i bambini così”.
Pur restando un vincolo di subalternità e di riconoscenza da parte dell'immigrato, questo tipo di relazioni
tra datore di lavoro e lavoratore supera il limite del semplice rapporto di fiducia e rinsaldandosi nel
tempo, surroga in parte il ruolo della famiglia allargata: “è un rapporto bellissimo, un rapporto come una
seconda famiglia. Mi vogliono bene, mi aiutano tantissimo”. Questo è uno dei casi non infrequenti in cui i
datori di lavoro prendono in carico il lavoratore ed anche la sua famiglia. I suoi datori di lavoro infatti,
pagano una scuola di calcio per il figlio: “mio figlio l'hanno mandato loro, pagano loro la scuola di calcio,
vengono prenderlo a casa, perché io lavoro. Quell'orario vengono a prenderlo poi lo portano la sera e
così mi sento tranquilla.”
Positivo è stato l'inserimento scolastico dei figli: “mi son trovata bene, perché sempre le difficoltà ci sono
comunque, perché 4 anni (il tempo trascorso dal ricongiungimento), hanno ancora un po' difficoltà anche
se parlano benissimo. Ma son tante cose che non riescono però mi trovo bene son stati di aiuto. I
bambini sono bravissimi, sono molto bravi a scuola, nel senso di comportamento educazione, poi nello
studiare non tanto, come tutti”,
La donna racconta delle buone relazioni con i compagni dei figli e con i loro genitori: “anche italiani,
conosco qualche genitore. I bambini vanno a volte da loro e loro vengono a volte da noi. Sabato scorso
un'amica di mia figlia ha dormito lì da noi. Sì, ci frequentiamo, non solo coi nostri paesani, viviamo qua,
quindi. Si trovano bene. Anche coi genitori loro parlo, non è che ho tempo, però ci conosciamo, sono
brave persone”.
Il livello di identificazione con le specificità delle dimensioni di vita nella città di Vigevano è quasi totale:
“è una città tranquilla, persone brave. Io vivo in piazza, in centro. Ho la casa lì, esco la sera d'estate.
Mangiamo, prendo i bambini con mio marito usciamo, siamo proprio lì. A parte che a me piace proprio
Vigevano perché è più o meno come lì da noi, come mia città”
Durante la settimana lavora full time e nella pausa pranzo va a casa a fare i mestieri ed a passare del
tempo coi figli, che nel frattempo sono usciti da scuola. Al pomeriggio i figli sono soli a casa. La figlia fa' il
recupero per alcune materie. Alla sera a cena ci si racconta come è andata la giornata. Al sabato escono
con gli amici di scuola, fanno un giro, stanno fuori un'ora. “Domenica preparo da mangiare poi faccio un
giro coi bambini, sempre di pomeriggio. Li porto in giro o a trovare i parenti o da qualche parte sul Ticino,
mangiare un gelato”
La donna può contare su una forte rete parentale che, specie nei primi tempi l'aha sostenuta nei momenti
difficili: “ho tutti i parenti qua. Tutti, quasi tutti: cugini mia zia mio fratello degli amici, siamo tutti quanti.
Mi manca solo la mamma e il papà che sono là però il resto sono tutti qua anche se ho qualche problema
ci aiutiamo tra di noi. Questo sempre. Siamo molto uniti diciamo. Poi c'è mio fratello per ogni cosa. C'è
stato sempre lui qua, dall'inizio sono venuta da lui, quindi per ogni cosa. Poi ho la mia amica che è come
una sorella”
Il bilancio della sua storia di emigrazione, nonostante i sacrifici ed i momenti dolorosi è molto positivo: “io
so cosa vuol dire soffrire e sacrificare perché l'ho già passato. Lavoro, mio marito lavora, lavoriamo tutti e
due, stiamo bene. Siamo tranquilli. Da quando son venuta qua, i sacrifici, la vita di tutti i giorni... Per me
son stati belli e brutti i giorni di tutti questi anni che sono qua... Adesso è tutto bello, sono contenta. Non
mi viene neanche in mente oggi a tornare, perché ho tutto: ho lavoro, sono in regola, loro sono qua,
vanno a scuola. Quindi non mi viene neanche in mente al momento di tornare. Non perché non voglio,
ma sto vivendo qua e mi trovo bene qua. La vita (qui) è una vita normale, i sacrifici ci sono anche là (in
Albania)”.
Durante tutto il corso dell'intervista, a parte il racconto della separazione dolorosa dai figli, che la porta al
limite della commozione, la donna sembra voler raccontare con maggiore enfasi la serenità del presente,
gli obiettivi raggiunti, il buon ambientamento, lasciando in ombra aspetti più oscuri della sua storia,
specie riguardanti suo marito: “perché le difficoltà ci son sempre, a volte mio marito ha lavorato, a volte
no. Anche se io ho sempre lavorato, però...”
Anche questa donna sente lo spettro della crisi economica che, come lascia intravedere, ha ridotto le
opportunità lavorative del marito, e non consiglierebbe ad un amico di venire perché non ci sono più le
opportunità di un tempo: “ora è cambiato perché il lavoro c'è un po' meno. Là adesso è come qua, c'è chi
lavora e c'è chi non lavora”
Intervista 07: famiglia Marocchina18
18
Il numero davanti alle frasi trascritte indica la persona che l'ha pronunciata (1=marito; 2=moglie)
Il marito, che in Marocco era agricoltore, giunge a Vigevano nel 1995 e nel 1997 porta in Italia la moglie e
due figli che all'epoca avevano rispettivamente 6 anni e un anno e mezzo. Attualmente i loro figli hanno
20, 15, 10 e 8 anni. Vivono in una casa popolare.
Il marito qui lavorava come verniciatore ma non lo pagavano più. A causa della recente crisi economica
perde il lavoro e la moglie, precedentemente casalinga, è costretta a lavorare come domestica e badante
per mantenere tutto il nucleo familiare. Sono ormai tre anni che il marito non riesce più a lavorare in
modo continuativo. Non si è però arreso alla disoccupazione e continua la sua ricerca di lavoro,
accettando qualche lavoretto a giornata che talvolta gli viene proposto. 1“lavoro non c'è in giro” 2”lui
girato dappertutto ma... Fa qualcosina se qualcuno lo chiama”
Prima che il marito perdesse il lavoro la moglie si occupava della casa e dei figli: 2“casalinga facevo.
Quando sono venuta qua ho cominciato a lavorare nel 2004, quando lui proprio staccato dal lavoro. Ho
cominciato a cercare e ho trovato lavoro, prima ho fatto lavanderia, stirare, poi sono andata a badante da
un signore e da lì, una voce all'altra ho cominciato a fare mestieri.”
La difficile situazione generata dalla perdita del lavoro del marito viene affrontata nel segno della
reciproca solidarietà: 2“una mano lava l'altra. Anche se lui ha perso il lavoro siamo rimasti (fa un segno
con le mani unite) … sì, sentiamo la mancanza di tante cose, però io aiuto lui, lui mi aiuta, non abbiamo
sentito tanta difficoltà, si c'è … però...”
L'unione, la coesione della famiglia, l'aiuto reciproco sono i motivi ricorrenti di questa intervista : tutto si
può affrontare, qualsiasi difficoltà si può superare solo se si resta uniti: 1”e una mano non applaude”.
Particolarmente significativo l'atteggiamento del marito che sembra fare un piccolo passo indietro,
cedendo le redini della situazione alla moglie, senza abbandonarsi alla frustrazione dovuta alla perdita del
ruolo, tipicamente maschile e socialmente più prestigioso, di bread winner. Questo si può leggere anche
dall'andamento dell'intervista: la moglie siede di fronte a me e parla spesso, mentre Il marito si pone in
posizione defilata. Egli racconta gli inizi della storia che lo vedeva protagonista, ovvero la storia della
partenza e dell'organizzazione del ricongiungimento, ma nelle fasi successive dell'intervista partecipa
meno alla discussione e lascia che talvolta sia la donna, che oggi regge la famiglia, a parlare per tutti.
Dal canto suo la donna sente onore e onere di questa situazione in cui a lei è affidato il peso e la
responsabilità di sostenere economicamente sei persone. C'è un totale ribaltamento dei ruoli tradizionali
accettato di buon grado dal marito che collabora al buon andamento familiare con l'adempimento di quei
compiti che la moglie non è più in grado di assolvere. È la moglie a raccontare la loro giornata: 2“la
giornata è piena, tempo non c'è. Io lavoro sempre. Lui con i bambini: li porta a scuola, li va a prendere.
Qua a casa fa mestieri, non ha tempo. O va in giro per il lavoro.” Mentre la moglie si è totalmente
surrogata nel ruolo di bread winner lui si è fatto carico dei tipici compiti di care giver: ad esempio riordina
la casa e si occupa dei figli al rientro da scuola. Inoltre accompagna la moglie al lavoro perché lei non
guida, infatti ha tentato di prendere la patente ma è stata bocciata due volte.
La giornata si conclude col momento della condivisione del pasto serale: 2“il momento di cena
mangiamo, parliamo: 'come è andata la giornata', 'cos'hai fatto', 'come ti sei trovato oggi', così. E poi
niente: guardano la televisione se qualcuno si trova in difficoltà compiti o cosa, non ce la fa, uno aiuta
l'altro”. Anche parlando dei figli, tre dei quali assistono all'intervista, il tema dominante è quello della
collaborazione, laddove si racconta che i fratelli maggiori danno una mano ai fratelli minori con i compiti.
La donna ha lavorato come badante per 4 anni, ma non volevano metterla in regola e per questo motivo
si è interrotto il rapporto di lavoro. Inoltre lavorando in nero non le venivano pagate né ferie né malattie
ed era costretta a pagarsi da sola i contributi: 2“sono andata a lavorare da una sulla sedia a rotelle, ha la
sclerosi multipla, ho lavorato con loro 4 anni. Quando ho chiesto per mettermi in regola, perché lui è a
casa e come l'affitto ogni due anni devi presentare l'ISEE il CUD tutto, non vogliono. Mi hanno messo in
regola un mese e poi mi hanno messa a casa, dopo 4 anni” 1”non vogliono pagare le ferie quando sta a
casa” 2“quando sto a casa non vengo pagata” 1”dicono loro sta a casa non va pagata” 2“quando loro
vanno via al mare io non devo essere pagata. 'eh signora se vuoi così sennò no'. Le ferie mi danno quello
che vogliono loro, pago io i contributi, sia i loro che i miei, abbiamo le ricevute abbiamo tutto. Però ho
lasciato stare e ho cercato un altro lavoro.” Come spesso accade, al lavoratore non viene data scelta: le
condizioni di lavoro, non sono quelle tutelate dalla legge, ma quelle imposte dal datore a volte senza
possibilità di contrattazione.
Ora fa la colf presso quattro famiglie con cui ha instaurato ottimi rapporti, non l'hanno messa in regola
però: 2”sono molto bravi”. Questi lavori si trovano per passaparola. La moglie parla con orgoglio del suo
lavoro e della fiducia che le viene accordata: “ io ho le chiavi di tutti quelli da cui vado a lavorare, ci sono
famiglie che sono 7 anni che sono con loro e ho le chiavi ancora. Non ho mai fatto qualcosa di brutto, da
uno all'altro ho sempre lavorato”.
Ultimamente ha iniziato a lamentare dei problemi di salute dovuti ai compiti faticosi che deve adempiere:
“adesso sono con la schiena rotta, adesso sto facendo delle cure dall'ortopedico, perché la spina dorsale,
ho quattro anelli che sono schiacciati”. Simbolicamente se la spina dorsale è la struttura che sorregge un
corpo, la donna è la colonna portante che con gran fatica sorregge la sua numerosa famiglia.
Quotidianamente dopo i compiti di routine, il tempo del marito è dedicato alla ricerca del lavoro: 1”vengo
accompagnare a scuola i bambini, torno qua, metto a posto la casa, esco in giro con la macchina:
Abbiategrasso Ozzero faccio le domande, curriculum. Consegnare alle fabbriche. Andato fino a (…) perché
facevo anche il giardiniere. Andato anche a Parona dove c'è fonderia. Niente. Tengono il curriculum e
basta.” E' una storia di grande tenacia in cui un uomo non più giovane affronta quotidianamente la
frustrazione dei rifiuti continui senza arrendersi.
L'uomo sa che nella sua delicata condizione di uomo e marito frustrato nella sua capacità di mantenere la
famiglia ,comporta dei rischi da evitare. Ad esempio i bar sono dei luoghi dove si possono incontrare
persone che ti danno informazioni sulle opportunità di lavoro ciò nonostante vanno evitati: 1”non mi
piace andare lì, una volta andavo. Perché incontravi questo e l'altro a bere, adesso basta. Chiedo
qualcuno che conosco se incontriamo, chiedo se lavora se c'è qualche posto. Però il bar non mi piace
proprio, perché trovo uno a bere, dico anch'io ho voglia di bere, allora smesso, alcool non va bene.” il
rischio è quello di trovare una facile scorciatoia alla frustrazione passando la giornata a bere.
Riguardo alla scuola, la coppia apprezza i docenti dei figli con cui hanno buone relazioni: 2”sono tutti
bravi. Io mai trovato una difficoltà con gli insegnanti. Non ho mai trovato difficoltà né con genitori, né con
compagni né con insegnanti.” 2”i compagni sono tutti educati, tutti bravi”. I figli fanno più fatica con
l'arabo che conoscono poco che non con l'italiano: 2“non l'italiano, ma la nostra lingua trovano difficoltà,
non lo sanno molto bene. Perché noi a casa non parliamo arabo tra di noi, perché io e lui dobbiamo
imparare la lingua italiana, per quello che loro non sanno tanto l'arabo.” Loro parlano arabo solo con altri
arabi, ma mai a casa: 2“magari al mercato, magari in comune o in giro così”.
I bambini sono ben inseriti a scuola e frequentano i loro compagni: 2”se invitano loro al compleanno, io li
mando. Quando fanno il compleanno io porto tutto a scuola. Io voglio invitare i bambini qua, però, sai, lui
non lavora, io quello che porto a casa non è un gran che. Quindi possibilità non c'è. Anch'io voglio che
loro vanno all'oratorio fanno il compleanno là, invito tutti. Però mi viene una spesa un po' pesante. In gita
vanno. Quando fanno una uscita così (con la scuola), vanno”. La situazione economica colpisce anche le
opportunità di svago e di socializzazione dei figli, oggi infatti ai bambini si tendono a proporre attività
ricreative strutturate e a pagamento .
I rapporti con gli altri genitori si limitano alla cordialità degli incontri casuali. Con gli altri genitori ci si
incontra ma 1”solo fuori” 2”se ci vediamo quando facciamo la spesa ci incontriamo, ci salutiamo: 'come
stanno i bambini', 'dove andate? cos'hai fatto, capito?”
Parlando delle attività extrascolastiche dei figli emerge una brutta storia a sfondo di droga e pedofilia,
vissuta dal secondo figlio a causa di un vicino di casa che ha tradito la loro fiducia.
2“sport no, sempre il fatto di pagare. Il secondo andava a calcio sempre andato a calcio. Trovato un po' di
difficoltà ...”
1”la verità: c'è un delinquente qua davanti a noi, non è sposato, frequenta quelli giovani” 2”ha 78 anni,
quasi mi ha rovinato il ragazzo” 1”è un pedofilo che spaccia anche”.
2”io ho detto poverino è da solo, è anziano, io non sapevo la sua storia, la verità, ha avvicinato piano
piano noi anche. Invito sempre a casa mia a mangiare. Veniva sempre a mangiare con noi. Ho detto
poverino è solo. Io non pensavo che faceva quelle cose lì.”
Hanno scoperto la cosa insospettiti dal cambiamento repentino di umore e di comportamento del figlio
che aveva iniziato a non studiare ed a chiedere soldi. 2”Piano piano mi ha portato via il bambino. Da
allora il bambino non ascolta più, né noi, né insegnanti, nessuno. E allora il bambino è diventato un altro.
Ha cominciato a rispondere male a noi, che non è mai successo. Cominciato a non studiare perché (il
vicino) gli fa: 'eh, ma cos'è che te ne fai con questa scuola qua?' Ho visto mio figlio: è cambiato da così a
così. Ma come mai? Cos'è successo, vuole tanti soldi, vuole andare di là. Allora io in quel momento ho
capito. È anche un'età di tredici anni, quattordici anni, un'età un po' difficile. Lui l'ha trovato debole.'”
Contemporaneamente sono stati avvertiti dagli altri vicini di casa: 2”e poi i vicini, quando hanno visto che
il bambino va sempre da lui, dopo mi hanno detto: 'signora stai molto attenta, perché abbiamo tutti
cresciuto i nostri figli qua e abbiamo trovato una difficoltà con questo signore'.”
Il ragazzo pressato dai genitori aveva confessato tutto l'accaduto. 2”Sono andata da carabinieri, abbiamo
portato anche nostro figlio. Hanno detto che vogliono una prova. Poi siamo andati dalla polizia, hanno
detto che vogliono una prova anche loro. Io ho detto: 'mio figlio mi ha raccontato tutto, è successo così
così così'. Di più, quale prova volete? Che domani trovate mio figlio che va a rubare? O va a spacciare?
Non lo so. Siamo andati dai carabinieri, siamo andati dalla polizia, ti danno una risposta così. Cos'è che
devi fare di più: niente. Abbiamo solo massacrato mio figlio con le botte e tutto sempre finché è
diventato dritto. Adesso dove va, dice dove va, lo accompagna suo papà le volte quando chiede il ragazzo.
Da lì non va più a calcio. Perché? Colpa di questo. Lo seguiva e gli diceva: 'ma cos'è che te ne fai con
questo calcio, cos'è che te ne fai con questa scuola, andiamo lontano io e te...” Frustrati nel loro bisogno
di giustizia, soli di fronte ad una situazione così delicata, hanno reagito moltiplicando le attenzioni nei
confronti del ragazzo nel bene e nel male. Hanno iniziato a controllarlo di più e hanno usato le punizioni
corporali come ultimo strumento tradizionale per dimostrare l'enorme baratro che si stava aprendo di
fronte al ragazzo: lo spettro della devianza sociale e dell'abiezione morale.
Dal racconto di questa brutta storia emerge tra l'altro un modello educativo improntato ad un grande
senso di responsabilità rispetto alla richiesta di soldi per il tempo libero da parte dei figli: “Io quando mi
dici 'mamma mi dai cinque, mi dai dieci euro' glieli do. Il grande non mi ha mai chiesto, li do io a lui. E poi
mi dice: 'mamma no, sappiamo la difficoltà, mamma no, non voglio'. Invece l'altro no, non dice così. E poi
lui tredici anni che cosa che ne fa con questi soldi.”
I figli sono stati responsabilizzati rispetto alle difficoltà familiari e si sono dimostrati tanto maturi da
comprendere e si sono abituati a non chiedere soldi. 2”adesso abbiamo tagliato tante cose. Non si può.
Abbiamo eliminato tante cose. Loro hanno capito. Anche se hanno questa età qua, hanno capito”. In
particolare i figli più piccoli non hanno potuto godere di quel po' di benessere sperimentato dai più
grandi, ma i genitori cercano di accontentare un po' tutti. Ad esempio hanno permesso alla terza figlia di
partecipare alla gita di fine anno nonostante si trattasse di un esborso finanziario relativamente
consistente. 1” ha appena fatto la gita tre giorni. L'ultimo anno la facciamo contenta anche lei”
Tutte le abitudini legate al tempo libero vengono drasticamente ridimensionate ed i luoghi frequentati
sono solo quelli di libero accesso. Prima mandavano i figli in piscina ma ora non è più possibile. La
domenica vanno in giro per negozi o ai parchi. Ogni tanto si va al parco dove i bambini “giocano fanno un
po' di amici lì. I grandi ormai vanno per loro conto. Sempre quando andiamo là trovano (amici)”. I figli più
piccoli incontrano i loro compagni, i grandi escono per fatti loro. Il luogo preferito è la piazza ma “la città
è tutta bella” come in altre interviste emerge un amore e un'identificazione forte nei luoghi di questa che
ora è anche la loro città.
La donna ha un fratello che abita in un paese vicino e fa il muratore alla domenica spesso si vedono o
mangiano tutti insieme.
I vicini di casa 2“sono bravi”. C'è in particolare una signora italiana con cui si scambiano dei favori. 2”io
sono fatta così con tutti, se loro hanno bisogno vengono da me, se io ho bisogno vado da loro”
Il più classico dei favori è quello di accompagnare i figli a scuola: 2”se lui trova tre giorni o quattro giorni
di lavoro, loro mi accompagnano i miei figli. Una signora che abita sotto di noi. Italiana, tutti qua sono
italiani. E poi quando lei ha bisogno deve andare in clinica all'ospedale a fare gli esami o che, lui l'
accompagna, tra noi difficoltà non c'è.”
La moglie ci racconta delle sue amicizie qui in Italia: 2“per star bene devi cercare di avvicinare le persone
però deve essere lei buona la persona (allude a se stessa) e avvicina le persone; se ha bisogno una mano
le danno. Io ho cominciato così: io non ho un'amica della mia età, tutte anziane tutte italiane (…) mi
hanno dato consigli, mi hanno aiutato, gli anziani sanno più di noi, hanno fatto la vita, sono passati prima
di noi, una giovane come te non ti da un consiglio, io preferisco così”
Nessuno della famiglia frequenta il centro islamico: 2”preghiamo a casa. Abbiamo il dio qua (mano sul
cuore). La nostra religione è qua dentro nel cuore”
Marito e moglie criticano viceversa le persone che frequentano il centro islamico per l'immagine che
danno di sé: 1”pregano dentro la moschea escono e restano sulla via.”
2”non va bene. Parlano ad alte voce danno fastidio alla gente. Tante volte hanno richiamato. Non va
bene. L'hanno detto tante persone.”
1”danno fastidio anche a me quando passo, escono fanno un gruppetto”
2” hai pregato, vai a casa tua. Vuoi fare una riunione tra voi? O andate dentro la moschea o andate in un
altro posto, non lì nel viale perché le macchine passano, la gente vuole essere tranquilla”
1“ogni tanto anche viene la polizia”
2”hanno richiamato tanta gente, perché stanno lì tanto tempo... non è che ti saluto, mi saluti buona notte
e vai, no...”
1“come voi alla chiesa, ognuno prende la sua strada, invece noi no, rimangono sul viale.” Sembra quasi si
identifichino maggiormente con l'insofferenza dei locali che non con la necessità di incontrarsi dei propri
connazionali, ma probabilmente sono semplicemente preoccupati di non dare della propria comunità
un'immagine di gente oziosa che dà fastidio.
Non consiglierebbero a nessun amico o parente di venire qua data la situazione di crisi: 2”meglio che non
vieni qua. Perché l'Italia non è come era una volta, perché adesso il lavoro non c'è. C'è crisi. Quelli che
sono da tanti anni qui, come mio marito, adesso troviamo difficoltà. È solo per il lavoro altre cose, no. Si
vive bene, abbiamo un buon rapporto con tutti quelli che conosciamo, con tutti. Io do una mano a loro,
loro mi danno una mano. Ma tranne il lavoro.”
Il marito e i figli minorenni hanno ottenuto la cittadinanza Italiana dopo un'attesa di 6 anni. La moglie sta
ancora aspettando mentre il primo figlio, ormai divenuto maggiorenne, ha dovuto rifare la domanda.
1”adesso ho preso io la cittadinanza dopo 6 anni, quelli piccoli hanno presa, quello grande deve fare la
domanda di nuovo. Perché io quando ho fatto la domanda l'ho fatta per tutti.” 2”aveva 14 anni quando
fatto la domanda “ 1”adesso 20 deve fare la domanda non può” 2”io l'ho fatta anch'io però devo
aspettare. Sono due anni e mezzo forse, dipende da Roma non da qua “ 1”io ho chiamato un mare di
volte a Roma, magari manca un documento, qualcosa. Dice: 'no'”
La richiesta della cittadinanza oltre al bisogno di definire legalmente la loro esistenza qui sancisce anche
in modo inequivocabile la definitività della loro scelta di vita, l'attaccamento a questi luoghi che ora sono
anche i loro luoghi, che persiste nonostante tutte le difficoltà. L'insieme dell'intervista, il tono l'umore
raccontano una grande serenità ed un discreto ottimismo, dato forse dalla consapevolezza che finché si è
insieme, finché si è uniti ce la si può fare.
Intervista 08: famiglia egiziana 19
Questa è la storia di una famiglia egiziana di religione cattolica. Partecipa all'intervista un loro amico
egiziano (nonché padrone della loro povera casa) di religione mussulmana, venuto proprio per aiutarli ed
aiutarci per la comprensione della lingua, dato che la coppia dopo tre anni in Italia ancora fa molta fatica
a comunicare in italiano. Mi raccontano che a settembre seguiranno un corso di italiano per stranieri.
La coppia giunge in Italia dopo un'esperienza di migrazione di 8 anni nel Kuwait in cui lei, che è laureata,
lavorava in un'agenzia di viaggi. Espulsi insieme a parte della comunità egiziana immigrata, pare per
motivi religiosi, giungono in Italia circa tre anni fa' ma non riescono a trovare lavoro né aiuto. Lui, che è
barbiere, trova solo di rado qualche lavoretto in nero come magazziniere, manovale o giardiniere.
L'ultimo lavoro svolto è quello magazziniere tre mesi fa. Lei si occupa della casa e delle due figlie piccole,
mentre la prima figlia ha appena frequentato la I elementare.
Si respira un'atmosfera di sospensione in attesa che qualcosa si sblocchi. Sono qui impantanati da tre anni
senza avere neppure i soldi per tornare. Sopravvivono con piccoli aiuti come il sacchetto di spesa che una
volta al mese offre la Caritas. Stanno aspettando dei soldi che gli invieranno a breve i parenti in Egitto per
superare questo momento difficile. In questo caso vediamo un ribaltamento dei flussi monetari dal paese
di origine: mentre di solito sono gli immigrati ad inviare le loro rimesse ai familiari, questa situazione di
grave crisi ha costretto questa famiglia a chiedere aiuto e a farsi inviare i soldi qua. Nonostante la
delusione e la rabbia è difficile ammettere un fallimento e ritornare sui propri passi, dopo tanti sacrifici
affrontati in prima persona, e vissuti sulla pelle dei propri figli. Finalmente sono in regola coi documenti,
grazie alla legge colf-badanti, e sperano che questo cambi la loro situazione.
