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TesiGiovanniDazzi
ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE
“B. C. FERRINI” MODENA
Eretto dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica il 24 agosto 2006
Collegato con la Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna in Bologna
___________________________________________________________________________
Laurea Magistrale in Scienze Religiose
ad indirizzo pedagogico-didattico
LA PARABOLA DEL PADRE
MISERICORDIOSO (Lc. 15,11-32)
E LE SUE RILETTURE.
UNA PROPOSTA DIDATTICA.
Tesi di Laurea di
GIOVANNI DAZZI
Matricola n° 5064
Relatore
Prof. BRUNETTO SALVARANI
___________________________________________________________________
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
INDICE
INTRODUZIONE
1
CAPITOLO 1
LA SCRITTURA COME FONTE DELL'ANNUNCIO
5
1.1 LA PLURALITÀ BIBLICA
5
1.2 L'ERMENEUTICA
8
1.3 LA NARRAZIONE E IL SIMBOLO
11
CAPITOLO 2
LA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO
15
2.1 IL TESTO DEL VANGELO DI LUCA (15,11-32)
15
2.2 I COMMENTI
16
2.2.1
Il contesto
17
2.2.2
Analisi puntuale del brano
18
2.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
32
CAPITOLO 3
LE RILETTURE DELLA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO
3.1 LA PARABOLA NELLA PITTURA
37
38
3.1.1
Heronymus Bosh
38
3.1.2
Il Guercino
40
3.1.3
Mattia Preti
42
3.1.4
Rembrandt
43
3.1.5
Jan Veermer
49
3.1.6
Murillo
51
3.1.7
De Chirico
53
3.1.8
Marc Chagall
54
3.2.
LA PARABOLA NELLA SCULTURA
3.2.1
3.3.
Arturo Martini
LA PARABOLA NELLA LETTERATURA
3.3.1
Giovanni Gondola
57
57
58
58
3.3.2
Voltaire
60
3.3.3
Primo Mazzolari
62
3.3.4
David Maria Turoldo
64
3.3.5
Romano Franco Tagliati
68
3.4.
LA PARABOLA NELLA MUSICA
69
3.4.1
Amilcare Ponchielli
69
3.4.2
Darius Milhaud
71
3.4.3
Sergej Prokofiev
72
LA PARABOLA NEL CINEMA
74
3.5.
3.5.1
Richard Thorpe
74
3.5.2
Jean-Marie Straub e Daniele Huillet
74
3.6.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
75
Allegato 1 (immagine de Il figliol prodigo di Bosh)
81
Allegato 2 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo del Guercino)
82
Allegato 3 (immagine del Ritorno del figliol prodigo di M. Preti)
82
Allegato 4 (immagine de L'allegra coppia di Rembrandt)
83
Allegato 5 (immagine de Il figliol prodigo di Rembrandt)
84
Allegato 6 (immagine de La mezzana di Veermer)
85
Allegato 7 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di Murillo)
86
Allegato 8 (immagine de Il figliol prodigo di De Chirico)
87
Allegato 9 (immagine de Il figliol prodigo di Chagall)
88
Allegato 10 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di P. Batoni)
88
Allegato 11 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di L. Massari
89
Allegato 12 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di Tissot)
90
Allegato 13 (immagine de Il figliol prodigo di A. Martini)
90
CAPITOLO 4
UNA PROPOSTA DIDATTICA
4.1 STRUMENTI UTILIZZATI
91
91
4.1.1
La Bibbia a scuola
91
4.1.2
Il pensiero narrativo
94
4.1.3
Bibbia e arte
97
4.1.4
L'utilizzo in classe del cooperative learning
99
4.2 PROPOSTA DI UNA UNITÀ DI APPRENDIMENTO
«Le concezioni di Dio: dal dio pagano al Dio della Rivelazione»
100
4.2.1
Struttura delle lezioni
102
4.2.2
Verifica di apprendimento
116
Tabella riassuntiva dell'Unità di apprendimento
120
CONCLUSIONI
121
BIBLIOGRAFIA
127
INTRODUZIONE
Ormai diversi anni fa, ho incontrato, piuttosto casualmente, una riproduzione su legno, in
grande formato, del dipinto Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, che da allora non ho
più lasciato.
Mi sembrava di vedere, in quel quadro, attraverso quella simbologia, la raffigurazione più
credibile di Dio, del Dio-amore.
Il dipinto mi ha in qualche modo incoraggiato a risalire al brano del Vangelo che lo ha
ispirato e ad approfondirlo, cercando di coglierne i molteplici significati, e a purificare
l'immagine di Dio che mi ero creato, liberandola dalle incrostazioni.
Queste incrostazioni, purtroppo, sono piuttosto diffuse e rischiano di scandalizzare, di fare
cadere, inciampare, le persone che, a causa della loro storia e del loro vissuto, non sono
ancora pervenute ad una fede salda e adulta, non avendo ancora potuto sperimentare
nella propria vita la misericordia e la paternità di Dio, o causarne l'allontanamento dalla
fede.
L'ateismo, a volte, si può considerare come una reazione, una contestazione nei confronti
di certe immagini inautentiche di Dio.
Quanto a quelli che si dicono atei, senza Dio, noi cristiani dobbiamo rispettare la loro
affermazione, chiedendoci però subito: quale Dio negano? Di quale Dio vogliono essere
privi? Del Dio che noi cristiani raccontiamo, che tramandiamo culturalmente, oppure del Dio
che è vita, amore, misericordia, del Dio vivente? Qui va detto con chiarezza: noi credenti
dobbiamo essere consapevoli che a volte forgiamo immagini perverse di Dio, e quindi
rendiamo Dio causa di bestemmia tra le genti (cf. Ez 36,20-22; Rm 2,24). Ecco perché
1
anche di fronte a coloro che si definiscono atei, non credenti in Dio, dobbiamo innanzitutto
interrogarci e rispettare il loro mistero. 1
Capita purtroppo di sentire dichiarazioni a mio parere molto gravi, inaccettabili e fuorvianti
che producono facilmente e giustamente reazioni di rifiuto, ad esempio quella del direttore
di radio Maria che ha dichiarato che con il terremoto in Abruzzo, avvenuto durante la
Settimana Santa, «il Signore ha voluto associare gli uomini alle sue sofferenze», o quella
del vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che dai microfoni della
stessa emittente, in occasione del tragico sisma che ha colpito il Giappone ha dichiarato:
«Le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio e sono talora
esigenza della sua giustizia della quale sono giusti castighi»!
I cristiani sono portatori di una importante responsabilità: quella di annunciare il Vangelo,
che è buona notizia e quindi trasmettere una immagine di Dio, il Dio di Gesù, il Dio
misericordioso, con le parole, con la vita e con i comportamenti.
Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che
vivono con me. Quando questo volto esprime pace, speranza, gioia e felicità, perchè il mio
comportamento genera tutto questo, allora è evidente che il mio comportamento è
eticamente corretto. 2
C'è una preghiera dalla quale è stato tratto anche un canto liturgico, che esprime bene
questo concetto:
Cristo non ha mani,
ha soltanto le nostre mani,
per fare il suo lavoro oggi.
Cristo non ha piedi,
ha soltanto i nostri piedi
1
2
E. BIANCHI, «Vivere davanti a Dio, con Dio e senza Dio», in Jesus 12(2001)
J.M. CASTILLO, Fuori dalle righe. Il comportamento del Cristo, Cittadella, Assisi 2010, 62
2
per guidare gli uomini sui suoi sentieri.
Cristo non ha labbra,
ha soltanto le nostre labbra
per raccontare di sé agli uomini di oggi.
Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora;
siamo l’unico messaggio di Dio,
scritto in opere e parole.
Chi ha incontrato il Dio misericordioso descritto dall'omonima parabola, non può fare a
meno di annunciarlo con le parole e con le opere, e lo deve fare soprattutto con un
comportamento limpido, con una pratica cordiale dell'ascolto e del confronto.
Servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza stessa che la vita cristiana è
«buona»: quale segno più grande di una vita abitata dalla carità, dal fare il bene, dall'amore
gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini,
soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia? I cristiani di questo secolo sanno
mostrare una fede che plasma la loro vita a imitazione di quella di Gesù fino a fare apparire
in essi la differenza cristiana? La loro vita propone una forma di uomo, un modo umano di
vivere che racconti Dio, attraverso Gesù Cristo? Perchè anche le gioie e le fatiche che il
cristiano incontra ogni giorno diventino eventi di bellezza occorre una vita capace di
cogliere sinfonicamente la propria esistenza assieme a quella degli altri e del creato intero.
Tale dovrebbe essere la vita cristiana: liberata dagli idoli alienanti come delle comprensioni
svianti della religione, contrassegnata dalla speranza e dalla bellezza. I grandi maestri della
spiritualità cristiana hanno sempre ripetuto: «O il cristianesimo è filocalia, amore della
bellezza, via pulchritudinis, o non è» ! E se è via della bellezza saprà attirare anche altri su
quel cammino che conduce alla vita più forte della morte, saprà essere narrazione vivente
del Vangelo per gli uomini e le donne di questo nostro tempo. 3
Questo lavoro vorrebbe tracciare un percorso di ricerca e di proposta del Dio
misericordioso partendo dall'esplicitazione di alcuni criteri di approccio al testo biblico, che
deve essere sempre fonte e centro del nostro annuncio, nel primo capitolo, per poi
3
E. BIANCHI, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006, 78-80
3
soffermarsi in modo particolare sul brano della parabola del Vangelo di Luca (15,11-32)
per esaminarne il testo ed alcuni commenti nel secondo capitolo;
nel terzo capitolo si ripercorrono le principali rappresentazioni artistiche ispirate dalla
parabola, seguendo la via della bellezza, ricercata ed espressa nella pittura, nella scultura,
nella letteratura (commedia, poema religioso, poesia, romanzo), nella musica (opera,
cantata, balletto, oratorio musicale) e nel cinema;
viene poi proposta, nel quarto capitolo, una unità di apprendimento, che tenta di aiutare gli
studenti delle scuole secondarie di secondo grado a decostruire le immagini inautentiche
di Dio per concentrarsi, attraverso la parabola e il dipinto di Rembrandt, sul Dio-amore
annunciato da Gesù.
4
CAPITOLO 1
LA SCRITTURA COME FONTE DELL'ANNUNCIO
Dopo secoli di «oblìo biblico», finalmente il Concilio Vaticano II ha riportato le Scritture al
centro della vita dei credenti, che sono convocati e radunati dalla Parola di Dio.
La Chiesa è consapevole di essere “sotto” questa Parola che ne ha provocato la nascita,
ne giustifica l'esistenza , ne guida l'azione e ne garantisce l'efficacia nella misura
dell'obbedienza ad essa. Il servizio della Parola richiede alla Chiesa una scrupolosa fedeltà
all'annuncio che le è stato affidato: essa è responsabile che tutta la Parola di Dio venga
trasmessa, nella sua integrità, senza mutilarla, falsificarla o diminuirla. 4
La Scrittura deve essere quindi la «norma normante» di qualsiasi annuncio relativo alla
sfera del divino e della sua azione nei confronti dell'umanità.
