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SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
SSFAoggi
Notiziario di Medicina Farmaceutica
Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate
Febbraio 2014
numero
Fondata nel 1964
41
Sommario:
I cinquanta anni della SSFA
Editoriale
1
Le CRO in Italia
2
Qualcosa sta cambiando….?
4
Master di Napoli
5
Cellule staminali
6
Il libro di oggi
7
The Lancet
7
Oggi parliamo di….
8
Master Cattolica
18
Approvazioni FDA
18
Il giuramento di Ippocrate
20
Nelson Mandela
22
I lettori più attenti avranno visto che, vicino al titolo della rivista, è comparso un logo che
ricorda i cinquanta anni della SSFA.
Tale logo sarà pubblicato su tutti i sei numeri del 2014 di SSFAoggi, e sarà anche stampato sulle locandine dei nostri seminari e corsi di quest’anno, e sarà proiettato in tutte le
nostre manifestazioni, prima fra tutte il Congresso Nazionale del 31 marzo-1 aprile.
Dobbiamo essere molto orgogliosi di aver raggiunto questo traguardo: non sono molte le
società scientifiche che hanno mezzo secolo di vita.
In verità, noi della SSFA dobbiamo essere doppiamente orgogliosi di aver tagliato questo
traguardo, non solo per la sua importanza simbolica, ma soprattutto perché lo raggiungiamo in un momento di grande vivacità intellettuale.
Abbiamo infatti un flusso continuo di nuovi iscritti, che ci fa prevedere di poter arrivare a
mille soci fra pochi mesi.
Siamo regolarmente impegnati nel pianificare e svolgere seminari, corsi e attività di formazione in tutte le aree di nostra competenza. Siamo presenti, con docenti e attività di coordinamento, in diversi master svolti presso diverse Università italiane: ed i due master che
ci vedono più impegnati (Roma Cattolica e Milano Bicocca) hanno avuto un importante
riconoscimento Europeo. Abbiamo consolidato l’ottima reputazione di cui godiamo presso
Istituzioni come AIFA, ISS, Ministero della salute, Farmindustria, nonché presso molte
Società scientifiche con le quali abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione.
Tutti questi risultati sono il merito di tutti i Soci, sia di coloro che svolgono un ruolo attivo
nel Consiglio oppure nei gruppi di lavoro, sia di tutti coloro che partecipano alle nostre
iniziative, confermandone la bontà ed il valore.
Tutto questo valore, che i Soci SSFA hanno costruito in 50 anni di continua dedizione alla
vita associativa, andranno a breve nelle mani del nuovo Consiglio, che tutti i Soci SSFA
sono chiamati ad eleggere.
Queste ultime righe sono un invito a tutti Voi: esprimete le vostre preferenze ed indicate
con il voto la vostra volontà di eleggere colleghi di cui conoscete sia il valore che la disponibilità a dedicare alla SSFA parte del loro tempo.
News on clinical trials
23
Domenico Criscuolo
Nuovi Soci
24
La nuova versione della
Dichiarazione di Helsinki
10
Global biopharma
12
Nature
13
Lifetrain
13
The Lancet
14-15
BMJ
16-17
SUDOKU DI NATALE
Cari Soci,
abbiamo ricevuto ben 22 risposte al concorso di Natale: tutte naturalmente esatte.
Il numero nella casella centrale è 1.
I tre vincitori sono: Giuseppina Corvasce, Raffaella Fallone e Isabella
Salerio.
Riceveranno un buono da trenta euro delle librerie Feltrinelli.
Al prossimo appuntamento!
La redazione
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO
Anno VIII numero 41
Pagina 2
LE CRO IN ITALIA: PRESENTE E FUTURO
In una sala dell’Hotel Michelangelo di
Milano, circa 120 soci e colleghi si sono
dati appuntamento lo scorso 14 novembre per fare il punto sulla situazione delle CRO in Italia, e sulle future prospettive.
Nel dare il benvenuto ai molti partecipanti, Mariapia Cirenei (AICRO) e Marco
Romano (SSFA) hanno sottolineato il
fatto che in Italia le CRO sono in una
fase di grande sviluppo, e pertanto possono offrire una buona opportunità occu-
sperimentazioni cliniche (passate in Italia da 880 nel 2008 a 697 nel 2012 ed a
a circa 550 nel 2013), sta mettendo in
pratica molte misure che dovrebbero
stimolarne la ripresa.
Una ad esempio è il sistema della
“Voluntary Harmonized Procedure” : si
tratta di una procedura di autorizzazione
più veloce, ed infatti è stata usata 3 volte
nel 2012 ma già 53 volte fino all’ottobre
2013.
Inoltre la riorganizzazione dei Comitati
E’ poi intervenuto Stefano Marini
(EUCROF) che ha presentato un aggiornamento sull’organizzazione delle CRO,
sia in Italia (AICRO) che in Europa
(EUCROF): ha ribadito l’importanza di
far parte di queste federazioni, che tendono ad armonizzare procedure e comportamenti, ed ha ricordato che solo 13
CRO fanno parte di AICRO.
Luigi Godi e Giovanni Fiori (SSFA) hanno illustrato i risultati di un questionario
SSFA rivolto alle CRO operanti in Italia.
pazionale per i molti giovani che sono
interessati al mondo del farmaco.
La prima relazione è stata svolta in modo molto brillante da Carlo Tomino
(AIFA), che ringraziamo per la sua continua ed assidua collaborazione agli eventi SSFA.
Egli ha ricordato che AIFA, ben consapevole della riduzione del numero delle
Etici ed il ruolo di AIFA come Autorità
Competente serviranno a rendere più
snello l’intero processo.
Carlo Tomino ha anche ricordato che il
Parlamento Europeo ha in discussione il
nuovo Regolamento Europeo sulla sperimentazione clinica, che imporrà con
maggior forza l’armonizzazione Europea
dell’accesso agli studi clinici.
Luigi Godi ha ricordato che le CRO censite presso AIFA sono 204, 119 con sede operativa e 85 senza sede.
Il questionario SSFA è stato indirizzato
alle 119 CRO con sede operativa, ed
abbiamo la conferma che in 104 casi il
questionario è stato aperto.
Purtroppo le risposte sono state solamente 24 (11 da CRO Italiane, 8 da affi-
Anno VIII numero 41
Pagina 3
Da sinistra: Francesco Goisis, Carlo Tomino, Mariapia Cirenei e Marco Romano
(Continua da pagina 2)
liate e 5 da CRO non coinvolte in attività
di monitoraggio): i risultati sono quindi
molto parziali, e possono dare un quadro
distorto della realtà.
Giovanni Fiori ha continuato con alcuni
risultati di questa indagine SSFA, facendo presente che il 53% delle CRO che
hanno risposto ha dichiarato un aumento
del fatturato.
Francesco Goisis (Università di Milano)
ha illustrato possibili scenari di azioni
legali nei confronti dei Comitati Etici che
non rispettano i tempi previsti dalla legge.
In particolare, si è soffermato su quattro
condizioni, quali: l’esercizio del potere
sostitutivo (causa inidoneità del pubblico
ufficiale), oppure l’indennizzo causato
dal ritardo, oppure una Class Action,
oppure una diffida con richiesta di risarcimento del danno.
A suo parere, può valere la pena mettere in mora un CE inadempiente, rinunciando poi all’azione giudiziale: potrebbe
rappresentare un segnale per tutti i CE.
Dopo la pausa pranzo, Giuseppe Caruso
(Farmindustria) ci ha ricordato quanto
strategico sia per l’Italia il valore prodotto
non solo dall’industria farmaceutica, ma
anche dall’indotto che genera: la sola
cifra dell’incremento delle esportazioni
(+ 44%) dà la giusta dimensione a que-
ste affermazioni.
E’ poi intervenuto Antonio Torsello
(Università Milano Bicocca) che ha brillantemente illustrato il master attivato da
cinque anni con il supporto SSFA, che è
stato premiato con il titolo di centro di
eccellenza Pharmatrain, e che seleziona
studenti di elevato potenziale, che ottengono tutti, in breve tempo dal diploma,
un’ adeguata sistemazione nel mondo
del lavoro.
Infine Silvana Giro (Bracco) ha illustrato
il processo che uno sponsor attiva per la
selezione della CRO, reso reale da alcuni esempi concreti.
E’ seguita una vivace discussione, nella
quale tutti i relatori sono stati chiamati ad
approfondire alcuni temi presenti nelle
loro relazioni.
E’ stata quindi una giornata molto intensa e produttiva, a dimostrazione del fatto
che il mondo delle CRO sta vivendo una
fase di grande dinamismo, caratterizzata
da una crescita continua ed anche da un
dibattito interno.
XIII
CONGRESSO
NAZIONALE
I 50 ANNI DI
SSFA E LA
RICERCA IN
ITALIA
Domenico Criscuolo
Le presentazioni autorizzate
sono disponibili sul sito
WWW.SSFA.IT
31 marzo - 1 aprile
Casa dell’Architettura
Piazza Manfredo Fanti 47
Roma
Anno VIII numero 41
Pagina 4
Qualcosa sta cambiando in Italia?
Beatrice Lorenzin:
non si può continuare a considerare
la ricerca un costo
"La ricerca non può continuare a essere
considerata un costo per il sistema sanitario. Al contrario è un valore, anche
economico, e un modo etico per far crescere il nostro Paese". Lo ha evidenziato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenendo a Roma alla cerimonia AIRC al Quirinale per la giornata
della ricerca sul cancro, alla presenza
del Presidente della Repubblica. Lorenzin ha ricordato che il nostro Paese "già
produce l'11% dei principi attivi mondiali. E ne esportiamo l'85% verso Stati
Uniti, Giappone e altri Paesi avanzati. Il
ministero della salute sta investendo
136 milioni di euro nel bando della ricerca finalizzata, mentre altri 60 milioni di
euro sono destinati ai giovani ricercatori
al di sotto dei quarant'anni. Il finanziamento della ricerca oncologica attraverso la ricerca corrente è valso, dal 2008
al 2012, circa 50 milioni di euro anno;
nello stesso quadriennio altri 8 milioni di
euro l'anno sono stati destinati ai soli
IRCCS oncologici, mentre 16 milioni
sono andati a tutti gli altri partecipanti
(regioni, aziende ospedaliere) ai quali il
conto capitale ha destinato nell'ultimo
biennio altri 6 milioni di euro anno. L'investimento complessivo è intorno ai 55
milioni per anno per i soli IRCCS oncologici".
"Non sono certo le cifre che si mobilitano
in Paesi come gli Stati Uniti, per questo
dobbiamo pensare a modi nuovi di attrarre investimenti nella ricerca che deve
diventare una nostra priorità: ci aiuta
infatti ad aumentare il benessere dell'Italia sia dal punto di vista della salute, sia
da quello delle economie ad essa collegate. I dati, le cifre, le scoperte - ha concluso Lorenzin - ci dicono che la lotta
contro questa malattia, in parte già sconfitta, può segnare quotidianamente punti
a favore di chi la combatte. Ogni anno
portiamo un risultato nuovo che ci dà
coraggio, forza, che ci porta soprattutto
speranza. Abbiamo il dovere di salvaguardare e rinnovare il nostro SSN nella
prospettiva del paziente, ma soprattutto
abbiamo il dovere di costruire un cammino per la nostra ricerca che ci faccia
guardare avanti, verso nuovi traguardi".
…………OPPURE NO????
"L'Italia non è un paese
per scienziati" La denuncia della rivista
Nature Neuroscience
Il taglio dei finanziamenti, le condanne
dell'Aquila, il caso Stamina, la legge
sulla sperimentazione animale. Sono
tutti episodi con un minimo comun denominatore: l'Italia non sembra essere un
paese per scienziati. Alla conclusione
arriva un duro editoriale che la rivista
Nature Neuroscience dedica al nostro
paese. "La ricerca biomedica italiana
sotto attacco" è il titolo dell'articolo, che
scrive: "Gli ultimi due anni sono stati un
periodo molto duro per gli scienziati italiani". L'editoriale prosegue citando la
nuova "legge miope" sulla sperimentazione animale come "uno degli ostacoli
insuperabili", capace di "minare alle fondamenta quasi tutta la ricerca biomedica
del paese". E conclude puntando il dito
anche contro gli scienziati, "colpevoli di
non aver spiegato in termini adeguati i
metodi e i fini della loro ricerca, facendo
sì che false informazioni e sfiducia si
diffondessero tra la popolazione". Nature
è un gruppo editoriale che ha sede a
Londra e insieme alla rivista americana
Science pubblica tutti i più importanti
risultati scientifici ottenuti nel mondo. Nei
suoi editoriali non è mai stata tenera con
l'Italia. Lo scorso aprile ci ha accusato di
avallare il metodo Stamina "usando i
pazienti come animali da esperimento".
