Giugno 2013 - C.A.I Valdarno Superiore
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Giugno 2013 - C.A.I Valdarno Superiore
CLUB ALPINO ITALIANO Sezione Valdarno Superiore Via Cennano, 105 – 52025 MONTEVARCHI (AR) Tel/Fax 055900682 – Mobile 3425316802 - [email protected] – www.caivaldarnosuperiore.it Giugno 2013 - Anno 12° - Num. 2 - Notiziario Trimestrale della Sezione Valdarno Superiore del Club Alpino Italiano - Autorizz. del Trib. di Arezzo n. 12/2001 - Spedizione in A.P. Tariffe stampe Periodiche Articolo10 DL n.159/2007 conv. L. n. 222/2007 - DC/DCI/125/ SP del 06/02/2002 AREZZO TARIFFA STAMPE PERIODICHE Art. 10 DL n.159/2007 conv. L. n. 222/2007 DC/DCI/125/SP del 06/02/2002 AREZZO gruppo MB: BUONA LA PRIMA! Sabato 23 Marzo 2013 si è svolta la prima uscita del gruppo MTB del CAI Valdarno Superiore. I 15 partecipanti, più o meno esperti sull’argomento “bicicletta”, hanno dato il via a questo incontro dal parcheggio di fronte all’ex ipercoop con il giusto entusiasmo. I più audaci hanno addirittura raggiunto il luogo di partenza a cavallo dei loro mezzi a due ruote. Come da programma abbiamo percorso la sponda sinistra dell’Arno in direzione Levanella da dove abbiamo assaporato le prime pedalate in salita diretti verso C.se S. Leonardo per immetterci poi sul sentiero n. 41 in direzione Mercatale V.no. Già da subito non sono mancati problemi tecnici, prime forature e gomme poco gonfie che però non hanno creato particolari rallentamenti. Proseguendo per vigne e boschi abbiamo poi raggiunto Rendola e proseguito su asfalto fino al bivio per Cocoioni. Da qua abbiamo imboccato il sentiero per P.re Campiglioni e seguito la strada sterrata fino al bivio per Moncioni. A questo punto, visto il morale ancora alto dei partecipanti abbiamo deciso di proseguire verso la fattoria di Scrafana per raggiungere poi la strada della Selva e rientrare infine a Montevarchi. Il percorso non presentava particolari difficoltà a parte qualche tratto di salita piuttosto ripida che però abbiamo superato egregiamente (a mio modesto parere). Una volta giunti a Montevarchi ognuno ha preso la propria direzione con la promessa di ritrovarci presto su nuovi sentieri. La mattinata è stata molto piacevole sia dal punto di vista meteorologico che per quanto riguarda lo spirito del gruppo e per questo vanno i nostri ringraziamenti ad Alessandro Fabbri che ha avuto la brillante idea di organizzare un gruppo MTB nella nostra sezione e si è impegnato per la sua buona riuscita. Francesca Failli Fiori dei nostri prati Stella di Betlemme (ornitholagum ombrellatum) è una pianta comune nei nostri prati anche se è catalogata come rara, appartiene alla famiglia delle Liliacee (come le cipolle e l’aglio). È chiamata così perché una leggenda dice che questi fiori formassero una corona attorno al capo di Gesù Bambino nella stalla di Betlemme. Da noi è conosciuta soprattutto con il nome di Latte di gallina, molto probabilmente dalla traduzione letteraria del nome scientifico greco: Ornithos ‘uccello’ e Gala ‘latte’. Cresce nei prati e nei terreni incolti fino a una altezza di 1500 m. Il fiore, che sboccia ad Aprile/Maggio è caratterizzato da una stella regolare a sei punte e le foglie hanno una linea bianca che le divide a metà e le traccia lungo tutta l’estensione. Cipollaccio con il fiocco (Leopoldia comosa) è una pianta erbacea della famiglia delle Liliacee molto diffusa nelle regioni mediterranee e quindi anche nei nostri prati. I fiori di questa pianta, di colore azzurro-viola, sbocciano in primavera e sono persistenti fino all’estate inoltrata e la pianta può arrivare ad una altezza che varia da 30 a 70 cm. È chiamata anche Giacinto dal pennacchio o Lampascione. Il bulbo globuloso ricco di sali minerali e che cresce a 12/20 cm nel sottosuolo è simile a una piccola cipolla di sapore amarognolo ed è consumato in cucina, soprattutto in Puglia e Basilicata dopo averlo tenuto a bagno per circa un’ora per perdere così l’amaro. La pianta può crescere e svilupparsi fino all’altezza di 1500 m e il bulbo è molto appetitoso per i cinghiali. Tornare a Prati di Tivo rievoca ogni volta in me le suggestioni e la magia del primo incontro. Quando, per il 16 e 17 febbraio, il G.A.P. ha proposto questa IL “MIO” meta per la ormai rituale due giorni con le ciaspole, ho sentito la GRAN SASSO necessità di non farmi mancare l’occasione per ritornare di fronte al maestoso scenario del versante Teramano del Gran Sasso. E LA l’anno 1978 e ai primi di agosto con Daniela, per la MEZZA CIASPOLA Correva prima volta, abbiamo soggiornato a Prati di Tivo; ricordo ancora DELLA la suggestione all’arrivo nel vedere l’imponenza della massa grigia granitica del Corno Piccolo che si stagliava sopra gli ampi VAL MAONE prati che, degradando verso valle, arrivavano fino alle faggete che ancora contornano tutto l’ambiente di Prati di Tivo. Colpiti da questo contesto, unico nella catena appenninica, constatavo che non erano “vanterie” le affermazioni e le letture fatte su questi luoghi, descritti con la stessa enfasi delle Dolomiti, in effetti era vero, se ne riceveva analogo fascino. La convinzione si completò con la prima escursione, quando