La Scrittura però è un'opera molto complessa, costruita in un vasto arco temporale, e per
avere un approccio serio con essa ed evitare di cadere in funesti fondamentalismi, è bene
tenere conto di alcuni aspetti che verranno trattati brevemente a seguire.
1.1 LA PLURALITA' BIBLICA
Quando incontriamo una pagina biblica, entriamo in un mondo vastissimo, in un «grande
codice» caratterizzato dalla pluralità.
La Bibbia infatti è costituita da tre lingue (ebraico, aramaico e greco), esprime due mondi
(quello semitico e quello greco), e si può definire contemporaneamente come
4
I. SEGHEDONI, Teologia dell'evangelizzazione. Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto superiore di Scienze
Religiose «B. C. Ferrini» di Modena a.a. 2009-2010, 4, 29.
5
Parola di Dio e parola di uomo, un solo libro e molti libri, il libro di un popolo (e di una
Chiesa) e il libro dell'umanità (di tutti). 5
Sulla prima affermazione, la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione del Concilio
Vaticano II, la Dei Verbum, recita:
La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia
dell'Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione
dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati
consegnati alla Chiesa 6
Ma la Parola delle Scritture nasce da un incontro, Dio e l'uomo sono entrambi presenti, e
gli autori biblici si possono considerare veri autori, perchè l'azione di Dio è rispettosa e non
usa gli uomini dominandoli come suoi strumenti, per cui è necessario tenere conto della
mentalità, del contesto storico e culturale dell'epoca in cui sono stati composti.
Il metodo storico-critico è il metodo indispensabile per lo studio scientifico del significato dei
testi antichi. Poiché la Sacra Scrittura, in quanto «Parola di Dio in linguaggio umano», è
stata composta da autori umani in tutte le sue parti e in tutte le sue fonti, la sua giusta
comprensione non solo ammette come legittima, ma richiede, l’utilizzazione di questo
metodo. 7
Riguardo alla seconda affermazione (un solo libro e molti libri), si può sostenere che le
Scritture portino in sé una unità fondata sulla diversità, che si manifesta nella dualità Primo
Testamento - Nuovo Testamento, che porta con sé ineludibili riflessioni relative al dialogo
ebraico-cristiano:
5
6
7
P. LOMBARDINI, Introduzione alla Sacra Scrittura (Dei Verbum). Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto di
Scienze Religiose «Mons. Leone Tondelli» di Reggio Emilia a.a. 1996-1997, 1.
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum 11,
Enchiridion Vaticanum 1/501, EDB, Bologna 1981.
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1993, 1A.
6
Il rapporto permanente Israele-Chiesa: un unico popolo di Dio in due forme storiche, di cui
la prima è la radice permanente della seconda e la seconda si presenta permanentemente
in stato di adempimento della prima. 8
Purtroppo ci sono state e ci sono tuttora spinte che vanno nella direzione della «teologia
della sostituzione» che porta ad affermare la nostra elezione, considerando abolita e
sostituita quella di Israele. E' nostro compito correggere queste visioni deleterie.
La Bibbia ci educa all'apertura mentale e ci spinge a non chiuderci alla molteplicità delle
sue interpretazioni e dei suoi significati (un altro esempio significativo di pluralità è il fatto
che i Vangeli siano quattro e non uno solo...).
Riguardo infine alla terza affermazione della frase iniziale (libro di un popolo e libro
dell'umanità), si può prendere come esempio vivente che ha incarnato in sé questa sintesi
Paolo, ebreo osservante e Apostolo dei Gentili.
Dio ha incaricato Cristo della salvezza del mondo , per la salvezza di tutti senza distinzioni.
Dio ha da sempre voluto questo – tanto che lo ha proclamato in anticipo ad Abramo – e la
sua volontà è conforme a quanto detto nelle sacre Scritture. Questa salvezza si compie
ora, negli ultimi giorni, e lui stesso, Paolo, per quanto indegno, come apostolo ha il compito
di introdurre i Gentili nel popolo di Dio” 9
L'annuncio di salvezza, dapprima rivolto al popolo di Israele, gradualmente supera i
confini, si estende fino a toccare l'umanità intera.
8
9
P. LOMBARDINI, Introduzione alla Sacra Scrittura (Dei Verbum). Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto di
Scienze Religiose «Mons. Leone Tondelli» di Reggio Emilia a.a. 1996-1997, 10.
E. P. SANDERS, Paolo, la legge e il popolo giudaico, Paideia, Brescia 1989, 271.
7
1.2 L'ERMENEUTICA
L' ermeneutica si può definire come la dottrina dell'interpretazione, cioè la comprensione di
quello che avviene ogni volta che una persona capisce, o tenta di capire, o crede di avere
capito, qualcosa che un altro ha espresso.
Questa parola, tanto cara alla filosofia e alla teologia contemporanea, ha alla sua radice
una evocazione pagana, quella del dio greco Hermes, considerato come il latore di oracoli
che esprimevano ed interpretavano la volontà suprema degli dei. 10
Per la teologia, le acquisizioni delle scienze linguistiche ed ermeneutiche hanno avuto
notevoli conseguenze teoriche e pastorali.
Come era accaduto al sorgere della scienza, l'emergere della coscienza storica provocò
una rivoluzione all'interno del pensiero teologico. La visione scientifica del mondo ha
sconvolto l'intera concezione cristiana della realtà, mettendo in questione l'orizzonte di
comprensione dei testi biblici. 11
Il problema ermeneutico è il nodo attraverso il quale passa ogni tentativo di rinnovamento
teologico; questa scienza è piuttosto recente, e in passato è spesso mancata la
«coscienza ermeneutica» nell'interpretazione delle Scritture, che non teneva conto della
loro storicità.
Per fare un esempio, quando Paolo parla di carne, intende la chiusura dell'uomo su se
stesso e la sua incapacità ad operare il bene; nella predicazione cattolica di un certo
periodo storico, invece, questa parola è diventata l'indicazione della sensibilità vista come
fonte di desideri cattivi...
10
11
G. RAVASI, «L'ermeneutica», in Famiglia Cristiana 37(2008)151.
C. MOLARI, Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi 2007, 33.
8
La coscienza ermeneutica quindi esige che davanti ad un testo lontano da noi, ci poniamo
una serie di domande, del tipo: «che cosa significa questo termine in questo autore, in
questo contesto, in questo periodo?».
L’incarnazione del Verbo, la sua umiliazione nell’assumere una forma temporale in una
determinata epoca storica, nell’ambito di una determinata cultura, è un fatto che ha la sua
ripercussione per tutte le culture susseguenti, e le obbliga a volgersi continuamente, e con
fedeltà a questo momento privilegiato e lasciarlo operare, come principio formativo e
insostituibile, nel loro interno. 12
Oltre alla storicità del testo, però, occorre tenere conto anche della storicità del lettore, che
ha categorie culturali, storiche e geografiche sue.
Si può affermare che non è possibile interpretare un testo orientale antico con categorie
occidentali moderne.
Normalmente il lettore non ha la possibilità di accedere al testo in lingua originale e si trova
di fronte a una traduzione di un testo trasmesso, per quanto riguarda ad esempio i Vangeli,
duemila anni fa, scritto in una lingua (greco biblico) ormai defunta, e con immagini
scaturite da una cultura orientale molto differente e spesso opposta da quella
occidentale.
Per trasmettere la “Buona Notizia” di Gesù gli evangelisti preferiscono adoperare le
immagini anziché i concetti. I vangeli pur essendo un'opera teologica non sono una
sequenza di freddi concetti teologici ma di calde immagini riguardanti la vita.
Per questo quando si legge il vangelo è necessario distinguere che cosa l’autore
intende comunicare da come lo esprime.
Il messaggio che l’evangelista trasmette è la Parola di Dio sempre attuale nel tempo. Il
modo di presentarla appartiene al suo mondo culturale, una cultura che predilige
l'immagine al concetto. 13
Il testo e il lettore devono entrare in dialogo, e questo può avvenire attraverso il circolo
ermeneutico.
12
13
PAOLO VI, Instancabile opera della Chiesa per l’esatta interpretazione della Parola di Dio.
Discorso agli esegeti italiani dello XXI Settimana biblica italiana, in AAS LXIII (1970) 9, 615- 619.
A. MAGGI, Come leggere il Vangelo e non perdere la fede, Cittadella, Assisi 2001, 10.
9
Quest'ultimo è quindi costituito da due poli:
il primo polo è un movimento che va dal testo al lettore, chiamato ad essere attento al
mondo del testo per comprenderlo correttamente, superando la sua distanza culturale
con la scrittura biblica;
il secondo polo è il movimento che va dal lettore al testo, che in un qualche modo si
adatta, si evolve e viene attualizzato.
Il testo viene così reso in qualche modo simile al lettore e il lettore viene reso simile al
testo.
La lettura di ogni testo della bibbia, e quindi anche delle parabole, richiede che si compiano
sempre tre passi per fare un buon cammino di comprensione:
 Esegesi: ricostruzione del significato del testo nel suo contesto culturale;
 Attualizzazione culturale: trascrizione di quel senso nel nostro contesto culturale;
 Attualizzazione esistenziale: incidenza del messaggio per la vita del lettore.
L'esegesi è il presupposto di ogni altra comprensione (ciò che il testo voleva dire allora);
l'attualizzazione culturale risponde al tema della distanza (il testo appartiene ad un mondo
culturale che non è il mio, che mi è estraneo) e l'attualizzazione esistenziale a quello della
rilevanza (il testo porta con sé un messaggio che vuole avere importanza per ogni tempo e
cultura).
Possiamo dire che una buona ermeneutica di un testo biblico si basa su tre attenzioni:
 Attenzione al testo (mettere da parte per un attimo la propria cultura di partenza per
diventare l'uomo che ascolta direttamente, in quel tempo, le parabole di Luca o gli
insegnamenti trasmessi da Matteo...)
 Attenzione al nostro contesto (mettersi in dialogo con un interlocutore, nel nostro
caso un testo scritto)
 Attenzione al pre-testo (il già saputo, le rappresentazioni interiori, sempre unite a
stati emotivi positivi o negativi, interiorizzati attraverso l'educazione o la
diseducazione biblica precedente).14
14
I. SEGHEDONI, Teologia dell'evangelizzazione. Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto superiore di Scienze
Religiose «B. C. Ferrini» di Modena a.a. 2009-2010, 4, 41-42.
10
1.3 LA NARRAZIONE E IL SIMBOLO
Gli studi biblici hanno ormai ampiamente assodato che le Scritture ebraico-cristiane sono
costituite ampiamente ed essenzialmente da racconti e narrazioni simboliche.
All'interno dei vari generi letterari, i testi narrativi hanno il primato.
Anche i testi dei Vangeli, non sono da considerare tanto come cronache storiche, bensì
come costituiti in gran parte da racconti che contengono profondi significati e che
veicolano dei messaggi importanti.
Alcuni brani dei Vangeli, se interpretati in senso letterale, possono risultare paradossali;
per fare un esempio, la risurrezione di Lazzaro può suscitare interrogativi curiosi: una
risurrezione a scadenza, per poi morire di nuovo? Ma, indipendentemente da come si
sono svolti i fatti storici, quell'episodio ci offre profondi significati e preziose indicazioni sul
tema della vita dopo la morte corporea.