In un ambiente squallido e trascurato spicca un computer portatile con un programma di traduzione
italiano-arabo, prestatogli da amici per cercare lavoro, altre informazioni e contattare casa in Egitto.
Durante l'intervista le bambine giocano con dei ventagli fatti di carta di giornale ripiegata.
L'amico ci spiega al loro posto le motivazioni della loro partenza: 3“la vita è più dura di là, poco lavoro e le
cose costano tanto. Di là poco lavoro; è difficile che riesci a trovare un posto di lavoro bene, che riesce a
tenere tre quattro bambini, ci vuole la casa, ci vuole la spesa. Se lui rimane di là non trova un posto che
riesce a tenerli bene. Così ha cercato di andare fuori per trovare un posto di lavoro, però rimasto qua tre
anni senza lavoro, li hanno aiutati ma non come si deve”. La moglie insiste sull'aspetto più problematico
della loro vicenda: 1“tre anni a casa senza lavoro”.
Il marito parla della scelta di venire a Vigevano: 2”io parlato con le persone egiziane, solo Vigevano paese
basso affitto” 3”non è come Milano. Milano ci vuole un'altra vita per pagare solo l'affitto”
Hanno bussato a tante porte per avere aiuto.
2“io sempre vado dagli uffici sociali del comune per l'aiuto: non c'è aiuto. Famiglia o non famiglia non c'è
aiuto. L'unica cosa che aiuta è il lavoro”.
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Il numero davanti alle frasi trascritte indica la persona che l'ha pronunciata (1= moglie; 2=marito ; 3=
amico-traduttore-padrone di casa)
2“da tre anni non compriamo vestiti nuovi per le figlie”
La rabbia per il peggioramento delle condizioni di vita è fomentata dal ricordo del benessere
sperimentato in precedenza: 1“io lasciato tutte cose in Kuwait. Il mio lavoro, la mia macchina, la mia
cameriera, la mia casa. Venuta qua, per vivere qua, per vivere in Europa. Non voglio vivere con gli arabi
(ridono tra loro)
3“io sono mussulmano. Lei ha vergogna di parlare” (ridono insieme)
1“l'arabo non pensare bene. Testa dentro non va bene”
3“quelli che ce l'hanno soldi non pensano alle altre persone, pensano solo a loro. E così trattano male le
persone”
1”quando arrivato qua, pensato la vita qua più civile perché paese europeo, però non trovato questo.
Perché prima io ho letto tanto in internet: Europa human rights, io non trovato human rights qua. Dov'è
human rights se noi siamo famiglia 5 persone non posso vivere, non posso mangiare, non posso pagare
bollette, non posso pagare l'affitto, dov'è human rights”
E interessante notare in questo scambio di battute il tono di ironica complicità ed implicita tolleranza tra
amici di religioni diverse. Inoltre va sottolineata la predominanza della moglie che, come appare in molte
altre parti dell'intervista, si esprime e si espone di più rispetto al marito, definisce e commenta le
questioni chiave, fornendoci il suo punto di vista sulla loro storia. In particolare ci racconta la frustrazione,
la rabbia e la disillusione nel vedere le loro aspettative completamente disattese. Nel loro immaginario
sembra si siano costruiti una loro idea molto forte e precisa di “paese europeo”, di diritti umani, di vita
civile, che non hanno ritrovato alla prova dei fatti.
1“Io andata tanti tanti uffici sociali però aiuto niente. Sempre detto 'no, non posso, non c'è documenti'.
Quando c'è i documenti: 'non posso aiuto, c'è tanti stranieri che chiedono aiuto'. Ma perché? Tu non aiuti
con la tua tasca, aiuti me dal governo. Io non chiedere per soldi. Io detto una cosa c'è contratto affitto, c'è
contratto luce e gas bolletta, tu paga. Io non prendere soldi, non voglio così.” La consapevolezza dei
propri diritti ina situazione di estrema necessità si spinge fino al limite della pretesa.
L'altro punto di riferimento, oltre ai servizi sociali, per chiedere aiuto è la chiesa, luogo utile anche per
cercare lavoro e informazioni.
2“sono tutti bravi in chiesa molto gentili, trattano bene.” 1”però aiuto una volta, seconda volta non
posso. Aiuto per noi paga bolletta, paga l'affitto. Seconda volta detto io non posso. Quello il problema”.
L'aiuto una tantum tampona ma non risolve il problema.
La loro giornata si svolge così: 1”mio marito sveglia la mattina e cercare lavoro. Io sto in casa accompagno
bambina alla scuola dopo torno preparo il mangiare”
Le maestre di scuola sono gentili e mostrano pazienza, piano piano hanno aiutato la figlia che ha avuto
difficoltà con l'italiano non avendo frequentato neanche la scuola dell'infanzia dove poter cominciare a
conoscere l'italiano. 1“c'è un po' di problemi con la bambina in aula perché la bambina non parla italiano
bene. Adesso si trova un pochino male. Perché non iniziato prima, non è come la seconda (figlia) che a
settembre inizia due anni prima” di andare alla scuola primaria.
Non hanno nessun contatto con gli altri genitori come ci spiega il loro amico: 3“ognuno da solo, non è che
parlano. Ognuno aspetta il figlio o la figlia.”
L'anno scorso hanno perso la loro quarta figlia di soli 3 mesi (caso che è stato raccontato dalla stampa
locale) ed hanno dovuto chiedere un aiuto economico ai servizi sociali per il funerale. 1“aiuto solo per
funerali della bambina, i servizi sociali”
La neonata, che era nata con problemi respiratori, era rientrata a casa dopo 15 giorni di ricovero ed è
stata trovata morta nel lettino. All'ospedale, prima della tragedia, si sono sentiti trattare male, in modo
sbrigativo e non hanno trovato chi spiegasse loro con pazienza le cose, dato che facevano fatica con la
lingua. 1“in ospedale non parlo italiano, prima non posso(non ero in grado di) parlare italiano, adesso
parlo piano piano. Quando chiedere infermiera in ospedale, non risponde, io non capisco. Una persona
che parla arabo e italiano non c'è.“ Né hanno trovato qualcuno disposto a spiegargli qualcosa in inglese,
lingua che lei parla molto bene. 1“ prima non c'è amici e non c'è qualcuno di mia famiglia qua. Io parlo
inglese però non c'è persona che parla inglese” 3“quando trovano persone che non capiscono italiano
non trattano bene, perché fino a quando non capiscono, non riescono a spiegarglielo, loro fanno quello
che vogliono loro...”
Quando si è scoperta la tragedia, medici e infermieri hanno sospettato un'incuria da parte della madre e
le hanno fatto molte domande. 3“volevano fare problema per loro. Hanno detto che magari lei (la madre)
è il motivo...(della morte)”
Commentano sulla comunità egiziana di Vigevano.1“trovato una cosa: questa Lombardia di Sharkia qua
(ride ironica quasi al limite del disprezzo)”
3”una città dell'Egitto che è spostata qua. Come persone non sono brave. Io sono qua da 10 anni, ho solo
due amici da quel paese”. Infatti molti egiziani che vivono a Vigevano provengono da una stessa località
dell'entroterra, a vocazione agricola il piccolo governatorato di Sharkia, mentre loro vengono da località
turistiche e hanno vissuto al Cairo. Si legge nelle loro parole un senso di superiorità quasi al limite del
disprezzo nei confronti di questi loro connazionali.
La famiglia vive una situazione di totale isolamento sociale fatta eccezione per pochi amici tra cui il loro
padrone di casa. Sono riconoscenti a quest'ultimo perché non li mette sotto pressione per i soldi,
nonostante loro non sempre riescano a pagare l'affitto. 1“lui fatto bravo con noi, perché una volta posso
pagare l'affitto, una volta non posso. E va bene, non c'è problema”
3“siamo come fratelli. Siamo sempre la luna con la croce come dicono in Egitto. Siamo fratelli. Sto
parlando per me. Non cambia niente. Io in Egitto avevo due amici cristiani.” L'immagine è quella della
mezzaluna simbolo del mondo mussulmano che convive pacificamente con la croce simbolo cristiano
esattamente come accade per quest'uomo mussulmano che ha stretto relazioni amicali sia con altri
mussulmani che con cristiani.
Durante la loro permanenza in Italia la coppia non ha sperimentato delle relazioni accoglienti da parte
degli italiani ma piuttosto incontri basati su reciproca diffidenza e pregiudizi.
1”C'è grande problema qui per gli stranieri. Anche adesso tutti gli italiani guardare per gli stranieri tutti
bugiardi. Perché? Quando tu parlare con qualcuno italiano qua, non ti crede. Perché così, non c'è fiducia.
… io lo so c'è tanti stranieri qua fatto casino, fatto problemi. Lo so però, non è tutti stranieri bugiardi non
è tutti stranieri non va bene. C'è persone bene, persone non va bene”
1”prendono l'esempio per tutti. Se trova uno che non è bravo, dice che tutti che non sono bravi. Fino che
non continua andare avanti con noi per conoscere che noi non siamo come l'altri. Non siamo tutti uguali:
c'è quello bravo quello non è bravo.”
La moglie inoltre lamenta una cattiva accoglienza da parte dei vicini di casa: talvolta racconta di essere
stata indicata come “marocchina”. Secondo l'intervistata i marocchini godono di una brutta fama più che
non gli immigrati di altra provenienza, quindi in questo caso attribuirle una provenienza geografica,
accompagnando la parola con un tono dispregiativo suonava peggio di un'offesa. 1“prima quando io
arrivata questo condominio tutti qua italiani, solo io come straniera qua. Prima fatto casino tanti con me,
perché pensato io sono marocchina” Loro sottolineano con orgoglio la loro provenienza dimostrando
un'adesione al pregiudizio corrente sulla comunità marocchina.
3”loro (gli italiani) guardano che i marocchini non sono molto bravi, ci sono tanti marocchini che fanno
casini, fanno problemi vanno a rubare. Ti dico la verità è vero è capitato a noi. Quando qualcuno mi dice
'sei marocchino?'. Io no! Io sono egiziano. I marocchini trovi il 10% bravi e 90% non sono bravi. Invece gli
egiziani non sono come i marocchini, cercano di trovare un posto di lavoro, un posto di vivere e basta,
non vanno a vendere droga a fare casino...”
Nella loro esperienza della vita di condominio hanno sperimentato che questa diffidenza si trasforma con
facilità in atti concreti: il rifiuto per i nuovi vicini è tale che basta una piccola cosa perché i condomini
vadano dall'amministratore a protestare. 3“aspettano sempre per cercare problemi. Aspettano il primo
sbaglio per andare sempre amministratore (…) sempre quando entra qualcuno (un nuovo straniero che va
a vivere nel condominio), lo trattano male, ai primi tempi. Poi quando cominciano a conoscere, si cambia
un po' le idee. Però non tutti. Ci sono quelli che prendono l'idea, non cambiano non lo vogliono
cambiare.”
La superficialità dei rapporti è in parte la causa della diffidenza ma, come hanno dimostrato studi specifici
di grandi sociologi ed antropologi, la componente emotiva e quella valutativa del pregiudizio sono molto
difficili da eradicare, anche in seguito ad un approfondimento della conoscenza reciproca ed anche in
seguito ad una correzione delle informazioni distorte e riduttive su cui il pregiudizio si fonda.
Diversa, ma non meno problematica, l'esperienza di emigrazione del loro amico nonché padrone di casa.
In Italia dal 2000, lavoratore nel settore edile, 4 anni fa' è riuscito a comprare questa casa, ma nel
frattempo lavorava temporaneamente a Brescia e poi a Rimini ed ha deciso di affittarla. Tornato a
Vigevano vive in affitto a sua volta e sopravvive con qualche lavoro al nero a causa della crisi. Frequenta il
centro islamico per le preghiere. Stava per ricongiungere la moglie ed i 3 figli (rispettivamente di 7, 6 e di
1 anno) quando la moglie ha trovato lavoro come insegnante in Egitto e data la situazione di crisi qui in
Italia hanno deciso di desistere. Ora la moglie è di nuovo incinta. Riesce a recarsi in Egitto solo una volta
l'anno.
Non è un momento facile per cercare lavoro: “anche se trovi, non trovi chi paga. Lavori gratis. Mi è
capitato l'anno scorso: tre mesi non ho preso lo stipendio. La ditta ha fatto fallimento stiamo
aspettando...” La necessità mette questi individui in una situazione fortemente ricattabile nel mondo del
lavoro e permette a datori di lavoro senza scrupoli di offrire le condizioni più inaccettabili: “se capita
qualche giorno di lavoro, non si chiede quale lavoro. Dice che serve operaio fare imbiancatura, va. Pulizia,
va. Basta che c'è. Qualche giornata che guadagna a fine della giornata qualche soldino. 4 euro all'ora va
bene.“
La vita è diventata più dura, non si trova lavoro e tutte le decisioni vengono messe in discussione.
“Provato a tornare in Egitto. Quando rimasto due tre mesi non ce la facevo andare avanti, e ancora (sono
tornato) indietro. Sono abituato qua. Adesso, non riesco andare avanti di là, non riesco andare avanti di
qua, un po' dura”. L'esperienza di migrazione cambia profondamente abitudini e mentalità mettendo
talvolta gli individui in una strana condizione che li vede come pesci fuor d'acqua, per motivi diversi, sia
nel paese d'origine, sia nel paese dove vivono e lavorano. Difficile allora decidere per il futuro proprio e
della propria famiglia.
Tuttavia ormai la crisi è grande e le sue conseguenze troppo dure per essere taciute: “oramai noi diciamo
la verità. Però nessuno crede quello che diciamo noi: 'voi non dite la verità'. Trovi tante persone che
stanno arrivando ancora, che non credono che la vita è un po' dura qua. Io dico che è difficile trovare
lavoro e se trovi lavoro non trovi quello che ti paga, se ti paga un mese, ti tratta male un altro mese, paghi
tanto per l'affitto, paghi tanto per la spesa. Non si credono queste cose.” Nonostante il grosso
cambiamento degli ultimi anni resiste, oltre ogni racconto, il mito dell'emigrante che vive bene, nell'agio,
si arricchisce ed arricchisce la sua famiglia, il mito del far fortuna all'estero. Solo chi ha sperimentato
l'emigrazione ha un'idea dei sacrifici che ci sono dietro alle rimesse degli emigranti e dietro ai doni che
portano a casa: “io una volta raccontato a mia sorella che stato a casa, non avevo soldi per fare la spesa.
Eravamo tre a casa. Non avevamo 10 euro per fare la spesa. E lavoravamo tutti e tre. Però non avevamo
soldi per fare la spesa. Erano in ritardo i pagamenti. Mia sorella mi credeva perché lei è andata in Kuwait
a lavorare due anni, lo sa la storia degli stranieri che lavorano fuori. Capita qualche giorni non trovare
soldi per fare la spesa. Però le persone che non sono andate fuori, non credono questo. Perché vedono
che quelli tornano da fuori hanno soldi, però da dove questi soldi e come l'ha fatti... Come si tratta al
lavoro, come si riesce vivere di là. Come si trova il freddo qua, non è come al nostro paese. Qua freddo
freddo che fa morire le persone, che fa male e quando arriviamo avanti con la vita arriviamo 40-45 anni ci
sentiamo male, non è come voi che siete abituati a vivere qua, è un'altra cosa. Loro non le credono
queste cose. Loro non credono che io sveglio alle 4, alle 5 quando c'è lavoro, per andare a lavorare a
duecento chilometri”. La crisi aumenta la disponibilità al pendolarismo estremo, come in questo caso di
un lavoratore che per poter sopravvivere è disposto ad affrontare spostamenti quotidiani addirittura di
duecento chilometri.
Un elemento importante per l'ambientamento è anche l'abitudine alle condizioni climatiche che è
scontato per gli autoctoni ma che è un elemento di ulteriore difficoltà e di preoccupazione per il futuro
per chi proviene dai paesi caldi. “Quando lavoriamo, lavoriamo sempre all'esterno che è freddo freddo. Io
quando arrivato primo anno una volta andato fuori senza guanti, pensavo che ero al mio paese. 10 minuti
senza guanti trovato che tutte le dita si sono gonfiate. Piano piano abituato, non è come quando
arrivato.” Se superficialmente può sembrare solo un elemento folkloristico, per chi lavora d'inverno
all'aperto il freddo rappresenta una condizione durissima cui abituarsi per tutelare la propria salute.
Tracciando il bilancio della sua vita qui, quello che ne viene fuori non è il racconto di un ambientamento
ottimale, sebbene, come abbiamo visto, l'intervistato affermi di non trovarsi più a suo agio in Egitto: ”qui
non è trovato troppo male, non è trovato troppo bene. Un po' chiuso, non sono aperto per tutti, cerco
sempre persone brave, non parlo con tutti.” Le esperienze non sempre positive sembra abbiano spinto
questa persona ad essere più prudente nelle relazioni ed a porsi più sulla difensiva.
Intervista 09: N., donna filippina
Questa è la storia di una delle pioniere dell'immigrazione in Italia che è stata da sempre un punto di
riferimento per la sua comunità. Incontriamo una donna curata orgogliosa dei suoi 60 anni, laureata, che
aveva lavorato nelle Filippine nel settore pubblico. È in Italia da circa trent'anni giunta nell'ottobre del
1981 a Fano con visto turistico, passando dalla Francia. Viene a Vigevano con una coppia che inizialmente
la ospita, poi la fa lavorare. Successivamente con la sanatoria la regolarizzano e vive 10 anni con loro.
Attualmente lavora in un'officina meccanica dove fa le pulizie.
Racconta le motivazioni che l'hanno portata a lasciare le Filippine “Mi hanno chiesto cosa fa a fare venire
qua in Italia, che hai il lavoro lì. Ho detto sai com'è di là lavoriamo lo stesso, stipendi di là viviamo la
giornata. Non è come qua. Euro quando li mandiamo in filippine, la valuta è alta”. Come ogni cosa
migrare ha i suoi pro e i suoi contro e quello che si guadagna economicamente lo si paga con
l'adattamento a svolgere compiti più umili: “da noi in filippine, noi non paghiamo casa perché abbiamo
nostra, sempre studiato e lavorato in ufficio, non è che lavorato come lavandaia. Però mia madre mi ha
insegnato a fare tutti i lavori di casa, stirare, cucinare. Primi tempi qui è un po' faticoso però piano piano,
mi ambiento. Sono una che non mi chiudo, io parlo volentieri con le persone. Ben ambientata.”
Il cambiamento di clima e di ambiente l'anno fatta diventare allergica: “primi tempi veniva la febbre una
settimana a casa. In Filippine non avevo questa allergia, infatti allergica anche inquinamento, sa i fumi di
camino, di macchine, forse stando qui ho accumulato. Perché quando ero in Filippine non avevo allergia,
e poi da noi caldo, non è che fa freddo, però da noi anche se è molto caldo è ventilato, non come qua che
c'è un'afa, umidità è troppo alta“.
Nel corso del tempo ha visto cambiare anche la burocrazia nel senso di un peggioramento: “ho avuto il
permesso di soggiorno subito, perché quella volta non è come adesso, che è un po' difficile avere
permesso di soggiorno. Ora per chiedere carta di soggiorno ha bisogno l'alloggiativa, tutte quelle cose lì.
Per fortuna che ho già carta di soggiorno. L'unica cosa che non ho chiesto ancora cittadinanza italiana.
Perché adesso convivo con un italiano da vent'anni, da quando sono andata via dove lavoravo.”
La donna era separata al momento dell'emigrazione, ed attualmente convive con un uomo italiano ex
operaio in un calzaturificio, ora in pensione. È andato in prepensionamento ed ha in casa la madre malata
ed un fratello cieco dalla nascita che ha l'”accompagnamento”. La nostra intervistata ha un ruolo centrale
nell'accudimento dei familiari: “aiuto io però lui (il suo convivente) prende lo stipendio di
accompagnatore”
La coppia si è trasferita nella casa della madre e del fratello di lui proprio per meglio accudirli: “prima
viviamo sempre fuori e adesso che ha avuto mia suocera una malattia, ferma a letto e allora siamo andati
lì ad abitare a casa di loro, perché mio marito non vuole mettere nel ricovero. La casa è piccola non
possiamo ingrandire perché lui (il cognato cieco) abituato con la zona, e se cambiamo... Invece adesso lui
fa il suo bagno da solo. Si, perché ormai conoscendo l'ambiente, è più di trent'anni che abitano in quella
casa lì e allora...”
“Conoscendo questo uomo è bravo, forse perché aiuto a casa di loro, magari aiuto la madre, pulisco poi
faccio tutto da mangiare. Come se fosse padrona di casa, ormai mando avanti la casa, perché ormai, non
siamo sposati però è come se fosse, conviviamo da 20 anni”. Da notare che sono azioni apparentemente
umili quali pulire, aiutare, accudire, cucinare, dedicare del tempo alla casa a farle sentire l'orgoglio di
essere la vera “padrona di casa”.
Durante i trenta anni di permanenza in Italia ha stretto collaborazioni con alcune associazioni di
immigrati. Con “Ero forestiero” faceva anche lezione di italiano traducendo dall'inglese a italiano.
Con l'associazione Oltremare hanno pubblicato già quattro libri di ricette tradizionali, usanze in occasione
delle feste, filastrocche e favole.
Dato il suo ruolo di spicco tra i filippini di Vigevano, ruolo di cui va fiera, questa intervista ci ha permesso
di vedere uno spaccato della vita della comunità filippina locale. Questo quadro che ha come sfondo
tanto lavoro e tanta di voglia di darsi da fare è dominato nei racconti della nostra intervistata dai
momenti di convivialità caratterizzati, come vedremo, dalle azioni gioiose del cantare, ballare, mangiare.
“Io sono stata come organizzatrice e presidente, sindaco di tutti i filippini qui. Organizzo tutto io, i primi
tempi non avevamo ancora associazione non c'era ancora.” E' stata una dei fondatori dell'associazione
della comunità filippina COMFILVI di Vigevano ed ama presentarsi in questa sua veste di super manager
della sua comunità.
È stata come dicevamo una delle prime filippine a giungere sul territorio: “primi tempi nessuno, quando
sono arrivata qua a Vigevano eravamo solo tre filippini, allora per forza dobbiamo parlare italiano, invece
adesso siamo già di più di 300”. Se i pionieri dell'immigrazione sono costretti a confrontarsi
quotidianamente on i locali ed a imparare velocemente la lingua, con l'ingrossarsi della comunità
immigrata, come vedremo infra, cresce il numero di coloro che si isolano dal contesto incapsulandosi tra
loro e facendo riferimento a parenti ed amici più esperti per le comunicazioni più complesse in italiano,
scritte o orali che siano. “Se non imparato troppo parlare l'italiano perché a casa di loro parlano nella
nostra lingua. Al lavoro dove c'è datore di lavoro che parla in inglese, vogliono parlare in inglese per i
bambini che imparano. Per quello anche mia nuora non è che è ancora capace a parlare bene italiano
perché dove lavora sono avvocati tutti e due e vuole che parla in inglese. Altri ti parlano in italiano poi
magari gli dici in inglese allora può capire ogni tanto.” La crescita della comunità immigrata ha significato
avere più persone con cui parlare la propria lingua ed avere meno opportunità di imparare la lingua
italiana. La situazione è peggiorata dalle esigenze dei datori di lavoro che a volte scelgono come tate le
filippine proprio per insegnare l'inglese ai figli.
Il ruolo di rilievo che la donna ricopre nella sua comunità, di cui va orgogliosa, si manifesta nelle frequenti
richieste da parte di tanti amici e parenti di essere loro testimone o madrina: “mi chiamano tutti anche
per il matrimonio faccio il testimone, anche il battesimo, anche prima comunione cresima, allora bisogna
il regalo il vestito bello, tutto.”
L'attività organizzativa si concretizza nel dare risposta ai bisogni ricreativi dei filippini ed in particolare dei
giovani: “ogni anno una domenica ho organizzato un torneo di pallavolo per le ragazze, avevamo fatto già
il basket per i maschi. Abbiamo portato da mangiare, sempre deve mangiare, mezzogiorno e dopo partita,
merenda. Delle ragazze hanno chiesto come manager io e allora ho dovuto versare un po' di soldi per
comprare, perché le ragazze non hanno lavoro, studentesse e hanno vergogna che mangiano sempre
quello che portano altra squadra. Ho detto va bene, però non ditelo sennò dicono: 'come mai sei la
manager di tutti però dai solo a una squadra'. Fanno le ragazze il mangiare, dividono le spese. Anche gli
italiani vengono a vedere.”
Nella comunità filippina si dimostrano particolarmente intraprendenti nel creare occasioni ricreative per
la comunità: “sono loro che mi chiedono vengono da me: 'dai fai qualcosa che quando sabato e domenica
non sappiamo dove andiamo'. Specialmente adesso che è la bella giornata, 'va bene dobbiamo fare una
riunione facciamo questo programma'. Adesso abbiamo fatto tutti i consiglieri sennò sempre io, un mio
amico ho detto 'tu fai il presidente', non voglio io, non ce la faccio io. Faccio solo pubbliche relazioni, mi
manda sempre agenzie delle entrate, volontariato, sportelli stranieri commissariato per organizzare
tante cose, adesso vicepresidente io. ”
Nella sua lunga esperienza in Italia ha anche instaurato un rapporto di collaborazione col tribunale e con
la polizia in qualità di interprete: “ho firmato un contratto. Ogni tanto mi chiamano al tribunale,
interprete Magari io ascolto al telefono e poi traduco a loro in italiano e anche quello è un bel lavoro. Poi
han fatto un processo mi hanno chiamato come interprete. Al tribunale ogni tanto mi chiamano e poi altri
miei amici anche magari si litigano poi vanno a denunciare, allora vado accompagnare anche come
'avvocato'. “ Svolge, da amica, il ruolo di mediatrice culturale per coloro che non conoscono bene la
lingua ed a volte le è capitato anche di recarsi in tribunale su richiesta di un conoscente in difficoltà: “È
arrivato avviso di presentarsi e voluto che accompagno io in tribunale. Per fortuna che conosco tutti
perché non può andare se non è parente o avvocato.” A volte tra filippini “litigano tra loro, invidia. Magari
qualcuno si è scappato un po' di parole, quello che ha sentito, riferisce subito di là“ a volte lei fa' da
mediatrice per dirimere queste situazioni conflittuali.
Talvolta accompagna amici e parenti in ospedale per aiutarli nella complessa comunicazione col
personale sanitario: “anche in ospedale, perché non è capace a parlare loro, allora ha bisogno che
accompagno io.”