Ma tra tante ombre, la rivista ha anche
riconosciuto le nostre luci: il direttore
Philip Campbell è stato al Quirinale per
consegnare i "Nature Award for Mentoring in Science" a tre importanti scienziati italiani, scelti per la loro bravura nel
formare giovani allievi. Michela Matteoli,
premiata al Quirinale con due colleghi,
fa ricerca sulle sinapsi del cervello all'università di Milano. Così prova a spiegare la contraddizione di un paese premiato per la bravura dei suo maestri ma
additato (sempre secondo Nature Neuroscience) per "il profondo fossato che
divide gli scienziati italiani dal loro governo". "La scienza in Italia ha delle punte
di diamante nonostante i grandi ostacoli
che la politica pone sul nostro cammino". Anche Campbell sottolinea la natura
dottor Jekyll-mister Hide della nostra
ricerca. "L'Italia sta diventando sempre
più ostile alla scienza e agli scienziati,
attraverso tagli dei fondi e restrizioni
legislative. Questo non fa presagire bene per il vostro futuro economico". Eppure "il paese produce molti scienziati di
valore mondiale. Spero che loro sentano
la nostra solidarietà e che la corrente
della politica viri in loro favore". I venti
che tirano per ora sono piuttosto di guerra. E dopo la giornata da tregenda vissuta dal centro di Roma, con i malati di
Stamina che hanno versato il loro sangue di fronte a Montecitorio, un'altra
giornata di battaglia è stata vissuta a
Milano. Il gruppo "Animal Amnesty" ha
infatti organizzato una marcia verso l'Istituto Mario Negri, che utilizza animali per
le sue sperimentazioni. E tutto ciò avviene dopo il precedente dello scorso 20
aprile, quando un gruppo di animalisti
fece irruzione nel dipartimento di farmacologia dell'università di Milano liberando i topolini e un coniglio.
La controversa legge sulla sperimentazione animale nasce da una direttiva
europea del 2010. Nonostante Bruxelles
vietasse ulteriori inasprimenti delle norme, l'Italia ha inserito vari emendamenti
restrittivi. Il testo modificato è uscito dal
Parlamento il 6 agosto ed è stato approvato solo in via preliminare (quindi non è
ancora effettivo) dal Consiglio dei Ministri. Prevede il divieto di allevare e di
usare in laboratorio cani, gatti e primati
(già oggi l'80% delle cavie usate in Europa sono topi e ratti) e obbliga a somministrare analgesici prima di ogni procedura, iniezioni incluse. La norma della legge 96 del 6 agosto 2013 che inquieta gli
scienziati e che ha spinto Nature Neuroscience a parlare di "attacco alla ricerca
italiana" è però un'altra: quella che "vieta
l'utilizzo di animali per gli xenotrapianti".
Gli xenotrapianti sono trapianti di cellule
od organi da una specie all'altra. Buona
parte della ricerca oncologica oggi si
svolge prelevando delle cellule dal tumore di un paziente e impiantandole nei
(Continua a pagina 5)
Anno VIII numero 41
(Continua da pagina 4)
topolini, per seguire nell'animale andamento della malattia ed effetto delle cure. "La nuova legge ostacolerebbe la
ricerca di nuove terapie contro il cancro.
Il problema riguarda gli xenotrapianti,
ma anche i test di tossicità dei nuovi
farmaci. In Italia un laboratorio su due,
fra quelli che effettuano ricerca preclinica, vedrebbero il loro lavoro compromesso" spiega Pier Paolo Di Fiore, ex
direttore dell'istituto di ricerca oncologica
IFOM e professore all'università di Milano. Contro questa eventualità, i ricercatori dell'associazione "Pro Test" hanno
manifestato a Montecitorio ed hanno
Pagina 5
organizzato conferenze nei prossimi
giorni in varie città. Tutti i direttori degli
istituti di ricerca oncologica in Italia hanno firmato la petizione della federazione
italiana scienze della vita. Un'altra raccolta di firme su www. Salvalasperimentazioneanimale.it ha raggiunto 13mila
adesioni. Il 29 novembre la sede del
CNR ha ospitato il convegno "Spera Sperimentare per curare" per trovare
metodi efficaci di comunicazione del
ruolo della sperimentazione animale. "In
realtà ci siamo sempre sforzati di spiegarlo" dice Matteoli, che lavora nel dipartimento assaltato ad aprile. "Ma di fronte
all'uso dell'emotività non abbiamo stru-
menti. I servizi in televisione parlano di
sperimentazione mandando in onda
immagini di gattini maltrattati. Ma noi
usiamo topi, e seguiamo fior di controlli
e precauzioni, previsti già dalla legge
attuale". E proprio la mancanza di
"comprensione reciproca" fra cittadini,
ricerca e politica, sottolinea Nature, è il
tratto comune che lega tutti gli episodi
degli "anni orribili" vissuti dalla scienza in
Italia.
PRENDE IL VIA LA PRIMA EDIZIONE
DI NAPOLI
A cura di Domenico Criscuolo
DEL MASTER
Lo scorso 25 novembre 2013, nella splendida sala degli affreschi della Seconda Università di Napoli, il prof Franco Rossi, alla
presenza di molti docenti e degli studenti, ha ufficialmente inaugurato la prima edizione del master di secondo livello
“Farmacovigilanza, farmaco- epidemiologia e attività regolatorie”. I lettori di SSFAoggi ricorderanno che abbiamo già parlato di
questa iniziativa, della quale abbiamo lodato la forte impronta organizzativa e la qualità del programma e dei relatori, ed al quale
SSFA ha concesso il patrocinio.
Siamo lieti di potervi dire che l’iniziativa ha avuto successo: venti
studenti si sono iscritti, consentendo la realizzazione di questo importante master, che viene a colmare
un vuoto formativo per gli studenti
della regione Campania.
Nella cerimonia di inaugurazione ho
avuto l’opportunità di intervenire a
nome SSFA, ricordando l’impegno
che la nostra società sta dedicando
ai diversi master attivi in Italia, ai
quali vengono forniti non solo docenti qualificati di estrazione industriale, ma anche un importante
supporto logistico.
Il giorno successivo ho avuto poi
l’opportunità di conoscere personalmente gli studenti, poiché avevo le
lezioni del pomeriggio: sono quasi
tutti laureati in farmacia, molti già
lavorano in ospedali oppure presso
le ASL campane, e sono molto interessati ad acquisire nuove competenze, soprattutto in tema di farmacovigilanza e nelle attività regolatorie.
Una buona partenza quindi, che certamente contribuirà ad arricchire il panorama dell’offerta formativa post-laurea.
Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 41
Pagina 6
CELLULE STAMINALI:
UN ITALIANO SU DUE NON SA COSA SONO
Gli italiani non sono informati sulla possibilità di conservare il sangue
cordonale: il 48% afferma di non sapere esattamente di cosa si tratti e
un altro 29% di averne sentito parlare, ma di non essere al corrente
della distinzione tra donazione e conservazione. Inoltre, gli italiani confondono le cellule cordonali con quelle embrionali: l’82% ritiene infatti
che “quando si sente parlare di cellule embrionali, si intendono proprio
quelle del cordone ombelicale” e l’81% che “i problemi di natura etica
di cui si sente parlare si riferiscono alle cellule staminali del sangue del
cordone ombelicale”. È questa in breve la fotografia della conoscenza
delle cellule staminali da parte degli italiani scattata da un sondaggio
realizzato su un campione rappresentativo di 600 individui dell’universo dei 20-44enni italiani (la fascia d’età che dovrebbe essere più esposta alle informazioni relative al sangue cordonale, in quanto in età da
figli piccoli) da ISPO Ricerche per Assobiotec, l’Associazione per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica. “Dallo studio emerge – sostiene il prof. Renato Mannheimer, coordinatore dell’indagine – prima ancora
che una scarsa conoscenza della possibilità di utilizzare il sangue cordonale, una totale assenza di consapevolezza
circa le cellule staminali da parte degli italiani. Gli intervistati mostrano di possedere poche e confuse informazioni a
riguardo; le risposte relativamente a caratteristiche ed utilizzo delle staminali sono fornite il più delle volte in modo
orientativo (credo di sì/di no) e, spesso, risultano errate”.
“Gli italiani 20-44enni – aggiunge Mannheimer – non conoscono la distinzione tra cellule staminali neonatali ed embrionali. Le informazioni possedute, quindi, non permettono loro di distinguere con chiarezza tra le diverse fonti di
cellule staminali, lasciando intendere che anche i risvolti di tipo etico, spesso protagonisti del dibattito pubblico, difficilmente possono essere correttamente compresi. “Il sondaggio ci consegna uno spaccato di paese bisognoso, ma
anche desideroso, di maggiore conoscenza su un tema tanto importante e delicato come quello delle cellule staminali”. “C’è assoluta necessità di una maggiore cultura scientifica relativa alle staminali e alle biotecnologie, e alle
molteplici possibilità che esse aprono per la tutela della salute e l’evoluzione sociale. Non è un caso che oggi in Italia il 97% dei cordoni ombelicali venga gettato, trattato come rifiuto biologico. Per questo l’industria rappresentata da
Assobiotec è pronta a fare la propria parte. Ma serve soprattutto un chiaro e preciso impegno da parte delle Istituzioni pubbliche”
“Chiediamo quindi con forza – conclude Assobiotec – un tavolo tecnico, a cui siedano «pubblico» e «privato», che
produca un documento condiviso con poche e corrette informazioni per rendere consapevole e alfabetizzare la popolazione alle staminali, alla loro rilevanza e al loro utilizzo. L’Italia non può rimanere anche in questo campo il fanalino di coda dell’innovazione in Europa”
Anno VIII numero 41
Pagina 7
IL LIBRO DI OGGI
Cari Soci,
oggi vi propongo la lettura di un libro che merita una giusta riflessione.
ETICA DELLA CURA MEDICA (di Elisa Buzzi, Editrice La scuola) è un
testo che tutti coloro che si occupano di studi clinici dovrebbero leggere con attenzione: esso ripercorre l’evoluzione dell’etica medica, da
Ippocrate in poi, e suscita interessanti riflessioni.
Infatti, come riportato nell’introduzione “ la problematica etica che
coinvolge tutti i settori della medicina odierna prospetta una serie di
sfide intellettuali e morali della massima importanza, tanto per il futuro
della professione quanto per la società nel suo complesso.
La medicina affronta tali sfide con il supporto di una tradizione di riflessione morale e di codificazione deontologica che l’accompagna fin
dalle sue origini, e con la consapevolezza del ruolo centrale che l’etica
ha sempre avuto nella sua autocomprensione come professione finalizzata alla cura ed al sollievo della sofferenza.
In questa prospettiva, la relazione di cura emerge come “principio architettonico” della medicina, in grado di fornire la cornice di riferimento
per una teoria etica normativa, e per la definizione delle “virtù” e delle
obbligazioni che ineriscono essenzialmente al patto di fiducia che fonda l’alleanza terapeutica tra medico e paziente”.
Domenico Criscuolo
The Lancet:
Antibiotic resistance: a final warning
On Sept 16, the US Centers for Disease Control and Prevention (CDC) released its report Antibiotic
Resistance Threats in the United States, 2013—their first ever report on this subject. From the outset
the tone is clear: in his foreword, Tom Frieden, director of the CDC, states that “antimicrobial
resistance is one of our most serious health threats. Infections from resistant bacteria are now too
common”. The stated aim of this report is to increase awareness of the threat resistance poses and to
encourage immediate action to address this threat. To put the problem of resistance into perspective
the report presents some sobering statistics.
The CDC estimates that antibiotic-resistant organisms are the cause of infections in more than 2 million
people each year in the USA. Of these people, more than 23 000 die as a consequence of their
infections.
The CDC stresses that these are conservative estimates and so the true numbers are probably much
higher. To further promote the risks posed by antimicrobial resistance the CDC will be holding its
annual Get Smart About Antibiotics Week on Nov 18—24. This campaign will promote the appropriate
use of antimicrobials across the USA and will coordinate with similar campaigns in Australia, Canada,
and Europe. To coincide with these events, The Lancet Infectious Diseases will be publishing its
commission on antimicrobial resistance.
Raising the profile of the problem of antimicrobial resistance is always welcome, but it begs the
question of why we are still facing an issue identified decades ago?
The report itself presents a timeline of emerging resistance, showing that reports date back to 1943.
We are rapidly approaching the point when antimicrobial resistance will be nothing short of a
catastrophe. And for the many thousands in the USA and elsewhere, the world's response is already too
late. However, momentum on this issue seems to be building. On Sept 19—20, there was a meeting of
WHO's Strategic Technical Advisory Group on antimicrobial resistance, with the purpose of identifying
the key issues and options that will feed into a new global strategy.
Hopefully, this will be more than the strong words we have become used to and will herald the
beginning of robust action.
Anno VIII numero 41
Pagina 8
Oggi parliamo di……
…Il Microtus ochrogaster, roditore monogamo e sociale
Nell’ultimo numero di SSFAoggi ci siamo
occupati di un insolito modello animale, molto interessante dal punto di vista immunologico: il dromedario. Oggi parleremo di un
altro test system: le arvicole della prateria. Si
tratta di piccoli mammiferi, diffusi nel Nord
America, nell’ Europa ed nell’Asia settentrionali, che da alcuni anni rappresentano un
eccellente modello sperimentale per lo studio delle basi neurologiche, genetiche, evolutive e molecolari dei legami e dei comportamenti sociali complessi, quali il legame di
coppia, la scelta e la predilezione per il partner, la cura biparentale della prole ed altri
aspetti sul modo in cui le informazioni su altri
individui della stessa specie sono elaborate,
archiviate ed utilizzate (social cognition). La
formazione di rapporti durevoli tra partner
adulti è una componente importante del
comportamento sociale umano, e talora
anche animale, che è stata oggetto di molte
ricerche sulla salute sia fisica che psicologica. Tuttavia, a causa della complessità di
questi legami, della relativa rarità con la
quale si ritrovano in altre specie di mammifero e delle oggettive difficoltà inerenti questa
metodologia di ricerca, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità di modelli sperimentali adeguatamente validati, conosciamo
incredibilmente poco sulla componente neurobiologica che sta alla base dei rapporti e
dei legami di coppia. Gli studi basati sul
modello sperimentale del quale ci occupiamo oggi hanno fornito parecchie informazioni sui meccanismi che regolano i rapporti
che formano e tengono unita la coppia. Le
arvicole della prateria sono piccoli roditori
delle dimensioni di un criceto, hanno cranio
tozzo, piccoli occhi e piccole orecchie, coda
corta e pelosa, pelo folto e lungo, ruvido ed
ispido, di colore grigio-marrone sul dorso. Il
loro nome scientifico, Microtus ochrogaster
(famiglia Cricetidae, ordine Rodentia), deriva
dal greco e si richiama ad alcuni dei tratti
somatici salienti di questi mammiferi: il nome
del genere di appartenenza (Microtus) si
riferisce alle orecchie piccole, mentre il nome della specie (ochrogaster) indica il colore
grigio del pelo ventrale, che è striato di giallo. Gli individui di questa specie non mostrano dimorfismo sessuale per quanto riguarda
i tratti somatici, le dimensioni corporee ed il
colore del pelo; gli adulti misurano 12.5-18,0
cm di lunghezza e pesano 30-70 grammi.