All'origine di tutte le grandi religioni, del resto, si trovano grandi tradizioni narrative, perchè
il racconto è l'ambito più adatto a dire Dio, e la fede nasce in primo luogo dai racconti.
Si può affermare che, nonostante la Rivelazione, Dio resta in qualche modo inconoscibile
ed incomprensibile, per cui, per tutto quello che possiamo e dobbiamo dire del mistero
divino, c'è molto di più che rimane non detto.
Tutto il nostro dire di Dio si può paragonare ad un dito che indica la luna, e che deve
richiamare l'attenzione sulla luna e spingere lo sguardo verso di essa; se l'attenzione si
ferma sul dito i nostri orizzonti si riducono a poca cosa...
11
Riguardo a questo argomento, quindi, occorre fare molta attenzione. Riconoscere che
molti dei contenuti biblici non sono cronache storiche ma racconti, non significa affatto
sminuirne il valore.
Racconto simbolico non significa irreale, ma può dirsi un escamotage di linguaggio per
parlare in qualche modo di quello che va al di là del razionalmente comprensibile. Gesù
risorto con un “corpo glorioso” significa che non è ritornato nella nostra dimensione
contraddittoria , ma vive oltre i limiti terreni. Naturalmente non abbiamo alcuna possibilità di
sapere come, ma possiamo capire che prendere alla lettera i racconti del Vangelo rischia di
condurre fuori strada. 15
I racconti hanno indiscutibilmente molto potere: affascinano, rimangono spesso scolpiti
nella memoria, possono davvero trasformare le persone.
I racconti si sviluppano con atti squisitamente performativi: si narra, cioè, in vista della
salvezza, per modificare la situazione vitale e rinnovare l'esistenza umana, la società tutta.
E solo in quanto si è stati testimoni si può diventare narratori efficaci della salvezza; solo
quando accade qualcosa nel presente ciò che viene narrato diventa significativo, e ripeterlo
è la verifica del suo senso, l'ostensione della sua verità. 16
La narrazione autentica, ha e deve avere anche una funzione terapeutica, come ci dice
questo bel racconto riportato da Martin Buber:
Ad un rabbino, il cui nonno era stato discepolo del Baal-Shem, fu chiesto di raccontare una
storia.
«Una storia», disse egli, «va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto.» E raccontò:
«Mio nonno era paralitico. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro.
Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio
nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare
saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno
raccontate le storie». 17
15
16
17
A. THELLUNG, Una saldissima fede incerta, Paoline, Milano 2011, 165-166
B. SALVARANI, In principio era il racconto. Verso una teologia narrativa, EMI, Bologna 2004, 36
M. BUBER, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, 3-4
12
Il simbolo, sia nelle scritture che nell'arte, è il luogo privilegiato e insostituibile per
presentare i contenuti della fede.
Il simbolo non attribuisce alle cose e alla realtà un significato estrinseco ma, al contrario,
permette di evocare e quindi di far emergere il significato nascosto e recondito che la realtà
cela e nasconde. In quest'opera di rivelazione il simbolo non ha bisogno di spiegazioni e
non costringe nemmeno ad accettare un unico significato, pioché la dinamica che lo anima
è quella del coinvolgimento e dell'attrazione non costringente. 18
Noi non possiamo avere esperienza diretta di Dio: «Dio nessuno l'ha mai visto» (Gv. 1,18).
C'è sempre una frapposizione, un veicolo, una mediazione: È il simbolo che svolge questo
ruolo insostituibile.
Che cosa sono, queste cose meravigliose, benché limitanti, chiamate simboli? Cercando di
evitare tutta la massa di discorsi filosofici che si è accumulata nel tentativo di rispondere a
questo interrogativo, potremmo dire che essenzialmente i simboli sono oggetti, parole,
immagini, storie o pezzi di normale esperienza che rendono presenti o danno espressione
a realtà che altrimenti sarebbero amorfe e indescrivibili. I simboli ci mettono in grado di
sentire o di parlare di cose che in se stesse sono difficili da sentire o da discutere a parole.
Ecco alcuni esempi comuni ma preziosi:
un anello che simboleggia l'amore (almeno nella cultura occidentale, giacché i simboli sono
condizionati dalle culture), una colomba che suscita un sentimento di pace, una storia
eroica che accende in noi il coraggio. 19
Dobbiamo quindi avvertire l'urgenza di riscoprire l'utilizzo del simbolo e del racconto
nell'annuncio di evangelizzazione, insieme alle esposizioni dogmatiche, ne va del futuro
della Chiesa e della fede.
Mi verrebbe da proclamare: o le chiese cristiane reimpareranno pazientemente a narrare, e
a narrare efficacemente le loro storie fondative, o ben difficilmente potranno sperare di
18
19
G. MORANDI, Bellezza. Luogo teologico di evangelizzazione, Paoline, Milano 2009, 143
P. KNITTER, Senza Buddha non potrei essere cristiano, Fazi, Roma 2011, 89-90
13
avere un futuro significativo per l'umanità in cui sono immerse. Sulla loro disponibilità, e
capacità, di raccontare la differenza evangelica, se ne misurerà la qualità del domani. 20
20
B. SALVARANI, In principio era il racconto. Verso una teologia narrativa, op. cit., 27
14
CAPITOLO 2
LA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO
Tenendo conto di questi concetti, si può ora esaminare la nota parabola riportata dal
Vangelo di Luca al capitolo 15 (dalla nuova versione CEI 2008), proponendo alcuni
commenti esegetici.
2.1 IL TESTO DEL VANGELO DI LUCA 15,11-32
11Disse
ancora: «Un uomo aveva due figli.
12Il
più giovane dei due disse al padre: “Padre,
dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
13Pochi
giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là
sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
14Quando
ebbe speso tutto,
sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
15Allora
andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei
suoi campi a pascolare i porci.
16Avrebbe
voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i
porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre
hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
18Mi
dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;
alzerò, andrò da mio padre e gli
19non
sono più degno di essere
20Si
alzò e tornò da suo padre.
chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si
15
gettò al collo e lo baciò.
21Il
figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;
non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.
22Ma
il padre disse ai servi: “Presto,
portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai
piedi.
23Prendete
il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,
24perché
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E
cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino
a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto
questo.
27Quello
gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.
28Egli
si indignò, e non voleva entrare. Suo
padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni
e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far
festa con i miei amici.
30Ma
ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue
sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.
“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;
32ma
31Gli
rispose il padre:
bisognava far festa e
rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato
ritrovato”».
2.2 I COMMENTI
Questa parabola è talmente ricca di significati che è stata intitolata dagli esegeti in modi
diversi, a seconda del personaggio o del tema spirituale che volevano mettere in primo
piano; è stata definita infatti come parabola del «figliol prodigo», soprattutto in passato, del
16
«padre misericordioso», del «padre che aveva due figli», dei «due fratelli» del «fratello
invidioso», della «conversione cristiana»...
Sicuramente è un testo talmente noto che rischia di essere rimosso ed etichettato con il
titolo di «già sentito». Esaminandolo attentamente, invece, ci può riservare molte sorprese,
e farci riflettere in profondità su molteplici aspetti della vita spirituale.
2.2.1 Il contesto
La parabola è preceduta da altre due brevi parabole, quella della «pecora perduta» (Lc.
15, 4-7) e quella della «moneta smarrita» (Lc. 15, 8-10), nelle quali Gesù annuncia la
grande gioia di Dio per l'accoglienza di un peccatore.
Queste parabole, insieme a quella del «Padre misericordioso», sono rivolte agli scribi e ai
farisei che lo criticano per il suo comportamento per loro inaccettabile: non solo Gesù
accoglie i pubblicani e i peccatori, ma addirittura mangia con loro.
Nel mondo palestinese il cibo era servito in un unico piatto dal quale tutti si servivano e
mangiare insieme significava comunione di vita. Se colui che vi prendeva il cibo era un
impuro, tutto il piatto diventava infetto e l'impurità si trasmetteva a tutti i commensali.
Secondo le persone religiose, con i peccatori non si può pranzare insieme, ma si deve
imporre loro il digiuno penitenziale. Per scribi e farisei Gesù non è un modello di santità,
ma, con tutta evidenza, è un impuro come l'immonda gentaglia che lo circonda. E neanche
è valida la giustificazione adottata da Gesù che lui è venuto a chiamare “i peccatori perchè
si convertano” (Lc. 5,32).
Non viene forse insegnato dai rabbini che “Nessuno si incontri con il peccatore, neanche
per condurlo allo studio della Legge” ? (Mek. Amalek 3,65a). 21
Quella che agli occhi degli scribi e dei farisei è una grave trasgressione della Legge, agli
occhi di Gesù è l'occasione per manifestare l'amore di Dio nei confronti dell'uomo. E la
21
A. MAGGI, Parabole come pietre, Cittadella, Assisi 2001, 61.
17
terza di queste parabole racconta questo amore in un modo bellissimo, ed è rivolta proprio
a coloro che si scandalizzano dell'atteggiamento di accoglienza che Gesù mette in atto nei
confronti dei peccatori.
Sono tre ma forse è una parabola sola. Il contesto è quello della mormorazione. Tre volte
questo verbo “mormorare” e tre volte per dire la reazione scandalizzata, la disapprovazione
di certi circoli religiosi per l'atteggiamento di Gesù verso chi era considerato perduto, verso i
peccatori. Essi notavano quasi un feeling tra i peccatori e Gesù: sì, era lui a cercarli ma
anche loro era come se fossero attratti. Lui aveva simpatia per loro, ma anche loro per lui!
Si facevano vicini. Una chiesa, se vuole essere simile al suo Signore, dovrebbe
scandalizzare proprio per questo, per la sua misericordia. Una chiesa che si bea tra i buoni
non è ancora la chiesa di Gesù. Se scandalizziamo per la nostra cordialità con chi è
lontano, con questo feeling evangelico con chi è perduto, siamo in buona compagnia,
siamo nella compagnia di Gesù. 22
2.2.2 Analisi puntuale del brano
vv. 11-12
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre,
dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Di questa prima parte della parabola colpisce senz'altro la richiesta del figlio, che chiede
l'eredità al padre ancora vivente, e non di meno la risposta del padre, che acconsente
prontamente.
Gli esegeti commentano in modi diversi questi atteggiamenti che sembrano strani, ma la
diversità delle interpretazioni è positiva e fa parte della pluralità biblica e della sua
eccedenza di senso.
Luciano Monari evidenzia la ricerca di autonomia del figlio minore:
22
A. CASATI, Gli occhi e la gloria, Centro Ambrosiano, Milano 2003, 192-193.
18
Il figlio minore sente il padre come un impedimento alla sua piena realizzazione e perciò
percorre un cammino di progressivo allontanamento da lui, prima domanda la separazione
dei beni, poi abbandona la casa paterna e si reca in un “paese lontano”, che vuol dire un
posto dove del padre non ci sia nemmeno l'ombra, dove quindi si possa vivere in piena
autonomia. 23
Alberto Maggi sottolinea la bramosia del figlio minore:
La richiesta di avere la sua parte dei beni è stata fatta dal minore dei figli, ma il padre,
sottolinea Gesù, divide tutte le sue sostanze anche con il figlio primogenito. Sicché i due
fratelli sono già in possesso dell'intero patrimonio paterno, con il vantaggio per il figlio
maggiore di ricevere il doppio del minore, perchè così prescrive la Legge (Dt. 11,17).
