luglio / agosto 2013

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luglio / agosto 2013
FITP - Sede legale: Box 001 Centro Uffici (T) Viale Ammiraglio Del Bono, 20 - 00122 Roma
Segreteria del Presidente nazionale: Via San Nicola, 12 - 71013 - S. Giovanni Rotondo - Tel. e fax 0882 441108
n. 4
ANNO XV
luglio / agosto 2013
ITALIA E REGIONI
Isola di Capo Rizzuto
13/15 settembre
E il “Bel Paese” accoglie
i colori di tutto il mondo
www.fitp.org
Federazione
Italiana
Tradizioni
Popolari
Consulta
Scientifica
PRESIDENTE
Mario Atzori
VICEPRESIDENTE
Patrizia Resta
COMPONENTI
Leonardo Alario
Gian Luigi Bravo
Pino Gala
Ignazio Macchiarella
Vincenzo Spera
Consiglio
Nazionale
SEGRETERIA
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Cdp Service - San Severo (FG)
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MARCHE
Mario Borroni
MOLISE
PIEMONTE
FRIULI VENEZIA
GIULIA
Giampiero Crismani
PUGLIA
LAZIO
Ivo Di Matteo
Antonio Giuliani
Bernardo Beisso
Fedele Zurlo
Nino Agostino
SARDEGNA
Vittorio Fois
Mario Pau
Luigi Usai
Daniel Meloni
COORDINATORE
NAZIONALE
SICILIA
Maria L. De Dominicis
Antonella Castagna
Santo Gitto
Consiglieri
TOSCANA
ABRUZZO
Maria L. De Dominicis
BASILICATA
Pasquale Casaletto
CALABRIA
Carmine Gentile
Maria Teresa Portella
CAMPANIA
Fabio Del Mastro
Leonardo Bianco
EMILIA ROMAGNA
Sauro Casali
FRIULI VENEZIA
GIULIA
Mario Srebotuyak
LAZIO
Giuseppe d’Alessandro
LIGURIA
Luciano Della Costa
LOMBARDIA
Luigi Sara
Giovanni Bossetti
EMILIA ROMAGNA
Sauro Casali
(commissario)
Marco Fini
TRENTINO
ALTO ADIGE
Attilio Gasperotti
UMBRIA
Francesco Pilotti
Valle d’Aosta
Susi Lillaz
VENETO
Gianni Marini
Presidenti
Comitati Regionali
ABRUZZO
Fidio Bianchi
BASILICATA
Pietro Basile
CALABRIA
Michele Putrino
CAMPANIA
Francesco Coccaro
LIGURIA
Milena Medicina
LOMBARDIA
Fabrizio Nicola
MARCHE
Pamela Trisciani
MOLISE
Michele Castrilli
PIEMONTE
Andrea Flamini
PUGLIA
Tommaso Russo
SARDEGNA
Giommaria Garau
SICILIA
Alfio Russo
TOSCANA
Francesco Castelli
TRENTINO
ALTO ADIGE
Attilio Gasperotti
UMBRIA
Floriano Zangarelli
Valle d’Aosta
Susi Lillaz
(commissario
straordinario)
VENETO
Adriano Bissoli
IL FOLKLORE D’ITALIA
6
Italia e Regioni
Isola di Capo Rizzuto ospita la 32^ edizione
del Raduno nazionale targato Fitp
I pellegrinaggi
e la tradizione
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IL FOLKLORE D’ITALIA
Bimestrale d‘informazione
Anno XV n. 4 - LUGLIO / AGOSTO 2013
Registrazione al Tribunale di Foggia n. 9
dell’8 aprile 2008
DIRETTORE RESPONSABILE
Benito Ripoli
COORDINAMENTO RED.LE
Antonio d’Amico
Leo Conenno
Elvira La Porta
Rita Laguercia
FOTOGRAFIE
Ilaria Fioravanti
PROGETTO GRAFICO
Sinkronia studio
“Viaggio” al Santauario di Novi Velia
nel cuore della Campania
STAMPA
Grafiche Lucarelli - Ariano Irpino
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FEDERAZIONE ITALIANA
TRADIZIONI POPOLARI
PRESIDENTE NAZIONALE
Benito Ripoli
VICE PRESIDENTI
Nino Indaimo, Luigi Scalas
Gli “Zanni” e la ricerca
Quando un gruppo diventa
testimone della propria cultura
L’esperienza
dei “Naxos”
24
Canti e balli del passato approdano
sui banchi di scuola
26
n. 04 / 2013
ASSESSORI EFFETTIVI
Donatella Bastari, Gerardo Bonifati
Fabrizio Cattaneo, Enzo Cocca
Fabio Filippi, Gesualdo Pierangeli
ASSESSORI SUPPLENTI
Giuliano Ierardi, Renata Soravito
SEGRETARIO GENERALE
Franco Megna
VICE SEGRETARIO GENERALE
Giancarlo Castagna
TESORIERE
Tobia Rinaldo
VICE TESORIERE
Fabrizio Nicola
COLLEGIO SINDACI REVISORI
Francesco Fedele (presidente)
Giovanni Soro (vicepresidente)
Ancilla Cornali (membro effettivo)
Giampiero Cannas (membro supplente)
Francesco De Meo (membro supplente)
COLLEGIO PROBIVIRI
Gavino Fadda (membro effettivo)
Franco Folzi (membro effettivo)
Dionigi Garofoli (membro effettivo)
Sauro Casali (membro supplente)
Pietro Prencipe (membro supplente)
La Carovana
del Folklore
COMITATO D’ONORE FITP
Past President
Lillo Alessandro
Attraverso l’Europa per diffondere
e promuovere suoni e colori
Presidente Onorario
Luciano Della Costa
Comitato Dei Saggi
Luciano Della Costa
Aldo Secomandi
www.fitp.org
Staff del Presidente
Bruno Bordoni, Mario Borroni, Monica Castrilli,
Francesca Grella, Ivo Polo, Concetta Masciale
Cerimoniere
Michele Putrino
3
editoriale
Sempre più
affamati di cultura vera
Senza conoscenza
non c’è libertà
e senza libertà
non c’è democrazia
4
di Benito Ripoli
Presidente nazionale Fitp
«Sempre più affamati di Cultura.
Investire in Cultura è strategico per
il futuro di tutti noi, anche perché,
senza conoscenza non c’è libertà
e senza libertà non c’è democrazia». E’ con queste parole che ho
salutato la platea al momento della
mia rielezione, per acclamazione,
nell’aprile dello scorso anno. Dopo
il primo quadriennio dedicato alla
riorganizzazione della Federazione, mi sono prefisso, con l’imprescindibile apporto dei miei colleghi
di Giunta, del segretario generale,
del tesoriere e di tutti i dirigenti
nazionali, di rinverdire e rinvigorire gli interessi della famiglia Fitp
verso l’informazione, la conoscenza, il sapere e la cultura, che sottendono la nostra collettività nella
vita quotidiana. Viviamo in una
società complessa in cui, spesso,
la differenza è data dalla capacità e dalla possibilità di accesso ai
saperi. “Solo l’uomo colto è libero”
(Epitteto).
La Cultura, cenerentola di bilanci,
vittima predestinata di rigorose
ghigliottine governative, è invece
ciò che dà ad una società ed alla
sua collettività, la possibilità di
sperare e l’energia per continuare
a voler far parte di quella fantastica
e concreta astrazione che si chiama “umanità”. Ci sarà certamente
qualcuno che, in linea mentale con
il ministro d’infelice memoria che
ebbe a dire che con la Cultura non
si mangia, sosterrà la tesi che si
debba pensare a ben altri problemi, ma per quello che ne so io, mi
pare, mai sia esistita un’epoca della
storia umana dove non sia prodotta e consumata qualche forma di
Cultura.
Ora se il fare e consumare Cultura
fosse questa inutile bizzarria, qualcuno sarebbe riuscito ad eliminar-
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
La copertina della “Prima Etnografia d’Italia”:
un lavoro editoriale per fornire
cultura scientifica al mondo delle tradizioni
la, obbligando noi poveri esseri
umani a lavorare a produrre merci
da consumare, senza mai avere la
possibilità di mettere in moto, la
nostra immaginazione o confrontarci con quella altrui. Mai è successo.
Anche nei momenti più bui abbiamo bisogno di andare a cercare
idee, gesti, suoni, immagini, che ci
consentano, nel modo più libero
possibile, di ricordare quanto meravigliose siano l’anima e la fantasia umana. Altrimenti, in un’epoca
dove, ora dopo ora, ci viene ricordato che tutto sta per andare a
rotoli, chi si sognerebbe mai di far
parte o di attivare un gruppo folklorico, chi di fare attività teatrale,
chi promuovere convegni e fare
ricerche.
“La Cultura è l’anticamera di ogni
perfezionamento intellettuale e spirituale dell’uomo” (H. Hesse).
La nostra fame di sapere e la nostra
curiosità, sono più forti del pessimismo dilagante. Per questo tagliare i fondi della Cultura, tentare
di mettere montagne di spazzatura
accanto a monumenti archeologici,
ridimensionare l’attività museale, lirica e teatrale, affamare, anzi
non considerare, la importante e
imprescindibile attività dei gruppi
folklorici, non solo è gravissimo
ma è anche controproducente da
un punto di vista strettamente economico.
E’ provato che società culturalmente soddisfatte spendono anche
di più in campi non culturali. Sentirsi bene dentro ci porta anche a
volerci sentire bene fuori, a desiderare città più belle ed ordinate, a
vestirsi meglio, a mangiare meglio.
Investire nell’ignoranza, riducendo gli investimenti nella Cultura e
nell’educazione, che poi sono due
sorelle siamesi inseparabili se non
facendone morire una delle due,
significa generare malessere, violenza, prevaricazione e cinismo.
Nell’economia globalizzata, se non
s’investe sui saperi, si finirà per
trovarsi a competere nella fascia
bassa del mercato, con Paesi che
hanno economie del lavoro meno
garantite del nostro. La sfida, allora, potrà essere vinta solo se si
sapranno tenere insieme saperi,
conoscenze, innovazione sociale,
tecnologica e ricerca. Ogni Ente,
nazionale, regionale e comunale,
deve sforzarsi di considerare strategico l’investimento sui giovani e
adoperarsi, seppure nella scarsità
di risorse a disposizione, a far si
che nessun talento venga sprecato
e che nessuno rinunci a studiare
per mancanza di mezzi.
Amici politici, potenziare l’insegnamento delle materie umanistiche, stimolate con borse di studio
(come sta facendo la Fitp) la ricerca, l’apprendimento e la conoscenza delle tradizioni della propria
terra, non significa buttar via soldi,
in un momento in cui ce ne sono
pochi, ma far funzionare meglio
quelli che ci sono.
E’ un investimento che si deve fare,
perché può contribuire, in modo
profondo, all’innalzamento del
senso civico, alla coesione sociale e
al benessere di tutti i cittadini.
“L’uomo vive pienamente la sua
umanità grazie alla Cultura” (Giovanni Paolo II).
Forse la Cultura non si mangerà
ma i dati dimostrano che la fame
di cultura aumenta (vero professori della Consulta?). Ignorarla
potrebbe provocare una carestia
e le carestie sono, sempre, terribi-
li e funeste per qualsiasi governo.
C’è quindi da investire ancora sulle
persone, sui giovani, perché questi non diventino fonte di nuove
discriminazioni e disuguaglianze.
Indicare e dare l’esempio, significa investire in civiltà: investire in
Cultura è strategico per il futuro di
tutti .
Il mio desiderio non è semplicemente quello di volersi distrarre
per dimenticare crisi, bollette e
tasse, quanto conoscere, riflettere,
pensare, guardare e, perché no, anche sognare.
