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anno 20 | numero 36 | 10 SETTEMBRE 2014 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR settimanale diretto da luigi amicone Ebola Tutto quello che dovete sapere (e non vi hanno ancora detto) su una epidemia senza precedenti EDITORIALE IL MALE DILAGANTE, L’URGENZA DI UNA EDUCAZIONE Per fare la pace servono uomini all’altezza dello scontro N Henry Kissinger per capire che è finito un certo ordine mondiale. Grazie agli Stati Uniti gli ideali di democrazia e libertà si sono diffusi in tutto il pianeta e hanno trovato nella globalizzazione il veicolo della loro diffusione e implementazione ovunque, almeno come aspirazione dei popoli e sia pure in diverse gradazioni. Oggi questo processo di emancipazione ispirato dalla fiducia in un progresso umano senza limiti (se non quello opposto dai “cattivi”, dittatori e organizzazioni politiche autoritarie o totalitarie) si trova bloccato e braccato dall’evidenza di un “male” (peccato originale lo chiama il cattolico) che nelle sue forme più eclatanti (nichilismo jihadista o nazionalismo sciovinista) produce inesorabile violenza, disordine, instabilità in tutto il mondo. Papa Francesco vede in tutto ciò i prodromi di una terza guerra mondiale «anche se a pezzetti». In effetti vede bene, e la sconcertante ammissione di Barack Obama che adesso «non sa cosa fare» dopo che con le sue buone intenzioni ha lastricato la via dell’inferno dall’Ucraina alla Siria, dall’Afghanistan alla Libia, è la riprova che mai come adesso, dopo le due grandi guerre dello scorso secolo, il mondo rischia un’esplosione di conflitti su vasta scala, in Medio Oriente, Contro il male, nostro e altrui, non c’è strategia che in Africa e nella stessa Europa. tenga. L’unica cosa che tiene Per fare la pace, diceva don Giussaè il bene. che attecchisce là ni, ci vogliono uomini all’altezza dello dove c’è SENSO DELLA REALTÀ scontro. Ma qual è il metro di misura della grandezza umana? All’opposto di come l’Occidente ha proceduto sotto la guida americana almeno nell’ultimo ventennio, l’altezza e grandezza di una leadership si dimostra nella sua capacità di senso di realtà e, perciò, di coscienza del limite proprio e altrui. Come spiega Kissinger, la premessa della missione americana nel mondo è che i popoli sono per natura ragionevoli e propensi al compromesso per assicurare la pace, ma è altrettanto evidente che nessuna ragione (quindi nessuna pace) può essere garantita senza una adeguata educazione, cioè introduzione alla realtà, che ha il suo fondamento proprio nella coscienza del proprio limite accompagnato da un senso religioso fondamentale (non è l’uomo il padrone delle cose). Ora, l’eliminazione dell’orizzonte educativo dalla faccia della terra e la sua sostituzione con i cosiddetti “valori” e “regole” (non importa se progressisti o conservatori) e con la loro comunicazione incessante, pervasiva, superficiale e propagandistica attraverso i media, ha reso l’introduzione al mondo, direbbe Shakespeare, una favola piena di furore e rumore che non significa nulla. Bisogna sentire questo deserto per stare di fronte a un Putin o a uno Stato islamico ingrossato dalle file di ragazzi occidentali. Sentiremmo quanto la nostra presunzione di esseri onnipotenti, ricchi di diritti e vuoti di reale, contribuisce al “male” che tende a coprire il mondo fino alla guerra. Contro il male, nostro e altrui, non c’è strategia che tenga. L’unica cosa che tiene, poiché ha profondità e radici, è il bene. Il bene che attecchisce là dove c’è educazione, senso della realtà e del comune Destino. on bisogna essere MINUTI La terza guerra mondiale. E noi Spesso mi sono chiesta come vivevano i miei genitori nell’estate del 1939, mentre la tempesta covava sull’Europa. Ho trovato delle piccole foto in bianco e nero di quell’anno: mio padre e mia madre ragazzi, sorridenti, con lo zaino, in una gita in montagna. A giudicare dai prati in fiore e dalla forma delle nuvole, quella lontana estate pare del tutto identica alle nostre. Forse allora, mi sono detta, si viveva ignari. Si lavorava, si andava al mare, si giocava a pallone; e i bambini come sempre venivano al mondo. Solo una frase in una lettera ingiallita di mio padre lascia filtrare una inquietudine: la situazione in Europa, diceva, è sempre più oscura. La catena di focolai e massacri che va dall’Ucraina alla Siria, a Gaza, all’Iraq, e lo spettro del Califfato, questa estate mi ha pesantemente angosciato. Ma, nata e cresciuta in lunghi decenni di pace, mi sono detta: impossibile, che accada di nuovo. L’uscita del Papa su «una terza guerra mondiale a capitoli» mi ha bruscamente risvegliato: ecco, mi sono detta, ha chiamato le cose con il loro nome. Ma che può fare poi uno di noi, nella sua impotenza, in un’estate come questa? La lettera di Paolo agli Efesini nel rito ambrosiano di oggi, domenica 24 agosto, mi è parsa una risposta: «Pregate con ogni sorta di preghiere», scrive Paolo, e «vegliate con ogni perseveranza». Quel silenzioso invisibile lavoro dei cristiani, che però batte, ostinato, come un fabbro sull’incudine. Marina Corradi | | 10 settembre 2014 | 3 SOMMARIO 08 PRIMALINEA EBOLA, INTERVISTA ALL’ESPERTA MONDIALE | CASADEI NUMERO 36 anno 20 | numero 36 | 10 settemBre 2014 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone Ebola Tutto quello che dovete sapere (e non vi hanno ancora detto) su una epidemia senza precedenti Con coraggio, disciplina e armi tradizionali. Ecco come ci salveremo da una pestilenza impermeabile a sieri e pallottole magiche LA SETTIMANA Minuti. Marina Corradi............................3 20 INTERNI PASSERA BOCCIA LO SBLOCCA ITALIA | GROTTI Foglietto . Alfredo Mantovano...........7 Sanità e spending review . Achille Lanzarini.................24 Declino e caduta. Antonio Gurrado................ 29 Mamma Oca. Annalena Valenti................41 Sport über alles. Fred Perri.......................................... 44 Cartolina dal Paradiso. Pippo Corigliano..................45 16 INTERNI SCUOLA, DIARIO DI UN PAPÀ MODERNO | FELTRI Lettere dalla fine . del mondo. Aldo Trento................................... 47 Mischia ordinata Annalisa Teggi........................50 RUBRICHE 30 SOCIETÀ LIDIA MACCHI, PARLA IL PM | AMICONE Stili di vita.......................................... 40 Motorpedia........................................42 Lettere al direttore.......... 44 Taz&Bao................................................48 36 SOCIETà PERIFERIE. UZBEKISTAN | ZEBò Foto: Sintesi/Photoshot, AP/LaPresse, Sintesi, Fotogramma, Olycom Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994. settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 20 – N. 36 dal 4 al 10 settembre 2014 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, . Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto: Ansa PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Elcograf Via Mondadori 15 – 37131 Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl. tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13. tel. 02/31923730, fax 02/34538074. [email protected]. Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. Abbonamento annuale digitale 42,99 euro. 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Da OlTRE CINQUaNT’aNNI laVORIamO PER la TUa SICUREZZa SUllE FERROVIE ITalIaNE GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t FOGLIETTO IN ATTESA DELLA RIFORMA, UN EPISODIO ESEMPLARE Così la giustizia italiana allontana investitori e fa chiudere imprese | DI ALFREDO MANTOVANO «L a colpa è di voi giudici!»; l’amico architetto non ha dubbi nell’additare le responsabilità. All’inizio mi viene il sospetto che ce l’abbia con me, visto che fino a qualche tempo fa la sua massima ricorrente era «la colpa è dei politici»; ma – posto che i due assiomi non sono incompatibili – quando gli chiedo di spiegarmi, faccio fatica a dargli torto e a difendere la categoria cui sono tornato ad appartenere. «In quanto capo dell’ufficio tecnico comunale – è il suo racconto –, da anni presiedo la Commissione edilizia del municipio per il quale lavoro. Qualche giorno fa, a fronte di una richiesta di rilascio di permesso a edificare del tutto in regola, rispetUN COMUNE “COSTRETTO” A RESPINGERE to alla quale l’applicazioLA RICHIESTA DEL TUTTO REGOLARE DI ne della legge avrebbe UN COSTRUTTORE: MEGLIO INTERPRETARE preteso un provvedimenLA LEGGE SECONDO LA LINEA (ERRATA) to favorevole, ho convinto gli altri componenti DELLA PROCURA CHE finire indagati della Commissione a rispondere negativamente. Perché? Perché al richiedente, perché se costui inizierà a la procura della Repubblica (o meglio, chi costruire sulla base del mio permesso suin quell’ufficio giudiziario segue le viola- birà il sequestro dell’opera. Per concludezioni urbanistiche) ha elaborato per casi re: certo che la Commissione che presiedo come questo una interpretazione contra- arreca un danno al potenziale costruttoria al rilascio del permesso. Sono consa- re, insieme con i colleghi preferisco che pevole che è una interpretazione tecni- costui ricorra al Tar e che il Tar, come sicamente sbagliata, ma sono altrettanto curamente accadrà, gli dia ragione; a quel consapevole che se la dovessi contrastare punto il mio provvedimento diventerà fafinirei iscritto nel registro degli indagati: vorevole perché eseguirà una decisione poi sarò assolto (è accaduto in ipotesi ana- del giudice amministrativo, e nessuno, loghe), ma intanto verrò sottoposto a in- neanche la procura della Repubblica, podagini, quindi a processo, il mio ordine trà dirci nulla». È una piccola vicenda rispetto alle professionale si chiederà se sospendermi, e comunque dovrò – come è giusto – pa- multinazionali che scelgono di non venigare l’avvocato perché svolga il mandato re in Italia, o – se ci sono – di andarsene in mio favore. Né il mio sacrificio gioverà pur di non avere a che fare con la nostra Quante volte quei pochi che hanno risorse per far lavorare un po’ di operai si vedono bloccati a causa dell’insistenza dei giudici su interpretazioni sbagliate delle norme, che per di più tutti sanno non sopravviveranno al giudizio del Tar? giustizia e con la nostra burocrazia, con perdita di migliaia di posti di lavoro. Qui il danno in sé non è elevato: per il richiedente si concretizza in un allungamento dei tempi per attendere l’esito del ricorso al giudice amministrativo e nelle spese legali – che comunque costituiscono uno spreco – per curare la relativa procedura. Proviamo però a moltiplicare la vicenda per dieci, cento, mille: il risultato sarà che quei pochi che, pur in tempo di crisi, hanno risorse per far lavorare un po’ di operai si vedono bloccati, e con essi pezzi importanti di una economia di settore, a causa dell’insistenza su una interpretazione sbagliata, che tutti sanno non sopravviverà nel seguito giudiziario. Quando, esauriti gli spot e le espressioni di buone intenzioni, si comprenderà qualcosa di più dettagliato dell’annunciata riforma della giustizia del governo, sarà interessante vedere se conterrà strumenti per prevenire o per contrastare prassi così irragionevoli (gli strumenti per provvedervi si possono costruire senza forzature). Dalla risposta – positiva o negativa – dipende la valutazione, positiva o negativa, della riforma. | | 10 settembre 2014 | 7 Cosa sappiamo davvero di questo virus misterioso e terribile? Troveremo mai una cura? Che rischi corre l’Africa? E noi? Parla la dottoressa Sampathkumar, infettivologa dell’ospedale numero uno d’America | DI RODOLFO CASADEI Come si può ferm 8 | 10 settembre 2014 | | IL CONTAGIO Nella foto, l’addestramento di un gruppo di volontari anti-Ebola a Kailahun, in Sierra Leone, uno dei paesi maggiormente colpiti dalla nuova epidemia diffusasi nei mesi scorsi in Africa occidentale dopo la comparsa, a marzo, dei primi casi in Guinea Conakry Ebola ermare un’epidemia senza precedenti | | 10 settembre 2014 | 9 sieri miracolosi dell’ultimo minuto, scordatevi il colpo di scena di un risolutivo vaccino. Anche stavolta Ebola sarà fermata – perché alla fine sarà fermata – coi mezzi tradizionali che abbiamo imparato a conoscere dalle epidemie precedenti: isolamento dei pazienti e di tutti coloro che sono entrati in contatto con loro per almeno 21 giorni, reidratazione e assistenza palliativa ai malati, massime precauzioni per il personale sanitario, che deve evitare di entrare in contatto fisico diretto coi malati e deve decontaminarsi dopo ogni attività. 10 | 10 settembre 2014 | | Le recenti guarigioni non possono essere attribuite allo ZMapp, il farmaco prodotto dalla Mapp Biopharmaceutical, e la via maestra per arrestare il contagio resta un aggressivo “contact tracing”, cioè l’individuazione e la messa in quarantena di chiunque abbia avuto rapporti con un infetto conclamato. La febbre emorragica diagnosticata per la prima volta nel 1976, nella regione del fiume Ebola nell’allora Zaire, continua ad essere una pestilenza contro la quale non esistono pallottole magiche, ma solo le armi rappresentate dalla disciplina, il coraggio e la capacità di comunicazione del personale medico e delle auto- rità sanitarie. È quello che emerge anche da questa intervista con Priya Sampathkumar, consulente per le malattie infettive alla Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota, e direttrice presso lo stesso centro del comitato per il controllo delle infezioni, che ha l’intera responsabilità per la sorveglianza e la prevenzione allo scopo di ridurre il rischio di infezioni in ambito ospedaliero fra pazienti, personale impiegato e visitatori. La Mayo Clinic non è una struttura sanitaria fra tante: è stata recentemente classificata come il migliore ospedale di tutti gli Stati Uniti. La dottoressa Sampathkumar smorza gli entusiasmi per il farmaco speri- Foto: qui sopra e nelle pagine precedenti, Sintesi/Photoshot S cordatevi IL CONTAGIO PRIMALINEA Priya Sampathkumar è consulente per le malattie infettive alla Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, classificata recentemente come il migliore ospedale di tutti gli Stati Uniti. Nella foto a sinistra, personale sanitario in una struttura di Freetown, Sierra Leone non esistono pallottole magiche CONTRO QUESTA febbre emorragica, Le solE armi EFFICACI SONO disciplina, coraggio e capacità di comunicazione delle autorità avrebbero causato 1.427 morti. La mortalità, dunque, si aggira attorno al 54,5 per cento. È il tasso tipico dell’Ebola di ceppo sudanese. Esistono infatti cinque varietà diverse del virus. Quelle che causano estese epidemie sono solo tre, e di esse la più letale è quella zairese, che conduce alla morte quasi il 90 per cento degli infettati. Va ricordato che l’attuale epidemia ha già registrato più casi di qualunque epidemia del passato. Finora la più estesa aveva avuto luogo nel 2000 nel nord dell’Uganda nella regione di Gulu. I casi erano stati in tutto 425 e i morti 224. Ed ecco come la professoressa Sampathkumar risponde agli interrogativi più comuni. so, per ridurre al minimo la possibilità di trasmissione da paziente a paziente. Dove gli standard di igiene siano rispettati e i rifiuti ospedalieri trattati adeguatamente. Dove le attrezzature siano disinfettate o eliminate se monouso. Quella che ho definito “infrastruttura della sanità pubblica” invece consiste nella capacità di comunicare al pubblico come ci si deve comportare quando c’è un caso sospetto per evitare che si espanda il contagio. Si tratta di comportamenti che sono dati per scontati nel mondo occidentale, ma che in Africa vanno richiamati esplicitamente. Perché questa epidemia sta durando più a lungo di quelle del passato? E che dire del suo tasso di mortalità? SeconProfessoressa, c’è una domanda che tutdo l’Oms è attorno al 54 per cento dei ti si fanno, a sei mesi dall’inizio di questa contagiati, dunque non particolarmenepidemia di Ebola: possiamo fermare il te alta, ma si ha l’imprescontagio? In passato i focosione che il personale sanilai di questa febbre emorratario sia stato falcidiato. gica erano ristretti ad aree Come si spiegano questi remote dell’Africa. Oggi non CONTAGIATI fenomeni? rischiamo che l’epidemia Al 20 agosto erano diventi incontrollabile e si Gli episodi del passato 2.615 i casi di Ebola estenda, per la prima volta, hanno avuto luogo in aree segnalati tra Guinea Conakry, Liberia, al mondo intero? remote. Gli individui esposti Foto: qui sopra e nelle pagine precedenti, Sintesi/Photoshot 2.615 mentale che va sotto il nome di ZMapp: la sperimentazione del medesimo è appena all’inizio, non ne esiste nemmeno la