Melos07 - Amedeo Minghi

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Melos07 - Amedeo Minghi
Melos
Anno 2016: ambizioni e nuove canzoni
Ormai prossimi all'anno che vede Amedeo Minghi festeggiare i suoi 50
anni di carriera, è tempo di fare bilanci e previsioni.
Niccolò Carosi
Melos
Minghi debbutta come cantante nel 1966, ma
la sua vita artistica, come sappiamo, sarà
scandita soprattutto dalla sua capacità compositiva, che regala al pubblico canzoni indimenticabili.
1976 è l'anno del successo con L'immenso; segue la celebre 1950 che partecipò al Sanremo
del 1983. Brano travagliato nella sua fortuna,
perchè non incontrò da subito il successo di
vendite: eppure oggi è considerata una delle
più belle canzoni italiane di tutti i tempi e
non solo, è cifra stilistica peculiare del percorso artistico di Minghi. Pur non classificandosi
a quel famigerato Sanremo '83, riscosse fin da
subito l'interesse della critica e un certo apprezzamento nell'ambiente musicale. Uscì
poco dopo una versione interpretata da Gianni Morandi, ma non riuscì a incidere come
quella del suo stesso compositore che, continua a interpretarla, in ogni esperienza live.
Altra tappa fondamentale è La vita mia, forse
la canzone più conosciuta nel mondo del repertorio di Minghi; sicuramente una delle più
apprezzate dal suo pubblico: immancabilmente ad ogni concerto. Quel 1989 stabilisce,
dopo tanti tentativi, un autentico dialogo fra
Minghi e il pubblico, fondamentale per il futuro, in cui Amedeo stesso si fa portavoce di
quello che sarà – e ancora oggi è – il suo cantar d'amore.
1990 è l'anno del trionfo. Quello che va oltre
ogni possibile aspettativa, in cui una serie di
variabili si inseriscono al momento giusto e
fanno funzionare perfettamente un meccanismo. Vattene amore è una canzone che non
conosce tramonto, Minghi – Mietta, sono una
icona della musica leggera che ancora oggi resiste al tempo, alle tradizioni. È una canzone
che ha perso i connotati dello stesso autore,
rapita dall'esagerato successo è divenuta caricatura di se stessa... Trottolino è ormai nel
linguaggio comune significato e significate riconducibile a questo brano, come del resto il
suono onomatopeico che segue dudu dadadà.
Seguono dopo una serie infinita di successi
che sarebbe impossibile inserire in questa riflessione. C'è un dato però che vorrei proporre al lettore: se non ci fossero state queste
quattro canzoni e la loro fortuna, molto probabilmente l'intera intelaiatura di Minghi si
sarebbe strutturata in modo certamente diverso.
Melos
L'immenso è la canzone che ogni cantautore
vorrebbe scrivere.
1950 la storia musicale che ci racconta, come
Italiani e come portatori di valori irripetibili.
La vita mia è quella struggente melodia maliconica che segna da sempre le scelte artistiche di Minghi, che non si è mai piegato a stili
diversi d'occasione.
Vattene amore è la forza popolare che deforma ed esagera ogni contenuto.
Attraverso queste canzoni, tutto il repertorio
passato di Minghi è stato in quegli anni riscoperto e il resto (dal 1991 ad oggi) si è sicuramente formato da questa base.
I 40 anni Minghi li ha festeggiati con un
grande concerto all'Auditorium in cui si sono
avvicendati grandi ospiti a duettare con lui, il
tutto ripreso dalle telecamere. Ne sono sacaturiti prima un album “40 ANNI DI ME CON
VOI” poi un cofanetto (con dvd del concerto)
“L'ascolteranno gli americani” e libro autobiografico.
Il mondo della discografica in dieci anni è
completamente cambiato. C'è un pubblico
sempre più di nicchia e iperspecializzato,
trionfano le piataforme digitali libere tra cui
youtube.
Amedeo Minghi nel 2014 ha dato prova di
guardare oltre le nuove frontiere dell'ascoltare musica, proponendo un inedito “Io non ti
lascerò mai” che con il suo relativo videoclip
ha conquistato, con oltre un milione di visualizzazioni, il pubblico e, nello stesso tempo
realizzato una collezione di canzoni live pianoforte (con il maestro Cinzia Gangarella) e
voce raccolte in un cd libro in cui ha raccontato un periodo ricco di collaborazioni fra
poeti, arrangiatori, interpreti e produttori.
Ora a fine 2015 esce una colossale opera in sei
cd live che riprendono l'esprienza del recital
Di canzone in canzone. A distanza di una settimana dall'uscita, malgrado un periodo ricco
novità discografiche, la raccolta segna il suo
ingresso in classifica.
