1 ORDINE DEGLI ARCHITETTI PPe C. ORDINE DEGLI INGEGNERI

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1 ORDINE DEGLI ARCHITETTI PPe C. ORDINE DEGLI INGEGNERI
ORDINE DEGLI ARCHITETTI P.P.e C.
ORDINE DEGLI INGEGNERI
della provincia di Catania
Documento congiunto sulla riforma degli ordinamenti professionali
di cui al D.Legge 138/2011 (art. 3) coordinato con
L.148/2011- art. 10 L.183/2011 ,art. 33 D.Legge 201/2011 e artt. 5,7,9 D.L.n° 1/2012
Premesso che gli ordinamenti delle professioni di ingegnere e architetto, pur nelle loro varie articolazioni
discendenti dalle nuove figure introdotte dal D.P.R.238/2001, presentano ampi profili di similarità e
contiguità e che appare opportuno, nella logica di semplificazione e trasparenza a tutela del cittadino
consumatore, individuare principi condivisi nella regolamentazione di cui alle nuove disposizioni di Legge, i
sottoscritti Ordini intendono congiuntamente esprimere il proprio convincimento circa le modalità
regolamentari e applicative dei principi introdotti con il corpus normativo di cui in epigrafe.
Art.3 D.Legge 138/2011 e ss.mm. ii.
comma a)- prevede la libertà di accesso alle professioni.
Allo stato nessuna restrizione esiste o è prefigurabile relativamente all’accesso per l’esercizio professionale di ingegnere o architetto, fatto salvo il
conseguimento del relativo titolo di studio e del superamento dell’Esame di Stato abilitante, costituzionalmente previsto. E’ quindi evidente che il
principio espresso dal precitato comma afferisce ad altre professioni. 145000 architetti e 220000 ingegneri iscritti ne sono prova tangibile.
comma b)- prevede formazione continua permanente
La formazione continua costituisce uno dei fondamenti non solo per la crescita degli operatori tecnici ma anche una positiva evoluzione per lo
sviluppo armonico della Società. I sottoscritti Ordini- e non solo loro- da tempo e autonomamente hanno già intrapreso un’intensa attività relativa
all’offerta formativa indirizzata ai propri iscritti. Nel processo di razionalizzazione, necessario ai fini dell’adeguamento ai nuovi principi legislativi
introdotti, si ritiene considerare che:
I crediti formativi possano essere distinti in Crediti Formativi Obbligatori (CFO) e Occasioni Formative Premiali (OFP).
I CFO si ritiene debbano essere conseguiti mediante partecipazione ad attività preventivamente validate dai rispettivi Consigli Nazionali su proposta
degli Ordini provinciali cui spetta prevalentemente-insieme a Consulte e Federazioni regionali, la gestione e la relativa certificazione
dell’aggiornamento, che deve avvenire su materie inerenti l’attività professionale degli iscritti.
Le abilitazioni obbligatorie rispetto a determinate funzioni (sicurezza, antincendio ecc.) rappresentano, a giudizio degli scriventi, comunque un
percorso di crescita e incremento delle competenze per cui appare logico che concorrano alla formazione dei crediti obbligatori.
L’obbligo formativo si ritiene assolto conseguendo 60 Crediti nel triennio con un minimo di 15 crediti annuali.
Vista l’obbligatorietà, e la relativa rilevanza disciplinare del mancato rispetto, sarà opportuno prevedere casi di deroga (per malattia, maternità,
impedimento giustificato) e le modalità di recupero di quanto eventualmente , per giustificato motivo, non conseguito. A tal fine, considerato che il
non raggiungimento dei crediti per tre anni consecutivi non è direttamente correlabile all’effettivo “sapere professionale” dell’iscritto, esso
dovrebbe dar luogo a semplice “avvertimento” del professionista, nei modi da individuarsi e, a tutela della fede pubblica – alla segnalazione
esplicita sulla scheda del professionista, contenuta nell’Albo- ma non a provvedimenti gravi come la sospensione;
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Gli OFP attengono alle competenze conseguite mediante la partecipazione a master, approfondimenti didattici, culturali e scientifici, riconosciuti e
validati dai Consigli Nazionali. A questi potrebbero aggiungersi le partecipazioni a concorsi di progettazione o similari, sia pure con
differenziazione di premialità, crescente, dalla semplice partecipazione al piazzamento e alla vittoria, in una logica dell’incentivazione al confronto
tra diverse tematiche e esperienze.
Il riconoscimento e l’attestazione dei Crediti obbligatori e/o premiali conseguiti avviene a cura degli Ordini Provinciali e/o delle organizzazioni
regionali, sulla base dei criteri di valutazione stabiliti dai Consigli Nazionali. Saranno definiti e concessi su singola attività formativa mediante
apposita deliberazione obbligatoriamente da trasmettersi ai Consigli Nazionali. I singoli ordini certificheranno il conseguimento dei titoli formativi in
apposita scheda del professionista da inserirsi nell’Albo professionale.
I costi di formazione, in quanto evidentemente necessari alla produzione del reddito professionale devono essere fiscalmente e previdenzialmente
deducibili. In quanto tali possono sono posti in capo direttamente al professionista, anche nel caso di dipendenti della P.A. o datore di lavoro
privato. Quest’aspetto può essere tuttavia demandato alla contrattazione tra le parti sociali interessate. Nello specifico si osserva ancora che la
formazione permanente potrà esplicitare al meglio i suoi effetti se è estesa a tutti i soggetti operanti, incluso i professionisti dipendenti (anche della
P.A.). Avere delle basi di conoscenza il più possibile comuni e di adeguato livello rappresenta la premessa di un dialogo tra le diverse forme di
esercizio della professione in quanto comunque tese a garantire i migliori e più efficienti risultati nella gestione del controllo delle trasformazioni
territoriali e ambientali.
Nella logica dell’innovazione normativa si ritiene utile riconoscere retroattivamente valide le attività formative svolte in precedenza con punteggi da
attribuirsi, anche ex-post, in similitudine a quelli stabiliti per i corsi di nuova attivazione; a questo proposito, nell’avvio delle nuove previsioni
sembra utile un’estensione del periodo di validità agli ultimi cinque anni sia pure con un’attenta elencazione delle attività pregresse utilizzabili allo
scopo.