L'azione del padre, anche se perfettamente legale dal punto di vista giuridico, è sconsigliata
dalla Bibbia: “Finché vivi e c'è respiro in te, non abbandonarti in potere di nessuno. E'
meglio che i figli ti preghino che non rivolgerti tu alle loro mani. Quando finiranno i giorni
della tua vita, al momento della morte, assegna la tua eredità”. (Sir. 33,21-22.24). La
bramosia di poter possedere subito la parte di eredità che gli sarebbe spettata non
permette al figlio di attendere la morte del padre. Per lui il padre è già morto, e pretende la
sua eredità. 24
Giovanni Benassi fa risaltare la non eccezionalità della richiesta del figlio:
Secondo il diritto di allora, soltanto il primogenito ereditava il podere di famiglia, mentre al
figlio cadetto andava parte delle proprietà che non facevano parte del podere. Sembra
inoltre che ci fosse l'usanza che il figlio cadetto potesse chiedere di essere liquidato, cioè di
avere la sua parte e gestirla in proprio anche prima della morte del padre. Quella che a noi
oggi sembra una incredibile arroganza, forse suonava normale alle orecchie degli
ascoltatori di Gesù (la quota che gli spettava non intaccava la proprietà di famiglia, intesa
soprattutto come proprietà terriera). 25
Mauro Orsatti riflette sull'atteggiamento del padre in seguito a questa richiesta:
Il Padre poteva reagire in molti modi, ne ipotizziamo alcuni:
23
24
25
L. MONARI-S. SIRBONI, Lampada per i miei passi. Spunti per le omelie dell'anno C, EDB, Bologna 1994, 82.
A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 62.
G. BENASSI, Il mestiere di Dio, Cittadella, Assisi 2001, 54.
19
 rifiutare, adducendo la giustizia e il suo diritto vigente contro il diritto del figlio ancora latente
e futuro
 convincere il figlio della inutilità o della pericolosità di tale richiesta, prevedendo un poco
oculato uso di tanta ricchezza affidata a mano inesperta
 rispondere duramente all'insolenza e tracotanza del figlio minore che richiedeva qualcosa
fuori dal normale; se dura era la richiesta, dura poteva suonare la risposta.
Nessuna di queste possibilità viene presa in considerazione dal padre, di cui non
conosciamo la reazione immediata e nemmeno i sentimenti. Il padre sceglie una strada
lontana dalla logica comune, la strada di una sconcertante arrendevolezza: non una
obiezione, non una parola, non un estremo tentativo di impedire questo dissennato progetto
del figlio più giovane. 26
Forse il padre ha voluto rispettare la personalità e l'autonomia del figlio al quale pare che
andasse stretta la permanenza in famiglia.
Il padre non l'ha trattenuto perchè educare significa rispettare la libertà dell'altro, anche a
costo di rischiare molto. Il suo agire, quindi, non è da interpretare come indifferenza o
disinteresse, ma come coraggio di rischiare e di sperare nel valore del bene.
vv. 13-16
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese
lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso
tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel
bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo
mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si
nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.
Il figlio attende qualche giorno prima di partire, si deve organizzare.
26
M. ORSATTI, Un Padre dal cuore di madre, Ancora, Milano 1998, 31-32.
20
Impiega alcuni giorni probabilmente per convertire in denaro contante la sua parte di
eredità. Poi non solo lascia la casa paterna, ma abbandona la sua stessa nazione. Il
“Paese lontano” indica la terra pagana, quella dell'esilio e dell'idolatria (Ger. 46,27). Egli
non abbandona solo il Padre, ma si allontana anche dal Dio d'Israele. 27
Per il figlio minore, le prospettive sono le migliori, possiede gli ingredienti di solito ritenuti
indispensabili per la felicità: è giovane, è ricco ed è libero.
La giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale) è una
singolare ricchezza dell'uomo, di una ragazza o di un ragazzo, e il più delle volte viene
vissuta dai giovani come una specifica ricchezza. 28
La ricchezza materiale è un ideale molto perseguito in tutte le epoche storiche, viene
considerata la chiave per la felicità perchè in grado di soddisfare i bisogni. Le persone
ricche, spesso sono invidiate, ammirate e al centro dell'attenzione.
Le ricchezze moltiplicano gli amici, ma il povero è abbandonato anche dall'amico che ha
(Proverbi, 19,4)
La libertà permette di usufruire della ricchezza e della giovinezza.
Il ragazzo però non eccelle come amministratore..
In poco tempo anche le ricchezze più consistenti si possono dilapidare, le dipendenze
prosciugano tutto quello che il padre aveva messo insieme in anni di duro lavoro.
Dilapidare l'eredità paterna è qualcosa di estremamente evocativo: dietro questo
tradimento umano c'è il fallimento di tutto il lavoro e della vita del padre. Ed è per questo
che il figlio dirà più avanti “ho peccato contro di te”. Ha disperso quello che il padre aveva
messo insieme. 29
27
28
29
A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 62.
GIOVANNI PAOLO II, Dilecti amici. lettera apostolica per l'anno internazionale della gioventù, N° 3 (dal sito
www.vatican.va )
G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 55.
21
Aveva puntato tutto sul denaro, quando il denaro finisce non c'è più nulla, lui non è più
nessuno. Non ha più niente e non è più niente.
L'eredità che ha frettolosamente preteso è stata frettolosamente dilapidata.
L'eredità acquistata in fretta non sarà benedetta alla fine (Proverbi, 20,21)
La carestia, imprevista, viene ad aggravare la situazione. Forse è simbolo degli imprevisti
della vita, sempre in agguato. Allora si adatta cercando un lavoro.
Lavorare non è degradante per un ebreo, ma non tutti i lavori sono accettabili nella
mentalità ebraica: tra questi la custodia dei porci, animali immondi la cui carne non si
poteva mangiare né toccare (Lv. 11,7). All'umiliazione di tale lavoro si aggiunge anche il
disinteresse degli altri per la sua persona, ovviamente perchè il padrone era più interessato
a ingrassare i suoi porci che non a sfamare questo avventuriero di passaggio. Davvero
brusco il cambiamento da giovane galante con tanti soldi a guardiano di porci cui
contendere le ghiande! 30
Gesù è un grande narratore, descrive una situazione di massimo degrado ma in modo
realistico: è possibile che tutto questo possa succedere.
vv. 17-19
Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io
qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il
Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno
dei tuoi salariati”
Dal testo sembra proprio che sia il bisogno, e non tanto il pentimento, la convenienza più
che la nostalgia di casa e del padre a spingere il figlio a questa riflessione che preluderà al
ritorno.
Bisogna subito sfatare una mitologia che vede in questo “ritorno/rientro in sé” il principio di
una conversione, al punto di presentare il “figliol prodigo” come modello del convertito. Non
30
M. ORSATTI, Un Padre dal cuore di madre, op. cit., 36-37.
22
è così! In questa lettura c'è la prova che spesso la Scrittura è interpretata in base al
significato delle traduzioni e non a partire dal testo originario, come dovrebbe fare un lettore
attento, per non rischiare di alterare il senso stesso della Parola di Dio. Il figlio fa il
confronto tra sé e i salariati di suo padre. Vi sono due idee sottintese: da una parte il figlio
ammette che suo padre non è un padrone despota, ma è attento alle necessità anche dei
suoi dipendenti, visto che essi hanno pane in abbondanza. Il motivo della fuga quindi non
sta nel padre e nel suo autoritarismo, ma il problema ritorna tutto nel figlio che ha una gran
confusione in testa e nel cuore. Dall'altra parte, il figlio non pensa al padre e al suo dolore,
non è pentito di ciò che ha scelto e fatto e delle conseguenze che ha provocato. Egli, di
fronte a tutte le porte chiuse, intravede una sola possibilità: usare e sfruttare ancora una
volta il padre. Ha preso coscienza di non avere altro futuro che la morte. Il momento della
conversione è ancora lontano. Avverrà solo quando la gratuità di cui si era preso gioco lo
avvolgerà del tutto nuovo: allora non avrà nemmeno bisogno di chiedere perdono, perchè il
perdono personificato del padre lo aspettava già, prima ancora che lui partisse. 31
Secondo la legge giudaica ha perso il diritto di essere trattato da figlio, è convinto di
essere stato cancellato dal libro di Dio e dal libro della famiglia, per cui torna da servo per
chiedere di far parte di quei servi ai quali non manca il pane.
Forse allora non è solo il bisogno di cibo che lo spinge a tornare, ma anche la segreta
speranza di una possibile accoglienza del padre, non come figlio, come domestico, ma sa
che una possibilità ce l'ha. Se fosse stato sicuro si un rifiuto o di una reazione violenta del
padre, non avrebbe pensato di tornare.
Si noti che non dice: “andrò a casa”, ma “andrò da mio padre”. E' l'incontro con il padre la
meta del suo cammino, non la casa. 32
Emerge in lui l'esigenza di una origine in cui riconoscersi.
L'esperienza della miseria gli consente di guardare in faccia la via della morte che sta
percorrendo e di ribellarsi. Quando ci sentiamo soli, quando nessuno sembra volerci più e
noi stessi abbiamo ragioni per disprezzarci o essere scontenti di noi, quando la prospettiva
31
32
P. FARINELLA, Il padre che fu madre, Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR) 2010, 155-156.
M. GALIZZI, Vangelo secondo Luca. Commento esegetico-spirituale, Elledici, Leumann (TO) 1997, 327.
23
della morte o di una perdita grave ci spaventa e ci getta nella depressione, ecco che dal
profondo del cuore riemerge il presentimento e la nostalgia di un Altro che possa
accoglierci e farci sentire amati, al di là di tutto e nonostante tutto. 33
v. 20
Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe
compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Qui la parabola sembra mutare direzione. L'attenzione non è più concentrata sul figlio ma
protagonista diventa il padre, il cui atteggiamento può sembrare incomprensibile, ci si
aspetterebbe un rifiuto, una punizione, almeno un rimprovero...
Come è imprevedibile questo padre! Egli avrebbe pieno diritto allo sdegno, al rimprovero,
alla punizione: egli, invece, è incapace di vendetta. Il suo cuore è totalmente e
irreversibilmente paterno e, pertanto, corre e si getta al collo del figlio e lo bacia con gioia
indicibile. Questo è Dio! Ripeto: questo è il Padre! Non dovremmo gridare di gioia davanti a
questa notizia, che Gesù ci ha dato? Dovremmo cantare e danzare davanti a questa
certezza che non potrà mai venir meno: Dio mi ama! Sì, io posso sbagliare, io posso
smarrirmi; io posso peccare..., ma mi è concesso di contare sulla solidità di questa roccia:
Dio resta Padre e continua a volermi bene. 34
Esaminando questo versetto, colpisce la sequenza delle azioni del Padre, queste 5 azioni
che Gesù mette in evidenza:
Lo vide: il figlio è ancora lontano ma il padre lo vede perchè evidentemente scrutava
senza posa l'orizzonte. Il figlio aveva rinunciato al padre, ma il padre non ha mai rinunciato
al figlio. Ha rispettato la sua libertà, ma non ha mai perso la speranza di riabbracciarlo.