“Anche con i sogni si può essere liberi” (F. Schiller).
www.fitp.org
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italia e regioni
Un’isola
di cultura
calabrese
Tre giorni per conoscere
uno degli angoli più belli d’Italia
di Leo Conenno
Redazione Fitp
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ISOLA DI CAPO RIZZUTO (Crotone) - Un’imperdibile occasione per
immergersi nelle tradizioni e nei
paesaggi della Calabria, terra pregna
di cultura. Un appuntamento di quelli da non mancare. Per l’attesa che
ormai circonda l’evento, giunto alla
32.ma edizione, sempre sentito nel
mondo della Fitp e delle tradizioni
popolari. Quest’anno “Italia e Regioni”, il Raduno nazionale dei gruppi
folklorici affiliati alla Federazione
italiana tradizioni popolari, approda
in Calabria, precisamente a Isola di
Capo Rizzuto. Dal 13 al 15 settembre
saranno tanti i motivi che calamiteranno l’attenzione degli addetti ai
lavori e della ridente località turistica in provincia di Crotone. La “carovana” della Federazione presieduta
da Benito Ripoli fa tappa in Calabria.
Una vetrina di quelle speciali. Un angolo del Mezzogiorno dove il folklore
batte a ritmo del tamburello, della
chitarra battente, dell’organetto, della zampogna, dei “fischietti” (doppi
flauti), della “lira calabrese” (cordofono ad arco costituito da un unico
blocco di legno scavato a forma di
pera a bottiglia) e balla la tarantella.
Tante premesse importanti.
«La Calabria – commenta Benito Ripoli, presidente nazionale della Fitp
– è per noi uno scrigno indescrivibile,
da cui attingere momenti esaltanti di
cultura popolare, che gli organizzatori locali sapranno arricchire ancor di
più con “Italia e Regioni”. Una richiesta che ci perveniva da anni e che ora
siamo contenti di poter realizzare».
Isola di Capo Rizzuto per tre giorni
aprirà le porte al folklore nazionale. Una scelta già effettuata in occasione della precedente edizione di
“Italia e Regioni”, svoltasi a Chianciano Terme (Siena). Manifestazione
portata nel Crotonese da Carmine
Gentile, consigliere nazionale della Fitp, presente in terra Toscana
e tra gli organizzatori dell’appuntamento 2013. Il neo sindaco di
Isola di Capo Rizzuto, Gianluca
Bruno, ha da subito manifestato entusiasmo e sostegno all’evento, anche e soprattutto in termini di servizi.
Il Raduno dei gruppi folklorici affiliati alla Fitp arricchirà l’estate isolitana.
Che pullula di eventi. “Italia e Regioni” sarà un importante veicolo
promozionale per tutto il territorio.
Ampio il programma della manifestazione. Tanti gli ingredienti. Isola
di Capo Rizzuto e l’intera Calabria
daranno il benvenuto al folklore nazionale. Una terra ospitale che ha
sempre accolto con grande slancio
ogni iniziativa targata Fitp.
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
ITALIA E REGIONI
32ª edizione | Isola di Capo Rizzuto (Crotone)
13-14-15 SETTEMBRE 2013
Venerdì 13 SETTEMBRE
Ore 20.00 - Località “Le Castella” – Castello Aragonese
Esposizione Artigianato Calabrese
Ore 21.00 - Località “Le Castella” - Castello Aragonese
Cerimonia di inaugurazione “Italia e Regioni 2013”
Ore 21.30 - Località “Le Castella” – Castello Aragonese
Gala del Folklore Italiano. Spettacolo prima serata
Sabato 14 SETTEMBRE
Ore 9.30 - Impianti sportivi Villaggio turistico “S. Antonio”
I Giochi della Tradizione Popolare
Ore 11.00 - Bordo piscina Villaggio turistico “S. Antonio”
Gastronomie a confronto “Italia in Piazza con i Cuochi”
Ore 13.00 - Seguirà la degustazione delle pietanze regionali
da parte della commissione di esperti che assegnerà il premio
e da parte dei dirigenti della Fitp.
Ore 16.00 - Teatro del Santuario “Madonna Greca” di Capo Rizzuto
Spettacolo-Laboratorio. Tema “Narrare in scena: Leggende, fiabe,
favole e racconti della tradizione popolare”
Ore 20.00 - Giardini comunali di Capo Rizzuto
Esposizione Artigianato Calabrese
Ore 21.30 - Piazza del Popolo Isola di Capo Rizzuto
Gala del Folklore Italiano. Spettacolo seconda serata
Ore 00.30 - Discoteca Villaggio turistico “S. Antonio”
Festa dell’Amicizia
Domenica 15 settembre
Ore 10.45 - Santuario “Madonna Greca”
Santa Messa
Ore 12.00 - Piazza Santuario “Madonna Greca”
Premiazioni, scambio doni e saluti
italia e regioni
Mare, sol
Benvenuti a Is
8
La Rassegna “Italia e Regioni”, oltre
ad essere un importante appuntamento artistico e culturale e di
notevole promozione turistica, ha
grande significato se viene valorizzata nel quadro di una politica di
legami di amicizia tra le diverse regioni italiane, nel superamento di
barriere storiche, politiche
ed economiche che, purtroppo, ancora ci dividono.
Per la Calabria l’occasione
è importante e può essere uno stimolo per approfondire la nostra identità
popolare, per ricostruirvi
il nostro passato, studiare
la nostra nobile storia e far
comprendere un messaggio
di una volontà effettiva di
cooperazione e sviluppo.
Gli spettacoli e le iniziative
che verranno offerti, saranno, sicuramente, una grande
festa: una festa degli occhi e
del cuore, una festa di arte e
cultura. Noi ci auguriamo che tutta
le delegazioni regionali presenti,
possano ricordare, con affetto, la
nostra Calabria e, in particolare,
la città di Isola di Capo Rizzuto, diventando “ambasciatori”, in Italia,
delle bellezze e dell’ospitalità della
nostra terra.
Inoltre, l’evento, con la presenza di
tanti gruppi folklorici italiani e di
eminenti professori e studiosi di
diverse Università, si pone l’obiettivo di favorire azioni di comunicazione sulle tematiche relative
alla conoscenza, soprattutto per le
giovani generazioni, di una produzione che caratterizza i patrimoni
culturali regionali provenienti dalla tradizione orale.
Carmine Gentile
Presidente G. F. “Isola dei Dioscuri”
Consigliere nazionale Fitp
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
le e folklore
sola di Capo Rizzuto
Mare, sole e folklore. Cultura e tradizione. Isola di Capo Rizzuto è un
centro turistico di rilievo, situato a
circa 20 chilometri da Crotone, sulla
costa jonica della Calabria. La denominazione Isola non è da confondere col sito naturale isola, piuttosto
si tratta della volgarizzazione del
temine asylos (protezione, riparo)
come era chiamato questo sito. La
prima citazione della città di Isola la
troviamo al secolo nono nell’elenco
delle sedi vescovili di rito greco e subalterni a Costantinopoli.
Non è un’isola, bensì un lungo promontorio.
L’area marina di Capo Rizzuto è una
delle aree protette più affascinanti
di tutto il Mediterraneo, la cui bellezza è di rivelazione immediata:
l’occhio distingue dapprima i toni
autentici e cangianti del cielo e del
mare, quindi gli scogli, l’argilla, la
sabbia da cui sembrano esalare i
profumi di un tempo e i significati
del passato. La costa, che alterna
tratti rocciosi a belle spiagge, offre
nella frazione marina di Le Castella
una delle sue immagini più scenografiche: un isolotto a breve distanza dalla riva, occupato da un Castello
Aragonese diroccato, che rimanda
ai tempi delle scorrerie dei pirati
saraceni. La zona è rinomata per la
produzione vinicola, sullo sfondo
delle produzioni agroalimentari del
marchesato crotonese, soprattutto
olio d’oliva, salumi e formaggi. Da
Capo Colonna a Le Castella, si sviluppa per circa 40 chilometri la riserva marina di Capo Rizzuto, che
tutela un tratto di costa affascinante nella parte emersa, spettacolare
per varietà e ricchezza di fondali.
Emerge lo sviluppo turistico con la
preziosità del suo mare, delle sue
coste, della riserva marina e quindi tanti complessi turistici anche
di livello internazionale. Isola di
Capo Rizzuto è ricca di tradizioni.
Da visitare Le Castella, la Fortezza,
l’Area marina protetta, il Duomo
di Santa Maria Assunta, la Torre di
Capo Rizzuto (o Torre vecchia), il
Santuario della Madonna greca e
varie chiese.
Rinomata località di villeggiatura,
frequentata tutto l’anno e dotata di
ottime strutture ricettive e ricreative, Isola di Capo Rizzuto basa la
sua economia sul turismo e sulle
attività a esso connesse. Completano il quadro economico l’agricoltura, che produce soprattutto
cereali, olive, ortaggi, barbabietole
da zucchero, peperoncino e uva da
vino, l’allevamento e la pesca. Non
mancano le specialità culinarie.
Il territorio di Isola di Capo Rizzuto è un luogo turistico di particolare pregio, per il grande
patrimonio artistico, storico,
culturale ed enogastronomico.
Lasciati emozionare dalle bellezze naturali, pittoresche,
raffigurate come l’arcobaleno
dei colori; il blu del mare che
assorbe i meravigliosi raggi di
un caldo sole, il verde che circonda la costa, le colline e le
pianure che si appropriano dei
colori naturali della terra, la
spiaggia di color rosso ed dalle
dune finissime, sono tutti toni
che caratterizzano questa meravigliosa terra, in un quadro
da esporre e conservare.
Benvenuti nella nostra terra!
E’ l’augurio che rivolgiamo ad
ogni turista che viene a visitarci e a trascorre le vacanze in
un luogo affascinante e accogliente, garantendo un offerta
turistica eterogenea, aperta
tutta l’anno. Un angolo turistico di grande valore, il fiore
all’occhiello del turismo della
provincia di Crotone, dove la
natura è tanto ardita da suscitare la curiosità e la scoperta di
luoghi vari e unici.
Gianluca Bruno
Sindaco Isola di Capo Rizzuto
www.fitp.org
9
italia e regioni
Aspettando
Isola di Capo Rizzuto
10
Scalda i motori la 32.ma edizione
di “Italia e Regioni”, in programma
a Isola di Capo Rizzuto (Crotone)
dal 13 al 15 settembre. Nella ridente località turistica calabrese fervono i preparativi. Il “count down” sta
scandendo gli ultimi colpi. Anche il
mondo della Federazione italiana
tradizioni popolari si sta preparando per il Raduno nazionale dei
gruppi folklorici ad essa affiliati. La
storica manifestazione della Fitp
sbarca in Calabria, che riceve il
“testimone” dalla Toscana. L’anno
scorso “Italia e Regioni” ha fatto
tappa a Chianciano Terme (Siena).
Nella “città della salute” sono stati
27 i sodalizi protagonisti della “tre
giorni” all’insegna delle tradizioni
popolari, tra canti, balli, colori e
suoni, espressioni di tutta l’Italia.
Senza dimenticare la ricerca (cin-
que i gruppi che hanno preso parte
allo Spettacolo-Laboratorio), i sapori e i giochi di una volta. Dodici
le regioni rappresentate: Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo,
Marche, Lazio, Toscana e Liguria.
La Fitp ha portato il folklore ita-
liano nella terra delle terme. Due
giorni dedicati alle esibizioni. Due
giorni anche tra pentole e mestoli:
ben diciassette le pietanze presentate a “Italia in piazza con i cuochi”
(trionfo del Gruppo folklorico “Triskélion” di Roccalumera, in provincia di Messina, con “U Cannolu ca
ricotta”). La Puglia si è aggiudicata
il Campionato nazionale dei giochi popolari (da quest’anno con la
nuova denominazione I giochi della tradizione popolare).
“Italia e Regioni” propone anche
la partita della Nazionale di calcio
Fitp. In Toscana è andata in scena
la sfida con i politici e bancari locali: 3-3, tutti felici e contenti. L’ultimo giorno, la domenica, è stato
dedicato, come sempre, alla messa
e alla parata. Quindi le premiazioni
e lo scambio dei doni. E ora l’appuntamento 2013 a Isola di Capo
Rizzuto.
