Dalla parte dei “traditori”
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Dalla parte dei “traditori”
1 Dalla parte dei “traditori” di Alfredi Guardiano Forse mai come in questi ultimi tempi fiction e letteratura si sono occupate di storie di spie ed, in particolare, di spie che negli anni Quaranta e Cinquanta del Secolo scorso agivano nell’interesse dell’Unione Sovietica. E’ arrivato nelle sale il film “Il ponte delle spie”, di Steven Spielberg, che narra la storia del processo al sedicente colonnello Rudolf Abel, agente segreto del KGB, il cui vero nome era Willy Fisher, condannato a numerosi anni di carcere negli Stati Uniti per spionaggio in favore dell’U.R.S.S., e del suo scambio con il pilota americano dell’areo-spia U-2, Gary Powers, catturato dai sovietici, ricostruita dall’avvocato difensore di “Abel”, James B. Donovan, nel libro “La verità sul caso Rudolf Abel”, pubblicato in contemporanea da Garzanti. Nel film il ruolo di “eroe” è conteso tra l’avvocato Donovan e lo stesso “Abel”, al quale vanno le simpatie del pubblico, per la dignità, venata di stoicismo, con cui viene rappresentato dal regista, nell’affrontare il processo, la condanna ed il ritorno a Mosca, dove potrebbe attenderlo la morte, per mano dei suoi capi, al punto da spingere l’avv. Donovan, nel tentativo di giustificarsi con la propria famiglia, per avere accettato di difendere un “traditore”, ad operare una netta distinzione tra il suo cliente ed i coniugi Rosenberg. Per Donovan, Abel non è un traditore, perché ha servito il suo Paese, seppure violando la legge americana; i coniugi Rosenberg, accusati di avere passato ai Sovietici i segreti della bomba atomica, invece, lo sono perché, da americani, avevano tradito il loro Paese. Di conseguenza essi meritavano di morire (come poi avvenne nel 1953) sulla sedia elettrica. Quasi nello stesso momento (ecco un caso salutare di concorrenza), Adelphi ha pubblicato l’opera di Kirill Chenkin, ex agente del KGB, attivo in Spagna durante la guerra civile (quando, giova ricordarlo, i reparti comunisti al servizio di Mosca si resero protagonisti di crimini atroci nella spietata eliminazione dei propri avversari politici), allievo ed amico di “FisherAbel”, che, oltre a fornire una serie di interessanti notizie (per chi ama il genere) sul funzionamento dei servizi segreti della Russia sovietica, propone una lettura della storia del suo mentore, collocandola all’interno di una feroce critica del regime comunista russo, come solo un innamorato tradito sa fare. Nell’ultima opera dei fratelli Cohen (l’unica vera voce in grado di raggiungere le vette della genialità del cinema americano contemporaneo) l’intero film ruota sul sequestro di una star del cinema (uno stralunato George Clooney), prelevato dal set mentre ancora indossa un costume romano, ad opera di una cellula comunista, formata da sceneggiatori e scrittori al servizio di Hollywood, riuniti intorno al filosofo francofortese Herbert Marcuse (da antologia il dialogo tra quest’ultimo e Clooney) e guidati da un insospettabile attore, che dietro una straordinaria leggerezza, cela la tempra del vero homo sovieticus. Sceneggiatore e comunista era anche Dalton Trumbo, alla cui vicenda è dedicato un altro bel film “L’ultima parola – La N. 2 - Marzo-Aprile 2016 2 Dalla parte delle spie e dei traditori di Alfredi Guardiano vera storia di Dalton Trumbo”, di Jay Roach. Trumbo fu una delle vittime del maccartismo. Avendo rifiutato di abiurare la sua fede politica e di rispondere alle domande della commissione che indagava sulle attività antiamericane, venne condannato ad un anno di carcere; perse il lavoro e fu costretto a scrivere sceneggiature sotto falso nome (il che non gli impedì di vincere due Oscar, che, ovviamente, non ritirò), fino a quando, molti anni dopo non venne completamente riabilitato, scrollandosi definitivamente di dosso l’etichetta di “traditore”. Storie come quelle di “Fisher”, di Trumbo, di Chenkin e di molti altri, ci spingono ad interrogarci sulla natura del tradimento, che si consuma nel recinto dei grandi ideali politici Come direbbe Iosif Brodskij, alla base del tradimento, è possibile scorgere l’amore, che lo mette in moto, con la sua forza irresistibile. Si badi, il premio Nobel per la letteratura non si riferiva al tradimento sentimentale, ma al tradimento politico, in “Cimelio” vigorosa invettiva, (contenuta nel volume “Profilo di Clio, in cui si parla anche del “colonnello Abel” e di Chenkin), contro la decisione dell’Unione Sovietica di emettere un francobollo commemorativo della grande spia “Kim” Philby, che, reclutato negli anni Trenta del Secolo scorso, per poco non divenne il capo del