quantità sufficiente per condurre una vera sperimentazione con test clinici sui malati. Nel frattempo Ebola, apparsa a marzo in Guinea Conakry, si è estesa ad altri tre paesi africani: Liberia, Sierra Leone e Nigeria, mentre si segnalano casi sospetti ai quattro angoli del mondo in seguito a spostamenti in aereo. Al 20 agosto scorso il paese più colpito risultava essere la Liberia, con 1.020 casi accertati e 624 morti. Seguiva la Sierra Leone con 910 casi e 392 morti. In totale dai quattro paesi africani si segnalano 2.615 casi che Sierra Leone e al contagio non viaggiavano e No, l’epidemia di Ebola Nigeria. I decessi non avevano accesso alle cure può essere fermata. Ma per causati dal virus mediche. Per questa ragione fermarla è necessaria una vera sarebbero 1.427 cooperazione internazionale le epidemie erano quantitae miglioramenti nell’ambito dell’infra- tivamente limitate ma presentavano alti struttura medica e di quella della sanità tassi di mortalità. Nel mondo d’oggi, a pubblica nei paesi colpiti. causa dell’incremento degli spostamenti all’interno delle aree interessate dalCosa vuol dire «miglioramenti nell’amla malattia, l’epidemia si è estesa a citbito dell’infrastruttura medica e di tà densamente popolate e la trasmissioquella della sanità pubblica»? Le infrane è avvenuta fra parenti e amici dei strutture africane sono notoriamente contagiati. I primi casi sono stati ospefatiscenti. Vuol dire che non si tratta di manda- dalizzati presso strutture sanitarie prire nuovi medicinali, che ancora non esi- ve di adeguate risorse umane e strumenstono, ma di arrivare ad avere ospedali tali per individuare immediatamente la locali dove il personale sanitario dispon- natura dell’infezione e questo ha porga dell’indispensabile per svolgere il suo tato effettivamente a un aumento dellavoro in condizioni di relativa sicurez- la sua trasmissione. Il personale ospedaza: maschere, guanti, camici, eccetera. liero è entrato in contatto col virus priDove si utilizzino aghi e siringhe monou- ma di rendersi conto che si trattava di | | 10 settembre 2014 | 11 PRIMALINEA IL CONTAGIO smettersi nella forma cosiddetta aeroEbola, non ha fatto in tempo a prendesol: starnuti, colpi di tosse, eccetera. re le opportune precauzioni. Da qui l’alto tasso di infezione fra medici e inferIn base a tutto quello che sappiamo mieri. Per questo stavolta si riscontrano fino ad ora, non sembra che si trasmetpiù morti negli ospedali che nelle aree ta attraverso l’aria. Negli Stati Uniti il Cdc remote. Tutto ciò ha indebolito la fidu- di Atlanta (Centre for disease control, la cia della gente nella comunità medica, massima autorità americana in materia e le famiglie hanno cominciato a pren- di malattie infettive, ndr) ci ha invitato a dersi cura da sé dei membri infetti dei prendere precauzioni contro la possibile gruppi familiari a casa propria, spesso generazione di infezioni per via aerosol. all’interno di aree urbane molto affolla- Stiamo attrezzandoci di conseguenza. Ma te, esponendo in questo modo molti altri tutte le evidenze scientifiche non fanno individui al virus. A ciò si pensare che la trasmissione aggiunga, infine, che le regioper via aerea sia una modalità ni dell’Africa occidentale coldi contagio importante. pite dalla malattia vengono Quali animali sono maggiorPER CENTO da lunghi anni di instabilità mente sospettati di essere È il tasso di mortalipolitica: la gente non ha fiduall’origine dell’epidemia in tà di Ebola riscontracia nelle autorità e nel goverquesto caso? Si è parlato to per l’epidemia in corso. Un dato che si no, e nemmeno nelle autorità molto dei pipistrelli della avvicina al tasso tipisanitarie. Sono poco propensi frutta. co del ceppo sudanead ascoltarle e a seguire i loro Non lo sappiamo ancora se della malattia consigli. con certezza. Negli episodi del passato i principali indiziati Cosa sappiamo delle origini erano i grandi primati, scimdella malattia a questo punpanzé e gorilla. Animali bracto? Quali sono i vettori atPER CENTO cati e cacciati da molti cacciatraverso i quali si espande? Delle cinque varietà tori. Si dice che stavolta abbiaQuesto morbo così temuto e di Ebola conosciute, mo a che fare coi pipistrelli misterioso ha rivelato finalla più letale è quella come vettori animali dell’infemente tutti i suoi segreti? zairese, che uccide 9 malati su 10. Finora zione, ma la cosa non è ancoEbola è un’infezione zool’epidemia più estesa ra chiara. Non è chiaro se i notica, cioè il virus è ospitato aveva avuto luogo pipistrelli sono coinvolti o no. nel corpo di un animale e da nel 2000 in Uganda: lì si trasmette agli esseri umaPremesso tutto questo, 425 casi, 224 morti ni di solito attraverso il concosa dobbiamo veramente tatto dentro la foresta con carcasse di anifare per fermare l’epidemia? C’è la posmali morti, magari perché cacciati, o per sibilità che si arresti spontaneamente via alimentare quando si mangiano le da sola, come è accaduto in passato? carni di questi animali selvatici. DopodiI paesi colpiti hanno bisogno di aiuché il virus può passare da una persona a to da parte della comunità internazionaun’altra attraverso il contatto senza pro- le per fermare questa epidemia. È improtezione delle membrane delle mucose o babile che si fermi da sé spontaneamenil contatto di lesioni cutanee con sangue te. C’è urgente bisogno di personale e di infetto o altri fluidi corporei di un perso- know-how relativo alla sanità pubblica na infettata. soprattutto per effettuare il “contact tracing” al fine di limitare l’ulteriore diffuSi sottolinea che il virus non si trasmetsione della malattia. Bisogna migliorare te attraverso l’aria, però potrebbe tra- 54,5 90 12 | 10 settembre 2014 | | l’igiene e la gestione dei rifiuti ospedalieri. Sommando insieme miglioramenti nell’infrastruttura ospedaliera e un’accresciuta attenzione al controllo di base dell’infezione e ai princìpi dell’igiene, l’epidemia può essere fermata. Che cos’è il “contact tracing”? Se noi ci troviamo di fronte a un caso di infezione, le persone che stanno abitualmente intorno al paziente sono tutte esposte al contagio. Potenzialmente possono tutte ammalarsi. Se permettiamo loro di continuare ad avere relazioni sociali fuori dalla casa, esponiamo un’intera comunità al contagio. Se noi abbiamo un caso di Ebola in una famiglia dove ci sono anche altre quattro persone, e a queste imponiamo di non uscire di casa per i successivi 21 giorni, il massimo pericolo di contagio riguarda solo quelle quattro persone. Ma se quelle quattro persone continuano a uscire di casa e ciascuna di loro ne incontra altre dieci, subito abbiamo un gruppo di 40 persone a rischio. Il “contact tracing” dunque consiste nell’identificare quelle quattro persone che sono state esposte al virus che ha colpito il loro familiare, e nell’evitare che entrino in contatto con altri. Altrimenti l’infezione si diffonde in cerchi concentrici. È proprio ciò che deve essere evitato. Conosciamo il numero esatto delle infezioni avvenute nel corso di quest’ultima epidemia fino ad oggi? Si tratta di cifre affidabili? L’Oms aggiorna settimanalmente il conteggio dei casi appurati, ma riconosce che la cifra esatta resta sconosciuta e che i numeri registrati probabilmente rappresentano una sottostima delle dimensioni dell’epidemia. Dobbiamo continuare a scrivere che non c’è nessuna cura, nessun farmaco, nessun vaccino per Ebola? Cosa pensa di questo ZMapp, il farmaco sperimentale che è stato somministrato ad alcuni pazienti? Può essere indicato come l’ori- «NESSUNA TRACCIA» DELLA PATOLOGIA AL CARA DI MINEO «Ma tra i profughi in Italia sono più le bronchiti che le malattie tropicali» «Sì, ogni tanto c’era qualcuno del personale italiano che lavora nel Centro che diceva: “Vuoi vedere che questi ci portano Ebola?”. Ma i problemi sanitari degli stranieri arrivati in Italia in modo irregolare sono altri. Parola di medico». Giorgio Salandini è un chirurgo in pensione. Ha fatto il volontario per la Croce Rossa e per Ong italiane in mezzo mondo, dall’Afghanistan all’Uganda, dal Sudan al Kurdistan iracheno. Recentemente ha operato presso il Cara di Mineo, in provincia di Catania, uno dei nove centri di accoglienza per richiedenti asilo (gli altri si trovano a Bari Palese, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Foggia, Gradisca d’Isonzo in provincia di Gorizia, Roma e Trapani) gestiti dal ministero degli Interni attraverso le prefetture. Insediato nei locali della base che in passato ospitava il personale militare americano di stanza nella vicina Sigonella, il Cara di Mineo ospita circa 4.500 stranieri, quasi tutti maschi adulti, in attesa di vedere esaminata la propria domanda di asilo politico. Sono alloggiati a gruppi di 6-7 persone nelle casette in cui viveva il personale militare statunitense, fornite di tutti i comfort, tranne il gruppo di quelli che arrivano dai centri di prima accoglienza e per qualche giorno sostano in container attrezzati con l’aria condizionata. Gli ultimi arrivati sostituiscono coloro che escono dalle casette per altra destinazione perché la loro posizione è stata infine vagliata. L’arretrato si è accumulato, se è vero che un certo numero di ospiti risiede nel villaggio dall’aprile 2013. La maggior parte degli ospiti provengono da Eritrea, Somalia, Siria, Nigeria, Senegal, Afghanistan, Pakistan, Mali, Egitto, Iran, Libano. Le loro condizioni di salute sono sotto controllo, grazie al filtro dei centri di prima accoglienza e alla presenza stabile di almeno due medici durante il giorno e uno durante la notte. Le patologie però non mancano, racconta Salandini: «Molti resteranno sorpresi, ma le affezioni più comuni fra questi migranti sono la bronchite, le carie dentali e il diabete. La prima è causata dal fatto che dormono quasi tutti con l’aria condizionata accesa, gli altri due problemi credo che derivino da una dieta ricca di grassi e zuccheri alla quale non sono abituati: nei loro paesi assumevano soprattutto fibre, nutrendosi di cereali e riso». Naturalmente, continua il chirurgo, «le malattie tropicali non sono assenti. Alcuni presentano problemi renali che fanno pensare alla schistosomiasi, una malattia causata da un parassita. Io ho potuto diagnosticare una piomiosite, un’infezione muscolare dovuta a staffilococco. Si notano molti casi di Tbc non attiva, stabilizzata nei Centri di prima accoglienza, e alcuni casi di Aids. Di [rc] Ebola, finora nessuna traccia». «Lo ZMapp? non ne esiste nemmeno una quantità sufficiente per una sperimentazione sotto controllo clinico. Siamo lontani ancora parecchi anni da un VALIDO vaccino contro Ebola» gine di alcune guarigioni? Quanto siamo lontani da un vaccino anti-Ebola? Fino ad oggi non esiste nesun trattamento efficace contro Ebola. Lo ZMapp è stato usato solo con un pugno di pazienti e non ne esiste nemmeno una quantità sufficiente anche solo per prendere in considerazione una sperimentazione farmacologica sotto controllo clinico. Siamo lontani ancora parecchi anni da un vaccino efficace contro Ebola. Una persona guarita dalla malattia per quanto tempo resta ancora infetta e contagiosa? Quando una persona guarisce la sua infettività diminuisce fino a un livello che rende non più trasmissibile la malattia. Però nel caso dei maschi il virus rimane presente ancora per molto tempo nello sperma, e nuovi contagi potrebbero avvenire per via sessuale ancora per quasi tre mesi. Lei è la responsabile delle malattie infettive alla Mayo Clinic. Quali programmi conducete a questo riguardo? La Mayo Clinic è uno dei più importanti istituti clinici, di ricerca e per l’insegnamento del paese. È stata indicata come il migliore ospedale di tutti gli Stati Uniti. Non abbiamo un programma di ricerca dedicato ad Ebola, ma abbiamo un eccellente programma relativo alla prevenzione delle infezioni e lavoriamo a stretto contatto con le autorità sanitarie pubbliche in materia di focolai di epidemie e sulle modalità di intervento per limitare la trasmissione delle malattie infettive. n | | 10 settembre 2014 | 13 l’ascia nel cuore M a perché ridurre Leopardi a un damerino nichilista petulante ed eternamente corrucciato senza far sentire almeno un alito, un refolo, un bisbiglio del vigore della sua poesia? I giornali hanno scritto che Il giovane favoloso è stato definito dal regista Mario Martone come «un ribelle, un Kurt Cobain dell’Ottocento». Mio Dio. E i critici hanno pure trovato tale similitudine azzeccata per spiegare chi fosse il poeta di Recanati. Vi prego. Anche il peggior professore di liceo rifilerebbe un quattro a un alunno che osasse tanto. Presentato a Venezia, il 16 ottobre nei cinema, il film che Tempi ha potuto vedere in anteprima narra la vita del poeta che Gianfranco Contini definì una meteora all’interno del panorama letterario italiano. Una luce difficilmente classificabile, irriducibile a un qualche schema e linea predefinita, eppur così nuova e antica. Come nuova e antica è sempre stata la poesia del genio recanatese, costellata di interrogativi universali, eppur così concreti, così quotidiani, così esageratamente ricchi di suoni, colori, “cose” – in una parola – di “segni” che rimandano a un oltre misterioso. Negli anni la critica ha provato più volte ad aggiustare la mira: prima declassando Leopardi ad adolescente assillato da domande puerili, poi provando a interpretarlo attraverso letture psicanalitiche (il rapporto difficile col padre Monaldo), poi esaltandolo come precursore dell’umanesimo risorgimentale e, infine, è l’ultimo tentativo in ordine di tempo, come un nichilista ante litteram. Volendo incasellarlo in una di queste letture, il Leopardi di Martone risponde all’ultimo stereotipo, senza però che vengano trascurate le precedenti definizioni. In più, crepi l’avarizia, non mancano ammiccamenti a sfondo sessuale e battute sul bigottismo cattolico, che sono i due cliché senza i quali negli anni Duemila nessuna pellicola è considerata degna di essere proiettata in Italia. Ma, al di là di tali constatazioni, il Leopardi di Martone è una figura monca: è il filosofo e pensatore, non il poeta. È l’autore delle Operette morali, non dei canti. Accade così che il nostro Giacomo si rintani sull’ermo colle a recitare l’Infinito (ma per sovvenir l’eterno occorre per forza far le espressioni beote di Elio Germano?), bisticci col padre-padrone capace di amarlo ma non di comprenderlo, s’ingozzi di gelato per addolcire i suoi de- il giovane favoloso La natura è matrigna e lui è goloso di gelato. E questo è Leopardi? | DI EMANUELE BOFFI Il giovane favoloso, film di Mario Martone, racconta la vita di Giacomo Leopardi, interpretato da Elio Germano. Presentato al Festival del cinema di Venezia sarà nelle sale dal 16 ottobre. Il regista ha definito il poeta recanatese «un rivoluzionario» moni, spii di sott’occhio il compagno Ranieri mentre se ne esce dalla vasca da bagno. Ma, fondamentalmente, il Leopardi di Martone si crogiola, delizia e bea nella sua inquieta malinconia. E quando ha terminato di crogiolarsi, ricomincia. Una malinconia così pervicacemente ostentata da venire a noia. A noia dello spettatore, s’intende. La “ribellione” del nostro Kurt Cobian, dunque, sta tutta qui: nella consapevolezza di conoscere che la vita è “dubbio” e mai verità, è sofferenza e infelicità e giammai quiete e soddisfazione. Ma l’insistenza sul tema ci restituisce un uomo che la cinepresa blandisce in questo suo commiserarsi fino allo sfinimento riducendo le domande (quante domande nelle poesie di Leopardi! Qui, nemmeno una) a compiacimento estetico. Così, anche quando la pellicola ci mostra il protagonista intento a rimirare la luna non ci fa sentire la potenza di quesiti millenari che tambureggiano nell’animo umano dai tempi del pastore errante dell’Asia (cui nel film è dedicata solo una battuta di scherno); quando lo coglie alla finestra ad attendere la donzelletta che vien dalla campagna non apre gli spazi al fischiettìo dello zappatore, al ciacolare delle vecchierelle, al «lieto romore» dei fanciulli. Niente. Solo lunghi, interminabili, snervanti silenzi. E sono silenzi, si conceda il gioco di parole, “muti”. Non s’aprono verso nulla: né verso «desideri infiniti», né verso «visioni altere», né verso «immensi pensieri». Sono silenzi “chiusi”, agorafobici, mozzafiato. Solo banali, insulsi, insipidi “silenzi silenziosi”. Non v’è nulla in essi, se non la goduria del regista nel mostrarci come possa rinchiudersi un’anima su se stessa. Ma senza dirci perché, cosa la tormenti, quale rabbia la consumi, quale arcano la arrovelli. Non v’è nulla nel nulla. Sappiate che la natura