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
Spettacolo-Labora
torio
Narrare in scena:
leggende, fiabe, favo
le e racconti
della tradizione popo
lare
Questo è il tema che i gr
uppi dovranno preparar
e per la 32.ma edizione di “Italia e Region
i” in programma ad Is
ola di Capo Rizzuto
(Crotone) dal 13 al 15
settembre.
I gruppi sono invitati a
partecipare, mettendo
in scena, nell’arco di
15 minuti, la trama e i
contenuti di leggende,
�iabe, favole e racconti
che caratterizzano le pr
oprie zone e regioni. Ai
partecipanti verrà
rilasciato uno speciale
diploma di merito; ai
soci che assisteranno
e parteciperanno all’im
portante momento dida
ttico-formativo, durante il quale ci sarann
o dibattiti e adeguate di
scussioni, verrà dato
un attestato di frequenz
a.
Una fonte da cui trarre
le leggende, le �iabe, le
favole e i raccolti
da mettere in scena è il
DVD allegato al volum
e “Prima Etnogra�ia
d’Italia”, curato dal pr
of. Gian Luigi Bravo e
consegnato a ciascun
presidente che ha partec
ipato all’Assemblea della
Federazione tenutasi a San Giovanni Roto
ndo lo scorso maggio.
Nel DVD sono raccolte
le tradizioni popolari do
cumentate nelle due
riviste “Archivio per lo
studio delle tradizioni
popolari”, pubblicato
dal 1882 �ino al 1909 da
Giuseppe Pitrè e Salvat
ore Salomone Marino, e “Rivista delle trad
izioni popolari italiane
”, curata da Angelo De
Gubernatis dal 1893 al
1895; ad entrambe le
pubblicazioni hanno
collaborato i più impo
rtanti studiosi di etnogr
a�ia del tempo, trascrivendo le tradizioni
popolari delle diverse
regioni e cosi consentendo oggi di veri�icare
quali sono stati i proces
si di trasformazione
e di rifunzionalizzazion
e di quelle tradizioni.
www.fitp.org
11
Spett.le F. I. T. P.
Presidente Benito Ripoli
Via San Nicola, 12
71013 San Giovanni Rotondo (FG)
E-mail:[email protected]
Oggetto:
e, p. c. ai componenti della Giunta F.I.T.P.
Donatella Bastari
E-mail: [email protected]
Gesualdo Pierangeli
E-mail: gesualdo.pierangeli@�itp.org
Adesione Manifestazione “ ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI” 2013
MODULO
DI ADESIONE
Il sottoscritto _______________________________________________________________________________________________________________________
presidente del Gruppo Folklorico/Associazione ________________________________________________________________________________
residente nel Comune di _______________________________________ CAP _____________________________________________________________
Provincia_____________________________________________________________________Regione______________________________________________
tel. __________________________________________fax______________________________________ cell.__________________________________________
CHIEDE
di partecipare alla manifestazione “ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI” 2013 con un proprio concorrente:
NOME _________________________________________________ COGNOME _____________________________________________________________
Via _____________________N___________________ CAP __________________Comune______________________________ Prov __________________
alle seguenti condizioni:
1. Accettazione del regolamento generale, pena l’esclusione o l’annullamento della prova anche nel caso di
parziale inadempienza.
2. Preparazione e offerta gratuita della pietanza tipica proposta (7 porzioni), in quantità adeguata, per una
giusta prova di assaggio da parte dei componenti la giuria, accompagnata da un vino tipico locale o regionale.
3. Partecipazione, con a proprio carico la fornitura dei prodotti tipici e delle attrezzature necessarie per lo
svolgimento della prova (tovagliato tipico, piano di lavoro in legno, contenitori tradizionali per la cucina: pentole,
piatti posate e quant’altro possibile per una presentazione degli ingredienti il più possibile fedele alla tradizione).
4. L’organizzazione provvederà alla sola fornitura di tavoli e fornelli alimentati da corrente elettrica.
Presa conoscenza del Regolamento il sottoscritto autorizza gli organizzatori, ai sensi del D.Lgs 196/2003, ad utilizzare i
dati forniti per ogni tipo di diffusione, anche a mezzo stampa e TV, al �ine di promuovere e pubblicizzare la manifestazione
in oggetto.
Luogo e data _________________________
Firma leggibile _______________________________________________________
GRUPPO FOLK ____________________________________________________________________________________________________________________
MODULO
RICETTA
Città _________________________ Provincia _________________________________ Regione _______________________________________________
Nome della pietanza: ______________________________________________________________________________________________________________
COMPOSIZIONE DEL PIATTO: (ricetta e caratteristiche dei prodotti)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
INGREDIENTI: (Fare le dovute speci�iche: per la pasta / per la salsa…)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
PROCEDIMENTO: (descrizione delle fasi di cottura e della composizione del piatto)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
RICETTA IN DIALETTO: (elencare gli ingredienti)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
PROVENIENZA TERRITORIALE, TRADIZIONE E CONSUETUDINI: (brevi notizie sulle sue origini e sugli usi alimentari
del contesto storico del piatto scelto)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
VINO CONSIGLIATO: (proprietà e cenni storici del vino)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
ITALIA E REGIONI 2013
Isola di Capo Rizzuto
“ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI”
REGOLAMENTO
La Federazione Italiana Tradizioni Popolari,
con le attività collaterali previste nel programma del raduno nazionale dei gruppi folkorici
“ITALIA E REGIONI”, promuove e organizza
anche una manifestazione gastronomica denominata “ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI”.
1. L’obiettivo è quello di realizzare un evento
in grado di riproporre e diffondere quanto più
possibile, in una fusione di usanze ed esperienze, le consuetudini dell’arte gastronomica
delle diverse regioni italiane, con un appuntamento tematico legato al ciclo stagionale delle
produzioni alimentari, alle attitudini agropastorali ed all’abilità delle massaie.
2. La partecipazione è riservata a tutti i gruppi
foklorici affiliati alla Fitp che, con apposita domanda di adesione, chiedono di partecipare al
concorso con un proprio concorrente, asperto
gastronomo, cuoco professionista o amatoriale, oppure giovane allievo di istituto alberghiero
regionale, in grado di proporre e preparare un
piatto tipico della cucina tradizionaledel proprio
territorio, in presenza di apposita giuria di esperti e liberi spettatori al momento presenti.
3. I partecipanti sono tenuti a preparare ed
offrire in omaggio alla giuria un piatto tipico
della propria tradizione, amalgamato dal vivo
con tutti i suoi ingredienti e accompagnato da
una descrizione verbale breve, che ne evidenzi l’originalità, la genuinità dei sistemi di confezione e le consuetudini storiche tramandate
nel tempo.
4. La giuria preposta alla degustazione dei
piatti in gara è designata dal comitato regionale Fitp della Regione che ospita la manifestazione e che si impegna a non presentare
propri candidati in gara; essa è composta da
un rappresentante di settore della Fitp, che
coordina i lavori e redige il verbale, da quattro
esperti e/o critici dell’arte gastronomica, da
un rappresentante degli Enti territoriali e da
un rappresentante di una associazione folklorica Fitp di tale Regione.
Ambientale
Presentazione del tavolo di lavoro per la esposizione degli ingredienti base da utilizzare, nel
rispetto della ricetta tradizionale e in correlazione ai prodotti tipici esistenti nel territorio e
non contaminati dalle sofisticazioni.
Tecnico
Compiutezza nella presentazione storica
del piatto per evidenziare pratiche e consuetudini cristallizzate nel tempo; genuinità dei modi di manipolare e amalgamare i
prodotti: qualità e abbondanza di materie
schiette e tipiche.
Qualitativo
Degustazione per la valutazione della qualità, freschezza e genuinità del prodotto, della
fragranza e coesione degli ingredienti nel
pieno rispetto della ricetta tradizionale.
5. Ogni componente della giuria formulerà
la propria valutazione attribuendo un punteggio da 0 a 10 per ciascuno dei suidicati
elementi: ambientale,tecnico e qualitativo
6. La graduatoria finale scaturisce dalla somma delle valutazioni espresse da ciascun
componente la giuria, per ogni concorrente,
regolarmente riportate e sottoscritte in apposita scheda.
Il presidente della Fitp
Benito Ripoli
ITALIA E REGIONI 2013
“ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI”
SCHEDA RISERVATA AI COMPONENTI DI GIURIA
COMPOSIZIONE DELLA GIURIA E CRITERI DI VALUTAZIONE
La giuria preposta alla degustazione dei piatti
in gara è designata dal comitato regionale Fitp
della Regione che ospita la manifestazione e
che si impegna a non presentare propri candidati in gara; essa è composta da un rappresentante di settore della Fitp, che coordina i lavori
e redige il verbale, da quattro esperti e/o critici
dell’arte gastronomica, da un rappresentante
degli Enti territoriali e da un rappresentante
di una Associazione folklorica Fitp di tale Regione.
Per ogni concorrente la giuria farà propria
una valutazione che viene espressa con un
punteggio variabile da 0 a 10 riferito a ciascun
dei seguenti aspetti:
Ambientale
Presentazione del tavolo di lavoro per la
esposizione degli ingredienti base da utilizzare, nel rispetto della ricetta tradizionale e in
correlazione ai prodotti tipici esistenti nel ter-
ritorio e non contaminati dalle sofisticazioni.
PUNTI n.
Tecnico
Compiutezza nella presentazione storica del
piatto per evidenziare pratiche e consuetudini
cristallizzate nel tempo; genuinità dei modi di
manipolare e amalgamare i prodotti: qualità e
abbondanza di materie schiette e tipiche.
PUNTI n.
Qualitativo
Degustazione per la valutazione della qualità,
freschezza e genuinità del prodotto, della fragranza e coesione degli ingredienti nel pieno
rispetto della ricetta tradizionale.
PUNTI n.
PER IL CONCORRENTE SIG.
DEL GRUPPO FOLKLORICO O ASSOCIAZIONE
LA VALUTAZIONE E’ DEI PUNTI
COMPONENTE DELLA GIURIA SIG.
FIRMA
www.fitp.org
la ricerca
Voci alte
Tre giorni
a Premana
Canto “selvaggio” del profondo Nord
di Renato Morelli
Etnomusicologo
e Antropologo Visuale
14
Quando si parla di “canto popolare
alpino”, il pensiero corre spesso (e
quasi sempre ormai…) al mondo
dei cosiddetti “cori di montagna”,
nati all’inizio del Novecento sul
“modello Sat” (dei fratelli Pedrotti), definito da Massimo Mila il
“Conservatorio delle Alpi”. Indubbiamente questo movimento (con
innumerevoli e qualificati seguaci,
non solo nell’arco alpino) ha avuto
il merito di far conoscere al mondo
un repertorio di canti popolari di
montagna unico e “storico”, raffinato in seguito dalla collaborazione
con musicisti di straordinaria levatura (come Mascagni, Benedetti
Michelangeli, Pedrotti ecc.). Si tratta in sostanza di canti “in origine”
popolari, riproposti poi secondo la
prassi della formalizzazione musicale “colta”, con passaggi armonici
complessi, segni di dinamica (piano e forte), voci “educate”, presenza di un maestro-concertatore, ecc.
Il modello è relativamente recente,
in quanto è nato nel 1926.
A questo punto sorge spontanea
una domanda: prima, si cantava
così? La risposta è scontata: No.
Pur esistendo nelle piccole cantorie di montagna qualche episodio
di “voci educate” (soprattutto in
presenza del repertorio liturgico
in lingua latina), la maggior parte
dei gruppi di canto erano di tipo
“selvaggio” (nel senso di non “educato”), con voci “generose”, emissione di gola, compressa e sempre
di massima intensità, senza indicazioni di dinamica (sempre “forte”), con la sola presenza di tre voci
(melodia, terza e pedale).