controspionaggio inglese, prima di rifugiarsi in Unione Sovietica, quando ormai stava per essere definitivamente scoperto. Per Brodskij, Philby è l’esempio paradigmatico del traditore, non solo perché egli ha sempre operato nell’esclusivo interesse del KGB, cui ha passato informazioni di vitale importanza, tradendo il suo paese di origine, ma anche perché ha tradito la sua stessa classe sociale (Philby, formatosi nelle migliori public schools del Paese, era un tipico esempio dell’aristocrazia culturale inglese,) e, soprattutto, pur avendone tutti i mezzi intellettuali, non ha compreso, ed anzi, ha creduto per tutta la sua vita, a quella che lo scrittore russo, sin dal compimento del suo sedicesimo anno di età, aveva, invece, percepito come “la spazzatura più immonda” che potesse esserci. E, tuttavia, lo stesso Brodskij è costretto a riconoscere la dimensione “ideale” del tradimento di Philby, quel suo essere ancorato alla “fissazione rousseauiana” della possibilità di creare una società giusta, che egli ricollega al diritto di ogni generazione di immaginare una propria utopia, di cui, tuttavia, non si può abusare, coltivandone in eterno l’illusione, pur finendo con l’ammettere che senza quel “traditore”, ciascuno di noi sarebbe soltanto un “numero nell’inferno delle N. 2 - Marzo-Aprile 2016 3 Dalla parte delle spie e dei traditori di Alfredi Guardiano schede erariali”, in un mondo in cui non ha più senso spiare (e, quindi, tradire), perché “c’è ben poco su cui puntare per l’avvenire, se si esclude”, caro lettore, “il tuo conto bancario”. Se, dunque, tradire significa “venir meno ai doveri più sacri e naturali verso qualcuno” (come recita la relativa voce del dizionario enciclopedico Rizzoli-Larousse), possiamo concludere che Fisher, Philby, Trumbo e lo stesso Chenkin (quest’ultimo, dopo la repressione della “Primavera” praghese, decise di abbandonare l’Unione Sovietica, accusando il Partico comunista di avere “tradito” gli ideali socialisti in cui pure egli aveva creduto) traditori non furono. Ciò non significa che alcuni di loro non abbiano violato leggi, da cui sono derivate gravissime conseguenze, per le quali era giusto condannarli e punirli, secondo le regole del Diritto, all’epoca vigenti (ciò vale per Fisher e, soprattutto, per Philby, le cui rivelazioni condussero all’eliminazione di numerosi agenti dello spionaggio occidentale; non per Trumbo la cui condanna, pur formalmente valida, era in contrasto con gli stessi principi di libertà affermati nella Costituzione americana). Ma che il loro “tradimento” era eticamente fondato su di un atto di amore per i propri ideali di giustizia, per la loro personale utopia, che consente di annullare il disprezzo morale associato alla parola ”traditore”, sin dalla notte dei tempi. Quello stesso amore per la Giustizia e la Verità che sembra animare le “spie” dei nostri giorni, come Edward Snowden e Julian Assange, su cui si sofferma in un bellissimo reportage Arundhati Roy, in uno degli ultimi numeri dell’Internazionale, o i soldati dell’organizzazione “Breaking the silence”, che hanno reso di dominio pubblico le loro storie sulla presenza dell’esercito israeliano nei Territori occupati, riportate nel recente libro “La nostra cruda logica”. Si tratta di esperienze che smentiscono la profezia di Brodskij. Ma lo scrittore russo non ha avuto il tempo di realizzare che la fine dell’Unione Sovietica non ha coinciso con la fine della Storia, prepotentemente riemersa, su di un versante, quello religioso, da tutti sottovalutato, e che, per converso, proprio la marcia apparentemente inarrestabile del fondamentalismo liberista, ha ridato nuovo vigore al desiderio, che “fissazione” non è, ma inestirpabile aspirazione dell’animo umano, di una società più giusta. Difficile trovare in Italia, oggi, “traditori” di questo tipo, ché il costume italico ci presenta, in gran quantità, piuttosto, opportunisti, pronti a cambiare casacca, per soccorrere il vincitore di turno. Offensivo sarebbe chiamarli “traditori”, perché essi animati da null’altro interesse che il proprio tornaconto personale, non hanno nessun superiore ideale in nome del quale “tradire” o da tradire. Il tradimento, infatti, quello vero, quello per il quale nessuna giustificazione etica è possibile, è il tradimento delle proprie radici; del proprio codice genetico culturale e politico; della mancata promessa delle speranze alimentate; un tradimento del tipo di quello che spinse Kirill Chenkin ad abbandonare la sua Patria. Non vorrei che molti di noi fossero costretti a fare, metaforicamente, si intende, la stessa scelta di abbandonare la propria Patria politica. Alfredo Guardiano N. 2 - Marzo-Aprile 2016