in un insolita presenza, per quei tempi, di escursionisti, di alpinisti e addirittura di sciatori salimmo fino al rifugio Franchetti. Era un andirivieni di persone; nella valle mediana tra i due Corni, attaccati alle belle falesie potemmo ammirare 4 o 5 cordate e nel nevaio, allora giacente sotto il rifugio, alcuni giovani si cimentavano con gli sci, usando per risalire un rudimentale e improvvisato ski-lift. L’incontro con le persone fu subito piacevole, gli abruzzesi son gente tosta, rude ma disponibile e generosa e chiedendo informazioni per la Val Maone, altro nostro obiettivo, si trovò modo di apprendere anche della triste storia, rimasta nella memoria della gente ed in un monumento: quella di due alpinisti (Cambi e Cichetti) morti assiderati nel freddissimo inverno del 1929, quando bloccati al rifugio Garibaldi per le incessanti nevicate, dopo aver finito le provviste, tentarono il disperato rientro a Pietracamela; il più forte dei due si dovette arrendere a tanta avversità ad appena tre chilometri dalla salvezza. Varie volte siamo tornati in questi luoghi, anche con il CAI, quando in uno splendido primo di ottobre effettuammo la traversata da Prati di Tivo a Campo Imperatore salendo, in due gruppi, sia sul Corno Piccolo che su quello Grande. Questa con il G.A.P. avrebbe meritato un clima migliore, comunque, malgrado la nebbia che ci ha avvolto per tutto il primo giorno, il percorso è stato affascinante, bellissima la neve e specie il ritorno, quando ci siamo lanciati in una discesa “libera” dai vincoli del sentiero. Abbiamo attraversato un ambiente ovattato, tra i faggi ornati di galaverna, ci siamo sbizzarriti ad affondare il nostro peso nel manto intatto, nel silenzio interrotto solo dal nostro frusciante passaggio. Affascinante. Dimensione della “performance”: meno di 12 Km., circa 600 metri di dislivello; meno male che i “cavalli di razza” del gruppo erano acciaccati da postumi influenzali, cosicché noi umani abbiamo potuto tirare il fiato e reggere il loro passo. L’Amorocchi (dove abbiamo cenato e pernottato) è uguale al 1978, salvo il normale deperimento per l’uso! L’ospitalità è stata ottima, la struttura è solida tanto che la scossa tellurica notturna non ha prodotto altro che qualche apprensione; non ho aderito alle veglie di alcuni rimanendo a dormire, avvertendo però tutti i tentennii che si sono verificati. Tentennii che non hanno prodotto le slavine nella val Maone, pronosticate da parte di un “malefico” ed assente esperto del CAI Valdarno e del G.A.P. Il mattino successivo ci ha concesso finalmente le belle immagini del luogo e colazionati siamo partiti verso la val Maone, sapendo già che il rifugio Garibaldi non l’avremmo raggiunto, troppa neve! Bella neve, tanta neve ci ha da subito avvolto, quando e appena affacciati alla vallata abbiamo potuto ammirare le cascate di ghiaccio e strani monumenti sempre di ghiaccio prodotti dall’inefficienza dell’acquedotto. Poco più avanti abbiamo constatato che nessuno era passato prima di noi, quindi con cotanta esclusiva, abbiamo proseguito lungo il Rio Arno (assonanza a noi cara) tra vegetazione che man mano diradava. Lo scenario che si apriva era sempre più maestoso, anche se le cime ormai cominciavano a velarsi, confermando nella loro bellezza le sensazioni del 1978: è come essere sulle Dolomiti! Malgrado la mia scarsa condizione atletica, l’entusiasmo mi spingeva ad incitare gli altri a proseguire perché sapevo della spettacolarità dell’ampia conca posta ai piedi dell’ultima barriera che ci separava dall’altopiano di Campo Imperatore. Ernesto tollerava la mia insistenza e non so con quale fiato riuscivo a stargli dietro, dato che aveva un po’ allungato il passo, capivo che anche lui voleva arrivare lì, ci dava “corda” fino alle 11,30, dopo aveva deciso che si sarebbe tornati indietro. Le nuvole continuavano a calare svilendo l’atteso spettacolo del luogo, benché ridotto è stato comunque appagante; poi, grazie al gioco che i venti fanno fare alla neve intorno ai massi ciclopici del luogo, abbiamo potuto constatare che stavamo camminando sopra ad un manto di neve di circa tre metri! Foto, burle e scherzi di rito tra noi e superate le fatidiche 11,30, con il militaresco dietro front abbiamo ripreso a ciaspolare in discesa. Il mio entusiasmo è durato poco, una improvvida manovra mi ha fatto stroncare una ciaspola; nell’imbarazzo di tutti lo scenario d’improvviso è cambiato, non potevo certo fare a meno delle ciaspole, come potevo galleggiare sulla neve per gli otto restanti chilometri che ci separavano da Pietracamela? Poi, come di solito accade anche nei film, per aumentare la suspence, le nubi fioccherellando si erano ulteriormente abbassate, non nego di essermi sentito per un attimo un po’ come il povero Cichetti nel suo ritorno del 1929. Abbiamo però constatato che mezza ciaspola si poteva recuperare, Daniele ha tirato fuori due fettucce ed insieme ad Ernesto mi hanno bloccato la mezza ciaspola al rampone ed al piede: ero salvo!? Fingendo indifferenza ho ripreso la discesa, sembravo uno sciancato, per il peso affondavo in maniera disomogenea cadendo più volte, ma riuscivo a procedere. Alle varie quote