Ne ebbe compassione: sembra che la vista delle precarie condizioni del figlio , anziché
provocare nel padre una arrabbiatura, provochi la compassione.
33
34
C. M. MARTINI, Ritorno al padre di tutti. Lettera pastorale 1998-1999, Centro Ambrosiano, Milano 1998, 16.
A. COMASTRI, Dio è Padre, Paoline, Milano 1998, 93-94.
24
Il verbo tradotto il italiano è splancnìzein, che letteralmente suggerisce un'emozione che
parte dalle viscere; si potrebbe dire che il Padre si sentì rimescolare tutto. 35
Questo termine, nel Vangelo di Luca, si trova in altri due momenti: quando Gesù si
commuove davanti al figlio defunto della vedova di Nain (7,33) e quando il «buon
samaritano» si commuove davanti all'uomo ferito (10,33).
Il termine «viscere», nella Bibbia è anche declinato al femminile, si riferisce all'utero, alla
maternità.
Gli stessi archetipi universali dell’amore, quelli paterni e materni, sono superati dall’amore
infinito di Dio. Infatti, non si dichiara semplicemente la paternità o la maternità di Dio, ma si
proclama la superiorità divina rispetto a questi due legami fondamentali. 36
Gli corse incontro: lo sconvolgimento interiore del padre è tale da non permettergli più di
trattenersi: si mette a correre, anche se in quel contesto culturale questo era disdicevole.
In un contesto culturale in cui i ritmi del tempo sono impostati a una grande lentezza e dove
tutto quello che riguarda la fretta è visto con sospetto, “chi cammina in fretta sbaglia strada”
(Proverbi 19,2), il correre è una azione disonorevole recante grave danno a colui che la
compie, “l'andatura dell'uomo rivela quel che è” (Siracide 19,27). Non importa. Per il padre,
restituire vita e dignità al figlio disonorato è più importante del proprio onore. 37
Gli si gettò al collo: c'è da immaginare che il figlio vedendo il padre corrergli incontro e
gettarglisi al collo si aspettasse di essere strozzato: «Chi risparmia il bastone odia suo
figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo» (Proverbi 13,24)... Nulla di tutto questo. Il figlio
non trova un giudice che condanna ma un padre che lo rigenera con il suo amore,
assumendo su di sé anche la sua impurità:
35
36
37
G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 59.
G. RAVASI, «JHWH Dio dei nostri padri», in Tertium millennium, (1999), dal sito
www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents
A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 67.
25
C'è un altro particolare da tenere presente: il figlio è un guardiano dei porci, è impuro.
Ebbene, il padre gli si getta al collo lo stesso, lo tocca, e l'impurità del figlio ritualmente si
trasmette al padre. Per il padre, il desiderio di purificare il figlio è più importante della
propria purezza. Il padre accetta di prendersi la lordura, l'impurità del figlio, pur di
trasmettergli questa vita. 38
Lo baciò: il bacio, nella cultura ebraica, è segno di perdono. L'evangelista si richiama al
primo grande perdono che appare nella Bibbia, nel libro del Genesi, al capitolo 33, quando
Esaù perdona il fratello Giacobbe, gettandosi al collo e baciandolo. Al padre interessa il
figlio, non il suo passato colpevole.
vv. 21-22
Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di
essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più
bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.
Il figlio interrompe le effusioni del padre con la formuletta che si era preparato al momento
di tornare a casa, il suo «atto di dolore». Ma il padre non lo lascia finire, non gli permette di
pronunciare la frase «trattami come uno dei tuoi salariati»; per lui non ha mai smesso di
essere suo figlio.
Il padre ha fretta perchè sa quanto nuoce al figlio l'idea di ritornare servo. Vuole eliminare
subito in lui questa menzogna che lo uccide. Per questo lo interrompe e non gli permette di
esprimere il suo proposito servile. E' stanco di avere dei servi invece che dei figli. 39
E, incredibilmente, gli restituisce tutta la pienezza precedente, con un crescendo di azioni
simboliche che lasciano senza fiato:
38
39
A. MAGGI, «Perchè (solo) Gesù». Atti dell'incontro di formazione dell'associazione «Beati i costruttori di pace»,
Padova, 15-17 dicembre 2006, 68, dal sito www.studibiblici.it
L. PEDRON, Il Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca, pro manuscripto, «Predicate il Vangelo», Milano, 1998.
26
Il vestito più bello: l'abito migliore, nella mentalità ebraica, era una onorificenza che il re
concedeva ai suoi uomini valorosi, e anche qui c'è un riferimento al libro del Genesi, al
capitolo 41, quando il faraone riabilitò Giuseppe e «lo rivestì con abiti di lino finissimo».
L'anello al dito: forse questa è l'azione più sconcertante: al figlio che si è rivelato un
amministratore così disastroso il padre affida l'amministrazione, dandogli l'anello con il
sigillo di famiglia che attestava i pagamenti, un po' come la carta di credito dei giorni nostri!
L'anello non è un semplice monile, ma è la consegna del sigillo di famiglia, il che significa
pieni poteri sull'amministrazione della casa, come si legge nel libro di Ester: “Il re si tolse
l'anello che aveva fatto ritirare ad Amàn e lo diede a Mardocheo. Ester affidò a Mardocheo
l'amministrazione della casa che era stata di Amàn” (Est. 8,2).Al figlio, che ha dimostrato di
non saper gestire i suoi averi e che in poco tempo ha sperperato tutto il suo patrimonio, il
padre rinnova la piena fiducia e non solo lo reintegra nei suoi beni, ma gli affida
l'amministrazione della sua casa. Tutto questo senza alcuna garanzia. 40
I sandali ai piedi:
solo i padroni indossavano i sandali, i servi erano scalzi. Oltre al
significato di piena dignità, anche l'immagine dei sandali ha vari riferimenti biblici:
secondo la Legge del Levirato, un uomo senza sandali era un uomo senza discendenza
(Numeri, 36,7; Deuteronomio 25,9), il figlio riabilitato è chiamato a dare una discendenza
alla famiglia. Togliere i sandali era inoltre una espressione di lutto e dolore, si rimettevano
alla fine del periodo di tristezza (Ezechiele, 24,17; Isaia 20,2).
Tutto questo cancella la diffusa opinione che ricevere il perdono di Dio significhi soltanto
ottenere l'eliminazione del peccato e la liberazione dal timore del castigo.
Nel caso del figlio prodigo il perdono non comporta il semplice ripristino della situazione
precedente. In luogo del consueto rapporto di filiazione naturale subentra un nuovo genere
di filiazione in base ad un gesto di adozione formale (cfr. Gal. 4,5). Colui che è ritornato,
dunque, benché non possedesse più nulla, acquista nella casa paterna un posto che prima
40
A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 70-71.
27
non aveva, e questo non per diritto, ma per grazia. E proprio quest'ultima ora lo impegna ad
esistere solo per il padre. 41
Tutto questo sposta dalla l'attenzione dalla nostra autocentratura alla centratura sul Padre.
E' lui che ci ha amato per primo e noi siamo chiamati ad accogliere il suo amore.
La casa è sempre rimasta aperta, il figlio deve lasciarsi amare dal padre. Sì, è più
importante capire che Dio ci ama che capire che noi dobbiamo amare Dio. Nella sua
predicazione e nel suo agire, Gesù ha detto molto di più su Dio che ci ama che non sul
nostro dovere di amare Dio. È significativo: può amare Dio colui che ha conosciuto che da
Dio è stato amato prima e di amore preveniente. Capiamo le parole di Giovanni: «Chi non
ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,18), eco di quelle di Gesù ai
discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi!» (Gv 15,16) 42
vv. 23-24
Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio
figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far
festa.
A quei tempi la carne si mangiava raramente e soltanto in occasione delle grandi solennità
religiose, il vitello grasso era riservato al Signore. Ed era un bene prezioso.
Un vitello non era una cosa da poco, e per giunta questo era quello che era venuto su
bene. Ammazzarlo invece di ingrassarlo non è una decisione da niente, il padre fa qualcosa
di radicalmente antieconomico. Ed oltre al banchetto vuole anche musica, canti e danze,
vuole che tutti siano contenti come è contento lui, vuole che tutti nella casa partecipino
della sua gioia: suo figlio è vivo. 43
Le espressioni perduto/ritrovato richiamano le due parabole precedenti, della pecora e
della moneta perdute. La festa, simbolo di vita, annulla la morte!
41
42
43
K. H. RENGSTORF, Il Vangelo di Luca, Paideia, Brescia 1980, 315.
E. BIANCHI, «Ma l'altro figliol fu prodigo?», in Avvenire dell' 11/03/2010.
G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 63.
28
vv. 25-28
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e
le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli
rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha
riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a
supplicarlo.
La notizia della festa e il ritorno del fratello non suscitano nel figlio maggiore la stessa gioia
del padre, anzi, suscitano la sua arrabbiatura. Questo figlio è l'immagine degli scribi e dei
farisei per i quali Gesù racconta la parabola.
La figura di questo figlio è l'unica criticata da Gesù, e possiede l'atteggiamento del fariseo:
vuole l'osservanza della norma e l'applicazione del castigo. Non è libero, è dominato dal
desiderio di vendetta. Il Dio di Gesù è al di là della vendetta e della punizione. E' solo bontà
e, se non trova risposta alla sua bontà, perdona. In questo modo abbraccia tutti sotto
l'arcobaleno della sua grazia e della sua misericordia. 44
Il figlio minore è uscito dalla casa, il figlio maggiore rifiuta di entrare. Il padre è andato
incontro al figlio, il fratello rifiuta di incontrarlo. L'amore incondizionato scandalizza il figlio
maggiore, che aveva chiuso l'amore del padre nella gabbia della giustizia umana.
Il maggiore è una legione sotto nome diverso, è l'infingardo della parabola dei talenti, il
fariseo al Tempio, il servo spietato che prende per il collo il conservo. E' uno schiavo nella
casa della libertà. Non fa nulla per evitare l'evasione del fratello inquieto, in lui c'è troppa
verità e poca carità. 45
44
45
L. BOFF «Miseria e misericordia», in AA.VV., Fuoritempio. Omelie laiche. Anno C., Di Girolamo, Trapani 2009,
56.
A. BERGAMASCHI, Andate e mostrate. Omelie dell'anno C, EDB, Bologna 2006, 218 (citazione di
P. MAZZOLARI, La più bella avventura. Sulla traccia del prodigo, Gatti, Brescia, 1934).
29
Ma il padre dimostra di non avere preferenze tra i suoi figli. Ed esce incontro anche al figlio
maggiore. Non gli comanda di entrare, lo prega. Non fa leva sulla sua autorità di padrone,
ma sul convincimento, con l'atteggiamento del servo che supplica!
vv. 29-30
Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un
tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora
che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui
hai ammazzato il vitello grasso”.
Dalle rimostranze del figlio maggiore emerge con chiarezza come egli consideri il padre un
padrone e come non ne conosca la grandezza del cuore.
In questa descrizione Gesù critica con ironia gli scribi e i farisei che non si considerano
figli, ma servi di Dio, che non hanno un rapporto con un padre ma con un Signore e che
osservano i suoi comandi attendendosi in cambio una ricompensa.