Racconta che una volta ha seguito una puerpera fin dentro la sala parto: “una incinta doveva andare per
fare il tracciato tutti i giorni l'accompagno. Quando ha rotto le acque mi ha chiamato sono andata là, ho
dovuto chiamare il pronto soccorso e ricoverato. Quando arrivata lì, non viene il bambino e io ero nella
sala parto anche e quando le faceva (respira rumorosamente) lo facevo anche io, sembra che sono io
incinta. Mi ha detto che sono zia, perché la madre è emozionata ha paura allora andavo sempre io, allora
hanno messo nella sala parto “
Quando è andata in ospedale per una sua operazione chirurgica ricorda di essersi trovata bene: “non ho
difficoltà forse perché parlo anche, perciò... reclamo“. Conoscere la lingua significa poter comprendere ed
esprimere se stessi ma specialmente ci da il potere di affermare i nostri diritti che non sempre nei servizi
pubblici sono automaticamente riconosciuti. Ed è questa conoscenza dei meccanismi interni di una
società che fa dei pionieri dell'immigrazione dei mediatori ideali per i loro amici e parenti.
Non mancano occasioni d'incontro per la comunità filippina e spesso sono legati ad eventi di tipo
religioso: “noi abbiamo questo rosario ogni terza domenica del mese e dopo entriamo alla messa delle 6
alla parrocchia. Poi dopo messa abbiamo qualcosa da piluccare, tutto quello da mangiare portiamo
qualcosa all'oratorio. A maggio perché è festa della Madonna abbiamo fatto 4 domeniche, l'ultima
insieme con altri stranieri, africani, spagnoli. Noi abbiamo letto in inglese la preghiera, invece spagnolo gli
altri. Ogni mistero un gruppo diverso, dopo abbiamo fatto festa insieme, africani hanno portato il loro
mangiare, noi abbiamo fatto nostri e poi c'è anche quello dei volontari, poi i peruviani. Poi una tavolata
dopo la messa, la messa c'è canti abbiamo cantato anche a messa. Poi abbiamo fatto anche una torta per
il 15° anniversario di 'Ero forestiero'”
“Anche festa di Migrantes facciamo. Ogni anno cambia la parrocchia. I primi anni eravamo solo quattro
filippini qui e quindi festa di Migrantes per tutti, mussulmani tutti. Mussulmani gli diamo un'aula per loro
preghiera e noi invece programma in chiesa. A gennaio anche a Roma a Milano Migrantes fa festa con la
parrocchia. Noi portiamo antipasto e loro il primo, anche la messa è bella con costumi tradizionali,
ognuno la preghiera nella nostra lingua e poi i bambini hanno la bandiera davanti all'altare c'è l'offertorio
io porto fiori o incenso quell'altra altre cose, è bello vedere.”
“Quando festa di natale, io organizzo, chiamo tutti per incontrare, per fare il programma e prendo due tre
ragazzi che mi deve aiutare perché organizzare da sola, non posso. E poi quando c'è la festa tutti
vengono. Qualcuno deve addobbare, ognuno deve cucinare e portare tutto lì, non doppioni. Poi abbiamo
lo scambio di regali, noi nel bigliettino mettiamo il nome e tu prendi un bigliettino e quello che hai preso,
a quello devi regalare. Tu non devi dire chi è che hai preso, per fare almeno sorpresa, non devi dire a
nessuno 'ho preso te', almeno ha la sorpresa. Ci incontriamo, vengono tutti in riunione prima di natale.
Alla sera prima facciamo la preghiera, perché siamo proprio cattolici, e dopo mangiamo, perché orario di
mangiare. Già tutta tavolata apposta, e poi di là la sala per ballare. Poi ci sono giochi per adulti e per
bambini e poi dopo balliamo magari c'è quello che canta. Poi un natale abbiamo fatto anche la miss come
miss Italia, miss filippine Vigevano. Abbiamo organizzato poi ho chiesto a Dominique, quella africana, di
essere come giuria. Non posso io, perché sono neutrale ho organizzato io, non posso fare come giuria io.
Le ragazze hanno fatto prove di ballo prove di canto prove di tutto, e per ultimo abito da sera. Allora io ho
dovuto chiedere donazione da tutti, per organizzare, per comprare trofeo fascia corona. Ma alla fine, non
mi bastano e ho preso dalla mia tasca. Danno donazione tutti e do' qualcosa all'oratorio, offerta. Noi
facciamo sempre 25 dicembre di sera perché altri non lavorano, tutti liberi giorno dopo è festa ancora il
26 possono dormire. Però fino alle due di notte... (festa). E poi prima di andare via pulito tutto, ognuno
butta via tutta la roba, pulisce, lavare anche il pavimento.” Interessante notare come il giorno di festa sia
scelto quando la maggior parte di essi è libera, dato che molti di loro lavorano in appartamenti privati
come colf. Inoltre va segnalato come, sia in un'ottica di rispetto per chi gli concede la sala, sia in un'ottica
di contenimento delle spese, si organizzino per lasciare la sala, una volta finita la festa, pulita ed in
perfetto ordine.
Racconta con soddisfazione la bella festa che le hanno organizzato per il suo sessantesimo compleanno
carica di attestazioni di affetto e di stima: “quando ho fatto il mio sessantesimo compleanno ho chiesto di
darmi oratorio e mi ha dato. E c'è mia amica che ha organizzato tutto lei, ho dato un po' di soldi per
comprare tutto da mangiare cucinato, qualcuno dei miei ragazzi ha addobbato. E poi mi hanno fatto
anche una fotografia, hanno scelto loro, qualcuno aveva nel suo telefonino, io non sapevo niente, mi
hanno fatto il palloncino con 60 anni. E poi la mia amica ha fatto tre torte grandi con fiori freschi. Che
soddisfazione bello. Hanno messo anche nel facebook per cui altri che ho dimenticato di invitare mi ha
chiamato ehi tu hai fatto la festa!”
“Sai cos'hanno fatto loro. Perché essendo che io non ho ancora computer, l'unica che non ho facebook.
Altri non volevano regalarmi perché se regalo oro ne ha già tanti, borse vestiti lei (parla di sé) è
particolare hanno detto non possiamo regalare qualcosa, allora altri hanno preso il contributo mi hanno
comprato il computer portatile. Bello. Allora hanno detto adesso comincia a fare il facebook, non ho
ancora fatto, non mai il tempo di fare perché ho sempre da fare, la sera quando arrivo a casa, ho da fare
anche a casa, devo cucinare per noi per la sera e anche per il giorno dopo per mio marito e la madre,
perché io non torno a mezzogiorno, mangio dove lavoro dalla signora”. Tra i migranti, in particolare i
filippini, facebook rappresenta un importantissimo strumento per tenersi in contatto a distanza e
condividere esperienze.
Al momento della migrazione la nostra intervistata lascia alle cure dei nonni un figlio di undici anni, che
oggi è sposato, è laureato, lavora in un ufficio ed ha sua volta due figli quasi maggiorenni. La donna sta
organizzando il trasferimento in Italia di questo nucleo familiare. Cogliendo l'occasione dei flussi del 2006
ha fatto venire la nuora che fa la domestica ed insieme hanno completato tutte le pratiche per
ricongiungere suo marito: “ha già tutti documenti pronti. Prima viene mio figlio dopo i nipoti essendo che
i redditi di mia figlia (nuora) appena appena per una persona. Per adesso pensiamo a portarlo qua, poi
vediamo, qualche lavoro si trova. Ho già chiesto alla signora se riesce a inserirlo. Conoscendo tante
persone qua italiane, anche in tribunale, in commissariato conosco, magari riesco a inserirlo, spero. Se
non troviamo magari trova a Milano che c'è anche i miei cugini. Hanno messo un'azienda di catering. Ce
n'è tanti filippini che fanno catering, mio figlio è bravo a cucinare o anche per portare la roba. Nel
frattempo cerchiamo altro lavoro. Troverà senz'altro, speriamo. Ho preso appartamento per loro per
avere alloggiativa, non comprato, in affitto. Abita già mia nuora va pendolare a Milano. Preso la casa un
po' grande abbiamo riempito. Mia cugina ha preso una nuova cucina e mi ha dato (quella vecchia) bella,
la signora mi ha dato (mobili) per la camera e anche il tinello. Sono belli, nuovi dalla casa di montagna. In
totale spendo ancora tanti soldi tra pagare la cauzione e tre mesi di anticipo”
La nostra intervistata ritiene che la sua comunità non stia subendo in modo duro l'impatto della crisi
grazie alla grande adattabilità specie degli uomini filippini. Parla dei lavori della comunità filippina:
“cooperative pulizie, non solo filippini, cooperative italiane che prendono anche cingalesi egiziani. Altri
lavorano in casa, colf, anche i maschi. Sono bravi a pulire. Altri fanno i portinai. Altri sono a Milano, in
fabbriche”
I filippini dimostrano inoltre grande operosità ed energia nel lavoro: “a volte mi chiama: 'abbiamo già
finito ma non possiamo andare via perché dobbiamo completare tre ore, però abbiamo già finito'. Sono
loro che troppo veloce , noi quando cominciamo vogliamo finire”.
Nonostante la loro abitudine ad accontentarsi alcuni sono più scontenti. “C'è qualcuno che si lamenta.
Lavoro dalla signora paga poco, si comportano male i padroni.”
Anche la comunità filippina ha attivato delle reti di mutuo aiuto per affrontare il difficile momento:
“qualcuno che non lavora gli diamo qualcosa regaliamo qualcosa, di qua c'è anche Caritas anche filippini
vanno”.
Come abbiamo visto, la donna conserva un notevole ottimismo rispetto alla possibilità die suo figlio di
inserirsi e, diversamente dagli altri intervistati non consiglierebbe a chi vorrebbe venire in Italia di non
venire ma piuttosto consiglia di “non avere la puzza sotto il naso, la casa non è la nostra (Italia), allora
devi andare con la cultura di qua, non devi stare da parte perché sei marocchina o sei una filippina.”
Dopo trent'anni di vita a Vigevano il bilancio è positivo: “sto bene. Perché ormai conoscendo tutti, abitavo
prima a corso Genova tutti avevo già conosciuto, perché io sono una che saluto, anche se cammino per
strada incontro una persona, ha detto che sembra che ridevo, mi salutano, italiani tutti. Io sono
ambientata qui a Vigevano. Persone ci sono tante scorbutici, quelli che sono brave”
Si racconta a noi come una persona adattabile, piena di energia e di buon umore che sa apprezzare le
cose belle della vita, lo stare insieme in cui ritrovare dei momenti di spensieratezza dopo una lunga
giornata fatta di doveri e di sacrifici. “Noi abbiamo fatto quel che si chiama saturday fever, ogni sabato
sera magari casa mia preparo da mangiare, loro portano qualcosa, si canta, si mangia e poi altra sera a
casa di mia amica ho portato qualcosa e loro anche. Una volta per salutare il vescovo vecchio, siamo
andati a messa alle 9 finita quasi alle 11 c'è notte bianca a Vigevano in piazza, che casino, e allora non
siamo andati a casa subito, siamo andati in discoteca dieci di noi alle due di notte siamo tornati a casa.
Per fortuna che ho le chiavi di casa sono tornata non mi ha neanche sentito mio marito dormiva. Mi lascia
andare.”
La donna racconta di aver incontrato dei buoni vicini con cui ha instaurato ottimi rapporti. “Brave
persone. Mia amica è siciliana. Un'altra vicina è di Vigevano ogni tanto si beccano loro due, io sono in
mezzo. Sono italiane loro due, io sono filippina ho detto 'beccatevi pure quanto volete'. (ride)”
“I vicini di casa sono miei amici. Usciamo insieme. Pomeriggio mi chiamano a bere caffè chiacchieriamo
un po', o magari vengono loro da me. Magari usciamo insieme, mangiare una pizza magari domenica
andiamo con lui a bere qualcosa la sera in piazza i primi tempi. Adesso non ho più tempo allora ci
salutiamo.”
“Mia amica ha l'orto, allora mi da pomodori, zucchine; sono italiani loro. Magari se faccio qualcosa di
dolci filippini lo regalo a loro e gli piacciono. Anche torta italiana o magari qualcosa di da mangiare,
involtini di primavera, magari se li faccio lo do qualcuno a loro. Se hanno bisogno loro, vanno in Sicilia,
allora mio marito annaffia il giardino e dà da mangiare al cane. O magari se vanno via loro chiede se
danno un'occhiata alla casa. Va bene essendo che noi non possiamo andare perché ha malati in casa lui.”
Ogni tanto si reca nelle Filippine a trovare la sua famiglia: “io vado, lo lascio lui da solo. Però sai cosa
faccio? Faccio due tre porzioni di pasta al forno metto in freezer, faccio il sugo che metto in barattoli, o
una teglia di zucchine nel freezer, e tira fuori lui mette nel forno e basta, poi altre cose le sa già fare lui.
Poi ha iniziato già a imparare a fare spezzatino. Una volta ero in Filippine ho chiamato: cosa stai facendo?
Volevo fare spezzatino. Allora hai messo questo? Hai messo questo? Oh questo spezzatino è troppo caro.
Per il telefono...”
“L'anno scorso sono andata in Filippine perché ho fatto la festa per mio padre per suo compleanno 90
anni. È contentissimo oggi è ancora lì ha detto magari non mi trovi più, ho detto stai tranquillo...”
Intervista 10: M., donna rumena
Ascoltare la storia di M. è come fare una piccola discesa agli inferi che ti lascia smarrito e impotente.
L'unica consolazione è sapere quanto l'espressione di sé, la possibilità di essere ascoltati, di dare senso e
forma alla propria storia, dare un nome e un confine al proprio dolore, sia di per sé terapeutico e possa
rappresentare una piccola valvola di sfogo alle tante sofferenze patite. “Mi sentivo troppo piena. quando
ho parlato con te adesso mi sono scaricata..”. A questa consolazione si aggiunge quella dell'adempimento
del compito specifico della ricerca che è quello di individuare le criticità per poter progettare risposte più
efficaci.
Nel narrare le sue vicende, si è preferito sorvolare sui particolari più crudi e più squallidi laddove
l'omissione non togliesse molto alla comprensione del quadro drammatico della sua situazione. Inoltre
nei passaggi più delicati della sua vicenda per rispetto si è preferito ridurre i commenti all'osso anche
perché la brutalità e lo squallore morale si commentano da soli.
Abbandonata dalla madre, la nostra intervistata viene cresciuta dai nonni, che muoiono quando lei ha 14
anni. Sperimenta più che mai un forte senso di abbandono e di disperazione. “sono cresciuta senza
genitori. Ho accettato questa cosa. Ho vissuto fino a 14 anni coi nonni fino a che sono morti. Dopo solo
Dio sa dove dormivo. Mi buttavano fuori, non mi voleva nessuno”
Dopo varie dolorose vicissitudini si lega ad un uomo violento. “A 21 anni ho preso il papà dei miei figli
aveva 16 anni io avevo 21 anni. Sono stata assieme a lui 17 anni. Sempre picchiata, sempre parole brutte.
Per avere una mia famiglia.” La vita della coppia è segnata da una serie di episodi di violenza fisica e
morale a cui la donna reagisce, come vedremo in seguito, con fughe disperate accolta di volta in volta da
parenti o da alloggi procurati dai servizi sociali ed associazioni.
Partorisce due bambini che muoiono neonati per malformazioni al cuore. “Io volevo avere un bambino
con questa persona, fare una famiglia e un appoggio quando sarò vecchia. Lui chiedeva 'voglio bambini.
Se non mi fai bambini, non ci sto con te'. Gli ho detto: se nasce ancora malato prendiamo un bambino e lo
cresciamo come nostro. Ha detto 'no: lo voglio di mio sangue'. Questo mi fa più male. ”
Nel 2002, incinta per la terza volta viene in Italia da una cugina e ricongiunge il marito. “mia cugina era a
Valenza ha detto vieni magari trovi qualcosa di lavoro. Lei non sapeva che ero incinta. Mi ha visto incinta.
Dove vai al lavoro che in Italia le donne incinte non lavorano. Ho chiesto i soldi in prestito e ho fatto
venire anche mio marito. Ha lavorato per il marito di mia cugina per otto mesi. Ha alzato una villetta però
dentro erano solo mattoni.”
Il terzo figlio è sano ma la donna partorisce da sola nel suo letto senza conforto ed assistenza e perde
molto sangue. “Ho partorito C. L'ho partorito nel letto. Non sapevo la lingua. Tre chili e mezzo. Solo la
madonnina era lì con me. In campagna la casa, il vicino di casa era lontano venti minuti. Andato a
chiamarlo per aiutarmi che avevo dolori quando è ritornato lui io avevo partorito in casa. Dopo è venuta
questa italiana. Ha chiamato l'ambulanza. Come i dottori hanno guardato Carlo ho chiesto come sta mio
figlio: 'signora suo figlio sta bene, lei sta male'. Sono stata per cinque giorni in ospedale.” Al di là di casi
drammatici come questi, in cui la puerpera e il neonato rischiano la vita, accade spesso alle donne
immigrate di trovarsi completamente sole in un momento, quello del parto e della maternità, in cui
avrebbero maggiormente bisogno di sostegno e di appoggio.
In seguito la famiglia si sposta due volte in altri paesi; lui lavorava ma non lo pagavano, poi ha trovato
lavoro come artigiano a Vigevano. “Preso casa al corso Novara qua e due mesi siamo messi a posto. Mio
marito ha portato i suoi fratelli qua. Io ero incinta del secondo figlio. Io non lo volevo, perché vedevo la
situazione, io non avevo documenti, lui aveva, però io no, perché non lavoravo. Voleva dei bambini, lui
voleva di più. Quando sono venuti i suoi fratelli ha cominciato: quello che guadagnava lo dava ai suoi
fratelli. Ho sopportato dal mese di maggio al mese di giugno questa situazione. Quando ho partorito
all'ospedale non mi portava camicie da notte, non mi portava niente. Non avevo un marito. Solo una
donna italiana mi portava le cose, mi lavava la camicia. Ho partorito con sua figlia ha visto che non avevo
nessuno... Quando sono tornata dall'ospedale ho trovato mio figlio in una brutta situazione. Va be è
passato anche questo...” In questo quadro di desolazione spicca la solidarietà della madre della sua vicina
di letto che l'aiuta, esercitando quella solidarietà tipica delle donne e delle che vivono o rivivono la stessa
condizione.
Dopo una serie di angherie e comportamenti irrispettosi da parte dei cognati, chiede aiuto al marito
perché dica loro di smetterla: “non ha voluto mandare via suo fratello. Mi ha preso e mi ha picchiato in
mezzo alla strada...(...) fino a quando è venuto il 113...(...) mi hanno portato al pronto soccorso. La
seconda sera mi hanno portato in casa di accoglienza a Mortara. Sono stata per sei mesi là coi bambini.
Dopo ho chiesto al tribunale dei minori di ritornare a casa. Veniva cercava i suoi figli, ha detto che ha
ripensato, ha sbagliato. Ho detto: magari li manda via (i cognati). Niente. Sono venuta, è stato a casa mio
cognato fino a quando ci siamo separati. Lavorava e lavorava per niente. Non avevamo di che mangiare
era solo la Caritas a darmi da mangiare. Tutti i soldi li prendevano i suoi fratelli.” Sulla storia di questa
famiglia aleggia lo spettro di un clan familiare impegnato in loschi affari.
Oltre alla mancanza di rispetto c'era anche da parte dei cognati l'incapacità, probabilmente in mala fede,
di comprendere le necessità di una famiglia con bambini: “miei cognati quando facevano spesa era così:
un litro d'olio un pacco di patate una bottiglia di pomodori una borsa di cipolle. Questa era la spesa che
facevano i miei cognati. Io quando andavo facevo la spesa 250 euro la settimana perché due bambini più
quattro persone grandi. Sono andata avanti così fino al 2007.
“Poi mio marito ha trovato lavoro vicino al lago di Viverone. In quel tempo anche io ho trovato lavoro,
sostituivo una donna per un asilo nido, facevo le pulizie. Un lavoro buono. Ha detto a una famiglia di
rumeni di andare a vivere lì senza di me, senza bambini. Questa famiglia di rumeni viene da me una
domenica e mi dice che mio marito viene con loro. Come viene con voi? Lui era lì davanti: e non mi hai
detto niente? E noi come restiamo? Sola a Vigevano? Ha aspettato che loro andassero via e mi ha
picchiata ancora. I figli stavano sempre male e sono andata là (in questo luogo vicino al lago) con lui.
Anche là mi picchiava. Guadagnava tanti soldi perché lavorava come artigiano. Però chi li vedeva! Veniva
a casa con 700 euro. Mi diceva delle scuse. Mi picchiava sempre. Fino a quando andavo a stare da mia
sorella vicino a Mortara.”
“Ultima volta quando mi ha picchiato 2008. Sempre i suoi fratelli a insultarmi. Io ho detto parla con loro,
per lasciarmi stare. Lui ha cominciato a picchiarmi (…) fammi a me quello che vuoi ammazzami a me,
preferisco. Non toccare i miei figli. Quando ho visto che ha alzato le mani su mio figlio... L'indomani è
andato a Vigevano. Ho detto va bene. Tu te ne vai, io prendo i miei figli e me ne vado. Sono andata da mia
sorella sono scappata con 10 euro. Io una settimana non ho mangiato. Sono andata da mia sorella tre
mesi. Mi ha detto non posso tenerti più, io vado in Romania. Dove vai, chi mi aiuta? Solo la signora XX
(una ex datrice di lavoro che aveva preso a cuore il suo caso). L'ho chiamata ho detto signora come
faccio? Mi trovo coi miei bambini sola in mezzo alla strada. Mi ha detto: non piangere. Vieni da me. Mi ha
tenuto 5 mesi. Lei aveva una casa di accoglienza, ha chiamato la mia assistente sociale le ha detto la
situazione. Mio marito continuava a mandarmi messaggi, a dirmi che mi ammazza. Sono andata a fare la
denuncia, non posso più stare a Vigevano, ho paura che mi ammazza davanti ai miei bambini. Sono delle
persone pericolose. Al suo paese suo fratello ha messo il coltello a una persona, ha fatto otto anni. Avevo
paura, non per me, io muoio, ho solo una vita. Però i bambini si traumatizzano si spaventano. Io ho
chiesto sono andata in casa di accoglienza a S. Mauro per 10 mesi.”
Ma le lungaggini giudiziarie e l'incertezza sul futuro le fanno prendere la decisione di accettare
nuovamente l'aiuto della cugina. “Al tribunale non si andava avanti. Ancora non avevo l'avvocato. Ho
detto cosa faccio qua, non c'è nessun futuro per me. Ho chiesto di andare via dalla casa di accoglienza.
Mia cugina ha detto vieni che ti aiuto ancora. Mio marito è venuto a sapere che sono da mia cugina. Io
sono ritornata insieme a lui per una settimana e dopo mi voleva mandare via, tenere i bambini ed io
dovevo ritirare la denuncia. Io ho detto domani mattina andiamo insieme dai carabinieri e dici che tu vuoi
tenere i tuoi figli. Io avevo paura quella sera a dire di no. Magari mi metteva le mani addosso. Andiamo
dai carabinieri così prendi la responsabilità che tieni i bambini. Quando siamo arrivati ho detto mi vuole
mandare via, ha preso i miei figli. Io voglio bene ai miei figli e non li lascio. Sapevano la situazione
dall'assistente sociale. “ Nella disperazione delle sue vicende la donna si è affidata in pieno ai servizi
sociali ed alle forze dell'ordine. “È andato via e mi ha lasciato sola a casa coi miei bambini. Lui non portava
mai da mangiare. Da mese di gennaio a giugno ho mangiato dagli assistenti sociali. Lui veniva sbatteva le
porte le persiane che è casa sua, non pagava mica l'affitto. Ho detto i bambini così li stresso, preferisco
andare in Romania ma non avevo soldi. In quel periodo mio fratello ha preso soldi tramite la mutua. Ho
detto dammi qualcosa da venire coi bambini, non ce la faccio. E mi ha mandato soldi per il biglietto. Ho
lavorato in Romania: prendere l'immondizia dalle strade, ma erano in ritardo coi pagamenti. Ad ottobre
bisognava presentarmi in tribunale perché sapevo che lui non gli da i soldi, in sua testa non gli da niente.
Ho pensato magari tramite il tribunale lo fa pagare qualcosa. Sono presentata al tribunale tre volte, l'hai
visto? No. Maggio c'è stato il tribunale dei minori per lui per i suoi diritti, vedere i bambini. Non si è
presentato. Da gennaio ho preso l'affidamento, ho preso la casa e ho messo tutto apposto e sono
scappata a prendere i miei figli da Romania.” Attualmente la separazione dal marito e l'affido dei due figli
alla donna sono stati sanciti dal tribunale.
La lontananza dai figli fa nascere ansie e preoccupazioni: “si vedono i soldi che ho speso, 4 volte al giorno
chiamavo in Romania, e costa caro. Per veder come sta, come è andata la scuola, ha mangiato. Sono
furbi, io sono disperata per loro, e loro come stai? Bene ho un po' male alla testa. Io soffrivo perché non li
vedevo. Adesso che ce li ho qua vicino: come stai? Bene.”
Ricongiunti i bambini i problemi non sono finiti: “I miei figli per una settimana sono stati soli in casa
perché faccio badante non ho con chi stare i figli. Mio papà è venuto qui un mese mi ha mangiato i soldi
del viaggio, è tornato in Romania. Mi ha lasciato da sola. Ho chiamato mia mamma. Le ho detto vieni a
stare coi bambini, ti pago. Tre o quattro volte è voluta andarsene. Mi lasci coi bambini da sola. Dice che
fanno casino i bambini. Tutti i bambini sono vivaci. Lei non lavora sta coi miei bambini. Adesso mi ha
detto a settembre se ne va. Con chi li lascio? Magari trovo qualche lavoro con le imprese di pulizia. Sennò
che cosa posso fare io? Li metto in un collegio? Non posso passare i figli a mio marito perché...(...). A chi
do i miei bambini? Chi li mantiene? Darli a una famiglia, io sono morta mi ammazzo come madre. In
collegio li trattano bene, li fanno mangiare gli danno un'educazione però l'amore non te lo da nessuno.
L'amore di una madre a me mi è mancato. Non voglio mai che i miei figli cresceranno come sono stata
cresciuta io”.