Altra domanda: questo tipo di polivocalità (precedente la standardizzazione novecentesca sul “modello
Sat”, e un tempo largamente diffusa
nelle Alpi), risulta oggi definitivamente scomparsa? Risposta: Si.
Pur con qualche rara e significativa eccezione (come ad esempio le
litanie per la Grande Rogazione di
Asiago, il Rosario cantato dei boscaioli del Primiero, la Messa da
morto di Vermiglio ecc.).
In questo contesto, l’eccezione
forse più sorprendente è quella di
Premana, in alta Val Sassina (Lec-
co). Questo piccolo paese della
montagna lombarda è il maggior
produttore mondiale di forbici e
uno dei maggiori produttori di coltelli. Oltre all’artigianato del ferro,
vanta una particolare tradizione
di canto polivocale “selvaggio”, che
esplode in alcuni giorni del ciclo
dell’anno.
Una peculiarità esclusiva di Premana è infatti il cosiddetto “Tìir”, uno
stile di canto urlato, potente, lento
e sostenuto, nella tessitura acuta, al
limite del grido.
La grande trasformazione della
struttura economica del paese, a
partire dal secondo dopoguerra
(quasi 200 officine artigiane a conduzione familiare e alcune medie
industrie di circa cento operai, fino
al mercato globale e la concorrenza
con i cinesi), non ha cancellato il patrimonio della cultura tradizionale
della comunità. Sembrano anzi
rafforzati alcuni comportamenti
comunitari tradizionali, che hanno
come manifestazione unificante
la pratica del canto corale: soprattutto la festa dell’Epifania, quando l’intero paese esegue il canto
della Stella mentre si accompagna
il corteo con i Re Magi a cavallo,
preceduti da una stella illuminata, ma anche i past (pasti) sugli
alpeggi (feste che segnano la fine
del periodo estivo nell’alpeggio, il
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
Nelle foto dell’autore
alcuni momenti della tradizione a Premana
cui abbandono veniva tradizionalmente accompagnato dal canto del
bando) ed i matrimoni (momenti
di forte aggregazione comunitaria,
dove gli invitati eseguono a notte
fonda, sotto la finestra degli sposi,
il canto del matiné).
Premana, è stato oggetto un’ampia ricerca etnomusicologica promossa dalla Regione Lombardia,
condotta sul campo nella seconda metà degli anni Settanta da un
gruppo di studiosi coordinati da
Pietro Sassu. Gli esiti di questa ricerca rappresentano a tutt’oggi il
contributo più importante elaborato da Sassu sull’etnomusicologia
alpina, punto di riferimento obbligato per tutti gli studi successivi.
Sassu è mancato improvvisamente
nel 2001. Nel decimo anniversario
dalla sua morte, nel 2011, chi scrive ha deciso di produrre e realizzare un film su Premana, in memoria
di Pietro Sassu. Il titolo “voci alte”
ha tre rimandi di significato: “alte”
di intonazione, “alte” di volume,
“alte” s.l.m. (il paese è il più “alto”
della Valsassina)
Il film documenta i tre giorni più
significativi per la tradizione del
canto premanese: Past (8 agosto),
Corpus Domini (6 giugno) Tre Re
(5 gennaio).
Primo giorno: Past (8 agosto).
Nelle montagne sopra Premana
ci sono 12 alpeggi. Durante la stagione estiva le donne e i bambini
si trasferiscono qui, per pascolare
il bestiame, lavorare il latte, fare il
burro e il formaggio. Al termine del
periodo di monticazione, ogni alpeggio organizza il past, un grande
pasto rituale, al quale partecipano
gli alpigiani locali e limitrofi. Dopo
il pranzo inizia la festa, con l’esplosione dei canti tradizionali che
coinvolge tutta la comunità e che
dura fino a notte inoltrata.
Secondo giorno: Corpus Domini
(6 giugno). Per la processione del
Corpus Domini, il centro storico
di Premana subisce in pochissimo
tempo una trasformazione radicale. Fin dalle prime ore del mattino, tutto il percorso processionale
viene interamente ricoperto e addobbato con drappi, lenzuola, tendaggi, quadri, pizzi, fiori freschi. La
processione è aperta dalle antiche
confraternite. I canti sono quelli
previsti dalla liturgia. Conclusa la
processione, prima di pranzo tutti
gli addobbi vengono velocemente
smontati.
Terzo giorno: Tre Re (5 gennaio).
La vigilia dell’Epifania, i “coscritti”
ventenni, a cavallo, vestiti da Re
Magi, guidano il corteo dei cantori
attraverso le vie del centro storico.
Ad ogni fermata viene intonato il
tradizionale canto di questua, eseguito con grande intensità da tutta
la comunità.
Il giorno dell’Epifania, il canto dei
Tre Re esplode per l’ultima volta
all’interno della chiesa, coinvolgendo tutte le “voci alte” di Premana.
Il film è stato selezionato da diversi festival (Film Festival della
Lessinia, Swiss Mountain Film Festival, Religion Today, Traditional
Polyphony, Tbilisi, Georgia, ICTM
Traditional Music, Tiranë, Albania,
Days of Ethnographic film, Ljubljana). Nel 2012 è stato premiato con
il Grand Prix - Turon d´Oro al 17°
Film Festival Etnofilm Čadca 2012.
Il festival rappresenta l’appuntamento più importante in Slovacchia e paesi limitrofi (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Austria)
con i film dedicati alle culture tradizionali, all’etnologia, all’antropologia sociale e culturale. Il lungometraggio sta per essere pubblicato in
un DVD book per l’editore romano
Squilibri in collaborazione con l’Archivio di entografia e storia sociale
della Regione Lombardia: il DVD
con il film completo sarà integrato da una serie di capitoli extra (i
canti del film in versione integrale,
costruzione delle forbici con tipologia, fasi lavorative, modelli, e
varie interviste). Il volume ospiterà alcuni saggi mirati, trascrizioni
musicali, e una ristampa del saggio
di Sassu. (chi è interessato può inviare una mail al curatore: info@
renatomorelli.it).
la ricerca
Preghiera di pietra
Il pellegrinaggio
al Santuario di Novi Velia
di Enzo Vinicio Alliegro
Docente Aggregato
Università di Napoli “Federico II”
16
E’ la seconda domenica di ottobre a
sancire l’epilogo del ciclo di festeggiamenti al Santuario mariano di
Novi Velia, in provincia di Salerno.
Con l’avvento inesorabile della stagione invernale, la cima del monte
Gelbison, uno dei più imponenti
massicci dell’Appennino meridionale (1.703 m), si accinge a coprirsi
di un soffice manto bianco. Le ampie fronde dei faggi secolari che nel
corso dei mesi estivi hanno fornito
refrigerio ai pellegrini nelle calde ed
assolate ascese verso la sommità, si
curvano verso il suolo, mentre tempeste di neve chiudono l’accesso alla
vetta che resta nascosta per lunghi
mesi in un fitto alone di nebbia. Sembra quasi che sul sagrato del santuario, dal quale è possibile conquistare
con lo sguardo scenari suggestivi e
sorprendenti, cali il sipario, proprio
mentre gli echi dei pellegrini campani, lucani e calabresi che nel corso
dei mesi estivi si sono succeduti sul
monte secondo un calendario festivo fissato rigidamente dalla tradizio-
ne, si perdono nel rigore silenzioso
dell’inverno.
Spetterà ai paesi della Calabria aprire
il ciclo festivo del nuovo anno, seguiti
da quelli della Basilicata ed infine da
quelli della Campania. Il Santuario di
Novi Velia è quindi di carattere extra
regionale, con un’area d’influenza
che investe i territori racchiusi nei
confini delimitati a nord dal fiume
Sele, a sud dal fiume Lao, ad est da
una linea di demarcazione che congiunge Potenza a Rotonda (Potenza)
sino a giungere a Verbicaro, in Calabria. Tale confine territoriale rinvigorisce l’ipotesi dell’origine basiliana
del Santuario, in quanto corrisponde
agli insediamenti basiliani (monaci
di osservanza greco-bizantina) del
Mercurion (Calabria settentrionale), del Latinianon (Basilicata nordovest, Campania sud-ovest) e del
monte Bulgheria (Cilento). Ipotesi
che sarebbe oltremodo rafforzata da
dati di carattere iconografico: la statua della Madonna ha un volto bruno
allungato e reca il Bambino sul braccio sinistro. La ricostruzione storica
consente al momento di risalire al
XIV secolo, quando Filippo Santomagno, vescovo di Capaccio donava
il Santuario a Tommaso Marzano,
signore di Novi, perché questo a sua
volta lo cedesse ai monaci Celestini
che lo amministrarono fino al 1807,
quando venne nuovamente annesso
alla diocesi di Capaccio. Ben più suggestiva della ricostruzione storica
quella popolare secondo la quale il
Santuario sarebbe sorto in seguito
ad alcuni avvenimenti prodigiosi.
La leggenda di fondazione narra che
alle falde del monte Gelbison gli abitanti di Novi Velia si accingevano ad
edificare una chiesetta in onore della
Madonna e malgrado serpeggiasse
tra la popolazione un entusiasmo
autentico ed i lavori proseguissero
con assoluta diligenza, tutto ciò che
si costruiva veniva ritrovato, all’indomani, totalmente distrutto. Per
porre rimedio si decise di vigilare il
cantiere: nel corso della notte alcuni custodi portarono per la cena un
agnello che riuscì a mettersi in fuga
raggiungendo la vetta. I custodi si
misero subito sulle tracce dell’agnello che venne ritrovato, con grande
stupore, sulla parte culminante del
monte, in prossimità di una nicchia
con all’interno una statua della Madonna. Avvertite le autorità ecclesiali, fu fatta una ricognizione e si decise
di edificare su quel luogo il Santuario
e di dare vita ad un pellegrinaggio
solenne che, da allora, si ripete ogni
anno, secondo la reiterazione rituale
di un modello archetipale.
La salita alla cappella lungo le pendici del monte è scandita da una serie
di atti rituali che introducono il pellegrinaggio nell’area sacra, oltre il
confine della quotidianità. L’ascesa è
condotta in uno spazio che partecipa
della sacralità del Santuario posto
sulla vetta, ma che al tempo stesso
si differenzia per una sacralità di diverso grado. Non più spazio profano,
ma non ancora spazio sacro. Piuttosto terra di limite, spazio di margine
che separa l’area sacra, la vetta del
Santuario, dall’area profana, quella
circostante, posta al di fuori dei confini segnati dalle pendici del monte.
Un momento suggestivo del pellegrinaggio a Santuario di Novi Velia (foto E. V. Alliegro)
Sulla vetta del Gelbison, nel passato,
i pellegrini giungevano dopo vari
giorni di cammino. Coloro che provenivano dalla Lucania e dalla Calabria, fatta una breve sosta a Rofrano,
riprendevano il cammino oltrepassando le acque del torrente Sagrato, mentre i pellegrini provenienti
dal Cilento, riposatisi a Novi Velia,
proseguivano guadando il torrente
Freddo. L’immersione a piedi scalzi
nelle acque gelide, ripetuta per tre
volte, costituiva un rito di purificazione al quale nessun pellegrino
osava sottrarsi. Quelli provenienti
da Novi, ovvero dall’area cilentana,
proseguivano l’ascesa con un’azione
rituale fortemente simbolica e del
tutto assente nella tradizione lucana
e calabrese: per recarsi nello spazio
sacro attraversavano un anfratto,
una sorta di soglia simbolica, che
suggellava ed attestava il passaggio
da una specifica condizione ad un’altra. Baciato un grosso masso, il masso della Madonna, quello sul quale si
sarebbe seduta la Madonna stessa,
i pellegrini cilentani proseguivano
alla volta di un rito riservato ai neofiti: per accedere alla vetta, infatti,
era necessario trasportare sul capo
una pietra che veniva deposta su un
grosso cumulo, laddove il sentiero
si congiungeva con quello percorso dai pellegrini provenienti dalla
Calabria e dalla Lucania. Mentre in
passato il cumulo di pietre costituiva una tappa intermedia, oggi è tale
punto a segnare l’avvio all’ascesa in
quanto vi si giunge comodamente
con automobili ed eleganti autobus
percorrendo una strada ultimata da
pochi anni.