Formano colonie di circa 300 individui; in
cattività possono vivere 1-3 anni e si riprodu-
cono 3-6 volte nell’anno, partorendo 2-7
piccoli per volta. A differenza di altre specie
di arvicole, quelle della prateria sono strettamente monogame e formano coppie unite da
legami molto forti e stabili, che durano per
tutta la vita e anche oltre, tant'è che, quando
un membro della coppia muore, il partner
che gli sopravvive rimane solo, anziché formare una nuova coppia. Maschio e femmina
rimangono insieme dopo il parto, condividono il nido, strigliano vicendevolmente il pelo
e si dedicano alla cura della prole. Alcuni
ricercatori, studiando le basi neurobiologiche
di questi comportamenti sociali, hanno confrontato l’espressione di neurormoni peptidici
ipofisari e di neurotrasmettitori delle arvicole
della prateria con quella delle arvicole della
montagna (Microtus montanus), che sono
loro parenti congenici, ma poligami, ed hanno riscontrato marcate differenze tra le due
specie nella distribuzione e densità dei recettori cerebrali della arginina-vasopressina,
dell’ossitocina e della dopamina. Questi
recettori sono concentrati in strutture neurali
(quali il nucleus accumbens) note come
“sistema di gratificazione”, dove mediano
l’effetto del rafforzamento di un comportamento a seguito di una gratificazione. La
densità dei recettori della vasopressina nell’area pallida ventrale, che è il maggior output
del nucleus accumbens, è molto maggiore
nel Microtus ochrogaster che nel Microtus
montanus. Nella specie ochrogaster, monogama, i neuropeptidi vasopressina ed ossitocina, interagendo con i rispettivi recettori,
coordinano comportamenti premianti, quali
l’accoppiamento, regolano la scelta selettiva
del partner e contribuiscono all’elaborazione
dei comportamenti sociali necessari al riconoscimento individuale. La formazione di un
forte legame monogamico dipende da una
modifica stabile del profilo di espressione dei
geni dell’ossitocina e della vasopressina,
innescata dall’accoppiamento ma che, come
vedremo, può essere indotta anche per via
farmacologica, purchè la somministrazione
del farmaco avvenga in concomitanza con
un rapporto sociale, anche fugace, tra i futuri
partner. Il blocco dei recettori dell’ossitocina,
per mezzo di iniezioni sito-specifiche di suoi
antagonisti nel cervello delle femmine di
arvicole della prateria, inibisce lo sviluppo
del processo che porta alla preferenza per il
partner e che si manifesta dopo l’accoppiamento. La dopamina della via mesolimbica percorso che collega l’area tegmentale ven-
trale al nucleus accumbens (nella porzione
ventrale del nucleo striato) attraverso l’amigdala e l’ippocampo, entrambi al centro del
sistema di gratificazione del cervello - si
pensa che possa giocare un ruolo importante nei processi di motivazione e ricompensa
endogena e del piacere associati a stimoli
appetitivi e nei processi di rinforzo nell’elaborazione delle sensazioni di piacere e di paura. La stimolazione simultanea dei recettori
di questi due neuropeptidi e di quelli della
dopamina, nei centri cerebrali della gratificazione durante l’accoppiamento, genera una
preferenza condizionata per il partner, creando il legame di coppia forte e duraturo di
cui s’è detto. Tra le principali gratificazioni ci
sono quelle finalizzate alla sopravvivenza
della specie, quali il cibo, il rapporto sessuale o un comportamento aggressivo vittorioso.
Recentemente, altre differenze recettoriali
sono state individuate tra le arvicole della
prateria, monogame, e quelle poligame della
montagna: riguardano la diversa espressione dei recettori μ-oppiacei, che potrebbe
contribuire alle differenze comportamentali
rilevate tra queste due specie. Le arvicole
della prateria hanno densità significativamente più elevate di recettori μ-oppiacei
nella maggioranza delle diverse regioni del
prosencefalo, inclusi i nuclei talamici anteroventrale ed antero-laterale. I recettori μoppiacei situati nel nucleo striato (parte dorsale del nucleus accumbens) sono coinvolti,
in modo anatomicamente segregato, nei
processi motivazionali e mediano molteplici
forme di rapporti sociali, incluso il legame
della prole per la madre ed il vincolo sociale
che tiene uniti i due individui di una coppia. I
recettori μ-oppiacei situati, invece, nella
zona dorso-mediale del nucleus accumbens, mediano motivazioni edoniche positive, coinvolte nell’induzione di sensazioni di
piacere. La possibilità di correlare geni e
comportamenti in questa specie animale è
stata limitata a lungo dalla mancanza di
informazioni genetiche e genomiche. Per
superare questo limite si è deciso di creare
una piattaforma per lo sviluppo delle risorse
genomiche di questo modello sperimentale.
A tal fine, è stata costruita e caratterizzata
una raccolta cromosomica batterica artificiale (BAC library) ottenuta da una arvicola
della prateria ed una mappa citogenetica
comparativa sviluppata da un topo della
prateria (Mus musculus). I cromosomi batte(Continua a pagina 9)
Anno VIII numero 41
(Continua da pagina 8)
rici artificiali sono spesso usati per sequenziare il genoma: un breve tratto del DNA di
un Microtus ochrogaster è stato amplificato
come un inserto nel cromosoma batterico
artificiale e poi sequenziato. Le parti sequenziate sono poi state riarrangiate in silico,
fornendo la sequenza genomica dell’arvicola
donatrice. La BAC library ha permesso la
caratterizzazione genomica, genetica e molecolare del Microtus ochrogaster e di caratterizzare le sequenze regolatorie e codificanti dei geni coinvolti nei comportamenti sociali. Recentemente, alcuni di questi geni sono
stati sequenziati,
inclusi quelli che
codificano
per
l’argininavasopressina,
l’ossitocina,
la
dopamina e per i
rispettivi recettori.
Abbiamo
visto
che l’accoppiamento induce la
formazione
di
legami di coppia
durevoli,
che
iniziano con la
formazione della
preferenza per il
partner e sono
regolati da vari
neutrotrasmettitori. Poiché il legame di coppia si
instaura
solo
dopo l’accoppiamento, si è ipotizzato che
meccanismi epigenetici siano coinvolti nella
sua regolazione. Questi meccanismi influenzano il fenotipo (in questo caso l’espressione
dei neurotrasmettitori ed il conseguente
comportamento sociale del Microtus), senza
alterarne il genotipo (cioè la sequenza nucleotidica dei geni coinvolti). Per verificare questa ipotesi, femmine di arvicole della prateria
adulte, ma sessualmente vergini, sono state
alloggiate per 6 ore in una gabbia con un
maschio (una coppia/gabbia), senza che
potesse avvenire l’accoppiamento, a causa
del tempo troppo breve trascorso insieme
dai due partner. Ad alcune di queste femmine è stata somministrata tricostatina A
(TSA), un potente e specifico inibitore delle
istone deacetilasi, che altera l’espressione
genica. TSA interferisce con la rimozione dei
gruppi acetilici degli istoni, alterando così la
capacità di fattori di trascrizione del DNA di
accedere alla molecola del DNA all’interno
della cromatina ed inducendo un innalzamento dell’espressione di geni specifici. TSA
ha facilitato, nelle femmine trattate, la forma-
Pagina 9
zione della preferenza per il partner anche in
assenza dell’ accoppiamento. A ciò si è associata una up-regulation specifica dei recettori dell’ossitocina (oxtr) e di quelli della vasopressina (avpr1) nel nucleus accumbens,
grazie all’aumentata acetilazione degli istoni
a livello dei rispettivi promotori genici. Inoltre,
la preferenza per il partner, nelle femmine
messe in gabbia con un maschio, ma non
trattate con TSA, ha innescato la stessa
regolazione epigenetica dei promotori dei
geni oxtr e avpr1 indotta da TSA. Non solo,
l’inibizione delle modifiche epigenetiche nel
cervello delle arvicole femmine trattate con
TSA ha portato ad una trascrizione dei recettori di ossitocina e vasopressina maggiore di
quella indotta dall’accoppiamento in un altro
gruppo di femmine lasciate col maschio per
24 ore, un tempo sufficiente perché si accoppiassero, confermando il nesso tra modifiche epigenetiche e legame di coppia. Inoltre, la preferenza per il partner, facilitata da
TSA, è stata prevenuta dal blocco dei recettori di vasopressina ed ossitocina nel nucleus accumbens. Questi risultati dimostrano
che accoppiamento e TSA facilitano l’insorgenza della preferenza per il partner attraverso eventi epigenetici e questa è la prima
evidenza diretta della regolazione epigenetica del legame di coppia. Riassumendo, la
preferenza per il partner, indotta dall’accoppiamento, innesca le stesse regolazioni epigenetiche dei promotori dei geni oxtr e avpr1
innescate da TSA e da altri fattori legati al
contatto sociale, contribuendo alla formazione del legame di coppia. Il tempo trascorso
insieme dai due partner della coppia, senza
che si verificasse l’accoppiamento, ha indotto una sorta di “imprinting mentale” che,
combinato con l’aumento dei valori di vasopressina ed ossitocina, ha fatto sì che le
arvicole della prateria siano disposte ad
accoppiarsi con quell’unico partner per il
resto della vita. Le arvicole della prateria
sono state proposte come modello potenziale per lo studio dei disturbi della social cognition (codifica, conservazione, recupero ed
elaborazione di informazioni nel cervello
relative a individui della propria specie),
inclusi deficit cognitivi sociali caratteristici di
alcune patologie psichiatriche, quali le varie
forme di autismo e di schizofrenia. Benchè le
ricerche sul comportamento sociale delle
arvicole della prateria non possano,
realisticamente, far
sperare di identificare i meccanismi
alle base di queste
patologie nell’uomo, i risultati ottenuti con questo
modello sperimentale
potrebbero,
comunque, aiutare
ad individuare i
percorsi genetici ed
i sistemi neurobiologici coinvolti nella
regolazione di vari
aspetti del comportamento sociale e
ad indirizzare strategie terapeutiche
nuove ed originali
per la cura di tali
deficit. Grazie all’evoluzione degli strumenti
molecolari, genetici e genomici in corso sul
Microtus ochrogaster, è prevedibile che questo piccolo roditore diventerà sempre più un
modello di studio insostituibile nelle ricerche
di base e traslazionali focalizzate sulla biologia del “cervello sociale”, cioè di quell’insieme di strutture e di meccanismi neurali che
presiedono sia alle nostre interazioni che ai
nostri pensieri e sentimenti verso i nostri
simili.
Domenico Barone
Anno VIII numero 41
Pagina 10
LA NUOVA VERSIONE DELLA DICHIARAZIONE DI HELSINKI
(FORTALEZA, OTTOBRE 2013)
La World Medical Association (WMA) è
un’organizzazione internazionale fondata nel 1947 a Parigi ove si tenne la prima Assemblea Generale, con la partecipazione di rappresentanze di medici
provenienti da 27 paesi. Attualmente
aderiscono alla Associazione società
mediche di 100 paesi. Obiettivo della
organizzazione è assicurare l’indipendenza dell’operato del medico e stabilire standard di livello il più possibile elevato riguardo l’etica della professione
medica. Uno stimolo importante alla
costituzione di questa associazione è
venuto dai terribili avvenimenti della
seconda guerra mondiale, quando si
venne a conoscenza degli orribili esperimenti eseguiti nei campi di concentramento nazisti su civili e prigionieri di
guerra da medici anche rinomati, esperimenti che comportavano atroci sofferenze ed anche la morte dei soggetti.
Come è noto, dopo il processo tenutosi
a Norimberga contro 23 medici e paramedici implicati in questi fatti, la corte
ritenne che l’etica ippocratica non fosse
più sufficiente quando è in causa la
ricerca nell’uomo ed elaborò un codice
(il c.d. Codice di Norimberga) dove si
stabilivano i dieci principi fondamentali
che debbono regolare l’esecuzione di
esperimenti medici nell’uomo: la previa
sperimentazione nell’animale, il consenso del partecipante, il diritto del soggetto ad interrompere in qualunque momento la propria partecipazione allo
studio, ed altro.