Nar International, presenta una raccolta di 89 brani, tra i più famosi di Amedeo
Minghi, in versione live; si tratta di registrazioni tratte dal recital “Di Canzone in Canzone”, articolato in sei spettacoli al Teatro
Ghione di Roma, che nella stagione 2009 2010 ebbe un'ottima accoglienza. L’edizione
speciale accompagna l’ascoltatore lungo la
carriera artistica del melodista italiano che
nel 2016 festeggerà 50 anni di carriera con
una serie di novità rivoluzionarie che, per ora,
restano segrete. Questa collezione vuole essere un ottimo prodotto natalizio per accompagnare il grande pubblico di Amedeo dentro la
dimensione LIVE che vede protagonisti il
cantautore e il suo pianoforte sul palco di un
teatro, che rappresenta il luogo ideale per lasciarsi sedurre dalle melodie di Minghi. Si apprezzerà di queste 89 canzoni, l’organicità di
una evoluzione compositiva che parte da
“L’immenso” fino a brani come “Il suono”, una
canzone che espone Amedeo Minghi verso la
più moderna avanguardia melodica.
CD 1
Gomma Americana - Due Passi – Rosa – Sognami - Alla Leggera - Quando L’estate Verra’
- Telecomunicazioni Sentimentali – Primula
- Nene’ - Nuvole Su Di Te – Bella - Ed Altre
Storie - Un Uomo Venuto Da Lontano - L’immenso - Cuore Di Pace – 1950 - La Vita Mia
- Vattene Amore - La Speranza
CD 2
Alla Fine - In Sogno - Qualche Cosa Di Lei - I
Ricordi Del Cuore - Il Perche’ Non So - Vicino
Vicino - Io e La Musica - Per Sempre - Vivere
Vivere - Mari’ - Anni 60 - Distanti Insie-
Melos
me – Un Uomo Venuto da Lontano – L'Immenso - Smeralda (Strumentale)
CD 3
Canzoni - Ohi Ne’ - Gelosi Amori Miei - La
Santita’ D’italia - Notte Bella Magnifica
- Tempo di Abbracci e Baci – Serenata - Vicere’
- Dimenticarti Mai Più - Girotondo Dell’amore - Pensiero Di Pace - Pizzica – Vattene
Amore – La Speranza - Rosa Bolero (Strumentale)
CD 4
Come Due Soli In Cielo - Cantare é D’amore
- Un Solo Amore Al Mondo - La Casa Lungo il
Tevere – Sottomarino - Cammina Cammina
- Vissi Così’ - Le Cose D’amore Così’ - Per Noi
– Mi Piace Sorprenderti – Emanuela ed Io –
St. Michel – Rivederci e Grazie – Qui
(Strumentale)
CD 5
Cosi’ Sei Tu - Una Storia D’amore - Tutta Intimita’ - Una Idea - Distratta Poesia - Il Suono – Anita - La Stella Dello Sperone - La Notte
Piu’ Lunga Del Mondo - Com’eravamo Negli
Anni Fa - La Breccia - La Musique - L’homme
Et La Mer – Intermezzo
- Hallo Hallo - La Stella
Dello Sperone (Strumentale)
CD 6
Di Canzone In Canzone
- Io E Te - Le Tue Favole
- Tu Chi Sei - Storia Di Un
Uomo Solo - Sara’ Una
Canzone – Gerusalemme
- Le Verdi Cattedrali Della
Memoria - Amarsi è - Dedicata - Vento Disperato – Decenni - Troppo Poco - Tema Drammatico (Tratto Da Edera
Strumentale)
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Melos
LA VITA
IN QUATTRO
CANZONI
Ecco qui,
so che al massimo
con le mani ti sfiorai
Ti posso soltanto
accennare così.
Ecco qui
se non te
tutta l’aria
potrò afferrare
ma nulla di te...
MIA VITA
(Minghi – Panella) 1987
nulla di Te.
Filippo Alosi
Amedeo Minghi canta l’amore in tutte le sue
sfumature, lo stesso amore che nel mio libro
ho deciso di citare sempre con la “A” maiuscola. Un po’ come i ricordi, ai quali il nostro
melodista dà del Voi, io uso la lettera maiuscola in segno di rispetto. Perché fra i sentimenti e le emozioni di cui ci nutriamo nell’arco della nostra esistenza, Amore e Ricordi
occupano indubbiamente un posto molto significativo. L’amore inteso come sentimento
grande, nobile, eterno; l’amore per una donna, ma anche quello per un figlio, un nipote,
una città, una civiltà o semplicemente per il
prossimo. E i ricordi che abbracciano tutti gli
amori della nostra vita, che abbracciano nel
bene e nel male noi stessi.
