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Extrait de la publication Virgola / 76 Virgola / 75 Extrait de la publication La serie «Canzoni» delle Virgole è ideata e coordinata da Dario Salvatori Volumi già pubblicati Paquito Del Bosco ’O sole mio. Storia della canzone più famosa del mondo Paolo Prato White Christmas. L’America e la reinvenzione del Natale Dario Salvatori Rock Around the Clock. La rivoluzione della musica Carlo Bixio, Franco Bixio, Sabina Ambrogi Mamma. Alle origini di uno stereotipo italiano Maria Cristina Zoppa Nel blu, dipinto di blu. Modugno, 1958. «Volare» e il sogno possibile Alfredo Saitto Yesterday. 1965. La canzone perfetta Fabio Canessa Azzurro. Conte, Celentano, un pomeriggio… Lorenza Fruci Mala femmena. La canzone di Totò Paola De Simone Odio l’estate. Bruno Martino e il più famoso standard jazz italiano Melisanda Massei Autunnali CARUSO Lucio Dalla e Sorrento, il rock e i tenori DONZELLI EDITORE Extrait de la publication © 2011 Donzelli editore, Roma Via Mentana 2b INTERNET www.donzelli.it E-MAIL [email protected] ISBN 978-88-6036-563-7 Extrait de la publication CARUSO Indice I. p. II. La creazione 1. Un viaggio nel passato 2. Ti ricordi, Paolina, com’era bella quella stanza? 3. L’arte è popolare 13 16 19 III. Arriva Caruso 1. Il solito Dalla? 2. Lucio Dalla e la canzone napoletana 3. Lucio Dalla e l’opera 4. Una miscela pericolosa 25 27 32 41 IV. Caruso sbarca nell’anno 1986 1. La musica imperante 2. Il pubblico 3. Nel bel mezzo di un anno caotico 4. Un trionfo inaspettato 5. In fuga dai media: il tour 45 48 51 56 60 V. 65 67 70 72 73 76 Dall’America… Caruso 1. Le radici di un successo 2. Live in America 3. Un inedito particolare 3 6 10 Con Pavarotti alla conquista del mondo 1. Alla ricerca del pubblico internazionale 2. Una questione di incontri 3. Un’amicizia 4. L’America come destino 5. Pavarotti & Friends 6. Il cerchio si chiude V Extrait de la publication Massei Autunnali, Caruso VI. VII. 95 100 Autocover e cover 1. Caruso per Dalla 2. Caruso per gli altri 3. Come si diventa un classico 81 85 90 Dalla dopo Caruso 1. Primi approcci 2. Tosca e le altre Appendice Italian Tenors 113 126 134 139 1. Enrico Caruso 2. Campanini, Gigli e gli altri 3. Luciano Pavarotti 4. Andrea Bocelli 143 Incisioni di Caruso 151 Cantanti o gruppi nei titoli di canzoni 153 145 Elenco delle illustrazioni 148 149 VI Extrait de la publication Caruso Alla mia famiglia «Quando torni, porta un grammofono». «Porta buoni dischi d’opera». «Porta Caruso». «Non portare Caruso. Abbaia». «Di’ la verità che ti piacerebbe abbaiare come lui». (E. Hemingway, Addio alle armi) Extrait de la publication Le interviste presenti nel volume sono state realizzate dall’autrice: Adriano Aragozzini (14 gennaio 2011), Gianfranco Baldazzi (29 novembre 2010), Angela Baraldi (12 novembre 2010), Roberto Costa (10 dicembre 2010), Beppe D’Onghia (12 gennaio 2011), Michele Mondella (12 gennaio 2011), Michele Torpedine (20 gennaio 2011). Extrait de la publication CARUSO I. Dall’America… Caruso 1. Le radici di un successo. «La canzone italiana che più mi piace cantare? Caruso, di Lucio Dalla. Ogni volta mi commuove»1. Le parole, appassionate e sincere, sono di Julio Iglesias, ma potrebbero essere state pronunciate da centinaia di cantanti: sono tanti infatti gli artisti che in tutto il mondo, almeno in un’occasione, in un disco o in un concerto, da soli o in duetto, hanno avuto la possibilità di interpretare la canzone che il grande cantautore bolognese scrisse durante l’estate del 1986. Per la maggior parte sono stranieri: indice di uno straordinario successo planetario che, almeno nel periodo compreso dalla sua nascita a oggi, ne fa la canzone italiana più eseguita al mondo e insieme la più popolare. Molti interpreti, del resto, sono autentiche celebrità. Oltre a Iglesias, Lara Fabian, Mercedes Sosa e Josh Groban sono solo alcuni degli artisti che l’hanno inserita nel proprio repertorio discografico. Al di fuori dei dischi, brillano le performance di Ute Lemper, Teresa Salgueiro e, soprattutto, Celine Dion. Anche gli italiani fanno sul serio, specie se guardiamo ai numeri: qualsiasi artista, giovane o meno, esordiente o meno, che voglia mettersi alla prova o esibire le proprie qualità vocali davanti a un pubblico, deve passare attraverso quelle strofe in continuo smorzando e crescendo, e soprattutto deve avventurarsi sulle celeberrime note del ritornello che improvvisamente si alzano e poi di colpo si abbassano, sollecitando al massimo anche le ugole più attrezzate. Un inevitabile banco di prova, che per di più chiama ciascun nuovo interprete a fare i conti con le versioni di Andrea Bocelli e 1 Julio Iglesias in E. Franceschini, L’incontro, in «la Repubblica», 28 gennaio 2007. 