la neve, sempre farinosa, cambiava; in alto era più compatta e malgrado lo spessore era più agevole percorrerla, più in basso era molto soffice, bellissima; mai avevo durato tanta fatica per scendere! Un grazie lo devo anche a Stefano e Francesca, pronti soccorritori per legare nuovamente la mia salvifica mezza ciaspola. Giunti al monumento che ricorda Cichetti ho avuto emozione per il suo dramma, con la mia mezza ciaspola mi sono sentito un po’ più vicino al suo imparagonabile tormento; era giunto a tre chilometri dalla sua salvezza, ma non ce la fece. Ormai vedevo i tetti di Pietracamela e la mezza ciaspola si è di nuovo sciolta, per l’ultima volta, perché ormai la neve era camminabile, quindi rese le fettucce a Daniele (mai abbastanza ringraziato) siamo arrivati alla meta. Ho salutato la val Maone facendoci anche una risata, perchè ormai ero divenuto l’unico partecipante al “trofeo della mezza ciaspola”, che ovviamente ho conservato. Piccola storia in terra d’Abruzzo che è sempre tanto bella quanto aspra e tormentata, anche dalle tristi vicende telluriche e come nel 1978, si vede che la gente è tosta e generosa, ce la faranno. La nostra sezione del CAI Valdarno è anche in buon incubatore di idee ed esperienze, a mio sommesso parere, è giusto rilevare anche la bella “prova” di tutto il gruppo, si avverte maturità, equilibrio di molti; vi è un accresciuta esperienza che si è affinata con la formazione, la passione e le frequentazioni di ambienti tanto belli quanto ostili. Il G.A.P. è diventato una interessante realtà, un valore, uno stimolo per tanti che frequentano la nostra sezione CAI, manteniamo sobrietà e prudenza, continueremo a fare belle esperienze. Pertanto rivolgo l’invito in special modo ai giovani ed ai nuovi iscritti alla nostra sezione ad avvicinarsi anche a questo patrimonio di solidarietà e di conoscenze; il G.A.P. è anch’esso un luogo ospitale, di evasione per ritemprare lo spirito, spesso provato dagli effetti dei momenti difficili che stiamo vivendo. Grazie a tutti per la vostra simpatica amicizia, a presto. Federigo Morandini 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 PANE AMORE E FANTASIA Che cos’è che tira più di un carro di buoi? Mi dispiace, caro Vannetto, ma non è l’ardore patriottico della gloriosa Tridentina come maliziosamente starai pensando perché la risposta è molto più godereccia e terrena: il cacio di Pino. È bastato dire che per l’uscita in Casentino Pino avrebbe portato qualche caciotta di sua produzione per ritrovarsi, al parcheggio dell’ormai declassata Ipercoop, in più di una ventina e, potenza del cacio, anche Lampadina oggi è dei nostri dopo molti mesi di assenza forzata. Lo trovo in forma coi suoi 80 e passa portati benissimo, sarà che, come candidamente confessa, ha usato per anni una crema antirughe scambiandola per dopobarba? Partiamo in diverse macchine e sembriamo una piccola flotta che prende il largo alla cui testa c’è Guido con la sua ammiraglia e una ciurma tutta al femminile. In macchina con Luigi siamo in quattro e Chiara, pur non capendo il napoletano, afferra qualcosa qua e là delle parole di Vincenzo, fine dicitore di un Di Giacomo molto sopra le righe, e se la ride. Arrivati in Casentino, prima di iniziare la nostra escursione, c’è la visita alla Pieve di Sietina con le sue pareti interamente affrescate e una gentile quanto preziosa guida che parla di quelle figure immote sui muri, che il tempo rode impietoso come un tarlo, con la stessa familiarità di chi sfoglia un vecchio album di famiglia. Le sue parole palesano, come per effetto di una lente, simbologismi e allegorie altrimenti in ombra ai nostri occhi profani e che affiorano là dove il confine tra fede e superstizione diventa labile, sottile fino a dissolversi. Sono piccoli gioielli, incastonati nel verde di una natura che rinasce ogni volta dalle sue ceneri di Araba Fenice, queste Pievi che la mano dell’uomo eresse a baluardo delle sue paure più ancestrali. Pietre miliari del lento cammino della coscienza nel suo inesorabile affrancarsi dal giogo dispotico e assoluto delle tenebre. Mentre nelle Pieve la visita continua, fuori, immancabile ormai, ci aspetta la pioggia. Nel suo grigiore i colori e i suoni della primavera si smorzano e sotto l’uggia incessante dell’acqua che cade tutto diventa di una bellezza opaca. A dire il vero questo tempo smorza anche la voglia di camminare e qualcuno di noi sarebbe ben lieto di tornarsene a casa. Fino all’ultimo pendiamo dalle labbra di Laura che avrebbe una certa idea a riguardo. Ma la nostra First Lady è un po’ indecisa sul da farsi. Ci pensa su… tentenna… forse troppo anche per il nostro mite Presidente che con la sua imperturbabile flemma si accoda al gruppo dei più temerari che già si è messo in cammino, brontolando qualcosa all’indirizzo di un più generico e genetico indecisionismo femminile. E poiché la macchina che avrebbe dovuto riportarci indietro è la sua, non ci resta che seguirlo facendoci scudo dalla pioggia con ombrelli e incerate. Ci consola, oltre alla compagnia sempre allegra e piacevole della brigata, l’idea del cacio di Pino e quando ci incamminiamo anche noi lungo il sentiero, come