è matrigna e che Giacomo era goloso di gelato. E sarebbe questo, Leopardi? Così, alla fine, anziché avere un giovane favoloso, abbiamo solo un paguro piagnucoloso. Davvero poco, troppo poco per un film che non ha nemmeno la dignità di una virile bestemmia urlata come Dio comanda. | | 10 settembre 2014 | 15 INTERNI 16 | 10 settembre 2014 | DI NUOVO IN CLASSE | Foto: Sintesi/Photoshot Incubo di una notte di fine estate Chi non ha mai passato tre mesi nei panni di un genitore moderno alle prese con figli alle elementari, non ha ancora visto niente nella vita. E adesso ricomincia la scuola | DI MATTIA FELTRI | | 10 settembre 2014 | 17 INTERNI DI NUOVO IN CLASSE 18 | 10 settembre 2014 | | sti campi estivi è il saggio finale. Già si è usciti stremati dal fittissimo calendario di saggi di fine anno scolastico: il saggio di recita, il saggio di musica, il saggio di ginnastica artistica, la partita di minibasket, l’esposizione dei lavoretti, il mercatino di beneficenza, il saluto alle maestre nella notte di solstizio. Ora tocca il saggio con la danza dell’orso, il saggio su metodologie di scavo e datazione di coccio, il saggio di raffigurazione di natura morta con successiva mostra e obbligo d’acquisto. Non siamo neanche a fine giugno. Il panico da compiti delle vacanze Al mare i bambini stanno con la tata, ma un nuovissimo e implacabile senso di responsabilità impone ai genitori moderni di raggiungerli ogni sera. Una volta tocca alla mamma, quell’altra al babbo. Si arriva dopo cena e si riparte all’alba, giusto perché i piccoli non risentano di traumi d’ab- bandono. Poi i week-end. Poi le meschine contabilità fra coniugi: «Siamo 22 sere a 19 per me! Degenere!». Naturalmente i bambini non possono stare al mare e fare semplicemente i bagnanti, e baciarsi i gomiti. No, devono fare il corso di nuoto, iscriversi all’arena serale di film per l’infanzia e partecipare alle olimpiadi sulla spiaggia. Agosto si avvicina e ad agosto si va in vacanza insieme e devono essere vacanze intelligenti, con visite ai musei, studi della lingua locale, percorsi sugli usi e costumi degli autoctoni, da cui si torna depressi per la superiorità antropologica dei bambini stranieri. Ma non c’è tempo per la depressione: la tata è in Ucraina, bisogna mobilitare vecchie zie, nipoti universitarie affamate di soldi, semplici conoscenti… Ma poi settembre arriva, e quando settembre arriva sono tutti problemi delle maestre. Abbiamo trascorso la settimana precedente a scegliere gli zaini, gli astucci, le Foto: AP/LaPresse N on ci si accorge di quanto possano essere lunghi tre mesi finché non si diventa genitori di bambini delle elementari. Prima tre mesi erano tre mesi. Adesso sono i tre mesi più lunghi d’Europa, sono la traversata del deserto, l’oceano Atlantico affrontato su una tavola di legno con la pagaia. Tre mesi durante i quali si rimpiangono le brumose serate di febbraio, quando si rincasa dal lavoro e i bambini sono in pigiama, con la testa umida di doccia, le polpette al sugo spazzate via dal piatto e per i cartoni un’autonomia di mezz’ora prima di andare a letto. Tre mesi che necessitano di un’organizzazione sovietica, di un’efficienza tedesca, di una fantasia brasiliana e soprattutto di un’italiana capacità di improvvisazione se si vuole conservare la speranza di superarli. Tutto comincia a maggio, in realtà, perché il genitore moderno non accetta – pena riprovazione sociale – di tenere i bambini in appartamento fino al giorno della partenza per il mare. Il genitore moderno comincia per tempo a informarsi in rete sui campi estivi. Negli anni si è provato il campo estivo al bioparco (vietato dire zoo, sa troppo di inconsapevolezza dei diritti degli animali), il campo estivo full immersion di inglese con primi rudimenti di teatro scespiriano, il campo estivo archeologico sul Palatino, il campo estivo con scuola di pittura in via Margutta. Per il campo estivo al bioparco servono stivali di gomma, berretto con visiera, bottiglietta d’acqua, mercurocromo, sieri antimalarici e antivipera; per il campo estivo archeologico servono scarpe chiodate, zappetta, caschetto coloniale e un’assicurazione sugli eventuali danni a reperti imperiali; per il campo estivo in via Margutta servono tempere, pennelli, tavolozza, basco ed è gradito uno spiccato accento francese. Il dramma di que- A settembre si iscrive la figlia a danza e il figlio a calcio. Per lei il programma va dai primi passi fino alla Scala di Milano, per lui dai primi calci al contratto con il Liverpool. A metà ottobre ci si arrende al traffico e alle lacrime dei bimbi che si sono già scocciati penne, i colori. Tutto griffatissimo, perché i bambini, come gli adulti, fanno a gara con gli amici a chi ha la roba più “fica” o “fichissima”, ma a differenza degli adulti non hanno ancora scoperto il fascino occasionale dell’anticonformismo. Violetta, Spiderman, Cucciolotti, Spongebob, Monster Hight, Peppa Pig, Cars, tutti orrendi decuplicatori di prezzi ma non importa: il dissesto finanziario in cambio della libertà. Il guaio vero è un altro, è il confronto con i genitori dei compagni di classe dei nostri figli. Durante l’anno c’è la scusa sempre buona, si va di fretta, ci aspetta il capo, sta cadendo il governo, ma il primo giorno di scuola bisogna fermarsi, c’è niente da fare. Non è che gli altri genitori siano messi meglio. Hanno lo sguardo del naufrago che vede terra, eppure si sono stu- rio consegnare completato il libro degli esercizi; controllai il libro a inizio settembre: pagine fatte dodici, pagine mancanti centotrenta. Imposi a mia figlia Benedetta un tour de force da tredici pagine al giorno, ma alle nove di sera e a sole sei pagine finite dovetti arrendermi all’evidenza: scivolai come un ladro nella notte per buttare il libro nel cassonetto e a mia figlia dissi che l’avevo buttato per errore coi giornali vecchi. Alla ripresa delle lezioni andai dalla maestra per rifilarle la medesima bugia rifilata alla bimba e lei mi guardò con compatimento: «Non si preoccupi, il libro serve per tenersi in allenamento, ma basta che i ragazzi scrivano e leggano un po’…». Ecco, ora me la cavo così, faccio leggere a Benedetta qualche libro di Geronimo Stilton e le faccio scrivere qualche tema. Tre euro per i gerani sul davanzale Ma il senso di colpa c’è, e mi disegna una smorfia simile a quella degli altri genitori, che mentre elencano le straordinarie avventure vissute coi figli in Patagonia e al Polo Nord pregustano il bar con la Gazzetta, la palestra, il parrucchiere. Prima ci scambiamo i buoni propositi. «Quest’anno iscrivo mio figlio a judo, nuoto e cera- Foto: AP/LaPresse ZAINI E ASTUCCI DI Violetta, Spiderman, Spongebob, CARS, PEPPA Pig, tutti orrendi decuplicatori di prezzi ma non importa: il dissesto finanziario in cambio della libertà diati per mesi il curriculum estivo da consegnare all’invidia dell’interlocutore. «Mio figlio ha letto sette libri di Harry Potter», «il mio ha imparato lo spagnolo», «il mio ha salvato un senzatetto che stava buttandosi nel Tamigi», «il mio ha dipinto la Gioconda», «il mio ha maturato un paio di buone idee per la soluzione del conflitto mediorientale». Una mamma illustra l’infallibile sistema con cui ha agevolmente consentito al figlio di concludere i compiti estivi in tempo: numero delle pagine da studiare diviso numero dei giorni a disposizione, moltiplicare per le domeniche libere, sottrarre la radice quadrata della temperatura media e il risultato è il lavoro quotidiano da affidare al bimbo. Il nostro sistema è un altro: per le prime due, tre o quattro settimane non si fa nulla perché i bambini devono riposare. Poi ci si dimentica. Alla fine è troppo tardi. Il primo anno pensavo fosse obbligato- mica», «la mia farà parapendio, giapponese e arte del mosaico», «il mio contrabbasso, corso da sommelier e fisica nucleare». Noi, più realistici, ci accontentiamo di danza per la bimba e calcio per il bimbo. Il programma prevede per lei l’intero percorso da primi passi fino alla Scala di Milano, per lui da primi calci a contratto quadriennale con il Liverpool, ma intorno a metà ottobre ci siamo arresi al traffico, all’influenza, alle lacrime dei bambini che si sono già scocciati. E poi c’è qualcosa di più urgente da fare: l’inglese! Perché Benedetta viene a casa con i compiti: dieci frasi col verbo avere, dieci moltiplicazioni, altitudine a cui vivono gli stambecchi, strati geologici nella tundra ma mai, mai che venga a casa con compiti di inglese. La riforma del governo Berlusconi ha portato, nella scuola di mia figlia, due ore di inglese settimanali. Forse questo dice tutto del nostro paese, ma fa nulla, ci penseremo mia moglie e io intanto che siamo impegnati a sfuggire alle manie organizzatrici degli altri genitori: il primo giorno di scuola è anche quello in cui si controllano numeri di telefono e indirizzi mail. La terrificante mailing list di classe ci aggiornerà con cadenza bisettimanale di iniziative (gita genitori-figli la domenica mattina sull’Appia antica, iniziativa genitori-figli il sabato pomeriggio a ripulire i parchi pubblici, volontariato genitori-figli nel doposcuola a ridipingere la II B) e spese (tre euro per i gerani da mettere sui davanzali dell’aula, sette euro per lezioni e attrezzatura di primo soccorso, venticinque euro per l’acquisto del sassofono di classe). Vedo già Natale, la festa di Natale, la recita di Natale, la pizza di Natale, i compiti di Natale, e li farò, con Benedetta, mentre sognerò giugno e le vacanze estive… *** Benedetta e io usciamo di casa verso le otto e un quarto. Benedetta ride perché dice che ogni mattina scruto il cielo dalla finestra ma poi si mette sempre a piovere appena mettiamo il becco fuori dal portone. Camminiamo mano nella mano: ha otto anni, è ancora lei a cercare la mia. Mentre andiamo verso il forno, ripetiamo la lezione (durante l’inverno siamo quasi responsabili persino noi). Entriamo al forno, con quel meraviglioso odore che hanno i forni alla mattina: pizze, focacce, torte, muffin. Lei sceglie qualcosa e io penso che un giorno, quando sarà grande, entrerà in un forno e sentirà odore di pizza, di focaccia, di torta, di muffin e penserà a suo padre, e a quanto grande gli sembrava la sua mano. *** Giulio ha cinque anni e mezzo. Da questo settembre tocca anche a lui: prima elementare. Sa già leggere e scrivere in stampatello maiuscolo, sa fare somme e sottrazioni purché si stia entro il dieci (per lui otto più tre, dopo gran lavorìo di dita, fa uno). È spiaciuto di lasciare la maestra della materna e preoccupato dalla scuola perché vede che alla sorella maggiore tocca di fare i compiti. Come sempre, quando è disarmato, dimentica le sbruffonerie e le villanie di maschio. Si è accostato a Benedetta e le ha detto: «Spero che ci vedremo in giardino, così ci possiamo abbracciare». n | | 10 settembre 2014 | 19 Foto: Sintesi interni MA QUALE STORICA GIORNATA 20 | 10 settembre 2014 | | | DI leonE grotti Te lo do io lo Sblocca Italia «Renzi offre panna montata mentre dieci milioni di disoccupati e sottoccupati attendono qualcosa di forte». Intervista a Corrado Passera, che derubrica il decreto dei miracoli a «inutili pizzicotti» e rilancia il suo piano per uno «shock economico» da 400 miliardi «R enzi scherza con il gelato inve- ce di perseguire cambiamenti concreti. Così anche la “storica giornata” dello Sblocca Italia passa agli annali per il siparietto bigusto che lascia in bocca solo amaro: perché più che crema e limone, c’è solo panna montata». È sconsolato Corrado Passera all’indomani del famigerato Consiglio dei ministri che doveva «sbloccare l’Italia e invece si è rivelato solo una grande illusione. In questi mesi ci siamo abituati ad annunci che non hanno avuto seguiti, ma abbiamo dieci milioni di disoccupati e sottoccupati che si aspettano qualcosa di forte». E qualcosa di forte, uno «shock economico» per smuovere l’Italia, Passera ce l’avrebbe. Cir, Mondadori, L’Espresso, Olivetti, Poste Italiane, Banca Intesa: il curriculum dell’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Monti è sterminato e dopo «sei mesi deludenti» di governo Renzi, il fondatore del movimento politico “Italia Unica” è pronto a metterlo «al servizio dell’Italia». Foto: Sintesi Il premier ha annunciato molte riforme: perché non la convince? La grandinata di parole con cui Renzi cerca di ammaliare l’opinione pubblica non basta a immaginare per l’Italia un futuro migliore. Non è con questi atteggiamenti, con promesse che diventano rinvii che a loro volta si trasformano in ipotesi, che riusciremo a convincere Bruxelles e Francoforte di meritare maggiore fiducia, ma soprattutto a creare lavoro. Dove sono finiti i tagli alle partecipa- te pubbliche, gli incentivi fiscali per gli affitti, i 43 miliardi promessi per le infrastrutture, il pagamento – ma sul serio – dei debiti scaduti della pubblica amministrazione? Io vedo solo grandi slogan, grandi affermazioni ma nessun fatto. Non c’è da stupirsi se l’economia peggiora mese dopo mese. cotti non si va da nessuna parte. Mettendo un miliardino qui e un miliardino là non cambierà mai niente. Se si ha coraggio, si può dare una scossa fortissima da 400 miliardi senza mettere in difficoltà i conti pubblici e rispettando i nostri impegni con l’Europa. Anche lei ha fatto parte di un governo, quello Monti. E molti vi rimproverano le stesse cose. Faccio solo tre esempi. Prima di tutto bisogna cancellare lo scandalo di uno Stato che è il primo a non pagare i suoi debiti e che rischia di far fallire centinaia di migliaia di aziende che hanno crediti scaduti per almeno 100 miliardi circa. L’Unione Europea ha già detto che è possibile indebitarsi per saldare questa cifra. Facciamo quindi come in Spagna: fondiamo una società che anticipi il pagamento ai creditori della pubblica amministrazione e poi si rifaccia nei confronti delle diverse amministrazioni, sollevando così gli imprenditori che rischiano di fallire per colpa dello Stato da questo onere. Poi si può pensare al resto. Abbiamo fatto degli errori perché, da un certo punto in avanti, non c’è stato abbastanza coraggio e infatti anch’io ho preso le distanze da Monti politicamente. Però dobbiamo anche ricordarci in che situazione ci trovavamo alla fine del 2011: i commissari europei avevano già la valigia pronta a causa di almeno un decennio di gestione disastrosa del paese. Se i commissari fossero partiti sarebbe stato un disastro, soprattutto per i più deboli. Il nostro governo ha imposto dei sacrifici, è vero, ma lavorando con il Parlamento e le parti sociali abbiamo permesso all’Italia di restare padrona di se stessa. E non è poco. Lei scrive nel suo libro Io siamo: «Non si può spostare una portaerei a forza di remi». Cosa vuol dire? In Italia ci sono dieci milioni di persone con problemi di lavoro e un numero sterminato di imprese in difficoltà. Siamo un paese che da tanti anni è in decadenza. Se vogliamo cambiare il trend dobbiamo dare una botta fortissima all’economia perché con tanti pizzi- Qual è la sua ricetta? Cioè? Bisogna tornare a investire. Dall’Europa riceveremo circa 100 miliardi, 70 per il periodo 2014-2020 e 30 che non abbiamo speso nei tempi giusti a causa di molte amministrazioni incapaci. Al posto di disperdere questi fondi in mille rivoli concentriamoli in opere strutturali: una parte per migliorare porti e ferrovie del Sud, completare i grandi corridoi europei e intervenire contro il dissesto idrogeologico. Un’altra, circa 15 miliardi, per incentivare gli investimenti privati con | | 10 settembre 2014 | 21 interni MA QUALE STORICA GIORNATA «Dove sono finiti i tagli alle partecipate pubbliche, gli incentivi fiscali per gli affitti, i 43 miliardi promessi per le infrastrutture, il pagamento dei debiti scaduti della PA?» un forte credito di imposta per la ricerca e l’innovazione. Potremmo così tornare uno dei paesi più competitivi nel campo della ricerca, che garantisce aumenti di produttività. Non dimentichi, inoltre, che Italia Unica propone di dimezzare l’Ires a fronte della eliminazione delle mille inutili leggi di incentivazione regionale, prima di tutto i contributi a fondo perduto. Per le famiglie niente? Senza gravare sui conti pubblici dello Stato, oltre ad aumentare la No Tax Area di 8.000 euro per ogni figlio a carico per aiutare le famiglie con figli e al bonus badante per aiutare quelle con famigliari non autosufficienti, proponiamo di dare la libertà ai lavoratori di incassare subito il Tfr che si matura da ora in avanti. Una mensilità in più senza tasse e contributi può fare la differenza per molte famiglie e si può