3 Extrait de la publication Massei Autunnali, Caruso Luciano Pavarotti, principali artefici della fama di Caruso nei quattro angoli del pianeta. La questione, però, non è solo tecnica: avere una buona estensione, infatti, non basta. Le difficoltà sono anche puramente interpretative: Caruso è una canzone che costringe il cantante a uscire allo scoperto, a mettere a nudo il proprio animo. Il tema, d’altronde, non è uno scherzo, anzi: sulla scena ci sono gli ultimi giorni della vita di un uomo, Enrico Caruso, il tenore più famoso di tutti i tempi, innamorato e condannato a morte da una malattia ormai alle ultime battute. Un test emotivo devastante, che impone di dare sfogo a un profondo struggimento, a patto però che esso sia reale: il pubblico sa smascherare bene le finzioni. Caruso o si canta fino alla commozione, come fa Iglesias, o è meglio evitare. Eppure, nonostante gli scogli che presenta, questa canzone costituisce una tentazione fortissima, a cui pochi hanno saputo resistere. Le versioni discografiche esistenti sono talmente tante che le copie vendute hanno raggiunto la cifra astronomica di trentotto milioni; di cui nove si riferiscono alla sola versione di Luciano Pavarotti; Bocelli ha contribuito a venderne circa venticinque milioni. Per quanto riguarda gli album che contengono versioni di Caruso, tre milioni di copie ha raggiunto «Crazy» di Iglesias, e altri numeri importanti arrivano da «Closer» di Josh Groban (secondo nella classifica Canadian Albums stilata da «Billboard», con una permanenza in hit parade di venticinque settimane), da «Second Nature» del mezzosoprano inglese Katherine Jenkins (primo tra i Classical Albums delle classifiche inglesi) e da «Siempre» del gruppo Il Divo, primo nelle chart di molti paesi europei. Lo stesso Lucio Dalla, inoltre, tra l’album di origine «DallAmeriCaruso» e le varie riproposizioni e compilation, ha venduto più di un milione di copie. Per rendersi conto del successo della canzone, è sufficiente d’altronde un veloce passaggio in internet, verificando le migliaia di video presenti su YouTube. Ma da dove nasce un successo del genere? Caruso è stata scritta ufficialmente nel 1986, come si è detto, ma in realtà è nata parecchi 4 Extrait de la publication Dall’America… Caruso anni prima, inscritta com’è nella tradizione della grande canzone italiana; è uno di quei brani straordinari concepiti – come Nel blu, dipinto di blu, Un amore così grande – affinché l’interprete, nell’inciso, liberi tutta la forza della propria vocalità ed estenda il proprio sentimento incontenibile fino alla platea. Caruso è la nostra storia: l’eredità della romanza, dell’aria dell’opera, ma anche della canzone napoletana, che non di rado proprio alla lirica e ai suoi principali esponenti ha dovuto appoggiarsi per superare le frontiere e diventare famosa in tutto il mondo. Concepita come brano inedito – registrato in studio – del primo album live della carriera di Lucio Dalla (il primo, cioè, non in condominio con altri), ha finito col diventare un ponte importante tra l’opera e la musica leggera. «Se canto il pop è colpa di Caruso»2, ha dichiarato una volta Luciano Pavarotti. Se Pavarotti non l’avesse cantata e non si fosse quindi definitivamente «contaminato» con la musica leggera, difficilmente sarebbe nato l’operatic pop, il nuovo genere musicale destinato ad avere fortuna pochi anni dopo. Il successo planetario di Andrea Bocelli, perciò, è un’altra conseguenza più o meno diretta di Caruso. Ed è accaduto anche l’inverso: se Dalla si è potuto permettere di