a seguirne la scia, ci sentiamo come i topini della favola, ammaliati dal suono di un pifferaio magico. Le nuvole, grigie lenzuola tese ad asciugare su fili di cielo, sciorinano una pioggia fitta e fine che a tratti si cheta dandoci l’illusione che la giornata possa regalarci uno spiraglio di sereno. E tra speranza e illusione l’escursione continua tra il fango dei sentieri e la sauna delle nostre incerate, come in una beauty farm termale. Qualcuno vedendoci penserà di noi che siamo una manica di strulli a camminare tra l’acqua e la mota, inerpicandoci per le erte come capre, mettendo a dura prova le ginocchia lungo le discese, guatando piccole vene d’acqua in bilico sui sassi, rimediando talvolta scivoloni e cadute. E quel qualcuno si meraviglierà di vederci, tuttavia, così allegri. Proprio una manica di strulli insomma. E per di più affamati. I nostri stomaci si sono accordati per un concerto per brontolii e crampi segnando con precisione svizzera l’ora del pranzo che si appropinqua. Ma continua a piovere e di coperto, per mangiare, non si trovano che due capannoni momentaneamente vuoti di una segheria. Lasciano molto a desiderare però quella musica interiore si è fatta ora talmente assordante che siamo disposti a sorvolare su tutto. Ci sistemiamo come meglio ci è possibile, impresa non proprio facile a dire il vero, pensando di poter finalmente immolare le vergini caciotte di Pino sull’altare dei nostri appetiti quando inaspettato arriva il contrordine: sgomberare la postazione e in marcia fino al paese. Sarà forse che, trattandosi di una segheria, il posto si sarebbe prestato a battute e doppi sensi? Noi donne presenti all’escursione apprezziamo la gentilezza che ci viene usata per averci risparmiato un probabile scempio verbale ma poiché “più che l’onor potè il digiuno”, ci rimettiamo in viaggio piuttosto a malincuore. Il Una fioriera o... concerto dei nostri stomaci è diventato intanto una roboante marcia CAI (Cercasi Antipasto Italiano). Affrettiamo il passo nella foga di arrivare in paese mentre lassù è sempre giorno di bucato e continua a piovere. Lentamente si apre un piccolo spiraglio di sereno e bisogna approfittare. La colonna si arresta e, a ridosso di un greppo, si rompono le righe alla ricerca di un posto dove accomodarsi alla meglio. Il terreno è molle di pioggia e ci premuniamo di salvaguardare quella parte del nostro corpo più bistrattato ed esposto ai colpi che ti serba la vita accomodandoci su mantelle e giacche a vento. Ma, proprio quando cominciamo a pregustare il sapore delicato e deciso del prezioso lavoro di Pino, il pifferaio magico si allontana col suo seguito di topini ammaliati. Restiamo a guardarli andar via senza capire e con un puerile senso di scoramento, ma senza più nessuna voglia di seguirli. Abbiamo con noi qualche filoncino di pane che qualcuno comincia ad affettare e poiché la fame è tanta prendiamo a mangiarne. Noi donne, forse per un mai appagato bisogno di dolcezza, lo sbocconcelliamo con scaglie di cioccolato. Vannetto, da buon alpino, sorseggiando grappa. Marcello, più stoico di tutti, mangia pane e basta perché è vero che il miglior companatico è sempre l’appetito. E come per ogni pranzo che si rispetti non manca né il dolce né, per chiudere, del caffè ancora caldo. Alla fine ci alziamo leggeri ma sazi. Un dubbio allora mi si palesa alla mente. Se nonostante il cacio di Pino siamo rimasti lungo il greppo a mangiare del semplice pane vuoi vedere, mio caro Vannetto, che avevi ragione tu e che a tirare più di un carro di buoi è proprio quell’ardore patriottico di cui sopra? Ai soci l’ardua sentenza! Pina Daniele Di Costanzo un fonte battesimale? Nel lavoro di ricerca che ci siamo imposti per inserire sul nostro sito le emergenze artistiche e storiche che punteggiano in modo straordinario il nostro Valdarno ci siamo imbattuti anche in delle situazioni incresciose di abbandono e di mancanza di rispetto per vari luoghi o per delle dimenticanze colpevoli per la storia del nostro territorio. Di una di queste magari piccola ma significativa vi vogliamo parlare nel nostro giornalino. Quella pietra dalla strana forma, che una volta vi possiamo testimoniare era ottagonale, che è posta davanti alla attuale chiesa del Neri, non è, come può sembrare a un frettoloso passante o devoto che entra in chiesa per la messa settimanale, una fioriera in qualche modo artistica. Quella strana pietra è il fonte battesimale originale della chiesa plebana di San Pancrazio, situata a non più di due chilometri di distanza, chiesa straordinaria per strutture romaniche e per storia sacra plurimillenaria, strappato alla sua sede naturale nella cripta di detta chiesa - vi è ancora la forma della sua passata presenza - e posto a far bella mostra di sé davanti alla nuova chiesa, dove tutti possono, giustamente, spengere la sigaretta, prima di entrare in chiesa. Forse qualcuno di voi sarà meravigliato che, anche da parte delle cosiddette autorità religiose, ma non solo, si sia permessa una tale situazione per un oggetto, un manufatto, così denso di significato; pensate che non è escluso il fatto che, essendo nella parte più antica della chiesa, il fonte sia