Ai Consigli Nazionali verte il compito di dare gli indirizzi generali della formazione, anche con orientamenti verso le nuove aree di sviluppo del
mercato. Svolgeranno anche il compito del monitoraggio delle attività poste in essere dagli Ordini provinciali, concretamente assistendoli se del
caso. Cureranno la formulazione di Linee guida generali onde assicurare la più ampia diffusione di programmi e orientamenti anche attraverso
l’attivazione di piattaforme formative on-line onde contribuire sostanzialmente al contenimento dei costi per gli iscritti e alla migliore e ragionata
omogeneità dei livelli formativi.
Viste le note dell’Autorità Antitrust, ove si indica che gli Ordini debbano limitare le loro funzioni in materia di corsi di formazione,
si ritiene che la limitazione proposta, ancora non accolta dal Governo, agirebbe in senso contrario all’effettuazione di tale buona pratica.
E’ infatti evidente, e stupisce come ciò sfugga alla pur attenta Autorità, come gli Ordini agiscano senza fini di lucro e comunque,
attraverso la loro rete, siano capaci di implementare sinergie economiche e culturali volte alla migliore efficienza gestionale dei corsi
stessi sia in termini di adeguatezza scientifica che di convenienza economica, a tutto vantaggio degli iscritti. Vantaggio che si traduce, con
ogni evidenza, in una maggiore capacità dei professionisti a partecipare all’offerta formativa le cui refluenze, in termini di migliore
qualità dei servizi, sono a vantaggio del cittadino- consumatore e del mercato. A meno che l’Autorità si prefigga di generare attraverso
l’attività formativa una nuova attività “economica” e di per se stesso remunerativa (comunque non impedita) i cui costi aggiuntivi
graverebbero sui professionisti e di conseguenza sul cittadino-consumatore. SI rileva altresì’ che costi formativi maggiori ridurrebbero la
platea dei possibili partecipanti anche in ragione delle enormi , evidenti e riconosciute difficoltà che il mercato dei servizi professionali da
tempo vive. Potrebbe essere questo un modo surrettizio per correggere la sproporzione oggi esistente, anche con raffronto alle medie
europee, tra il mercato dei servizi richiesti e il numero dei soggetti offerenti, ma tale aspetto, si è sicuri non sotteso dall’Autorità, non
corrisponderebbe a criteri di giustizia e equità sociale.
comma c)- prevede la disciplina del tirocinio
Introdotta dal comma precitato ha subito una modifica nel comma 5 art. 9 del D.L.1/2012, nel quale non è più previsto l’adeguato compenso, in
forma indennitaria, per il tirocinante. Consideriamo tale eliminazione impropria e comunque:
Il termine stesso prefigura una esperienza lavorativa post-laurea, volta a conseguire quelle esperienze pratiche utili a confrontarsi con sicurezza e
professionalità con i temi che nel mercato e nell’abito lavorativo, concretamente, si affrontano. Si ritiene pertanto che, in ragione della complessità
e delicatezza delle prestazioni cui l’architetto e l’ingegnere sono chiamati, la previsione della durata non superiore ai diciotto mesi sia limitativa e
non nell’interesse e del nuovo professionista e della Società e committenza cui è chiamato a dare risposte. Si è quindi dell’avviso che esso abbia
durata non inferiore a due anni (ventiquattro mesi), potendone effettuare da 6 mesi a un anno nell’ambito della formazione universitaria sotto la
direzione e responsabilità dell’ordine professionale e di liberi professionisti a ciò appositamente chiamati tramite idonea convenzione e un ulteriore
anno – ovvero 1 anno e 6 mesi- , dopo il conseguimento della laurea. L’effettuazione di tale attività è condizione di ammissibilità all’ammissione per
l’Esame di Stato. Ciò anche in attuazione alle recenti Direttive Europee circa le responsabilità degli Stati membri in merito alla verifica e
certificazione delle competenze dei professionisti abilitati a operare liberamente in ambito comunitario. ( vedi Libro Verde CEE COM 2011/367 e
2007/123/CE). A margine vi è da notare che,secondo autorevoli esponenti del mondo universitario, gli atenei non sembrano adeguati nella loro
attuale strutturazione, a sopportare ulteriori funzioni formative “pratiche”.
Opportunamente le precedenti disposizioni prevedevano che al tirocinante venisse corrisposto un compenso di carattere “indennitario”.
Auspichiamo la sua reintroduzione, tenendo presente che esso non dovrebbe essere determinato in misura fissa ma aperto alla libera
concertazione tra professionista/Ente e tirocinante seppur compreso all’interno di una forbice prestabilita anche in relazione ai diversi ambiti
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economico-territoriali. E’ di tutta evidenza che lo stesso dovrebbe essere escluso, in ragione della sua natura, da qualsivoglia contributo ( INPS,
INAIL ecc.) perché , diversamente, oltre a configurarsi come uno stipendio ridotto, renderebbe meno appetibile accogliere giovani colleghi negli
studi riducendo per essi le occasioni e possibilità formative.
Altrettanto sembra opportuno stabilire un livello minimo di esperienze che il tirocinante avrebbe diritto di svolgere e che queste vengano poi
certificate e valutate dal professionista/Ente ospitante.
Per quanto riguarda la deducibilità dei costi sostenuti dal tutor, essi sono evidentemente costi per l’attività e quindi fiscalmente deducibili. Tale
ipotesi renderebbe non conveniente forme di elusione e al contempo la pattuizione di compensi in nero.
comma d)- prevede l’obbligatorietà del contratto di prestazione d’opera – Compensi e Tariffe
(modificato dai cc.1,2,3,4 dell’art. 9 D.L. 1/2012)
Il Contratto
La pattuizione contrattuale in forma scritta-obbligatoria, oltre ad essere elemento di garanzia e tutela per la committenza, costituisce un valido
presidio per il professionista al fine del percepimento dei compensi, rendendo chiari diritti e doveri delle parti. In questo senso contribuisce anche
alla effettuazione di una prestazione “corretta” e quindi primo presidio al decoro della professione. Per tale ragionamento, si conviene che la
mancanza di un contratto scritto dovrà essere adeguatamente sanzionata, anche dal punto di vista deontologico.