fare ufficialmente capolino nella lirica e scrivere un rifacimento della Tosca pucciniana, la «colpa», in qualche modo, è anche di Caruso. Il grande successo della canzone si spiega quindi con il fatto che il pezzo ha dato alla platea mondiale esattamente quello che la platea mondiale si aspettava dall’Italia. La quale, che lo si voglia o no, resta sempre la patria del bel canto e – in seconda istanza – la patria di un cantante leggendario che aveva nome Enrico Caruso. Un successo incredibile, dunque, e in base al quale nessuno ormai può dire di non sapere cosa accadde sulla vecchia terrazza, davanti al golfo di Sorrento, lì dove il mare luccica, e dove, soprattutto, un uomo stringe fra le braccia una ragazza, «dopo che aveva pianto». Luciano Pavarotti in Big Luciano al Moulin Rouge, in «la Repubblica», 1° ottobre 2003. 2 5 Extrait de la publication Massei Autunnali, Caruso 2. Live in America. Il 13 marzo 1986 un lussuoso aereo intercontinentale partiva dall’aeroporto milanese della Malpensa alla volta di Toronto. Della spedizione facevano parte il noto cantautore Lucio Dalla, i cinque membri della sua storica band di supporto, gli Stadio, che per l’occasione tornavano a suonare con lui, il suo fonico Roberto Costa e la giovane cantante Angela Baraldi, poco più che ventenne, scritturata come corista. In più, il loro produttore Renzo Cremonini, il tour manager Ivano Amati, il grande fotografo Luigi Ghirri e qualche giornalista. Il primo concerto dell’attesissima tournée si tenne il 16 marzo, presso la Convocation Hall. Il secondo, il 18 marzo, al Club Spectrum di Montreal. Il giorno dopo il gruppo si spostò negli Stati Uniti. Prima tappa, Boston, dove Dalla e i suoi si esibirono al Berklee Performing Arts Center. A ospitare i concerti non furono mai luoghi tradizionalmente riservati a un pubblico italiano o italoamericano, ma sempre spazi destinati generalmente alla musica americana. Il Berklee Performing Arts Center, ad esempio, è il teatro del Berklee College: qui Dalla, nonostante la fortissima componente italiana della popolazione di Boston, si era esibito davanti a un pubblico costituito in gran parte, oltre che da giovani emigrati di quarta e quinta generazione (e quindi americani a tutti gli effetti), dagli studenti del college. L’indomani, infine, Dalla e il suo gruppo raggiunsero New York, dove la sera del 23 era fissato l’appuntamento al Village Gate, storico tempio del jazz mondiale. Quando l’aereo avvistò lo skyline della Big Apple con l’Empire State Building e il World Trade Center, la radio stava suonando un pezzo di Jimi Hendrix. L’emozione paralizzò i respiri e illuminò gli sguardi: se già il primo volto che l’America mostrava era così seducente, le premesse c’erano tutte per fare di quel viaggio un viaggio indimenticabile. Così fu. Così come era nelle speranze, quello del Village Gate fu il concerto più importante della tournée: metà italiani e metà americani erano gli spettatori dei due show che Dalla e la sua band tennero in 6 Extrait de la publication Dall’America… Caruso una sola sera, il primo alle sette, il secondo alle dieci e mezzo. Nella piccola sala stracolma il pubblico di casa tese le orecchie e poi sgranò gli occhi. Molti di loro non sapevano chi fosse Lucio Dalla, quanti dischi avesse fatto e soprattutto perché non ne avessero mai sentito parlare. «But… is good, really good!»3, commentarono, e a piccoli gruppi iniziarono a battere le mani e a muovere a tempo i piedi. Il cantante era raggiante, e tenne altissimo il ritmo del concerto fino alla fine, spalleggiato sia dal suo innato senso dello spettacolo sia dalla grinta e dall’appeal della band. Qualche settimana più tardi, negli studi Fonoprint di Bologna, Roberto Costa affidava alla precisione dei suoi apparecchi le preziose registrazioni effettuate (in digitale) quella sera. Tutto era perfetto come neanche nei sogni più arditi avrebbe potuto esserlo. Se Dalla desiderava regalare alla propria carriera il primo album live, quella era l’occasione da cogliere al volo. In verità di questo disco dal vivo si era parlato molto già prima della partenza per l’America: forse si farà, aveva detto Dalla