Fondamentale fu l’introduzione del
principio del consenso esplicito del soggetto, in quanto la sperimentazione
clinica, specie con l’avvento delle tecniche moderne della doppia cecità e della
randomizzazione, ha profondamente
alterato il tradizionale rapporto ippocratico medico/paziente nel quale è scontato che quest’ultimo, rivolgendosi al
medico di fiducia per essere curato,
accetti tacitamente le terapie che questi
prescrive oppure le rifiuti se per qualche
motivo non gli sono gradite. Nella sperimentazione clinica controllata il paziente dà il consenso ad entrare in uno stu-
dio nel quale riceverà un nuovo farmaco
sperimentale oppure uno standard o
addirittura un placebo inerte, essendo
non il medico ma una lista di randomizzazione a decidere quale trattamento gli
toccherà e non è detto ovviamente che
sarà quello che lo studio dimostrerà
essere il migliore. Inoltre, il consenso a
partecipare viene chiesto dallo stesso
medico che opera contemporaneamente anche come sperimentatore, spesso
in condizioni di cecità, ed il cui obiettivo
è fondamentalmente l’acquisizione di
conoscenze di carattere scientifico più
che il successo nel singolo paziente. Si
viene così a creare un conflitto di interessi tra le due parti, conflitto che, come
è noto, è stato superato con l’introduzione del terzo attore, cioè del Comitato
Etico che funge da garante sia della
utilità e della correttezza sperimentale
dello studio, sia degli interessi del paziente.
La General Assembly (GA) della
WMA si tiene due volte l’anno e nel
corso della diciottesima, tenutasi a Helsinki nel giugno del 1964, venne approvato il documento che da allora è conosciuto appunto come Dichiarazione di
Helsinki e che ha recepito formalmente
il contenuto del Codice di Norimberga. Il
testo della Dichiarazione, dal 1964 ad
oggi, è stato riveduto ed emendato 9
volte nel corso di assemblee generali
della WMA. L’ultima versione è stata
stilata in occasione della 64ma GA tenutasi in Brasile, a Fortaleza, nel mese
di Ottobre del 2013.
Come era logico attendersi, la nuova versione non introduce concetti sostanzialmente difformi rispetto alla precedente, elaborata nel corso della 59ma
GA tenutasi a Seoul nell’ottobre del
2008. Si tratta piuttosto di un riarrangiamento del testo, opportuno dopo che
nel corso degli anni erano state inserite
aggiunte in diversi punti della Dichiarazione. Come si ricorderà, la versione
precedente era suddivisa in tre parti:
Introduction, Principles of All Medical
Research e Additional Principles for
Medical Research Combined with Medi-
cal Care. Quest’ultima sezione prendeva appunto in considerazione i delicati
aspetti etici che si prospettano quando il
medico si trova ad essere contemporaneamente curante e sperimentatore. Il
testo elaborato a Fortaleza consta ora
di 10 paragrafi: Preamble; General
Principles; Risks, Burdens and Benefits;
Vulnerable Groups and Individuals;
Scientific Requirements and Research
Protocols; Research Ethics
Committees; Privacy and
Confidentiality; Informed Consent; Use
of Placebo; Post-Trial Provisions;
Research Registration and Publication
and Dissemination of Results;
Unproven Interventions in Clinical
Practice. Il raggruppamento per
argomenti consente una più agevole e
ragionata lettura del testo.
Il JAMA, commentando la nuova
versione, ha criticato il fatto che la Dichiarazione sia indirizzata soltanto ai
medici. In realtà, al punto 2 del
Preamble si dice che “Consistent with
the mandate of the WMA, the
Declaration is addressed primarily to
physicians. The WMA encourages
others who are involved in medical
research involving human subjects to
adopt these principles”. E’ ovvio che,
essendo la WMA un organo che
raggruppa società mediche, si rivolga
primariamente a chi pratica la Medicina,
tuttavia anche tutti i numerosi
professionis ti non med ici che
partecipano alle ricerche cliniche sono
“encouraged”, cioè esortati, ad attenersi
ai principi della Dichiarazione.
Viene ulteriormente sottolineata
l’importanza dei Comitati Etici per la
sorveglianza sulla ricerca nell’uomo,
conformemente agli standard e alle
procedure fissati nel 2011 dalla WHO.
Risulta quindi ancor più sorprendente
che il recente Regolamento Europeo
non menzioni i Comitati Etici ed i loro
compiti e si limiti a dire che “qualsiasi
domanda di autorizzazione a una sperimentazione clinica vada valutata congiuntamente da un numero ragionevole
(Continua a pagina 11)
Anno VIII numero 41
(Continua da pagina 10)
di persone indipendenti, che posseggano collettivamente le qualifiche e l’esperienza necessarie in tutti i settori di interesse, includendo il punto di vista dei
”non addetti ai lavori”: La genericità di
questa frase ha ovviamente suscitato
forti commenti negativi che hanno portato alla richiesta di numerosi emendamenti che ora saranno resi pubblici con
il nuovo testo del Regolamento. La nuova Dichiarazione, al paragrafo 23, sottolinea ancora che tra i compiti dei Comitati Etici non vi è solo quello di esaminare ed approvare i protocolli, ma anche
quello di monitorare gli studi durante il
loro svolgimento.
Si attendeva di vedere se il problema dell’uso del placebo sarebbe stato
nuovamente sollevato e discusso. Come
si ricorderà, nella revisione elaborata
dalla 52ma GA a Edimburgo nell’ottobre
del 2000 era stato chiaramente esplicitato che l’uso del placebo non era ammissibile quando esistessero trattamenti di
provata efficacia. Ciò aveva suscitato
vivaci reazioni negli USA, paese nel
quale l’uso del placebo nella ricerca
clinica è sacro ed intoccabile. Si giunse
perfino a minacciare la preparazione di
un testo analogo alla Dichiarazione di
Helsinki valido per gli Stati Uniti e nel
quale le riserve sull’uso del placebo sarebbero state eliminate. Fu deciso di
tenere una riunione per ridiscutere il
problema a New York l’11 settembre del
2001, fatidica data in cui l’attacco terroristico alle Torri Gemelle consigliò di rinviare la discussione. Fu così preparata
una Note of Clarification che fu incorporata nelle revisioni del 2002
(Washington) e del 2004 (Tokyo) per poi
divenire parte integrale del testo nella
versione di Seoul (2008). Nella versione
di Fortaleza il testo di Seoul non ha subito sostanziali variazioni ma solo qualche
spostamento di termini. Nel paragrafo
Use of Placebo si ribadisce che le caratteristiche di un nuovo trattamento
vanno valutate in confronto a quelle dei
migliori trattamenti, ad eccezione delle
seguenti circostanze:
“Where no proven intervention
exists, the use of placebo, or no
intervention, is acceptable;
or
where for compelling and scientifically
sound methodological reasons the use
Pagina 11
of any intervention less effective than
the best proven one, the use of placebo,
or no intervention is necessary to
determine the efficacy or safety of an
intervention and the patients who
receive any intervention less effective
than the best proven one, placebo, or no
intervention will not be subject to
additional risks of serious or irreversible
harm as a result of not receiving the best
proven intervention. Extreme care must
be taken to avoid abuse of this option.”
Come si vede, trattasi di una soluzione un po’ pilatesca che in pratica non
definisce chi debba fare la valutazione
della necessità dell’impiego del placebo,
proposta che ovviamente verrà dallo
Sperimentatore. Sarà quindi compito del
Comitato Etico decidere se in uno studio
la utilizzazione di un placebo in luogo di
un trattamento attivo presenti rischi di
danno grave o irreversibile, il che non è
ovviamente sempre facile da stabilire.
Interessante è il punto 13: “Groups
that are underrepresented in medical
research should be provided appropriate
access to participation in research”. Si
prende cioè coscienza del fatto che
alcuni gruppi di soggetti hanno tratto
minori vantaggi dal progresso della
ricerca perché esclusi dalle
sperimentazioni cliniche o inclusi in esse
in numero ridotto. Si tratta specialmente
delle donne e dei bambini e l’appello in
questi ultimi tempi aveva già trovato
ampio riscontro come dimostrano il
grande sviluppo che sta avendo la
Gender Medicine e l’obbligo fissato
dall’EMA di prevedere per ogni nuova
sostanza medicinale in studio anche un
piano di ricerca nei bambini.
Per la prima volta viene stabilito che
le persone che abbiano riportato danni
nella partecipazione ad una ricerca clinica debbono ricevere un adeguato indennizzo. Ciò può sembrarci ovvio, tuttavia,
come sempre il JAMA fa notare, specie
nei paesi in via di sviluppo spesso i partecipanti alle sperimentazioni cliniche
non sono coperti da assicurazione o lo
sono in modo inadeguato, il che certo
contribuisce a ridurre i costi della sperimentazione e ad attrarne di nuove ma
espone i soggetti partecipanti a gravi
rischi non certo bilanciati dagli scarsi
compensi che vengono erogati a chi
viene arruolato in studi clinici in quei
paesi. Si ricorda che in India è stata
recentemente introdotta una legge la
quale impone che chiunque partecipi ad
una ricerca clinica e riporti danni riferibili
allo studio debba ricevere opportuno
trattamento medico e adeguato indennizzo economico.
Un altro aspetto che interessa i paesi con risorse economiche limitate è
quello della disponibilità del farmaco che
si sia dimostrato efficace in studi condotti anche in quei paesi ma che per motivi
economici non viene in essi commercializzato. Occorre quindi che siano previste salvaguardie perché sia assicurata la
possibilità di accesso al trattamento che
si sia dimostrato efficace.
Si sottolinea ancora una volta come
l’informazione sullo studio a chi accetta
di partecipare debba essere esauriente
e si raccomanda di utilizzare eventualmente metodi innovativi come video e
vignette, verificando poi che la comprensione abbia avuto luogo.
Come nelle precedenti versioni,
viene raccomandato che le informazioni
sui risultati delle sperimentazioni cliniche
abbiano adeguata circolazione, che si
istituiscano database accessibili a tutti e
che anche i risultati negativi di studi siano pubblicati.
Infine, l’ultimo paragrafo “Unproven
Interventions in Clinical Practice” sembra proprio applicabile al caso StaminaVannoni che tanto rumore sta sollevando non solo in Italia. Come nella precedente versione si dice che nel caso di un
singolo paziente, quando non esista un
trattamento o i trattamenti impiegati si
siano rivelati inefficaci, il medico “after
seeking expert advice” e dopo avere
ottenuto un valido consenso dall’interessato o dal suo legale rappresentante
può usare un trattamento non sperimentato se, sempre a giudizio del medico,
esso offra la speranza di salvare la vita
del soggetto, di far recuperare la salute
o di alleviare le sofferenze. Nella
precedente versione il testo continuava
poi così: “Where possible, this
intervention should be made the object
of research, designed to evaluate its
safety and efficacy. In all cases, new
information should be recorded and,
where appropriate, made publicly
available.” Nella nuova versione di
Fortaleza “Where possible” è stato
cancellato e la frase è così divenuta
(Continua a pagina 12)
Anno VIII numero 41
Pagina 12
(Continua da pagina 11)
“The intervention should subsequently
be made the object of research etc.” per
cui la verifica con un appropriato studio
diviene obbligatoria dopo un trattamento
emergenziale. Cioè proprio quello che gli
esperti hanno reputato impossibile fare
in quanto il materiale di Stamina non
presenta quelle caratteristiche di
sicurezza di composizione e di buona
fabbricazione né le evidenze pre-cliniche
che si richiedono per qualunque
sostanza che debba essere saggiata
nell’uomo.
La versione di Fortaleza è quindi una lettura assolutamente consigliabi-
le a tutti coloro che in un modo o nell’altro sono coinvolti nella sperimentazione
clinica, anche se le precedenti versioni
siano già state oggetto di considerazione.
Luciano M. Fuccella
Global biopharma hub strategies
Over the past 5 years, the main arteries of drug R&D have pointed straight to the world's biggest biopharma hubs. As hubs have
grown, outlying R&D operations have been steadily trimmed away. And that trend played a big role in Novartis's decision to
shutter its big respiratory research centre in West Sussex, south of London, with plans to lay off 371 staffers and 170 consultants
as part of a wider restructuring. Some, though not all, of the research work underway in Horsham, U.K., will be transferred to
Boston and Basel, two of three main hubs that Novartis has identified. Its third big hub is Shanghai, another favourite of the
global biopharma crowd that has focused its attention on developing new drugs for the growing Asian market. "Economies of
scale mean it is better to consolidate into those three hubs rather than have them distributed throughout the world," Novartis
Country President UK Sue Webb commented. Webb mentioned that some of the programs would be shuttered, though a
company spokesperson quickly hushed that notion to interject that final decisions on research had yet to be made. The closure in
Horsham follows Pfizer's big decision to end most of its work in Sandwich along with a large portion of its operations in Groton,
CT. AstraZeneca has plans to get out of Alderley Park and centralize its R&D facilities in Cambridge, U.K. Sanofi has been
sparring with French unions to scale back in Europe as it continues its own build-up in the Boston/Cambridge area following its
takeover of Genzyme. And Johnson & Johnson has created a slate of four innovation centres in four big hubs--Boston, London,
San Francisco and Shanghai. Each of these companies spends billions of dollars on R&D each year, and as many of these
multinationals explore more collaborations and outside partnerships, it makes more sense to close down the outliers and
concentrate in key hubs. The global restructuring of R&D may persuade some of Novartis's Horsham workers to move to Boston,
but Webb was openly sceptical about any large number of moves. "We will try and determine what is right for those individuals,"
Webb told. "And yes there will be opportunities for people to relocate, but is it likely that 370 people relocate? Of course not. It
will be a compromise decision."
Anno VIII numero 41
Pagina 13
Nature di nuovo contro Stamina
In un editoriale della rivista scientifica espressa grande preoccupazione per la situazione italiana
Nell’interesse collettivo internazionale, il
ministro della Salute italiano «dovrebbe
risolvere la perdurante incertezza su una
terapia controversa». Un «fiasco» che
rischia di essere una macchia italiana.