Tuttavia, le modifiche introdotte dal c.3 art. 9 D.L.1/2012, che prevedono la resa in forma scritta dei compensi prevedibili solo a richiesta del
Committente, costituiscono la premessa per l’aumento dei contenziosi e di possibili forme di elusione/evasione fiscale difficilmente controllabili,
specie in considerazione dell’eliminazione del pur solo riferimento a tariffe professionali non obbligatorie.
Anche in relazione all’obbligo di stipula da pare del professionista di un’assicurazione per i rischi derivanti dall’attività, appare opportuno che il
contratto preveda, per quanto possibile nel dettaglio, i compiti e le prestazioni che il professionista si impegna a effettuare insieme a una per
quanto possibile esaustiva esplicitazione degli obbiettivi che il committente si prefigge raggiungere.
Ancora, essendo obbligatorio (c. 3) render noto alla committenza il livello di difficoltà che la prestazione presenta, e chiare le obbligazioni cui il
committente anche si assoggetta, il contratto , oltre a rendere espliciti tali dati dovrebbe prestabilire le modalità e i tempi della corresponsione
degli emolumenti pattuiti.
Non và però disconosciuto che la prestazione intellettuale si svolge all’interno di un “mondo” e in un “modo” in cui tutte le evenienze condizionanti
non sono sempre facilmente prevedibili e sono soggette a variazioni non dipendenti dalla preparazione o volontà del professionista.
Il contratto, professionale è quindi, in sostanza, una cornice incompleta all’interno della quale il professionista deve muoversi, nella quale è
impossibile ex-ante prevedere tutte le variabili che caratterizzeranno nel tempo la prestazione. Dovrebbe quindi possibilmente contemplare forme
di flessibilità/integrabilità per rendere le reciproche obbligazioni adeguabili a mutate, imprevedibili condizioni. In questo consiste l’obbligazione di
mezzi e non di risultato -nella logica della relazione fiduciaria del rapporto professionale (credence good1)- riconosciuta dalla Legge alle prestazioni
intellettuali e nella quale rientrano certamente quelle degli architetti e degli ingegneri.
L’abolizione delle Tariffe:
Con riferimento alla committenza privata
L’abolizione del pur semplice riferimento alle Tariffe professionali, prevista dal c.1 art. 9 D.L. 1/2012, –derogabili secondo l’originaria (e più
opportuna) formulazione del dispositivo- (seppur non in contrasto con le Direttive Europee , vedi 18/2004 CE) si ritiene costituisca “vulnus” a
svantaggio della committenza rispetto alle cosiddette “asimmetrie informative” connesse all’espletamento dei servizi professionali. Visto poi lo
specifico c.3° dell’art. 9 del Decreto Governativo, secondo il quale la misura del compenso, liberamente pattuita, “deve essere -in ogni casoadeguata all’importanza dell’opera” e che il mancato rispetto di tale criterio costituisce illecito disciplinare, non si comprende come il collegio di
disciplina, nella sua nuova formulazione, potrebbe accertare l’illecito specifico in assenza di riferimenti, se non facendo capo ai parametri
determinati dal “Ministro Vigilante”, però previsti esclusivamente per le determinazioni del Giudice Civile, nè, in ogni caso, cosa accadrà tra
l’emissione dei parametri ministeriali e l’oggi: in attesa delle determinazioni del Ministro Vigilante, la prassi sin qui adottata, della valutazione
giudiziale sulla base dei pareri di congruità rilasciati dall’Ordine e dall’eventuale Consulente a ciò appositamente nominato, perderebbe qualsiasi
riferimento oggettivo e sarebbe soggetta a valutazioni del tutto apodittiche e discrezionali. Tale fatto esporrebbe sia il cittadino consumatore sia il
professionista a rischi di più o meno involontaria non equità connessi alle asimmetrie informative proprie della materia professionale, oltre che a
disparità evidenti , e anche casuali, di valutazione nei diversi ambiti decisionali. Allo stesso modo, ai fini delle valutazioni di convenienza da parte
del consumatore circa l’affidamento del servizio professionale a questo o quel professionista, per quanto riguarda il parametro del prezzo offerto,
metterebbe lo stesso in gravi difficoltà di decisione, non avendo il consumatore la competenza per valutare in concreto quanto offerto in rapporto
alla difficoltà dell’incarico (asimmetria informativa) quindi ledendo il diritto a una scelta il più possibile consapevole data dal raffronto di più offerte
rispetto a un parametro oggettivo. Non pare sufficiente a dirimere la questione il disposto del c.2 dell’art. 9 di cui al decreto governativo, in quanto
non si comprende il meccanismo attraverso il quale il “Ministro vigilante”dovrebbe determinare i “parametri” attraverso i quali il Giudice potrebbe
determinare i compensi in caso di controversia, e rimangono intatti i dubbi circa la capacità dell’utente di valutare , ex-ante, la congruità di un
compenso richiesto dal professionista.
A questo riguardo, appare del tutto fuorviante e gratuito l’intervento del Governo -palesemente volto a svuotare di significanza e significato
l’esistenza degli Ordini Professionali- posto in essere attraverso gli artt. 5 e 7 del decreto nella misura in cui le loro previsioni riportano fuori dalla
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Credence good: classificazione della prestazione da parte del cliente in cui l’elevato grado di asimmetria informativa non consente al cliente di
identificare appieno ex-ante, il tipo di prestazione di cui ha bisogno né di valutare ex-post la bontà della prestazione ricevuta.
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sfera di competenza deontologica, e quindi dell’Ordine, le questioni relative alla tutela amministrativa contro le clausole vessatorie (art. 5, c.1 e 3) e
tutela da pratiche commerciali ingannevoli (art. 7 c.2);
Al contrario, gli Ordini professionali provinciali, a fronte di convenzioni e accordi con Istituti terzi (Camere di commercio, Rappresentanze dei
consumatori ecc.), potrebbero essere chiamati, su richiesta volontaria delle parti, a preventivamente opinare la correttezza e la congruità dei
contratti da stipularsi, sia pure particolarmente con specifico riferimento al raffronto tra gli obbiettivi prefigurati dal committente e le azioni e
obbligazioni previste dal professionista per il raggiungimento degli stessi.