A questi due termini, a queste due componenti imprescindibili di noi, cosa possiamo
aggiungere? Cosa c’è di estremamente legato
ad essi e a tutti noi? Di cos’altro canta, Amedeo? Ovviamente della Vita. La vita che è alla
base di tutto, compresi amore e ricordi; la vita
che a volte amiamo, a volte meno e per questo
la maltrattiamo; la vita che rispettiamo, quella che inganniamo; la vita che salviamo, quella che invece sopprimiamo; la vita che, comunque sia, viviamo fino alla fine dei nostri
giorni. Nel bene e nel male.
E a proposito di vita, Amedeo ne parla e ne
canta in diversi pezzi. Volendo potremmo
dire in tutti, perché se parli d’Amore non puoi
non parlare dell’enorme scatola che lo contiene e che ci contiene. Tuttavia ci sono quattro
canzoni nelle quali, seppur con modalità
emozionali e musicali differenti, questo tema
viene affrontato in maniera più specifica.
Qualcosa mi dice che la maggior parte di voi
abbia già individuato le canzoni alle quali mi
riferisco, a tal punto che mi piacerebbe avervi
davanti per aprire un confronto. Ma non è
possibile, dunque mi farete sapere se c’avete
azzeccato nei commenti che farete seguire all’uscita di “Melos”. Le quattro canzoni di cui
parlo sono: “Mia vita”, “La vita mia”, “Vivere
vivere” e “E’ questo il vivere”. Quattro capolavori che
hanno coinciso con periodi ben definiti della
carriera del nostro amato, canzoni contraddistinte da testi e musiche diverse fra loro, ma
nelle quali la vita è indubbiamente al centro.
Lo è sin dai titoli e fino all’ultima nota.
Vediamo, di seguito, una mia personale interpretazione dei testi di queste perle minghiane.
In “Mia vita” si parla, a tutti gli effetti, della
vita e di come spesso è scoscesa e difficile da
scalare. Una vita che a volte sfioriamo soltanto, che solletichiamo con le dita, senza riuscire a viverla davvero in pieno. In questa canzone conosciamo due stati d’animo forti come il
dolore e l’inquietudine. Al tempo stesso tutto
l’amore, la passione e la speranza per la nostra esistenza che viene chiamata “Mia Vita”.
Una vita vista come una città nella quale camminiamo da padroni che, però, a volte sono
costretti a girare inutilmente e ad andarsene
da vinti. Di questa vita ci riempiamo:
“Mi son riempito di te
che non c’era più posto
al posto mio.”
Frase, questa qui su, che amo legare anche all’amore. Quando amiamo ci riempiamo del
nostro partner. Lo facciamo fino a non aver
più posto per noi stessi. Lo facciamo fino a dimenticarci persino dell’orgoglio e della dignità.
“Mi son chiesto che cosa sei
a che servi e di te che uso ne fai.”
“Mi fai sentire così:
che l’amore è lavoro
ed io credevo che fossi Tu
e non logorìo.
“Ecco qui
che mi chiedo
‘ma che so fare?’”
Tutta l’inquietudine la troviamo nei versi finali dove, in un crescendo musicale ed emotivo senza eguali, ci si chiede cosa siamo se della vita possiamo afferrare solo l’aria; se l’abbiamo amata così tanto e, al tempo stesso,
perduta al punto di stancarci del niente che è.
Ecco qui,
so che al massimo
con le mani ti sfiorai
Ti posso soltanto
accennare così.
Ecco qui
se non Te
tutta l’aria
potrò afferrare
nulla di Te.
E t’ho amato talmente
E t’ho talmente perduto
Che mi sono del tutto stancato
Del niente che sei
E non so nulla di Te.
Dalla “Mia vita”, ribaltando le parole, passiamo a “La vita mia”, uno dei capolavori più famosi in assoluto di Amedeo. Questa canzone
può essere vista come una moneta in cui su
una faccia si parla della vita, sull’altra dell’amore per una persona che si fa davvero importante per noi. Entrambe le facce finiscono
per fondersi, come in realtà avviene fra la vita
e l’amore che se ne vanno via insieme. A partire dalle primissime parole, notiamo quanto
ho detto in similitudini come “Vita mia, non
sappiamo più afferrare, maneggiare, questo
amore che svanisce e sguscia via”. Tutto passa,
tutto se ne va, soprattutto se non riusciamo a
trattenerlo. Così la vita e anche l’amore.
“Non dici più: ‘che bel tempo sei Tu!’” e “infatti piove” e, abbandonandosi sotto la pioggia, possiamo vedere la nostra vita e ritrovarci
davanti a quel “rapidissimo addio”. Perché gli
addii, per quanto dolorosi, fanno parte del
“gioco”. E, sempre mentre piove, “guardo fuori, vedo cuori e sono gli alberi che anch’io ho
scalato e annidato lassù”. Gli amori, in sostanza, in cui ci siamo rifugiati per viverli fino in
fondo prima che finissero.