da datare al VII od VIII secolo e per il suo solo essere forse più unico che raro, almeno degno di essere posto in un museo e non lasciato alle intemperie del tempo e degli uomini. Io invece non sono meravigliato. Mi sembra un perfetto esempio del valore morale della nostra attuale società, tutta dedita al superfluo, all’immagine, e che non ha tempo per ricordare, per valutare correttamente i reali significati di quello che vediamo, che non riesce a tributare a un oggetto che meriterebbe rispetto per quello che per secoli ha rappresentato, nemmeno una targhetta di spiegazione. Lorenzo Bigi Ganoderma lucidum (RI)CONOSCERE I FUNGHI Regno Fungi Divisione Basidiomycota è un fungo parassita oppure saprofita Famiglia Poliporacee Carne Color crema-ocra, legnosa, assai coriacea e tenace; odore fungino Habitat Specie molto comune, cresce in tutte le stagioni, in tutte le regioni italiane, su ceppi e rami interrati o alla base dei tronchi di latifoglie (Quercia, Pioppo, Frassino, Platano, Acero, Tiglio, Faggio, Robinia, Bagolaro e altri). Commestibilità e Tossicità Non commestibile per la carne legnosa, coriacea e tenace. Si tratta, tuttavia, di un fungo molto vistoso: l’aspetto laccato e i colori vivi e brillanti suscitano la curiosità di tutti quelli che lo incontrano, molti lo raccolgono nei nostri boschi per usarlo come decorativo nei vasi o come soprammobile. 0SSERVAZIONI: In Oriente i cinesi lo chiamano Ling Zhi, ovvero “potenza spirituale”, i giapponesi Reishi, e in entrambi i paesi è coltivato e viene commercializzato per uso medicinale, poiché risulterebbe efficace, come alcune altre specie del Genere (Ganoderma), nella cura di molti mali. Viene coltivato sin dall’antichità, essiccato e poi ridotto in polvere; è adoperato per la preparazione di decotti, unguenti, liquori oppure viene semplicemente trasformato in compresse; secondo la tradizione, possiederebbe proprietà officinali. Alcuni studi in vitro hanno evidenziato, preliminarmente, un possibile ruolo anti-infiammatorio e di tipo citotossico oncologico dei triterpeni (*) isolati dallo stesso. Sono in corso studi anche in Europa, in particolare in Spagna, per verificarne l’effettiva efficacia terapeutica. Il Ganoderma è ritenuto un nutraceutico (alimenti che hanno una funzione benefica sulla salute umana) che riesce a risolvere qualsiasi tipo di patologia, ma ovviamente come ogni sostanza che fa bene al nostro corpo, ci impiega il suo tempo. (*)Terpeni: biomolecole prodotte da molte piante soprattutto conifere e da alcuni insetti, sono i componenti principali delle resine e degli oli essenziali. Miscele di sostanze che conferiscono a ogni fiore o pianta un caratteristico odore o aroma) proprietà attribuite al Ganoderma Lucidum √ √ √ √ abbassa il colesterolo nel sangue e la quantità di grassi liberi; riduce il livello di zuccheri nel sangue, ripristina le funzioni del pancreas; abbassa i lipidi nel sangue e stabilizza membrana dei globuli rossi; contiene adenosina che può abbassare agglutinazione piastrinica e previene trombogenesi; √ migliora la funzione della corteccia delle ghiandole adrenalina per mantenere l’equilibrio endocrino; √ eleva la capacità naturale di guarigione del corpo, permette al corpo di stabilire un forte sistema immunitario; √ previene la degenerazione delle cellule dei tessuti; √ previene allergie causate da antigeni, perché inibisce il rilascio di istamina. Vincenzo Monda Vale più un bicchier di dalmato Che l’amor mio, Che l’amor mio, mio grande amor. Avevo una ragazza dagli occhi azzurri, dagli occhi azzurri color del mar. CANTI DELLA MONTAGNA Non voglio amar più femmine perché son false, perché son false nel fare l’amor. Vale più un bicchier di dalmato che l’amor mio, che l’amor mio mio grande amor. Un bicchier di dalmato Ogni area geografica, ogni periodo storico, ogni civiltà più o meno progredita possiede i propri canti popolari, quei canti nati per un sentimento spontaneo e privi di autore. Il canto popolare è l’espressione spontanea di un popolo e ne interpreta sentimenti e aspirazioni e una delle caratteristiche primarie è di essere diffuso e tramandato tra gente di uno stesso ambiente come contadini, emigranti, montanari, soldati… La cantata Un bicchier di dalmato di cui parliamo su questo numero del giornalino sezionale è nata in Dalmazia quando questa regione era ancora sotto l’Impero asburgico, diventando poi il motivo popolare cantato dagli alpinisti giuliani del CAI quando raggiungevano la vetta di un monte, usanza che sta continuando tutt’ora. Pur essendo nato al mare, questo canto è stato sempre considerato anche nel repertorio dei canti popolari di montagna, non ha un autore e incerta è la data di nascita anche se sappiamo che iniziò a essere conosciuto alla fine del 1800. Giorgio Gaber e Maria Monti incisero nel 1964 questa melodia in un disco 45 giri che portava nel retro la canzone “La Balilla”; fu cantata anche da Yves Montand in lingua francese e recentemente dal cantautore triestino Lorenzo Pilat (Pilade) e i suoi coristi. È un canto tragicomico d’osteria che insegna come annegare i dispiaceri di cuore nel vino, che osanna le bontà del Dalmato, il vino delle solatie