Il bilancio della sua situazione non è certo roseo nonostante la donna abbia raggiunto degli importanti
obiettivi: ha un lavoro stabile e in regola, ha una casa ed ha ottenuto l'affidamento dei figli. Tuttavia il suo
magro stipendio le consente a stento di coprire le spese, senza la possibilità di soddisfare le piccole
richieste dei figli, non ha ottenuto il contributo alle spese che le spetta di diritto dal marito che viceversa
continua ad esercitare una violenza morale su di lei e, cosa più grave di tutte, riesce a stare coi figli poche
ore alla settimana. “Vivo male di 900 euro, 450 di affitto ,150 a mia mamma, luce gas acqua. E i bambini
cosa mangiano? Con che vivo? Se non c'era la sig.ra XX miei figli questo mese non mangiano niente. Non
ce la faccio più a piangere davanti a lei. La faccio stare male. Tutti i miei problemi cadono sulla testa di
questa donna. Non ce la fa nemmeno lei più. Paga la scuola dei miei figli, gli ha comprato quaderni,
penne, vestiti. Non lo so a chi rivolgermi e cosa fare. Tante volte prego Dio fammi morire… ma poi penso:
chi mi cresce i miei figli. Che loro non vivono senza di me. Ho partorito questi due bambini sono sani
come il sole. Io non ci ho più niente al mondo, solo loro due. Perché il padre non si interessa a loro? Ha
visto la vita, è contento, soldi ce ne ha, ha la macchina. E i bambini chi li cresce? Ho detto guarda che i
tuoi figli hanno bisogno di vestiti di quaderni per la scuola. Ha detto non ti aiutano quelli con cui stai? Mi
dicono: lo sai cosa dice, lascialo dire. Io sto male quando mi insulta. Lui non gli passa niente, però vuole
sentirli e quando li sente non parla bello, insulta me davanti ai bambini. I miei figli sono arrivati qualche
volta che quello che il papà dice tante volte loro hanno detto a me. Anche i bambini non lo sanno cosa
fare, quando sentono un papà che ti insulta. Quando sono arrabbiati, non ci sono soldi, come ad esempio
stamattina mi chiedeva la crema solare. Sai quanti soldi ho, 50 euro fino al 15 del mese prossimo.”
Lo stress e il malessere la costringono talvolta a recarsi dal medico per chiedere aiuto: “non posso
superare questa cosa. Dammi qualche medicina, mi ha dato delle pastiglie. Dell'ansia mi sento stanca,
quando ce l'ahi tanti problemi mi sento stanca e mi sono sentita bene con quelle pastiglie.”
Il difficile rapporto della donna con sua madre e della madre coi suoi figli la mette costantemente in
difficoltà. “Mi incoraggiano le persone, mi aiutano. È vero che sono povera però mi aiuti di più con un
consiglio, sto più bene. Perché mia mamma non mi da un consiglio non mi aiuta. Di più: mi fa male. Alle
undici di notte sono andata perché i miei figli avevano paura di lei. Ha alzato le mani ha picchiato i
bambini. Piangevano come i disperati. Sono dei bambini stanno fino a tardi alla televisione, a lei le
disturbavano i miei figli che guardavano la televisione. Lei vuole dargli lei l'educazione, dice che miei figli
non sono educati. La sig.ra XX dice che sono angeli. Quando al bambino non sai parlare trattare bene lui
non ti tratta bene. Han paura a stare a casa. Tante volte dico trattatela bene che sono da sola non ho
nessuno. Pensate che io vi voglio tenere vicino a me. Come faccio senza lei? Miei figli non capiscono, le
dicono vai via in Romania. Lei è una capricciosa, che fa più capricci lei che i bambini. Qua non ci sto più ”
Lavorando come badante raggiunge a stento il livello di sussistenza economica dato che il marito, che non
si è mai presentato in tribunale, non collabora al mantenimento dei figli. Infatti essendo una badante è
tenuta a dormire dai suoi datori di lavoro e riesce a vedere i figli solo per poche ore alla settimana.
Trascorre del tempo coi figli solo il mercoledì sera. “Mi da tanta fatica questo lavoro. L'ho chiesto, tante
volte mi danno tre ore quattro ore, però me li danno in orari sbagliati. Me lo date quando ho bisogno la
sera un'oretta con i miei figli. Non vuole. Mercoledì sera gli preparo da mangiare li lavo guardano la
televisione mangiano e a dormire. L'indomani mattina si lavano li vesto li accompagno a scuola. Non mi
vedono quando ritornano da scuola. Questa è la vita. Dimmi se questa ti sembra una vita per dei
bambini.”
“Ho detto a mio marito perché non ci mettiamo d'accordo, io mi trovo un lavoro a fare le pulizie per 600
euro e mi dai questo soldi tramite il giudice.”
Questa intervista apre uno squarcio sulla dura condizione di alcune badanti costrette a dedicare tutto il
proprio tempo e le proprie energie ad altri, poste nell'impossibilità di dedicarsi alla propria famiglia. La
situazione descritta dalla nostra intervistata è quasi disumana perché non appare nessuna attenzione da
parte dei datori alle sue più elementari necessità: vedere i suoi figli. Infatti le lasciano libera solo la pausa
pranzo, in un orario in cui i suoi figli sono a scuola. Quel tempo che potrebbe essere prezioso per godersi i
suoi figli, che sono la sua unica ragione di tanti sacrifici e privazioni, la donna lo trascorre a casa a fare i
mestieri.
Infatti nelle ore della pausa pranzo ci racconta: “vado a casa lavo stiro faccio da mangiare. Io esco dalla
casa dove faccio la badante 24 ore su 24 . Dove vado? A casa. Non esco a bere un caffè al bar. Io sono
stufa. Tante volte dico esci di casa entri di là. Sempre in casa.” Una vita quotidiana fatta solo di doveri in
cui non è concesso neanche un piccolo svago.
“Non ho niente sono, povera. Tante persone che mi dicono: complimenti. Complimenti perché ti tieni i
tuoi figli vicini. Non lo sanno con quanta fatica tiro avanti. I miei figli mi vedono solo due ore. Io non arrivo
a vedere i miei bambini. Il primo si arrabbia: mamma perché non vieni a stare con noi. Tu dormi solo una
volta la settimana da noi. Mi ha fatto una lettera di festa di mamma che scrive ti voglio bene quando sei
al lavoro ci manchi tanto, specialmente al fratellino che è piccolo. Però penso che non c'eri tu non avevo
casa non avevo mangiare, non avevo giocattoli però neanche l'amore. Tante volte ho detto dio ci sei o
non esisti? c. non ha più le unghia delle mani. L'ho portato allo psicologo”
“Carlo è malato ha una malformazione alla bile ha la bile grande, una settimana a casa e una all'ospedale.
Niente: influenza intestinale. Ha bisogno di un'operazione. Però adesso come sono conciata male lo lascio
così.”
Racconta con orgoglio dei suoi figli e di come sono apprezzati dalle maestre e dei discreti risultati
scolastici ottenuti nonostante tutto. “I miei figli sono molto delicati. Così povera come sono stata, gli ho
dato l'educazione ai miei figli, lo sanno come comportarsi. A scuola vanno bene. Si è fermata una maestra
ai giardinetti. 'Ma di chi è questo bambino? Auguri è un bambino molto educato, si comporta bene,
impara bene'. Il primo è uscito con 7 in tutte le materie. È qui solo da marzo. Lui ha cambiato 4 o 5 scuole.
E pensa che è uscito con 7. Il piccolo sa fare i conti però non sa ancora leggere. Va bene, lasciategli fare di
nuovo la prima, ha fatto solo due mesi di scuola, perché in Romania vanno a scuola a sette anni.”
A peggiorare le cose, pochi giorni prima dell'intervista, la donna ha avuto una frattura ad un braccio fuori
dall'orario di lavoro, è stata sostituita dai suoi datori, ma probabilmente non riceverà alcun compenso
durante i 30 lunghi giorni di inattività.“Io faccio la badante sto lì 24 ore su 24. E guarda che contratto che
ho che non mi pagano la malattia. Non faccio più la badante, non mi conviene. Che diritti ha la badante.
Se sto male e mi ricoverano in ospedale che succede? Io non ho diritto alla malattia. Ma scherziamo?
Qual è la verità in Italia? Ieri quando sono andata poteva dirmi guarda che il contratto specifica così.”
Intervista 11: S., uomo egiziano
Questa è la storia di un uomo egiziano che arriva in Italia nel dicembre 1996 con un visto di 3 mesi,
passando dalla Francia. In Egitto aveva studiato all'università come commercialista poi sempre
all'università studi alberghieri. Durante gli studi faceva il concierge presso l'hotel Sheraton al Cairo, poi in
Libano, Siria, Emirati arabi, Francia e Inghilterra sempre con la stessa prestigiosa catena di alberghi. Per 3
mesi lavora anche allo Sheraton di Milano. Successivamente si specializza nel ruolo di cuoco e pasticciere.
Giunto a Vigevano fa il cuoco e il pasticciere in un ristorante per 7 anni, poi 5 anni in altro ristorante e via
andare in altri locali.
Nel 2004 sposa e ricongiunge in Italia la moglie. “Mia famiglia. Io e lei: la mia famiglia. Io la conoscevo da
prima di sposare, stessa zona, stessi parenti, ma parenti lontani, lo stesso cognome. Poi andato giù,
sposato, poi portato lei qua, ho fatto ricongiungimento familiare, portato qua la famiglia. A lei piace stare
qua, anche a lei.” In Italia hanno avuto due bambini che adesso frequentano la scuola dell'infanzia: uno
ha cinque anni e mezzo e l'altro tre anni e mezzo.
La moglie in Egitto aveva studiato all'università come nutrizionista e lavorava in ospedale dove dava le
diete specifiche ai malati: “non ha trovato lavoro qua. Cercato cercato, però la lingua...”. Lei capisce bene
l'inglese ma non ancora bene l'italiano; ha iniziato a studiare l'italiano, poi sono arrivati i bambini.
Recentemente hanno fatto domanda all'ospedale per un lavoro perché mancano queste figure
professionali.
La sua situazione lavorativa, quasi invidiabile, è stata improvvisamente sovverta da un imprevisto
problema di salute. Infatti gli è stata diagnosticata una grave forma allergica, che lo costringe ad alcuni
interventi e gli impone di lasciate per sempre il mestiere di cuoco. “Facevo il cuoco e il pasticciere e ha
avuto un problema di allergia al naso, ho fatto 2 interventi. Tre operazioni in una, prendo medicine.
Allergia alle polveri della cucine, alle spezie piccanti, al fumo della cappa e al fumo del freezer.”
Quando è peggiorata l'allergia, ha dovuto lasciare il suo lavoro: “Il dottore ha detto: 'devi smettere questo
lavoro lì, non si può tornare indietro al lavoro'. Quando io l'ho detto al capo del lavoro di là per questo
problema al naso, ha fatto lui il licenziamento subito. Un anno e mezzo senza lavoro, prendevo la
disoccupazione, 8 mesi di sussidio di disoccupazione, poi basta”. La sua malattia con relative conseguenze
di perdita del lavoro, capita proprio in un momento di crisi generale, così anche il nostro intervistato, che
aveva un'ottima posizione lavorativa, si ritrova ad ingrossare la fila dei disoccupati.
A seguito dell'emergere di questo grave problema di salute, il nostro intervistato è costretto a rivolgersi ai
servizi per aiuti economici ed ottiene, oltre agli aiuti, una borsa lavoro del comune di Vigevano. Per 400
euro al mese della borsa lavoro fa l'autista per una casa di riposo per anziani. Ha accettato questo lavoro
per necessità: “non si può tornare al mio lavoro di prima. C'è una medicina, tre anni devo fare... Adesso
speriamo, perché c'è la famiglia, adesso 400 euro è poco, non si può, c'è l'affitto, c'è il mangiare, c'è i
bambini, anche mia moglie non lavora... è un po' di fatica.”
Continua, con grande orgoglio, a fare saltuariamente il pasticciere lavoro che comporta minor contatto
con fumi allergizzanti, ma non riesce a trovare un posto di lavoro che gli permetta di mantenere
decorosamente la famiglia. Ha cercato altri lavori. Dopo 10 mesi “andato al comune chiesto questo
problema quello che ho avuto e loro hanno fatto la domanda per lavorare per il comune. Poi la domanda
è stata un anno per trovare qualche cosa... trovato solo questa cosa qui alla casa di riposo.”
Ha accettato con spirito aperto e generoso il lavoro al centro diurno della casa di riposo
“trovato tante persone brave (gli anziani), sempre fatto amici” si parla “un po' di mangiare, un po' come si
fa in Egitto. Quando andato questa vacanza in Egitto agosto ho portato tanti regali per i miei amici, ho
portato tutti regalo anche gli anziani quelli che accompagno. Loro dice 'se tutti gli stranieri come te così'
meglio però non le trovo così tante persone come te bravo.”
Lui spera di essere assunto dalla ditta che sostituirà il servizio coperto con la borsa lavoro in modo tale da
avere uno stipendio normale: “io faccio lavoro come le altre persone però prendo 400 euro (borsa
lavoro). A me mi piace lavorare questo lavoro a me mi piace aiuto delle persone, mi piace gli anziani di
più, mi piace sempre parlare sempre storie vecchie”
Come molte altre persone che hanno subìto le conseguenze nefaste della crisi, ha potuto beneficiare del
bonus gas e bonus elettrico, anche una fattura che non riusciva a pagare, recandosi ad un ufficio del
comune. Il contatto coi servizi sociali spesso crea un rapporto personale tra assistente ed assistito
rafforzato, forse, proprio dalle lungaggini burocratiche che impongono all'utente di ritornare più e più
volte per ottenere qualsiasi tipo di aiuto. La relazione inoltre spesso determina per l'assistito un vincolo di
grande riconoscenza verso chi prende in carico, dato che l'aiuto talvolta è vissuto più come un favore
personale che non come un diritto. Analogamente si esprime il nostro intervistato nei confronti di chi l'ha
aiutato a trovare questo lavoro: “molto bravissimo, sempre aiuta le persone. Una persona intelligente,
non c'è n'è di razzista, sai questi sono stranierei, questi italiani, no, una persona, serio serio serio.”
Nonostante tutti gli aiuti il bilancio degli ultimi anni è durissimo. “Questi tre anni lì ho fatto tanta fatica di
vivere questa famiglia così, per questa cosa del lavoro, perché sempre cerca cerca tanto e non lo trovo
lavoro, o la borsa di lavoro o la disoccupazione è pochissimo, poco di vivere con 4 persone, una casa così,
non si può. Però io cerco sempre il (lavoro) nero la sera, la domenica, qualsiasi orario. Cerco perché non
lo trovo in regola un lavoro così, fisso un pasticciere. Sempre cercare. Ho fatto anche il curriculum quando
io sono andato al comune. Fatto tante domande, nessuno risponde. Tante tante. Cercato tante. Non ho
trovato. Dopo fatto la domanda (per la borsa lavoro) sono stato un anno senza lavoro, sempre andare là
al comune per questa cosa lì, poi c'è la fatica di trovare, solo trovato alla casa di riposo, una borsa di
lavoro”.
A causa del grave momento di difficoltà che sta vivendo, ha dovuto fermare la macchina, togliendo targa
per non pagare le spese.
I suoi parenti ed i suoi amici che vivono qua, lavorano in fabbrica, nelle officine o come imbianchini.
“Questo lavoro sempre trova: o lo trova questo mese o lo trova un mese altro, si trova. O trovi un capo o
trovi un altro capo un'altra ditta. Loro sempre cercano non solo una ditta. C'è anche i miei amici lavorano
anche saldatori, saldatori lo trovi sempre. Mai sentito una persona non lo trovo lavoro. Non lo so se
lavoro in regola in nero, però trova lavoro loro. Cuochi ne cercano pochissimo, ne basta uno”.
Molte sono le persone della sua comunità che si stanno organizzando per mandare moglie e figli indietro:
“quelle persone che c'è qua, quelli che c'è la famiglia, sentivo loro sempre vogliono mandare i figli non
vogliono restare qua”. Anche chi ha cambiato progetto migratorio, vivendo all'estero ha modificato stile
ed abitudini di vita: “quando uno torna la, poi dopo uno due mesi torna subito” perché “ti piace il paese,
ti piace il mangiare ti piace la vita, ti piace la democrazia... Adesso speriamo si cambia la democrazia di là
in Egitto. (…) Speriamo. A me piace di l'esempio delle democrazie di qua, mi piace mio paese fanno così.
Là c'è fatica di vivere. Qua non c'è la fatica di vivere. C'è lavoro. Di là anche se c'è lavoro è poco lo
stipendio, di qua se stipendio normale vivi bene.”
Al momento del ricongiungimento familiare, ha speso quasi 12.000 euro per ristrutturare la casa. Quando
ha perso il lavoro ha iniziato a chiedere al padrone di casa di dilazionare i pagamenti anche in ragione dei
soldi spesi per la ristrutturazione. “Prima dei controlli. Quando fatto il ricongiungimento familiare, non si
può prendere la famiglia se la casa non è giusta, se finestra senza, termosifoni e caldaia, impianto gas non
c'è proprio, lo dovevo fare per forza. Lui (il padrone di casa) non voleva aiutare …(l'ho fatto) a mie spese”.
Non è raro che immigrati accettino di abitare case in completo stato di abbandono e siano costretti a farsi
carico di tutte le spese per poterci vivere decorosamente e per superare i controlli prima di un
ricongiungimento. In questo caso il nostro intervistato vive in un appartamento di ringhiera sito in
un'antica corte del centro cittadino in totale stato di abbandono.
Il proprietario di casa non ha accettato di ridurre l'affitto ma ha tollerato che i pagamenti venissero
dilazionati. “Non ha aiutato. Piano piano lui ha preso l'affitto, però io ho pagato piano piano. Gli ho detto:
'Io non riesco a pagare perché già due anni senza lavoro, ora prendo 773 euro la disoccupazione 8 mesi. O
paghi l'affitto o paghi magiare o paghi la famiglia, non si può, con due bambini.”
Nel cortile in cui vive ci sono solo tre italiani e tutti gli altri inquilini sono stranieri. Il padrone ha da poco
inviato lo sfratto a tutti, probabilmente nell'ottica di una ristrutturazione di tutti gli stabili: “io ho fatto (ho
dato mandato ad un) l'avvocato perché ho fatto il lavoro qua (la ristrutturazione del suo appartamento) e
lui (il proprietario della sua casa) ha fatto l'avvocato per non fare rinnovo del contratto, lui non vuole
ripetere il contratto. Lui vuole la casa, non è problema, basta che mi danno i soldi che ho buttato giù là,
c'è anche la ditta, c'è anche la fattura quando ho fatto i lavori qua”. Il nostro intervistato dimostra una
notevole intraprendenza e capacità di reazione che, come vedremo mette anche a disposizione di amici e
parenti.
I vicini di casa sono tutti “bravi”: “sempre amici qua, ai compleanni mi chiedono tutti per venire, bambini
la mia moglie, mi chiedono loro per venire da sedere da parlare fanno amici, a me piace una persona di
pace. Non mi interessa se è italiani o se è stranieri perché vivo in un mondo solo, e devi essere una
persona intelligente, perché la vita passa lo stesso, anche se si arrabbia non si arrabbia, se cattivo non
cattivo, deve passare la vita, (...), mai fatto un problema a una persona qua.” Nei suoi discorsi emerge una
grande serenità ed apertura alle relazioni interculturali.
Molta parte dei valori di rispetto e tolleranza discendono dall'adesione ai valori religiosi. “L'islam non fa
fatica a vivere con le altre religioni, se tu leggi bene l'Islam, o cammina bene sopra dell'Islam, va bene,
vivono insieme lo stesso, come nel mio paese di là che anche mia casa vicino la chiesa, c'è anche miei
amici cristiani. Non ho trovato mai problema, perché se tu le leggi bene le storie dell'islam fanno vivere la
vita giusta, non è come le altre persone”
L'episodio che segue è stato raccontato solo in funzione di un'eccezione alla regola di buona tolleranza e
pacifica convivenza tra vicini. “Unica cosa quella che è sotto qua, una siciliana tempo fa' ha parlato male
di mia moglie, poi andato io, ho detto 'non si può farle così', perché lei non parla bene italiano. Lei magari
sentito parola parolaccia, tu hai sentito parola parolaccia hai pensato... Tu non capisci la lingua nostra, lei
non capisce la lingua vostra. Però mia moglie e lei hanno fatto la pace e basta. Ho portato mia moglie giù,
parlato insieme, hanno fatto la pace insieme, finito così, basta. Lei ha capito male, anche l'altra ha capito
male. Una ha detto una parola, l'altra ha detto una parola, tutte e due non capisce, poi alzato la
voce...mia moglie pensato che ha detto una parolaccia”. Nelle relazioni interculturali la lingua può essere
veicolo di fraintendimenti ma più ancora quella diffidenza per chi è sconosciuto rafforzata dai propri
pregiudizi. Ma l'uomo come abbiamo visto ha una sua innata socievolezza che lo porta ad affrontare tutte
le situazioni col sorriso e col dialogo pacato.
L'intervistato esprime un grande amore per la città in cui vive e più in generale per lo stile di vita. “A me
mi piace star qua perché in Italia è tranquillo. Piace come amici, come conoscenti persone qua, tranquillo,
pulito, il mangiare anche è buono, trovi sempre mangiare, non è troppo caro, la casa non è troppo caro
l'affitto, e anche il tipo di persone trovi bene Io trovato bene . Da 15 anni qua, mi sembra gli italiani
meglio delle altre persone, trovato un paese buono per vivere. A me mi piace stare qua perché ha già
conosciuto tante persone, tante persone conosco qua, perché io sono famoso pasticciere qua, capace
bene fare la torta fare pasticceria. Quando io lavorato qua ristorante più anni conosciuto tanti, fatto la
torta di compleanno, perché loro conosco bene”. Vanta molti affezionati clienti italiani e stranieri. Che
abitualmente gli commissionavano delle torte.
Molti sono i luoghi cittadini amati dall'uomo e dalla sua famiglia: “piace piazza ducale, più bella, troppo
bella. Il giardino andavo sempre là, mercato e supermercato, giardinetti qui vicino, ci sediamo
conosciamo tutte persone là, giocano i bambini, aspettiamo due tre ore poi torniamo a casa. Vanno in
giardino aspettano un'ora un'ora e mezza, fanno parlare poi gioca il bambino un po', poi torna a casa.
Quando finivo al ristorante alle due e mezza andavo lì. Sabato andiamo al mercato o giriamo. C'è anche
amici qua, amici paesani vengono da famiglia, vengono portare i bambini, sediamo un po' (a casa)
mangiare e poi andiamo girare portiamo la macchina andiamo al Bennett all'Ipercoop una spesa o
giriamo guardiamo negozi. Sabato scorso andato verdure frutta compriamo, poi veniamo qua da far
mangiare, poi finisce mangiare andiamo al Bennett Ipercoop giriamo un po' “
Nonostante il quadro quasi idilliaco delle relazioni con vicini e conoscenti raccontato dal nostro
intervistato, anch'egli è stato testimone di situazioni di scontro conflittuale tra italiani ed immigrati.
“Trovato tante persone che si comportano male, il capo del lavoro, o uno che abita vicino, uno trovato
per strada o qualsiasi parte supermercato... per esempio come una persona qua, è un italiano, c'è mio
cugino, tutte le mattine ha trovato la spazzatura vicino alla finestra. Ha chiesto tre quattro volte ha detto
a lui 'perché la metti qua la spazzatura', 'io metto quello che voglio e questo è il mio paese, ma perché tu
non vai al tuo paese'. Mi ha chiamato mio cugino per andare perché io parlo meglio l'italiano di lui, sono
andato là, ho detto 'stai tranquillo perché lui non ha fatto male a te, lui ha fatto una domanda sola perché
tu metti la spazzatura qua, vicino alla finestrina. La finestrina vicino alla camera da letto dove dormire,
senti la puzza dentro', 'no io metto quello che voglio', 'no, non va bene, io chiamo la polizia o chiamo i
carabinieri per vedere questa cosa lì', 'chiama quello che vuoi te, tu vai al tuo paese, non è tuo paese
questo qua', 'no: è il mio paese come te. Io lavoro come te in regola qua, lavoro qua, c'è amici qua, non è
come te razzisti, e io vivo come te, non si può dire me così' ha detto 'no, no non abbiamo bisogno di
terroni qua' io ho detto 'io non è terrone ci ho l'università ho studiato bene, meglio di te. Tu sei terrone.
Non va bene parlare così, o fai le cose giuste o non fai la cosa giusta. Se tu io lo vedo il sacchetto un altro
giorno io chiamo la polizia'. Cominciato lui alza la mano, ho detto 'se tu alzi la mano, io non aspettare non
fermo neanche io, stai tranquillo perché non va bene così'. È arrivata tanta gente 'state tranquilli, lui è
così è una persona sempre così, perché ha avuto problema: figlio morto la moglie anche. Lui vive da solo
ha tanti problemi'. Allora ho detto 'sì, lascia stare'. Cancellare questa storia lì. Uno vicino alla signora ha
chiamato i carabinieri, arrivato i carabinieri hanno detto 'non mette queste cose qua c'è il bidone qua, c'è
un giorno fisso...' Mi hanno chiesto 'non vuole fare lui la denuncia' 'no, non voglio, va bene lascia stare,
perché già sentito come è la persona...”
Interessante notare nel battibecco tra i due contendenti l'uso della parola 'terrone'. Un tempo questo era
l'appellativo dispregiativo affibbiato ai lavoratori provenienti dal sud Italia che oggi viene attribuito agli
immigrati del sud del mondo. In questo alterco la parola, che tra l'altro allude ad una provenienza da
ambiente rurale arretrato e dominato dall'ignoranza, viene restituito al mittente dall'immigrato che con
orgoglio vanta di essere una persona con un'istruzione universitaria. Un altro concetto importante è
quello dell'appartenenza: se agli occhi di un autoctono si tratta solo di stranieri che non hanno nessun
legame con noi, chi vive e lavora in un luogo a cui si è affezionato , dove ha stretto relazioni con le
persone che ci vivono spesso sente un'identificazione con tali luoghi molto intensa.