Ripercorrendo la vita, e le storie d’amore, ci si
ricorda che “m’innamorai, venni a dirlo a Te,
ti confidai che eri Tu o era mai”. L’amore nel
suo momento migliore, durante quel picco di
emozioni in cui – appunto – “eri Tu o era
mai”. Ed infine, a chiudere questo canto che
amo pensare indirizzato al trascorrere della
vita e dell’amore, ma anche al momento più
intenso di una storia, arriva quel temporale
che ci ricorda come la nostra vita fugge via. E
lo fa con la persona che amiamo: “C’è un temporale, possiamo uscire e raffreddarci insieme
ormai, tremare, perché tremare fa la vita che
se ne va con Te che porti via, con Te, la Vita
mia”.
Poi c’è “Vivere vivere”, una sorta di ballata
giocosa e divertente dietro alla quale si nasconde l’inquietudine di un determinato periodo storico. Un ritmo incalzante, che non
conosce soste e cattura l’ascoltatore sin dalla
prima nota. In realtà i riferimenti che troviamo nel testo sono tutt’altro che spensierati e
privi di spessore. Si parla di Amore, ma anche
del dopoguerra e di quel periodo in cui forte
era la voglia di vivere e di lasciarsi andare.
In “Vivere vivere” vengono fatti diversi omaggi e citazioni. Uno al grande attore e regista
Vittorio De Sica, la cui voce e le cui immagini aprono la traccia ed il video. L’altro, con
tanto di citazione, alla mitica Nilla Pizzi e a
quella “Papaveri e papere” con la quale si
presentò alla seconda edizione di Sanremo
nel 1952.
Da questa canzone esce il quadro di un certo
periodo storico, con dei riferimenti alle “belle
macchine e brutte vie” della “gioventù bruciata” alla James Dean ed al fatto che “piaceva
calda la vita, calda e dolce sopra l’amara terra
che tremò”. Sullo sfondo l’immancabile storia
d’amore corredata dalla normale gelosia perché “Tu piacevi a troppi e Tu piacevi troppo a
me” e poi “era amore, mica uno scherzo, che
ti squadra, dopo t’incarta, e ti porta via”. E il
desiderio di spensieratezza e leggerezza tipica
del periodo:
“Vivere vivere, la vita mia,
piccole camere ed amarsi così,
certi di essere al mondo,
contenti d’amarsi così.”
Infine eccoci a parlare di “E’ questo il vivere”, la canzone che ho sempre definito come
un vero e proprio inno alla vita. Amedeo ci ricorda, sin dalle prime parole, che la vita “è
una foglia che leggera va, volteggiando libera”,
che l’esistenza è unica (in tutti i sensi, aggiungo io) e per questo ci invita a “non pensarla anonima” e a darle anche l’anima.
La vita è limpida, se vogliamo, e noi dobbiamo rispettarla e bere alla sua fonte perché ci
disseti. “Giocare il tempo non si può”, per cui
dobbiamo vivere al meglio ogni momento
mentre aspettiamo di innamorarci dando all’esistenza un senso ancora più grande. Nel
frattempo la vita ride e fugge via, ci “sedurrà
tra inebrianti profumi così resisterle non vorrai”, non ci darà alcuna certezza e ci vedrà in
mare aperto a navigare. E con una delle contaminazioni partenopee e melodrammatiche
tanto care ad Amedeo, la vita viene accostata
metaforicamente a quella “Femmina, vita malafemmena” che corteggerai e costantemente
si negherà e dovremo lusingarla perché si
conceda e ci doni un po’ di sé.
L’inno alla vita si conclude ricordandoci che
la vita “è un romanzo che ti lascerà un segno
indelebile” e per questo dobbiamo afferrarla e
viverla senza arrenderci mai, tenendo presente che c’è un senso profondo in ciascuno di
noi, se solo lo vogliamo.
LINK UTILI
“Mia vita” – Stadio Olimpico
https://youtu.be/wC3J8muzmZc
“Mia vita” – Versione con testo
https://youtu.be/40Ayt2KnG_0
“La vita mia” – Teatro Filarmonico di Verona
https://youtu.be/CmpVuJzVZXc
“La vita mia” – Versione multi-lingue con Maria Dangell
https://youtu.be/sRGsl29o6Ew
“Vivere vivere” – Videoclip ufficiale
https://youtu.be/nUFnHDEDVLc
“E’ questo il vivere”
https://youtu.be/_Kvy0LbDqZs
Melos
L'AZZURRO RE
nelle fiabe e nel sogno
Gianluca Lucchese
“Aveva cento volti ma pochissime virtù: aveva
una corona e cento amanti intorno a sé… E il
Sole le parlò”. “C’è un mondo altrove in cui i
desideri, poi, diventano realtà” e le favole, il
telaio dei nostri sogni. Cornici incastrate per
metafore potenti. Un incantesimo fa di un
rospo un principe, di una zucca una carrozza,
una lampada un genio. Allora prendiamo
quattro pezzi di legno, colla e lima, chiodi e
grappette, vernice e pennelli. Così tra innesti
e trucioli, intarsi e smalti, “mani grandi le
mie”, costruiamo una bella cornice per il nostro miglior cantante... “Una culla per te”
grande come “gli occhi tuoi”. E “non c’è né un
prima né un poi”, è “subito amore per noi” che
ascoltiamo con dedizione Amedeo. Qui non
parlerò di “cose antiche” ma di favole e “dell’azzurro Re oltre i confini dispersi nel mondo, dove non c’è più spazio né tempo”.