La rivista scientifica Nature torna sul
caso Stamina e non modera i termini nei
confronti della decisione del Tar del Lazio di riaprire ciò che sembrava chiuso.
Luca Pani, capo dell’AIFA, aveva commentato con soddisfazione il parere della commissione di esperti, e non per la
bocciatura in sé del metodo Stamina,
ma per la vittoria della scienza sull’emotività delle masse, la demagogia e gli
interventi della magistratura basati sui
cavilli e non sulla sostanza scientifica.
Secondo la rivista britannica nessun
giudice dovrebbe prestarsi ad autorizzare ciò che non esiste come se esistesse.
Allora perché non si autorizza il veleno
dello scorpione blu come cura palliativa
anti-cancro? Ed anche il TAR può giudicare gli esperti italiani chiamati a valutare il metodo in base a un metro che in
Italia può al massimo riguardare la politica ma che non può certo riguardare la
scienza. E ciò che decidono i magistrati,
dati i tempi lunghi di questo Paese, non
fa altro che confondere le acque a tutto
svantaggio di una verità «volutamente»
trasformata in «segreto di Stato», manco
si parlasse di innovative armi militari. Ma
chi tutela quei genitori di bambini malati
e senza cura che a tutto si aggrappano?
Ancor più se nessuno può dire la parola
fine a un «fiasco» scientifico, che se
avesse funzionato sarebbe oggi ovunque, dato l’interesse sulle staminali di
imprenditori privi di scrupoli cinesi, russi,
arabi? E fa bene Nature a intervenire
con un editoriale non firmato, e quindi
della direzione.
L’APPELLO - È un vero e proprio appello al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, quello rivolto da Nature. Secondo
l’articolo, il «fiasco delle staminali andrebbe fermato» e il ministro «dovrebbe
risolvere ogni incertezza riguardo alla
possibilità di un trial gestito dal governo
di una terapia controversa». Non c’è
nessuna evidenza, ribadisce l’articolo,
che la terapia funzioni, e anzi potrebbe
essere pericolosa. «Lorenzin dovrebbe
sollevare i membri della commissione
che ha giudicato il metodo dall’obbligo di
confidenzialità. Inoltre dovrebbe rendere
accessibile a un pubblico più ampio il
protocollo del metodo. Deve agire ora,
prima che le cose peggiorino».
NUOVA COMMISSIONE - Secondo la
rivista la nomina di una nuova commissione che giudichi il metodo potrebbe
non essere una buona idea. «Ci si avventura in un terreno pericoloso - si legge -. Ci sono interessi internazionali
potenti che supportano cliniche che offrono terapie non provate a base di sta-
minali in Paesi come il Messico e l’Uganda. Questi Paesi non hanno gli stretti
controlli regolatori che impediscono di
sfruttare la disperazione dei pazienti di
Europa e Usa».
IL PREMIO - E si tocca il ridicolo, letteralmente, quando si apprende che un
premio per l’impegno civico ed etico nel
dibattito pubblico sulle cellule staminali
in Italia, a difesa della corretta applicazione del metodo scientifico, è stato
assegnato a novembre negli Usa dalla
Società internazionale per la ricerca
sulle cellule staminali (Isscr) a Elena
Cattaneo, Paolo Bianco e Michele De
Luca. Tre ricercatori, guarda caso, i cui
meriti scientifici sono riconosciuti a livello internazionale e che hanno ricevuto il
«Public Service Award» proprio «per il
recente impegno nel dibattito pubblico e
nel contributo politico in Italia, sostenendo il rigore scientifico e gli standard medici». Il riconoscimento, proseguono le
motivazioni, si riferisce inoltre «alla vigilanza che i tre ricercatori hanno esercitato sull’introduzione nella clinica dei nuovi
trattamenti basati sulle cellule staminali». E qui il riferimento a Stamina è evidente. Il mondo plaude ai nostri esperti
di staminali, mentre i malati accecati
dalle promesse non provate di Vannoni li
insultano. Strano Paese l’Italia.
A cura di Domenico Criscuolo
LIFETRAIN WORKSHOP
Ho partecipato, come rappresentante SSFA ed IFAPP, a questo incontro
annuale, tenuto a Bruxelles nella sede della Johnson & Johnson, lo scorso 28-29 novembre.
Obiettivo era quello di fare il punto sulla diverse attività in corso, svolte a
sottolineare l’importanza di un programma di aggiornamento professionale continuo (ed il termine Lifetrain ben sottolinea questo concetto): inoltre,
con il metodo dei gruppi di lavoro, si sono raccolte molte indicazioni per
rendere più pratico e stimolante il principio della formazione continua.
Devo ammettere che molti Paesi, soprattutto quelli del Nord Europa, sono
molto più avanti di noi sulla diffusione di questo principio: in Italia l’aggiornamento professionale è lasciato alla libera iniziativa del singolo, e soprattutto non viene svolta nessuna verifica. Tuttavia sono in
corso molte iniziative, alcune anche a livello politico, per garantire anche in questo settore un’armonizzazione Europea. Quindi
possiamo aspettarci, nel volgere di qualche anno, che una nuova direttiva imporrà a tutti i professionisti della Medicina Farmaceutica di seguire corsi e seminari di aggiornamento professionale, e di doverlo dimostrare in modo adeguato
Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 41
The Lancet:
Pagina 14
How to cope with an ageing population
The Global AgeWatch Index 2013 was released on Oct 1, ranking 91 countries in terms of the wellbeing of their older populations
(a loose term, but generally defined as individuals aged ≥60 years).
Unsurprisingly, high-income countries did best, with the highest scores for Sweden and Norway across the assessed domains of
income security, health status, employment and education, and presence of an enabling environment. Some countries with high
overall scores were let down by poor performance in specific domains; the USA was ranked only 24th for health but reached
eighth overall.
Conversely, South Korea (67th overall) was eighth best for health, but was let down by poor income security (90th).
For many countries, population ageing and how to ensure wellbeing for older citizens is portrayed as a cataclysm in waiting, with
too few people left in work paying for an overbalancing population pyramid.
True, fewer people of working age will be looking after a greying society (especially in rich countries) and retirement ages will
need to be raised, but such gloomy predictions are based on the assumption that with age comes expensive morbidity.
If successive cohorts age healthier than previous ones (so called morbidity compression), and care systems improve, the crisis
can be averted.
However, this optimistic course is not guaranteed. In the Global Burden of Disease 2010 Study, overall life expectancy at birth
increased by 4·7 years for men and 5·2 years for women between 1990 and 2010, but healthy life expectancy increased only by
4·2 years for men and 4·5 years for women.
In another assessment, although life expectancy at birth for the European Union increased by about 1 year in the 4 years up to
2009, healthy life expectancy stayed the same overall.
This expansion of morbidity, during which people live longer with ill health, drives up health costs and decreases wellbeing.
So why does this discrepancy exist?
All countries will feel the effects of the obesity and tobacco epidemics in the coming decades.
In poorer countries, success against maternal and child mortality and infectious diseases has improved overall survival, but has
shifted the burden of disease such that health systems encounter long-term disorders for which they are underprepared.
Funding should not be diverted from successful programmes, and new funding (with fewer advocates) has to be secured. In
richer nations, access to long-term social care for older individuals can be inadequate. Investment in services for elderly
populations to improve wellbeing can bring its own health benefits: a sense of purpose is
associated with reduced severity of Alzheimer's disease and, conversely, depression and
stress are linked with coronary heart disease and premature mortality.
Ageism bars older people from good health care.
Wrongly, illness is viewed as an inherent part of getting old, treatments are seen as ineffective
because of multi-morbidity, and any economic or health gains as minimal because elderly
patients die soon anyway.
Thus, elderly patients are excluded from clinical trials, and do not receive the same standard of
care as equivalently sick young people.
Greater investment is needed into secondary and ambulatory care, and older patients must be
included in well designed clinical trials.
We must focus not only on what society can give to the elderly, but also on what the elderly
can give to society.
Successful ageing will benefit all age groups from the altruism, wisdom, and perspective of the
most senior members of society.
Proactive rather than reactive health systems planning is needed.
Older populations in India, Indonesia, Mexico, and Russia will double in the next 40 years, yet
are in the bottom half of the Global AgeWatch Index. India (health status rank 85th) needs to
increase its share of GDP devoted to health (currently about 2%) if truly universal health care is to be delivered to its ageing
population.
Services need to adapt to improve care for their ageing populations, including better use of mobile services and technology to
facilitate home visits.
Better data are needed to gauge success (in terms of wellbeing) of interventions to address the long-term needs of an ageing
population, and track progress on morbidity compression. Although a promising start, The Global AgeWatch Index was only able
to provide rankings for 91 countries, including just seven from Africa. By 2050, more than 20% of the global population will be
older than 60 years and 80% will live in low-income and middle-income countries.
Success in other medical specialties means that the world's population is getting old. To allow it to do so gracefully will require
early investment and cooperation between health and social care.
Anno VIII numero 41
The Lancet:
Pagina 15
Realising the potential of stem-cell research in Europe
For many years there has been much hyperbole about stem-cell research, but recent developments have brought its enormous
potential a little closer.
For example, possible treatment for multiple sclerosis and potential implications for other neurodegenerative diseases have been
explored in the recent Lancet series on stem cells.
However, the involvement of human embryonic stem cells and how these cells might be applied in medicine have raised many
ethical and legal questions.
To inform this debate and ensure that the momentum driving these developments is not lost the European Science Foundation
has published a report, Human Stem Cell Research and Regenerative Medicine, comparing the legislation within Europe that
governs this field and highlighting some European successes.
It is particularly important to assess the legislative framework within which this research operates in Europe, because if changes
restrict the output of research it will consequently affect the availability of funding.
The report points out that at present Europe has a leading role in human embryonic stem-cell research and that the legal
landscape is favourable.
Within the report the positions of 30 European countries are categorised as very permissive, permissive with restrictions,
restricted by default, very restrictive, and unlegislated.
Only three countries—Belgium, Sweden, and the UK—fall into the most liberal first category, allowing the creation of human
embryos for research.
Most countries (16) fall into the next most permissive category, allowing research only on surplus embryos produced for in-vitro
fertilisation.
In this second category is Spain, where most (20 of 25) ongoing trials are taking place.
Beyond research, policies governing the commercial exploitation of human embryonic stem cells are much more restrictive.
A 2011 ruling by the European Court of Justice states that it is illegal to patent discoveries based on these cells.
This ruling has implications for future funding, and concerns about limiting possible commercial opportunities from this field have
long been a topic of discussion.
However, it is acknowledged in the report that adult stem cells, such as mesenchymal stem cells or induced pluripotent stem
cells, are associated with fewer legal and ethical constraints.
Therefore, research with these cells is progressing more readily than that involving embryonic stem cells.
The less restricted environment of adult stem-cell research makes these cells more appealing workhorses for the development of
new treatments, and perhaps ultimately their application in regenerative medicine.
The report lists many examples of promising findings and potential clinical applications in Europe.
One such example is the transplantation of photoreceptor nerve cells and adult human retinal stem cells into animals, with the
ultimate aim of restoring vision in people with degenerative eye diseases.
Another example is the use of neurons derived from human embryonic stem cells for the regeneration of brain tissue after injury
or disease.
Potentially the most ambitious and logistically complex example presented is the generation of tissue-engineered organs; in
particular the report cites the first paediatric, tissue-engineered trachea transplant.
The report concludes that “research transparency, integrity, and safety must continue to stand at the heart of any future
developments in this field”.
This statement is important with respect to human embryonic stem-cell research where the ethical pitfalls are many.
By effectively keeping this type of research within the public sphere, for now the legislators have got it right.
But care must be taken that the legal restrictions are not too broad or inconsistent such that they impede international
collaboration within and outside Europe.
Accepting the concerns raised about embryonic stem-cell research, there is still a great deal of hope and expectation invested in
this field.
The risk that must be avoided is allowing enthusiasm to overestimate the progress made so far.
Much research is at the early stages where possible clinical applications are difficult to assess.
Careful scrutiny of research findings and appropriate long-term follow-up must be mandatory to minimise false promises that
might damage medical and public confidence in future applications of this technology.
At the risk of adding to the hyperbole surrounding stem-cell research, it is beyond doubt that the field could herald great
advances in medicine.
However, in addition to the care taken when interpreting research findings, caution must be exercised in commercialisation of
such technologies.
The fruits of stem-cell research must be made available to as many patients in as many settings as possible if a medical
revolution is to be achieved.
Anno VIII numero 41
Pagina 16
Restoring the integrity of the clinical trial evidence base
Calling researchers and editors to help restore invisible and abandoned trials
British Medical Journal, BMJ 2013;346:f3601
Public confidence in the credibility of medical research is at a low ebb. Many completed clinical trials have never been published,
and many published results are incomplete or misleading. This crisis of hidden or misreported information from clinical trials—
and the resulting distortion of the clinical evidence base—is widely recognized and commonly decried. It is one of the leading
scientific problems of our time, but few solutions have been put forward. Doshi and colleagues offer a bold remedy in the form of
the RIAT (restoring invisible and abandoned trials) proposal. Invisible trials are those that have never been published.