Come gli scribi e i farisei che mormorano contro Gesù, anch'egli pensa che il peccato sia
consistito nel dilapidare le sostanze, non invece nel fatto di essersi allontanato da casa. E
si capisce che anch'egli ragiona come il figlio minore. Infatti è rimasto in casa, ma convinto
che lo stare in casa sia faticoso, sia un sacrificio, convinto anch'egli che fuori si sta meglio.
È un figlio fedele, ma con l'animo del servo, incapace nel profondo di condividere la gioia
del padre, perché non vede nel fratello che si è allontanato un povero da salvare, ma
semmai un fortunato da punire. Non si sente figlio, grato e gioioso di essere in casa, già
premiato per il fatto di essere in casa. 46
46
B. MAGGIONI, omelia della Quarta domenica di Quaresima anno C dal sito
www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20100314.shtml, a cura di Qumran2.net
30
Avendo il padre diviso le sostanze con i figli, il figlio maggiore è diventato padrone dei suoi
averi, che peraltro erano sempre stati suoi. Non aveva bisogno che il padre gli desse un
capretto, era già suo...
Oltre a non avere capito il padre, il figlio maggiore non riconosce più un rapporto con il
fratello:
Non dice “mio fratello”, ma “tuo figlio”, come quando un bimbo fa disperare e il marito o la
moglie dicono all'altro: “guarda cosa fa tuo figlio!” 47
L'astio delle parole rivelano una gelosia che ricorda quella dell'operaio della vigna che
protesta per la bontà del padrone verso gli operai che hanno lavorato soltanto un'ora
(Matteo 20, 14-15).
L'accusa che rivolge al padre è la stessa rivolta a Gesù dagli scribi e dai farisei, cioè quella
di accogliere i peccatori e di mangiare con loro.
vv. 31-32
Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma
bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato”.
Il padre, nonostante l'accusa, si rivolge al figlio con parole cariche d'affetto e lo chiama
«teknon», traducibile con «bambino mio». Ricorda al figlio maggiore che colui che è
tornato è anche suo fratello, non solo suo figlio. La festa è anche per lui.
Gesù invita farisei e scribi a non scandalizzarsi per la bontà del Padre, che “è benevolo
verso gli ingrati e i malvagi” (Luca 6,35), ma a unirsi alla festa del figlio ritrovato, perchè Dio
non guarda al passato dell'uomo, ma alla sua condizione presente. E quando il peccatore
47
D. PEZZINI, Il Vangelo della domenica. Anno C, EDB, Bologna 1997, 86.
31
accenna a ritornare a Dio, il Padre gli corre incontro. Non lo sottopone a umilianti rituali per
riammetterlo al suo amore e tanto meno gli impone penitenze per il male commesso. C'è
solo da festeggiare. 48
2.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Questa parabola è talmente intensa e ricca di significati che è stata utilizzata per
moltissime riflessioni e dimostrazioni, più o meno «lecite».
Essendo poi il finale della parabola sospeso, alcuni commentatori hanno provato a
continuarla, ipotizzando alcune conclusioni, ne vedremo una in particolare.
Nel capitolo precedente si accennava alla «coscienza ermeneutica», alla fedeltà al
messaggio, che non è soltanto fedeltà al contenuto, ma anche al metodo con il quale il
messaggio viene trasmesso. In questo caso il messaggio è veicolato da un racconto e,
questa parabola dimostra l'estrema efficacia che i racconti possono avere per «dire Dio».
In passato sono stati fatti utilizzi scorretti di questa parabola, in buona fede, per dare
fondamento teologico, ad esempio, al sacramento della Penitenza:
Il predicatore, ottimamente intenzionato, commenta l'itinerario spirituale del figlio e
riconosce quattro momenti di questo itinerario:
 la contrizione : “Allora rientrò in sé stesso e disse: Quanti salariati a casa di mio
padre...”
 la confessione dei peccati: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te,,,”
 la soddisfazione: “Non sono più degno di essere tuo figlio. Trattami come uno dei
tuoi garzoni”
 l'assoluzione: “Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e
rivestitelo...”
La lettura della parabola viene fatta ritrovando in essa i quattro elementi del sacramento
della Penitenza. E' evidente che tutto questo non esisteva minimamente nell'intenzione che
Gesù aveva raccontando questa parabola, né esisteva nella mente dell'evangelista Luca
48
A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 80.
32
che la riporta. Vengono retroproiettati sul testo dei significati che non appartengono al testo
biblico, che vuole mettere in chiara luce soprattutto l'atteggiamento paterno e benevolente
di Dio Padre e la sua gioia di perdonare senza chiedere nulla in cambio. Questa ingenuità
non è casuale: essa è sottesa da una concezione della Parola in cui manca il senso della
storicità. 49
D'altra parte, però, la sovrabbondanza di senso della scrittura, la potenza evocativa del
racconto e il finale sospeso si prestano anche a proporre delle ipotesi e delle prosecuzioni
del racconto che non sono contemplate nel testo, ma che mettono in atto ulteriori
interessanti riflessioni, come nel caso della citazione seguente, sul tema del dialogo
ebraico-cristiano:
L'ascolto biblico termina quando noi entriamo a far parte del racconto, quando il racconto
giunge fino a noi e descrive la nostra situazione; il racconto collega sempre il passato e
l'oggi del lettore. La parabola del “Padre che aveva due figli” è stata riletta anche per
riflettere sul rapporto tra Israele e la Chiesa, con l'aggiunta di un finale drammatico ma ricco
di significati.. Teniamo presente che, nel commento dei Padri della Chiesa il figlio
maggiore sta per il popolo ebraico e il figlio cadetto sta per il popolo cristiano. Il testo
evangelico finisce lì dove, dopo l'invito del padre, nulla ci viene detto circa l'assenso o
meno del figlio maggiore a partecipare alla festa.. ma ora il racconto riprende:
“Il figlio maggiore (= l'Ebreo) non diede risposta alcuna all'insistente invito del padre a
partecipare al banchetto festivo per il fratello perduto ritornato a casa (il cristiano: i gentili
entrati a far parte del popolo di Dio); se ne andò invece e murò la porta tra le stanze,
assegnategli dal padre, e il resto della fattoria, recintò la sua parte di terreno ed evitò per il
seguito tutta l'altra parte della proprietà.
I due fratelli si sposarono, e si trovarono ad abitare uno accanto all'altro; ma l'estraneità tra
loro divenne via via inimicizia. E poiché la stirpe di colui che si era perduto (il cristiano) si
accrebbe molto di più di quella del fratello maggiore, quest'ultima si ritrasse sempre più
intimidita; quell'altra poi (i cristiani) dimenticò poco a poco i legami di parentela e alla fine
non provò che il disprezzo per quegli altri che riteneva completamente inimicati con il suo
capostipite.
49
I. SEGHEDONI, Teologia dell'evangelizzazione. Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto superiore di Scienze
Religiose «B. C. Ferrini» di Modena a.a. 2009-2010, 4, 37-37.
33
E accadde allora che, un giorno, il figlio minore di colui che si era perduto (il cristiano figlio
di cristiani), in un cieco eccesso di rabbia, uccise, come Caino e Abele, uno dei giovani
cugini (l'ebreo), di cui aveva sentito parlare tanto male.
Il vecchio padre, a questa notizia, si alzò, andò alla porta della casa e ad alta voce gridò:
“Dov'è tuo fratello?”. Un brivido di orrore percorse la stirpe di colui che si era perduto. 50
La parabola, infatti, in passato, è stata commentata, insieme al racconto del Cap. 4 del
libro del Genesi (la vicenda di Caino e Abele), in chiave antiebraica, dove Caino e il fratello
maggiore venivano caratterizzati come figura degli ebrei gelosi dei cristiani; questa visione
è però superata dall'atteggiamento del padre nella parabola, che considera i figli alla pari,
e non ha una sola parola di condanna per gli atteggiamenti dell'uno o dell'altro, ma supera
tutte le lacerazioni con il suo amore che chiede di essere trasmesso e diffuso.
Queste due citazioni credo che dimostrino la necessità di fare coesistere il rigore
scientifico e l'onestà intellettuale da praticare quando si esaminano i testi biblici e
l'attenzione a coltivarne e a valorizzarne la ricchezza di senso, la bellezza e il cuore.
Un aspetto senza l'altro rischierebbe di condurre verso derive fantasiose da una parte ed
eccessivamente tecniche e riservate agli addetti ai lavori dall'altra.
Dal punto di vista della vita spirituale, poi, questa parabola non può che suscitare
sentimenti di gratitudine commossa...
Non perdiamo tempo, lasciamoci abbracciare dal Padre e incominciamo ad amare come
ama lui e come ama il Figlio con il fuoco dello Spirito.
Charles Pèguy, con l'ardore del figlio ritornato all'abbraccio del Padre, scuote la nostra
mediocrità e ci dice con bruciante sincerità:
“Dio ci ha preceduto. E' il mistero di tutti i misteri. Tutti i sentimenti, tutti gli slanci che
dobbiamo avere per Dio, Dio li ha avuto per noi. Singolare capovolgimento che
accompagna tutti i misteri, li raddoppia, li dilata all'infinito. Bisogna aver fiducia in Dio. Egli
50
P. LOMBARDINI, Introduzione alla Sacra Scrittura (Dei Verbum). Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto di
Scienze Religiose «Mons. Leone Tondelli» di Reggio Emilia a.a. 1996-1997, 12.
34
ha avuto fiducia in noi tanto da affidarci il suo Figlio unigenito (ahimè, che cosa ne abbiamo
fatto!). E' Dio che ci ha dato credito e fiducia, che ha creduto in noi, che ha avuto fede in
noi. Dio ha sperato in noi. Dio ha riposto la sua speranza in ciascuno di noi, nel più infimo
dei peccatori. Si dirà che noi infimi, che noi peccatori non riponiamo la nostra speranza in
lui?” 51
E' un invito alla conversione e al ritorno al Padre di una forza unica, forza dovuta
paradossalmente alla debolezza del Padre alla sua incredibile dolcezza e al suo amore
disarmante e contagioso.
Il primo passo di ogni conversione è proprio il rivedere l'idea che ci facciamo di Dio: non è
un controllore esoso e vendicativo, ma una casa accogliente dove si fa festa con musica e
danze. Se uno si convince di questo capirà anche che per arrivarci vale la pena di fare
qualsiasi cosa. E che è una meraviglia che ci si arrivi in tanti, ci si arrivi tutti. 52
E' la parabola per eccellenza, che ci rivela forse come nessun'altra il volto e il cuore del
Padre:
Questo brano è la “magna charta” del cristianesimo, nel senso che qualsiasi cosa venga
detta su Dio, va sempre passata al vaglio di questa parabola. Perchè qualsiasi cosa ti
dicano su Dio, se vuoi essere cristiano, devi riuscire a conciliarla con questo padre
palestinese descritto da Gesù. Quando Gesù parlava di Dio come di un padre, era questo il
volto che gli dava. 53
E' una pagina rivelatrice e generatrice di senso, che ha impressionato ed ispirato tutta la
nostra cultura e la nostra civiltà nel corso dei secoli.
Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i
tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà
51
52
53
A. COMASTRI, Dio è Padre, op. cit., 97
D. PEZZINI, Il Vangelo della domenica. Anno C, op. cit., 87
G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 69.