supportare in vari modi le imprese in difficoltà. E poi bisogna favorire in ogni modo i contratti di produttività (più ore e flessibilità a fronte di retribuzione senza oneri contributivi e fiscali) e il welfare aziendale: così si riduce in modo sostenibile il cuneo fiscale e si mantiene lavoro in Italia. Molti posti di lavoro possono venire anche dal Terzo Settore, ma anche in questo campo ci vuole una determinazione che per ora il Governo non sta dimostrando. È soddisfatto di come si sta delineando la legge elettorale? Assolutamente no, perché l’Italicum è un sistema che non permette ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti. Noi vorremmo il collegio uninominale ma si può parlare anche delle preferenze. I due padroni della politica, Renzi e Berlusconi, stanno invece creando un sistema dove se hai il coraggio di andare da solo ti serve l’8 per cento per entrare in Parlamento, mentre se fai il cameriere di altri partiti solo il 4 per cento. Non è possibile che movimenti con sette milioni di 22 | 10 settembre 2014 | | .IT «Il mondo è cambiato. Uscite dagli anni 70 e ripensate le regole del lavoro» Secondo Tobias Piller, corrispondente da Roma della Frankfurter Allgemeine Zeitung, i provvedimenti contenuti nel decreto Sblocca Italia, approvato dal Consiglio dei ministri il 29 agosto, «sono in sé positivi e utili per dare una spinta alla crescita. Quello che manca, però, è la consapevolezza che l’Italia, come pure il resto d’Europa, è in declino a causa della globalizzazione». Trent’anni fa, infatti, spiega Piller in un’intervista il cui testo integrale è pubblicato su tempi.it, «chi voleva vendere automobili in Italia, si poteva permettere il lusso di un mercato del lavoro totalmente bloccato o di una burocrazia dai tempi infiniti. Ma il mondo è cambiato». Non è più il tempo delle «trattative sindacali stile “anni Settanta” per difendere posizioni acquisite o piccole rivendicazioni. Servono intese veloci, dove sindacati e aziende possano progettare le strategie insieme, per garantire la massima occupazione e competitività possibili; come vorrebbe fare la Fiat per tenere la produzione dei futuri modelli dell’Alfa Romeo in Italia. E c’è bisogno di un mercato del lavoro flessibile e di un sistema dell’istruzione che punti di più sulla formazione tecnica e professionale che non sui laureati in scienze della comunicazione». Piller parla anche della riforma della giustizia civile che, «per quello che ci è dato conoscere, sembrerebbe che miri a favorire soluzioni di compromesso su vecchi litigi nel campo della politica sulla giustizia. Nei processi, si cerca più mediazione. Ma a processo avviato, di fatto, non cambia nulla. Cosa si è fatto per creare un modello di valutazione del lavoro dei giudici e dei tribunali in termini di efficienza, qualità e velocità? Niente». Un ritardo che costa al paese «l’un per cento di Pil ogni anno». [mr] voti rischino di non entrare in Parlamento. Questa non è democrazia. È negativo anche sulla riforma del Senato? Io trovo solo assurdo perdere mesi come questi sul Senato invece che sul rilancio dell’economia. La riforma è purtroppo pessima: non riduce né i costi né i tempi e mette il Senato in mano ai consigli regionali. Non si ha il coraggio di veri cambiamenti. Che cosa blocca davvero l’Italia? Di sicuro la giustizia ferma il paese perché non si arriva mai a sentenza. Negli ultimi anni ci siamo arenati su temi ideologici. Io credo che per cominciare possiamo fare dieci cose concrete che costano poco, anzi fanno risparmiare, perché permettono di rilanciare gli investimenti in Italia: per esempio depenalizzazione dei reati minori, informatizzazione, mediazione civile, disincentivazione degli appelli, copertura degli organici. Cominciamo con il pragmatismo. Se fosse stato al governo avrebbe approvato l’obbligo del Pos? Io sono favorevole all’uso delle carte. Posto che bisogna ridurre al minimo i costi di transazione, l’uso delle carte ci permetterebbe di combattere l’evasione. Io però sono favorevole a promuovere questo sistema non con sanzioni per chi non lo applica ma premiandone l’uso, ad esempio restituendo parte dell’Iva. In tema fiscale serve semplicità, premi ai buoni comportamenti e vere punizioni a chi ruba alla società. A cosa si riferisce? Non è vero che tutti gli italiani sono imbroglioni. Io vorrei mantenere poche tasse: una comunale, una regionale e due nazionali, una indiretta e una diretta. Bisogna fidarsi degli italiani e allo stesso tempo fare controlli efficaci per punire davvero chi si comporta male. Tutto qui. Ora dica la verità: chi glielo fa fare di buttarsi in questa avventura politica? Lo faccio per lo stesso motivo per cui ho accettato prima l’incarico alle Poste e poi l’incarico da ministro da Napolitano e Monti: quando quella mattina di novembre mi è stato chiesto di lasciare tutto e dedicarmi a un governo di emergenza, che non sapevamo neanche quanto sarebbe durato ma che avrebbe comportato di chiudere con tutto il resto, io non ci ho pensato due volte. Potevo essere utile al paese e non potevo dire di no. La gente non ci crede, pensa che io abbia secondi fini, ma se entro in politica con Italia Unica è solo per mettermi al servizio dell’Italia e perché sono convinto che questo paese possiamo tirarlo fuori dalla crisi in cui è immerso. E rilanciarlo alla grande. n INTERNI CONCORRENZA, TUTTA SALUTE Per fare i tagli ci vogliono i numeri Inutile promettere che la mannaia del rigore risparmierà la sanità. Già oggi perfino nelle regioni più virtuose i conti tornano a stento. Spending review? Sì, grazie. Ma attenzione, per mettere le mani su un malato occorre conoscerne le esatte misure. I casi di scuola dell’Inghilterra e del Massachusetts | 24 DI ACHILLE LANZARINI* | 10 settembre 2014 | | Foto: Corbis O che la spesa pubblica non è più sostenibile ed è necessaria la spending review, che teoricamente dovrebbe essere una rivisitazione della spesa, ma che praticamente è limitata al taglio dei costi. L’attuale governo italiano ha ribadito che la sanità non sarà colpita. In realtà, secondo l’Ocse, come in molti altri paesi europei i nostri governi hanno già provveduto a diminuire la spesa sanitaria negli ultimi anni. Stime preliminari suggeriscono che queste riduzioni della spesa sanitaria sono continuate a un tasso pari a -3 per cento in termini reali nel 2013. Infatti, anche le regioni più virtuose, a seguito dei tagli, faticano a chiudere in pari i bilanci della sanità e ci riescono solo riducendo le voci di spesa più rilevanti. Nel 2012 in Italia la spesa sanitaria rappresentava il 9,2 per cento del Pil, una percentuale molto vicina alla media dei paesi Ocse (9,3), ma oggi non è più sostenibile: i costi cioè, alti o bassi che siano, sono maggiori delle entrate. Per continuare a fornire servizi adeguati in qualità e quantità, è urgente una strategia diversa dai tagli lineari e capace di garantire la sostenibilità economica delle prestazioni sanitarie, a cominciare dagli ospedali, il cui costo rappresenta il 50 per cento del totale della spesa pubblica sanitaria, stimata nel 2014 nella ragguardevole cifra di 111,5 miliardi di euro. Negli anni passati il settore ospedaliero è stato oggetto di numerosi interventi volti alla riduzione dei posti letto con l’obiettivo di razionalizzare l’attività e di ridurre i costi di gestione. Il risultato è che sono diminuiti i ricoveri, ma non proporzionalmente la spesa, anzi. Come è stato gni giorno i giornali ricordano | | 10 settembre 2014 | 25 INTERNI CONCORRENZA, TUTTA SALUTE possibile? L’Agenas (Agenzia nazionale che la motivazione non è la ricerca di un do la realizzazione di un sistema compeper i servizi sanitari regionali) ha pubbli- maggior profitto. Anche negli Stati Uni- titivo, ha ottenuto non solo un aumento cato una corposa ricerca dal titolo L’attivi- ti, quindi, il costo della sanità non dipen- della qualità clinica, ma anche un miglior tà ospedaliera: dati e riflessioni, i cui risul- de dall’attività prodotta. Grossi gruppi risultato gestionale degli ospedali. tati sono indicativi. Ad esempio, dall’ana- ospedalieri americani, per cercare maglisi dei bilanci degli ospedali si rileva giore efficienza, hanno attuato una razio- L’importanza di saper valutare come il costo medio per ricovero sia forte- nalizzazione degli ospedali chiudendo e In Italia, il decentramento regionale delmente differenziato a seconda della strut- accorpando diverse strutture. Tuttavia, la sanità ha portato allo sviluppo di divertura, e ciò indipendentemente dagli aspet- studi apparsi sul Journal of Health Eco- si modelli. Quello lombardo si è distinto, ti clinici o organizzativi: in sintesi, molti nomics, su Economic Inquiry e altri anco- attraverso il perseguimento del princiospedali pubblici non sono efficienti. Ciò ra pubblicati dalla Robert Wood Johnson pio di sussidiarietà, per l’accreditamento conferma, secondo Agenas, che spesso il Foundation non hanno rilevato effetti degli ospedali privati: ciò ha contribuito costo degli ospedali pubblici non dipen- soddisfacenti. a migliorare il sistema regionale, poiché de dall’attività prodotta, ma da altri fatPiù vicino alla nostra realtà europea proprio allargando l’offerta si è potenziatori, tra cui anche l’abitudine a considera- è quanto accaduto tra il 1997 e il 2006 in ta per il cittadino la possibilità di scelta re l’ospedale una specie di ammortizzato- Inghilterra, dove è stata attuata una radi- e dunque si è introdotto un sistema conre sociale. Per quanto riguarda correnziale. gli ospedali privati accreditaMa la concorrenza è sufl’operazionE di fusione su larga ficiente ti, la ricerca di Agenas sottolia salvare i conti pubnea che mentre le inefficienze scala REALIZZATA IN INGHILTERRA blici? Di più, la concorrenza dei pubblici sono interamente non è rischiosa in un ambinon HA funzionaTo: riducendo a carico dello Stato, della colto delicato come la salute? lettività, i buchi degli ospedali Michael Porter, guru dell’ecol’offerta ospedaliera Si È privati ricadono esclusivamennomia mondiale, ha scritto te sul gestore, sulla proprietà. sull’Harvard Business Review RIDOTTA anche la concorrenza, che ciò che manca è un approla base del miglioramento Paradossi del mercato priato sistema di misurazione dell’attività sia economica che È un problema non solo italiano. Nel Massachusetts, ad esempio, si è cale razionalizzazione ospedaliera, attra- clinica. Infatti, dove si sono resi disponiriscontrata una forte differenza di costo verso la chiusura di numerosi piccoli bili dati accurati, è stato possibile identra diversi ospedali, pur per lo stesso tipo ospedali. Uno studio pubblicato dallo sta- tificare le aree di miglioramento, discudi prestazione. Come noto, il sistema sani- tunitense National Bureau of Economic terne con i professionisti e, quindi, rentario americano è diverso dal nostro, poi- Research (Nber) ne ha valutato gli esiti: dere più efficienti i processi organizzatiché negli Stati Uniti i ricoveri sono pagati drastica riduzione del personale ma nes- vi, valorizzando la clinica. Misurare signidalle assicurazioni che ne negoziano pre- sun miglioramento della qualità clini- fica dare trasparenza al sistema e indicaliminarmente il costo con i diversi ospe- ca e, sorprendentemente, nemmeno del- re, numeri alla mano, chi è più bravo, chi dali. Un imponente studio in merito pub- la produttività, tanto che sono aumen- è più efficiente, chi è più produttivo. Solo blicato dallo stesso Stato del Massachu- tate le liste d’attesa. La ricerca, eloquen- così la spending review sulla sanità non si setts ha dato risultati sorprendenti: a fare temente intitolata “mania delle fusioni” tradurrà in un taglio lineare dei costi, ma la differenza non è né una diversa quali- (Mergermania), afferma che le operazio- nell’eliminazione degli sprechi. In sintesi, tà della cura, né una maggiore comples- ni di fusione su larga scala non funziona- concorrenza e valutazione sono la medicisità del servizio, né la tipologia di ospe- no, perché riducendo l’offerta ospedaliera na di certa autoreferenzialità, che in sanidale, né il comfort alberghiero. Fa la dif- riducono anche la concorrenza, che è alla tà può diventare patologia seria. n ferenza la forza contrattuale dell’ospeda- base del miglioramento. Ciò è conferma*coordinatore U. O. Patrimonio le di imporre alle società di assicurazio- to da una più recente riforma ospedaliera Fondazione Irccs Policlinico di Milano, ne un prezzo più elevato. E trattandosi sempre inglese (studi pubblicati dal Nber collaboratore Centro studi Sanità pubblica per lo più di ospedali no profit, è chiaro e dall’Economic Journal) che, perseguen(Università di Milano Bicocca) 26 | 10 settembre 2014 | | Foto: Ansa Il governatore della Lombardia Roberto Maroni con il suo predecessore Formigoni. Grazie al sistema di accreditamento degli ospedali privati, la sanità lombarda è diventata un modello di efficienza in Italia. È la virtù della concorrenza e della sussidiarietà DECLINO E CADUTA Foto: Ansa P urtroppo ha ragione Eugenio ScalfaA OGNI piaga IL SUO BUCKET CHALLENGE ri. Fonti certe, anzi reparti speciali addestrati a leggere i suoi editoriali domenicali senza addormentarsi sul divano e risvegliarsi di mercoledì, assicurano che la sua ultima argomentazione è stata: il califfato è alle porte ma l’Occidente è troppo impegnato a rovesciarsi secchi d’acqua gelata in testa. A parziale discolpa dell’Occidente bisogna ricordare che l’ice bucket challenge serve a combattere la Sla e che la meritoria iniziativa si è subito riverberata in ogni campo | DI ANTONIO GURRADO della scienza medica. Umberto Veronesi si è sottoposto a una doccia di residui siderurgici per combattere il tumore. Paolo Crepet si è rovesciato in testa un secchio vuoto contro i disturbi della personalità. Per combattere il metodo Stamina il pm Guariniello ha rovesciato un secchio di cellule sequestrate in testa a Vannoni. VibranPurtroppo ha ti polemiche hanno corragione scalfari: redato il dibattito su coil califfato è sa rovesciarsi in testa per alle porte ma combattere la stitichezza. Contro il mal di testa l’occidente è si può invece prendere troppo impegnato un’aspirina effervescena rovesciarsi te tirandosi il contenuto secchi d’acqua del bicchiere in faccia. gelata in testa Si è presto capito che l’iniziativa avrebbe finalmente risolto annosi problemi della socieha proposto un metodo innovativo per tà odierna. A Palermo il combattere il califfato. C’è bisogno solGirotondo della Legalitanto di un amico munito di smartphone tà Impanata ha combatche riprenda l’attivista pacifista mentre tuto la mafia tenendo la si decapita da solo dopo avere nominato testa per ore sotto un rualmeno tre persone che sono tenute a deL’allenatore dei Toronto Maple Leafs sulla pista da hockey binetto, tanto non c’era sotto l’acqua gelida rovesciata da una livellatrice meccanica capitarsi anch’esse, pena la consegna alacqua; l’iniziativa è stalo Stato islamico della città in cui hanno ta contestata dall’Altalena per la Legali- Nostrum Angelino Alfano ha dato l’esem- eletto residenza fiscale. L’iniziativa è statà Soffritta, secondo la quale la mafia va pio camminando sulle acque; dopo di che ta reputata troppo blanda da un gruppo combattuta saltando dall’Etna in una va- Matteo Renzi se le è rovesciate in testa per più oltranzista di lettori di Repubblica – sca da bagno, tanto l’acqua non c’è lo stes- andare sul sicuro. Poi ha nominato Ange- autoproclamatosi Playstation della Legaso. Molti cittadini americani hanno dato la Merkel, che gliele ha rovesciate in testa lità alla Tartara – che ha controproposto l’esempio camminando sui carboni ar- per andare sul sicuro anche lei. di farsi riprendere mentre si legge ad alL’editoriale con cui Scalfari stigmatiz- ta voce l’editoriale di Scalfari, tutto. Per denti per combattere la crisi dei mutui subprime. La crisi dei mutui subprime, zava questa deriva goliardica non è rima- non essere da meno dell’ideatore dell’ice per tutta risposta, ha combattuto i carbo- sto lettera morta: un gruppo di appassio- bucket challenge, annegato recentemenni ardenti camminando su molti cittadi- nati lettori di Repubblica – denominatosi te, il leader del gruppo si è sacrificato fra ni americani. Contro l’operazione Mare Nascondino della Legalità in Carrozza – i cilindri di una rotativa. Secchi d’acqua per i malati di Sla. E per gli stitici secchi di che? | | 10 settembre 2014 | 29 SOCIETÀ | ATTRAVERSO LA CRONACA DI LUIGI AMICONE Non si chiude un caso come Lidia Macchi «Quel giorno accadde tutto casualmente. I miei tornarono a casa