Con riferimento ai Lavori Pubblici
Altrettanto avverrà in tema di affidamenti da parte della P.A. ,viste le differenziazioni delle modalità affidative previste dalle Norme Comunitarie
sulla base del valore del servizio offerto; non si comprende con quali criteri oggettivi i Funzionari incaricati di predeterminare il valore di base del
servizio a tali fini potrebbero correttamente determinarlo.
Non è necessario, perché evidente, sottolineare come si potrebbero nel caso determinare “errori” nella valutazione delle soglie comunitarie e
maggiori incertezze di valutazione e/o procedurali sia per gli offerenti che per i richiedenti il servizio.
Peraltro, è non disconosciuto né dall’Autorità Antitrust né dal Governo il ricorso a Elenchi Prezzi predeterminati per lavori e forniture nell’ambito
degli Appalti Pubblici ai fini della fissazione degli importi a base di gara. Non si comprende la ragione per la quale quindi, nello stesso ambito, sia
possibile fissare preventivamente e oggettivamente un prezzo controllabile per Lavori e Forniture e non lo debba essere nel caso dei servizi
professionali. Non si comprende quindi perché, per analogia e simmetria, non dovrebbero essere eliminati gli Elenchi prezzi ufficiali per la
formulazione delle basi d’asta negli appalti ben potendo, in linea teorica, le Imprese formulare un prezzo “chiuso” per l’acquisizione di una
commessa.
Prestazioni con caratteristiche di pubblico servizio
Richiamata ancora l’evidenza che alcuni dei servizi professionali resi da architetti e ingegneri (ad esempio i compiti, le funzioni e le responsabilità
connesse alla sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, dei luoghi di lavoro, alle certificazioni antincendio, alle certificazioni
energetiche, ai controlli sulla sicurezza delle costruzioni in fase di esecuzione e di collaudo finale, solo per indicarne alcune) rivestono il ruolo di
Pubblico Servizio e i loro attuatori il ruolo concreto e fattivo di Pubblici Ufficiali, con compiti di certificazione e/o controllo a tutela di rilevanti
interessi generali che devono essere contemperati con quello privato, compito di garanzia e contemperamento connaturato alla figura
professionale, si ritiene che a questi delicati compiti e funzioni si debba garantire fattualmente quella “autonomia e indipendenza del giudizio,
intellettuale e tecnica” che pur la stessa Legge riconosce e ribadisce e che può essere assicurata solo se a queste funzioni corrisponde la garanzia di
un adeguato certo compenso per l’opera svolta nell’interesse collettivo. Il che non appare in contrasto con la normativa e le regole comunitarie, le
quali riconoscono agli Stati Membri ampia potestà nel fissare limiti, parametri, obblighi, anche in tema di esclusività o di remunerazione per talune
determinate attività. (vedi direttive già citate).
Le considerazioni di cui sopra con riferimento al punto (Antitrust) ove si ritiene che l’eliminazione del solo riferimento non vincolante alle
Tariffe, pur nei limitati casi a suo tempo indicati, consentirà ulteriori riduzioni dei costi a carico della P.A o dei consumatori. A tal
proposito è da chiedersi se le pur attente Autorità Governative abbiano avuto modo di prendere in esame la situazione determinatasi a
seguito del cosiddetto Decreto Bersani che ha già sancito l’eliminazione del minimo tariffario. Se lo avesse fatto, avrebbe certamente
notato che le soglie di ribasso con cui si sono aggiudicati e si aggiudicano i servizi di progettazione hanno da tempo superato ogni
ragionevole consistenza (medie di ribasso di oltre il 50% con punte, non tanto rare, del 70/80%) e, ancora, se abbia avuto modo di
considerare l’andamento medio dei redditi dei professionisti tecnici (desumibili da recenti indagini Cresme oltre che dai dati disponibili
presso la Cassa di Previdenza) che testimoniano un generale impoverimento complessivo delle professioni tecniche, con refluenze anche
sulla Cassa di previdenza. SI auspica che il Governo voglia prendere in seria considerazione tali dati oggettivi o quantomeno indicare
come concretamente risolvere le evidenti criticità del sistema, tenendo presente che qualsiasi soggetto economico, per poter investire
nella formazione, nell’innovazione e nell’efficienza, deve poter reperire dall’attività un’adeguata remunerazione, che coincide tra l’altro
con il principio costituzionale della tutela della dignità del lavoro. Cosa che allo stato non pare sia del tutto assicurata.
comma e)- prevede l’obbligatorietà alla stipula di polizza assicurativa per rischi professionali
Essa dovrà possedere un livello di garanzia minima- requisiti-essenziali- entro la quale ricomprendere tutti i rischi derivanti dalla responsabilità civile
del professionista, anche quelli derivanti dall’assolvimento di funzioni relative agli adempimenti di cui al D.Lgs 81/2008 o similari. Essa quindi dovrà
essere estesa a tutte le funzioni professionali, sia riservate che non. Dovrebbe consentirsi al professionista, in base alle sue precipue modalità di
esercizio della professione, di operare adattamenti per “sottrazione” di prestazioni e coperture.
In tal senso và anche rivista la precedente disposizione riguardanti la copertura assicurativa in materia di Lavori Pubblici onde evitare costose e
inutili duplicazioni.
Appare evidente che, in ragione delle attività esercitate, l’obbligo assicurativo riguardi tutti coloro che esercitano comunque atti professionali, e
quindi anche in forma dipendente, sia pubblica che privata.
Ancora le polizze dovrebbero prevedere la tutela legale del professionista e possedere dei sistemi compensativi in base alla tipologia di rischio
coperto a confronto di fatturato ( ad esempio prestazioni caratterizzate da alti fatturati e basso rischio connesso o viceversa) o relativi a prestazioni
non continue (occasionali e quindi attivabile caso per caso).