Malgrado sia sopraggiunto tale
mutamento nella parte iniziale
dell’ascesa, il tratto finale, quello che
separa il cumulo di pietre dalla vetta
dove è posto il Santuario, viene percorso oggi senza alcuna significativa
differenziazione rispetto al passato. I
comportamenti rituali sono pressoché rimasti immutati, codificati in rigidi sistemi culturalizzati e trasmessi
dalla tradizione, aperta naturalmente alle sollecitazioni dei tempi nuovi.
I pellegrini giunti vicino al cumulo vi
girano intorno ben tre volte. Al termine dei tre giri, affinché nel gruppo
non vi siano peccatori e le richieste
di grazia possano essere esaudite, i
pellegrini si apprestano a realizzare
una riconciliazione collettiva, a stringersi la mano in segno di pace. Si riprende il cammino e si giunge nelle
prossimità delle vetta innanzi ad
una croce di pietra intorno alla quale si compiono ancora tre giri. Altri
tre giri infine intorno alla cappella,
prima dell’ingresso, alla volta della
sacra immagine, in cima alla vetta.
Alla fine dell’ascesa, quindi, saranno
tre i punti intorno ai quali i pellegrini
hanno girato per tre volte.
A differenza dello spazio definito di
margine, la vetta è pervasa da una
sorta di aura sacra che si irradia
nell’ambiente circostante. Le acque,
i prati, i massi non sono quelli che
è dato incontrare in qualsiasi altra
vetta appenninica, ma sono quelli
particolari, straordinari, dello spazio
sacro. Da una parete rocciosa sgorga
un rigagnolo d’acqua ritenuto miracoloso; in un prato, denominato il
giardino della Madonna, crescono
erbe e fiori raccolti e portati a casa.
Ancora, sulla vetta, un grosso sperone roccioso molto particolare:
opportunamente interrogato può
riuscire a fare breccia nel futuro
ignoto dei pellegrini, a profetizzare
se l’anno successivo con l’apertura
del Santuario, l’ultima domenica del
mese di maggio, con il sole ritornato
splendente e maestoso, con le fronde dei faggi protesi verso l’alto, essi
saranno ancora là, sulla vetta del
monte Sacro, ad invocare e ringraziare la Madonna di Novi Velia.
L’articolo è
particolarmente
indicato per i gruppi
che dovranno partecipare
alla prossima Rassegna
del documentario
etnografico.
www.fitp.org
17
la ricerca
Studiare e coltivare la cultura del Cicolano
Così gli “Zanni” ne sono testimoni unici
di S. Luciano Bonventre
Presidente
Associazione Culturale
“La Compagnia degli Zanni”
18
Recentemente, all’interno della
Fitp si sta svolgendo un interessante dibattito sulle finalità dei nostri
gruppi, ossia l’ideologia ultima che
sostiene la nostra azione, e le caratteristiche della nostre performance sui palcoscenici di tutta Italia.
In particolare, la Consulta scientifica sta stimolando i sodalizi ad
assumere una maggiore e rinnovata consapevolezza della propria
“funzione sociale, culturale e pedagogica nel conservare e riattualizzare, tramite le rappresentazioni, i
patrimoni etno-antropologici delle
rispettive regioni e comunità” (Atzori, 2012), invitandoli “in virtù di
tale consapevolezza” a “rifarsi più
sistematicamente al patrimonio
di conoscenze e documentazione
elaborato dagli studiosi, affinché le
tracce del passato pazientemente
ricostruito non si rivelino in realtà un presente ‘taroccato’” (Bravo,
2013).
Come presidente dell’Associazione culturale “La Compagnia degli
Zanni” di Pescorocchiano (Rieti),
mi è sembrato perciò giusto interrogarmi sulla direzione della stra-
da che il mio gruppo folklorico sta
percorrendo e sulle sue modalità
operative. La nostra formazione è
nata nel 1995 con l’organizzazione
spontanea del Carnevale tradizionale, da cui prendiamo il nome, e
si è poi costituita ufficialmente nel
2001, anno in cui avvenne la prima
affiliazione alla Fitp.
Come primo approccio sono andato a rileggere gli scopi che ci prefiggemmo, forse in modo un po’ ingenuo, nello statuto redatto dodici
anni fa: “Costituire una compagnia
di ballo, canto e teatro e organizzare una serie di rappresentazioni
a carattere teatrale, comprensive
di danze e motivi popolari, per far
conoscere, divulgare e apprezzare
il patrimonio di stornelli, satire, favole e aneddoti caratteristici della
tradizione orale contadina tipica
del Cicolano e dell’area appenninica; in particolar modo far rivivere
i consueti appuntamenti di festa
del mondo rurale come, ad esempio, il “Ballo della Pantasima” o il
“Carnevale degli Zanni”, e promuovere la cultura del Cicolano anche
all’esterno della Valle del Salto”
e ancora “favorire la creazione di
un patrimonio documentario, su
argomenti attinenti al punto precedente, costituito da beni librari,
archivistici, audiovisivi e multimediali, per consentirne la più ampia
fruizione non soltanto ai soci ma
all’intera collettività”, “promuovere
l’ideazione di progetti specifici di
ricerca documentata su argomenti
di propria pertinenza, perseguendo il fine del rilievo scientifico delle
diverse iniziative”, e, infine “offrire
un luogo d’incontro anche sulle
problematiche di carattere sociale,
per l’elaborazione di proposte di
interesse locale, interprovinciale e
interregionale, che consentano di
individuare e valorizzare le risorse
umane del Cicolano”.
Un programma chiaro, dunque, che
con il passare del tempo abbiamo
cercato, nei limiti del possibile, via
via di realizzare. Lo studio scientifico della nostra tradizione è stato
composto da quattro momenti essenziali: la consultazione di fonti
bibliografiche a carattere locale,
da segnalare soprattutto i volumi
di Roberto Marinelli, I Paladini di
San Carneale, per quanto riguarda
il rituale carnascialesco, di Luciano
Sarego, L’albero e la memoria, per
le favole e le fiabe, di Eugenio Maria Cirese, Canti popolari della Provincia di Rieti e di Ivan Cavicchi e
Tamara De Gasperis, Cultura popolare del Cicolano, per canti e stornelli; la ricerca di fonti d’archivio
come per esempio il Catasto di Pescorocchiano del 1750, la Statistica
sulle condizioni e la sussistenza
della popolazione del Mandamento di Borgocollefegato del medico Angelo Santori di S. Stefano di
Corvaro del 1810, la Statistica sulla
topografia fisica del Circondario
di Cittàducale di Felice Martelli di
Fiamignano del 1811 e gli apprezzi
del corredo della dote femminile,
tutti preziosi documenti dai quali
sono state tratte indicazioni sulla
foggia, i colori ed i tessuti dell’abbigliamento nel Cicolano tra il XVIII
e XIX secolo e sulla base dei quali
sono stati confezionati gli abiti dei
componenti il gruppo; la ricerca
sul campo con la raccolta di interviste a persone anziane del posto:
il noto antropologo Alberto Mario
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
Un momento di intrattenimento e di folklore con gli “Zanni”
Cirese nel suo articolo del 1951
su Girgenti, frazione di Pescorocchiano, Come mi suoni, Commare,
ti ballo aveva intuito come il Cicolano fosse una zona assai conservativa e pertanto questo lavoro si
è dimostrato ricco di scoperte e di
sorprese, specialmente nel campo
dell’etno-coreologia, dove in collaborazione con il prof. Giuseppe
Michele Gala del Centro Studi Taranta, si è enucleata la struttura
morfologica della saltarella locale e delle sue varianti; infine, un
utile momento è stato il lavoro di
riscontro del patrimonio immateriale rinvenuto con altro materiale
bibliografico riguardante il Lazio,
l’Abruzzo o, più in generale, l’Italia
intera, al fine di precisare il corpus
di leggende, canti, racconti e proverbi cui attingere.
Su queste fondamenta si è impostato il repertorio scenico del
gruppo.
Oggi una rinnovata consapevolezza del ruolo di un gruppo significa sapere interpretare in chiave
attuale la cultura del proprio territorio. In questo senso, bisogna
sforzarsi di confrontare il passato
con il presente e mettere, per usare una metafora, in controluce le
tradizioni, valutando la loro vitalità e, nel caso questa fosse un po’
fievole, cercando il metodo giusto
per dargli nuove funzioni e nuovo
smalto. Alcune tradizioni sono, per
così dire, come quelle suppellettili
dimenticate sotto un filo di polvere in cantina, che se debitamente
spolverate diventano degli oggetti
di pregio da esporre nella sala buona per farli ammirare.
Nel nostro caso, se da un lato la
suggestiva Pantasima, un fantoccio
con dei fuochi pirotecnici azionato
all’interno da un ballerino, viene
ballata tuttora costantemente in
ogni festa patronale della Valle del
Salto, dall’altro la stessa saltarella e
il Carnevale degli Zanni avevano intorno agli anni ’70 perso lo slancio.
Però già i nostri genitori e i nostri
zii li avevano praticati e vissuti autenticamente in gioventù, per cui è
bastato pochissimo per far tendere
il filo allentato della tradizione. Le
principali rappresentazioni sono
avvenute nell’ambito di uno spettacolo multidisciplinare che spazia
dalla danza, al canto e al teatro dal
titolo l’Arte di tener favella e con
delle scenette rigorosamente in
dialetto incentrate sul personaggio di Tuttopera, nome cicolano
del protagonista di tanti racconti
contadini. Entrambi questi appuntamenti sono diventati dei veicoli
straordinari di diffusione del patrimonio immateriale: puntualmente, dopo ogni esibizione, in paese
si parlava dei motivi presenti nella
stessa e tutti ricordavano e/o chiedevano spiegazioni al riguardo.
Così stornelli in endecasillabo ed
espressioni dialettali semi-dimenticati sono oggi ripetuti e “postati” anche su social network come
facebook, folletti dell’immaginario
di un tempo come i Mazzamorelli sono tornati familiari e canti
come Maria Nicola o balli come la
quadriglia eseguiti liberamente in
ogni occasione di festa. E a dir la
verità, sono state proprio le occasioni classiche di festa comunitaria
come i matrimoni, il Carnevale, i
diversi appuntamenti e pellegrinaggi religiosi le performance in
cui il processo di rifunzionalizzazione delle tradizioni si è compiuto
in modo più schietto. Ad esempio,
l’usanza del dono di canestri ricolmi di pane e cibarie varie ed infiocchettati con nastri multicolori
ai futuri sposi pochi giorni prima
delle nozze, praticata fino alla fine
degli anni ’60, è da alcuni anni di
nuovo effettuata in quasi ogni matrimonio, diventando una preludio
insostituibile dello stesso e assolvendo la funzione di far partecipi
dell’avvenimento anche gli appartenenti alla comunità non invitati
ufficialmente alla celebrazione.
Dalla passione per il territorio
alla performance, passando per
lo studio delle tradizioni. Questa è
la strada che abbiamo percorso e
nel compiere il cammino ci siamo
accorti di quanto sia davvero entusiasmante interpretare la cultura
d’appartenenza. Un entusiasmo
che sentiamo e sappiamo di condividere con tutti i gruppi e i componenti dei gruppi appartenenti
alla Federazione italiana tradizioni
popolari, insieme ai quali siamo
lieti di essere coscienti della nostra
funzione e di lavorare affinché tale
consapevolezza diventi sempre più
fruttuosa.