Così come nell'episodio appena raccontato non di rado il nostro intervistato aiuta amici e parenti in
situazioni di difficoltà. In particolare li aiuta nei rapporti con la burocrazia con la quale, nei suoi 15 anni di
permanenza in Italia, sembra aver raggiunto una notevole dimestichezza come dimostra il suo proficuo
rapporto coi servizi e la sua intraprendenza col padrone di casa nei confronti del quale non ha fatto fatica
ad intentare una causa. “Tante persone quando vanno a prendere documenti, preparo il rinnovo del
permesso, io aiuto perché loro non capisce la legge italiane, non capisce come si preparano le cose che
vogliono il questore, i documenti. Io andavo, c'è un ufficio stranieri qua, e io andavo sempre là a parlare
per loro, c'è un arabo di là, c'è un amico, se non c'è, c'è un altro italiano. Tante persone sempre chiama
me...”
Molti si sono rivolti a lui durante la sanatoria colf-badanti: “c'è tante persone che avuto problema. Quelli
che prendono soldi per fare documenti poi scappa. Fanno le cose false”. (…) ad esempio il capo fa' il
contratto, la questura li chiama per completare la pratica e la persona non c'è più, oppure i documenti
sono falsi o non vanno bene. “quella persona lì è venuta da me a casa mia ha parlato questa storia,
conosco io un avvocato per andare”. L'avvocato è una cliente italiana che ha conosciuto quando lavorava
al ristorante. “ogni due giorni portare una persona di là, sempre stesso problema, stessa storia.
Documenti falsi, documenti mancanti. Fatto aiuto tante persone qua (…) sempre io aiuto le persone altre,
quando qualcuno mi chiamare di farlo aiutare, andavo di qualche parte per parlare, al sindacato andavo
dall'avvocato, all'ospedale, sempre all'ospedale per parlare coi dottori perché il medico dà fatica di tante
persone di parlare di cose di medico... Qualcuno vuole l'impegnativa del medico per fare esami, andavo
sempre dal medico da loro, perché non parlano bene, per spiegarsi, per capire cosa dice il dottore cosa
dice l'avvocato, cosa dice il sindacato, io leggo bene italiano e anche parlo un po', io già da 15 anni qua,
andato a scuola qua.”
Oltre al fatto di essere in Italia da quindici anni la sua notevole socievolezza ed il tipo di lavoro,
incontrando clienti appassionati di cucina, lo ha portato a imparare bene l'italiano: “i clienti che viene a
mangiare sempre parla vostra lingua, quelli che preparano mangiare, a cui piace mangiare sempre
parlano”.
Con grande orgoglio ci racconta che la sua buona fama di pasticciere è nota anche alla scuola dei figli: “io
conosco tutti a scuola là, tutti, perché loro vengono prima, quando io ho lavorato a mangiare di là, le
maestre. Quando finisce la scuola fanno feste, facevo la torta grossa così, l'ho fatta io per loro gratis,
anche i compleanni dei miei figli, non faccio la torta per miei figli e basta, faccio per tutti, per tutta la
scuola, già conoscono come pasticciere, aspettano mio dolce perché molto buono.”
In conclusione, nonostante le difficoltà attuali, l'intervistato esprime, come già in modo ricorrente in altri
momenti dell'intervista, questo suo amore per la vita che si conduce qua. “Questa è la mia vita qua. Ora
vorrei cercare un lavoro prima, sistemare un lavoro, poi vediamo di finire di far studiare la mia famiglia
qua. Io voglio i bambini di stare qua per studiare anche, mi piace la scuola degli italiani, mi piace anche
come natura, tutto bene, mi trovo bene. Ai miei figli quando nati qua, piace stare qua, quando torno di là
mio paese non gli piace stare tanto tempo di là, magari per gli amici, la scuola. Mi sento meglio di qua. Mi
sono trovato bene qua, perché un paese tranquillo, un paese bello... non sento tanti razzista qua come
tanti paesi. A me piace stare qui”
Intervista 12: H., giovane donna marocchina
Giunge in Italia al seguito di sua madre, divorziata in Marocco che era emigrata dapprima in Tunisia ed
era poi approdata ad Abbiategrasso. Qui aveva sposato in seconde nozze un connazionale che viveva in
Marocco e lo aveva ricongiunto assieme alla figlia di primo letto ed aveva avuto un altro figlio che ora ha
7 anni.
Questa intervista ci permette di indagare su un tipo di migrazione piuttosto rara: infatti la maggior parte
delle persone provenienti dal nord africa sono uomini, che solo in seconda battuta ricongiungono le mogli
ed eventuali figli. In questo caso abbiamo una storia di migrazione al femminile, che vede per
protagonista una donna divorziata che lascia la figlia alle cure della nonna e delle zie e parte.
Successivamente nei rientri durante le vacanze conosce e sposa un uomo e lo ricongiunge in Italia
assieme alla figlia.
La nostra intervistata arriva in Italia a 16 anni e si iscrive ad un istituto professionale ed ad una scuola
serale di lingua italiana, ma ha molte difficoltà ad imparare la lingua e ad integrarsi. “Il primo anno
piangevo giorno e notte, non riuscivo a stare qua perché prima cosa io sono abituata di vivere con mia
nonna con le mie zie lì in Marocco poi fare una nuova vita con nuove persone, cioè il marito della mamma
che non conosco c'è mia mamma che da quando avevo tre anni che avevo lasciato con la nonna, nuovo
ambiente, nuove cose. Il primo anno ho trovato difficoltà, con gli amici mi prendevano in giro perché non
parlavo prima bene, non capivo bene, non conoscevo nessuno. Però pian piano... Soltanto un'amica che
ho trovato accanto a me che mi aiutava, che mi spiegava le cose anche con le mani, con i gesti, perché
prima non capivo e per questo ho fatto anche una scuola la sera per riuscire ad apprendere la lingua. Poi
il primo anno l'ho vissuto male perché non ero abituata. Poi il II anno ho cominciato già a prendere la vita
qua come si deve.”
Non è stata aiutata dai mediatori culturali ma solo dai “prof (mi hanno aiutata) però non tutti. C'era
anche una di italiano che mi ha aiutato tanto, mi aiutava anche con le parole, con tante cose, invece gli
altri non mi accettavano tanto perché mi davano della straniera, anche mi trattavano come se arrivo da
un altro mondo”
Per raggiungere la scuola che è sita in Abbiategrasso deve prendere un treno locale: “a volte avevo i soldi
per prendere il biglietto a volte no, mia mamma faceva tutto il possibile però a volte non riusciva”
Il terzo anno a marzo abbandona la scuola per andare lavorare: “poi ho deciso di lasciare la scuola, per
andare a trovare un lavoro, perché ho visto: se voglio fare la mia vita non aspetto nessuno”. Lascia la
scuola e inizia a lavorare per rendersi autonoma dal nuovo nucleo familiare di sua madre, in cui
cominciano ad emergere dei problemi. Infatti il marito della madre gioca a carte, perde soldi e non
riescono a pagare il mutuo. Inoltre la relazione non è salda: i due si lasciano e si riprendono.
Successivamente la crisi si risolverà per la madre in un secondo divorzio. La madre lavorava in un
magazzino di legna, poi è andata in maternità ed ora lavora come domestica.
La ragazza si lega ad un giovane cugino di sua madre, che vive in Marocco, e i due intessono una relazione
a distanza grazie ad internet ed al telefono. Durante il suo racconto la giovane donna ci apre uno squarcio
sul mercato matrimoniale nella sua terra d'origine, dominato da potenziali emigranti disposti al
matrimonio per ottenere questo obiettivo: “per esempio io vado in Marocco, basta che dico che ho il
permesso, la carta indeterminata, tanti mariti che vengono che vogliono sposarmi soltanto per venire
qua, che mi danno i soldi per portarli qua. Perché la gente ancora pensa che qua ci sono tanti soldi, ci
sono tanti lavori, ci sono tante opportunità... invece no. No, non è vero. Anche qua abbiamo sofferto
tanto. In Marocco non ho mai conosciuto nessuno che non aveva un euro per comprare il pane, però io
qua ho vissuto delle situazioni che non avevo un euro per comprare il pane. Di là no, perché di là il pane
non costa un euro, costa 10 centesimi, quindi non è la stessa cosa”. Queste ed altre valutazioni le lasciano
dire a posteriori che “sarebbe meglio stare di là” tanto più che suo marito, per poter venire qua, ha
pagato 8000 euro per il contratto di lavoro: con quei soldi avrebbe potuto realizzare qualcos'altro in
Marocco.
Riprendendo il racconto delle sue vicende ci racconta che in breve tempo il fidanzato l'ha raggiunta
transitando dalla Francia, deciso a sposarsi subito: “abbiamo deciso di sposarci perché da noi non si può
stare fidanzati senza matrimonio, senza niente, per quello abbiamo deciso, anche se lui era appena
venuto qua, senza documenti, senza lavoro, senza niente, soltanto lavoravo io.” Abitano con la madre di
lei per 1 anno, lei prende la patente ed attivano le pratiche per il ricongiungimento ufficiale, non avendo
lui il permesso di soggiorno.
In quel periodo lui faceva volantinaggio, lei ha dovuto cambiare lavoro. Faceva la commessa in una
cartoleria ma non la pagavano. Trova lavoro in una fabbrica come addetta all'imballaggio di lampadari a
Gaggiano: dalla mattina presto fino alle 6 del pomeriggio. Ma dopo due mesi è costretta a lasciare: il
lavoro era troppo pesante per una ragazza di 18 anni, tanto da provocarle problemi di pressione. Nel
frattempo lui ha iniziato a lavorare come operaio in nero e lei, stretta dalla necessità, ha trovato lavoro in
un'altra ditta, sempre come addetta all'imballaggio, ma con turni di lavoro più accettabili: “dovevo
lavorare perché devo fare il ricongiungimento familiare a lui, perché lui non aveva documenti, ho dovuto
cercare ancora lavoro”
Tornano in Marocco per seguire la pratica di ricongiungimento: “siamo dovuti andare in Marocco per fare
tutto di nuovo, perché lui qua era tutto in nero, senza niente, quindi non si può fare nulla qua, bisogna
che lui tornava in Marocco che io chiedo il ricongiungimento come se lui non è mai stato qua. Quando
siamo andati abbiamo fatto anche la festa del matrimonio, siamo sposati qua però abbiamo fatto la festa
di là in Marocco”
Nel frattempo perdono entrambi il lavoro: “quando siamo tornati né lui lavorava né io perché abbiamo
passato 4 mesi di là per aspettare tutta la documentazione. Quindi tutti e due abbiamo perso il lavoro”
Rientrati in Italia nel 2008 lui si barcamena tra vari lavori precari e mal pagati e riceve una proposta di
lavorare a Bordeaux nel ristorate dello zio.
In quel periodo si arrangiavano come potevano: prendevano delle cose usate e le rivendevano a Bonola.
Finalmente la giovane donna trova una buona sistemazione come bidella in una scuola dell'infanzia a S.
Cristoforo. Si tratta di un lavoro con un contratto in regola, stipulato con una cooperativa di
Abbiategrasso, Nella scuola badava alla mensa, doveva pulire le scale e le classi, non riteneva il compito
faticoso, ma viceversa, specie in paragone alle precedenti esperienze, molto soddisfacente.
Contemporaneamente trovano casa e vanno a vivere da soli: “ho trovato questa casa qua, l'abbiamo
affittata e abbiamo traslocato da mia mamma a qua, dopo due mesi ho scoperto che ero incinta. Non era
una buona notizia. Perché lui ancora non lavorava, io appena iniziato lavoro da due o tre mesi, io
guadagnavo solo 600 euro, l'affitto di 280 euro”.
Rimasta incinta finisce in ospedale per complicazioni ed iniziano a fare ricorso ai servizi sociali per aiuti
economici: “andavamo dall'assistente sociale per aiutarci per le bollette”.
In ospedale “era soltanto mio marito con me che veniva tutti giorni lì a stare con me. E poi all'ospedale
chiedevano tante cose, cibo, dicono ogni volta 'porta questa cosa qua magari lei la può mangiare' perché
il mio problema che avevo che non riuscivo a tenere nessun cibo, qualsiasi cosa che mangiavo, subito la
vomitavo. Allora loro chiedevano sempre se magari lui può fare qualcosa del nostro cibo e la portava.
Però il problema lì che avevamo soltanto 300 euro che ci arrivavano perché ero ancora in malattia non
ero ancora entrata in maternità.”
Al rientro dall'ospedale tornano a vivere a casa della mamma che poteva occuparsi di lei, che a causa dei
continui rigetti, aveva perso 17 chili.
Il marito inizia a lavorare con una cooperativa come magazziniere in regola. Non era però un lavoro fisso.
Durante la gravidanza decidono di tornare per un po' in Marocco, tanto lui non lavorava: “almeno con
quei soldi possiamo mangiare di più bene in Marocco. 1000 euro qua non è come in Marocco”
Al rientro lui va a lavorare a Bordeaux dallo zio ristoratore e lei si trasferisce dalla mamma. Coi soldi
guadagnati al ristorante comprano una macchina. Avevano un grosso disagio, ad esempio per fare la
spesa, non avendo un'auto.
Da un anno il marito è riuscito a trovare finalmente un lavoro fisso, come operaio in ditta di tubi di ferro:
“diritti non ne ha, una volta per esempio a marzo di quest'anno gli è successo un infortunio al lavoro, per
le sue dita, tutte e due. Siamo andati all'ospedale e gli ha detto il dottore: dieci giorni. Però mio marito ha
rifiutato di fare dieci giorni, perché lui era sicuro, se li fa, dopo lo mandano via. Anche se abbiamo diritto,
ma non riusciamo, perché sappiamo bene che dopo il primo sbaglio che fai ti mandano via. Poi ha dovuto
andare a lavorare così con le dita e aveva una frattura ad un dito... però è andato lo stesso a lavorare”.
Guadagna 800 euro più assegno familiare 950: mettere qualcosa da parte è difficile.
Solo per il primo anno di vita della bimba hanno avuto dei pannolini e del latte artificiale gratis dal
comune. Hanno inoltre avuto delle buste spesa dalla Caritas.
Attualmente sua figlia di quasi due anni non è stata accettata al nido impedendole di riprendere il suo
lavoro. Infatti la chiamano ancora per lavorare come bidella, ma lei non sa a chi lasciare la bimba. La
madre, che come dicevamo ha divorziato dal II marito, lavora e non può aiutarla: “anche lei sta cercando
di lavorare perché soltanto lei con mio fratello, quindi non può lei curarmi la bambina. Invece io adesso
che sto curando mio fratello, quando lei va a lavorare”. La madre fa' le pulizie in casa, ma non ha un non
lavoro fisso.
Al nido non hanno accettato la bimba ma anche se l'avessero accettata al nido è aperto fino alle 4
massimo alle 6 per le madri lavoratrici, il lavoro di bidella dura fino alle 7 ma poi bisogna prendere il treno
per rientrare a casa. Serve una persona che si occupi della bimba la sera: “non posso neanche cercare
lavoro”. Nessuno dei suoi vicini o conoscenti l'aiuta “le persone che conosco ognuno ha le sue cose da
fare”.
Durante l'intervista riceve una buona notizia: una telefonata in cui propongono di affidare un lavoro da
bidella alla madre, al suo posto, come era nei loro desideri.
Durante le sue giornate oltre ad occuparsi della figlia ed a volte del fratellastro, svolge molte
commissioni. Va al mercato del mercoledì, fa' la spesa, va a pagare le bollette, va in posta o in ospedale.
Ad esempio è lei ad andare al Caf Cgl per richiedere un contributo per l'affitto ”mi occupo io, faccio io
tutto”. (…) “il problema è che è un po' difficoltoso andare in giro col passeggino e con una bambina
piccola perché c'è chi l'accetta e chi è un po'... infastidito”.
L'intervistata afferma di non avere molte relazioni con persone italiane: “italiani pochi, soltanto i vicini”.
Le relazioni coi vicini si risolvono in qualche chiacchierata, o in piccoli favori come una vicina che le dava
un po' di vestiti smessi per la figlia. In generale non dimostra di avere un'idea piacevole del modo in cui si
relazionano gli italiani: “Poi o ti sentono a volte parlare un'altra lingua si spaventano, poi c'è chi non ti
saluta, magari se entri in comune dici salve o buongiorno, c'è chi risponde e c'è chi non risponde”. Ad
esempio anche una vicina di casa ha mostrato diffidenza nei suoi confronti: “l'altra signora era un po'...
non diciamo razzista però ho avuto impressione di avere paura (che la signora avesse paura)”. Nelle
relazioni superficiali tra italiani e immigrati spesso prevale la reciproca diffidenza e i pregiudizi.
Ci racconta invece di avere intrecciato parecchie relazioni amicali: “di più però con i nostri (con-) cittadini,
ci sono delle famiglie che vengono da noi, che noi andiamo da loro...” persone conosciute qua “o al
mercato o magari aspettando al comune, poi iniziano a parlare: 'cosa sei venuto a fare qua' 'io sono
venuta per quello', poi 'dove abiti' 'io abito qua', 'da dove sei dal Marocco', 'da quale città' 'vieni da me a
bere un caffè' 'va bene'. Non c'è nessuno che conoscevamo prima dal Marocco” Amici da Marocco Tunisia
Egitto.”
“Qua (a Vigevano) ci siamo trovati più bene di Abbiategrasso (dove era giunta appena arrivata in Italia). A
Abbiategrasso non conoscevamo nessuno, nessuna altra famiglia, nessuno, tanto da soli. Poi qua abbiamo
trovato i nostri cittadini, marocchini egiziani tutto. Qua c'è un mercato grande dove vanno tutte le
famiglie, dove si può conoscere altre persone. Poi qua pian pia no mi sono trovata bene, qua a Vigevano.”
Il mercato è uno dei luoghi principali dove gli immigrati si incontrano come emerge anche da tante altre
interviste.
Il marito al venerdì frequenta il centro islamico per le preghiere. Il fine settimana si recano ai centri
commerciali, in piazza, dalla mamma “a mangiare insieme qualche cibo marocchino, perché lei è più
pratica di me. Se no a volte a casa, lui mi aiuta a pulire la casa, o mettiamo un film marocchino lo
guardiamo un dvd, poi a volte quando ci sono le ferie giochiamo a carte...”. Tra i luoghi preferiti: “c'è la
piazza, c'è il mercato, perché qua c'è un mercato troppo grande bello, c'è il centro commerciale il ducale”.
È un quasi un lusso prendere un caffè in piazza “perché è troppo caro qua, quando c'è qualcosa per
esempio il mio compleanno. Per esempio alla festa del nostro matrimonio mi ha invitato mio marito qua a
un ristorante in piazza, se no facciamo un giro e prendo un gelato, che non costa tanto e facciamo un giro
e torniamo. Quando porto la mia bambina a giocare la porto al ducale, è un centro commerciale ci sono
delle macchinette per giocare (…) con le monetine, ci sono i negozi di tutto abbigliamento tutto c'è
supermercato ci si diverte un po' sennò andiamo al Bennett, anche il Bennett la stessa cosa, un centro
commerciale che c'è tutto.”
Il rapporto coi servizi sociali, nonostante qualche criticità, è abbastanza positivo: “ci siamo trovati bene,
l'unica cosa che non basta andare una volta, devi andare e tornare, andare e tornare (nel modo di dirlo si
sente la fatica) per avere qualcosa. Per esempio quando chiediamo un contributo per le bollette, non
basta andare a chiedere una volta, ti dice sempre di tornare per vedere: 'no ancora no'. Ci vuole
almeno..., per esempio adesso perché abbiamo il CUD i basso ho chiesto un contributo per le bollette,
però da luglio che l'ho chiesto (da più di due mesi) e finora ancora non ho niente... una volta all'anno è
che abbiamo diritto di chiedere, se hai il CUD basso, per esempio io ho il CUD di 5.000 euro dell'anno
scorso di mio marito, quindi io ho il diritto di andare di chiedere un aiuto alle bollette, però bisogna
andare ancora, non è che si fa una volta e basta e non ci vado finché mi chiamano, no, ogni tanto devo
andare a chiedere in che punto siamo arrivati, se ci sono problemi...” Le attese a volte sono estenuanti e
per portare a buon fine una pratica bisogna essere metodici, ritornare molte volte, imparare il linguaggio
della burocrazia e le sue procedure.
La donna apprezza l'elasticità e la capacità di rispondere alle specifiche difficoltà degli utenti. “Però il sig.
XX veramente mi ha aiutato troppo, anche l'anno scorso quando avevamo chiesto il contributo d'affitto
abbiamo trovato un problema, che io il CUD ce l'avevo di 3000 euro poi mio marito quello che l'ha
portato a lavorare in nero non l'ha fatto dare nessun documenti, poi da loro risulta che avevamo altri
soldi tranne quei 3000 che ci sono scritti sul CUD, c'erano altri redditi di mio marito 900 euro mi sa, però
noi non avevamo nessun CUD di niente, poi loro mi hanno chiamato per la finanza per andare, perché
loro dicono come mai ci sono altri 900 euro e voi ci avete fatto vedere solo 3000 euro. Sono andata dal
sig. XX gli ho spiegato tutto, che mio marito va a lavorare al nero, lui non sa niente, i soldi li dà l'amico lui
non conosceva né cooperativa né niente, l'amico che se ne occupava, quindi lui (il sig. XX) ha capito è
andato a parlare con loro e senza finanza, senza niente mi hanno dato i soldi. … quindi un gran aiuto
perché potevano mandarmi dalla finanza...”
La madre ha chiesto aiuto per il suo contratto nuovo d'affitto “però come le ho detto prima sempre
questa cosa qua, ancora non si sa, bisogna sempre andare a chiedere ogni volta ogni tanto, finora non c'è
niente però...”
La donna negli ultimi tempi ha preso la decisione di indossare il velo quando esce di casa: “io sì (porto il
velo), mia mamma no, io ho fatto questa decisione soltanto da 10 mesi fa' è stata una mia decisione,
prima non lo portavo”. La decisione di indossare il velo ha le sue radici nella religione: “perché la religione
obbliga la donna a mettere il velo, io prima no, perché né le mie zie né mia mamma, nessuno lo mette,
solo mia nonna, persone anziane da noi in Marocco. Però quando io con internet andavo sui siti dell'islam
quando sono rimasta a casa mi sono occupata molto di questi argomenti qua dell'islam, come mai ci sono
persone che lo mettono persone no, poi pian piano io ho deciso, ho trovato che c'è un buon ragione che
io voglio coprirmi, c'è il velo, non è una questione di mettere il velo, è una questione di coprire il corpo, io
non metto quelle cose che mettono gli egiziani tipo, io mi metto le cose normali jeans, maglioni tutto
normale solo che deve essere fino qua (fino ai polsi) e non faccio vedere il mio petto, basta. Però per
tutte le altre cose mi metto normale.”
Interessante notare che, diversamente dallo stereotipo corrente, il desiderio di indossare il velo nasca da
un'esigenza molto intima della donna, un bisogno di protezione e di autodifesa da sguardi invadenti: “io
mi sento bene, perché prima, magari di più in Marocco per dire la verità, se magari vado così (allude alla
scollatura del suo vestito) non mi lasciano in pace, c'è uno che ti dice una parola, c'è uno che dice
un'altra... è un po' brutto. Anche qui, sul treno, anche qui mi è capitato tante volte. Poi dicono delle
parole che disturbano... mi sento protetta, perché quando avevo 13 anni c'era uno non lo so di dov'è,
sempre straniero, che proprio mi seguiva, per tutta la strada mi diceva delle parole brutte brutte che non
riuscivo neanche a dormire. Per quello io ho deciso di mettere il velo.”
Come emerge da questo racconto, in cui la nostra intervistata racconta del suo interesse per i siti
sull'Islam, centrale per vari tipi di comunicazione e di acquisizione di informazioni è internet. “Lo uso per
tutto, anche quando mia mamma ha dovuto traslocare ,io le ho trovato la casa su internet. Lo usavo da
quando avevo 13 anni anche in Marocco, poi adesso qua lo uso per tante cose, anche cerco lavoro per
mia mamma, anche per parlare con una mia amica che è in Marocco, su skype, con i miei fratelli da parte
di mio papà... per fare anche il biglietto da internet...”
La nostra intervistata, che non ha mai realmente legato col tessuto sociale italiano, esprime il desiderio di
ritornare un giorno in Marocco: “io tante volte quando anche parlo con mio marito, chiacchieriamo così,
abbiamo la stessa idea che vogliamo tornare in Marocco! Poi nella stessa ora cambiamo idea. Perché?
Perché qua il lavoro adesso anche in Marocco si può trovare qualcosa, si può fare qualcosa, basta avere
un po' di soldi. Se guadagni di là 100 euro ti fanno tante cose più che qua. Qua soffriamo di razzisti ci sono
tanta gente che non ci tratta bene. Per esempio a volte anche se cammino sulla strada basta che si gira
una signora mi vede con il velo si spaventa e mi fa passare”. La possibilità di poter ritornare un giorno,
l'attaccamento al paese d'origine alla religione sono alcuni tra i motivi che spingono a usare poco
l'italiano in casa: “poco perché se lo parliamo i bambini non prendono la nostra lingua “
L'elemento più apprezzato della vita qui in Italia è quello del sistema sanitario. “Ogni tanto abbiamo
questa idea di tornare in Marocco, solo che l'unica cosa che ci toglie questo pensiero a volte quando
viene è la salute perché io soffro di gastrite, soffro di pressione qua, mi trovo molto bene... Qua mi trovo
bene veramente con i problemi di salute perché qua all'ospedale due volte che ho dovuto fare delle
operazioni, la prima per l'appendicite mi hanno trovato due cisti ovariche, poi la seconda ho fatto
l'occlusione intestinale, poi anche quando ero incinta...., cioè anche se ci sono alcuni infermieri che
magari trattano un po' male comunque sempre sono bravi più dei nostri … poi trattano la persona bene,
poi non fanno pagare, perché da noi in Marocco per fare una visita bisogna avere i soldi, se magari devi
chiamare un'ambulanza arrivano e ti chiedono i soldi prima che ti prendono, che ti aiutano. Qua invece
no. Di là per fare una radiografia... prendiamo per esempio quando ero incinta: ogni due tre mesi mi
facevano l'ecografia gli esami tutto gratuito, pap test, tutto. In Marocco finora muoiono tante donne, ma
tante. Perché? Perché da noi se vuoi fare una radiologia ti servono 100 euro, quindi la gente non ha i soldi
per fare tutti quegli esami che facciamo noi qua, gratuiti.”