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Vista la possibilità di contrattazione collettiva a cura degli Consigli Nazionali o Casse di previdenza prevista dall’ultimo capoverso del comma in
esame, appare opportuno e auspicabile che i suddetti organismi attivino in tempi brevi tavoli di concertazione con l’ANIA. In seno a detti tavoli è più
che opportuno si contrattino, oltre che le forme di tutela per la committenza, analoghe simmetriche tutele per il professionista- e delle stesse
compagnie- al fine di rendere non conveniente l’istituzione di contenziosi “fittizzi”, volti a lucrare indebiti risarcimenti o non corrispondere il
giusto compenso al professionista, o a operare una sorta di coercizione nei confronti del professionista per ottenere indebite riduzioni del
compenso. La validità di tale cautela è resa evidente dal raffronto con quanto si verifica, purtroppo, nell’ambito delle RCA auto e comunque
costituisce presidio ulteriore alla fedeltà fiscale. La forma assicurativa collettiva minima contrattata dai suddetti organismi, il cui premio potrebbe
integrarsi alle modalità contributive già in essere, potrebbe costituire un valido ausilio al fine del contenimento dei costi a carico dei professionisti e
quindi anche con proporzionale vantaggio per i più giovani.
Da punto di vista deontologico, si osserva che, se l’obbligo assicurativo ha il fine principale di tutelare la committenza, atteso che essa ha il preciso
dovere di verificare l’effettiva adeguatezza della copertura offerta (e indicata esplicitamente nel contratto d’opera obbligatorio) dovrà essere
sanzionata non già la mancata copertura assicurativa bensì la millantata o falsa copertura indicata.
Comma f)- Tratta degli organi deontologici-commissioni di disciplina
(prevede che le funzioni siano assolte da soggetti diversi da quelli ricoprenti funzioni amministrative)
Pur conservando gli Ordini (Provinciali -1° grado, Nazionale- 2° grado) l’attribuzione dei poteri deontologici, le nuove norme prevedono che essi sia
disgiunti da quelli degli organismi con funzioni amministrative e quindi dai Consigli provinciali / nazionali stessi, con incompatibilità conseguente dei
Consiglieri a farne parte. La ratio di tale previsione è configurabile nella delicatezza della funzione, che deve essere terza e trasparente proprio in
ossequio alla tutela della fede pubblica, ivi incluso l’interesse delle professioni a che esse vengano svolte nel massimo decoro e nella massima
correttezza.
Organo giudicante di 1° grado- base territoriale e formazione degli elenchi
I Collegi è opportuno mantengano aderenza alla base territoriale dell’Ordine di riferimento. Essi potrebbero essere costituiti da rappresentanti
della categoria non facenti parte del Consiglio dell’Ordine, nominati dal Consiglio ovvero eletti dalla base degli iscritti e da un legale indicato dal
competente Ordine ovvero e/o da un Magistrato, anche in quiescenza, esperto in Diritto Civile/Amministrativo nominato dal Tribunale di
riferimento, da un rappresentante indicato dalle Associazioni dei Consumatori, ovvero dalla Camera di commercio o da altro organismo similare. Le
valutazioni/decisioni assunte da quest’Organo avrebbero così il crisma della terzietà e della conseguente rappresentanza di interessi contrapposti.
I componenti professionisti dovrebbero inoltre rispondere ai seguenti requisiti:
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iscrizione minima 10 anni
assenza di sanzioni o di procedimenti in corso
non esser stato candidato alle precedenti elezioni di categoria ( quelle determinanti il Consiglio in carica)
regolarità contributiva verso l’Ordine e gli istituti di previdenza
conoscenza adeguata delle normative riguardanti l’ordinamento professionale
anche se, sul punto, andrà meglio precisato con quale metodo sia accertabile detta adeguata conoscenza.
La durata di siffatti Collegi potrebbe farsi coincidere con la durata dei Consigli provinciali, mentre l’istituzione di un qualsivoglia procedimento
disciplinare nei confronti di un componente del Collegio dovrebbe comportare l’immediata decadenza dello stesso componente. In questa logica,
dovendosi garantire la continuità e l’efficienza di funzionamento dell’istituto pare opportuna la previsione di membri supplenti.
Organo giudicante di 2° grado ( Riferimento nazionale)
Pare opportuno che esso ricalchi, nella sostanza, la stessa composizione di quelli di 1° grado, scegliendosi i membri professionisti tra i nominativi
indicati da tutti gli Ordini provinciali con esclusione, nella formazione dei singoli collegi, di quelli appartenenti alla stessa Regione dell’incolpato.
Non sembra prefigurare limitazioni alla trasparenza e alla terzietà la presenza di un segretario, senza diritto di voto, individuato tra i membri del
Consiglio Nazionale di riferimento.
E’ da notare che l’Autorità Antistrust nella sua recente Proposta di riforma concorrenziale ai fini della Legge annuale per il mercato e la
concorrenza anno 2012 “ ritiene che i professionisti operanti nell’ambito dei collegi di disciplina debbano essere appartenenti ad Albo
diverso da quello dell’incolpato .
In linea di mero principio quanto richiesto dall’ Autorità – ancora non accolto dal Governo, coincide con quanto proposto nel presente
documento. Si ritiene però che, del tutto involontariamente, l’Autorità, nel richiedere che ai consigli di disciplina, cui non possono
partecipare i membri dei Consigli degli Ordini, siano chiamati solo professionisti esterni all’Albo di appartenenza dell’incolpato, compia un
atto di sfiducia preventiva nei confronti dei professionisti terzi in quanto semplicemente appartenenti allo stesso Albo dell’incolpato. Si
ritiene sul punto del tutto ingiustificato il timore dell’Autorità circa il possibile distorto uso della funzione disciplinare se esercitata da
professionisti operanti nello stesso bacino di mercato dell’incolpato, anche perché, in un mondo globalizzato e senza limitazioni territoriali,
nulla escluderebbe in astratto interessi distorti da parte di professionisti di diversa appartenenza ordinistica. Il rilievo pertanto, oltre ad
essere del tutto appare inutile e ingiustificato, alla luce della ipotizzata e condivisa presenza nei Collegi di disciplina di terzi rappresentanti
di altri interessi. Peraltro la presenza di professionisti appartenenti allo stesso Albo dell’incolpato (che non possono essere
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preventivamente tacciati di parzialità che equivale a un giudizio preventivo di immoralità) e alla stessa realtà sociale ed economica che
quindi conoscono, in cui si sono svolti i fatti motivo di contenzioso, renderebbe più facilmente equo il giudizio rispetto appunto alla realtà
sociale ed economica di riferimento.
comma g)- prevede la libertà di pubblicità informativa
Il vigente ordinamento professionale ha già recepito, per intero, le indicazioni in materia di libertà di pubblicità, pur nel rispetto sulla trasparenza,
veridicità, correttezza, inequivocabilità, non ingannevolezza e non denigratorietà delle informazioni, in base al disposto e ai sensi dell’art.2 c. 1, lett.
b della L 248/2006. Si ribadisce in questa sede che gli unici organi deputati al controllo della veridicità delle informazioni pubblicitarie afferenti la
materia tecnico-professionale debbano essere gli Ordini, attraverso le Commissioni di disciplina, in quanto dotati delle necessarie competenze di
valutazione.