con un giorno d’anticipo dalle vacanze e senza avvertire nessuno. Lidia si trovò quindi in possesso dell’auto senza però avere alcuna possibilità di avvisare nessuno dei suoi programmi o dei suoi spostamenti. Al contrario di quello che gli inquirenti hanno sempre pensato e verso cui hanno rivolto le indagini. Si è indagato nell’ambiente domestico e in quello delle frequentazioni di mia sorella, tralasciando indizi importanti… Aspetteremo l’esito del processo e poi vedremo, non vogliamo un colpevole a tutti i costi. Per questo siamo sollevati che sia stata chiesta l’archiviazione per don Antonio Costabile, accusato ingiustamente per 27 anni». (Alberto Macchi, fratello di Lidia, intervistato da La Provincia di Varese, 28 luglio 2014) È magistratura da quarant’anni. «Sono l’incarnazione stessa della separazione delle carriere. Mai giudice, sempre e soltanto pm». È l’unico sorriso che ci regala. Il resto è fredda anamnesi di casi giudiziari. Con un’unica ecce- 30 in | 10 settembre 2014 | | zione. La vedremo più avanti. Si chiama Carmen Manfredda e ha troppa passione e cura per il proprio mestiere di pubblico ministero per fidarsi di ipotesi investigative che non siano dure come il granito. Fatti. Solo fatti. E riscontri fattuali. Nel caso, dare un volto all’assassino di Lidia Macchi, una ragazza di 21 anni uccisa con 29 coltellate 27 anni fa, potrebbe sembrare una missione impossibile. Dunque? «Processo indiziario». Sono passati ventisette anni da quella notte di sangue, gelo e buio. Il granito è stato levigato dal tempo. Ma se l’esame del Dna (fu il primo in Italia) non sembra oggi più utilizzabile (venne svolto in un laboratorio inglese e i reperti biologici trovati sul cadavere di Lidia non furono adeguatamente conservati dopo che i risultati esclusero compatibilità con l’impronta genetica dei primi indagati, in cima a tutti don Antonio Costabile), tre indizi fanno ancora una prova. Nel caso di Lidia ci sono tutti e tre. E molti di più. Ci sono l’identikit e il fotofit del presunto assassino che ha somiglianze Foto: Fotogramma L’omicidio, gli indizi, le indagini a vuoto. Una pista molto persuasiva e il pm di Varese che per 27 anni preferisce cercare l’assassino tra Cl e gli scout. Poi la svolta imprevista. Non solo giudiziaria. A Milano un magistrato si imbatte in «una ragazza davvero libera» I FATTI Il delitto e una (strana) inchiesta a senso unico Lidia Macchi, studentessa universitaria varesina attiva nei boy scout e militante di Comunione e Liberazione, venne ritrovata uccisa con 29 coltellate il 7 gennaio 1987 in una radura nei pressi dell’ospedale di Cittiglio (Va), dove era andata a trovare un’amica. Aveva 21 anni. Venerdì 25 luglio 2014 il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda ha depositato presso la corte d’appello del capoluogo lombardo l’avviso di conclusione delle indagini e una richiesta di archiviazione per don Antonio Costabile, il sacerdote che il pm di Varese Agostino Abate aveva a suo tempo fortemente sospettato e sottoposto a indagine. Ma che mai, dal 1987 a oggi, è stato iscritto nel registro degli indagati e, quindi, nemmeno in quello degli archiviati. Gli atti delle nuove indagini condotte dal pg milanese sono ora in visione di Oscar Pagnozzi, avvocato d’ufficio del presunto serial killer Giuseppe Piccolomo. Sarebbe lui, infatti, secondo le accuse del pg Manfredda l’assassino di Lidia. Piccolomo, 64 anni, già condannato in via definitiva all’ergastolo per il cosiddetto “delitto delle mani mozzate” (2009), è ora indagato anche per la morte della moglie Marisa Maldera, arsa viva nel rogo della sua auto nel 2003: secondo la stessa Manfredda, che ha chiesto e ottenuto la riapertura del caso, si tratterebbe di omicidio premeditato. Il deposito della richiesta di rinvio a giudizio di Piccolomo per l’assassinio di Lidia Macchi è previsto per fine settembre. | | 10 settembre 2014 | 31 SOCIETÀ ATTRAVERSO LA CRONACA 32 | 10 settembre 2014 | | PICCOLOMO si DIFENDE. Dalla sentenza per L’OMICIDIO DI CARLa MOLINARI e dallE ACCUSE per QUELLO DI SUA MOGLIE. su Lidia si è avvalso della facoltà di non rispondere no a Piccolomo un possibile movente. Ma l’uomo sembra aduso alla rimozione e al resettamento. Nonostante le prove schiaccianti sul “delitto delle mani mozzate” si dichiara ancora innocente. E non si è riusciti a risalire, almeno in sede processuale, al motivo per cui ha assassinato Carla Molinari. Per la moglie nega ogni evidenza. «L’ho sposata, avevo altre storie, ma perché dovevo ucciderla?». I fatti, però, non solo le denunce delle due figlie (nel 2003 l’uomo se l’era cavata con un anno e quattro mesi, omicidio colposo), hanno convinto la procura di Varese a portarlo alla sbarra. Però si era difeso, aveva proclamato la sua innocenza, per il primo come per il secondo omicidio. E ancora si difende. Dalla sentenza definitiva per il primo e dall’imputazione per il secondo. Solo su Lidia Macchi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Davanti al magistrato. Ma non davanti allo schermo televisivo. Dove le sue personalità, doppie (e forse triple), sembrano sguazzare in compagnia di quelle di ogni utente normale. Già, perché nella realtà virtuale non esistono verità ma solo versioni. Esiste Narciso e il suo specchio. Esiste il mimetismo gaglioffo, la cura ad apparire così come il gioco dei ruoli. Piccolomo si fa intervistare da Quarto Grado e dice la sua verità a milioni di telespettatori. Ma non al magistrato. Perché? Perché il magistrato forse ne sa più delle sue interviste e versioni. L’ignoranza, l’irrealtà, l’emozione che suscitano i pro e i contro, funzionano solo in tv o nel social network. Tant’è. Piccolomo era un uomo che portava il coltello in tasca come un rosario. Ed era pratico e lesto nel suo uso, come la vecchina in chiesa snocciola le sue Ave Maria e Paternoster. Risulta per altro agli atti che l’ex imbianchino è un appassionato delle crime fiction tv. «“Eravamo una famiglia con tanti problemi. La famiglia Addams ci faceva un baffo. La mamma era una donna meridionale, ci diceva che i panni sporchi vanno lavati in casa e che certe cose succedevano in tutte le famiglie, ma per for- Foto: Ansa impressionanti con il Giuseppe Piccolomo ritratto accanto a sua moglie in una foto risalente agli anni Ottanta presentata nella puntata di Quarto Grado andata in onda il 18 ottobre del 2013. Ci sono le testimonianze di quattro donne che quell’identikit e quel fotofit fornirono agli inquirenti dopo che il 3 gennaio erano state seguite, molestate e aggredite nello stesso parcheggio di ospedale dove il 5 gennaio Lidia posteggerà l’auto, entrerà in visita a un’amica e uscirà alle 20,30 (testimonianza di un’infermiera) per non fare più ritorno a casa. E c’è, soprattutto, la testimonianza delle due figlie di Piccolomo, che lo accusano di aver espressamente rivelato loro di avere ammazzato la studentessa. Altri pesantissimi indizi si sono accumulati negli ultimi mesi a formare un quadro molto persuasivo. Si vedrà. «Ho il massimo rispetto per la dialettica processuale. Perciò attendo le controdeduzioni dell’avvocato prima di depositare la mia richiesta di rinvio a giudizio», dice Manfredda. Intanto l’ex imbianchino di cui il processo per l’assassinio di Carla Molinari (il cosiddetto “delitto delle mani mozzate”) ha squadernato la doppia personalità di padre di famiglia e aguzzino, seguita a negare tutto. Nega l’evidenza probatoria, l’esame del Dna, i testimoni che l’hanno inchiodato all’ergastolo in tutti e tre i gradi di giudizio per l’omicidio dell’anziana donna. Nega di aver ucciso con premeditazione e brutalità la prima moglie Marisa Maldera, arsa viva nell’auto. E, soprattutto, nega di essere stato il carnefice di Lidia Macchi. Per quanto riguarda la prima moglie, nemmeno tre polizze sulla vita che lui stesso aveva chiesto (forse con costrizione) alla consorte di stipulare solo tre mesi prima della sua morte e regolarmente da lui incassate, ricorda- Giuseppe Piccolomo, condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio nel 2009 di Carla Molinari (il “delitto delle mani mozzate”), è ora indagato a Milano per l’assassinio di Lidia Macchi. Qui accanto, Piccolomo in una foto risalente all’epoca dei fatti (1987) e, sotto, l’identikit del presunto molestatore che tentò di assalire quattro donne nella stessa zona di Cittiglio (Va) e negli stessi giorni in cui fu uccisa la studentessa varesina Foto: Ansa tuna nostro padre ci aveva solo molestato senza farci di peggio”. Le donne ricordano che il papà le chiamava nel lettone, le toccava e si masturbava fin da quando erano piccole. C’erano le botte e anche le minacce. Con il coltello e con l’ascia: “Aveva il demonio negli occhi, non era in lui”. (…) Dichiarò alle figlie che la loro madre era morta bruciata viva nell’incidente a Caravate, perché era troppo grassa; indugiando crudelmente sui particolari: “Ci disse che vide la mamma sciogliersi e che la pelle le si staccava di dosso”. Le figlie l’hanno sempre accusato ma lui, anche dopo la condanna (ma solo per omicidio colposo) avrebbe risposto: “Io quando faccio le cose, le faccio bene, non sono riusciti a trovare le prove i carabinieri e le volete trovare voi?”». (Dichiarazioni di Nunziatina e Filomena Cinzia, figlie di Giuseppe Piccolomo, rese nel corso di un’udienza al processo di primo grado allo stesso Piccolomo, accusato per l’omicidio di Carla Molinari, detto “il delitto delle mani mozzate”, e in seguito condannato in tutti e tre i gradi di giudizio all’ergastolo, Varese News, 28 marzo 2011) Sono le 19.34 dell’1 dicembre 2013. Sulla pagina dell’edizione online della Provincia di Varese, tra i commenti in calce a un articolo che dà notizia delle nuove indagini in corso sull’omicidio di Lidia Macchi e dell’indagato Giuseppe Piccolomo compare questo messaggio. Ed è ancora lì. «Buongiorno, sono Cinzia Piccolomo, volevo fare una doverosa precisazione riguardo la frase virgolettata che io e mia sorella avremmo riferito; non si tratta della minaccia di farci fare la stessa fine della povera Lidia ma di essere stato lui l’autore dell’omicidio (sono stato io a uccidere Lidia Macchi) mimando poi il gesto delle coltellate. Sono dettagli ma sono importanti. Vi prego quindi di limitare l’uso del vigolettato a frasi effettivamente dette da noi. Abbiamo sempre fatto della ricerca della verità il nostro principio ispiratore anche perché è la verità sulla morte di nostra madre che ci ha spinto ad esporci in prima persona. Vi ringrazio per l’attenzione, cordialmente. Cinzia Piccolomo». Cos’era successo per riaprire un caso che la procura di Varese non aveva mai archiviato ma neppure risolto? Un imprevisto. È il 6 febbraio del 2013. Carmen Manfredda, procuratore generale presso la corte d’appello di Milano, ha appena ottenuto la conferma dell’ergastolo per Giuseppe Piccolomo per l’omicidio di Carla Molinari. All’uscita, mentre si trova a conversare con il cronista della Prealpina Luca Testoni, viene avvicinata da due signore sulle quarantina. Sono Nunziatina e Filomena Cinzia, figlie di Piccolomo. «È un mostro, ha ucciso anche nostra madre, se l’è cavata con l’omicidio colposo e la condanna a un anno e mezzo di carcere». Salta fuori anche il nome di questa Lidia Macchi. Il nostro pg non sa nulla di entrambe le vicende ma promette il suo interessamento. Chiede prima in visione gli atti del processo a Piccolomo per l’omicidio colposo della moglie. E ottiene la riapertura delle indagini a Varese. Poi, il 15 luglio 2013, chiede anche gli atti delle indagini sul delitto della studentessa. Si immerge nella lettura e dopo tre mesi conosce ogni particolare di quelle carte. Il 22 novembre 2013 ottiene l’avocazione del fascicolo da Varese a Milano. Il 28 luglio 2014 il magistrato milanese chiude le indagini e deposita l’atto di accusa: l’assassino, a giudizio della procura, ancora una volta, per la terza volta, è lo stesso: Giuseppe Piccolomo. «Per “oltre 27 anni” don Antonio Costabile, responsabile del gruppo scout frequentato da Lidia Macchi, la studentessa trovata cadavere nel 1987 nei boschi del Varesotto, ha dovuto convivere con un “ingiusto alone di sospetto” che ha provocato un grave “danno” alla sua “immagine”. Ed è per questo che la procura generale di Milano, titolare delle nuove indagini su quel cold case, ha voluto concedergli la dovuta riabilitazione con una richiesta di archiviazione che la procura di Varese non aveva mai formulato, invece, anche perché ha indagato informalmente su di lui per anni, ma senza mai iscriverlo». (La Repubblica online, 28 luglio 2014) Nonostante le sollecitazioni di ambienti ecclesiali che si erano rivolti agli allora ministri della Giustizia (Rognoni prima e Vassalli poi) per sollecitare una ispezione alla procura di Varese, non c’era stato niente da fare. Nonostante la completa insussistenza di indizi la procura aveva sposato un unico filone di indagine: quello che mirava a cercare il colpevole negli ambienti ecclesiali frequentati da Lidia. Cl e boy scout. In particolare, il pm Agostino Abate si era concentrato su un prete, don Antonio Costabile, responsabile degli scout di Varese. Trascorsi oltre ventisette anni, lo scorso luglio, in procura di Milano, è | | 10 settembre 2014 | 33 SOCIETÀ ATTRAVERSO LA CRONACA «Carissima Mara, abbiamo appena appeso il telefono ed io mi sono con amarezza resa conto che in fondo ti ho raccontato solo le cose più banali della mia vita di adesso. A me sta capitando una cosa straordinaria e un po’ confusa ma veramente grande; è come se in me ades34 | 10 settembre 2014 | | so ribollissero con chiarezza un sacco di domande e di desideri sulla vita». (Lidia Macchi, lettera a un’amica scritta pochi mesi prima di essere assassinata, Tempi n. 31-32-33 del 20 agosto 2014) «Pronto, dottoressa Manfredda? So che si sta occupando del caso di Lidia Macchi. Le volevo chiedere udienza e segnalare una sua lettera che abbiamo appena pubblicato sul nostro sito». Dall’altra parte il silenzio è rotto da una risposta asciutta. «Conosco quella lettera quasi a memoria. È agli atti». «per mesi mi sono immersa in questa vicenda. Ora, al di là delle risultanze processuali, trovo che la personalità di questa ragazza sia di una ricchezza straordinaria. Lo ammetto, mi ha colpito» Il giorno successivo, in una Milano già in vacanza, facciamo una lunga chiacchierata su come è arrivata a riaprire le inchieste su Lidia e Marilena. Da pg ha anche sostenuto l’accusa nell’appello sul delitto Molinari. «Pensi, forse non avremmo cavato un ragno dal buco se quella negoziante non fosse venuta a testimoniare di aver visto un tale che prelevava mozziconi di sigarette da un portacenere davanti a un bar e li infilava in un recipiente. Piccolomo ha premeditato il delitto. E anche la messinscena. È un appassionato di film sul crimine. Credeva di averle pensate tutte: le mani tagliate per evitare il Dna dei lembi di pelle rimasti sotto le unghie della vittima. E i mozziconi di sigarette, tutti diversi, per depistare le indagini. E invece l’imprevisto accade». Immaginate una persona che ne ha viste di tutti i colori. Nel caso si tratta di una bella signora, elegante, fredda, quasi algida. Carmen Manfredda ci offre una sintesi degli atti processuali di tre crimini orrendi senza tradire la minima emozione. Non fa una piega. È come un chirurgo dove è passato l’Isis. In quasi mezzo secolo di carriera la scena del delitto e la crudeltà delle persone sono state il suo pane quotidiano. «Eppure credo di non aver mai mancato all’obbligo, che ogni pubblico ministero deve o dovrebbe rispettare, di cercare eventuali prove a discapito dell’indagato, come prescritto dalla legge». Cosa c’è di diverso per il caso Lidia Macchi? «Lidia. Guardi io non sapevo neanche chi fosse. Quando queste due donne mi hanno supplicato di occuparmi della morte della loro madre e poi mi hanno raccontato anche di questa storia con cui loro padre le terrorizzava, sono andata su internet per capire di cosa stavano parlando». Poi chiede gli atti a Varese. «E per mesi e mesi mi sono Foto: Ansa emerso l’incredibile dettaglio: benché sia stato a lungo indagato, non solo don Costabile non è mai stato formalmente accusato del delitto Macchi, ma neppure è mai stato mai scagionato da quella tremenda accusa. Studiando gli atti il pg ambrosiano ha infatti scoperto che malgrado nei confronti del sacerdote (che attualmente ricopre l’incarico di responsabile per la catechesi presso la diocesi di Milano) la procura varesina avesse svolto diverse indagini, il religioso non è mai stato iscritto nel registro degli indagati. Così, è solo