Abandoned trials are unpublished trials that sponsors are no longer actively working to publish or published trials that, although
documented as misreported, have not been corrected by the authors. Doshi and colleagues declare that, “because
abandonment can lead to false conclusions about effectiveness and safety, we believe that it should be tackled through
independent publication and republication of trials.” They challenge medical researchers and funding agencies associated with
unpublished or misreported trials to swiftly signal their intent to publish or correct these “abandoned” trials and then to act on this
within a year. If no such intention is declared, or if a corrective paper has not been published within a year, they propose offering
the opportunity to become “restorative authors” to other responsible researchers, who would restore the integrity of the reporting
of the trials involved. The RIAT proposal outlines the step by step process that the original authors or volunteer restorative
authors should follow. It provides a minimum set of criteria for the proper and responsible publication and republication of
abandoned studies. To help start this project, the authors of the proposal supply a list of internal company research study reports
in their possession; many were obtained as a result of lawsuits or liberalized freedom of information policies. These documents
provide detailed, previously confidential, information on a large number of clinical trials that are known to be unpublished or
misreported. The authors of the proposal pledge to make these resources available to restorative authors and they call on others
with similar holdings to do the same. As the authors of this proposal explain, it is the existence of clinical study reports that
makes it possible to reconstruct industry funded clinical trials. These reports are little known, highly structured internal company
documents that describe the planning, execution, and results of individual clinical trials. Why not publish these reports instead of
encouraging their distillation into short research reports for journals? These documents may be thousands of pages long and are
not easily digestible: journal publication based on them may have a compression factor well above 1000:1. The authors of the
RIAT proposal are confident that the necessary trial information can be obtained from clinical study reports. They provide an
audit record tool to ensure that essential information is sorted systematically and to minimize the effect of reporting biases. As
well as committing to publication within a year, restorative authors must adhere to the study protocol and its prespecified
objectives, as well as to other reporting standards. The aim is to make any value judgments and decisions clear. Nothing better
underscores the urgency and importance of the RIAT proposal than the list of abandoned trials that accompanies it. Read it and
weep: on the list are clinical trials for drugs used by millions of people, including zanamivir, atorvastatin, gabapentin, and
paroxetine. The number and variety of drugs on the list show clearly that incomplete reporting of clinical trial results is not an
isolated occurrence, confined to a few drugs. Rather, it is an entrenched and widespread problem. Secrecy and selective
reporting were an integral part of the system. Reforms such as trial registration and mandatory results reporting will improve
things in the future but can do nothing about the flawed evidence of the past. The case in favor of the RIAT proposal is
particularly compelling because new treatments are judged against those tested in past trials. If the evidence from past trials is
unsound, so will be our view of new treatments. The failure to correct the scientific record is at odds with the principles of
transparency that most in the wider medical community, including drug company leaders, now publicly espouse. Despite the
rhetoric, however, little has changed so far. The RIAT proposal is the first to outline a clear practical means to an important
end—an accurate understanding of the results of previously performed clinical trials. The proposal authors acknowledge that
there are unresolved practical challenges and unforeseen consequences, and many of these challenges were highlighted during
peer review of their paper. These problems mean that some will think the project is rash and overly ambitious, whereas others
will inevitably think that it does not go far enough. In particular, because clinical study reports exist only for industry funded trials,
non-industry funded trials that have been misreported or abandoned by their authors will not find an easy route into the RIAT
fold. We should not let these shortcomings prevent us from moving forward. Doshi and colleagues’ unusual proposal is another
step on the road towards a complete and unbiased account of the effectiveness and safety of medical interventions. We hope
that the RIAT proposal will stimulate original researchers or capable volunteer restorative authors to come forward. As editors of
the BMJ and PLOS Medicine, we endorse the proposal and commit to publishing restorative clinical trial submissions. We
encourage other journals to signal their belief in the importance of this effort by endorsing the proposal too, either with an
editorial in their journals or by responding to this editorial, encouraging submission of these publications. The results of clinical
trials are a public, not a private, good. The public interest requires that we have a complete view of previously conducted trials
and a mechanism to correct the record for inaccurately or unreported trials. If we do not act on this opportunity to refurbish and
restore abandoned trials, the medical research community will be failing its moral pact with research participants, patients, and
the public. It is time to move from whether to how, and from words to action.
Anno VIII numero 41
Pagina 17
Declaration of transparency for each research article
From the British Medical Journal (BMJ 2013;347:f4796)
“It is the responsibility of everyone
involved to ensure that the published
record is an unbiased, accurate
representation of research.”
The
research
record
is
often
manipulated for short term gain but at
the risk of harm to patients. The medical
research community needs to implement
changes to ensure that readers obtain
the truth about all research, especially
reports of randomised trials, which hold
a special place in answering what works
best for patients. Failure to publish the
findings of all studies, especially
randomised trials, seriously distorts the
evidence base for clinical decision
making. A recent systematic review of
reboxetine for treating depression found
that almost three quarters of included
patients were in unpublished trials. Of
904 completed trials of interventions for
acute ischaemic stroke (1955-2008), a
fifth were not properly published,
“several of which may be large enough
to influence clinical practice and the
findings of systematic reviews and metaanalyses.”Bad as non-publication is,
incomplete or misleading publications
cause greater problems. Results of
clinical trials published in peer reviewed
publications may differ from what was
previously submitted to regulatory
agencies, with the published data being
more positive. The primary outcome
often differs from what the researchers
had stated in the trial protocol or clinical
trial registry. Selective non-publication
favours statistically significant findings,
biasing the literature. Furthermore,
authors often distort the presentation
and interpretation of their findings. One
study found that such “spin” was
common in 72 reports of randomised
controlled trials with statistically nonsignificant primary outcomes. Similar
findings have been reported recently for
studies of the accuracy of diagnostic
tests.
Peer review is failing to ensure that
journal articles contain the key clinical
and methodological details that readers
need. Reviews of published reports of
randomised trials have found common
deficiencies in the details of the
interventions
being
evaluated,
participant
eligibility
criteria,
and
outcomes. Details of study methods are
also often inadequate, especially in
relation to allocation. A 2006 study found
that only a third of trial reports described
how the randomisation sequence was
generated and only a quarter described
an adequate method of allocation
concealment. A review of 357 phase III
oncology
trials
concluded
that
“numerous items remained unreported
for many trials.” Harms too are poorly
reported. The problems associated with
publishing and reporting other types of
research may be worse than for
randomised
trials.
Although
less
intensively studied, similar concerns
have been expressed in relation to
epidemiology, pharmacoepidemiology,
diagnosis research, prognosis research,
and preclinical research. Of course,
good reporting is not the same as high
quality research. But a full and clear
report allows readers to judge a study’s
reliability and relevance. There are
concerns that commercially sponsored
research may be more likely to remain
unpublished, but when published these
trials are reported more fully.
So what is needed? Published research
articles should provide a clear and
transparent
description
of
how
researchers conducted their study and
what they found. Omission of important
details of methods or study conduct
should be deemed unacceptable, and
journals should not publish them.
Although detection of some deficiencies
requires
external
information (for
example, from a trials register or
protocol), most deficiencies are inherent
in a submitted manuscript and should be
detected. Despite the availability of
reporting guidelines such as CONSORT,
improvements are slow to materialise.
By not making results of their research
easily accessible, researchers are
withholding knowledge, in contravention
of the Declaration of Helsinki. Not only
are current practices questionable on
moral and scientific grounds, failure to
publish all research findings is a massive
waste of scarce resources and
diminishes the social value of the
research. Researchers and funding
organisations also fail the public when
research findings are published in a
misleading
or
inadequate
way.
Scientifically, this harms systematic
reviewers who want to aggregate all of
the evidence. Reviewing a partial picture
provides biased and less precise
estimates of effectiveness and safety
than when the full information is used,
and it may compromise the identification
of what works best for patients. We have
a proposal that can be acted on almost
immediately. We suggest that authors
should sign a publication transparency
declaration (box) as part of every journal
submission. The same declaration could
be appropriate for submissions in other
contexts—for example, to regulatory
agencies.
Transparency declaration
The lead author* affirms that this
manuscript is an honest, accurate,
and transparent account of the study
being reported; that no important
aspects of the study have been
omitted; and that any discrepancies
from the study as planned (and, if
relevant, registered) have been
explained.
*The manuscript’s guarantor.
Editors and editorial groups can support
this
initiative by updating their
instructions to authors so that a
completed publication transparency
pledge is required as part of the
submission process. We see this action
as a necessary scientific analogue of the
current widespread practice of asking
authors about conflicts of interest.
Subsequent revelation of withheld or
incorrect information would be evidence
of scientific misconduct for which various
actions could be taken. We hope that
this step will encourage authors to reflect
more carefully on how they write their
article and encourage them to check that
they have adhered to relevant reporting
guidelines. The BMJ and BMJ Open are
leading the way by implementing this
policy immediately. We invite other
journals to do likewise and support the
transparency
declaration
on
the
EQUATOR
website
(www.equatornetwork.org). The scientific community
and the public at large deserve an
accurate and complete record of
research; we need to make changes to
ensure that we will get one. Widespread
endorsement and implementation of a
publication transparency declaration is
one way to help to get the maximum
value from medical research. It will,
however, have no influence on the nonpublication of studies, which is a
continuing disgrace.
Anno VIII numero 41
Pagina 18
Il “Graduation Day” all’Università Cattolica di Roma
Il 23 novembre scorso, con la cerimonia di consegna dei diplomi ai 46 studenti che hanno frequentato il VI Corso del Master
“Sviluppo preclinico e clinico del farmaco: aspetti tecnicoscientifici, regolatori ed etici”, ha avuto termine l’anno accademico 20122013. Quest’anno l’evento è stato diverso e molto più stimolante rispetto agli anni precedenti perché, per ragioni amministrative,
non è stato possibile consegnare i diplomi volta per volta agli studenti che avevano discusso la tesi finale. Così il direttore del
Master, prof. Pierluigi Navarra, ha pensato di dedicare una mattinata a questa procedura arricchendo il contenuto dell’incontro
con due letture magistrali presentate da due qualificati relatori: il prof. Nello Martini, attuale Direttore R&D dell’Accademia Nazionale di Medicina ,ed, in precedenza, Direttore Generale di AIFA, che ha dissertato su:” Evoluzione del settore farmaceutico e dei
mercati al 2020: una nuova governance per le sfide future” ed il dr. Giuseppe Recchia, Direttore Medico di GSK, che ha approfondito il tema: “ Innovazione, coopetizione, competizione. Quale evoluzione per la ricerca farmaceutica?”.
L’uditorio, composto da un centinaio di persone tra studenti e loro parenti, docenti ed altri ospiti, accolto nell’Auditorio della Cattolica allestito per l’occasione, ha partecipato prima alle presentazioni, intervenendo con domande ai relatori, poi alla consegna
dei diplomi. La consegna dei Diplomi è stata fatta dal direttore del Master (coadiuvato dal Presidente uscente di SSFA, Gianni
De Crescenzo)e da una selezione
di docenti e tutti, per l’occasione,
hanno indossato i paramenti accademici che la cerimonia richiedeva
e cioè le toghe e, per i professori
ordinari (oltre al prof. Navarra era
presente il prof. Antonio Spagnolo),
il collare di ermellino. Prima della
consegna dei diplomi è stato sottolineato come la qualità delle tesi
discusse dagli studenti sia stata
molto elevata e tutti gli studenti
sono stati invitati a preparare un
riassunto del loro lavoro da pubblicare su SSFA oggi.
A fine cerimonia tutti a casa e…..
all’avventura della vita e del lavoro.
Francesco De Tomasi
Sono 27 i nuovi farmaci approvati da FDA nel 2013
Il 2013 si è chiuso con 27 nuovi farmaci approvati da FDA, un risultato deludente per quanti
speravano che l’impennata di luci verdi del 2012 (37 approvazioni) potesse rappresentare l’inizio di una tendenza, e non un boom episodico. Le Big Pharma, ad ogni modo, hanno incassato
14 registrazioni contro le 12 dell’anno precedente. Però è significativo che solo 6 aziende siano
state premiate da FDA (J&J, Gsk, Roche, Sanofi, Pfizer e Bayer): tutte le altre sono rimaste a
bocca asciutta. Autentici successi sono stati ottenuti da GSK e J&J, che hanno conseguito,
rispettivamente, 5 e 3 AIC. Fra le approvazioni del 2013, 10 farmaci (37%) proponevano nuovi
meccanismi d’azione, solo 6 farmaci (22 %) erano biologici (contro il 30% del 2012) e solo 4 (15 %) hanno ricevuto la “prioritary
review” (contro il 27% dell’anno precedente). Per quanto concerne le aree terapeutiche, la classifica dell’innovazione è dominata
dall’oncologia, con 8 approvazioni. Gli antinfettivi sono al secondo posto, con 5 approvazioni delle quali ben 4 hanno riguardato
nuovi farmaci antivirali. Terza posizione per l’area respiratoria (con 4 approvazioni). Seguono i farmaci per le patologie del sistema nervoso centrale, area che ultimamente ha registrato una serie di insuccessi in fase clinica, ed ha invece ottenuto nel 2013
tre approvazioni. A seguire i farmaci endocrinologici, ematologici e per la cura del sistema riproduttivo ed urogenitale (le tre aree
si attestano a quota 2 approvazioni). Chiude la classifica l’area delle malattie rare, con una sola approvazione.
Ecco nella pagina che segue le 27 approvazioni FDA per l'anno 2013 (fonte FDA)
Anno VIII numero 41
No.
Drug Name
Pagina 19
Active Ingredient
Date
What it’s used for
27.
Anoro Ellipta
umeclidinium and vilanterol
inhalation powder
12/18/2013
For the once-daily, long-term maintenance treatment of airflow
obstruction in patients with chronic obstructive pulmonary disease
(COPD).