35
senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di
commuoverci, e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre
nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci
conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. 54
54
BENEDETTO XVI, «Di fronte a Dio né ribellione né obbedienza infantile», in Avvenire del 14/03/2010.
36
CAPITOLO 3
LE RILETTURE DELLA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO
La parabola del Padre misericordioso, avendo in una certa misura influito sulla nostra
civiltà, ha di pari passo ispirato con forza molti artisti, che l'hanno rappresentata e
reinterpretata nelle loro opere e creazioni. Infatti ritroviamo il suo messaggio espresso
nelle varie forme artistiche, nella pittura, nella scultura, nella letteratura, nel cinema e nella
musica.
Si può affermare che tutte queste forme di arte esprimono in qualche modo la dimensione
spirituale, e nascono da una ispirazione.
Quello che comunemente era attribuito alle Muse, creature divine della mitologia greca, per
l'artista credente è opera dello Spirito Santo, che guida l'uomo. In questo senso si può
parlare di un'azione rivelatrice e al tempo stesso creatrice da parte dell'uomo, il quale dà
forma visibile a quelle realtà che ha attinto nella sua ascesa al mondo divino, guidato dallo
Spirito. L'arte diventa pertanto modalità di conoscenza integrale della realtà circostante che
si dischiude a colui che si è posto umilmente in ascolto di essa.
E il mezzo attraverso il quale l'artista mostra la faccia visibile, materiale dell'anima viva
della creazione di Dio è il simbolo. 55
Per tentare di avvicinarci al mondo spirituale, che fatichiamo molto a capire a causa del
nostro essere immersi nella dimensione terrena, l'arte ci viene in aiuto, perchè mostra
senza dimostrare, lasciando libertà di adesione, attrae con la sua bellezza, spiega la
Scrittura aiutandone la comprensione, emoziona, libera, risveglia...
55
G. MORANDI, Bellezza. Luogo teologico di evangelizzazione, op. cit., 148-149.
37
Vengono ora presi in esame alcuni autori che si sono cimentati nella rappresentazione
della parabola ed alcune loro opere significative, citate in ordine cronologico, senza la
pretesa di esaustività, con una particolare attenzione al dipinto «Il ritorno del figliol
prodigo» di Rembrandt.
3.1 LA PARABOLA NELLA PITTURA
3.1.1 HERONYMUS BOSCH
Breve biografia
Jeroen Anthoniszoon van Aken, detto Hieronymus, nato il 2 ottobre 1453 a 's Hertogenbosc, è un
pittore fiammingo famoso per i suoi inquietanti ed enigmatici dipinti, con tematiche di ispirazione
prevalentemente religiosa e arricchite da trasfigurazioni che superano la fantasia. Le
documentazioni sulla vita e l'attività artistica di Bosch sono abbastanza scarse e ci danno poche
notizie. Si sa che è figlio d’arte (il padre ed il nonno erano pittori), che è artisticamente attivo nella
prosperosa ‘s-Hertogenbosch, una città del Brabante fiammingo, dove trascorre prevalentemente
tutta la sua vita e che nel 1481 si sposa con una donna della zona. Dal 1496 aderisce alla
confraternita
della
Vergine
e
si
occupa
di
rappresentazioni
coreografiche
teatrali
e
dell’organizzazione di processioni. La sua prima opera, che gli procura la celebrità in tutto il
continente europeo, è la decorazione delle vetrate della chiesa di ‘s-Hertogenbosch. La sua pittura,
che combina motivi astrologici, popolari ed alchemici, in tematiche come l’Anticristo e raffigurazioni
di scene sulla vita dei santi, indica una sua grande e continua angoscia morale e religiosa,
accompagnata spesso dalla persuasione della follia umana. La raffigurazione immaginifica di
Bosch è simulacro della dannazione eterna, rappresentata attraverso l’impiego di elementi
iconografici tradizionali (presenza del fuoco, scene di persone che subiscono pene corporali) e un
eccezionale proliferare di immagini simboliche, in una continua incarnazione e raffigurazione delle
visioni più spaventose. Nelle sue ricercate composizioni risulta evidente un intento satirico, dove i
suoi personaggi, tra l’animalesco e l’umano, vengono raffigurati in atteggiamenti grotteschi e
spesso indecenti, come pure le presenze di gruppo fortemente trasfigurate fino al raggiungimento
della caricatura. Nelle sue opere l’artista evidenzia un'assoluta padronanza della tecnica e della
composizione, la capacità di raffigurare in maniera unitaria eventi articolati e ricchi della più
impensabile particolarità. Le stravolte proporzioni e gli stridenti accostamenti cromatici, presenti in
38
molte scene, sono essenzialmente il frutto di una valutazione funzionale dal valore simbolicamente
rappresentativo. Tutto questo deriva, oltre che dal suo straordinario talento artistico, dalla perfetta
conoscenza dei grandi esponenti della pittura tedesca nel campo dell’incisione e, soprattutto, della
miniatura. Muore nella stessa città olandese il 9 agosto 1516. 56
Il figliol prodigo (vedi allegato 1)
Questo dipinto è stato realizzato da Bosch nel 1510 ed è conservato al Museo Boymansvan Beuningen di Rotterdam.
Com'è tipico dello stile di questo artista, il dipinto contiene curiosi riferimenti simbolici, non
sempre chiari nel loro significato.
Vi è rappresentato un uomo che cammina in una strada di campagna con un bastone in
mano ed una gerla sulla schiena, che si sta allontanando da una casa con un tetto
cadente e con diversi personaggi inquietanti: un uomo e una donna che si abbracciano in
modo lascivo ed un altro che urina vicino alla recinzione sul lato della casa.
Il quadro sembra strutturato su tre piani : il piano dello sfondo, quello della casa, e quello
dove si trova il viandante.
Proviamo ad ipotizzare alcune considerazioni tra i vari elementi del dipinto e la relazione tra
essi.
La casa è in evidente stato di deterioramento. Da sempre la casa rappresenta il rifugio, il
luogo ove si svolge la vita più intima. Ciò sembrerebbe indicare che quello che l’uomo si
lascia alle spalle è essenzialmente una vita di caos e disordine. Tutto ciò per intraprendere
un viaggio verso un diverso modo di percepire la vita.
La porta della casa potrebbe essere la designazione simbolica del Cristo stesso (Giovanni
10, 1-10), porta attraverso la quale le pecore possono giungere all’ovile, cioè al regno degli
eletti. Il riferimento all’ovile è anche dato dalla staccionata che delimita sul fondo di destra il
retro della casa ed in prossimità della quale un uomo sta urinando contro la casa stessa (…
tutti coloro che son venuti prima di me, sono ladri e briganti…).
Quest'uomo potrebbe rappresentare il viandante stesso nel momento in cui è arrivato alla
casa (in una rappresentazione su più piani temporali dello stesso soggetto), l’atteggiamento
rozzo ed istintivo potrebbe quindi essere legato alla tradizione alchemica della “materia
bruta” o “pietra grezza”, elemento base di partenza.
Anche tutti gli animali presenti hanno diversi significati simbolici.
56
Dal sito www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Bosch%20opere/0%20Bosch%20biografia.htm
39
Una donna, affacciata ad una finestra, sta osservando quello che avviene all’esterno della
casa. Si potrebbe ipotizzare che la donna sia appena stata lasciata dal viandante e che ne
osservi il viaggio intrapreso senza potervi partecipare ella stessa.
Quello che l’uomo si lascia alle spalle è sostanzialmente un mondo privo di morale ed etica
dove la lussuria, l’ignoranza ed il caos dominano, sta lasciando la follia ed il disordine
della vita e si sta avvicinando a un cancello di legno, si trova di fronte ad una nuova porta
su cui sono rappresentate sia la dimensione orizzontale che quella verticale, la rettitudine, il
rispetto delle leggi e dei regolamenti.
Sembra che la porta sia essa stessa simbolo della perfezione del mondo a cui da essa si
accede. In questo preciso istante il viandante sta vivendo una iniziazione (sono presenti
simboli forse massonici...), che gli permetterà di aprire il cancello.
L’iniziato rivolge il proprio sguardo all’indietro consapevole da un lato di essere comunque
legato al proprio passato e dall’altro che quanto appena vissuto prima o poi ci verrà
riproposto nel tempo: quasi a conferma di una concezione circolare del tempo. A questo
punto personalmente credo che intitolare l’opera “Il figliol prodigo” abbia un senso. Nella
parabola del figliol prodigo c’è tutta la simbologia legata al ritorno al Padre, alla
riunificazione con l’unità primaria, ben diversa dal “Sentiero della vita”, altra opera del
medesimo autore ma con simbologia completamente diversa. 57
Bosch ha scelto di rappresentare il significativo momento della decisione del ritorno a
casa, facendo un uso abbondante di simboli, che, non essendo immediatamente
comprensibili, costringono colui che si mette davanti alla sua opera a riflettere a lungo e ad
entrare quasi perdendosi nella parabola, così ricca di spunti di riflessione.
3.1.2 IL GUERCINO (Giovan Francesco Barbieri)
Breve biografia
Giovan Francesco Barbieri nasce a Cento il 2 febbraio 1591 e deve il suo soprannome, “Il
Guercino” ad un evidente strabismo. Dopo aver appreso le prime nozioni di pittura a Cento presso
un pittore locale, nel 1609 Guercino si trasferisce a Bologna dove può migliorarsi a contatto con le
opere di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci. La sua pittura era fondata su una ripresa del
reale priva di abbellimenti (il riferimento ovvio è all’opera del Caravaggio) che già mostra la
sapienza
dell’artista
emiliano
negli
effetti
chiaroscurali
e
cromatici.
Nel 1618 è a Venezia, dove grazie alla visione dei capolavori di Tiziano Vecellio e Jacopo Bassano
affina la sua, già eccellente, sensibilità cromatica. La maniera giovanile dell’artista è espressa
chiaramente nei capolavori giovanili “Susanna e i vecchioni” (1617), in cui il cielo plumbeo e
57
R. BOBBA, dal sito www.bobba.to.it/bosch.htm
40
l’oscurità notturna sono illuminati dal candore del corpo della fanciulla, lo straordinario “Memento
mori” con la sua profonda riflessione sulla morte di “Et in Arcadia Ego” (1618)e la “Vestizione di
San Guglielmo d’Aquitania” (1620). Del 1621 è l’importante viaggio a Roma (città in cui soggiorna
fino al 1623). Qui Guercino riceve l’incarico di decorare il casino di Villa Ludovisi.
Sempre a Roma il pittore di Cento dipinge la monumentale pala della “Sepoltura di Santa
Petronilla” (1622-1623). Il 1623 segna il ritorno nella natia Cento. È un periodo nel quale il suo fare
artistico volge verso un’adesione al classicismo e all’eleganza di Guido Reni e durante il quale
nasce un capolavoro quale “Apparizione di Cristo alla madre” (1629). Nel 1649 l’esistenza del
pittore è immalinconita dalla scomparsa del fratello Paolo Antonio; nel 1661 Guercino subisce un
infarto che anticipa il malore a causa del quale muore nel 1666. 58
Il ritorno del figliol prodigo (vedi allegato 2)
Il dipinto è stato realizzato nel 1619 ed è conservato presso il Kunsthistorisches Museum
di Vienna. Rappresenta il momento in cui il padre fa rivestire il figlio appena tornato per
restituirgli la dignità.