il mese scorso, per tramite dello stesso pg Manfredda e dell’avvocato generale Laura Bertolè Viale, che la giustizia italiana ha proceduto alla sua iscrizione. Un atto dovuto. Ma solo ed esclusivamente al fine di procedere alla immediata richiesta di archiviazione «a totale chiarimento della sua posizione» e considerata «la insussistenza di qualsiasi indizio a suo carico». Si capisce, Il processo di Kafka è quanto mai attuale in Italia. Non dovuto, ma di squisita sensibilità umana oltre che a (parziale) riparazione di una mostruosità che ha tenuto per oltre ventisette anni un uomo sotto l’ombra di un orrendo sospetto, è l’atto, la telefonata, con cui Carmen Manfredda ha convocato il sacerdote in procura. «Devo venire con l’avvocato?». «Mannò, stia tranquillo, venga da uomo libero». Seguirà l’incontro di chiarimento e l’annuncio del pieno proscioglimento. Immaginiamo la gioia del poveretto. Dopo 27 anni di supplizio. CARMEN MANFREDDA Pm tenace e riservata Dalla sua posizione di procuratore generale presso la corte d’appello del capoluogo lombardo, Carmen Manfredda è il magistrato che sul finire del 2013 ha riaperto a Milano, avocandolo dalla procura di Varese dove giaceva irrisolto da 27 anni, il caso Lidia Macchi. Nata a Novara, è nella magistratura inquirente da quarant’anni. Vicina alle posizioni della corrente centrista Unicost, è stimata per il suo equilibrio e riserbo. Pignola, tenace, ma senza smania di protagonismo, si è sempre tenuta lontana da ogni ribalta mediatica. Nel 2004 ha iniziato a collaborare con Eurojust, l’ente europeo di cooperazione e coordinamento giudiziario, dove nel 2009 è stata nominata – prima donna al vertice della giustizia europea – responsabile del pool anti-criminalità organizzata. A maggio di quest’anno, quando a Milano è esploso il conflitto interno tra il capo Bruti Liberati e il sostituto Robledo, il suo nome è emerso fra quelli dei possibili successori alla guida della procura ambrosiana (ipotesi improbabile, visto che sarebbe già pensionabile alla luce del recente decreto sulla pubblica amministrazione). immersa in questa vicenda. Ora, al di là delle risultanze processuali, trovo che la personalità di questa ragazza sia di una ricchezza straordinaria. Lo ammetto, mi ha colpito». Cosa l’ha colpita? «La sua libertà, la sua autonomia di pensiero, direi la sua laicità. Un pensiero di una acutezza superiore. Lidia era una ragazza veramente libera. Libera mentalmente. Completamente estranea ad ogni schema». Cosa le rimane di questa storia? «Ancora una volta Lidia, un fascino intellettuale senza limiti». Foto: Ansa *** Carissimo don Fabio, (…) l’altra sera avevo invitato a cena la Giovanna Bernasconi per festeggiare il compleanno di mia sorella e poi tutte e tre ci siamo messe a chiacchierare con mio papà sull’esperienza che noi facciamo e che ci permette di affrontare in modo diverso le situazioni che viviamo. Ad un certo punto con nostra grande sorpresa mio papà ci ha raccontato come vanno le cose per lui adesso e ti assicuro che raramente ho provato un dolore così lancinante. In sostanza vive un periodo di profonda solitudine ed insicurezza. I rapporti di lavoro, i momenti di divertimento, la famiglia stessa, sebbene il nostro legame sia molto importante, sono per lui adesso un susseguirsi di cose senza senso, che lo opprimono e lo riconducono ad un unico punto, la vanità di tutto, della vita stessa. Io sentivo che faceva fatica a raccontarci tutto questo; ma d’altra parte il grido che emergeva da questa sua posizione mi coinvolgeva e lo sentivo direttamente rivolto a me e non potevo non immedesimarmici e chiedermi che cosa si provi a quarant’anni nel rendersi conto di aver trascorso gran parte della proria vita negando la possibilità per sé di un senso più grande a tutto l’insieme di sensazioni, di idee o princìpi morali, ai quali ci si appoggia alternativamente secondo quello che ci sembra giusto o conveniente, oppure sforzandosi di fare della famiglia, poi dell’amata e poi ancora del lavoro ed infine del proprio male, che appare inevitabile, degli scopi duraturi che si rivelano in realtà insufficienti rispetto alla domanda che si ha in sé. Che cosa si può provare se non orrore per il proprio limite ed una grande, tremenda rassegnazione, che diventa negazione di una possibilità di salvezza? Perché l’esperienza al posto di spalancare al mistero della vita diventa come un muro che impedisce di vedere la vita stessa, anzi che permette di guardarla, come un insieme di mali e sofferenze necessarie che si sopportano, ma per chi e per che cosa questo non lo si capisce. Però dentro le sue parole io rinvenivo come una dolce dicotomia per cui da una parte proclamava il non senso della vita, mentre dall’altra la realtà lo colpiva con il suo fascino straordinario, per cui con lo sguardo illuminato raccontava dell’alba stupenda alla quale aveva assistito alla mattina e con speranza e molta paura di quel bambino che presto sarà fra di noi. Io mi sentivo così insufficiente ma non potevo non ribellarmi a questa posizione, a questo disamore radicale per se stesso, alla presunzione sottile di un male compiuto che si ritiene per lo più agli altri incomprensibile ed in ogni caso imperdonabile. Ma di quale male tanto crudele siamo capaci così da ritenerlo superiore alla forza del Suo perdono? Per me è come se noi in realtà ingrandissimo il nostro male, il nostro peccato fino a farne l’ostacolo insuperabile che ci preclude inevitabilmente la salvezza, ma credo che il nostro moralismo sia tale da permettersi in se stesso delle trasgressioni, purché però non siano tali e così radicali da farci scoprire bisognosi di redenzione. (…) Anch’io adesso sono posta di nuovo radicalmente di fronte al mio limite, poiché la gioia che provo per questa vita e che comunico a quelli che mi stanno intorno non ha le sue radici in un carattere particolarmente ottimista, come tutti si ostinano a credere. L’ho invece imparato grazie a delle persone precise che ho incontrato e perché se il Signore non mi avesse scelto per sé veramente la mia consistenza sarebbe pari a quella di un nulla. (…) Lidia Macchi | | 10 settembre 2014 | 35 SOCIETÀ PERIFERIE/11 La bambina che odiava il cielo L’orfanotrofio, le case di rametti, i frutti degli alberi. Poi l’internamento in un istituto per disabili, la temuta “Destinazione finale”. La fame, i soprusi, le compagne morte. E quella promessa a Dio: «Sarò tua nemica, farò tutto il male che posso». Fino all’irrompere del miracolo. Uzbekistan, storia della piccola Zebò | 36 DI zebò | 10 settembre 2014 | | Foto: Olycom F L’ultima tappa del viaggio Seguendo l’invito di papa Francesco Con questo articolo si conclude il lungo viaggio di Tempi nelle periferie esistenziali. Nelle dieci settimane precedenti Rodolfo Casadei ci ha portato fra i tupurì africani a cavallo tra Camerun e Ciad, Monica Mondo in una borgata romana, padre Piero Gheddo nella missione di padre Belcredi in Amazzonia, Gian Micalessin a Tripoli nel ghetto dei profughi in partenza per “il viaggio della morte” verso l’Italia, Antonio Gurrado a Oxford, Angelica Calò Livné dentro il kibbutz Sasa in Israele, Lorella Beretta fra le baracche delle township del Sudafrica, Peppe Rinaldi fra le donne di Eboli sui campi della Piana del Sele, Igor Turnaev nella steppa di Novosibirsk, Mattia Ferraresi nell’“altra” New York. a quanto sto per raccontarvi. Ma ogni parola che leggerete è vera. Non ricordo tutto della mia infanzia, e con questo non intendo dire che sia stata tutta terribile. Fino ai 6 anni ho vissuto in un orfanotrofio per bambini piccoli. Poi mi hanno trasferito a Fergan, una città dell’Uzbekistan orientale, in un altro istituto per bambini abbandonati e disabili. Qui sono stata molto bene; benché fossi ancora piccola, capivo tutto quello che mi succedeva intorno. Mi sembrava di essere già grande, adulta. Non mangiavamo dolci né avevamo i giocattoli come gli altri bambini, ma sapevo costruire le casette con i rametti e mangiavo i frutti che trovavo sugli alberi. Anche le pistole o le spade le facevo con i rami degli alberi. Ma all’età di 9 anni una nube nera oscurò il mio cielo azzurro. Assistetti alla morte delle persone a me più vicine. Due bambine in particolare morirono in modo terribile: furono violentate e oltraggiate; i loro corpi furono ritrovati due settimane dopo sul tetto. Dopo questo fatto, tutto mi sembrò violento e crudele. Cominciai a vedere solo il male. E quando uno guarda solo il male, senza accorgersene diventa malvagio anche lui. Tutto quello che sognavo e desideravo, tutto fu oscurato da quella nube. orse non crederete Benvenuta all’inferno A 11 anni mi portarono in un internato per invalidi chiamato “Destinazione finale”, perché chi non aveva parenti era destinato a vivere lì fino alla fine dei propri giorni. Di solito le persone hanno paura della morte, ma gli abitanti di quell’istituto, donne, ragazze e bambine di ogni età, al contrario la desideravano. Mi portarono lì con l’inganno, dicendomi che andavamo al ristorante a festeggiare la mia vittoria (avevo ottenuto il primo premio in un concorso di pittura per alunni delle scuole elementari). Mi fecero una puntura di Aminazin2, un potente sedativo. Quando mi caricarono in macchina capii dove stavamo andando, perché fin da piccolissimi ci avevano minacciati e spaventati raccontando storie terribili su quel luogo. Sebbene fossi sedata, riconobbi il mio direttore e gridai: «Perché mi avete ingannato?». Lui mi guardò, ma non disse nulla. Poi salì in macchina e se ne andò. Sul pulmino che ci trasportava eravamo in dieci. Ogni anno infatti trasferivano lì dieci bambini dell’orfanotrofio, fra quelli che raggiungevano la maggior età. Non so perché capitai in quel gruppo, forse semplicemente perché doveva esse| | 10 settembre 2014 | 37 società periferie/11 re raggiunto il numero di dieci stabili- e dar calci alla porta perché mi aprissero. Lavoravamo per poter mangiare, comto dal regolamento, forse perché veniva- Mi sembra di aver perso mezza vita là den- prarci le medicine o le scarpe. In cambio no scelti i più irrequieti. Fra queste die- tro. Quando finalmente aprirono, fuggii, ricevevamo cibo avanzato da uno o due ci infatti io ero l’unica in grado di cam- ma non sapevo dove andare; mi rifugiai giorni, o pane ammuffito. Ma eravamo minare, le altre erano invalide. Quando nel cortile posteriore dell’internato e da contente. A qualcuno, ogni tanto, davaarrivammo, non riuscivo a reggermi in lì vidi un’immensa prateria, con un solo no anche dei soldi. La mia vita è andata piedi e neanche a sedermi, a causa della albero. Corsi verso di esso, mi sedetti e avanti così. D’estate potevamo raccogliepuntura. Sapevo che esisteva “il Signore”, cominciai a piangere. Dopo innumerevoli re la frutta e mangiare bene e a sufficiensapevo che Lui ci aveva creati. Ho quindi lacrime, all’improvviso smisi di piangere. za. D’inverno era più dura. Quello che ci guardato fuori dalla finestra e ho giurato: Sembrava che Lui mi stesse dicendo: «Tu davano da mangiare non si poteva chia«Io non so cosa significhi credere. Ma farò non puoi essere mia nemica». E io risposi: mare cibo, non lo si sarebbe potuto dare tutto quello che a Te non piace. Tu sarai «Tu non sei nessuno per me! Io diventerò nemmeno ai cani. Ed io, giorno dopo una persona che nessuno finora ha avuto giorno, diventavo sempre peggiore. Andaper me un nemico». Quando riaprii gli occhi, ero circonda- il coraggio di essere». vo contro tutti, contro la legge, contro la Vivere là fu molto difficile. C’era una natura e contro Dio. ta da facce estranee, in un luogo completamente sconosciuto. Mi dissero che ave- ragazzina che conoscevo fin dall’orfanoSpesso mancava l’elettricità. Anzi, vo dormito per cinque giorni. molto spesso praticamente Poi riconobbi delle ragazze che vivevamo senza. Non avevaFUI SPOGLIATA, LEGATA AL LETTO erano state portate lì qualche mo neanche il gas. D’inveranno prima di me, provenienno c’era un’unica stufa, nella E MI FECERO un “impacco”: ti dal mio stesso orfanotrofio. stanza comune, e ce ne stavaQuando si avvicinarono per mi misero un lenzuolo in testa, mo tutti assembrati lì intorno salutarmi mi parve che dicesper scaldarci. A volte mi semmi tapparono il naso e mi sero: «Benvenuta all’inferno». brava di non avere più le forze Nell’istituto c’erano delle per sopravvivere. costrinsero a bere due educatrici, che mi guardavaLe prime botte no come se provassero pena vaschette D’ACQUA. POI LE per me. Appartenevo al quarLa prima volta che mi hanno EDUCATRICI mi picchiarono fino picchiata avevo forse 13 o 14 to gruppo. I gruppi venivano formati più o meno secondo anni. Volevo raccogliere legna a lasciarmi mezza morta il tipo di malattia: i disabili, per la stufa, non sapevo che i tubercolotici, i malati mennon si poteva toccare quell’altali, quelli autosufficienti. In ogni grup- trofio, si chiamava Elena. La chiamavamo bero secco. Il direttore mi vide dalla finepo di solito c’erano persone di età com- “la piccola Elena” perché era molto minu- stra, mentre lo segavo, ordinò alle educapresa fra i 18 e i 90 anni. Eravamo in set- ta, qualcuno addirittura la chiamava “lil- trici di portarmi da lui, e mi picchiò lì, tanta nel mio gruppo e io ero la più pic- lipuziana”. Una mattina, appena alzata, nel suo studio. Poi un’educatrice mi porcola. Non ci chiamavano “bambini”, ben- le chiesi se c’era la colazione. «Non con- tò in camera, mi spogliarono, mi legatare su quello che ti daranno qui», rispo- rono al letto e mi fecero un “impacco”: sì “malati” (in uzbeko “kashelar”). se, spiegandomi che mangiare lì signifi- mi misero un lenzuolo in testa, presero Come una schiava cava raccogliere con la lingua briciole dal dell’acqua da una vaschetta, mi tappaLe ragazze arrivate negli anni precedenti piatto. Vedendo che si stava preparando rono il naso e mi costrinsero a bere due iniziarono ad aiutarmi. Ma io avevo paura ad uscire, le chiesi dove andava. «A lavora- vaschette intere, poi mi picchiarono fino a vivere lì: c’erano solo adulti, e tutti mi re», rispose. «Se vuoi mangiare abbastan- a lasciarmi mezza morta. Mi lasciarono sembravano grandi e spaventosi. Il secon- za, devi lavorare». Le chiesi con insisten- così fino al giorno dopo. Quando al mattino seguente le altre do giorno decisero di farmi uno scher- za di portarmi con lei. Mi avvertì: «Però zo, ma io presi molto male la cosa. C’era poi non ti lamentare e non chiedermi di ragazze mi slegarono, pensavano che non una stanza in cui tutti dovevano radunar- tornare indietro, perché torneremo solo avrei avuto le forze per alzarmi; io invesi dopo la sveglia. Mi ci portarono e chiu- stasera». Così andammo a lavorare per le ce mi alzai e uscii fuori. Tutto quello che sero a chiave la porta. Mi spaventai così educatrici, nei campi. In parole povere, vedevo – non importa se albero o uomo o natura – mi appariva nemico. Ed io facetanto che cominciai a gridare, a piangere eravamo diventate delle schiave. 