26.
Sovaldi
sofosbuvir
12/6/2013
To treat chronic hepatitis C virus (HCV) infection.
25.
Olysio
simeprevir
11/22/2013
To treat chronic hepatitis C virus infection.
24.
Luzu
luliconozole
11/14/2013
For the topical treatment of interdigital tinea pedis, tinea cruris, and
tinea corporis caused by the organisms Trichophyton rubrum and
Epidermophyton floccosum.
23.
Imbruvica
ibrutinib
11/13/2013
To treat patients with mantle cell lymphoma (MCL).
22.
Aptiom
eslicarbazepine acetate
11/8/2013
As an add-on medication to treat seizures associated with epilepsy.
21.
Gazyva
obinutuzumab
11/1/2013
For use in combination with chlorambucil to treat patients with
previously untreated chronic lymphocytic leukemia (CLL).
20.
Vizamyl
flutemetamol F 18 injection
10/25/13
A radioactive diagnostic drug for use with positron emission
tomography (PET) imaging of the brain.
19.
Opsumit
macitentan
10/18/13
To treat adults with pulmonary arterial hypertension (PAH).
18.
Adempas
riociguat
10/8/13
To treat adults with two forms of pulmonary hypertension.
17.
Duavee
conjugated estrogens/
bazedoxifene
10/3/13
To treat moderate-to-severe hot flashes (vasomotor symptoms)
associated with menopause and to prevent osteoporosis after
menopause.
16.
Brintellix
vortioxetine
9/30/13
To treat adults with major depressive disorder.
15.
Tivicay
dolutegravir
8/12/13
To treat HIV-1 infection.
14.
Gilotrif
afatinib
7/12/13
For patients with late stage (metastatic) non-small cell lung cancer
(NSCLC) whose tumors express specific types of epidermal growth
factor receptor (EGFR) gene mutations.
13.
Mekinist
trametinib
5/29/13
To treat patients whose tumors express the BRAF V600E or
V600K gene mutations.
12.
Tafinlar
dabrafenib
5/29/13
To treat patients with melanoma whose tumors express the BRAF
V600E gene mutation.
11.
Xofigo
radium Ra 223 dichloride
5/15/13
To treat men with symptomatic late-stage (metastatic) castrationresistant prostate cancer that has spread to bones but not to other
organs.
10.
Breo Ellipta
fluticasone furoate and
vilanterol inhalation powder
5/10/13
For the long-term, once-daily, maintenance treatment of airflow
obstruction in patients with chronic obstructive pulmonary disease
(COPD).
9.
Invokana
canagliflozin
3/29/13
Used with diet and exercise, to improve glycemic control in adults
with type 2 diabetes.
8.
Tecfidera
dimethyl fumarate
3/27/13
To treat adults with relapsing forms of multiple sclerosis (MS).
7.
Dotarem
gadoterate meglumine
3/20/13
For use in magnetic resonance imaging (MRI) of the brain, spine
and associated tissues.
6.
Lymphoseek
technetium Tc 99m tilmanocept
3/13/13
A radioactive diagnostic imaging agent that locates lymph nodes in
patients with breast cancer or melanoma who are undergoing
5.
Osphena
ospemifene
2/26/13
To treat women experiencing moderate to severe dyspareunia due
to menopause.
4.
Kadcyla
ado-trastuzumab emtansine
2/22/13
For patients with HER2-positive, late-stage (metastatic) breast
cancer.
3.
Pomalyst
pomalidomide
2/8/13
To treat patients with multiple myeloma whose disease progressed
after treatment.
2.
Kynamro
mipomersen sodium
1/29/13
To treat patients with a rare type of high cholesterol called
homozygous familial hyperch. (HoFH).
1.
Nesina
alogliptin
1/25/13
To improve blood sugar control in adults with type 2 diabetes.
surgery.
Anno VIII numero 41
Pagina 20
Molti ammirano, pochi sanno
LA MEDICINA NELL’ANTICA GRECIA
I contributi della cultura greca classica
alla scienza, compresa la medicina, sono stati notevoli. La storia dell’antica
Grecia è divisa nei periodi omerica
(1100-750 AC), arcaica ( 750-480 AC), e
classica (480-323 AC). Durante questi
periodi, la medicina ha subito una notevole trasformazione ed evoluzione.
In precedenza, durante il periodo minoico (3500-1700 AC) e miceneo (16001100 AC ), la medicina era strettamente
connessa alla religione ed alla magia,
poiché la malattia era esclusivamente
attribuita agli dei che avevano il potere
di fornire e distruggere la salute umana.
La medicina greca antica è stata influenzata da altre civiltà, come quella egizia,
babilonese e indiana. Durante il periodo
omerico (1100-750 AC ) sono stati descritti i vari aspetti della medicina
(trattamento di ferite e lesioni e gestione
dei traumi). Le sezioni più sviluppate
della medicina omerica erano l’anatomia
e la traumatologia. I terapisti del tempo
ricorsero non solo alla magia ed agli
esorcismi, ma vennero usate anche erbe
medicinali e bendaggi per le fratture, ed
eseguite alcune procedure chirurgiche.
Asclepio era considerato il fondatore
della medicina antica greca: gli Asclepiadi, sacerdoti–guaritori, davano istruzioni
per il benessere della popolazione. I
greci gradualmente divennero più scettici riguardo all’influsso soprannaturale sul
loro benessere e divennero più interessati a spiegare i fenomeni naturali e la
comprensione della natura umana, la
vita e la malattia, con motivi di ordine
razionale, in particolare a partire dal VI
secolo AC, a seguito dello sviluppo della
filosofia naturalistica. I filosofi greci presocratici (Talete di Mileto, Anassimene,
Anassimandro, Eraclito, Empedocle,
Pitagora, Democrito ed altri) cercarono
di scoprire la vera sostanza della vita e
del mondo. Pitagora (580-489 AC) ha
creduto che il cervello fosse il centro di
attività superiori e ha introdotto l'importanza dei numeri, fondò una scuola di
filosofia a Crotone (530 AC). Qui Alcmeone fondò successivamente una scuola
di medicina. Altre scuole significative
furono la scuola medica di Cnido in Asia
Minore e la Scuola Coan sull'isola di
Cos, rispettivamente gestite da Euryphon ed Ippocrate. Ippocrate viene
citato da Dante al verso 143 del IV canto
dell'Inferno, insieme ad altri eminenti
scienziati e personaggi della storia, soprattutto antichi greci, che non ebbero la
buona ventura di conoscere Cristo, per
cui si trovano nel limbo, il primo cerchio
dell'inferno dantesco. Oltre agli infanti
morti senza battesimo, il poeta vi colloca
le anime di quanti non furono cristiani,
ma vissero da uomini giusti e perciò non
meritarono l'inferno (Fig.2).
Lo schema teorico generale elaborato
dalla scuola ippocratica consiste essenzialmente nella dottrina dei quattro umori. Secondo tale teoria gli umori, o elementi fondamentali costitutivi del corpo
umano, sono: il sangue, elemento caldo
proveniente dal cuore, la flemma, elemento freddo che proviene dal cervello;
la bile gialla, asciutta, secreta dal fegato;
e la bile nera, elemento umido, prodotta
dalla milza. La salute di un organismo
viene ricondotta a un rapporto proporzionato (crasi) fra i vari umori. Allorché questo rapporto viene alterato (discrasia) si
origina la malattia che, secondo il particolare umore alterato, si distingue in
sanguigna, flemmatica, biliare e atrobiliare. Subentra allora un periodo critico
in cui l'organismo oppone resistenza agli
agenti esterni responsabili della malattia.
Compito del medico è di aiutare l'organismo in questa lotta cercando di ripristinare le giuste condizioni per il suo funzionamento, soprattutto facendo in modo da rendere inoffensivi tutti i fattori
esterni che hanno causato la malattia.
Da questo punto di vista la malattia non
è considerata come un fatto improvviso
o accidentale: essa ha una storia che
può essere ricostruita attraverso l'individuazione delle cause che l'hanno resa
operante e una previsione della loro
efficacia futura resa possibile dalla numerosa precettistica desunta fondamentalmente dall'esperienza.
Secondo tale originale indirizzo, la terapia si riduce ad assecondare la forza
medicatrice della natura; di qui l'importanza della dieta e delle norme igieniche
che tendono a ripristinare, correggendo
le anomalie, l'equilibrio precedente. La
medicina ippocratica ha esercitato un'e-
parte seconda
"La vita è breve, l'arte lunga, l'esperienza ingannevole, il giudizio difficile".
norme influenza lungo tutta la storia del
pensiero scientifico; ciò in massima parte è dovuto all'assetto metodico e non
dogmatico conferito alla medicina da
Ippocrate e dalla sua scuola che le consentì di sopravvivere ad ogni conquista
dottrinale e di essere riscoperta in epoche diverse nella sua funzione di guida e
di orientamento teorico e deontologico.
Celebri sono, infine i suoi aforismi. Compongono un prontuario dei sintomi e dei
decorsi delle malattie allora classificate,
ciò che diremmo oggi un manuale di
diagnostica e prognostica medica.
Giuramento e Codice deontologico
Il Giuramento di Ippocrate può essere
considerato il primo codice di deontologia medica ed anche uno dei più antichi
documenti vincolanti nella storia. Il pensiero di Ippocrate è comunque stato un
enorme passo in avanti, che ha permesso alla medicina di divenire una scienza
razionale e di staccarsi dalla superstizione. C’è un continuum tra Ippocrate e la
morale cristiana rappresentato sia dal
rispetto della sacralità della vita sia dalla
concezione olistica della persona e dalla
coerenza tra etica professionale ed etica
personale.
Ippocrate nella Patristica e nella Scolastica
C’è un’abbondanza delle citazioni delle
opere autentiche d’Ippocrate e del Corpus hippocraticum. Cipriano di Cartagine, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di
Nissa ed Eusebio di Cesarea sostengono una teoria delle scienze naturali riguardo all’origine delle malattie, che
risale a Ippocrate; però ci sono anche
delle versioni magiche e demoniache.
Eusebio cita ripetutamente Ippocrate in
un capitolo sulla teoria delle malattie, in
riflessioni riguardo al libero arbitrio ed
adottò il motto: “la natura è il miglior medico”. Ribadì in riferimento ad Ippocrate
l’importanza della prognosi e la priorità
dell’anima verso il corpo. La Didaché del
primo secolo dopo Cristo asserì: “non
devi abortire un bambino e non devi
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uccidere un neonato”. In Ildegarda di
Bingen (1098-1179) la ricerca su quest’argomento fu negativa. Enrico Schipperges scrive: “Ildegarda di Bingen non dà
un’esplicita teoria a questo riguardo; non
ripete il giuramento di Ippocrate e non
parla dell’etica medica. Eppure, le sue
opere sono un contributo alla deontologia medioevale. Honorius Augustodunensis (morto dopo l’anno 1150) scrive
di Ippocrate: “La guarigione del corpo
porta ad una cura dell’anima”. Le conoscenze su Ippocrate e sul Corpus hippocraticum vennero tramite il cristianesimo
nestoriano-siriano. Le opere filosofiche,
matematiche e mediche di Aristotele,
Euclide, Ippocrate, Galeno e Archimede
furono tradotte dal greco in siriaco e poi
in lingua araba. La recentissima elaborazione con computer dell’opera omnia di
Tommaso di Aquino dà maggiore perfezione e sicurezza anche alla trattazione
del nostro argomento. Nel commento di
Tommaso sulla meteorologia di Aristotele viene spesso nominato Ippocrate.
Ippocrate negli scritti ecclesiastici più
recenti
Tra le opere del Petrus Hispanus, un
medico con gradi accademici, e poi fra
quelle di Papa Giovanni XXI, si trovano
due commenti su Ippocrate: De regimine
auctorum et Prognostica. Papa Pio XII
ha definito nel 1954 il significato eticomedico delle opere ippocratiche con le
parole seguenti: ”Le opere di Ippocrate
sono senza dubbio l’espressione più
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nobile di una coscienza professionale, che imponga innanzitutto di rispettare la vita e di sacrificarsi per gli
ammalati”. Papa Paolo VI metteva in
guardia i medici: “È ovvio che queste
nuove questioni non debbano pregiudicare in nessun modo l’ideale
medico che fa la medicina in una
lunga tradizione di alcuni millenni,
tramite il giuramento di Ippocrate, un
difensore della vita.” Papa Giovanni
Paolo I scrisse con il titolo
“Illustrissimi” delle lettere immaginarie a personaggi storici, compreso
Ippocrate, che “fu un contemporaneo
di Socrate e come lui un filosofo” ed
anche “l’autore del famoso giuramento..., di un codice morale di valore imperituro”. Papa Giovanni Paolo I
legittima l’integrazione della deontologia
greca antica nel modo di pensare del
medico cristiano. Papa Giovanni Paolo
II, nel 1978, in occasione dell’udienza
all’Associazione dei Medici Cattolici Italiani, citò l’etica ippocratica mettendo in
guardia l’uso di medicinali che
“contraddicono non solo l’etica cristiana
ma ogni etica naturale, e che siano in
contraddizione aperta con i doveri professionali espressi nel famoso giuramento del vecchio medico pagano”. Nel
suo discorso, tenuto ai membri dell’Assemblea Generale dell’Unione Mondiale
dei Medici, Papa Giovanni Paolo II ammonisce: “Siano fedeli tutti i medici al
giuramento di Ippocrate, che prestano in
occasione della loro laurea”. Nel 1987 il
papa nel suo intervento ai partecipanti
alla Conferenza Internazionale sull’”umanizzazione della medicina” esorta
al servizio consapevole del proprio dovere per gli uomini: “Siate profondamente convinti di questa verità a causa della
lunga tradizione, che risale alle intuizioni
di Ippocrate stesso”. Nella nomina dei
membri della Pontificia Accademia per la
Vita si fa cenno ad Ippocrate
“proseguendo la tradizione ippocratica”.