“Qui si tratta di noi!” “Quello che capita nelle
canzoni non può succedere in nessun posto
del mondo. Noi siamo vivi, mi pare, lo spero,
non foglie morenti così falsamente
danzanti” . “Se il Sole si è perso così come
fosse un bambino” noi lo riconduciamo a casa
con le melodie e le parole del Maestro e dei
suoi co-autori, incorniciato appunto nelle nostre foto, su un monitor o più semplicemente
nel ricordo di un concerto. “Negli occhi di un
bambino quasi mi perdo, sarò comparsa,
scomparso tra i confini” fin quando l’incantesimo fiabesco sarà di nuovo avviato dai “cavalli scossi” di Amedeo .
“Nel sogno la vita è strana, folle, lo sai!” Se i
personaggi di una fiaba sono fantastici o realistici, a noi adulti con lo sguardo e le orecchie di “un certo bambino di un cuore già
tanto grande, perso tra antiche leggende”,
Melos
poco importa; è la nostra anima a goderne
con “rive e rime torno torno”. Dal petto l’anima può fuggirci ma noi la cogliamo, la rapiamo e sarà di nuovo nostra. Ascoltare alcune
canzoni del cantautore romano, ci porta inevitabilmente a rivivere luoghi magici nelle
nostre memorie, che troppo spesso da “adulti” ne dimentichiamo l’esistenza. Così un
“muschio sul cancello del giardino abbandonato” e “un fazzoletto bello” al ginocchio, “un
relitto sotto il sale” o le biciclette come gabbiani, sono “un bacio al vento dell’estate” in
noi e “ai bei discorsi che facciamo”. “In sogno
non c’è né un prima né un poi, subito è amore
tra noi e svegliarsi fa male. È un peccato”. Con
la musica del melodista, il suono si incammina e si insinua “come se cercasse il sotto dei
vestiti” e “profumerà di caffè” o “ci porterà la
sabbia nelle lenzuola”. Torniamo esseri sognanti nel breve tempo di una canzone “con
quelle musiche che sono l’illusione, con le parole che gli manca solo la parola” perché “l’amore ha certi suoi segreti che non sai”. E con
quei pezzi di legno, colla e lima, chiodi e
grappette che dicevo all’inizio, compreso la
vernice e i pennelli, si può costruire “un aquilone legato a un filo di fumo” che potrà volare
in alto, troppo in alto fino a sfiorare la scia di
un idrovolante che “per noi” sognatori incalliti, sarà come pilotare “con gli occhiali scheggiati sopra il mare”. Oppure “come il poeta
che fino al centro della terra scivolò” e “che
nel mare delle note scivolò”. “L’aquilone cade
se il vento cala un po’ “ , è vero, ma io in questa rubrica “volo e volerò più di un aquilone al
vento” fino a scovare, “legata da una catena al
cuore, un’altalena in cielo”. O così mi auguro.
La fiaba è in grado di risvegliare istinti e paure, rappresentando la nostra vita interiore con
i nostri drammi e conflitti che possono svolgersi in un tempo indeterminato e in un luogo imprecisato. C’era una volta “un cacciatore
con gli occhi all’orizzonte”, la sua donna col
fuoco acceso che “stringe i denti, stringe il
cuore, il suo animo è sospeso”. Noi ci identifichiamo, trovando soluzioni ai nostri dubbi o
incertezze, rielaborando in maniera leggera e
giocosa le parti oscure del nostro io interiore:
“i pensieri sono spore, la paura fa rumore,
scuote forte il cuore”. Possiamo pure passare
da “labbra coralline” ai “suoni nel tramonto” o
alle “tempeste estive”, “così di spalle al mondo”, coinvolgendo molti aspetti della nostra
fantasia, per costruire, cantando o ascoltando, i nostri sogni migliori, adatti alla propria
personalità.
Adesso è facile capire che per noi “l’azzurro
Re” che tramanda canzoni come fiabe, ci sfiorò, con le mani si aiutò e un bel picco toccò.