Biogra�ia
M. Atzori, La memoria lunga i saperi tradizionali e l’attuale funzione dei gruppi folklorici, in “Il Folklore d’Italia. Notiziario bimestrale. Rivista
Federazione Italiana Tradizioni Popolari”, anno XIV n. 6, novembre-dicembre 2012, pp. 18-23.
G. BRAVO, Introduzione in GIAN LUIGI BRAVO, a cura di Prima etnografia d’Italia. Gli studi di folklore tra ‘800 e ‘900 nel quadro europeo, Franco
Angeli, Milano, 2013.
A.M. Cirese, Come mi suoni, Commare ti ballo, in Avanti del 3 novembre 1951.
A.C. La Compagnia degli Zanni di Pescorocchiano, Statuto e Atto costitutivo, 5 gennaio 2001.
www.fitp.org
19
la ricerca
Cantare le uova
Questua di primavera
di Laura Bonato
Ricercatore Universitario
20
In passato, durante la Settimana santa, e spesso per tutto il periodo quaresimale, nell’area rurale del Piemonte
meridionale era diffusa la questua
delle uova, cantè j euv. Al tramonto,
e fino a notte inoltrata, gruppi di giovani peregrinavano di casa in casa,
visitavano le cascine più isolate, entravano in ogni aia intonando un canto atto a propiziare fortune domestiche. In cambio chiedevano un’offerta
in prodotti alimentari – soprattutto
uova – che sarebbero poi stati consumati in un pranzo collettivo il lunedì
dell’Angelo. Accompagnati dalla fisarmonica, il cui suono costituiva la
base musicale del canto, e alla quale
potevano aggiungersi il clarinetto, la
chitarra e il tamburo, i giovani intonavano la canzone che elogiava la casa e
i suoi padroni, a cominciare dalla don-
na, alla quale andavano complimenti
e auguri di salute e di prosperità; seguivano poi strofe di saluto e di elogio
per tutti i membri della famiglia.
Il motivo conosceva molte varianti ed
era formato da quartine il cui numero
variava a seconda della composizione
della famiglia alla quale era rivolto. Se
da un lato si improvvisavano quindi
strofe di saluto e di complimento per
ogni membro della famiglia visitata,
e se ne adattavano altre a varie situazioni, si consideri che tale estemporaneità era però in un certo senso
controllata: i cantori erano infatti del
posto e ben conoscevano gli abitanti
della casa.
Spesso dopo l’esibizione i questuanti
venivano invitati ad entrare per mangiare e bere, cantare con gli ospiti e
chiacchierare. Poteva però capitare
che gli abitanti della casa non rispondessero all’invito, che le luci rimanessero spente e le porte non si aprissero: i giovani allora indirizzavano alla
famiglia una strofa di malaugurio. Il
gruppo di questuanti era esclusivamente maschile e spesso andava alla
ricerca di quelle abitazioni dove c’erano le ragazze: in tal senso cantè j euv
era anche un’occasione di conoscenza
e incontro tra ragazze e giovanotti.
La questua delle uova, contemporaneamente dispensatrice e propizia-
trice di abbondanza, rispettivamente
per coloro che ricevevano e per chi
invece donava, rinnovava ritualmente
l’appartenenza alla comunità locale e
rurale dei questuanti e degli utenti, ed
era una cerimonia con semplici meccanismi di attuazione, pur completati
da ricchezza e complessità di codici:
comportamentali, simbolici, musicali,
canto, scambio di risorse ecc.
Dopo essere caduta in disuso nel secondo dopoguerra, la questua delle
uova è stata rivitalizzata e negli ultimi
anni è diventata oggetto di importanti
iniziative volte alla riproposta e al recupero delle tradizioni locali e contadine1.
A Casal Cermelli, una piccola località
della pianura alessandrina che conta
circa 1200 abitanti, essenzialmente
agricola ad indirizzo orticolo e cerealicolo, la questua delle uova non è mai
stata interrotta e, nel pieno rispetto
della tradizione, solo il venerdì e il
sabato prima di Pasqua il gruppo di
cantori girovaga per cascine e case del
paese. Si registrano però alcuni cambiamenti che riguardano, fatto non
irrilevante, non la struttura portante
del rito ma i comportamenti collettivi.
Questo appuntamento è stato “ufficializzato” nel 2001 nella manifestazione denominata Cantè j’ov, organizzata
dalla Pro loco e affidata ad un solo
IL FOLKLORE D’ITALIA
gruppo, quello dei Calagiubella, i cui
membri hanno sempre questuato insieme. In passato erano diversi i gruppi che, autonomamente e indipendentemente l’uno dall’altro, giravano
a cantare: i doni ricevuti venivano poi
consumati privatamente dai soli questuanti. Gli esecutori un tempo erano
i giovani del paese, di sesso maschile,
alcuni dei quali sono diventati gli attuali attori, coloro che si sono assunti
il compito di promuovere la questua
delle uova all’esterno. Le competenze
per farlo derivano dalla pratica, come
si è accennato, mai sopita. Questa investitura è stata presto legittimata
dalla popolazione, che ha ricominciato ad attenderli e a preparar doni.
Le due serate del cantè j’ov, venerdì
e sabato, sono ben distinte e assai
diverse: più genuina la prima, pubblicizzata e spettacolarizzata quella
successiva. Il sabato sera, dopo la
messa, intorno alle 22, i cantori arrivano a piedi, suonando, nella piazza
principale del paese, dove li attende
il pubblico, composto anche da molti
visitatori esterni. Un grande falò è già
acceso al centro e c’è un ricco banco
allestito dalle cuoche della Pro loco,
che invitano gli astanti a degustare
uova sode, salamini, farinata, vino e la
specialità locale, la torta di mandorle.
I questuanti intonano la canzone sotto le finestre e le terrazze di alcune famiglie che, al termine dell’esibizione,
calano un cestino con le uova. Diversi
complessi musicali provenienti da
altre zone e province del Piemonte
allietano poi il pubblico suonando sul
palco allestito in piazza; spesso si esibiscono anche gruppi che propongo-
no danze tradizionali.
Rispetto a quella canonica, la “nuova”
questua del sabato sera presenta una
morfologia irrispettosa del passato,
proponendosi sul palco che è il centro
del paese. Tutto ciò, unitamente alle
numerose richieste di visita dei questuanti da parte degli abitanti del paese, è stato indubbiamente percepito
dai Calagiubella che nel 2003 hanno
“inventato una tradizione”. Il venerdì
santo, appena fa buio, con una decina di questuanti salgono su un carro
trainato da un trattore che, in base ad
accordi precedentemente stabiliti, visita alcune case e cascine. Penso però
che, malgrado le reciprocità siano
preventivamente concordate, il peregrinare dei Calagiubella e del loro
seguito conservi una certa spontaneità: non potrebbe essere altrimenti
perché l’artificiosità – apparente – insita nell’accordo relativo alla visita si
stempera nell’inventiva che comunque si manifesta durante la questua e
che va al di là dell’evento pianificato.
Ci sono sempre, inevitabilmente, dei
“fuori programma” che stimolano il
gruppo innanzitutto a trasgredire le
regole del contesto canoro prolungando la canzone con strofe estemporanee; la mia stessa presenza, a volte
con colleghi e studenti, crea indubbiamente un diversivo!
E’ decisamente più “ingessato” e poco
flessibile invece l’impianto cerimoniale del sabato sera, motivato anche
dal fatto che inizia rigorosamente
dopo la messa e, obbligatoriamente
ha uno spazio d’azione di un paio di
ore perché prolungarlo comporterebbe disturbo agli abitanti. Esattamente
n. 04 / 2013
come un tempo, cantare le uova la vigilia di Pasqua genera dissapori con il
parroco; ma se la questua, in passato
ovunque rappresentata durante la
Quaresima, periodo di penitenza e
di digiuno, si configurava come una
trasgressione, a Casal Cermelli, mantenendo questa provocatoria alterità
rituale, diventa una vera e propria
strategia fondamentale per la sopravvivenza della comunità.
La questua è uno dei “luoghi d’incontro” dei casalcermellesi: il perpetuarsi
di questa cerimonia è il consapevole
desiderio della comunità di riconoscersi e affermarsi attraverso il suo
reiterarsi. Considero di estrema rilevanza che a cantare le uova a Casal
Cermelli siano ancora le stesse persone da quarant’anni a questa parte,
accompagnati però da giovani ai quali
stanno trasmettendo il sapere attivo
del rituale. L’innovazione del venerdì,
che si svolge a rete sul territorio, ridisegna ritualmente i confini della comunità, che non coincidono con quelli
amministrativi2, e consente di mantenere attivo un circuito sociale e di relazioni. E’ importante notare che nella
questua non ci sono ruoli distinti di
attori e spettatori: gli attori infatti non
sono solo coloro che passano di casa
in casa a cantare ma anche gli ospiti
che attendono la visita dei questuanti
e che, per l’occasione, preparano l’offerta o, addirittura, organizzano un
banchetto. Nel momento stesso in cui
gli utenti aprono la porta per accogliere i cantori è come se la aprissero su
un palcoscenico perché entrano a far
parte, da protagonisti, della rappresentazione.
1. Dal 2001 la pratica della questua delle uova in Piemonte è diventata una grande manifestazione denominata Cantè j euv Roero: nel
mese di marzo i singoli gruppi di questuanti cantano le uova nel loro paese, poi si ritrovano per una grande manifestazione con spettacoli, canti e danze. La kermesse finale è itinerante e negli anni ha avuto luogo in vari paesi del Roero, della Langa e del Monferrato.
2. Ne è un esempio la Cascina Torre, posta sul territorio del comune di Frugarolo, i cui abitanti si riconoscono nella comunità di Casal
Cermelli, e che i questuanti non mancano di visitare ogni anno.
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21
la ricerca
La Valle Varaita
Culla delle tradizioni
di Luisa Perla
Ricercatore Universitario
22
La Valle Varaita a buona ragione è
considerata la culla del mantenimento e della riscoperta delle tradizioni per la presenza nel territorio
di molte feste tradizionali religiose
e non (come quelle legate alle badie carnevalesche, le maschere del
Magnin, il Carnevale di Bellino, la
Baìo di Frassino, la Beò di Bellino e la
Baìo di Sampeyre), che scandiscono
il tempo festivo e rituale della Valle.
Tra queste è da sottolineare la badia
di Sampeyre, perché rappresenta un
tratto etnico della tradizione locale
molto importante, caratterizzata da
una notevole complessità rituale, e
perché grazie ad essa è stato possibile tramandare nel tempo un vasto
repertorio di danze e di musiche, che
in altro modo sarebbero state obliterate.
Grazie al rinnovamento di questo
tempo festivo la Valle ha custodito
e tramandato un vasto patrimonio
musicale: il patrimonio più ricco di
tutte le valli occitane. Questa valle
è infatti quella che ha conservato il
maggior numero di danze popolari;
nel territorio di otto Comuni si contano 22-23 danze, prescindendo dalle
varianti locali (Peron,1998, p.7). Alla
loro conservazione ha contribuito la
Baìo di Sampeyre, che prevede l’esecuzione delle danze tradizionali locali
quali: la courento, la gigo, lou balet, la
courento de Coustiole, la coutrodanso, la tresso, la bourèo de San Martin,
la buréo vieìo, la courento de l’espech,
lou rigoudin, la troumpezo, lou calissoun, la mésquio, lou moulinet, mentre vengono eseguite raramente la
cadrìo de San Péire, la gamàoucho, la
tolo doubio, la tolo sembio e l’espouzin (Bertone, 1998, p.99).