scherzando con i giornali, forse sarà digitale, forse sarà anche doppio, ma non potremo dire niente di sicuro finché non capiremo cosa eventualmente metterci dentro e qual è il livello del materiale. Le tracce incise al Village Gate toglievano ogni dubbio: il livello era altissimo, delle esecuzioni così come del suono. Inoltre – particolare da non trascurare –, l’atmosfera di quella storica serata era pienamente percepibile, palpabili l’entusiasmo del pubblico e l’energia dello spettacolo. Quali fossero, tuttavia, le decisioni prese a tavolino, restava il fatto che Lucio Dalla meritava quel live. Alla sua partenza per l’America aveva compiuto da una decina di giorni quarantatre anni, quasi trenta dei quali trascorsi sui palchi, da quelli piccoli di provincia fino a quelli grandi degli stadi o a quelli chic dei teatri più prestigiosi. La sua carriera era all’apice. Da sette anni, cioè da quando aveva inciso «Lucio Dalla», era uno degli artisti italiani più apprezzati e 3 G. Castaldo, A New York Dalla «is good, really», in «la Repubblica», 26 marzo 1986. 7 Extrait de la publication Massei Autunnali, Caruso commercializzati; da nove, da «Come è profondo il mare», uno dei pupilli della critica; da cinque il comandante-capo di una casa di produzione, la Pressing, con cui aveva rinnovato il talento di Ron e lanciato giovani esordienti, gli Stadio e Luca Carboni, e che dal 1984 era anche la sua etichetta. Ogni suo disco era stato un trionfo, e anche se da qualche anno non sembrava più in grado di toccare le vette del milione di copie che gli aveva assicurato l’album «Dalla», uscito nel 1980, era comunque riuscito a piazzare in sequenza molte canzoni di successo. Alcune si ritrovano nelle registrazioni del Village Gate: Washington, il pezzo che nel 1984 aveva segnato l’incontro con la dance, Tutta la vita (ancora del 1984), che qualche anno dopo sarebbe stata reincisa con un certo riscontro da Olivia Newton John, e Se io fossi un angelo, che faceva parte di un long playing uscito all’inizio dell’anno. Quello che più incuriosiva, in ogni caso, era il personaggio Dalla: serio, comico, misterioso e al tempo stesso tanto popolare da farsi fratello di tutti, da anni non cessava di suscitare interrogativi tra i giornalisti e gli esperti del settore sulla radice profonda di quel magnetismo irresistibile che riusciva a farlo piacere a tutti. «Irsuto, forse brutto, certamente buffo per come si presenta da quindici anni, continua a trascinare e commuovere un grande pubblico di tutte le età – scriveva Paola Fallaci, sorella di Oriana, in un lungo articolo redatto per «Nomi di Oggi» del luglio del 1986 –. Un po’ ribelle, un po’ romantico, piace ai ragazzi e anche ai genitori. Eppure nessuno può ancora dire di conoscerlo». Possiede una dote rara, aggiungeva nello stesso pezzo Mario Luzzatto Fegiz, «il carisma. Esso deriva a nostro avviso dall’intrinseca coerenza fra ciò che Dalla canta e ciò che Dalla è. Al pessimismo che scaturisce dalla osservazione del mondo esterno Dalla sa contrapporre il folle ottimismo dell’uomo. […] Inarrestabile vulcano di idee, che annega nell’iperattività un’autentica angoscia esistenziale che ha mille origini, tra cui la puntigliosa curiosità, la voglia di un amore realmente universale, l’ansia di cogliere in un unico abbraccio miracoloso i misteri del mondo e dell’Assoluto, Dalla si stacca nettamente da tutti gli altri artisti. […] Da un momento all’altro 8 Dall’America… Caruso può uscire dalle scene per entrare nella storia della musica leggera». La chiosa finale era un riconoscimento non da poco, seppure Dalla, probabilmente, l’idea di un prematuro ritiro non dovesse neanche lontanamente concepirla. E neppure l’idea di autocelebrarsi: con tutta probabilità era questo il motivo per cui, nonostante tanti consensi, non aveva prodotto fino a quel momento nessuna opera che, dal vivo o in studio, riassumesse la sua carriera per farne, anche solo simbolicamente, un nuovo punto di partenza. Il suo curriculum, di conseguenza, non contava neanche un best of, eccetto una raccolta che un anno prima la Rca Italiana aveva pubblicato, mettendo insieme materiali a proprio