Ci siam riempiti di Lui che non c’è più posto
al posto suo; Lui che non sa nulla di noi e ci fa
sentire così. “Ecco qui”, “stanotte noi faremo
una gara con i sogni, a chi pensa più lontano,
a chi getta più lontano la fantasia, ma tanto io
lo so che vincerò: lo so perché lo sento, forse
sarà per il carattere che ho”. Scrivere per voi,
e in qualche modo per Amedeo, è “alzare una
cattedrale, memoria dell’amore” e non so se
potrà sembrare una “farfalla o un fiore”, questo articolo che accende “tanti fuochi d’artificio e le stelle cadenti, che ognuna fermi un
sogno e i desideri miei più belli”. Quello che è
certo è che vorrei, almeno per voi, regalare
parole di “colombe e miele” e “schegge di torroni” pronunciate da “labbra di baci e sale”.
Forse non riuscirò a conquistare il Maestro,
troppo occupato in battaglie con tutte “le
comparse di fuoco e paglia” che gli gravitano
attorno “come una finzione” (“cosa ho fatto,
cosa ho detto mai”!) ma spero che “in questa
meravigliosa confusione tra i dialoghi e le
pose” nostre, io possa trovare “l’illusione mia
che è vera”: “è un soffio ma non la verità”. E se
non la troverò, pazienza; “passo dopo passo
lancio un sasso in un fosso”, in silenzio come
sempre, “sotto mille stelle dentro un cono di
luce; il sipario scende” . “Se il sogno era il sogno di un sogno lontano”, sono giunto alla
fine ; “mi addormenterò” anche se ”svegliarsi
fa male” e lancio ancora un sasso: “l’ultimo, è
il mio applauso scritto in punta di voce” per
voi.
Le interviste
impossibili
di Gianluca
Melos
Eh, sì, tu lo sai meglio di me. Sono note
le tue opere di bene! Ma guarda un po’
questi qui! Ma che fanno? Per un po’
di fila mica si deve urlare così!Si azzuffano!
- O che problema c’è oltre me?
Nessuno muore per due passi
Niccolò mi ha proposto una rubrica
ancora fin là... Lui la stringe che
per questo sito. Io, vista la mia devole fa? Lei l'ha conciato bene, avzione totale per Amedeo, ho accettato
vinta. Belle scene di guerra.
senza nemmeno pensare a cosa scrivere; poi, volando tra testi parole, ho imSì, ma che fai? Gli hai dato una testata!
maginato un’improbabile intervista
con il Maestro; a volte distratto, altre E non gridargli più!
cinico, altre ancora, preciso. E mi sono
- Tu non pensi mai che la strada
divertito. In un mondo dove tutto di
ti può ancora insegnare qualche
venta inevitabilmente e inverosimilmen
cosa che non sai. Il tempo ti ucte serio, vorrei che anche voi, come me,
ciderà! Tu sì morirai!
lasciaste spazio tra una domanda e l’altra
a qualche nota d’un sorriso…
Scappiamo Amedeo! I soldi li spedirò
un’altra volta! Corri!
Scusa Amede’ se ti ho portato qui al- C’è un aereo che porta in Mexil’ufficio Postale; finisco di compilare il
co. Metto i blue jeans e domani
modulo. Devo spedire questi soldi.
mi sveglio in Mexico. Non cercarmi mai sotto il cielo. Troverò
- 637020, di chi è?
la mia casa.
È il codice postale di Alampatti in India.
Stai tranquillo, è solo svenuto quello
- E rivedi quella donna che fu tua. lì! Certo che botta…Nemmeno ti ha vi
E subito ti assale un’emozione! sto muovere! Ahaha non farmi ridere.
Fermiamoci, dai, si è ripreso, digli qualCapelli lunghi o corti,
cosa.
bruni o biondi? Un letto in un
motel sull'autostrada.
- Io di me? Che posso dire? Ho
solo note per raccontar la vita.
Ma che dici?
Sono come un gatto randagio. E se
mi pensi proprio bene, non t’ho
- Quel giorno che andò male, andafatto male. Mi ascolti? Ma era
sti via!
poco, troppo poco…E’ improvvisa
zione, è rimbambire la ragione in
Nooo! Cosa hai capito? È un’adozione a
noi! Come una finzione, non del
distanza! Con pochi soldi si aiutano
sangue ma del rosso…Come fosse
dei bambini in difficoltà.
un valzer lento, senza farci male
- Da quanno esiste er monno, ce
ancora.
sta’ l’amore, da quanno canta er
gallo, l’amore c’è!
Menomale è finita bene Maestro: mi
stavo preoccupando per quel signore.
- Un minuscolo bruscolo fra noi.
Scherzaci. Cadimi dalle nuvole.
Dimmi tu da quale parte stai? Sci
vola da orgoglio ed ipocrisia! Si
farà nasin nasino…
I soldi li spedirò prossimamente. An
diamo. Occhio alla zingara seduta lì alla
porta…Ma che fai? Le hai strappato il
cartello?
- Le mie mani vive. Le dita abbondano! I miei persi spasimi! L’onda del petto che scende e che
sale!