Il 26 novembre 1994 Papa Giovanni
Paolo II menzionava nuovamente Ippocrate indicando il codice vaticano in cui il
giuramento di Ippocrate fu scritto in forma di croce, un simbolo di concezione
cristiana della natura umana, della santità ed anche del mistero della vita umana.
Raimondo Russo
Pharmacovigilance Using Clinical Notes.
Lependu P, Iyer SV, Bauer-Mehren A, Harpaz R, Mortensen JM, Podchiyska T, Ferris TA, Shah NH Clin Pharmacol
Ther Mar 2013;.
Abstract
With increasing adoption of electronic health records (EHRs), there is an opportunity to use the free-text portion of
EHRs for pharmacovigilance. We present novel methods that annotate the unstructured clinical notes and transform
them into a de-identified patient-feature matrix encoded using medical terminologies. We demonstrate the use of
the resulting high-throughput data for detecting drug-adverse event associations and adverse events associated
with drug-drug interactions. We show that these methods flag adverse events early (in most cases before an official
alert), allow filtering of spurious signals by adjusting for potential confounding, and compile prevalence information.
We argue that analyzing large volumes of free-text clinical notes enables drug safety surveillance using a yet
untapped data source. Such data mining can be used for hypothesis generation and for rapid analysis of suspected
adverse event risk. Clinical Pharmacology & Therapeutics (2013); advance online publication 10 April 2013.
doi:10.1038/clpt.2013.47.
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Nelson Mandela
The Lancet
During Nelson Mandela's 27-year imprisonment, he and his
fellow inmates kept a copy of William Shakespeare's Complete
Works in circulation. Its identity was disguised by a cover
made from Diwali greetings cards: it was nicknamed “The
Robben Island Bible”. Prisoners underlined and annotated their
favourite sections. Mandela's chosen quote was taken
from Julius Caesar: “Cowards die many times before their
deaths/The valiant never taste of death but once.” It is
impossible to summarise the life, work, and legacy of a political
figure as significant as Mandela in a few words. But this
book—a multicultural and communal object—and these lines
provide somewhere to start.
Nelson Mandela was born in South Africa on July 18, 1918; he
died on Dec 5, 2013, at the age of 95. The life that spanned
those dates—a period of unprecedented national and
international upheaval, of monstrous injustice and fragile
hope—was defined by courage and a commitment to
inclusiveness and equality. Mandela co-founded “Umkhonto
we Sizwe” (the Spear of the Nation) in 1961. At the Rivonia
Trial in April, 1964, he quoted from its manifesto: “The time
comes in the life of any nation when there remain only two
choices—submit or fight.” His reasons to fight were two-fold—
”poverty and lack of human dignity”. And the following passage
from his speech shows why Mandela was such an important
figure in the history of the struggle, not only for justice and
freedom, but also for the right to health.
Poverty goes hand in hand with malnutrition and disease. The
incidence of malnutrition and deficiency diseases is very high
amongst Africans. Tuberculosis, pellagra, kwaskiorkor, gastroenteritis, and scurvy bring death and destruction of health. The
incidence of infant mortality is one of the highest in the world.
According to the Medical Officer of Health for Pretoria, it is
estimated that tuberculosis kills forty people a day, almost all
Africans, and in 1961 there were 58 .491 new cases reported.
These diseases not only destroy the vital organs of the body,
but they result in retarded mental conditions and lack of
initiative, and reduce powers of concentration. The secondary
results of such conditions affect the whole community and the
standard of work performed by Africans.
Nelson Mandela's associations with global health are broad
and deep. For example, he chaired the Board of the Vaccine
Fund, the financial instrument established to mobilise
resources to serve the Global Alliance for Vaccines and
Immunisation. But his contribution to defeat AIDS was his
greatest legacy to global health. His advocacy for those living
with AIDS was evident as far back as 1992. In a speech in
Johannesburg, he clearly saw AIDS as not merely a medical
threat, but also as a challenge to “the entire socio-economic
fabric of our society”. He was one of the first political leaders to
identify women as those “most seriously affected by the AIDS
virus”. No one who attended the 13th International AIDS
Conference in Durban in July, 2000, will forget his electrifying
presence in the room: the sense that history was being made
as he spoke. Nor will they forget his stark warning: “AIDS is
clearly a disaster, effectively wiping out the development gains
of the past decades, and sabotaging the future.” As with
Umkhonto we Sizwe, Mandela saw AIDS as the urgent
struggle for a new generation—an “African resolve to fight this
war”. It was—and remains—a war to defend “the poor who on
our continent, will again carry a disproportionate burden of this
scourge”. Subsequent work fundraising for HIV/AIDS through
his charity, 46664—the name taken from his Robben Island
prisoner number—and advocacy work to promote health care
and reduce stigma mean his loss is felt particularly strongly by
the AIDS community.
With characteristic insight, Mandela also saw that the impact of
AIDS on Africa was simply the signal of a larger challenge: one
of economic, educational, and political inequality. And he came
to embody that challenge. By making human rights central to
global political discourse, Mandela encouraged those in power
to become more keenly aware of their duties—and the
disenfranchised more transparently aware of their rights. The
current moves towards universal health coverage and
sustainable development goals owe much to his vision.
The tributes to Mandela will continue to flow in the weeks,
months, and years ahead. Yet a person's legacy is not in the
words said about them after they die, but in the actions of
those whose lives they have touched. “Sometimes it falls upon
a generation to be great”, Mandela said in 2005, urging an end
to the blight of poverty, “You be that great generation. Let your
greatness blossom. Of course the task will not be easy. But not
to do this would be a crime against humanity, against which I
ask all humanity now to rise up.” It is unimaginable that any
future history of the global struggle for human health and
equity will not hold, in pride of place, the name, and the
courage, of Nelson Mandela.
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NEWS ON CLINICAL TRIALS
OBESITY
Zafgen initiated a Phase IIa study of beloranib, a therapy for obesity that utilizes a mechanism of
action targeting methionine aminopeptidase 2 (MetAP2), which is in the development to assess its
potential to safely and rapidly reduce body weight by restoring balance between the production and the
utilization of fat. Beloranib, an analog of the natural chemical compound fumagillin, is an inhibitor of the
enzyme METAP2. It was originally designed as angiogenesis inhibitor for the treatment of cancer.
However, once the potential anti-obesity effects of METAP2 inhibition became apparent, the clinical
development began to focus on these effects and beloranib has shown positive results in preliminary clinical trials for this
indication. The first Phase IIa trial will evaluate weight loss, safety and pharmacokinetics of beloranib administered twice a week.
Obese men and women with and without type 2 diabetes will receive subcutaneous injections for eight weeks at eight
participating centers. The trial design is a randomized, double-blind, placebo-controlled study evaluating a range of doses in
approximately 150 patients.
ATOPIC DERMATITIS
Creabilis, a late clinical stage European dermatology company with a focus on pruritus, treated the first patients in its Phase IIb
study of its lead product, CT327, in patients with atopic dermatitis (AD). The Phase IIb trial is a multi-centre, randomised, doubleblind, placebo-controlled study in adult and adolescent patients (older than 12 years) with mild to moderate atopic dermatitis and
at least moderate pruritus. The primary endpoints will assess pruritus using a visual analogue scale (VAS), and control of disease
determined by Investigator Global Assessment (IGA). Quality of life measures will also be analyzed. Two hundred and ten
patients are expected to be enrolled and results are anticipated in Q2 of 2014. CT327 (a TrkA kinase inhibitor) is a novel topical
treatment for chronic pruritus in diseases of dermatology such as atopic dermatitis and psoriasis. CT327 acts to inhibit neurogenic
inflammation and targets sensory neurones implicated in the pathology of chronic pruritus. There are currently no approved
therapies for the treatment of chronic pruritus in dermatology. Creabilis has already demonstrated a statistically significant and
clinically meaningful reduction of pruritus and an improvement in psoriasis symptoms when compared to placebo vehicle in
psoriasis patients treated with CT327 in a previous Phase IIb trial.
DRY EYE DISEASE
Eleven Biotherapeutics, a biopharmaceutical company designing and engineering novel and differentiated protein-based
biotherapeutics for ocular diseases, announced today positive clinical results from a 6-week randomized, double-masked,
placebo-controlled Phase Ib/IIa study of EBI-005 in patients with dry eye disease (DED). EBI-005 reflects a new approach to the
treatment of DED and is the first IL-1 (Interleukin-1) signaling inhibitor designed for topical ocular administration. In the efficacy
results from the study, EBI-005 demonstrated statistically significant improvements in signs and symptoms of dry eye disease
compared to baseline. In addition, EBI-005 met the predefined efficacy criteria of the study and showed a differential effect
between patients who received EBI-005 and those who received only the vehicle control. Data from the study showed that EBI005 was generally safe and well tolerated. The results from the Phase Ib/IIa study of EBI-005 confirm similar observations from a
recently-published study validating the blockade of IL-1 as an efficacious mechanism for treating dry eye disease. Eleven plans to
rapidly advance EBI-005 into late stage clinical studies in dry eye disease and additional ocular surface inflammatory diseases,
including severe allergic conjunctivitis. These clinical data of EBI-005 in patients with dry eye disease confirm other recent clinical
results, and further validate that IL-1 inhibition targets a fundamental inflammatory process, showing that EBI-005 has the
potential for beneficial results for patients with dry eye disease and other inflammatory diseases on the surface of the eye. The
efficacy data from this study with EBI-005 are highly encouraging given the significant effect shown in improvements in both signs
and symptoms in patients with dry eye disease, and given the efficacy shown in the differentiation between patients who received
EBI-005 compared to those who received the vehicle control. The trial enrolled 74 subjects and was conducted in multiple centers
throughout the United States. The primary objective of the study was to determine the safety and tolerability of EBI-005, along
with additional assessments of efficacy of EBI-005 in patients with dry eye disease. The study was designed to assess activity of
two doses of EBI-005 to determine improvements in signs and symptoms of dry eye disease with EBI-005 as compared to
baseline as well as differentiation of EBI-005 as compared to vehicle control. The efficacy of EBI-005 in relation to improvement in
signs and symptoms of dry eye disease from baseline and EBI-005 compared to vehicle control was measured by the Ocular
Surface Disease Index and corneal fluorescein staining.
A cura di Domenico Barone
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NUOVI SOCI
BARNESCHI IRENE
BENVENUTI LAURA
BERGAMI ALESSANDRA
BONGIOVANNI ASSUNTA SERENA
BORINO CARMELA ROSA
BRAGADIN PATRIZIA
CARAMUSCIO RAFFAELE
CASTANO MAURO
CORTESE ERSILIA
CRISTOFORETTI CARLO MASSIMO
CUTULI LUCIA
FAZZI D’ORSI MARIO
GIANNATELLI LAURA
GIUDICI EMANUELA
GRAZIANO SABINA ANGELA
MACCHIA ROBERTA
MAGERA ANGELA
MARCHESE ALESSANDRA
MARELLI CRISTINA
MORPUNGO GIADA
NACHIERI CARMELA
NICASTRO CRISTINA
PANINA GAIA SIMONETTA
PASTORE VALERIA
PICCIRILLI ALESSIA
RAIO MASSIMO
RAJEVIC MAJA
RINALDI LAURA
RODEGHER PAMELA
SCIACCALUGA SERENA
TASSO SABINA
ZACCONE DOMENICO
ZANGARA ANDREA
ZAPPIA ANNA
ZAVAGLIA ANNALISA
Hanno collaborato a questo numero:
Domenico Barone - [email protected]
Domenico Criscuolo - [email protected]
Francesco De Tomasi - [email protected]
PHARMA D&S
LABORATORI BALDACCI
Ospedale San Raffaele
KEDRION
AORN DI CASERTA
PFIZER ITALIA
EISAI
BRACCO IMAGING
PHARMA D&S
BIOFUTURA PHARMA
PHAST CONSULTING
DOTTORANDO
GB PHARMA SERVICES & CONSULTING
MTA
BAYER
KEDRION
KEDRION
PHAST CONSULTING
PREMIER RESEARCH
ZETA RESEARCH
PFIZER ITALIA
BAYER
NOVARTIS FARMA
STUDENTE
INVENTIVHEALTH CLINICAL ITALY
QUALITY CONSULTING
MASTER ROMA
LB RESEARCH
A.O.U DI VERONA
GB PHARMA SERVICES & CONSULTING
PFIZER ITALIA
CONSULENTE
GINSANA SA
AVVOCATO
CONSULENTE
Luciano M. Fuccella - [email protected]
Raimondo Russo - [email protected]
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente: Gianni De Crescenzo Vice—presidente: Marco Romano Segretario: Luigi Godi Tesoriere: Anna Piccolboni
Consiglieri: Rossana Benetti, Salvatore Bianco, Simona Colazzo, Marco Corsi, Domenico Criscuolo, Giovanni Fiori, GiovanBattista Leproux
Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo, Francesco De Tomasi, Luciano M. Fuccella, Marco Romano
Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected]
SSFA oggi
Stampa: MEDIA PRINT, Livorno
Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007
“Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 41 Periodicità: bimestrale
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