vigne che degradano al mare nella Dalmazia e in Istria. Il testo che racchiude la “sapienza” popolare secondo cui è più sincero un bicchiere di vino che l’amore di una donna ci riporta all’immagine di una vecchia osteria, di quelle che ancora esistono numerose a Trieste, nei paesi del Carso e delle Alpi Giulie, di quelle osterie con le botti dietro il banco, i tavolini con il sottoripiano per riporre i bicchieri quando si gioca a carte e le lavagnette per segnare i punti. E sembra proprio che questo canto popolare sia nato in una di queste osterie alla fine del 1800, esattamente nell’osteria più famosa della città che era l’Osteria del Dalmata di via dei Capitelli 4, gestita appunto da due dalmati e dove si beveva solo vino della Dalmazia come l’Opollo di Lissa, considerato il migliore e tanto amato da Italo Svevo che, in quei tempi, era un assiduo frequentatore del locale. Il canto originale è nato in versione giuliano-dalmata, ma oggi viene cantato soprattutto in lingua italiana. Il canto, che è stato armonizzato anche dal famoso musicista Pigarelli, è molto melodico e si presta bene ad essere cantato in gruppo, con toni piuttostosto bassi e davanti a un buon bicchiere di vino, che sia dalmato o di altre zone d’Italia. N.B. Tutti i canti riportati nei vari numeri del giornalino, possono essere ascoltati su You Tube. Vannetto Vannini L’itinerario escursionistico consigliato Tra castelli, badie e sorgenti solfuree Badia Berardenga Lunghezza 14 km. circa - Dislivello 300 mt. circa Un percorso molto interessante che unisce motivi artistici e storici ad altri più prettamente ambientali e paesaggistici. Un percorso che occorre preparare informandosi della storia che ha caratterizzato questi luoghi. Si parte da Monastero d’Ombrone dove, prima del borgo ristrutturato ed ora relais di lusso con il ristorante gestito da un famoso chef de rang, si possono lasciare i mezzi nella piazza davanti al piccolo cimitero. Sulla sinistra si imbocca subito una stradella bianca che in breve ci conduce verso la provinciale della Colonna del Grillo che, però, viene lasciata dopo poche centinaia di metri quando imbocchiamo una strada bianca, molto larga, che ci conduce alla seconda meraviglia della giornata: la Badia Berardenga. Badia Berardenga: la chiesa È molto difficile trovare il modo di visitare la Villa e la Badia ma si possono acquistare delle buone bottiglie della produzione vinicola dell’Azienda che possono servire di conforto. Tra bei paesaggi e panorami che si possono ammirare nei momenti di passaggio sui crinali che incontriamo, cominciamo a salire verso Casalbosco, sempre su stradella, fino a superarla ed arrivare al podere Ciarpella dove sorpassiamo la bellissima casa ristrutturata passandole sulla destra. Arriviamo quindi a toccare le rive dell’Ambra dove, spostandoci lungo la riva, ammiriamo anche delle sorgenti di acque solfuree in un punto che, con qualche attenzione, possiamo guadare per passare dall’altra parte del fiume. Riprendiamo la strada bianca che ci conduce verso il Castello di Montalto, ultima bellezza della giornata e, dopo aver goduto della visita di questo castello, ci riportiamo sempre per strada bianca al nostro punto di partenza di Monastero d’Ombrone Monastero D’Ombrone. Questo percorso, che non è molto lungo e non presenta difficoltà di rilievo, è un perfetto esempio delle capacità straordinarie del nostro territorio di riservare a chiunque voglia impegnarsi in una escursione, momenti di vero godimento estetico e di profonda immersione nella natura e nella storia. Nota: Data la vicinanza dal percorso appena presentato a Montebenichi vi invitiamo a concludere la giornata in questo borgo dalla lunga storia. Anche se in confronto agli altri castelli che avete appena visitato, vi sembrerà fuori luogo nella sua “restaurazione neogotica”, non si può negare che ugualmente emana un fascino particolare. Inoltre, poco prima di arrivare in paese, si può ammirare la veneranda Pieve di Santa Maria Assunta, una delle pievi paleocristiane più antiche del Valdarno. Lorenzo Bigi Era tanto che ci chiedevamo che fine avesse fatto Paolo, dato che era molto che non lo vedevamo alle nostre escursioni. La risposta l’abbiamo avuta sabato 4 maggio. È stata una risposta bella, piena di immagini sovrapposte come pensieri che affollano la mente. Di figure di donne le cui fattezze sensuali si intuiscono sotto veli di colori che sfumano come sogni al mattino. Di cavalli che galoppano e la cui forza si irradia sulla tela in un crescendo di luci. Di farfalle che svolazzano nell’aria dolce di una perenne primavera. La mostra di quadri di Paolo Frontani è stata allestita nello spazio espositivo di Mannucci in via Roma a Montevarchi. Questi pochi righi vogliono essere il nostro grazie per le emozioni che ha saputo regalarci. Auguri, Paolo. E quando sarai famoso ricordati di noi. A PAOLO FRONTANI Quelli del CAI Meteorologia popolare Da che mondo è mondo, l’uomo di fronte alla prepotenza delle forze della natura, ha sempre cercato di modificarle a proprio vantaggio; così ha fatto anche con le manifestazioni meteorologiche che ha cercato di sottomettere alle proprie esigenze; basti