Corriamo di nuovo, viaaa! La zingara ci
insegueee! Vienimi dietro e non perdermi di vista!
- Io non ti lascerò mai, io non ti
perderò mai. Portami sulle spalle
come fossi una bambina! Meglio
non cadere mai. Penso e ripenso,
non mi raccapezzo più!
Zitto e corri forte, daiiii!
- Tendera, lo so, la schiena curva
come un arco! Con le mie braccia arrampicate su te, come Glicine!
Zittooo! E corriii!
Scritto da Gianluca Lucchese
Testi canzoni:
Flash back,
Vojio er canto de ‘na canzone,
Due passi,
Mexico,
Un’idea,
Telecomunicazioni sentimentali,
Troppo poco,
Cantare è d’amore,
Valzer lento,
Primula,
Il vero amore
, Vicino vicino,
In esilio andremo soli,
Io non ti lascerò mai,
Cuore di pace,
Certe cose,
La stella dello sperone,
Camminando e cantando.
INTORNO A FANTAGHIRO'
Melos
di Massimo Mastrogiovanni
Quella della lunga serialità è una pratica piuttosto recente nel panorama televisivo italiano
che tende (non con lo stesso successo) a ricalcare modelli americani nel costruire storie
che possano fidelizzare il pubblico e godere,
dunque, di lunga vita. Ragionare in termini di
lunga serialità, oggi, è diventata la regola, ma
se guardiamo indietro è molto difficile trovare esempi maturi di fiction televisive che sono
andate oltre la seconda stagione.
Checché se ne dica, FANTAGHIRÒ è, ancora
una volta, un esempio significativo: non solo
è una delle serie televisive italiane più amate
e ricordate, ma al suo terzo episodio – il 3 dicesi numero perfetto – dimostra di essere più
in salute che mai!
Oggi, forti dei progressi della computer grafica, non possiamo più immaginare un film di
genere fantasy che non porti in sé condizionamenti stilistici e non abbia, quasi, obblighi
nei confronti del kolossal fantasy per eccellenza che è Il Signore degli Anelli, la titanica impresa cinematografica di Peter Jackson
che ha rivoluzionato il modo di pensare e di
mettere in scena il cinema fantastico.
Lo stesso Racconto dei Racconti di Matteo
Garrone, uscito al cinema lo scorso 14 maggio, si è dovuto misurare con una modalità totalmente moderna di mettere in scena il racconto fantastico, che non è più la favola edulcorata per bambini (tanto cara alla tradizione
disneyana) bensì il racconto popolare nudo e
crudo, un quotidiano che si veste di magico.
Ma siamo già anni luce più avanti rispetto al
ben più modesto modo di narrare il fantastico dei signori Lamberto Bava e Gianni Romoli che con Fantaghirò prima e con altre tre
principesse, poi, hanno trovato una giusta
formula narrativa congeniale al pubblico televisivo familiare del Canale 5 anni ‘90, quando
la TV commerciale, all’apice del successo, era
ancora aperta alla sperimentazione e aveva
voglia di investire nella così detta “TV DEI
RAGAZZI”.
Ma torniamo, dunque, alla nostra Fantaghirò. La saga della principessa guerriera è stata
la più alta espressione di un genere televisivo
non ancora chiamato fiction e non ancora entrato nella logica totalmente commerciale
della lunga serialità. Indipendentemente dal
formato e dal numero di puntate, infatti, la
dicitura utilizzata per definire una produzione televisiva era, sempre e comunque, FILM
TV.
Dicevamo, nei nostri precedenti appuntamenti, che pubblico e critica sono concordi
nel definire FANTAGHIRÒ 3 come il film migliore della serie. Fin dall’incipit lo spettatore
si trova in una situazione fantasy molto tolkeniana: in una radura nella foresta un’adunanza di maghi e streghe – uno di loro ricorda Gandalf del Signore degli Anelli - si confronta sul come sfidare ed affrontare il pericolo incombente rappresentato dal perfido
mago Tarabas (Nicholas Rogers) e da sua
madre Xellesia (Ursula Andress). Inutile dire
che la spedizione fino al regno sotterraneo
dello stregone terminerà con la morte di coloro che hanno osato sfidarlo. Ma prima di morire i maghi mettono in guardia Tarabas narrandogli la profezia secondo cui il suo potere
malvagio sarà sconfitto per sempre dal figlio
di un re. Per scongiurare l’avverarsi della pro-
fezia Tarabas sguinzaglia i suoi cavalieri in
giro per i regni a rapire tutti i figli di re. Sfortuna vuole che tra questi ci siano, anche, i nipoti di Fantaghirò, i figli di Caterina e Carolina. È a questo punto che il destino di Fantaghirò (Alessandra Martines) si incrocerà con
quello del suo nuovo nemico. Per difendere il
suo regno e salvare i bambini - sarà una delle
poche scene d’azione che lo vedranno protagonista nell’arco di tutto la saga! - Romualdo
(Kim Rossi Stuart) si getta in una folle corsa
per allontanare dal castello i soldati di Tarabas. Ma caduto, disgraziatamente, nel fiume
già contaminato dall’esercito di terracotta,
Romualdo si trasforma, anch’egli, in statua di
pietra nell’attesa che il ‘bacio impossibile’,
strappato dalla sua principessa a Tarabas,
spezzi l’incantesimo.