Il desiderio di tornare in Marocco è contrastato dalle paure del futuro per la propria salute: “ (ho paura
di) avere bisogno, e di là devi avere tanti soldi. Io ora ho anche l'esenzione che non pago tanti farmaci,
che delle visite le faccio gratuite, per esempio ho appena fatto la pulizia dei denti gratuita, in Marocco
bisogna avere 30 euro per farla, adesso devo andare dal gastroenterologo perché ho dei problemi, vado
gratuitamente senza problemi. In Marocco no. Quando vado in ferie ho sempre quella paura di stare
male, perché sennò devi spendere tutti quei soldi che hai portato per passare la vacanza. Perché da noi
questa cosa qua è brutta, tutto caro... anche per andare dall'ospedale di là, quello civico come questo
bisogna pagare”
L'esperienza della migrazione ha modificato le abitudini di vita e la mentalità ed il vagheggiato ed
idealizzato ritorno in Marocco poco corrisponde all'esperienza reale di vita sperimentata nei periodi di
vacanza. “Tante cose che mi mancano, però il problema, mi mancano quelle cose però quando vado di là,
appena passo un mese: basta! Mi stanco, mi viene la voglia di tornare. Perché qua comunque abbiamo la
libertà. Non è che di là non c'è, no. Anche di là che la libertà uguale a qua. Però qua perché non c'è la
famiglia: perché a volte la famiglia disturba. Per esempio di là, se andiamo ad abitare io e mio marito di là,
sicuramente non mi troverei bene. Poi se abito magari nella stessa città con la famiglia, no. Magari se
andiamo a vivere in un'altra città in Marocco sarà un'altra cosa. Perché di là c'è la famiglia che mette il
naso in tutto, vogliono sapere tutto, vogliono capire tutto. Questa cosa disturba”. L'idea dello spazio
privato della famiglia nucleare e dell'autonomia di giudizio va in conflitto con lo stile di vita della famiglia
allargata. La scarsa identificazione con il paese di residenza e lo iato creatosi con lo stile di vita del paese
d'origine rende più complessa qualsiasi decisione sul futuro.
Capitolo 4
La ricerca qualitativa: le famiglie della migrazione a Gambolò
(di Alberto Ranzini)
4.1 le interviste a Gambolò
Intervista n °. 1: “A” uomo ivoriano
Questa è la storia di un uomo di origine ivoriana giunto in Italia nel 2002. Sbarcato a Lampedusa dopo
aver attraversato la Libia, “A” soggiorna per brevi periodi prima a Crotone e poi a Napoli in cerca di
lavoro. Dopo circa un anno di permanenza in Italia, “A” ci sposta al nord, dove trova un impiego a tempo
indeterminato come operaio in una segheria dell’Hinterland milanese. Sposato e padre di una bambina e
di un ragazzo adolescente che vive tutt’ora in Costa d’Avorio, “A”, nel mese di aprile del 2010, si trova
vittima di un infortunio sul lavoro molto grave, dal quale perde l’uso di due dita della mano destra, e sul
quale si sviluppa gran parte dell’intervista. Il trauma subito alla mano destra, l’esperienza vissuta con i
medici dell’I.N.A.I.L. e la conseguente necessità di contestare il punteggio d’invalidità attribuitogli dai
medici stessi, sono gli elementi più rappresentativi di questa prima parte d’intervista. L’intervistato inizia
così la narrazione del suo infortunio sul lavoro, esprimendo riconoscenza al suo datore di lavoro,
nonostante gli inviti da parte di amici e connazionali di intentare una causa nei confronti dei suo
principale: ... mi ha aiutato moralmente. (2 sec.) Ogni tanto viene a … ah … casa mia qua o me dai
qualcosa, aiuta figli, così mi ha trattato fino ad adesso. Allora, quando mi sono fatto male … eh … sai che
noi siamo stranieri … eh … quindi ci sono alcuni che dici: “no! Tu devi fare la denuncia, devi fare questo,
devi fare quello … eh …” Per adesso io non ho visto niente di male con loro, mi ha trattato bene fino ad
adesso … eh … io mi sono fatto male, loro hanno riconosciuto che mi sono fatto male lì e quello [il datore
di lavoro] il primo giorno mi ha detto: “”A” …, tu vai a curarti e dopo tu sei pronto, torna a lavorare, non
c’è problema!” … è molto bello questo! ...
Proseguendo nel racconto di questa esperienza, il senso di frustrazione si fa sempre più forte perché
l’intervistato racconta l’iter delle visite svolto in I.N.A.I.L. Ad una visita di controllo a 5 mesi dall’incidente,
“A” incontra due medici; il primo … mi ha chiesto tutto, ho dato la risposta com’è … mi ha chiesto come
mi ero fatto male, si poteva lavorare ancora (2 sec.) adesso guarisci e prova, se ci riesci, bene! … Il
secondo medico ravvisa che“ … dopo cinque mesi tu devi tornare a lavorare perché tue dita non cresce
più!” … “Tu devi sapere che tue dita non cresce più, devi andare a lavorare … ”. Il tono di voce
dell’intervistato lascia intendere un senso d’incredulità alle parole del secondo medico, che lo invita
nuovamente a riprendere il lavoro, nonostante “A” manifesti preoccupazione per le sue condizioni di
salute e per l’imminenza dell’intervento: “ ... Guarda io non mi sento ancora pronto ad andare a lavorare,
perché c’è un altro intervento da fare! … ”“ … [medico] No! Vai a lavorare e poi succede intervento, vieni
ancora qua l’infortunio per fare (2 sec.) per fare l’intervento.”.
Poco dopo la ripresa del lavoro, l’ospedale chiama l’intervistato per l’intervento e l’attività svolta,
composta dal sollevamento di tanti pesi, altro non fa che aggravare la condizione della sua mano: …
Allora, quando sono andato a lavorare, sai tanti cose grandi ,tanti pesi grossi da alzare, allora quando
dovevo fare l’intervento mi sono fatto ancora male perché dovevo alzare le travi e mi ha mollato ancora le
vene e sono andato ancora a fare un altro infortunio …
Infortunio ed intervento che porteranno ad una convalescenza di due mesi e ad nuovo controllo medico
nel quale l’intervistato viene nuovamente invitato a riprendere l’attività lavorativa, nonostante un serio
intervento alle vene della mano infortunata: io sono andato là e questo dita, la vena è attaccata con
questo, adesso! Quindi è ancora fresca! … [rivolgendosi al medico] “… Guarda, si poteva dare ancora un
mese, un mesetto per vedere como va le cose, perché se vado là poi mi faccio male ancora, non va bene!”
[medico]“No, no! tu devi andare a lavorare!”
Obbligato dalle circostanze, “A” si reca al lavoro con i certificati rilasciati dai medici dell’I.N.A.I.L. con la
possibilità di riprendere il lavoro senza affrontare particolari sforzi alla mano, non oltre i 2 Kg di peso. Nel
raccontare questi ultimi passaggi, l’intervistato evidenzia ancora una volta la disponibilità del suo datore
di lavoro, il quale lo rasserena, dicendogli: … va bene!, Fai quello che puoi fare, nessuno non ti può dire
niente! Qualcuno ti parla, dimmelo!.
La frustrazione data dal ricordo di questa vicenda, lascia spazio ad un momento di serenità. Ma è solo per
un breve tempo in quanto l’intervistato approfondisce la questione della determinazione dei punti
d’invalidità. A suo giudizio, il 20% di invalidità è troppo poco rispetto alla menomazione avuta. Nel
racconto, “A” fa riferimento a un caso di infortunio, a suo giudizio, meno serio al quale i medici avrebbero
dato 45 punti percentuali d’invalidità. Nella sua esposizione, l’intervistato ritiene che questa disparità sia
da attribuire alla sua origine straniera: … 20% d’invalidità. Invece penso, perché sono straniero, perché
sono con contratto con tante persone che si sono fatte male quasi come io e alcuni non è come io, ma non
è … eh … i punti non è 20% e loro hanno 30, 35 e 40%, che un ragazzo che ha tagliato solo queste due qua
e che queste due [le sue dita mancanti della mano] sono più importanti di quelle [riferimento alle dita dei
piedi]. Ma a lei ha dato 45, a me (2 sec.) 20!
I punti d’invalidità assegnati e la relativa indennità di 237 € sono due elementi sui quali l’intervistato
riflette: … allora, con questi soldi qua (2 sec.) che cosa posso comprare (2 sec.) per mia figlia prima? ...
Allora io ho fatto la contesta.
Contestazione che avverrà con l’aiuto di un avvocato della C.G.I.L., al quale “A” si è dovuto rivolgere per
via di una serie di lettere inviategli dall’I.N.A.I.L. che sono risultate incomprensibili per via del linguaggio
scritto utilizzato: … Quello che io non è capito questa cosa qua. Allora io non devo prendere un avvocato,
ma magari mi arrivano delle lettere de I.N.A.I.L., che io non capisce. A chi deve fare andare a vedere
quelle lettere?
Linguaggio che nemmeno nella ditta dove lavora riescono a comprendere: … ho fatto la fotocopia e lo
porto: “guarda questo è arrivato, potete spiegarmi” e lui tanto mi dice: “No, noi non capisciamo niente,
dobbiamo mandare a chi capisce! …
Ma con l’aiuto dell’avvocato: … non riesco a capire niente [altro giudizio di realtà espresso
dolorosamente] allora sono andato dall’avvocato della C.G.I.L., ho parlato con lui ed è lui che mi ha fatto
fare la contesta, perché non sapevo nemmeno che poteva fare questo
Si compie così un passo che a tutt’oggi non ha avuto ancora un giudizio definitivo. Ma questa vicenda
lascia ancora spazio per un elemento, probabilmente inaspettato e che sembra aver messo in difficoltà
l’intervistato. L’avvocato della C.G.I.L. ravvisa la possibilità di fare causa alla ditta e chiedere così i danni:
… mi ha fatto fare la contesta e [l’avvocato] mi diceva che vediamo tra poco, vediamo se possiamo fare la
causa alla ditta … la settimana prossima ci vediamo … ma non so di che cosa si tratta, non so quando
perché mi ha detto di venire e basta …
La contestazione dei punti d’invalidità, oltre che per i motivi sopracitati, diventa necessaria anche la
scarsa possibilità di trovare un altro lavoro, qualora la sua condizione non gli consentisse più di svolgere la
propria l’attività lavorativa. Questo passaggio dell’intervista è molto importante perché l’intervistato sul
suo futuro e quindi sulle sue possibilità di proseguire la vita in Italia: … se questo lavoro lo perdo, il lavoro
non lo puoi trovare sicuro e con questi 200 € non posso vivere qua in Italia, non è possibile! Allora, quindi
è questa la mia preoccupazione, che se io vedo che è questo, io devo andare via da qui, dall’Italia [Italia
viene pronunciato con un grande sospiro, sgranando gli occhi e guardandomi intensamente] …
E l’unica eventualità pensata qualora diventasse inevitabile lasciare l’Italia, sarebbe quella di un ritorno a
casa in Costa d’Avorio: No, allora lì, tornare indietro perché aiuto c’è lì. Lì, la famiglia tu non puoi lasciare
che non fa niente, no. Allora, l’affitto tu non l’ho paga lì … um … allora, cercare di fare qualcosa con mia
famiglia, ce la faccio, quello non è un problema [il tono di voce si fa sempre più sottile]. (2 sec.) … vedi se
non va, devo tornare indietro. Perché qua nessuno mi aiuta così, nessuno mi dà la casa da dormire. Qua,
se fai la domanda per la casa popolare, quando te la danno?
Possibilità di vivere in Italia che a suo giudizio sono messe a dura prova anche per la rete di sostegno poco
efficace a cui “A” ha fatto affidamento, ossia la rete dei servici sociali. Nella narrazione l’intervistato si
reca 2 volte ai servizi sociali per cercare sostegno per sé e per la propria famiglia. Una prima volta: … sono
andato a parlare con loro e loro mi ha detto: Guarda, che cosa possiamo fare per te, è solo per darti una
… ah … banca alimentare … Allora mia ha mandato alla Caritas di X e ogni tanto andiamo a prendere
qualcosa, un mese, una volta al mese … eh … tu va a prendere e tutto è già scaduto (2 sec.) tutti già
scaduto! …
La seconda volta per richiedere la casa popolare: “Il bando è chiuso! Sono andato tre volte. Quando sono
fatto male, era fresca e sono andato, l’ho fatto vedere e ho detto: “Guarda, ho una famiglia”. “No! Il
bando è chiuso” … e sono andato ancora, ho fatto due, tre mesi e sono tornato ancora e la signora mi ha
detto lo stesso. La parola che mi ha fatto, che ra brutta e che non è il fatto di fare la domanda che ti dà la
casa: “No! Niente a spiegare. Mi ha detto solo che non è il fatto di fare domanda che ti dà la casa. E gli
chiesto se non c’era una casa urgente, o cose così.“No, no, guarda! Non ci parliamo più di questo, vai!”
Le due vicende appena descritte, evidenziano un accesso difficile ai servizi pubblici. Nel primo caso
(interazione con I.N.A.I.L.) l’intervistato si trova ad affrontare i medici che esprimono valutazioni
differenti sulle condizioni di salute del paziente, disorientando lo stesso e non fornendo chiare indicazioni
sullo stato di salute. Oltre a ciò, l’episodio dell’attribuzione dei punti di invalidità, percepita da “A” come
inadeguata alle sue necessità e che lo porteranno a dover intraprendere procedure di contestazione che
aumentano il suo disagio personale, ed evidenziano la mancanza di strumenti utili ad interagire con le
istituzioni pubbliche. Nel secondo caso (accesso ai servizi sociali) l’intervistato non ha mai ottenuto
risposte che chiarificassero l’impossibilità degli assistenti sociali di erogare sostegni alla sua famiglia. Il
disagio personale appena evidenziato, prende forma nelle riflessioni riguardanti il proprio futuro. Se in
precedenza è stato evidenziato come il processo migratorio sia in pericolo per questa famiglia, le ultime
riflessioni in merito alla sua migrazione e a come la realtà dell’Italia e dell’Europa viene raccontata dai
media, dando un’immagine del continente assolutamente lontana dalla realtà. Dalle riflessioni emerge un
quadro comparativo tra il vivere in Italia ed il vivere in Costa d’Avorio: Tutti ti vedono e ti guardano storto
… ci spostiamo per cercare di migliorare un po’ la vita. Non è che non c’è da mangiare, ma migliorare la
vita è un’altra cosa. Quindi se uno può non spostare, è meglio così … nel nostro paese vediamo la
televisione e mostrano che tutti vivono de viletti, de piscina, nessuno soffre! Questo fanno vedere sempre.
Allora tu credi che se vieni qua e me dai qualcosa de pulire, o torna indietro o vive qua. Tu arriva e
un’altra cosa proprio, peggio di dove viveva prima. Si non conosco nessuno, si non c’è dove dormire, non
c’è di che cosa devo mangiare, è inferno questo! … Qua guadagno di più, ma la si vive con meno, perché
c’è mono spese.
Intervista n °. 2: “B” donna ivoriana
Questa è la storia di “B”, una donna di origine ivoriana, giunta in Italia nel 1999. Fin dall’età
dell’adolescenza “B” nutre il desiderio di migrare in Europa, sfruttando le sue competenze nel campo
dell’educazione fisica ed incoraggiata dal padre: ... Se non fai niente qui, vai in Italia! ... Competenze che
non riuscirà comunque ad utilizzare. Arrivata a X dallo zio, “B” si trasferisce a Z ed infine a Y, dove
incontra suo marito. Dopo un breve periodo di tempo vissuto a Y, la coppia si trasferisce a Gambolò, dove
vivono tutt’oggi. La sua narrazione è molto incentrata sulle sue esperienze lavorative, nonché su quelle
del marito, che ha raggiunto all’estero un suo zio in cerca di lavoro. La mancanza del marito acuisce la
mancanza di un luogo di custodia per la figlia di tre anni: Sinceramente non vedo grossi problemi, a parte
il fatto che mio marito non lavora, in questo momento il mio problema è che ciò una bambina, l’unica
problema che vedo eh!, Perché poi uno si arrangia come uno può è (2 sec.). Quando non ci sono le scuole,
dove noi stranieri lasciare i nostri bambini? L’unico problema che vedo! Perché non hai la nonna, non c’hai
nessuno, tue amiche lavorano, dove la lasci?
Il tema della custodia della figlia è un tema che ritornerà più volte nell’intervista, sotto varie forme. In
prima analisi, questo problema si verifica soprattutto durante di periodi di vacanza o nelle festività.
Nell’evidenziare ciò, l’intervistata sottolinea come gli asili siano poco funzionali, soprattutto nei casi di
famiglie nelle quali i genitori svolgono attività che non consente di poter prendere ferie: ... Le maestre le
ferie tre mesi, noi che facciamo i mestieri abbiamo solo agosto! Io non ho ferie a giugno! ... Noi
lavoriamo! … Quindi non posso stare a casa come un … um … un operaio, che se non c’è uno, forse c’è un
altro! Ma a casa, una che fa le pulizie, se non c’è uno, non c’è l’altro, quindi io devo lavorare, e la bambina
dove la lascio?
E ciò comporta la scelta di decisioni che comportano difficili, che creano disagio sia alla madre, sia alla
figlia: Lavoro e la bambina, ho un parente italiano che vive a X e l’ho portata là, una bambina di quattro
anni! ...
Oltre al sostegno di parenti che vivono anche in altri territori, la necessità di un luogo di custodia, risulta
essere avvertita anche da altri madri, amiche dell’intervistata. Si creano così delle reti di mutuo sostegno,
alle quali aderiscono anche madri di altre nazionalità: ... ci siamo organizzate, oggi tocca a te e oggi tocca
a me ... Ho lavorato oggi e l’ho lasciata alla mia amica. Anche la mia amica, in questi giorni lavorava, mi
ha lasciato i suoi figli. Io comincio a lavorare il 29 e anche lei e stavamo pensando: Ma dove li lasciamo
questi figli.
Questa rete creatasi, in alcune situazioni, diventa estremamente importante. L’intervistata, infatti
racconta di una sua amica che vive una situazione lavorativa molto particolare, in quanto lavora in una
città distante da quella nella quale vive e con orari dei pullman di linea che non si conciliano con le sue
esigenze di madre: … l’altra che ha una figlia come me e un anno fa ha perso suo marito, quindi
praticamente non ha nessuno (2 sec.) sono io che la tengo, che sono diventata la tata di quell’altra
bambina e dorme anche a casa mia. Lei lavora al supermercato a X e deve essere là alle 8, e la bambina a
che ora la sveglia? Se deve prendere l’autobus qua! Quindi praticamente l’altra dorme a casa mia …
Il senso materno di “B”, che fa da tata alla figlia della sua amica, portandola all’asilo e offrendole la
possibilità di dormire a casa sua, lascia intendere il desiderio di una nuova maternità, che in questo
momento non può essere succedere. Dal suo racconto, l’argomento sembra essere già stato oggetto di
discussione in passato con amiche, madri più figli: ... No, ciò solo quella! Ha 4 anni e mi chiedono [le
amiche]se mi fermo lì e gli dico sì mi fermo lì, perché con una non ce la faccio e devo fare come le altre
donne ad umiliarmi ancora! No, per adesso aspetto, finché non trovo soluzione. Con una non ce la fai,
almeno con una riesci a chiedere a qualcuno se me la tieni. Però puoi perdere due, tre figli e lasciarli ad
un'altra persona? Per adesso basta così, poi vedremo ...
Le attese davanti agli asili all’orario di uscita dei propri figli, sono momento di condivisione anche con
madri italiane. L’intervistata evidenzia che molti madri italiane manifestano anche’esse la possibilità di
usufruire maggiormente di luoghi di custodia per i propri figli. In questo passaggio, “B” evidenzia come
all’estero, dove il marito è in cerca di lavoro, le strutture pubbliche osservino orari di lavoro più adeguati
e periodi di ferie più contenuti: Anche! Delle volte sento delle mamme italiane che si lamentano. Una che
non ha più i genitori … in Germania … ad agosto i figli vanno a scuola, perché qui no? … non è che a
Natale i genitori stanno a casa, come loro, come i maestri.
L’attività lavorativa è un altro tema importante che viene discusso nell’intervista. Come già detto, il
marito di “B” è all’estero da parenti, mentre la sua attività lavorativa è concentrata come donne delle
pulizie da una famiglia della stessa città nella quale abita. Nella sua narrazione, la scelta del posto di
lavoro è strettamente connessa al grado di rispetto e considerazione che i datori di lavoro esprimono nei
suoi confronti, tanto da far passare in secondo piano l’aspetto della retribuzione oraria: ... Praticamente,
il quel posto di lavoro, 10 anni che sono lì, praticamente da quando sono arrivata … Anche se mi danno,
da un’altra parte, che faccio tutto il pomeriggio, 5 ore, tutta la settimana, mi pagano anche 6 €. Per me è
poco! Ma a me m’interessa come mi trattano … lavorare tutto questa giornata per 700 è pochissimo ...
quelli che lavorano a Milano prendono 1.000 €, 1.200. Però a me non interessa, se io lavoravo a Milano,
non ero lì con mia figlia ... (quest’ultima frase, rivela un aspetto importante che era stato appena
accennato in precedenza e che ora viene maggiormente esplicitato, ossia la lontananza dalla figlia.)
Aiuto e sostegno che, da parte dei suoi attuali datori di lavoro, si sono concretizzati in più occasioni. Dal
dono di vestiti della figlia della signora, oramai adolescente: ... questa qua che ha la bambina di 10 anni,
tutti i vestiti me li dà, tutti i vestitini della bambina, cose così, Quindi … um … mi hanno anche aiutato
delle volte ...
Ad un sostegno di tipo creditizio, dato all’atto di accensione di un finanziamento per l’acquisto di un
automobile: ... Ho preso una nuova X. Y. ... che dovevamo fare, come si chiama, il finanziamento, però ci
voleva anche 1.000 € per prenotarla e lei mi ha dato 1.000 € in prestito! Per me è importante! ...
Sul territorio oltre al sostegno dei datori di lavoro, “B” elogia l’operato dell’A.U.S.E.R. e dei servizi sociali
della propria città. Il sostegno dato riguarda il banco alimentare: Sì, sì! Sono bravissimi, qualche cosa ci
danno, però non a tutti, bisogna fare la domanda e andare dall’assistente sociale, se no non ti danno
nulla. A me mi aiutano, mi danno la pasta, più di così! ...
Senza dimenticare anche il sostegno offerto da una famiglia italiana, suoi vicini di casa, i quali sono bravi,
ogni tanto danno qualche cosa da mangiare.
L’attuale esperienza migratoria del marito, consente all’intervistata di fare un piccolo confronto tra la
situazione lavorativa italiana e quella del paese ospitante: ... Mio marito non ha ancora il permesso ... ma
là il lavoro c’é! Ha già fatto tanti colloqui, solo che se non hai il permesso, non ti permettono di lavorare ...
Sulla base di quanto affermato, Il sistema sembrerebbe molto simile rispetto a quello italiano e facendo
presente ciò all’intervistata, la stessa evidenzia che ... in Italia è diverso perché non fai i colloqui, non c’é
proprio possibilità, mentre in X sì! Se fai i colloqui vuol dire che prima o poi qualcuno ti prende! ...
Il confronto è particolarmente interessante, in quanto evidenzia il grado d’importanza attribuito ai
colloqui fatti dal marito, che in Italia non sono mai avvenuti, come a dire che Italia non c’è possibilità. Tale
confronto nasce a seguito di una domanda inerente sulle altre possibili nazioni dove migrare e che
l’intervistata si sentirebbe di consigliare ad un proprio connazionale. Sebbene, “B” preferisca molto più
vivere in Italia perché qui guadagno un po’! Se ero là avevo tutti i cugini, la mamma di e di là ... se stai là
devi tenere tutti, quindi preferisco stare qua, che sono più tranquilla, anche se in questo momento non
guadagno tanto, ma non con mia figlia .. il consiglio sarebbe quello di restare nel proprio paese di origine.
Per “B” l’attuale momento economico è la situazione lavorativa in Italia sono elementi per i quali non
consiglierebbe una migrazione in Europa: In questo momento, se uno mi dice che deve venire in Europa, io
gli dico: “ Ma hai un po’ di soldi da parte?” Se no, è meglio non venire in Italia, perché in questo momento
è un po’ difficile, veramente! Usa qualche soldo, stai lì che è meglio! Se poi cambieranno le cose ...
Intervista n °. 3: “C” uomo tunisino
Questa è la storia di “C”, un uomo di origine tunisina, giunto in Italia nel 1992. Rimasto clandestino per 4
anni, “C” durante questo periodo facevo lavoretti qua e là ... poi c’è stata ... eh ... come si chiama (2 sec.)
la riforma de Dini in 1996, ho presentato le carte e ho preso il permesso di soggiorno, poi ho fatto la
patente.
Il conseguimento del permesso di soggiorno, è un evento che viene narrato con molta enfasi da parte
dell’intervistato, perché l’uscita dalla condizione di clandestinità gli consente di poter accedere ad una
condizione lavorativa più stabile ... ho sempre fatto il muratore, bene o male, ma dopo che sono diventato
regolare, il capo mi ha fatto l’assunzione e per me stato molto meglio ...
Il miglioramento della propria condizione sociale, consente a “C” di prendere in sposa sua moglie, di
avere figli e di ricongiungerli a sé ... sono andato giù nel 2003 e ho sposato mia moglie. Abbiamo fatto poi
dei bambini. Il matrimonio, l’aver ricongiunto la moglie e la paternità, rappresentano i momenti più
positivi di tutta la migrazione di “C”. Anche l’acquisto della prima casa, avvenuto grazie all’aiuto di un
connazionale suo amico e, nella quale ha vissuto stabilmente con la moglie e il primo figlio, viene
descritto come un momento positivo e di inserimento del tessuto sociale della città ... mio amico
connazionale, che abita qua dal 1987, lui mi ha aiutato a trovare cosa, piccolino in vendita, sono in via X
per fare il sistema e l’ho comprata con pochi soldi, € 35.000, per portare qui mia moglie.
L’anno 2006 viene indicato da “C” come l’anno nel quale incominciano le prime difficoltà, dovute alla
diminuzione prima e alla perdita poi del posto di lavoro. Per “C” e la sua famiglia, non resta che recarsi ai
servizi sociali per chiedere l’alloggio popolare. Questo passaggio è molto importante perché le prime
richieste non vengono svolte a Gambolò, bensì a Vigevano, città nella quale “C” aveva vissuto per poco
tempo ... nel 2006 è iniziata la fatica di vivere. Ogni anno vivere peggio, anche sul lavoro ... nostro
problema è che a Vigevano non hanno dato case popolari ... eh ... perché ha Gambolò non hanno case
popolari ... almeno così dicevano. Quando ho saputo che c’erano case popolari ho cercato ai servizi sociali
di chiedere casa, qualcosa per i miei figli.