Ciò è necessario in quanto sempre l’Autorità Antitrust, nel citato documento, ritiene che debba essere eliminato il controllo degli Ordini
in materia pubblicitaria.
Si ritiene tale assunto non condivisibile, se non strumentale. Ciò in quanto gli ordinamenti già consentono la più completa forma di
pubblicità il cui controllo, blando in verità, che gli Ordini su essa conservano, è limitato ad aspetti posti a tutela della fede pubblica,
funzione peraltro riconosciuta dalla stessa Autorità. Trattandosi in gran parte di materie specialistiche e rilevanti dal punto di vista
costituzionale, e peraltro essendo la materia interessante sotto il profilo deontologico comunque riservato agli Ordini, si ritengono non
adeguati alla tutela dei superiori interessi i controlli a campione effettuati genericamente dall’Autorità preposta. Peraltro nelle
motivazioni che supportano la richiesta dell’Autorità Antitrust si rilevano (si ritiene ancora una volta involontari) profili di sfiducia
preventiva nei confronti dell’istituzione Ordine e dei suoi componenti democraticamente (forse più di quelli politici) eletti dalla base
degli iscritti. Tale atteggiamento e condizione, se non fosse come si ritiene involontario, sarebbe del tutto inaccettabile e da respingere
con ogni mezzo e forza al mittente.
Art. 10 L.183/2011 – prevede l’istituzione di società professionali (anche a maggioranza di capitale privato).
Pare più che opportuno che le forme societarie in tema di servizi professionali non abbiano limiti di competenza. Il complesso mondo del mercato
in cui gli architetti e gli ingegneri operano rende plausibile che le società possano riguardare diverse sfere di competenza oltre quello tecnico, per
esempio quello legale, fiscale, sanitario ecc. Ciò al fine di favorire la possibilità di rendere prestazioni oggettivamente anche complesse riguardanti
più competenze specifiche non necessariamente solo tecniche, quali il mercato oggi diffusamente richiede. Vale il principio che i singoli soci, a
qualsiasi professione appartenenti, devono essere sempre iscritti al proprio Ordine e sottoposti alle regole generali vigenti.
Ciò ci fa sembrare complessa l’iscrizione all’Ordine di singole Società in quanto la presenza auspicabile di plurime specialità pone il problema di
quale Ordine scegliere per l’iscrizione, a meno di creare un ulteriore Superordine o elenchi speciali nei diversi Ordini per dette società con difficoltà
operative, si ritiene, notevoli (anche alla luce delle disposizioni di cui all’art. 32 della Direttiva C E 36/2005).
Del tutto inopportuna, anzi dannosa, appare invece la non previsione di limiti alla partecipazione del capitale privato (non professionale) a dette
società e, invero, le principali esperienze rilevabili in altri Paesi comunitari prevedono, in tutte le forme societarie per l’esercizio professionale, una
prevalenza nelle attività decisionali e nella rappresentanza della società stessa delle figure professionali. E d’altronde le stesse previsioni di cui
all’art. 3 D.Legge 138/2011, al comma 5 par. a) affermano tra l’altro che… il suo (della professione) esercizio è fondato sull’autonomia e
sull’indipendenza del giudizio, intellettuale e tecnica del professionista. Principio evidentemente non garantito nel caso di Società in cui la
maggioranza del capitale e gli organismi rappresentativi delle stesse siano attribuiti a soci di capitale non professionisti, come non garantito
sarebbe il principio fiduciario su cui si fonda il rapporto tra cliente e professionista. Principio includente una doppia delega: quella del cliente verso il
professionista e quella della Società verso lo stesso professionista, che si caratterizza nella sorveglianza da questi esercitata verso superiori
interessi collettivi. Deleghe tra loro potenzialmente in conflitto che possono essere esercitate realizzando un contemperato equilibrio tra i diversi
interessi in gioco. In questo senso, l’obbligo del rispetto delle regole deontologiche da parte del professionista, di cui quindi è opportuno e utile
mantenere l’effettiva libertà e indipendenza di giudizio, tendendo a uniformarne i comportamenti rispetto a regole generali condivise e accettate
verso i terzi, costituisce un valido presidio rispetto a eventuali abusi.
Non è da sottacere, ancora, come la possibilità di esercitare attività professionali regolamentate attraverso strutture a controllo di capitale, ponga
seri problemi rispetto ai fenomeni, purtroppo presenti, di infiltrazione di capitali e interessi illeciti e pericolosi in attività di grande rilevanza sociale e
costituzionalmente previste.
Ancora si ricorda che le numerose proposte di riforma contenute in Disegni di Legge depositate agli Atti Parlamentari nelle passate Legislature quasi
del tutto univocamente detti limiti prevedevano.
Al contrario, si ritiene che la presenza di capitale esterno in dette società, se limitata a quote di minoranza e non rappresentata nell’organismo
direzionale della Società stessa a garanzia della libertà di giudizio e del rapporto fiduciario connessi all’attività libero professionale, con le dovute
cautele e garanzie, può costituire, oltre che un’occasione economica, anche un valido strumento per lo sviluppo dimensionale delle strutture
professionali e qualitativo delle prestazioni rese.