Fantaghirò è ancora una volta sola contro tutti. È l’unico eroe in grado di salvare il regno, il
suo amore e di sconfiggere il Male. Messe da
parte le lacrime e raccolte le forze, la principessa guerriera sfida Tarabas e parte alla volta
del suo misterioso regno sotterraneo.
I piani dello stregone, nel frattempo, vanno a
gonfie vele, e centinaia di principi e principessine, prelevati con la forza, raggiungono il
regno delle tenebre governato dalla perfida
Xellesia, l’unica, vera, strega cattiva di tutta la
serie, magistralmente interpretata da una
non più giovane ma sempre splendida Ursula
Andress, la cui mise e il copricapo piumato
(opera della costumista Rosanna Andreoni)
citano, innegabilmente, il film che la vide
protagonista nel 1966, La dea della città perduta (She).
Ma Xellesia non è l’unica strega protagonista
di Fantaghirò. L’episodio numero 3 segna, infatti, il ritorno di un altro personaggio femminile di grande successo che ha sempre conferito alla serie un tono più divertente e scanzonato. Stiamo parlando della Strega Nera,
interpretata da una divertentissima Brigitte
Nielsen, che, mandata in mille pezzi nell’episodio precedente, viene, qui, riportata in vita
per scoprire il modo per raggiungere l’antro
di Tarabas e spezzare l’incantesimo di cui è rimasto vittima il povero Romualdo.
Anche Fulmine e Saetta, un tempo servitori
della Strega Nera (in Fantaghirò 2), tornano,
in questa terza puntata, per allearsi con Fantaghirò ed offrire i propri servigi a favore del
Bene. Vecchi amici e nuovi nemici, sono,
dunque, i protagonisti di un episodio che regala, più che mai, avventura, magia, suspense
e tante sorprese! “Assalto al Castello”, “Smeralda” e “Fantaghirò in Battaglia” sono solo tre
dei nuovi brani musicali, composti per l’occasione dal nostro geniale compositore, Amedeo Minghi, che spiccano per particolare
bellezza e che si vanno ad unire alla già nutrita playlist di brani d’accompagnamento delle
precedenti imprese della principessa guerriera.
Gli ingredienti per il successo ci sono tutti! La
fantastica avventura può continuare…
continua…
Conosciamoci
amata se solo si ha la predisposizione verso l'arte propriamente detta.
Una rubrica che ogni volta intervisterà un
ammiratore di Amedeo Minghi. Basterà Cosa ti colpisce del suo fare canzoni?
inviare la richiesta a:
[email protected]
Il fare canzoni di Amedeo Minghi è nettamente diverso dal comune; lui canta l'amore, i sentimenti, il mare...
Mi piace tanto il suo cantar veloce, il suo sorridere in
determinate frasi e l'uso del dialetto in certi pezzi...bellissimo!
Un episodio che ti
lega a lui
Vari episodi mi legano
profondamente ad Amedeo, ma dovendone citare
uno solo, faccio riferimento all'evento "Quando la
melodia è comunicazione"
tenutosi il 30 Ottobre
2014 all'Università "La Sapienza". Fui presente con
tantissimi alunni del Liceo
Classico di Caserta. La melodia di Amedeo tradotta
in vari linguaggi musicali
dai giovani mi fece vivere
emozioni indescrivibili.
Salve cari amici di Melos, sono Titti Canzano,
vivo a Caserta; la città della Reggia! Le melodie del grande Amedeo sono da decenni scolpite nel mio cuore. Fu la mia mamma a farmele conoscere e la ringrazio ancora. Oggi,
con orgoglio, mi ritengo una vera fan.
Quando hai incontrato la melodia di
Amedeo Minghi?
Ho incontrato la melodia di Amedeo Minghi negli anni
Ottanta. Notai subito che si trattava di musica vera,
quella che colpisce profondamente e che può essere
Quali le canzoni che senti più tue e
perché
Amo tutte le canzoni di Amedeo, alcune in maniera
particolare, ma due di esse le definisco "preferite" perchè hanno per me un significato molto importante.
"Sognami" mi ricorda il periodo in cui davvero sognavo e piangevo per l'emozione al solo veder apparire
sul palco quel cantautore così unico nel suo essere distinto, nobile, un pò misterioso. "Vivi e vedrai", invece,
è la canzone che esce in un periodo particolare della
mia esperienza da fan.