I: E cosa ti hanno detto i servizi sociali di Gambolò?
... l’ultima volta che sono andato è stato per contributo di affitto, solo questo possono fare per me. Mi
hanno detto di preparare documenti ... eh ... di fare l’ISEE etc ...
Iniziano così per “C” le prime difficoltà ad accedere ai servizi sociali, nonché ad accedere ai servizi
amministrativi ad essi connessi.
... L’ultima volta che ho sentito qua il Comune di Gambolò, quando il governo Berlusconi ha fatto l’aiuto
per le famiglie numerose di 3 bambini, sono andato dalla signora e ho detto: “Signora devo fare la
domanda lì, non mi ricordo più come si chiama”. “No! No! Quello lo diamo solo alla nazionalità italiana!!”
(2sec.) Sono andato allora in Via X, alla Camera di lavoro [a Vigevano] e loro non mi hanno detto che
dovevo avere nazionalità italiana ... eh ... e niente e ho fatto la domanda, copia per te, copia per
Vigevano, portato al Comune di Gambolò e hanno passano 25/30 giorni e hanno mandato € 500! Me l’ha
dato 3 volto € 500! Io Capisco bene! Quando ha fatto [Berlusconi] quella legge lì, io ho sentito che non era
solo per italiani. Loro [i servizi sociali] dicono “no” per chiudere la porta ... l’altro giorno mi ha telefonato
per avere la sacca alimentare ...
Da questo passo emergono tutte le difficoltà che “C” ha incontrato per accedere al contributo di
sostegno, ma emergono anche le risorse personali al quale ha potuto attingere. La breve esperienza di
abitazione a Vigevano, gli ha consentito di poter accedere ad altri uffici, nei quali ha potuto verificare ed
ottenere quanto era suo diritto avere.
Analoghi problemi si sono verificati per quanto riguarda la somministrazione dei buoni pasto per i propri
figli ... anche problemi per prendere i buoni pasto. Il comune dice che devi pagare e basta e noi non
possiamo più pagare. Adesso fatichiamo per i bambini, portiamo avanti e indietro ...
Nonostante le difficoltà fin qui citate, i bambini di “C” seguono regolarmente la scuola e hanno buoni
rapporti di amicizia con molti dei loro compagni. La moglie ha avuto occasione di stabilire qualche
amicizia con alcune mamme degli amici dei loro figli ... Sì, sì! I bambini sono intelligenti e vanno bene a
scuola. Hanno amici, si trovano, giocano a pallone ... e anche mia moglie, quando va a prendere i bambini
si ferma a parlare con alcune mamme ... um ... no, no! Per quello va bene ... non va bene tutto il resto ...
Questo “tutto il resto” riporta l’intervista sui problemi e alle possibili soluzioni a cui “C” sta pensando ...
l’ultima vota che sono stato in Tunisia era nel 2010. Voleva lasciare là i miei figli a studiare e io qua voleva
cercare di mettere un po’ a posto. Là c’è la casa, devono andare ad abitare con mia famiglia, sono stato lì
un mese e mezzo e ho visto tante cose che non posso lasciare là i miei figli, ma se anche se là è difficile,
succede che prendi e paghi quando puoi nei supermercati. Qui nessuno ti dà niente, là c’è solidarietà. Qui
con questo casino non c’è lavoro.
Dalle parole di “C” emerge un confronto molto forte tra la Tunisia e L’Italia. Sebbene la situazione in
Tunisia sia economicamente più grave che in Italia, “C” ha avvertito un atteggiamento di solidarietà nei
confronti dei bisognosi, che in Italia non ha mai avvertito. Intento di ritornare in Tunisia è molto forte,
così come il giudizio sulla sua esperienza migratoria ... per me 60/70% di tornare là, portare i miei figli e
basta ... Conosci tante che volevano venire qua, dopo i primi giorni comincia a piangere, sbagliato che
sono venuto qua. E’ faticoso veramente!! Non è come negli anni ’90 che un po’ di lavoro c’era. In anni ’90
trovavi lavoro e non trovavi affitti. Faticoso tanto tanto per andare avanti. Sì può lavorare dove vuoi, però
qua la migrazione è faticosa, troppa fatica. Il punto di fatica è la partenza, non capisci la lingua, non
conosci nessuno che ti dà lavoro, le pratiche (2 sec.) il punto di partenza ... In Francia è meglio. Un mio
amico imprenditore di dice che la c’è la crisi, ma c’è più lavoro e, soprattutto più servizi. In Francia è
meglio che in Europa.
4.2 Osservazioni sulla ricerca qualitativa a Gambolò: un’esperienza di campo tra due blocchi di
interviste
L’intervista si è concretizzata dopo un lungo periodo nel quale reperire famiglie disponibili per un
colloquio è risultato assai complicato. I vari contatti stabiliti al fine reperire le ultime 4 interviste nella
città di Gambolò, non si sono risolti positivamente. Sono giunto così alla conclusione che doveva
necessariamente essere tentato un approccio di campo, nel senso che dovevo recarmi in città ed
intercettare per le strade cittadini stranieri disponibili a svolgere l’intervista. Il pomeriggio del 6 di ottobre
mi reco in città e inizio il mio giro esplorativo andando in P.zza del Castello, luogo dove colf e badanti
spesso si ritrovano per condividere la loro pausa di riposo. Arrivato sul posto, purtroppo la piazza era
deserta. Decido così di recarmi in un bar vicino per chiedere informazioni20. Anche in questo caso non
ricevo indicazioni utili al mio scopo. Continuando per il mio tour, finalmente incontro 3 ragazzi
nordafricani e decido di fermarli. Con stupore sento una buona disponibilità al dialogo, benché in quel
frangente non fossero disponibili a prendere futuri contatti. Mi segnalano 2 famiglie, egiziana e rumena,
che potrebbero essere disponibili ad essere intervistate21. Mi faccio dare l’indirizzo e mi reco sul posto.
Mentre cammino, osservo un negozio di cibi etnici che non avevo mai notato. Sembra essere mimetizzato
rispetto alle agenzie immobiliari presenti nella via. Giunto all’indirizzo, non posso a meno di notare
l’edificio diroccato nel quel queste due famiglie vivono, soprattutto, non ho potuto fare a meno di leggere
l’unico cognome scritto con il pennarello sulla buca della posta. La famiglia egiziana in questione è stata
seguita per molto tempo dall’Associazione OLTREMARE, promotrice di questa ricerca. Preso atto di ciò,
ritorno indietro verso il negozio etnico22. Con una certa fatica ritrovo il negozio ed entro, sempre con lo
stesso scopo, riuscire a fissare un appuntamento per una intervista. Il signore mi guarda con sospetto ed
insiste nel dirmi che non capisce quello che dico. Dopo qualche tentativo, quasi scocciato, mi invita a
ritornare verso le 18, quando suo figlio, che parla bene italiano, sarà presente. Finalmente, dopo quasi
due ore, di tentativi mi concedo una pausa. Risalgo in macchina e registro tutte le mie sensazioni.
20
L’incontro con la signora barista è stato uno dei più difficili da gestire, ma molto interessante. Prendendo il caffè,
mi presento chiedendole se tra i suoi clienti ci fossero stranieri. La signora irrigidendosi come una corda di violino,
mi fa cenno di non conoscerne. Spiegandole il perché di questa domanda e la mia necessità di svolgere interviste,
conservo la sensazione che ai suoi occhi io fossi poco di più di un venditore ambulante da assalto.
21
22
Uno dei tre ragazzi tenta di telefonare per sentire se qualcuno della famiglia egiziana, sia in casa.
L’elemento che più mi ha colpito è stato quello di osservare la porta d’ingresso. Il blocchetto della serratura era
stato sfilato, ma la porta era lo stesso chiusa, probabilmente dall’interno. Nell’atrio che precede lo scalone, un
passeggino è parcheggiato tra l’intonaco cadente. Dal piano superiore sento qualche suono arabofono. Il citofono è
guasto e non mi sono sentito di osare gridare qualcosa dalla strada. Intanto, un paio di signore italiane di mezz’età,
mi guardano con sdegno e quando il mio sguardo incrocia i loro occhi, abbassano la testa e riprendono il loro
cammino. Oltre a non riuscire ad intercettare nessun possibile candidato, capisco che le mie passeggiate per la città
incominciano a dare nell’occhio.
Capitolo 5
La ricerca qualitativa nella scuola
(di Mariagrazia Cucurachi)
5.1 Il punto di vista dei docenti sull'ambientamento scolastico dei figli di genitori immigrati
Nell'ambito del più ampio contesto della ricerca sulle nuove famiglie si è deciso di approfondire le
problematiche specifiche relative alla vita scolastica dei figli di genitori immigrati ed alla relazione di
queste famiglie con la scuola.
A tal fine sono stati intervistati tre docenti di cui una dedicata esclusivamente all'alfabetizzazione dei
ragazzi stranieri (sia presso la scuola media Besozzi che presso tre istituti tecnici), e due docenti
responsabili dei ragazzi stranieri per le scuole medie Besozzi e Robecchi. Inoltre sono state intervistate
due mediatrici culturali, una ucraina ed una rumena, grazie alle quali si è avuto un punto di vista diverso
sull'argomento. Agli alunni della classe II L della scuola media Besozzi sono state somministrate delle
schede con domande aperte e si è chiesto ai ragazzi di fare dei disegni.
Alla data 3-2-2011 il totale di alunni stranieri iscritti era di 178 di cui 90 alla scuola media Robecchi e 88
alla scuola media Besozzi.
Da questo lavoro di ricerca emerge che già al momento dell'iscrizione possono sorgere i primi problemi.
Ad esempio vincoli legislativi, in particolare in materia di sicurezza impongono criteri precisi sul numero
massimo di alunni per classe. All'Istituto Tecnico Casale vi sono grosse difficoltà per accontentare i nuovi
iscritti (sia per la determinazione della classe di frequenza che per l'indirizzo del corso) ma non si è ancora
mai rifiutato nessun nuovo allievo. Le classi sono già molto numerose (29-30 allievi) ed a volte, tra gli
iscritti, ci sono anche casi problematici. Nell'anno scolastico 2010-2011 tra dicembre e gennaio ci sono
stati 5 nuovi ragazzi figli di immigrati iscritti, che si è riusciti ad inserire con enormi difficoltà per rispettare
i vincoli burocratici.
Ma se l'ITIS può vantare di non aver mai rifiutato nessuna iscrizione, ciò non vale per altri ordini di scuola:
una bambina non è stata accettata alla scuola dell'infanzia perché i genitori non erano in possesso di
nessun documento eccetto il passaporto. I genitori sono egiziani non parlano ancora l'italiano e versano
in una situazione di particolare disagio economico. La bambina ha frequentato con gran fatica la I
elementare ed ha fatto un grande sforzo per imparare la lingua, non avendo potuto avere nemmeno
l'opportunità di comunicare in italiano alla scuola dell'infanzia, e non avendo potuto giovarsi dell'aiuto di
un mediatore né di altra forma di sostegno una volta iscritta a scuola. L'unico aiuto le è stato dato dalla
parrocchia dove un maestro italiano aiuta i bambini figli di immigrati a fare i compiti. La maestra vorrebbe
che in casa parlassero in italiano, ma loro non lo parlano affatto, tanto che la bambina a volte in casa
parla italiano e si arrabbia perché la madre non riesce a comprenderla. La richiesta di parlare in italiano in
casa o di guardare la tv italiana piuttosto che quella nella lingua d'origine per rinforzare la conoscenza
dell'italiano, è piuttosto frequente ed emerge anche dalle interviste con le docenti. Si tratta di una
richiesta motivata da ragioni molto solide dato che l'apprendimento della lingua è fondamentale per
poter arrivare alla promozione e bisogna familiarizzare bene con la lingua parlata per potersi appropriare
dei linguaggi specialistici delle materie curricolari. Non sempre a questa attenzione si associa la sensibilità
di stimolare ad un sano bilinguismo che permetta al bambino di diventare padrone di entrambe le lingue.
L'ambientamento scolastico degli allievi figli di famiglie immigrate, salvo alcuni casi di cui si dirà, è
generalmente soddisfacente. Per favorire l'ambientamento e l'apprendimento di questi ragazzi vengono
messe in atto diverse strategie. Si utilizzano i mediatori culturali che grazie alla comune conoscenza della
madrelingua riescono ad aiutare rapidamente anche quelli che ancora non conoscono affatto l'italiano.
Durante la prima fase d'inserimento gli allievi si portano fuori dalla classe per lezioni a tu per tu coi
mediatori, successivamente vengono affiancati in classe durante le normali lezioni. Vi sono interventi di
alfabetizzazione affidati direttamente a docenti della scuola utilizzando delle ore in cui tali docenti non
sono impegnati nelle classi. Inoltre va segnalato che, caso unico, nella provincia di Pavia si è fatta la scelta
di distaccare 10 docenti (di cui una da noi intervistata) da dedicare esclusivamente all'alfabetizzazione ed
al sostegno allo studio degli alunni neo inseriti.
Riguardo invece al sostegno allo studio nelle diverse discipline, presso l'ITIS Casale degli studenti
universitari volontari al sabato danno un sostegno specifico ai ragazzi.
Racconta una docente delle medie che di tanto in tanto nei consigli di classe spunta l'idea di una classe
preparatoria di soli figli di immigrati neo ricongiunti che permetta loro di acquisire gli strumenti per
reggere il passo della classe ed entrare nelle classi regolari ma, a parte qualche obiezione, mancano
comunque gli strumenti per farlo. Secondo la loro esperienza varrebbe la pena di provare almeno per
alcune ore alla settimana, anche perché all'inizio nelle ore curricolari i neo-arrivati apprendono e
partecipano davvero poco: “quando arrivano alcuni sono molto intimoriti, fanno fatica a rispondere.
Dopo un mese sono più rilassati, sorridono parlano.”
Le docenti chiedono molto agli interventi di alfabetizzazione nei primi tempi in cui l'alunno è appena
arrivato. Poi ad un certo punto quando l'alunno comincia a comprendere un po' la lingua, pretendono che
l'alfabetizzazione cessi, nonostante i ragazzi facciano ancora molta fatica a reggere il passo della classe ed
a seguire le lezioni, specie in materie in cui i linguaggi sono molto complessi. In matematica non ci sono
grossi problemi perché il linguaggio dei numeri è universale, ma con le altre materie c'è un problema di
linguaggio: descrivere un paesaggio con parole che non si conoscono, ricordare nomi di animali che non si
è mai visti. Per ottenere una promozione non basta la lingua, serve imparare le materie ed i loro linguaggi
specialistici.
I neo arrivati che d'estate rientrano al paese d'origine, rischiano di dimenticare quello che hanno
imparato. Inoltre, per quanto concerne l'ITIS, i ragazzi non possono frequentare i corsi di recupero estivi
organizzati dalle scuole.
I ragazzi latinoamericani, partendo da una situazione linguistica più favorevole (grazie alla somiglianza
delle lingue riescono a farsi comprendere in pochissimo tempo), spesso in una fase successiva si
impegnano poco nello studio della lingua ed il risultato è che, alla lunga, fanno fatica ad imparare
l'ortografia. Spesso i ragazzi che partono svantaggiati perché parlano una lingua troppo diversa
dall'italiano si impegnano di più ed imparano meglio.
Gli inserimenti dei neo-ricongiunti sono tanto più delicati quanto più i ragazzi sono grandi. Per i più piccoli
bastano poche settimane per superare la nostalgia di quello che hanno lasciato, imparare la lingua e fare
nuove amicizie in classe.
Le insegnanti raccontano anche i casi più difficili che spesso vengono affrontati positivamente grazie
all'intervento fondamentale dei mediatori. Purtroppo i recenti tagli economici non hanno permesso per
quest'anno di avvalersi di questo aiuto, cosa di cui i docenti si lamentano moltissimo. Infatti i ragazzi neoricongiunti hanno l'opportunità di trovare oltre ad un aiuto specifico per la comprensione della lingua, in
molti casi anche un confidente ed un alleato che li aiuta ad affrontare i primi difficili momenti
dell'ambientamento.
Come racconta una mediatrice ucraina i bambini piccoli si riprendono subito: “di solito arrivano bambini
ucraini o moldavi che sanno solo buongiorno, grazie. Cominci da zero, il significato della parola. Proprio
tutto, tutto. Anche scrivere. Di solito sanno anche scrivere. Francese e italiano lettere uguali. Chi abita in
campagna usa più il francese”. Come nel caso di una bambina da lei seguita che era appena giunta in
Italia ed era stata iscritta in I elementare. Inizialmente non conosceva la lingua e non sapeva né leggere
né scrivere ma in tempi relativamente brevi ha imparato l'italiano, tanto che, riferisce compiaciuta la
mediatrice, ora conosce tanto bene i verbi da essere lei, di tanto in tanto, a correggerla. “certe volte
anche io mi perdo coi verbi, lei proprio tutti tutti. Io quando interrogo lei guardo il libro perché mi
dimentico e lei invece li sa tutti.“
Un caso un po' problematico è stato ad esempio l'inserimento di una ragazza rumena arrivata a dicembre
al liceo. Molto brava a scuola ma sensibile e timida, soffriva a causa delle prese in giro dei compagni.
Questa ragazza attendeva con ansia le ore da passare con la mediatrice con la quale si sentiva protetta,
ascoltata non più a disagio. La scarsa accoglienza dei compagni di classe, la fastidiosa sensazione di avere i
loro sguardi addosso, aveva caratterizzato la prima fase d'inserimento. Racconta la mediatrice: “mi diceva
che in classe la prendevano in giro, essendo grandi i maschi facevano degli apprezzamenti su di lei, lei non
capiva niente però vedeva sguardi gesti... e soffriva tanto. Molto sensibile, timida. E lei diceva 'meno male
che viene lei, perché per queste due ore non sono lì che mi guardano tutti, che mi sento molto a disagio.”
Per il suo ambientamento è stata determinante la presenza amichevole della mediatrice e di un'altra
ragazza rumena in classe con lei, che era già in Italia da tanto. Dopo un mese già ha iniziato ad ingranare
in classe anche grazie ai dicenti che l'hanno aiutata semplificandole dei testi. Attualmente la ragazza
frequenta l'università.
Caso simile quello di una nostra intervistata, una giovane donna marocchina che subito dopo il
ricongiungimento si è iscritta al primo anno in un istituto professionale ad indirizzo commerciale: “Il
primo anno ho trovato difficoltà, con gli amici mi prendevano in giro perché non parlavo prima bene, non
capivo bene, non conoscevo nessuno, però pian piano... Soltanto un'amica che ho trovato accanto a me
che mi aiutava, che mi spiegava le cose anche con le mani, con i gesti, perché prima non capivo e per
questo ho fatto anche una scuola la sera per riuscire ad apprendere la lingua. Poi il primo anno l'ho
vissuto male perché non ero abituata. Poi il II anno ho cominciato già a prendere la vita qua come si
deve.” La nostra intervistata non è stata aiutata dai mediatori: “i prof (mi hanno aiutata) però non tutti.
C'era anche una di italiano che mi ha aiutato tanto, mi aiutava anche con le parole, con tante cose, invece
gli altri non mi accettavano tanto perché mi davano della straniera, anche mi trattavano come se arrivo
da un altro mondo”
Inizialmente isolati e taciturni in classe, i neo ricongiunti diventano più rilassati e a proprio agio durante le
ore di alfabetizzazione o nei colloqui coi mediatori. Quando escono di classe per andare dalla docente di
alfabetizzazione sono tutti allegri e quando rientrano sono più contenti. C'è sia l'aspetto ludico del poter
uscire, che la contentezza di essere seguiti in modo diverso. In un gruppetto piccolo o in colloqui a tu per
tu si sentono più protetti e le loro competenze e le loro personalità vengono meglio valorizzate. Nelle
micro-classi di alfabetizzazione, composte di non più di quattro allievi per volta, fanno amicizia tra loro
anche se provengono da luoghi diversi. Comunicano in italiano, hanno gli stessi problemi, vivono una
condizione simile. Se sono in classi diverse, si cercano durante l'intervallo. Alcuni anche a distanza di
tempo restano molto isolati, fanno amicizia solo tra stranieri.
“All'inizio tutti hanno problemi, non conoscono nessuno, si sentono persi... a disagio”, spesso prima del
ricongiungimento hanno vissuto coi nonni che li lasciavano fare tutto. Coi genitori, che per lunghi anni
hanno visto solo un mese all'anno, hanno un rapporto strano, non consolidato. Inizialmente sentono
molto la mancanza di questi nonni che per loro hanno surrogato la figura dei genitori. “I genitori per
riempire questo vuoto li coprono di regali, li portano a spasso.”
L'ambientamento di questi bambini ed il loro apprezzamento per lo stile di vita che si fa qui è molto
legato alle esperienze vissute nel paese d'origine. Come racconta una mediatrice rumena: “dipende
anche dove hanno vissuto se era un paesino dove non c'era niente... C'era un bambino che ha detto 'ho
visto i pesci al parco' (con espressione emozionata e stupita) perché nel suo paesino non c'erano i pesci,
né un fiume. Aveva visto solo i pesci per mangiare surgelati e allora diceva: 'non voglio più andare in
Romania.' Le cose semplici erano per loro una cosa affascinante.”
A volte il cambiamento di abitudini di vita può essere vissuto in maniera negativa, laddove si perdono
degli spazi di autonomia a causa di una mentalità locale molto più protettiva nei confronti dei minori. “Ci
sono bambini che vengono da città grandi che non erano contenti. Qua per esempio non li lasciano
andare da soli in giro, in Romania c'è tanta delinquenza, però non come qua, io non lascerei mai i miei
figli andare soli a scuola, in Romania li lasci, a parte prima elementare che li accompagni, poi se hai tempo
sì, sennò van da soli...”
A scuola i figli di genitori migranti raccontano poco di sé. I docenti a volte evitano di forzarli ad esprimersi
in classe per evitare che tentativi maldestri di inclusione si trasformino in momenti di imbarazzo. Si crea
un rapporto di maggiore confidenza coi mediatori. Una mediatrice rumena ci dice che con lei raccontano
moltissimo di sé tanto che spesso otre all'ora di italiano la lezione può protrarsi ancora per un'altra ora
dopodiché: “li vedo andare via sollevati”, “li ascolto, poi li vedo sollevati che vanno nella classe, perché mi
raccontano. 'la maestra secondo te cosa mi ha detto, secondo te perché mi guardano così i compagni, ma
secondo te cosa devo dirgli'. Poi li vedo che stanno bene.” Chiedono in particolare consigli e spiegazioni
sul comportamento dei docenti e dei compagni, chiedono cioè che gli si esplicitino quei presupposti
culturali che gli impediscono di comprendere l'atteggiamento altrui, presupposti che per un autoctono
sono invisibili perché ovvii.
I neo arrivati a volte, per scarsa conoscenza della lingua, danno del “tu” ai docenti ed alcuni di essi ne
sono molto infastiditi perché lo leggono come puro segno di maleducazione, mentre la docente di
alfabetizzazione lo accetta come semplice segno della difficoltà ad esprimersi col più complesso “lei”.
A volte i docenti tendono ad incasellare i casi in modo un po' schematico: “non studia” “non parla”.
Come nel caso di un ragazzo cinese definito come ragazzo che non studia, che parla poco con i docenti e a
volte sembra rifiutarsi di rispondere. Il consiglio di classe prende posizione definendolo un caso non
meritevole e gli viene negato ulteriore aiuto. Nella stessa classe un ragazzo proveniente dalle filippine
viene equiparato al primo, pur essendo arrivato da minor tempo, e quindi anche a lui viene negato un
sostegno specifico per l'alfabetizzazione e l'apprendimento.
I casi negativi più estremi, per fortuna anche rari, a cui non si è trovata soluzione sono casi di rifiuto totale
della scuola e dell'apprendimento della lingua dovuti anche alla probabilità immediata di un rientro nel
paese d'origine. Anche in questi casi tuttavia i docenti hanno notato come gli stessi ragazzi che rifiutavano
di partecipare in classe facendo scena muta con loro, erano perfettamente in grado di comunicare col
gruppo dei pari.
Uno di questi casi estremi è quello di un ragazzo egiziano che frequenta la scuola media solo perché è
scuola dell'obbligo, rifiuta di imparare l'italiano e le altre discipline e durante le lezioni di nascosto studia
testi per la scuola islamica. Neanche l'intervento della mediazione riesce a risolvere positivamente questo
caso in cui il rifiuto per la scuola sembrerebbe dovuto anche al progetto familiare di un possibile rientro.
L'unico spiraglio è dato dal bisogno di socializzazione: se in classe il ragazzo rifiuta di parlare italiano,
viceversa coi compagni, sia dentro che fuori scuola, ha appreso molto bene l'indispensabile per interagire.
Caso simile quello di un ragazzino cinese impenetrabile che sembrava non parlare italiano, non saper
leggere, né scrivere, ma coi compagni riusciva a comunicare perfettamente.
Un caso particolarmente difficile è stato quello di un ragazzo ucraino di 13 anni con entrambi i genitori
alcolizzati, venuto qui con la nonna. Inserito alle medie faceva tante assenze e studiava poco, aveva brutti
voti e stavano per bocciarlo. Questo caso è stato ben risolto grazie all'aiuto della mediatrice ed ad
massiccio intervento della scuola che ha messo a disposizione anche delle ore dei docenti per un aiuto
personalizzato. Il ragazzo era giunto in Italia con la nonna, di professione badante, che parla male
l'italiano e si vergognava della situazione in cui versava il nipote per cui, prima dell'intervento della
mediatrice, faceva fatica ad entrare in contatto con la scuola per affrontare la situazione.
Altro caso difficile quello di una bambina cinese che è spesso addormentata, non ha intessuto relazioni, è
chiusa, isolata. I docenti hanno il dubbio, data la sua costante sonnolenza, che la sera lavori nel ristorante
di famiglia. L'unico referente per le comunicazioni scuola famiglia è uno zio. Le docenti hanno cercato di
affiancarle un altro ragazzo cinese già in Italia da un po', ma la cosa non ha funzionato perché i due
ragazzi hanno litigato.
Come abbiamo visto anche in altri casi, da parte dei docenti si studiano tutte le possibili strategie per farli
inserire ed a volte il ponte linguistico dato da un connazionale può funzionare.