38 | 10 settembre 2014 | | vo di tutto per far male ad ogni cosa viva. guarire, ritrovare le forze e alzarti in pie- colo o per quale altra ragione, decise di Anche se sapevo, o almeno qualcosa me lo di. Non aver paura di cadere, ti tengo io». prestarmi i soldi necessari. suggeriva, che il mio comportamento era Persino in quell’occasione io pensai al Dopo cinque giorni di autobus, arrisbagliato. Passò il tempo e vennero meno male: «Va bene, mi rimetterò in piedi e vai in Russia. Non conoscevo nulla di quel le gambe, non riuscivo più ad alzarmi dal continuerò a vendicarmi contro di Te». paese, ero come un coniglietto ferito, non letto; mi dissero che quella era la puni- Ripresi a camminare, e tutti, compresi i sapevo dove andare, né a chi chiedere aiuzione che Dio mi mandava per i miei pec- medici, dissero che si trattava di un mira- to. La donna che mi aveva adottata, però, cati. Un giorno volevo andare a guarda- colo. Continuai a vivere come prima. Ben- siccome non si fidava di me e non credere la tv, l’infermiera mi vide e mi picchiò ché mi avesse restituito l’uso delle gambe, va che sarei riuscita a restituirle i soldi, urlando: «Perché sei uscita?». Proprio quel- continuai a percorrere le strade più oscu- mi aveva dato l’indirizzo di sua sorella, la sera morì la mia compagna di stanza, re. Spesso nella mia vita accadevano dei che viveva lì. La vita non smetteva di metuna ragazzina ammalata di epatite virale. miracoli, ma io non li volevo riconoscere. termi alla prova. Era un giorno festivo e non c’era nessuno Fino al giorno in cui, come un uccellial lavoro, così trascorsi tutta la notte dor- no, venni liberata da quella gabbia. Tutti L’incontro che ha cambiato tutto mendo accanto a un cadavere. Non ave- dissero che era stato un miracolo. E allo- Poi un giorno, uscendo da un mini-autovo paura della morte, ma quel giorno pro- ra fui costretta a riconoscere “qualcosa”. bus, qualcosa dentro di me si svegliò vai dolore, un dolore acuto al e cominciò a parlarmi. Allopetto. Mi trascinai fino al tetto ra io dissi: «Signore, indicatrascorsi la notte dormendo e gridai: «Perché mi punisci? mi il sentiero giusto, perché Perché ti comporti così con smetta di sbagliare». E dopo accanto al cadavere della mia io me? Se sei Dio, restituiscimi le qualche tempo la incontrai. La mie gambe». In quel momento compagna di stanza. non temevo persona che mi ha permesso cominciò a piovere forte, con di riconoscere chi sono verala morte, MA QUEL GIORNO provai mente: una ragazza che, affertuoni e lampi. Trascorso un po’ di temrandomi e tirandomi fuori da un dolore acuto al petto. mi po, nel nostro istituto tutto un buco nero, mi ha mostrato cominciò a cambiare. Qualcutrascinai fino al tetto e gridai: il vero amore di Dio. no scrisse una lettera all’uffiDa quel momento la mia «Perché mi punisci? Se sei Dio, cio di competenza per il convita ha cominciato a cambiare. trollo delle condizioni in cui Attraverso quella ragazza ho restituiscimi le mie gambe» vivevano i disabili. Comparincontrato altri amici, che aiuve una commissione, comintavano lei a mostrarmi la vericiò a controllare tutto. Terminato il con- Nonostante avessi maltrattato o offeso tà. Non mi sembravano nemmeno persotrollo, si insediò un nuovo direttore, che molti di loro, vennero tutti a salutarmi ne, ma angeli in corpi umani. Quello che rimase molto sorpreso nell’apprendere alla partenza. Anche quelli che non pote- avevo perso all’età di 9 anni – quel cielo che io una volta potevo camminare. E, fat- vano camminare. azzurro – si è riaperto in quel momento. to assolutamente insolito, fin dal primo Fui adottata da una donna solo per- Sono tornata ad essere felice. Felice come giorno si mise d’impegno per curarmi. ché potessi diventare il bastone della sua lo ero stata prima di vedere la morte. Tutti si stupirono: era come se quell’uo- vecchiaia. All’inizio non voleva nemmeno Quello che vi ho raccontato è la pura mo fosse stato mandato lì apposta per farmi entrare in casa sua; mi fece entrare verità. Se sei ferito nel corpo, ti puoi curame, perché io potessi ancora camminare. solo perché la legge la obbligava. Quando re anche da solo. Ma quando ad essere ferimi trasferii da lei stavo male perché sape- to è il cuore, senza l’aiuto di altre persoDi nuovo in piedi vo che non era una mia parente, ma anco- ne non ti puoi curare, non ne esci da solo. Mi portò in varie città e ospedali, alcu- ra peggio sono stata per come si rivolgeva Attraverso l’aiuto di queste persone che io ni perfino a pagamento, e sebbene tutti i a me: mi resi conto che per quella donna chiamo amici, il Signore stesso mi ha guamedici confermassero la diagnosi di inva- non ero nessuno e non le servivo a nulla. rita. Se un tempo ho combattuto contro lidità permanente, lui per due anni cercò Le dissi allora: «Prestami i soldi per anda- di Lui, ora invece desidero stare con Lui. di guarirmi. Non dimenticherò mai quel- re in Russia; quando avrò lavorato un po’ Imparare ad amare come ama Lui. Credelo che mi disse un giorno: «Zebò, io ho fat- laggiù, ti restituirò tutto». All’inizio non re a Lui, come Lui crede in noi. Voglio queto di tutto per te, ma sei tu che devi voler voleva darmeli, ma poi, non so se per cal- sto. Lo voglio infinitamente. n | | 10 settembre 2014 | 39 STILI DI VITA CINEMA RISTORANTE AFRICA, MILANO Che spasso mangiare eritreo IN BOCCA ALL’ESPERTO di Tommaso Farina C ontinuiamo il giro dei ristoranti africani (ossia, tranne poche eccezioni, eritrei) di Milano, ormai ci siete abituati. Il nome di questo ristorante è semplice: Africa. Sta in via Lazzaro Palazzi, al centro di quello che è ormai il quartiere africano di Milano. Nessun fascino ambientale particolare: la sala è doghettata col legno, qualche parete a specchio, sembra una vecchia pizzeria. Come ricorda il biglietto da visita, in ogni caso, è raffrescata dal climatizzatore. Qualche foto della capitale eritrea Asmara, e della sua cattedrale, costruita in stile neoromanico lombardo da maestranze italiane, costituiscono il décor etnico, per il resto quasi assente. Respirerete molta più aria d’Africa coi due signori che vi serviranno, apparentemente burberi ma poi prodighi a sciogliersi in spiegazioni se vi mostrate interessati alla cucina. I piatti sono i classici del repertorio eritreo. D’antipasto i sambussa (panzerotti fritti di carne) o il semplice kategna (rotolini di ’njera, il famoso pane eritreo, con burro e mistura di spezie piccanti), che stuzzicano l’appetito. Poi, via coi piatti unici. Lo zighini, classico spezzatino eritreo, è forse meno piccante che altrove, ma ha un gusto più elegante e complesso. Il manzo scottato con awaze, ossia il famoso gored gored, come vuole la tradizione è assai più incendiario. Per i più favorevoli a sperimentazioni e contaminazioni, lo zighinì o lo spriss rosso (altro intingolo di carne, coi peperoni) sono serviti persino con gli spaghetti. Altrimenti, il contesto è il solito: un grande piatto con la ’njera a fare da base, e sopra la carne e le verdure che non mancano mai. Si mangia con le mani, aiutandosi spezzettando la ’njera. A richiesta comunque vi arriva la forchetta. Per dessert, il dolce al sesamo. La mattina qui si fa anche colazione, con il misto di verdure detto “ful”, molto esotico per le nostre abitudini. C’è qualche vino da bere, e la birra. Per un antipastino, un piatto e un dolce contate 18-20 euro. Questi posti divertono, eccome. millenaria del patriarca Benedetto. Sono il fascino e l’attrattiva dell’esperienza umana e concreta di Cristo a invogliare le gambe doloranti a camminare per tre giorni, a non fermarsi. Come nella vita. L’arrivo a San Vincenzo al Volturno, la preghiera presso la cripta dell’abate Epifanio e la successiva Messa concluderanno il gesto. Le tracce della storia si congiungeranno con quelle del presente: ieri come oggi, la dolce memoria della Sua presenza unisce e dà vigore agli uomini impegnati nel cammino dell’esistenza. Amici miei IL PELLEGRINAGGIO Seguendo le orme di san Benedetto «Jesu dulcis memoria». Inizierà da questa dolce memoria il decimo pellegrinaggio a piedi da Montecassino a San Vincenzo al Volturno. L’evento, fissato per i prossimi 5, 6 e 7 settembre, partirà come di consueto dalla monumentale abbazia di Montecassino, scrigno del monachesimo occidentale e casa | 10 settembre 2014 | Vecchie glorie alla riscossa Barney Ross e i suoi mercenari a caccia del terribile trafficante d’armi Conrad Stonebanks. Terzo capitolo di una saga che a tratti sembra la Par- tita del Cuore. Le vecchie glorie che tornano: ex tossici, ex carcerati, ex lottatori, spesso ex attori. Stallone, a quattro anni da quella scommessa vinta anche al botteghino che fu I mercenari, ritorna con i suoi quasi settant’anni sulle spalle e la sua faccia mezza paralizzata. Mette insieme un cast di amici e vecchie HOME VIDEO Rio 2 – Missione Amazzonia, di Carlos Saldanha Un fiaba semplice e colorata Blu e Jewel devono trovare loro simili nella foresta dell’Amazzonia. Fiaba semplice e colorata, di buon livello tecnico e caratterizzata da un discreto 3D che amplifica lo spazio e i movimenti degli animali. Assomiglia a L’era glaciale: narrazione semplice e snodi prevedibili, caratterizzazioni a una dimensione e l’idea che l’unione fa la forza. Di più: una famiglia protagonista che diventa una risorsa per affrontare le varie vicissitudini della vita. Per informazioni Africa Via Lazzaro Palazzi, 9 Milano Tel. 02 29525984 Sempre aperto 40 I mercenari 3, di Patrick Hughes | LIBRI/1 Le domande dei bambini a Camisasca Non c’è cosa più naturale per un bambino che chiedersi, guardando il cielo: chi ci abita? E non c’è cosa più affascinante per un sacerdote che parlare di Dio ai bambini. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, risponde con schiettezza e profondità alle domande dei bambini: quant’è grande Dio? Arriva con i piedi per terra? In Paradiso si diventa vecchi o si rimane giovani? Perché Gesù mi ha fatto nascere? Sono più importan- te io o Dio? Caro don Massimo (San Paolo, 55 pagine, 10 euro) è un piccolo libro fatto di grandi domande e risposte su Dio, il mondo, la vita, delicatamente illustrato da Angela Marchetti. LIBRI/2 La vita oltre le sbarre È possibile riprendersi la vita dopo aver commesso un delitto? Giuditta Boscagli prova a rispondere ne Il cuore oltre le sbarre (Itaca). Niente teoria in questo libro, solo vita vissuta: è una storia vera, cominciata al Meeting qualche anno fa. SI PUò, HO LE PROVE star dimenticate o quasi. C’è il grande Schwarzy, Lundgren, Jet Li, un vecchissimo Harrison Ford, un petulante Banderas, un cattivissimo Mel Gibson e un autoironico Wesley Snipes, in un ruolo decisamente autobiografico. Girato alla vecchia maniera, con relativamente pochi effetti speciali e tante controfigure e cascatori in gamba, I mercenari 3 è inferiore al capitolo primo ma è ugualmente ben confezionato, spettacolare e fracassone. Per chi sta al gioco e ha amato un certo cinema muscolare, un malinconico ritorno al passato. visti da Simone Fortunato Letture grandi per bimbi piccoli Il regista Patrick Hughes T che i libri per bambini devono raccontare l’avventura della vita, una vita piena di senso, non di parole “per imparare a leggere”. Se non consideriamo adatte alla nostra lettura le elucubrazioni di una foglia che non sa se cadere, perché dovrebbero ritenerle adatte a sé bambini di sei anni? È possibile proporre anche ai piccoli letture per grandi, anzi letture grandi? Che si ritengono belle e buone per noi e anche per loro? All’esame di maturità di quest’anno una delle tracce proposte riguardava il tema del dono. «Ci si interroga da secoli sul dono e… sull’atto di donare, perché a pensarci bene si tratta di un’azione umana di cui non si riesce a trovare una spiegazione…». Mia figlia ha svolto questo tema, piacevolmente sorpresa dal fatto che uno dei testi proposti fosse Il dono di Natale di Grazia Deledda: «Proprio il racconto che hai fatto diventare un libro per bambini», mi dice (edito da Lindau). Proprio il racconto che pochi mesi prima, a Natale, nella scuola materna Camillo de Lellis di Sassari, i bambini hanno sentito raccontare dalle loro maestre super. La storia (due bambini e un dono unico) è stata disegnata e poi rappresentata, con cura e attenzione perfetta, nonché memoria prodigiosa. La mia diciannovenne e quei piccolini immersi nello stesso racconto: si può. A impattarsi col senso della vita, con la curiosità e il mistero di parole belle e degne. mammaoca.com COMUNICANDO L’EURO È DI TUTTI Come riappropriarci della moneta che abbiamo in tasca Un cittadino su tre si dice stufo della moneta che ha in tasca. Molte istanze di cambiamento sono state mal proposte o trasmesse e le riforme nazionali non bastano. Occorre rivedere anche i Trattati al fine di interpretarli e renderli coerenti con l’attuale quadro econo- MAMMA OCA di Annalena Valenti mico e sociale. L’euro è di tutti, ultimo saggio di Roberto Sommella, giornalista economico e direttore delle relazioni esterne dell’autorità Antitrust, affronta in modo analitico ma agile ta- estardamente insisto a dire li istanze. Edito da Fioriti, con una prefazione di Matteo Renzi, è stato presentato a Capalbio Libri. Nella serata dedicata al “piacere del leggere”, Sommella ha fatto il punto sulla moneta unica, su chi ci ha perso davvero, sulla tagliola del Fiscal Compact e sulle strategie da applicare per avere una moneta “utile” per i cittadini. «Il capitale si sta sostituendo al lavoro e la rivoluzione digitale rischia di cancellare intere professioni», scrive Sommella. «Nonostante tutto deve prevalere l’ottimismo, facendo te- soro di quanto avvenuto negli Stati Uniti durante la guerra di indipendenza. Allora le ex colonie erano tredici, tutte con il potere di battere moneta, contrarre debito e decidere le loro politiche fiscali, a fronte di un governo centrale debole». L’euro ha dodici anni di vita, è una moneta unica ma non unita. Serve un nuovo “Manifesto” per l’Europa, un patto da sottoporre agli eletti del prossimo parlamento stellato, che spieghi come riappropriarsi dei diritti dopo la finanziarizzazione delle loro vite. Giovanni Parapini | | 10 settembre 2014 | 41 motorpedia WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI DUE RUOTE IN MENO Vespa GTS 300 Dopo la Vespa GTS300, anche Vespa Primavera e Sprint, i cosiddetti “vespini”, potranno fregiarsi dell’adozione dell’impianto antibloccaggio, arrivando sul mercato in affiancamento alle versioni tradizionali. Recentemente rinnovate, le due Vespa sfruttano la nuova scocca irrigidita, la sospensione anteriore più efficace e i motori tre valvole raffreddati ad aria che promettono percorrenze di oltre 50 chilometri con un litro. La Sprint in particolare è la prima Vespa della serie piccola a montare ruote da 12 pollici di diametro che [sc] la rendono più sportiva, oltre che migliore da guidare. 42 | 10 settembre 2014 | | IL MULTISPAZIO DI RENAULT è comodissimo, LE BIcI CI STANNO SENZA BISOGNO DI SMONTARLE Sulla nuova Kangoo c’è posto per tutto F amiglia numerosa? Bisogno di spazio? Quello non basta mai, soprattutto se si ha a che fare con bimbi piccoli, passeggini, biciclette e quant’altro. Comprare un’auto nuova implica che siano tagliate fuori automaticamente berline e sedan. A volte anche le station wagon mostrano il fianco. Il successo di veicoli multispazio come la Kangoo si deve proprio a questo. Apri il portellone e la “pancia” inghiotte tutto, bici (senza smontarle) e il resto. Renault Kangoo si è rinnovata di recente con paraurti, frontale e gruppi ottici nuovi, rimanendo tuttavia fedele alla sua indole di auto multispazio capiente e comodissima: le dimensioni sono I CONSUMI SONO compatte (421 centimetri di lunRIDOTTI: 15 ghezza e 183 di larghezza) ma doCHILOMETRI CON UN ve Kangoo spicca è in altezza, con LITRO DI GASOLIO. i suoi 181 centimetri. Aperto il portellone posterioLE PRESTAZIONI NON SONO CERTO re, quest’auto stupisce per la faSPORTIVE, MA IL cilità di carico e la capienza del MOTORE RISPONDE bagagliaio che va da 660 a 2.866 COMUNQUE BENE litri. Ottime anche l’accessibilità, grazie ai portelloni scorrevoli, e lo spazio a bordo per i passeggeri. La strumentazione analogica e gli altri comandi sono di facile lettura. Alla guida Renault Kangoo si dimostra morbida, soprattutto per quanto riguarda sterzo e cambio (quest’ultimo manuale a cinque rapporti, posizionato in alto). Ovvio, trattandosi di un Mpv (multi-purpose vehicle) non è certo nata per offrire prestazioni sportive, quindi in curva l’altezza notevole e la taratura soft delle sospensioni generano un po’ di rollio. Il motore 1.5 dCi da 110 cavalli spinge bene sin dai regimi più bassi, grazie alla coppia massima di 240 Nm ad appena 1.750 giri, e si fa apprezzare per la sua fluidità oltre che per il fatto di essere ben poco assetato, essendo capace di percorrere molto facilmente addirittura oltre 15 chilometri con un solo litro di gasolio. Il prezzo base della Kangoo 1.5 Diesel 110 cavalli è di 21.350 euro, ma per la versione in prova, equipaggiata con Grip Control, Hill Start Assist, sensori di parcheggio posteriori, clima automatico e alzacristalli elettrici posteriori, cerchi da 16 pollici, l’Esp e navigatore, si parte da un prezzo di 24.440 euro. Marco Sormani Vespa Primavera e Sprint sono state rinnovate. La seconda percorre 50 km/l e monta ruote da 12 pollici che la rendono più facile da guidare | | 10 settembre 2014 | 43 LETTERE AL DIRETTORE Il Meeting, i martiri siriani e l’informazione copia e incolla (e Tempi) A Meeting di Rimini ho partecipato all’incontro “Storie dal mondo. Maaloula, ultima trincea. La lotta per la sopravvivenza dei cristiani di Siria”. Nello spazio di tempo dedicato alle domande un siriano cristiano che era tra il pubblico ha raccontato di aver perso la sua famiglia e di non avere alcuna notizia dei suoi nipoti da un anno nelle mani dei jihadisti. Lamentava come l’informazione spesso si riduce ad un copia e incolla che tralascia la verità di cronaca, e ha espresso la sua gratitudine a Tempi per la verità dei fatti raccontati. Mi unisco a questo ringraziamento con preghiera di proseguire in questo importante e prezioso servizio. Rosella Ciccone Milano l 2 Volevo sapesse che visitando il Meeting ho fatto il mio primo abbonamento cartaceo a Tempi. Ho scoperto poi che proprio in questi giorni ha lanciato un appello a tutti i suoi sostenitori e lettori perché facciamo conoscere la rivista e mi è sembrata una piacevole coincidenza. Ho già in mente un amico a cui regalare la sua rivista digitale e sono sicuro apprezzerà. Marco via internet Ps. Io l’ho fatto fidandomi di un amico a cui ho chiesto una rivista con un punto di vista autentico e critico. Un caro saluto e un augurio. 