La trasmissione delle danze è inoltre
dovuta alla tradizione musicale documentata dai brani del violinista Juzep
da’ Rous (Giuseppe Galliano, 18881980) di Sampeyre, il suonatore più
importante per la musica delle Valli
Occitane e riferimento indiscusso per
la tradizione violinistica della Valle
Varaita che ha trasmesso numerose
Courente, una Tresso e vari Balet. E’
da ricordare il Bornh d’en Chambeto
(Giovanni Antonio Fina, 1912-1976)
un violinista meno conosciuto che ha
trasmesso la Bouréo de San Martin
con Balet (secondo la struttura più
antica) (Peron, 1998, p.7). Il violino
vanta dunque una significativa tradizione nella valle: e’ stato suonato a
corde doppie, secondo la tradizionale
tecnica popolare, ed è stato utilizzato
da solo in alcuni brani di valore assoluto: la Gigo, e la Gigo viéio di Bellino
e la Chansoun di espouze (Boschiero
G, 1985).
La tradizione del semitoun (fisarmonica semitonata), è documentata dai
brani di Jouann Bernardi (Giovanni
Bernardi, 1904-1979) di Sampeyre
che ha contribuito a mantenere viva
la tradizione attraverso l’elaborazione di un repertorio molto vasto.
Sono da ricordare diverse Courente,
la Bouréo vièio (spesso detta semplicemente Vièio), la Courento de
Coustiole, la Gigo, il Balet, la Polca e
il Valzer. Anche la Coutrodanso di Juspin Sezet (Giuseppe Spirito Garnero,
1888-1938) di Sampeyre è stata tramandata da Jouann Bernardi (Bertone, 1998; Perla L., 2011)
Segue una breve descrizione delle
danze quali la Gigo , la Courento, Lou
Balet e la Tresso.
La Gigo è la regina delle danze dell’Alta Valle Varaita, il tempo è in 2/4.
Rappresenta una delle monodie più
significative della musica popolare;
il suo sviluppo si articola su due toni
(do-fa), in modo da garantire una ripetizione in forma ciclica che è propria della musica modale. La danza si
esegue tra due coppie che si dispongono in quartetta, affiancate, con rispettivamente la dama di fronte e la
contro partner a sinistra. Le coppie
si posizionano nel mezzo del sito del
ballo ed eseguono un balâ e un virâ
prima con il proprio partner e poi con
il contro partner. Nella seconda parte
le coppie formano una catena inglese,
si intrecciano dando il braccio destro
al contro partner, poi si avanza e gira
appoggiando il sinistro al partner del
ballo, fino al termine della parte musicale al fine di riposizionarsi al punto di partenza. Anche la Gigo è seguita
da Lou Balet. La grondo Gigo è tipica
di Casteldelfino (alta Valle Varaita), e
a differenza della Gigo indica una serie di quattro danze e rispettivamente la Gigo, Bouréo, Tour e Balet. E’
eseguita in modo da essere ballata da
dodici persone (Boschiero G. , 1985)
La Courento è un ballo che richiede
un numero indefinito di coppie che
IL FOLKLORE D’ITALIA
n. 04 / 2013
I Balerin del Bal Veij ‘d Sanfront
occupano il sito del ballo in ordine
sparso. In Val Varaita è una danza
eseguita da coppie che si dispongono
in cerchio, gli uomini all›interno, le
donne all›esterno con il braccio sinistro sulla schiena del compagno che
le tiene col braccio destro per la vita.
Si comincia con una passeggiata, meiro, ci si ferma, le coppie si girano di
fronte tenendosi per le mani e fanno
un balletto col passo tipico della valle
(balar), seguiti da alcuni giri (virar),
si ripete il balar e il virar, fino che la
melodia cambia per lou balet (parte
finale che chiude tutte le danze) dove
i cavalieri fanno un virar con tutte
le dame del cerchio. E’ interessante
sottolineare come la Courento della Val Varaita pur possedendo una
struttura simile a quella delle altre
valli, perché possiede le figure del
camminare, ballare, girare, ballare
girare, presenta alcune peculiarità.
La differenza è da ricercarsi nello
stile, nel portamento della camminata, nella maggiore semplicità del
passo nel ballare e soprattutto nella
velocità di esecuzione. In tale Valle le
Courento vengono suonate in modo
più lento rispetto a quelle della Val
Vermenagna, Val Chisone e Germanasca (Peron, 2007, p.8).Al contrario
in Val Vermenagna le coppie non formano un cerchio e percorrono l’ën-
dâ a ‘spas in senso antiorario. Il ballo
prosegue con il ballare, balâ, il girare
in senso antiorario virâ, nuovamente
il balâ e si conclude con il girare in
senso orario dësvirâ. Esistono alcune
varianti delle figure della Courento
che venivano praticate un tempo soprattutto in spazi ristretti, come ad
esempio nelle stalle durante le veglie
(Peron, 2007, p.9).
Lou Balet si balla sul posto con le coppie in ordine sparso. La prima figura
è il ballare, molto più lungo di quello
della courenta; seguono il virâ, in senso antiorario, ed il dësvirâ nell’altro
senso. È eseguito sempre più di rado
essendo più faticoso della courenta,
soprattutto per la lunga durata del
balâ (Peron, 2007, p.9). Anche il Balet
presenta alcune differenze: in bassa e
media Val Varaita fino a Sampeyre,
il Balet non è una danza a sé stante,
ma è diventata la parte di chiusura,
la coda, alle numerose tipologie di
danze presenti, ed è ballato in modo
diverso a seconda della danza che lo
precede e l’estro dei suonatori (Perla
L., 2011).
La Tresso è formata da quattro sezioni opportunamente ripetute per dare
vita ad una delle musiche più vaste
ed articolate dell’Alta Val Varaita. Il
tempo è 2/4. E’ ballata da tre coppie
di ballerini disposta in fila una dietro
l’altra (Boschiero G., 1985). La danza
si compone di due parti: nella prima
parte la coppia di testa, unita con presa da valzer, parte per un galop verso
il centro della sala e ritorna al posto,
esegue un balâ, un virâ e alla fine di
questo tenendosi per mano fa un
ponte passando sopra le teste delle
altre due coppie e portandosi in fondo alla fila. E’ il turno della seconda
coppia, che a questo punto si ritrova
davanti ed esegue: galoppata, ritorno,
balâ, virâ e si porta in fondo.
Quando anche la terza coppia esegue
la sua parte e si è ristabilito l›ordine
iniziale delle coppie inizia la seconda
parte.
Qui si disegna la tresso, le coppie
compiono una galoppata che segue
una forma di otto intrecciandosi, cioè
incrociando le altre coppie una volta
a destra l›altra a sinistra. Al termine
della parte musicale di tresso la coppia che si ritrova in mezzo alla pista,
nel punto più lontano da quello di
partenza della danza, lì dove è situata
fa un balâ, un virâ e alla fine si riporta
in fondo al gruppo che si è ricomposto nella posizione di partenza ed è
pronto per ripetere un›altra volta le
due parti. La danza è seguita da Lou
Baletas delle tre coppie, che si viene
a formare veda l’alternanza uomodonna.
BIBLIOGRAFIA
Bertone Enrco (1998), Antiche feste delle Alpi Cozie, Genova, Sagep.
Boschiero Gianpiero (1985), Muziques Ousitànes. Dònses e chansouns dei Chasteldelfin, blins, pount e la chanal, Sampeyre, Soulestrelh.
Bravo Gian Luigi (2013), Italiani all’alba del nuovo millennio, Milano, FrancoAngeli.
Caraglio Vittorio (1988), Ou Vernant Vernante, Borgo San Dalmazzo, Edizioni Martini.
Carletto Bruno (2001), Le nostre radici. La vita e le tradizioni delle valli alpine occitane, Borgo San Dalmazzo, Edizioni Martini.
De Angelis Almerino (1983), Rore paese della Valle Varaita, Sampeyre, Edizioni Lu Viol.
Fontan François (2006), La nazione occitana: i suoi confini, le sue regioni, Venasca, Ousitanio Vivo.
Guilcher Yves (2001), La danse traditionnelle en France. D’une ancienne civilisation paysanne à un loisir revivaliste, Parthenay, FAMDT Modal.
Leydi Roberto, Guizzi Febo (a cura di) (1996), Gli strumenti musicali e l’etnografia italiana (1881-1911), Lucca, Libreria Musicale Italiana.
Perla Luisa Adriana (2011), Feste e musiche secondo tradizione, Legnano, Gruppo Edicom.
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DISCOGRAFIA
Peron Silvio, Ferrero Gabriele (1998), Ballo delle valli occitane d’Italia, VI Records CD 003, Alessandria.
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la ricerca
Una scuola
nella scuola
Canti e balli
dei nostri nonni
GIARDINI NAXOS (Messina) C’è voluto più di mezzo secolo
per realizzare una antologia di
canti, danze, ballate popolari, usi
e costumi del territorio taorminese, ricercati e raccolti con l’entusiasmo e la certosina pazienza
che distingue chi alla ricerca ha
dedicato la propria vita. Immaginate di avere uno scrigno che
contenga il tesoro a voi più prezioso, immaginate di affidarlo a
dei bambini dalle mani incerte e
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inesperte, immaginate la gioia e
la soddisfazione di vedere questo dono restituitovi, dopo anni
di impegno e dedizione, con volto nuovo, con sapore diverso. E’
ciò che è accaduto di recente al
Gruppo folklorico “Naxos” che,
cinque anni fa, affidava il frutto
del proprio lavoro e della propria esperienza ai bambini della
prima elementare della scuola
“Galilei” di Giardini Naxos: oggi,
in procinto di uscire dalla scuola
primaria, dopo un lustro di sano
apprendimento, hanno restituito
a un pubblico attento e interessato in uno spumeggiante spettacolo didattico.
Si è trattato di un evento che racchiude e corona lo sforzo e il continuo impegno iniziato proprio
nelle scuole nel 1949 dallo storico Gruppo folklorico “Naxos”,
diretto da Antonino Buda. Dopo
molteplici iniziative ed esperienze che lo hanno portato alla ri-
IL FOLKLORE D’ITALIA
Il presidente Buda con i suoi ragazzi porta le tradizioni popolari nelle scuole di Giardini Naxos
balta internazionale, il sodalizio
siciliano si riconcentra sul suo
obiettivo primario: trasmettere
il “sapere” acquisito ai bambini,
una generazione che rischia di
ignorare totalmente la cultura
del passato e l’intrattenimento
popolare dei propri nonni. Così,
di lustro in lustro, con il progetto “Attività integrativa sulla cultura popolare” sponsorizzato
dal Comune di Giardini Naxos, il
Gruppo “Naxos” rinnova il ciclo
di insegnamento che prevede la
conoscenza della lingua siciliana attraverso le poesie in vernacolo e i canti della tradizione
natalizia, quelli del mondo agropastorale, marinaro, del Risorgimento siciliano senza tralasciare i canti della tradizione locale
come “Giardina banniredda di
lu mari”, che proprio come una
bandiera i ragazzi di Naxos continuano a sventolare in tutto il
mondo. Questo, quindi, l’obietti-
vo del progetto: educare le nuove
generazioni e farle riappropriare
della propria identità culturale, consegnare loro la memoria
del passato, deposito e archivio,
immagine del tempo trascorso,
patrimonio ereditato, custodito
e trasmesso con amore e generosità.
Filastrocche, proverbi, leggende,
canti e danze dell’hinterland taorminese sono state le “materie
di studio” degli apprendisti “canterini”. Particolare cura è stata
dedicata all’aspetto coreutico
evitando di insegnare ai bambini le “solite” tarantelle, che
con troppa leggerezza, vengono
a volte proposte da alcuni gruppi folklorici che si esibiscono un
folklore di parata con figurazioni
inventate e spacciate per tradizionali.
I balli trasmessi ai ragazzi della scuola, invece, risalgono agli
inizi del XX secolo e molti di essi
n. 04 / 2013
sono ancora vivi nelle vicine campagne
del borgo medievale
di Castelmola, miracolosamente salvate dalla dilagante
musica di consumo.
Si tratta della “Boema”, lo “Scotis”, ‘“u
Danzi” la “Mazurca
fiurata” la “Fasuledda” ecc., danze a
struttura modulare
a coppie miste plurime importate, anche in Sicilia, dagli
Stati mitteleuropei
e poi diffusesi inizialmente negli ambienti aristocratici e,
in seguito, in quelli
piccolo-borghesi e agresti.