pensare ai riti propiziatori degli antichi, ma da sempre e fino a oggi anche ad alcune manifestazioni religiose previste dalla liturgia cattolica e, da noi, fatte soprattutto in certe zone come il Santuario di Montecarelli o Santa Maria in Valle. Durante i secoli vi sono state delle tappe importanti per lo studio della meteorologia, basti pensare a Leonardo da Vinci che seppe liberare il pensiero scientifico dalle incongruenze delle superstizioni popolari; nel 1643 Evangelista Torricelli inventò il barometro, mentre è del 1648 la dimostrazione fatta da Pascal che la pressione atmosferica diminuisce con l’altitudine. Nel 1686 Edmund Halley divulgò la prima mappa dei venti alisei e fu il primo a fare il collegamento tra riscaldamento solare e movimento atmosferico globale. Con il seguire dei tempi, il miglioramento delle conoscenze scientifiche e degli strumenti di rilevamento permisero all’uomo di padroneggiare una conoscenza che gli ha cambiato sostanzialmente il modo di vivere. Ma nell’epoca super tecnologizzata dei computer, dei GPS e dei satelliti, credo che sia lecito ricordarsi di alcuni segni premonitori offerti dalla natura e accessibili a tutti, segni che fanno parte della vecchia saggezza e cultura popolare contadina che vengono da molto lontano e di cui possiamo fidarci . Andremo quindi ad osservare alcune delle caratteristiche con cui il mondo vegetale e animale ci avverte di un probabile cambiamento del tempo. Quando in una nostra escursione, anche in Pratomagno, incontriamo la Carlina acaulis che fiorisce fra luglio e settembre, è utile sapere che la pianta presenta una particolare caratteristica che la distingue dalle altre pianticelle di montagna: la carlina annuncia con un certo anticipo un imminente cambiamento delle condizioni meteo. Quando cambia il tempo in peggio, le foglie disposte a rosetta sul terreno si addirizzano incurvandosi verso l’interno a cappuccio per proteggere i deboli fiori che tutti insieme formano il grande fiore centrale. Dalle genti di montagna la carlina è stata assimilata a un barometro naturale, perché mantiene le proprietà anche da secca. Inoltre è stata da sempre considerata una pianta officinale: il suo nome sembra derivi da Carlo Magno che, ferito da una freccia, si dice sia stato guarito proprio con un unguento a base di carlina; recenti studi hanno dimostrato che le radici di di questa pianta contengono piccole dosi di una sostanza ad azione antibiotica. Il Taraxacum officinale, dente di leone o soffione, è forse la pianta più comune presente ovunque, tranne che nei territori glaciali; questa pianta presenta la particolarità che i suoi fiori, di un bel colore giallo, che sbocciano nei prati nei mesi di maggio e giugno, si chiudono con il sopraggiungere della notte e appaiono chiusi e appassiti quando di giorno il cielo si rannuvola e minaccia la pioggia. La stessa cosa succede con la barba di becco, Tragopon pratensis, che può raggiungere i 50-80 cm di altezza, i cui fiori si chiudono sia nelle ore più calde della giornata durante il solleone, sia con un tempo nuvoloso che minaccia pioggia. Una bella indicazione la può dare il trifoglio, sia alpino che normale, in quanto per prevedere il tempo a breve scadenza basta osservarne una piantina: se lo stelo si presenta ritto e le foglioline ripiegate verso il basso, è segno certo di un imminente acquazzone. In alcune zone alpine, soprattutto in Val Badia e in Val di Fassa, ricordo benissimo che, soprattutto nelle case isolate in montagna, era abbastanza frequente vedere all’esterno delle abitazioni delle forcelle di legno ricavate (ho saputo poi) da un piccolo ramo di abete bianco. Sinceramente pensavo che fossero degli amuleti scaramantici contro il malocchio, come da noi si usa il ferro di cavallo, invece ho saputo che erano efficientissimi barometri naturali, in cui il rametto inferiore della forcella con il tempo umido tende verso l’alto e con il tempo asciutto tende ad abbassarsi. Questo strano barometro naturale è stato già trattato, nel numero 1 dell’anno 2000 di “Quel Mazzolin di Fiori”, in uno spassoso articolo intitolato Lo slittino, dal socio Eraldo Sammicheli il quale, durante una delle prime settimane bianche effettuate dalla nostra sezione, portava ogni mattina un gruppo di socie e soci che non sciavano a controllare, all’esterno di un museo di Moena, in quale posizione fosse il ramo della forcella indicatore del tempo: in base al risultato veniva programmata l’escursioni della giornata. Ma è anche osservando il comportamento di alcuni animali che potremmo avere delle informazioni sull’andamento del tempo. Gli animali selvatici e domestici percepiscono i lievi e impercettibili, per noi, mutamenti che precedono le variazioni climatiche. Lo stato di agitazione e irrequietezza del gatto che insiste in modo particolare nel lavarsi le orecchie è sinonimo validissimo di brutto tempo a breve scadenza. Anche le rondini e i rondoni quando volano radenti al terreno con guizzi e volteggi annunciano a breve un cambiamento in peggio del tempo: l’umidità della bassa pressione tende a comprimere verso il basso le prede naturali di cui vanno in cerca per nutrirsi. Negli alpeggi