piacimento, mentre le uniche pubblicazioni live erano in condominio con Antonello Venditti, Francesco De Gregori e Maria Monti («Dal vivo: Bologna 2 settembre 1974»), e ancora con De Gregori, al termine di una riuscitissima tournée in coppia («Banana Republic», del 1979). Da solo, niente. Il disco registrato a New York, di conseguenza, avrebbe avuto se non altro il merito di porre rimedio a entrambe le mancanze. Il mixaggio ebbe inizio e fine al principio dell’estate. L’album fu assemblato rapidamente e senza difficoltà. Il concerto del Village Gate era durato circa un’ora e mezza: a riprova del livello di perfezione delle incisioni, il disco raggiunse gli ottanta minuti, trasformandosi, naturalmente, nel disco doppio intuito alla partenza. Per come aveva preso forma l’album, vi trovavano posto quattordici delle più note canzoni di Dalla, da 4/3/1943 a L’anno che verrà, passando per Futura, Washington e Balla balla ballerino, a cui era affidata la dirompente apertura. Grande figlio di puttana, che pure si trovava in scaletta, è invece una canzone degli Stadio. È a quel punto che al fotografo Luigi Ghirri, considerando che il disco era nato da una tournée in America e che apparteneva a un artista con un cognome particolare come «Dalla», venne in mente l’idea del titolo: «Che ne direste di chiamarlo “DallAmerica”, proprio come avevamo ribattezzato il tour?». Si trattava di un titolo vincente, giustamente evocativo e al tempo stesso birichino, almeno quanto il cantante. In più, aveva il dono dell’originalità e sufficiente capacità 9 Extrait de la publication Massei Autunnali, Caruso di impatto. In breve l’idea di Ghirri circolò tra i collaboratori del cantante e i suoi discografici. Nessuno – che se ne sappia – sembrò avere nulla in contrario. 3. Un inedito particolare. Tutto, dunque, era pronto per l’uscita. In linea con le esigenze discografiche dell’epoca mancava solo un inedito, unico tassello per consentire al disco di raggiungere i negozi. Fu allora che Dalla prese tempo. Vagliò alcune proposte, senza trovare niente che lo convincesse del tutto. Infine, quando ancora mancava la firma della sua autorizzazione presso la Rca, sparì, correndo ai ripari a bordo della barca che da qualche anno gli permetteva di soddisfare la sua passione per il mare, solcando da un punto all’altro il Mediterraneo. Quando fece ritorno a Bologna era la fine di agosto, e con lui c’era una nuova canzone, che in pochissimi avevano avuto occasione di ascoltare. Durata: cinque minuti. Struttura: classica (strofa, ritornello, due strofe, ritornello, due strofe, ritornello). Arrangiamento: essenziale (voce e pianoforte). Genere: melodico, molto melodico, quasi operistico, con un inciso da brividi e la citazione di un’antica canzone napoletana, «te vojo bene assaje,/ ma tanto tanto bene sai/ è una catena ormai/ che scioglie il sangue dint’e vene sai». Tema: drammatiche riflessioni del tenore Enrico Caruso a pochi giorni dalla sua scomparsa. Titolo: Caruso. «Quando l’ho sentita per la prima volta – racconta Roberto Costa – sono quasi stramazzato e mi sono detto: “cavolo: qui siamo veramente di fronte a un fatto grosso”». Costa era sì il fonico del live americano: soprattutto, però, era il produttore artistico di «Bugie», il più recente album di Dalla, del quale aveva firmato la musica di Se io fossi un angelo, sicuramente la canzone più famosa dell’lp. Inoltre, dal 1984, cioè da quando il cantante aveva allentato la collaborazione con gli Stadio, era diventato il suo bassista in studio e dal vivo, all’occorrenza anche corista e tastierista. «In realtà – prosegue Costa – pur sapendo che lo era, non avevo bene la percezione di quanto questa 10 Dall’America… Caruso cosa potesse essere grande. Però è vero che c’era un mio pezzo candidato a diventare la canzone inedita dell’album. Un pezzo anche “carino”. Ma davanti a cotanta arte sono stato io il primo a dire: “Non si discute nemmeno!”