In ogni caso, le regole per la costituzione di società professionali dovranno rispondere ai seguenti requisiti minimi:
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a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
ruoli decisionali ricoperti esclusivamente da soci professionisti iscritti all’Ordine e non da soci di investimento;
maggioranza dei componenti gli organi sociali in capo a soci professionisti iscritti all’Ordine;
I soci di capitale non possano essere anonimi al fine di evitare possibili infiltrazioni di capitali ( e interessi) di provenienza dubbia o,
peggio, illecita;
Scopi sociali strettamente connessi all’esercizio delle attività dei soci professionisti;
Interdizione alla partecipazione a Società di professionisti incorsi nella cancellazione dall’Albo;
Interdizione alla partecipazione a Società per soggetti incorsi in condanne penali passate in giudicato, incidenti sulla condotta civile e
morale;
Inibizione alla partecipazione a più società professionali.
Armonizzazione degli statuti societari alle norme comunitarie allo scopo di consentirne l’attività stessa in ambito comunitario.
Su questi principi, è bene ribadire a chiare lettere, le Professioni tutte non sono disponibili ad alcuna trattativa, ritenendoli anzi discriminanti
rispetto ad una leale collaborazione verso il percorso di aggiornamento e sviluppo delle attività economico-professionali, cui pure hanno
aderito e attivamente partecipano.
Ulteriori considerazioni
Dalle superiori argomentazioni si evince chiaramente come le nuove disposizioni legislative, se correttamente interpretate e orientate, possono
rappresentare in buona parte un effettivo e utile aggiornamento delle modalità di esercizio delle attività professionali, concretamente rivolte
congiuntamente allo sviluppo economico, alla tutela del cittadino-consumatore, a una sana concorrenza basata su comuni principi etici e economici,
oltre che allo sviluppo delle attività stesse.
A quanto sopra espresso si ritiene aggiungere alcune brevi note su aspetti di carattere generale:
Ordinamento:
Appare opportuno interrogarsi sul mantenimento delle compagini ordinistiche nel numero attuale; il gran numero di istituti oggi esistenti non
sembra coerente con le funzioni e i compiti che la Legge istitutiva prevedeva in rapporto a interessi di ordine generale e costituzionalmente tutelati.
A ciò aggiungasi che molti degli istituti ordinistici oggi operanti sono posti a presidio di attività non esclusive e/o non riservate ovvero non
rispondenti a materie di interesse costituzionale. Gioverebbe quindi alla chiarezza dei rapporti e alla semplificazione del sistema la riduzione del
numero di Ordini, riservando a quest’Istituto esclusivamente le materie di interesse costituzionale, (quindi quelle afferenti il diritto alla salute, alla
difesa, alla qualità del territorio del paesaggio e dei beni culturali…) apparendo sufficiente per le altre professioni, anche riferibili a materie non di
competenza esclusiva, l’istituto dell’Associazione di tipo privato seppur sotto l’eventuale controllo governativo.
Per le professioni da comunque organizzarsi secondo il modello ordinistico, visti i nuovi compiti e nuovi servizi che le attendono, la riduzione delle
entrate (a causa anche dell’abolizione del visto sulle parcelle per quelli tecnici) và analizzata la loro dimensione -in termini di iscritti- di
rappresentanza territoriale; pertanto, se è auspicabile -opportunamente- il riferimento all’ambito provinciale per la rappresentanza ordinistica
tuttavia non và sottaciuto che alcune dimensioni in termini di iscritti siano talmente ridotte da non poter garantire un sufficiente espletamento dei
nuovi compiti, servizi e funzioni.
SI auspica quindi che i Consigli Nazionali, possano prendere in considerazione l’ipotesi di prevedere una dimensione minima, in termini di iscritti,
per la costituzione/mantenimento di un Ordine provinciale, al di sotto della quale procedere per accorpamento a Ordini provinciali contermini.
Altra questione, non meno importante, attiene alla formazione degli Albi professionali.
Se è vero e indiscusso che il professionista deve avere pari dignità sia che eserciti la libera professione sia che la esplichi in un rapporto di
dipendenza, è altrettanto vero che la funzione propria dell’Albo, alla luce degli imposti –e opportuni- criteri di trasparenza e di tutela della fede
pubblica (confermata tra l’altro dal mantenimento dell’Esame di Stato e l’obbligatorietà di iscrizione), la presenza di limiti oggettivi discendenti da
norme di Legge a talune forme di esercizio della professione e da parte dei dipendenti -sia pubblici che privati- e di altre figure professionali
(Paesaggisti, Pianificatori, Conservatori, Architetti e Pianificatori iunior, nonchè Ingegneri iunior o di altra specialità formativa) insieme al
variegato panorama degli ambiti professionali comunque esercitabili, rende opportuno che l’Albo, auspicabilmente facilmente accessibile da parte
della committenza anche attraverso i siti internet degli Ordini, renda immediate tutte le informazioni volte a favorire una scelta consapevole e/o la
verifica dei requisiti dei professionisti in elenco.
Si ritiene che un siffatto modello, possa potenziare la funzione degli Ordini e degli Albi verso la certificazione della qualità delle prestazioni dei
propri aderenti e quindi migliorare complessivamente la qualità delle prestazioni rese e/o ottenibili attraverso una esplicita valutazione e confronto
delle potenzialità dei singoli iscritti, immediatamente evidenti al consumatore.
In tal senso soccorrono le statuizioni della Direttiva C E 2005/36 che, all’art. 32, dispone l’attivazione di una “Tessera del Professionista” europea
nella quale sono esplicitamente previsti, oltre ai dati già previsti dal vigente ordinamento italiano, altri contenuti relativi a:
•
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assenza di procedimenti disciplinari (ricompresi anche quelli conclusi con archiviazione e/o assoluzione) a cura dell’Ordine
•
•
•
•
•
assenza di condanne penali riferibili all’attività professionale ( certificati con dichiarazione sostitutiva direttamente dall’iscritto)
rispetto dei crediti formativi introdotti ( a cura dell’Ordine)
elencazione di eventuali corsi di aggiornamento e titoli ulteriori conseguiti ( certificati con dichiarazione sostitutiva direttamente
dall’iscritto)
tipologia di attività professionale prevalente ( curriculum).