2 Chi non è pregiudizialmente contrario al presidente Renzi gli ha però sempre raccomandato più prudenza, meno parole, meno annunci, meno promesse mirabolanti, meno ricerca della “bella figura” e più fatti. Male promettere di “stupire” con la riforma della scuola, già rinviata. La riforma della giustizia penale… chissà quando arriverà in porto. Mentre la situazione economica non accenna a migliorare. Renzi però sembra non dare retta, e molta gente comincia a stancarsi. Per fare le riforme bisogna sempre tenere conto della tradizionale litigiosità del popolo italiano, che si riflette sulla politica. Inoltre la “Costituzione più bella del mondo” (forse settant’anni fa) non favorisce la rapidità delle decisioni. Prima di promettere il presidente pensi anche a questo! Pietro Ferretti via internet 2 Diviene purtroppo sempre più frequente, tanto da passare come un fe- DICO QUELLO CHE PENSATE QUANDO VEDETE GIOCARE L’INTER di Fred Perri Mi spiace per la profusione di parolacce ma io sono la vostra cattiva coscienza C ari amici, compagni e bastardi di ogni ordine e grado, censo, religione, sesso, droga e rock and roll, bentrovati. Mentre vergo queste poche, sporche e inutili righe l’anno sociale 2014-2015 ha mosso, lento e prevedibile, i suoi primi passi. L’altro giorno un ragazzo amico (solo amico, occhio alle rotule) di mia figlia, le ha raccontato di aver raccolto la critica di un 44 | 10 settembre 2014 | | tizio irritato per le troppe parolacce presenti in questa rubrica. Sono profondamente dispiaciuto di urtare il vostro benpensantismo. Ma io sono la vostra cattiva coscienza, vivo nei vostri intestini come una cotica mal digerita. Che cosa vi nasce dal di dentro mentre guardate la Russia che fa la guerra all’Ucraina e l’Europa ciancia; mentre gli islamisti mozzano teste e co- [email protected] nomeno di ordinaria amministrazione (troppo spesso con ostentata rassegnazione dei cittadini), la prassi di qualche giudice eccessivamente fantasioso che, anziché applicare, come sarebbe suo dovere, il diritto vigente, e quindi evitare di decidere in assenza di norme che disciplinano una fattispecie concreta, codifica nuovi orientamenti. In me c’è in questi casi un moto di ribellione che origina dagli studi giuridici che mi hanno abituato a considerare valore aggiunto di una democrazia reale il principio della separazione dei poteri. Ma è anche e soprattutto la mia condizione di padre adottivo a impedirmi di tacere dinanzi all’obbrobrio morale e giuridico cui ha dato vita il Tribunale dei minori di Roma accogliendo un’istanza adottiva nell’ambito di un rapporto omosessuale. È inconfutabile il diritto degli omosessuali ad essere tutelati “senza se e senza ma” nella loro dignità di esseri umani, ma non si può attribuire i connotati di un diritto soggettivo a un fenomeno che “in rerum natura” non è concepibile. L’adozione presuppone l’eterosessualità dei componenti la coppia richiedente, siano essi coniugati o conviventi, e non si può pensare che sia salvaguardato il diritto dell’adottando inserendolo in un contesto “pseudo familiare”. A mio modo di vedere, una giustizia amministrata in nome del popolo non può permettersi queste licenze deontologiche; corro il rischio di sentirmi apostrofare come omofobo, ma non capisco le ragioni per le quali giustamente si passano al setaccio per anni le famiglie eterosessuali che richiedono l’adozione, per stabilire se abbiano i requisi- GESÙ NON ABBANDONA I SUOI Anche i cristiani hanno i missili Che vanno sempre a segno CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano C’ ed è la preghiera. Un giornalista ha chiesto al Papa se ritenesse inutile l’incontro in Vaticano fra israeliani e palestinesi, visto il precipitare degli eventi. Il Papa ha risposto che anche tra il fumo delle bombe si intravede una porta che la preghiera aprirà. Mi sembra che abbia ragione. Duemila anni di storia c’insegnano che il cristianesimo sempre perseguitato non viene mai sconfitto; che problemi che sembrano insolubili si risolvono e si sciolgono come la neve al sole. Sono devoto a santa Caterina da Siena che da buona toscana aveva il senso dell’umorismo. Lei stava il più possibile ritirata in una cella a casa sua e quando la carità la portava a girare per il mondo si faceva una cella interiore nel proprio animo. La Provvidenza la portò ad Avignone: i fiorentini la condussero là perché risolvesse per loro una divergenza col Papa, lei non riuscì in questo intento ma invece convinse il Papa a tornare a Roma, un problema che allora sembrava insolubile. Il Papa, che la stimava, trovò il coraggio, affrontò molte difficoltà e tornò a Roma. Da allora il Santo Padre riprese a governare la Chiesa dalla cattedra di Pietro. Non spaventiamoci delle aggressioni e preghiamo per i martiri. Noi abbiamo i veri missili che vanno sparati col carburante della fede. Non stanchiamoci di pregare. Gesù non abbandona i suoi. Chiediamo di essere davvero suoi, non perché portiamo una casacca ma perché abbiamo fede in Lui e crediamo nell’arma della preghiera. è un missile che arriva sempre al bersaglio ti, mentre sia possibile in questo caso eludere il dettato normativo, concedendo disco verde in assenza di princìpi codificati. Ricordo altresì che a carico dei giudici può essere promossa azione disciplinare e nel caso di cui trattasi mi parrebbero sussistere gli estremi per porre “sub iudice” questa bizzarria giuridica; sinceramente se avessimo avuto oggi quali presidenti della Repubblica (e quindi ai vertici del Csm) Giovanni Leone o Francesco Cossiga mi sarei sentito più ottimista: il diritto si applica, non si inventa. Daniele Bagnai Firenze 2 Nel numero del 24 luglio 2014 è stato citato l’arcivescovo Jean-Clèment Jeanbart come «l’arcivescovo greco ortodosso di Aleppo», in realtà è l’arcivescovo della comunità greco cattolica (melkita) di Aleppo. Alexander Albert via internet Foto: Ansa SPORT ÜBER ALLES stringono all’esilio i cristiani e, in generale, chi non la pensa come loro; mentre lo Stato canaglia vi porta via il 60-70 per cento di quello che guadagnate; mentre la deriva dei valori distrugge la famiglia e tutto quello in cui avete sempre creduto; mentre l’Inter ricomincia ancora una volta senza capo né coda e come sempre si lamenta degli arbitri; mentre gli stadi italiani cadono a pezzi; mentre il Grifo, che doveva vincere, becca gol al 96’? Lo so io quello che vi nasce dentro: cazzo! Voi lo trasformate in caspiterina, poffarbacco, diamine, però pensate “cazzo”. Io lo pronuncio per voi, io faccio il lavoro sporco. Lasciatemi lavorare. | | 10 settembre 2014 | 45 100% 9:45 AM Leggi il settimanale sul tuo tablet daPi iPad Tempi MA 54:9 Aggiorna Home News Interni Sport Blog TEMA DEL GIORNO %001 Mosul. I terroristi marchiano le case dei cristiani con la lettera “N” (Nazarat). Per loro, niente razioni di cibo e acqua Leone Grotti TUTTI GLI ARTICOLI La fecondazione eterologa e la necessità di un rinnovato impegno perché la persona non sia ridotta a “cosa” Giampaolo Crepaldi Grillo al ristorante del Senato? È la rivincita dell’Anti-Casta Redazione Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile «Per Mourinho e per uscire dalla disperazione» E tu, perché leggi Tempi? Mandaci il tuo video Redazione Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Seguici su LETTERE DALLA FINE DEL MONDO L’ABBRACCIO DEGLI AMICI Il solo modo che abbiamo per uscire dalla periferia della depressione | DI aldo trento C aro padre Aldo, ti scrivo per condividere un mio dolore e per chiederti un aiuto. È da un po’ di mesi che soffro di una depressione. È iniziata da una questione a me molto cara, e piano piano si è attaccata a tante altre cose. Ero innamorata di un ragazzo e non ho mai avuto il coraggio di dichiararmi. Lo scorso novembre ad un tratto questo mio interesse ha iniziato ad affievolirsi. Questa cosa mi ha fatto soffrire molto e da lì è iniziato il mio star male, con attacchi di panico, pensieri ossessivi, depressione. La cosa che più mi fa fare fatica è che questi pensieri ossessivi prendono di volta in volta cose diverse. Ora questi pensieri riguardano la mia fede, mi capita spesso di mettere in dubbio tutto. In questi giorni la cosa si è fatta ancor più angosciante perché sono arrivata a mettere in dubbio la mia sessualità. Forse sono omosessuale? Questi pensieri continuano a tormentarmi ed è tremendo perché a volte arrivo a non distinguere più il mio pensiero dalla realtà, e ciò mi scandalizza, mi faccio schifo. Mi pare di vivere un incubo. Emanuela Q uando il Santo Padre parla di periferie esistenziali, credo che si riferisca anche a quanti come noi hanno sofferto o soffrono queste ferite emozionali e psichiche. Per la mia esperienza sono le peggiori, tolgono non solo il nesso con la realtà ma anche il senso della vita. Ogni lettera che mi arriva come questa mi fa venire i brividi perché è come se mi riportasse tro della realtà. Solo se acAmica, non avere paura. Io ho a quegli anni in cui ero stanco della vita. Non cade questo rifiorisce la vita avutO tonnellate DI OSSESSIONI, e nascono luoghi come quec’è cosa più atroce che perdere il nesso con la realtà. Il cancro e altre malattie fisiche ti porsto dove vivo, in cui l’abbracSGRIDAVO DIO PER AVERMI MESSO tano con sicurezza alla morte, mentre quelle cio permette ai sofferenti di AL MONDO. finché la Madonna mi morire con il sorriso. Passache colpiscono il cuore e la mente ti condannano a vivere quando vorresti morire. Chi non re dalle periferie al centro è ha consegnato a don Giussani è passato per questo cammino non può percepassare dalla rabbia al sorpire l’atrocità di questo dolore. riso, dall’odio alla riconciliazione. Amica, non Da quell’istante ciò che all’inizio era un fanTuttavia una speranza si è accesa nel monavere paura delle ossessioni. Io ne ho avute a tasma si impose ai loro occhi come una predo quando, duemila anni fa, a Betlemme è natonnellate, ho sgridato Dio perché mi ha messenza umana. Per te è la stessa avventura. Ti to un bambino. Betlemme – chissà – può esso al mondo. Per anni ho vissuto nel vuoto invito ad ascoltare la sinfonia per violino e orsere il simbolo delle periferie esistenziali. Quel della disperazione, finché la Madonna mi ha chestra di Beethoven: uno dei violini va fuobambino è nato per riportare l’io dalle perifeconsegnato a don Giussani. Per tutti c’è queri di testa e decide di mettersi in proprio, ma rie al cuore della realtà. sta possibilità. l’impresa fallisce e torna a casa dove incontra Cara amica, tu hai fatto l’incontro con Gesù. Continua a gridare con me «Vieni Signore Gela propria identità ancora più potente. Hai sperimentato il suo abbraccio, la dolcezza sù». Così ti renderai conto che Lui è lì con te e «Vieni Signore Gesù» della sua tenerezza. Ora con questa dura proil suo sguardo pieno di tenerezza ti sveglierà. Ciò che si contrappone alla parola perifeva ti chiede di camminare. Non da sola, perDue mesi fa nel pieno di una “bufera” ho preria è un abbraccio, l’incontro con un Tu. Che ché non ce la farai mai, ma in compagnia di so l’aereo e sono andato da don Julián Carrón dolcezza mi dona il fatto che da anni Cleuqualcuno che, abbracciando il tuo destino, ti per chiedergli di aiutarmi. Prima di lasciarza e Marcos vengono a stare con me una volregali la sua mano. Qualcuno che tu devi menci mi ha detto: «Padre, mi permetti di abbracta al mese. Loro, che più di tutti noi conoscodicare gridando, come i discepoli quando, imciarti?». Ti auguro e auguro a tutti i lettori di no cosa sono le periferie della vita, sono un pauriti dal vento forte che faceva traballaincontrare sempre amici così. [email protected] esempio di come si può ricondurre l’io al cenre la barca, videro Gesù venire loro incontro. | | 10 settembre 2014 | 47 taz&bao 48 | 10 settembre 2014 | | La “N” araba della parola “nazara” con cui lo Stato islamico ha marchiato le case dei cristiani in Siria e in Iraq (foto: Getty Images) Siamo tutti nazareni «La gravità del problema in cui si dibatte il mondo attuale è quella ribellione alla verità per cui è avvenuto il peccato originale e per cui esso opera i suoi effetti nell’uomo, nell’umanità di tutti i tempi. Per questo di fronte a quel che accade non si può eliminare o saltare la figura di Cristo: questo è il perno – è il perno! – della verità sull’uomo (e chi nella storia distrugge la cristianità, ammazza l’umanità)». Luigi Giussani Corriere della Sera, 25 febbraio 2003 MISCHIA ORDINATA BUONGIORNO, VIETNAM Ora che hai capito il tuo errore riprendi le trasmissioni, caro Robin di Annalisa Teggi «E io sol uno/ m’apparecchiava a sostener la guerra» (Inferno, canto II) C Robin, penso che tu abbia ormai preso confidenza con la dimora celeste. Quaggiù ci s’inchina a ciò che viene definita la tua ultima e tragica scelta, ma penso che da lassù tu ora la giudichi un errore. Qualsiasi forma abbia la giustizia divina, non credo sia edulcorata, proprio perché è (e sarà per tutti noi) la cosa più misericordiosa che esiste. Io poi fantastico sul fatto che dicevi TU ai soldati? Good morning, Vietnam. che la giustizia divina sia così Ecco, questo non senso è la nostra bandiera: comprensiva da abbracciare il la vera guerra è dare il buongiorno a tutto carattere particolare di ciascuno e quindi, nel tuo caso, dovrebbe esserti- dentro l’inferno della guerra comprende fin si manifestata anche in forma ironica: e co- nelle viscere ciò che ebbe a dire il signor Chesì m’immagino che ti sarai dovuto sorbire sterton: il vero soldato combatte perché ama il mega cazziatone di ciascuno dei tuoi per- ciò che ha alle spalle e non perché odia ciò sonaggi. La più severa sarà stata senz’altro che ha di fronte. Chi è costretto a fuggire da Mrs Doubtfire, che ti avrà riempito di ceffo- casa sua, lasciandosi tutto alle spalle, con lo ni e sfuriate. Perché è tipico delle persone spettro di una morte terribile che l’insegue che ti vogliono davvero bene esercitare quel- e vuole dilaniarlo, sente la paura che nasce la forma di pietà assai autentica che passa dall’amore, l’atavico bisogno di aggrappardalle sgridate. La carezza più dolce a volte si a qualcosa. Chi invece è coccolato in una è nel pugno che nasconde un mare di lacri- reggia di lusso e celebrità, su cui incombono ombre deformanti di timori e rimpianti, me sincere. Quaggiù, invece, si sprecano per te carez- può guardare il suo volto allo specchio e finize fatte di lodi postume, e anch’io sarei sta- re per odiare ciò che ha di fronte. Smette cota tra questi se non fosse che mi ha dato fa- sì di essere un soldato. Ma tu, che dicevi ai soldati? Good morstidio che la notizia del tuo suicidio coprisse le notizie che contemporaneamente giun- ning, Vietnam. Che, come frase, è un non gevano dall’Iraq, dall’Ucraina, dalla Palesti- senso come dire: buon giorno ebola, buon na e dall’Africa massacrata dall’ebola. E ho giorno disoccupazione, buon giorno perseespresso il pensiero istintivo, e quindi non cuzione. Ecco, questo non senso è la nostra proprio opportuno, sul fatto che un attore bandiera: la vera guerra è dare il buongiorno famoso e ricco di Hollywood cede al suicidio, a tutto. Non tutto è buono, ma è buono che ma questa medesima tentazione non viene ci sia un uomo pronto a stare di fronte a tutai perseguitati di guerra o ai malati strazia- to. Forse ora lo comprendi; perciò riprendi le ti del terzo mondo. Non è un pensiero così trasmissioni, caro Robin. Con la tua voce inopportuno perché ognuno ha il proprio in- confondibile dacci la sveglia da lassù: “Buonferno, e dunque è persino possibile che chi giorno guerra di ogni benedetto giorno! Il sovive tra crudeli atrocità abbia risorse inim- le sorge, cara guerra, e qualunque volto tu maginabili per aggrapparsi alla vita. Risor- abbia (distruzione, depressione, crisi, malatse che forse latitano in chi se ne sta circon- tia, persecuzione), vedo legioni di uomini dato da un apparente agio e attanagliato dai pronti a schierarsi contro la nube scura del cortocircuiti della propria testa. Forse, chi è nulla che vorresti spandere”. 50 | 10 settembre 2014 | aro |