. Lucio, probabilmente, era già persuaso di fare questa scelta nei confronti di Caruso. Io, però, personalmente, non posso negare di essere rimasto davvero a bocca aperta». Assieme a Roberto Costa, Dalla entrò subito in sala di registrazione per preparare la versione definitiva del pezzo. Con loro c’era il chitarrista Bruno Mariani, anche lui entrato nel gruppo dei collaboratori appena due anni prima. Il punto di partenza era l’incastro di pianoforte e voce sul quale il cantante aveva costruito il brano. Nello spazio di un pomeriggio il pezzo fu pronto. Dalla sedette nuovamente al piano, Costa al mixer: suonata e cantata in diretta, la base fu pronta con un unico «take». Subito dopo Costa e Mariani prepararono alcuni dettagli da aggiungere in sovraincisione: gli archi (riprodotti elettronicamente alle tastiere) per il ritornello, qualche nota di basso, qualcun’altra di chitarra. «Siccome si trattava di un take in diretta – spiega Costa – uno dei discografici della Rca fece qualche storia: secondo lui nella prima parte del pezzo la voce non era perfettissima. Lucio però aveva messo una grande anima in quella registrazione: se una nota era leggermente imperfetta, pazienza, altre erano le cose che contavano. Del resto era veramente sicuro di questa canzone, ma soprattutto era sicuro che fosse una cosa estrema: o facciamo un botto incredibile, mi ricordo che diceva, oppure non ci fila nessuno. Il senso era questo». La seconda eventualità, che il pezzo restasse inascoltato, quasi sicuramente era frutto più di scaramanzia che non di reale persuasione. Della bontà del pezzo Dalla era realmente convinto: ma se anche un minimo dubbio gli avesse attraversato la mente, dalla sua parte aveva gli amici, i musicisti del gruppo, i collaboratori e tutti coloro che, ascoltata la canzone, non avevano avuto per lui che parole di incoraggiamento ed entusiasmo. Non era importante, quindi, se qualche discografico aveva storto il naso, giudicando Caruso «strana» e difficilmente piazzabile sul mercato. L’importante, alla fine, era che 11 Extrait de la publication Massei Autunnali, Caruso la canzone avesse trovato la giusta collocazione nella tracklist, e che dunque il disco non si chiamasse più «DallAmerica», ma – con nuova, felice, intuizione – «DallAmeriCaruso». Tutto il resto, perplessità e dubbi inclusi, era meno interessante. «Questo dei discografici fu un discorso che Lucio fece anche a me, qualche giorno prima che il disco uscisse», commenta Gianfranco Baldazzi, l’amico di infanzia di Dalla con cui il cantautore aveva condiviso la stesura di alcune tra le prime canzoni, come Piazza Grande e Occhi di ragazza. Critico e giornalista, proprio in quei mesi Baldazzi era diventato l’agente stampa della Pressing su Roma, chiamato a questo ruolo direttamente dal suo fondatore e responsabile: «In quei giorni incontrai Dalla a Bologna – aggiunge –. Non mi ricordo esattamente per quale motivo fossi lì, forse per intervistare Carboni, credo, con cui Dalla stava lavorando in studio, probabilmente per il suo nuovo lp. Fatto sta che, per caso, mi fece ascoltare Caruso. Aveva in tasca un piccolo registratore. “Senti questa canzone – mi suggerì –. Cosa ne dici?”. Io pensavo di trovarmi di fronte il nuovo brano di Carboni, oppure di Ron. E invece vado a sentirti ’sto pezzo. “Porca miseria, ma è bellissimo!”, commentai. Anzi, gli dissi proprio che si trattava di un “capolavoro”, e non so neanche come l’abbia presa. Io ero anche uno di quegli ascoltatori di Dalla che si innamorava delle cose più folli, più strane, ma penso che anche gli altri gli abbiano dato la stessa risposta». Dalla, sottolinea Baldazzi, possiede «antenne» particolari ed è capace di intuire se un pezzo avrà successo o no: forse Caruso l’aveva scritta «per la sua mania di fare sempre cose diverse» e forse senza neanche sapere come l’avrebbe utilizzata, ma comunque con la certezza che qualche risultato sarebbe arrivato, malgrado le esitazioni dei discografici, o forse proprio per questo motivo, forse proprio per la loro reazione infastidita di fronte a una canzone che non solo gli era piombata all’ultimo minuto, ma che era soprattutto molto, molto particolare. «Alla fine sembrava quasi che l’avessero inserita nel disco per fargli un piacere. Tanto quello era un live, mica un disco di inediti… mica doveva vendere un milione di copie!». 12 Extrait de la publication