Ente di appartenenza ( per i professionisti pubblici dipendenti)
Si aggiunge che, vista la particolare condizione formativa italiana e i limiti previsti per talune forme di esercizio libero-professionale in ragione del
titolo posseduto, gli Albi anche chiaramente esplicitino, per ogni fattispecie, reali possibilità e limiti all’esercizio libero-professionale.
E’ di tutta evidenza che la superiore proposta ha il fine di tutelare la committenza dai rischi economici, civili e penali derivanti da improprie
attribuzioni d’incarico (nullità degli atti, danni economici, rischi per la pubblica incolumità ecc.) e quindi è esclusivamente riferibile alla riduzione
delle c.dette asimmetrie informative che gravano sul rapporto cliente -professionista.
Assume particolare rilievo il fatto che, nel giugno del corrente anno, è prevista la riformulazione e aggiornamento delle direttive comunitarie in
tema di professioni liberali alla quale gli Stati membri dovranno uniformarsi.
Riordino delle competenze e della formazione:
Da molto tempo, nel nostro Paese, vige una certa conflittualità circa l’attribuzione di determinate competenze per prestazioni attinenti
all’architettura, all’ingegneria e al controllo del territorio, cui ha dovuto porre parziale rimedio l’attività della Suprema Corte e degli altri Organismi
giuridici, di volta in volta chiamati a dirimere contenziosi, per la verità più strumentali che sostanziali.
Nella logica di piena integrazione europea, dove questo fenomeno non pare esistente, sembrerebbe opportuno, contestualmente alla riforma degli
ordinamenti, pervenire ad una chiara e esemplare individuazione delle attività riservate alle professioni di architetto e ingegnere rispetto ad altre
professioni che nel tempo hanno potuto godere di alcune “distrazioni” interpretative e applicative sì da farne diventare motivo di recente, per
quanto allo stato non giustificata, contesa.
Allo stesso modo si auspica che il generale processo di riforma possa riguardare i percorsi formativi incluso quanto statuito dal D.P.R.328/2001 che
, introducendo tra l’altro nuove figure professionali collaterali alle professioni di architetto e ingegnere, lungi dal produrre vantaggi per il mercato ,
l’economia e per il mondo delle imprese, ha solo causato distorsioni circa il numero di corsi e lauree attivate, con conseguente esplosione dei costi
di funzionamento delle Università, l’abbassamento del livello culturale e di specializzazione nonché la creazione di un’intera generazione di pseudoprofessionisti dai limitati e incerti compiti , in cerca di una impossibile identità.
Si auspica quindi che possano essere rivisti piani formativi e figure professionali con l’ottica di ripristinare continuità, omogeneità e specializzazione
di saperi e competenze per loro natura unitarie. Evidentemente dovrà trovare congrua e giusta soluzione il problema della riconversione delle figure
professionali collaterali determinate a seguito del D.P.R.238/2001, attraverso percorsi formativi integrativi individuati di concerto tra le
organizzazioni professionali, Ministeri competenti e Università e/o attraverso l’accorpamento di figure tecniche titolai di competenze non esclusive.
Conclusione
La stessa Autorità Antitrust nella sua “Proposta di riforma concorrenziale ai fini della Legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2012 “
riconosce che:
•
•
La capacità di “ un’adeguata politica ( di liberalizzazioni) …in grado di promuovere competitività e crescita” è evidenziata (solo) da
“numerosi studi empirici e teorici”.
“le politiche concorrenziali producono solo in un orizzonte temporale medio sia la maggiore efficienza del mercato sia il migliore
benessere per i cittadini. Se riteniamo certi i vantaggi che deriveranno al mercato, al consumatore e alla crescita, parimenti non possiamo
sottacere come nel brevissimo periodo le politiche concorrenziali – penalizzando qualche impresa marginale – possano comportare anche
dei costi sociali. Per questo, si auspica che le Istituzioni della democrazia rappresentativa e le forze politiche – che su questo fronte hanno
già dimostrato una spiccata sensibilità – accompagnino le misure di liberalizzazione con altri interventi diretti a garantire l’equità sociale
e, anche attraverso le opportune riforme del diritto del lavoro, a favorire nuove opportunità per i soggetti che, in conseguenza dei
complessi processi di ristrutturazione economica, possano ritrovarsi privi di qualsiasi garanzia.”
E’ insito, in queste valutazioni, che le politiche di liberalizzazione devono essere adeguatamente ponderate per evitare, come peraltro già accaduto,
effetti negativi ben più gravi dei vantaggi prefigurabili.
Sono queste, in materia di servizi per l’architettura e l’ingegneria, le principali problematiche da affrontare anche in considerazione della difficoltà
di inserimento dei giovani e di altri soggetti nel mercato (peraltro asfittico e che andrebbe più ricreato che liberalizzzato) e non millantate riserve o
posizioni dominanti. Infine occorre evidenziare come nelle sue premesse anche l’Autorità Antitrust riconosca , a priori, alcuni limiti e criticità insiti
nel sistema di generali liberalizzazioni.
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Visto ciò, con riferimento alle libere professioni, se queste producono il 12/15 % sul PIL nazionale, tale dato non può essere considerato marginale
e, comunque, la dimensione media delle strutture professionali è tale che, se tale parametro fosse quello di riferimento per la “marginalità”,
sarebbe la quasi totalità delle strutture professionali a essere penalizzata . Nel campo specifico delle professioni dell’ingegneria e dell’architettura
sono già e ancor più evidenti le distorsioni (peraltro già in precedenza sottolineate) prodotte da una lunga serie di atti normativi, sia in termini di
pratiche lavorative, di ampiezza della domanda che di criteri formativi e di accesso, che già ne hanno pesantemente limitato la capacità operativa e
reddituale, oltre che, dato non secondario, avere creato pesanti riflessi negativi sull’immagine dell’architetto e dell’ingegnere italiano, in altra epoca
con riconosciuto ruolo di eccellenza e preminenza rispetto all’intero occidente e non solo.
E’ per questo motivo che si è fiduciosi che gli Organi legislativi e governativi e anche l’Autorità Antitrust possano prudentemente e con equo senso
pratico procedere alle ulteriori implementazioni normative e regolamentari prefigurate e qui analizzate.
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