le mucche al pascolo, se il tempo a breve pioverà, tendono a mettersi in circolo, spesso distendendosi a terra; questo comportamento è comune anche alle pecore che si accostano le une alle altre formando una massa compatta. I lombrichi, in previsione di una imminente precipitazione, tendono a uscire dal terreno e in certe zone allora fanno la comparsa le salamandre che danno loro la caccia. E quando in montagna vediamo le poiane volteggiare insistentemente mandando i loro acuti richiami, significa che il tempo volge al brutto; mentre le cornacchie, al mutare in peggio delle condizioni atmosferiche, si raggruppano numerose fra le fronde di un grande albero e le formiche sono particolarmente attive per portare materiale a loro utile all’interno del loro covo. Una indicazione viene anche da mosche e zanzare che, quando il tempo si mette al piovoso, soprattutto la sera d’estate si fanno insistenti e aggressive… Queste sono solo alcune delle piccole osservazioni che chi ha vissuto a contatto e in armonia con la natura ha saputo imparare, verificare e trasmettere agli altri, sono naturalmente indicazioni di massima però importanti, perché basta tornare indietro di un secolo per capire che quello che oggi abbiamo a disposizione dal punto di vista tecnico, non lo avevano coloro che ci hanno preceduti. Vannetto Vannini Attività sezionale GIUGNO - SETTEMBRE 2013 Ogni martedì si svolgono escursioni infrasettimanali, solitamente di tipo E e sempre con mezzi propri, sul territorio regionale; il programma delle escursioni è visibile, aggiornato mese per mese, sul nostro sito nella sezione PROGRAMMA, in sede e presso le varie ProLoco. Si raccomanda a tutti gli interessati (soci e non soci) di contattare il referente della singola escursione (nome e recapito telefonico nella circolare) il pomeriggio del lunedì per avere conferma. domenica 2 giugno CASENTINO: Camaldoli: Via dei Tedeschi pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Mauro Borchi e Mauro Guelfi *** domenica 15 giugno CASENTINO: La Verna: Sentiero della Ghiacciaia BABY C.A.I. mezzi propri Accompagnatori sez.: Daniele Menabeni e Alessandro Romei *** da venerdì 21 a domenica 23 giugno VALDAOSTA: Courmayeur: Val Ferret (via alpinistica al bivacco Gervasutti) pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo EE / EEA Accompagnatori sez.: Franca Debolini e Gabriele Piccardi *** domenica 7 luglio CASENTINO: Anello di Montemignaio mezzi propri DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Guido Bartoli e Lorenzo Bigi *** da venerdì 12 a domenica 14 luglio VAL VENOSTA: Ghiacciaio della Palla Bianca pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo EE / EEA Accompagnatori sez.: Graziano Fattori e Gabriele Piccardi *** domenica 7 luglio CASENTINO: Badia Prataglia-Passo Fangacci trekking + bici pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Guido Bartoli e Mauro Borchi *** domenica 3 agosto VALDAMBRA: Rapale CAI sotto le stelle con gli ASTROFILI mezzi propri DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Mauro Brogi e Carlo Ciatti *** domenica 10 agosto MUGELLO: San Piero a Sieve NOTTURNA pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Attilio Canestri e Pier Luigi Ensoli *** da sabato 17 a sabato 24 agosto TRENTINO: Val di Sole SETTIMANA VERDE pullman DIFFICOLTA’: percorsi di tipo E/EE Accompagnatori sez.: Mario Bindi e Alessandro Romei *** sabato 7 e domenica 8 settembre FRIULI: Carnia Ferrata senza confini pullman DIFFICOLTA’: percorsi di tipo EE/EEA Accompagnatori sez.: Mario Bindi e Graziano Fattori *** domenica 15 settembre VALDARNO: Massa Sabbioni-San Martino-Caiano mezzi propri DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Francesca Failli e Romano Resti Le ricette di... DANIELA Eccomi qui con una ricettina interessante e adatta al periodo. Non so se ve ne siete accorti anche voi ma quest'anno le rose sono particolarmente belle e rigogliose ed è il momento giusto per fare la marmellata di petali di rosa. Scegliete petali di rose profumate e non trattate, preferibilmente di color rosso rosa e bianche, escludendo le gialle e arancioni perché compromettono il colore finale; sono adatti anche i petali di rosa canina selvatica. Ingredienti: marmellata di petali di rosa 250gr di petali di rosa 400gr di zucchero (anche di canna) 1 limone 250 ml di acqua Lavate i petali di rose e tritateli grossolanamente con la mezzaluna, metteteli in una ciotola con metà zucchero e succo di limone e lasciar macerare per un giorno. Sciogliete il restante zucchero nell'acqua bollente, aggiungere l'infuso di petali, portate ad ebollizione e cuocete a fiamma bassa per 30'. Il profumo invaderà tutta la vostra cucina. Quando la marmellata rimane attaccata al cucchiaino è pronta: invasatela a caldo in piccoli vasetti, chiudete e capovolgeteli. La marmellata di petali di rose è molto delicata e adatta per essere consumata con formaggi freschi e stagionati, sarà un abbinamente perfetto e sorprendente per allietare tutti i vostri sensi. Daniela Venturi Editore Mauro Brogi Direttore responsabile Redazione Lorenzo Bigi, Vannetto Vannini Matilde Paoli Collaboratori Daniele Menabeni, Vincenzo Monda