Un'altra casistica problematica riguarda i ragazzi ricongiunti molto grandi che, inseriti in una classe
inferiore rispetto alla loro età, giocano il ruolo di leader negativi in classe e a volte rischiano l'abbandono
scolastico. Per la mancanza di conoscenza della lingua e/o impossibilità di riconoscere il loro percorso
scolastico pregresso, possono essere iscritti in una classe non adeguata alla loro età creando situazioni
difficili. Più grandi dei compagni, refrattari alle regole, più disinvolti e più disinibiti di essi, divengono un
polo di attrazione negativa. Alcuni fumano già e sono a rischio per utilizzo di stupefacenti. Questa
tipologia di studenti presenta tratti simili a quelli dei ragazzi italiani che hanno subito una o più
bocciature.
Una casistica abbastanza rara ma più delicata è quella dei ragazzi stranieri con problemi cognitivi o di
dislessia, data la difficoltà oggettiva di definire una diagnosi finché il bambino non apprenda un livello
minimo di italiano.
Se i bambini ricongiunti da poco riescono normalmente ad inserirsi bene e con una rapidità che è
inversamente proporzionale all'età (per la I elementare possono bastare poche settimane), per i ragazzi
nati in Italia o ricongiunti in età prescolare l'inclusione nel mondo scolastico è pressoché totale. Questi
ragazzi si confondono quasi con gli autoctoni con cui intessono amicizie, condividono il banco, si
incontrano fuori scuola. Una chiave di questa inclusione è data dalla cultura giovanile che massifica ma
unisce ormai a livello globale con le sue mode, la sua musica i suoi oggetti culto, l'uso della tecnologia.
I progetti di educazione interculturale non danno tanti risultati quanto l'istintivo desiderio di
socializzazione e l'adesione ai modelli della cultura giovanile. Un'altra strada di inclusione è data dallo
sport, come è particolarmente evidente nel caso di un ragazzo nigeriano, inserito nella classe in cui si è
svolta una parte della ricerca, giunto in classe solo a maggio ed acclamato quasi come un eroe per aver
permesso alla loro squadra di vincere un torneo grazie ai suoi gol.
I ragazzi nati in Italia o ricongiunti in età prescolare hanno una preparazione paragonabile a quella degli
autoctoni. Compito dei docenti in questo caso è non segregare a livello comportamentale questi ragazzi,
ma trattarli esattamente come gli autoctoni. Come ci riferisce una docente: se sbagliano vanno sgridati e
se non studiano scatta la sanzione, senza falsi favoritismi che servirebbero solo a sottolineare una
differenza culturale e ad isolarli dal resto della classe.
La classe è un organismo complesso dove convivono gruppi con esigenze diverse: ragazzi con handicap,
con problemi di apprendimento, casi socialmente difficili. Non si segnala la formazione di gruppetti su
base etnica che si isolano dal resto della classe, ma generalmente anche fuori scuola i ragazzi si riuniscono
piuttosto su basi elettive. Anche nella II classe dove si è svolta la ricerca la dispersione degli stranieri tra
gli autoctoni si legge anche dalla disposizione dei banchi. infatti i figli di genitori migranti sono distribuiti
in mezzo agli altri ragazzini. Diverso è il caso dei neo ricongiunti che seguono insieme classi di
alfabetizzazione e tendono durante gli intervalli, almeno per i primi tempi, a cercarsi ed a passare del
tempo assieme.
Uno degli aspetti più problematici della vita dei ragazzi figli di immigrati, raccontate dai docenti,
riguardano la solitudine di quelli i cui genitori lavorano lontano e fino a tardi. Ragazzi che sono un po'
abbandonati a se stessi perché non c'è nessuno che si occupi di loro e, ad esempio, controlli che vadano a
scuola o facciano i compiti. Spesso non partecipano ad attività extrascolastiche anche per mancanza di
soldi ed informazioni. Alcuni oratori accolgono per le attività ricreative anche ragazzi non cattolici
permettendogli di avere un punto di riferimento, ma necessiterebbe un progetto per aggregarli ed evitare
che la troppa libertà li porti su una cattiva strada.
Ad esempio un ragazzo proveniente dal nord africa marinava la scuola spesso e semmai veniva fuori
scuola a salutare gli amici; aveva troppa libertà e nessuno che lo controllasse.
Difficile risulta il rapporto tra le madri sole (in genere provenienti dall’Europa dell'est o dall’America
latina) ed i figli maschi, specie se ricongiunti da grandi. Questi ragazzi, che spesso sono stati affidati nel
paese d'origine ai nonni, che in molti casi li hanno viziati, quando giungono in Italia trovano ad accoglierli
delle madri ansiose di colmare il vuoto di una lunga separazione con doni ed atteggiamenti permissivi.
Anche laddove la madre ha un nuovo compagno spesso viene a mancare chi si assuma un ruolo di
autorità riconosciuta dal ragazzo. Inoltre in genere le madri sono badanti che lavorano tante ore fuori
casa e non hanno comunque il tempo di occuparsene in modo adeguato. Presto la situazione sfugge di
controllo alle madri ed i ragazzi rischiano di andare allo sbando, imparando a trasgredire dal gruppo dei
pari.
Le docenti raccontano che alcune famiglie nordafricane mussulmane hanno una serie di tratti positivi che
portano a buoni risultati scolastici: riescono a dare ai loro figli più regole, ad insegnare di più il rispetto
per i ruoli e danno maggiore attenzione al rendimento scolastico. I ruoli familiari ben definiti e
l'attenzione al rispetto per l'autorità si riflettono anche nelle relazioni con la scuola. Queste famiglie,
tendenzialmente con impostazione tradizionale di stampo patriarcale, sanno insegnare ai figli il senso del
dovere ed a motivarli nello studio, sanno dare punti di riferimento saldi su valori e comportamenti, cosa
che, secondo loro, oggi manca a molti ragazzi italiani.
Secondo la mediatrice ucraina la buona educazione, saper obbedire alla madre, sapersi accontentare,
sono valori, che discendono della religione. Sono valori che per lei e la sua famiglia sono particolarmente
sentiti, ma che viceversa non riscontra molto tra i ragazzi italiani.
Va segnalata tra i ragazzi italiani la presenza in sottofondo di una mentalità xenofoba che, a detta dei
docenti, non sempre viene espressa apertamente anche perché i ragazzi sono consapevoli che nel
contesto scolastico certi apprezzamenti non sono ammissibili. I docenti dal canto loro stanno ben attenti
al modo con cui affrontare certi discorsi per evitare che le discussioni di classe prendano una brutta piega
con delicate ripercussioni sulla sensibilità dei ragazzi immigrati.
A questo proposito ci viene raccontato un episodio occorso durante l'ora di religione. Dato che non ci
sono altre attività proposte dalle scuole medie della nostra ricerca, i ragazzini che non seguono l'ora di
religione, che per la maggior parte sono bambini di religione mussulmana, vengono spostati in altre classi
secondo dei criteri precisi; si cerca di individuare una classe dello stesso livello, possibilmente poco
problematica che permetta di ospitare nel migliore dei modi i ragazzini per quell'ora alla settimana. Due
ragazzi mussulmani viceversa avevano concordato di restare in classe a partecipare alle attività proposte
dalla docente di religione. Una volta ci fu una discussione molto accesa sull'immigrazione in cui alcuni
compagni si lasciarono andare a commenti pesanti e poco rispettosi. Da quella volta in poi i due ragazzi
mussulmani non sono più rimasti in aula.
Nelle relazione genitori docenti “non viene detto tutto, viene detto quello che serve”. I genitori immigrati
fanno domande molto semplici e concrete: lo promuovete o no? Chiedono di risolvere problemi reali ed
immediati piuttosto che questioni culturali. Chiedono perlopiù aiuti economici per l'acquisto di libri o per
permettere ai figli di partecipare alle gite scolastiche. Non sempre nella comunicazione è chiara la logica
ed i limiti di questi aiuti: ad esempio una bambina che aveva avuto un aiuto economico per andare in gita
ha chiesto se poteva portare anche la madre e la sorella.
Secondo i docenti intervistati, i genitori immigrati conoscono poco le regole della scuola italiana. Si fa
fatica ad esempio a fare capire che c'è un orario di ricevimento. Una donna non mandava mai la figlia a
scuola di sabato; dopo che le fu contestata la cosa, un sabato verso le ore 12 la donna telefonò a scuola
chiedendo se potesse mandare la figlia a scuola in quel momento, quando la mattinata era ormai finita e
le lezioni quasi concluse. Da questo episodio i docenti hanno concluso che probabilmente la donna non
aveva alcuna idea dell'orario delle lezioni.
Un caso ancora più eclatante della difficoltà di far comprendere opportunità e metodi della scuola italiana
è quella di un bambino che aveva avuto un'insegnante di sostegno per delle problematiche specifiche e
successivamente la madre aveva chiesto lo stesso intervento per il fratello minore.
Secondo i docenti molti genitori vengono a parlare solo se chiamati e a volte neanche se convocati
espressamente laddove non possano assentarsi dal lavoro. Specie alle superiori i ragazzi se la devono
cavare completamente da soli. Alcuni ragazzi surrogano il ruolo dei genitori per l'accudimento dei fratelli
minori a loro affidati e sono costretti fanno assenze quando i fratellini sono malati. Quando i genitori
lavorano fino a tardi ciò crea un vuoto di autorità anche nelle relazioni scuola famiglia. Sia per scarsa
conoscenza della lingua che per tipo di lavoro che assorbe tantissimo tempo, i genitori sono spesso
assenti. Capita spesso ad esempio che le mamme mussulmane, che più spesso sono casalinghe,
conoscano poco l'italiano. A volte i genitori sono sostituti, nella relazione con la scuola da altri parenti
senza una motivazione dichiarata esplicitamente (problemi di lingua, lavoro lontano e/ tutto il giorno). Di
conseguenza ad esempio a.
Su questo si innesta in taluni casi la malizia di alcuni allievi che ne approfittano per comunicare ai genitori
solo quello che gli conviene, traducendo di volta in volta solo quello che vogliano, specie riguardo a
profitto ed assenze.
Nel tentativo di spiegare ai genitori alcune regole principali della scuola presso l'ITIS Casale si è
predisposto un opuscolo, per ora solo in italiano ed in inglese, e si è organizzata una riunione con i
genitori dei ragazzi arrivati da poco per illustrare il funzionamento della scuola e le sue regole. Ma
nonostante gli sforzi encomiabili l'abitudine a dare per scontate delle premesse, che per la nostra
esperienza risultano ovvie, non sempre la comunicazione è stata completamente efficace. Ad esempio la
docente racconta degli sguardi interrogativi dei genitori quando si parlava delle bacheche in cui vengono
affissi i voti di fine anno. Ciò nonostante, come spesso accade, nessuno ha avuto il coraggio di esprimere
le sue perplessità, superando quel muro di rispettosa timidezza e timida reverenzialità che a volte
contraddistingue il modo di questi genitori di rapportarsi con l'autorità dei docenti.
Gli intervistati della ricerca con figli in età scolare hanno affermato tutti di avere ottimi rapporti coi
docenti dei loro figli e di non aver avuto alcun problema nella relazione con essi. Risulta una grande
fiducia di molti di questi genitori nella scuola e un grande apprezzamento per i docenti ed il loro lavoro
come emerge da questo brano in cui l'intervistato racconta i progetti futuri per la su famiglia. “Vorrei
cercare un lavoro prima, sistemare un lavoro, poi vediamo di finire di far studiare la mia famiglia qua. Io
voglio i bambini di stare qua per studiare anche, mi piace la scuola degli italiani”
Talvolta le docenti percepiscono quanto sia difficile per talune famiglie, in particolare mussulmane,
entrare in relazione con una donna che rappresenta l'autorità.
I docenti vorrebbero che i genitori fossero più presenti e partecipativi nel contatto con la scuola, che non
dessero per scontata l'integrazione dei loro figli, delegando questo compito alla scuola.
Per i genitori la scuola può essere, se non un fattore di socializzazione, almeno un luogo dove sentirsi
inclusi. Fuori scuola i genitori dei compagni di classe si salutano e le relazioni amicali strette dai figli
includono le rispettive famiglie nel giro delle feste di compleanno e degli incontri nei luoghi pubblici come
ad esempio i giardinetti dove giocano i bambini più piccoli.
5.2 la ricerca qualitativa in una scuola di Vigevano
La scuola Besozzi ha una struttura nuovissima costruita da pochissimi anni, con un androne molto ampio
e luminoso pieno di cartelloni che raccolgono foto di gare sportive, in posizione appena più defilata due o
tre grossi armadi scuri a vetrina dall'aspetto antico e imponente stracolmi di trofei sportivi vinti da ragazzi
e da squadre della scuola in diverse discipline sportive.
Nella classe II che ci è stata affidata, sono state somministrate delle schede con domande aperte e si è
chiesto ai ragazzi di fare dei disegni. La classe è composta di ragazzi con ottimo rendimento, i ragazzi mi
vengono descritti come svegli, semplici, diretti, allegri e generalmente più tolleranti rispetto ad altre
classi. Anche in questa classe lo sport è molto amato anzi addirittura l'anno scorso il preside l'ha premiata
come la classe in cui si sono vinte più gare ai giochi.
Se come abbiamo già visto, non si verificano classi con gruppetti di stranieri che si isolano dal resto della
classe ma, in genere i ragazzi di origine immigrata riescono ad amalgamarsi al resto della classe, questa
classe non fa' eccezione. Non c'è un gruppetto staccato dal resto della classe ma ognuno ha trovato un
suo spazio e delle sue relazioni preferenziali, come mostra già in modo evidente la disposizione dei
banchi, con i figli di genitori immigrati dispersi tra gli altri.
Nella classe ci sono cinque ragazzi figli di immigrati di cui quattro sono nati in Italia o ricongiunti da
piccolissimi (scuola dell'infanzia o I elementare). C'è un ragazzo moldavo V., un ragazzo egiziano Z., una
ragazza marocchina S. nata in Italia e un ragazzo albanese K. Solo un ragazzo nigeriano H. è in Italia poco
tempo ed ha alle spalle una situazione familiare e sociale più complessa. Gli insegnanti, a cui è stato
comunicato poco della sua situazione, mi spiegano che il ragazzo vive in comunità ed è stato trasferito in
questa classe da un mese, per allontanarlo da suo fratello ed anche a seguito di una lunga sospensione da
scuola. Nonostante sia in classe da poco e nonostante non sembrerebbe esprimere particolare
buonumore né grande socievolezza, stato molto ben accolto dai compagni anche perché particolarmente
bravo nello sport. Pare che il suo personale contributo nella forma di un gol abbia permesso alla loro
squadra di vincere un torneo di calcio. Si segnalano tra l'altro cinque disegni a sfondo sportivo in uno dei
quali compare H. che gioca. Nei testi prodotti in classe H. scrive che vivendo in un paese straniero: “i
primi momenti un po' difficili ma poi prendi l'abitudine”.
Un'altra ragazzina S. dai lavori fatti in classe si presenta serena e introversa si dimostra incuriosita dal
Marocco che è il suo paese d'origine ma che conosce poco. La incuriosiscono il profumo delle spezie ed i
matrimoni ma immagina di trovarsi molto male in Marocco: “malissimo soprattutto a causa della lingua
che non capirei”. Dal complesso dei suoi testi emerge un rapporto sereno coi docenti di cui sembra
sentire lo sguardo benevolo su di sé.
Il ragazzo di origine albanese alla domanda su cosa farebbe per star bene se dovesse trasferirsi in un
paese straniero risponde: “cercherei di abituarmi alle regole della scuola” frase che dimostra spirito di
adattamento e atteggiamento rispettoso e aggiunge: “all'inizio mi sentirei solo, imparerei la lingua e farei
compagnia con altri” e “imparerei la loro lingua fino a quando non lo parlerei perfettamente”.
Quest'ultima affermazione lascia intravedere un impegno volitivo ed una consapevolezza delle proprie
potenzialità.
Va segnalata una bella amicizia tra ragazzo italiano S. e il ragazzo albanese K. entrambi inseriti a inizio
anno nella classe a seguito di trasferimento da due classi diverse. I due, che sono amici anche fuori di
scuola, fanno due disegni perfettamente speculari: ciascuno di essi disegna se stesso, il compagno ed una
professoressa in classe in una situazione di vita scolastica descritta in modo ironico. Sembra quasi che si
siano messi d'accordo perché oltre ad avere esattamente la stessa struttura, e gli stessi elementi i due
disegni sono perfettamente a specchio: se in uno la porta e la professoressa sono disegnate a destra
nell'altro sono simmetricamente a sinistra. Particolarmente significativa la vignetta di K. in cui lui (che è di
origine albanese) chiede al compagno (italiano) se ha capito cosa ha spiegato la professoressa ed il
compagno risponde “no!”. Se ad una prima lettura si potrebbe inferire che l'alunno abbia operato un
ribaltamento di ruoli ponendo il compagno italiano nella condizione di chi fa fatica a comprendere, molto
più probabilmente la vignetta va letta nel senso di una sintonia, che emerge anche dalla composizione
simmetrica dei due disegni, e dal sentimento dell'empatia. La differenza tra chi ha genitori italiani e chi
no, con gli anni tende a diventare più sfumata ed emerge quella complicità ludica della consapevolezza di
trovarsi esattamente nella stessa barca, distratti durante le spiegazioni dei docenti, soggetti alle stesse
interrogazioni, ugualmente desiderosi di svagarsi durante l'intervallo. Il sentimento della comune
condizione si associa all'ironia garbata del prendersi in giro a vicenda e della capacità di guardare le cose
con leggerezza e dal di fuori.
Alle domande su come si sentirebbero a vivere in un paese straniero, la classe si divide a metà: una parte
sottolinea pur con qualche nota triste la capacità di farcela ad affrontare una nuova situazione se non
addirittura un atteggiamento gioioso, immaginando di andare a vivere nel proprio paese ideale, un'altra
parte esprime maggiori elementi di disagio e di difficoltà nell'ipotizzarsi in un altro luogo: mi sentirei “un
po' spaesato all'inizio poi mi abituerei”, “all'inizio un po' strano e isolato” “mi spiacerebbe abbandonare i
miei amici”, “triste perché lascio la città in cui ho abitato per molti anni” “la nostalgia verso l'Italia...
sparirebbe dopo anni e anni...” “non avrò tutto quello che ho qui”. In particolare quest'ultima frase lascia
intravedere una consapevolezza della propria condizione come di una condizione privilegiata.
Alla domanda su cosa farebbero per stare bene in un paese straniero rispondono: “mi abituerei ad
utilizzare i loro modi di essere e di comportarsi, sempre se non siano dei bulli” “entrare a far parte dei
loro gruppi” “essere più amici con loro, aiutarli nei momenti di difficoltà” “mi comporterei bene” “essere
gentile e stare agli scherzi” “scherzare e fare battute”.
Tra te strategie di inclusione non a caso viene citato anche scherzare, visto che prendere in giro o
reciprocamente essere presi in giro è un tema ricorrente nei lavori di molti di loro. Scherzare per fare
nuove amicizie, saper ridere insieme anche nel senso più bello: “è bello quando tutti ridiamo di qualcosa
che ci accomuna, e ci divertiamo anche con i prof. “
Inversamente alcuni, in particolare tra le ragazze tutte italiane, lamentano l'angheria dell'essere presi in
giro, cosa che brucia spesso anche ai figli degli immigrati specie nei primi tempi: “l'anno scorso è passato
benissimo ma quest'anno un po' meno perché ci sono state molte prese in giro per tutti” afferma una
ragazzina italiana.
Tre ragazzine disegnano scene di prese in giro due sono riferite a se stesse. Una disegna se stessa
arrampicata sulla pertica che dice “ho paura” mentre dal basso sale un coro di risate. Nella seconda la
protagonista ride perché la sua compagna ha fatto bruciare un composto durante un esperimento di
chimica. Un'altra fa un disegno più complesso diviso in due parti: nella prima viene aggredita perché
propone una sua idea ai compagni, nella seconda viene derisa perché chiede una spiegazione alla
docente.
In taluni casi sembrerebbe che essere presi in giro possa diventare un'anticamera della ghettizzazione.
Come ergere dalle parole di una ragazzina che se la prende con “quelli che sono 'IN', che sono popolari e
che sono i prediletti dei prof.”. Riguardo ad una gita scolastica sostiene di non essere stata voluta in
stanza dalle compagne “anche se sono ITALIANA” (nel testo originale la parola è sottolineata più volte). La
frustrazione per la difficile relazione con i compagni si sfoga in affermazioni indirettamente xenofobe.
Anche in questa classe c'è un sottofondo di mentalità xenofoba che non sempre emerge. I ragazzi sanno
che in classe certe cose non possono dirle e si auto-censurano. Le insegnanti sanno che basterebbe poco
a far scoppiare la miccia e stanno attente a come proporre certi argomenti più scottanti.
Questa mentalità emerge senza freni dai materiali redatti in classe durante la ricerca: sapere che gli
insegnanti non li avrebbero letti ha permesso ad alcuni di loro di mettere a nudo questo cono d'ombra
esprimendosi con apprezzamenti direttamente o indirettamente xenofobi che tradiscono insofferenza e
pregiudizi nei confronti degli immigrati. Ad esempio alcuni dicono di non amare i parchi e i giardinetti per
la presenza di “sporco” e “brutta gente” ma sappiamo anche grazie alle interviste fatte che sono proprio
gli immigrati degli assidui frequentatori di parchi e giardinetti, luoghi di incontro di ritrovo e di svago. Una
ragazzina esprime in modo aperto e semplicistico il suo punto di vista: “le stradine vicino casa mia” non
mi piacciono “perché spesso ci sono gli zingari o i marocchini”. Un'altra articola il discorso in modo più
complesso: “non mi piace via dei mulini, non mi sento bene, a mio agio quando passo per quella via. A
volte ho addirittura paura. Perché si concentra tutto quel che c'è di male nella città. Ci sono tanti
marocchini che credono di essere a casa loro e quindi fanno quello che vogliono mettendo a disagio quelli
come me: 'stranieri' nella propria città. Mi sento così anche se sono italiana.”
Un'altra ragazza afferma che in un paese straniero si sentirebbe: “male perché io adoro l'Italia tranne
però tutti i marocchini e stranieri, non vorrei essere razzista 'ma non potrebbero starsene a casa loro'”.
La domanda sui luoghi preferiti della propria città ci dà conferma di due dati: uno è il forte interesse per
lo sport, visto che la metà degli allievi segnala come luogo preferito impianti sportivi di diversa natura. Il
secondo dato è l'amore e l'apprezzamento per la piazza ducale designata da alcuni semplicemente come
“la piazza”. Mette d'accordo tutti, italiani ed autoctoni, luogo piacevole per eccellenza dove ci si diverte,
si passeggia con gli amici o con la famiglia, si fanno acquisti, si compra un gelato. K., il ragazzino di origine
albanese, disegna persino se stesso e la sua famiglia a spasso nella piazza ducale abbozzando il profilo dei
merli e la torre con l'orologio ben delineato.
L'attaccamento alla propria città e l'espressione di un benessere generale nel proprio ambiente emerge
anche da un altro dato: ben tre alunni non hanno saputo indicare un luogo meno piacevole nella propria
città ed hanno lasciato in bianco le domande relative a questo argomento.
L'ultima domanda verteva sul racconto di un momento bello e un momento brutto della storia della
propria classe
Nella domanda su un momento bello della storia della loro classe risaltano, momenti di vita sportiva
come le vittorie di trofei, i momenti ludici come un episodio accaduto in gita ed alcuni citano l'arrivo di
nuovi compagni e cioè K. il ragazzo albanese, S. italiano, e da pochi giorni H. il ragazzo nigeriano. Un
compagno afferma: “il momento che ho deciso di raccontare è che quest'anno abbiamo avuto in classe 3
nuovi compagni”. Un altro compagno scrive: “è arrivato H., molto simpatico, che ha aiutato la classe ad
andare avanti in questi ultimi giorni”. K. Si spinge molto oltre: “questo fatto è successo da poco e quindi
non siamo ancora molto amici, ma sono sicuro che lo diventeremo”.
In complesso sono ben sei ragazzini a menzionare l'arrivo dei nuovi compagni, ed in particolare di H.,
come il momento più bello dell'anno, elemento che conferma la buona capacità di accoglienza di questa
classe rispetto ai nuovi venuti.
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Allegato 1
Traccia di intervista per le famiglie immigrate
Racconto della storia familiare
Chi è arrivato per primo? Quando siete arrivati in Italia (per ciascun membro della famiglia)? Perché siete
partiti? Come sono stati i primi tempi a V.? Cosa pensate di fare in futuro (restare, ritornare, spostarsi)?
Racconto di una giornata tipo
Come si svolge la vostra giornata (per ciascun membro della famiglia)?
Per ogni ambiente o spazio cittadino citato: come ci si sente lì? Con quali persone si entra in relazione?
Che tipo di relazione? In che lingua si comunica? Che atmosfera si respira?
Quali sono i rapporti con i vicini di casa? Ci si scambia dei favori? Si fanno delle attività insieme?
Il tempo libero
Come si passa il tempo libero a V.? Che avete fatto ad es. il fine settimana scorso (per ogni componente
della famiglia)? Quali opportunità di svago ci sono per la famiglia e per i suoi singoli membri? Quali luoghi
di aggregazione si frequentano? Con quali persone? Andate a fare visita agli amici (italiani o stranieri)?
Quali sono i luoghi preferiti della città? Che attività vi svolgete? Con chi? In che lingua comunicate?
Difficoltà e necessità:
Quali difficoltà principali avete avuto qui (salute documenti lavoro scuola etc.)? Come li avete affrontati?
Quali persone vi hanno aiutato? Quali istituzioni?
Che consiglio dareste ad una famiglia immigrata per stare bene a V.
Allegato 2
Questionari per i bambini
I scheda
Qual è il luogo della tua città che preferisci?
Come ti senti quando se lì?
Che attività vi svolgi? Con chi?
Qual è il luogo della tua città che ti piace meno?
Perché non ti piace?
Che attività vi svolgi? Con chi?
II scheda
Quale paese straniero ti incuriosisce di più?
Cosa ti incuriosisce?
Immagina di andare a vivere in un paese straniero. Come ti sentiresti?
Cosa faresti per stare bene a scuola?
Cosa faresti per stare bene coi compagni?
III scheda
Racconta un momento bello della storia della tua classe
Racconta un momento brutto della storia della tua classe
Disegno 1
Disegna te stesso e la tua famiglia in un luogo della città
Disegno 2
Disegna te stesso in un momento di vita scolastica