La raccolta di queste coreografie
è frutto di una continua ricerca,
incoraggiata anche dal prof. Pino
Gala, componente della Consulta
scientifica della Fitp, durante la
quale sono stati visionati vecchi
filmati, intervistati anziani del
luogo ed effettuate nuove registrazioni multimediali nell’intento di diffondere le tradizioni del
territorio e contribuire alla crescita e all’arricchimento culturale dell’ambiente affinché sopravviva, almeno nella memoria, un
bene culturale immateriale altrimenti destinato a scomparire.
Il Gruppo folklorico “Naxos”, che
il prossimo anno festeggerà le
sue 65 primavere, sta preparando uno spettacolo celebrativo,
una sorta di “revival” che racchiude e racconta la sua intensa e
produttiva attività culturale. Anche in questa occasione saranno
tante le emozioni.
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l’evento
Carovana del Folklore
Emozioni in musica
Un popolo senza memoria è un popolo
senza storia, ma soprattutto senza identità
di Anna Fumagalli
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I colori, i profumi e le forme del paesaggio che ci circondano, gli odori
e le consistenze dei cibi, i ritmi e le
sonorità dei canti antichi, le movenze ora sinuose, ora energiche
delle danze, le storie fantastiche
e misteriose di origini magiche, a
volte spettacolari, a volte oscure e
tenebrose sono il retaggio atavico
di ogni essere umano, quella “memoria” ancestrale che determina
un’appartenenza, una differenza,
una peculiarità che ci rende simili,
ma “diversi” tra uguali, insomma
quel “quid” che definisce la nostra
identità. Questo è il grande merito della “Carovana del Folklore”,
portare a conoscenza di tutti quel
meraviglioso miscuglio che è la
tradizione popolare. Il presidente
dell’Igf, Dorel Cosma, sostiene, alimenta e accompagna con paterna
sollecitudine gli artisti, provenienti
da vari paesi del mondo, che con le
loro performance, peregrinando
tra le nazioni, testimoniano con
convinzione con il linguaggio, in
assoluto, più trasversale e universale della storia dell’Umanità: la
Musica.
Le strutture armoniche che variano a seconda della posizione
geografica, le linee melodiche derivanti dalla discendenza storica,
dai flussi migratori, dalle dottrine
o filosofie religiose, dalle contaminazioni delle dominazioni straniere, gli strumenti spesso semplici,
a volte più ricercati, le modulazio-
ni delle voci assai diverse eppure
con l’unica funzione di esprimere
sentimenti profondi, antichi ma
sempre in divenire, sono ciò che
crea l’atmosfera magica che avvolge l’ascoltatore, trasportandolo
in un’altra dimensione, poiché la
Musica evoca, la musica racconta,
la musica prega, la musica ama, la
musica unisce.
Così sotto un cielo stellato in cui
risplende una falce di luna, in
una piazza di Lecco, tanto cara ad
Alessandro Manzoni, sulla quale
domina il crinale seghettato del
Monte Resegone, davanti al monumento di quel Garibaldi che, non
a caso, fu eroe dei due mondi, su
un palco, di fronte ad un pubblico
attento e partecipe, la sera del 19
giugno scorso, per aprire i festeggiamenti del 25.mo anniversario
di fondazione di un Gruppo folklorico locale, “I Picétt del Grenta” di
Valgreghentino (Lecco), alla presenza del sindaco Virginio Brivio,
di Ernesto Longhi, primo cittadino
di Valgreghentino, dell’assessore
regionale allo sport, Antonio Rossi
(olimpionico di canoa), dell’assessore nazionale della Fitp, Fabrizio
Cattaneo, sotto lo sguardo attento
di Cosma, coadiuvato e supportato dal presidente nazionale della
Fitp, Benito Ripoli, instancabile e
convinto sostenitore della diffusione della cultura tradizionalepopolare, si sono esibiti gli artisti
provenienti da Bulgaria, Ungheria,
Spagna, Israele, Turchia, Romania,
Grecia, Italia e Ucraina in un crescendo di espressività, coloriture,
giochi agogici, idiomi nazionali,
strumenti rappresentativi, costumi
etnici. Cantando e suonando han-
no sussurrato, narrato, declamato
racconti di vita e tormenti d’amore, canti di speranza e di libertà,
espandendo nell’aere circostante
suggestive “immagini armoniche”,
suscitando emozioni e sensazioni
tanto vivide e pulsanti, sì da creare
un’atmosfera palpitante ed elettrizzante nella quale gli astanti si
sentivano sospesi e partecipi di un
evento unico e irripetibile. Le emozioni in musica sono continuate il
giorno seguente in un’atmosfera
da sogno nella magica Albese con
Cassano (Como).
Nelle foto di Vincenzo Castagna alcuni
momenti della manifestazione svoltasi a Lecco
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vita dei gruppi
Lampiusa
Da 45 anni
col folklore
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PARRE (Bergamo) - Era il lontano
1968 quando un paio di parresi
si riunirono per intraprendere
insieme un cammino. Il Gruppo
folklorico “Lampiusa” quest’anno festeggia il suo 45.mo anno di
fondazione. Un traguardo importante, simbolo della capacità del
sodalizio presieduto da Giovanni
Bossetti di rinnovarsi durante gli
anni e rendere sempre interessanti le tradizioni. La missione
che il gruppo si propose era quella di difendere dall’oblio le tradizioni e il costume tradizionale di
Parre, il cui costume è certificato
da fonti storiografiche (il documento più vecchio, in cui si cita
il costume di Parre, è del 1779).
Durante gli anni, l’ensemble bergamasco è sempre riuscito a trovare nuove leve tra i parresi. E
sono molti i nomi legati al gruppo.
L’anniversario sarà festeggiato in
occasione del sesto Festival internazionale del folklore e della
19.ma Sagra dei capù. Quattro
giorni, dal 2 al 5 agosto, tutti da
vivere nel nome delle tradizioni
popolari e del piatto tipico locale,
il capù, una grossa polpetta ricoperta con foglie di verza e ripieno
di magro. Durante i vari Festival,
“Lampiusa” ha visto nascere nei
confronti dei gruppi ospitati forti
legami di stima e amicizia, favoriti
dagli scambi.
L’attività principale del gruppo
è quella di far conoscere gli usi
e costumi di una epoca passata,
dedita alla pastorizia e alla dura
vita della montagna. Ed è proprio
per questo che lo spettacolo del
gruppo è basato su coreografie
legate al mondo del lavoro come
il ballo del Rastel (rastrello), il
ballo della Lana, il ballo del Basol (strumento in legno con ai lati
due tacche per appendere i secchi di acqua o latte così da poter
essere trasportati sulle spalle) e
le Laandine (lavandaie), oltre a
balli dedicati ai momenti di festa come il Saltarel, la Girandola.
I canti, invece, raccontano di storie di innamorati o di carrettieri.
da non dimenticare e gli sketch
molto spiritosi, come Ol marit a
ca tarde, La lèngua di fomne o Du
fomne in piasa. Praticamente, sul
palcoscenico, vengono rappresentati degli spaccati di vita passata
per far gustare al pubblico il sapore autentico di un tempo.
Ittiri Folk Festa
Una girandola di colori, danze e suoni
ITTIRI (Sassari) – Tre giorni di amichevole e festoso confronto fra le
tradizioni sarde e quelle promosse
dai sette gruppi stranieri di Argentina, Croazia, Kenia, Occitania, Ossezia del Nord, Paraguay e Taiwan.
Questo e altro ancora ha regalato la
28.ma edizione di “Ittiri Folk Festa”,
organizzata dall’Associazione “Ittiri
Cannedu”. Un incontro di culture nel
segno dell’ospitalità e amicizia, un
momento di condivisione che resta
nei cuori dei partecipanti e negli
occhi degli spettatori. La messa dei
popoli celebrata nella chiesa di San
Pietro è uno di quei momenti speciali. Oltre ai canti del Coro “Boghes
e Ammentos” di Ittiri, sono risuonate le musiche dell’Occitania, le pre-
ghiere cantate degli
argentini, il canto a
cappella dei keniani, mentre le giovani
ballerine del Taiwan
hanno eseguito una
danza religiosa. Imponente la parata
con 17 gruppi. Aperta come da tradizione dal suono delle
trombe e dei tamburi “Sa Sartiglia”
di Oristano. A seguire, le movenze
aggraziate delle giovanissime ballerine cinesi dei Taiwan Cho-ShuiRiver Art Dance Ensemble-Yun Lin.
Farfalle colorate nel vestito delle ragazze del Paraguay e anfora tenuta
in equilibrio sopra la testa.
Poi il primo gruppo sardo: le donne in costume e gli uomini di Sanluri orgogliosi col loro “collettu” di
cuoio conciato. Ospiti dell’ultima
ora, ma non per questo meno graditi, i percussionisti del Senegal. Nel
corteo irrompono “Sos Corrajos”,
maschere animalesche provenienti
da Paulilatino, “su domadore”, “su
randaceddu”, corna e volti anneriti, sospingono un aratro, tirano
un carretto. Contrasto “clamoroso”: dal nero movimentato al bianco dei costumi indossati dagli alti
ragazzi e ragazze dell’Ossezia del
Nord, che danzano sulle punte al
lento ritmo cadenzato di una musica della Russia al confine con l’Asia.
Le note sarde sono garantite dai
nove fisarmonicisti della Fisorchestra di Ignazio Erbì. Ancora Sardegna col Gruppo folklorico “San Sebastiano” di Samugheo. Dall’Africa la
gioia di vivere dei keniani del Nairobi National Folk Ensemble. Il gruppo
di Villaurbana propone le tradizioni
dell’oristanese e della Marmilla,
quello di Meana Sardo, invece, punta
sulle maschere de “Is Scorronciadores”: legno o sughero, spesso corna
e talvolta denti e zanne, pelli animali
e campanacci. Le coppie argentine
suggeriscono la passionalità e l’eleganza del tango. La chiusura spetta
ai padroni di casa: l’Associazione
“Ittiri Cannedu” sfila con il costume
autentico, quello femminile è ricco
per tessuti e gioielli e con il rosa che
predomina. A fare da retroguardia
alla sfilata, i cavalieri dell’Associazione ippica ittirese.
“Terra del Sole” conquista la Francia
LODI - Consensi e applausi per il Gruppo folklorico “Terra del Sole” al Festival di Bourg Saint Maurice, in Francia. Soddisfatto il presidente Felice
Torre: «Missione compiuta. Un Festival breve ma intenso, organizzazione
perfetta. Abbiamo vissuto una bella esperienza in un contesto magico, una
cittadina attorniata da montagne con paesaggi mozzafiato». In occasione
della trasferta in Francia, Torre ha avuto il piacere di conoscere il presidente
del Cioff della Savoia, Nicolas Charléty. «Il nostro impegno – conclude il presidente del sodalizio lombardo - è stato massimo. Crediamo proprio di aver
lasciato un buon ricordo, testimoniato da applausi scroscianti da parte del
numeroso pubblico». “Terra del Sole” ha conquistato i francesi con la tradizione della Sicilia e della Campania e dell’intera Italia meridionale.
Appuntamenti Fitp
duemilatredici
SETTEMBRE
ITALIA E REGIONI
Isola di Capo Rizzuto
PRESENTAZIONE “PRIMA ETNOGRAFIA D’ITALIA”
“PREMIO COCCHIARA”
Palermo
OTTOBRE
LA FITP INCONTRA IL SANTO PADRE
Udienza riservata ai gruppi folklorici Fitp - Aula Paolo VI
NOVEMBRE
30
OMAGGIO A PADRE PIO
Manifestazione - Pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo
San Severo
DICEMBRE
RASSEGNA NAZIONALE DELLA MUSICA POPOLARE
I PADRI DEL FOLKLORE
(Forse in Sardegna)