Un traffico di braccia e di mani si incrocia per adoperarsi al cambio di vesti del figlio
ravveduto. La camicia sporca e bucata, ormai divenuta uno straccio, va sostituita con una
bianca e fresca che ha scelto il padre, mentre il fratello è giunto con gli altri panni in braccio
e già porge un paio di scarpe nuove. È il momento in cui il pentimento e il perdono si
incontrano senza bisogno di parlare, in cui l'affetto supplisce ad ogni parola, ad ogni
giustificazione o rimprovero. L'eloquente silenzio è infuso nella penombra avvolgente e nei
capi leggermente reclinati di tutti e tre i personaggi. È uno dei quadri più rappresentativi del
Guercino, sintesi assoluta del suo stile, del suo chiaroscuro atmosferico, delle sue
invenzioni iconografiche. Forse il più vicino alle istanze caravaggesche, nonostante ai
dettagli ottici l'artista centese preferisca le sfocature vellutate delle epidermidi. 59
E' un'opera veramente suggestiva, che sottolinea il legame tra padre e figlio come un
rapporto quasi carnale, dove la dimensione della corporeità è molto forte e realistica.
58
59
Dal sito http://www.fondazioneitaliani.it/index.php?option=com_content&task=view&id=8750&Itemid=64
AA.VV., Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del '600. Catalogo della mostra (Milano, 27 settembre 200318 gennaio 2004), De Agostini, Novara 2003, 204.
41
3.1.3 MATTIA PRETI
Breve biografia
Mattia Preti nacque in un piccolo centro della Calabria montuosa, Taverna, ai margini della scena
culturalmente più viva del suo tempo. Preti nasce terzo di una numerosa stirpe appartenente al
ceto intermedio delle famiglie "onorate", non ricche di possedimenti o beni materiali ma di qualità
morali e intellettuali. La madre, Innocenza Schipani, apparteneva ad una delle quattordici famiglie
nobili di Taverna, nella cui chiesa parrocchiale possedeva una cappella gentilizia che ospitò il
battesimo del piccolo Mattia il 26 febbraio 1613.
Nel 1630 si trasferì a Roma dove abitò nei primi anni insieme al fratello Gregorio, anche lui pittore.
Conobbe le tecniche del Caravaggio e della sua scuola, da cui fu fortemente influenzato. Rimase a
Roma per quasi venticinque anni, ma si recò spesso in viaggio per l'Italia e l'estero (Spagna e
Fiandre soprattutto), avendo contatti con i Carracci, col Guercino e con Giovanni Lanfranco, che
influenzarono ulteriormente la sua pittura.
Dal 1653 si trasferì a Napoli, e tra il 1657 e il 1659 affrescò le porte della città durante la peste;
inoltre sulla volta di San Pietro a Maiella dipinse la vita di San Pietro Celestino e Santa Caterina
d'Alessandria e il Figliol Prodigo.
Nel 1661 l'artista si trasferì a Malta, chiamato dal Gran maestro dell'Ordine di Malta Raphael
Cotoner. Sull'isola realizzò buona parte della decorazione della Concattedrale di San Giovanni a
La Valletta per conto dei Cavalieri Ospitalieri, ed altre opere per le varie chiese maltesi. Secondo lo
storico dell'arte Antonio Sergi, Mattia Preti avrebbe realizzato a Malta un totale di circa 400 opere
tra tele ed affreschi.
Dal 1672 riuscì a realizzare alcune opere nelle chiese della sua città natale, Taverna. Morì nel
1699 a La Valletta. 60
Ritorno del figliol prodigo (vedi allegato 3)
Mattia Preti ha rappresentato varie volte (almeno quattro) la parabola nei suoi dipinti;
questa redazione, realizzata nel 1656, è quella di dimensioni maggiori ed è conservata
presso il Museo di Capodimonte a Napoli.
60
Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Mattia_Preti
42
La composizione propone uno scenario particolarmente ampio e profondo, chiuso alle
estremità dall'opposto piegarsi di due gruppi di donne, entrambi sottolineati da evidenti
colpi di luce, e idealmente diviso da una statua di spalle, la Flora Farnese, presente anche
in altre opere di Preti. Il contrasto tra luce ed ombra crea un accentuato dinamismo in tutta
la scena ed accresce la teatralità dei gesti: l'incontra tra il vecchio padre e il figlio pentito
diventa lo spunto intorno al quale ambientare l'azione di una molteplicità di figure – fanciulli,
donne vecchie e giovani, servitori, paggi, animali di vario genere – tutti brani di grande
suggestione e di molto mestiere in un artista ormai affermato e ben conscio delle proprie
capacità espressive. Poche e ben studiate note di colore rompono l'uniformità complessiva
della composizione: il rosso vivo della serva che reca le vesti per il giovane e dei calzoni
dell'uomo al centro della scena, il giallo dell'ampio manto del vecchio padre e della giovane
di spalle, mentre l'incarnato livido del figlio ricorda il San Sebastiano e altre opere. 61
Nelle rappresentazioni successive di Preti della parabola, qui tralasciate, colpisce il fatto
che gradualmente scompaiono i personaggi di contorno e il pittore si concentra sulle figure
del padre e del figlio, come per raccogliersi sul tema dell'amore e del perdono che
caratterizza la scena del loro incontro.
3.1.4 REMBRANDT HARMENZOON VAN RIJN
Breve biografia
Rembrandt Harmenzoon van Rijn nasce a Leida in Olanda il 15 luglio 1606, da un mugnaio
benestante, che può offrirgli un'infanzia agiata. Nel maggio del 1620 Rembrandt si iscrive alla
facoltà di letteratura dell'Università di Leida, ma ben presto abbandona gli studi per andare a
lavorare come apprendista presso Jacob Isaaczoon van Swaneburgh, un modesto pittore di quella
città. In seguito si reca ad Amsterdam, forse verso il 1624, presso Pieter Lastmann, uno dei più
noti pittori di soggetto storico del tempo. Intono al 1627-1628 Rembrandt viene in contatto con un
altro giovane pittore, Jan Lievens, con il quale collabora e decide di mettere insieme uno studio a
Leida. Il primo grande quadro "La lezione di anatomia del professor Tulp" gli diede la gloria. Nel
1629 dipinge “Giuda rende i trenta denari”, molto lodata da Constantijn Huygens, segretario del
principe d'Orange Frederick Hendrick, che gli commissionerà in seguito la serie della Passione.
Fondamentale nella carriera e nella vita privata del pittore è il suo rapporto con Hendrick van
61
D. M. PAGANO, Mattia Preti tra Roma, Napoli e Malta, Electa, Napoli 1999, 138.
43
Uylenburgh, mercante d'arte, di cui sposa la cugina, Saskia, con la quale si trasferisce ad
Amsterdam. Nel corso del 1632 lavora anche a L'Aja dove esegue numerosi ritratti. Divenuto il
ritrattista più richiesto di Amsterdam, affianca a questa attività quella di pittore di genere storico.
Nel 1641 nasce il figlio Titus; nell'anno successivo muore la moglie di tubercolosi. Anche se la
bottega di Rembrandt accoglie un numero sempre maggiore di allievi, fra gli anni 1630 e 1650
attraversa una grave crisi finanziaria, scarseggiando anche importanti commissioni pubbliche e
private. Fra i fattori che influiscono sulla sua mancanza di commissioni c'è forse anche lo stile di
vita inconsueto, per la buona società di Amsterdam, soprattutto per quanto riguarda la sua vita
privata: ha una controversia di carattere legale con Geertje Dircks, alla quale è costretto a pagare
una notevole cifra di denaro come risarcimento e nel 1654 l'amante e già governante del pittore
Hendricke Stoffels dà alla luce una figlia illegittima, Cornelia. Oppresso dai debiti che aveva
contratto per l'acquisto della casa, è costretto alla fine a vendere la sua ricca collezione di oggetti
d'arte. Nel 1658 Rembrandt e la sua famiglia devono lasciare la casa nella Sint Anthonisbreestraat
per trasferirsi sul Rozengracht, nel quartiere Jordan. L'ultimo decennio della sua vita trascorre in
ristrettezze economiche e costellato di eventi tragici: nel 1663 muore di peste la sua compagnia
Hendricke, nel 1688 muore anche il figlio Titus, che si era sposato da pochi mesi con Magdalena
van Loo. L'artista continua a dipingere fino agli ultimi giorni di vita; muore il 4 ottobre del 1669 e
viene sepolto in una tomba senza nome nella Westerkerk. E' stato uno dei più geniali pittori
olandesi del 1600, capace di dare alle sue creazioni una profonda intensità di vita per mezzo del
chiaroscuro. 62
L'allegra coppia (vedi allegato 4)
Questo dipinto è stato realizzato da Rembrandt nel 1636 e si trova allo
Staatliche
Kunstsammlungen di Dresda . L'opera dispone di un sottotitolo significativo: «Il figliol
prodigo dilapida la sua eredità».
Nella tradizione questo dipinto viene considerato come un autoritratto dell'autore e della
moglie in un'immagine di felicità coniugale. La natura dell'opera è però più complessa. Lo
studio dell'iconografia ha permesso infatti di assimilare questa scena al racconto
evangelico del figliol prodigo che dilapida il proprio patrimonio in una taverna, in compagnia
di donne di malaffare. Forse per mano dello stesso Rembrandt, la tela fu tagliata sul lato
sinistro e privata di una consistente porzione e si nascose, ridipingendola, la figura già
abbozzata di una suonatrice discinta. E' possibile che il pittore intendesse in questo modo
62
Dal sito www.pittart.com/rembrandt.htm
44
eliminare alcune figure secondarie per concentrarsi sui protagonisti. L'identificazione del
soggetto non esclude però che gli effigiati siano Rembrandt e Saskia: la facile conferma si
ricava dal confronto con altri ritratti coevi. 63
E' interessante notare come il brano del Vangelo non ci dica nulla del periodo in cui il figlio
minore ha dilapidato il patrimonio; solo suo fratello, nella sua accusa, insinua il modo in cui
lo avrebbe fatto. Probabilmente anche Rembrandt si è riconosciuto nel figlio minore in
questo aspetto di «dilapidatore»...
Il ritorno del figliol prodigo o Il braccio benedicente (vedi allegato 5)
Questo dipinto è stato realizzato da Rembrandt tra il 1666 e il 1668, la datazione è
discussa tra gli studiosi, comunque senz'altro verso la fine della sua vita, quando l'autore
si era avvicinato profondamente alla realtà della povertà umana e si trova all'Ermitage di
San Pietroburgo . Si può considerare come l'espressione finale della sua vita turbolenta e
tormentata.
Il dipinto raffigura il momento dell'abbraccio del padre al figlio minore ritornato, con il figlio
maggiore ed altri personaggi sullo sfondo che osservano la scena.
Si potrebbe obiettare che nella parabola il figlio maggiore non assiste direttamente al
ritorno del fratello, ma le opere d'arte che si ispirano a testi della Scrittura non sono mai
semplici illustrazioni di un racconto, ma hanno una loro autonomia ed una loro dignità;
questo dipinto ne è una dimostrazione inequivocabile.
La scena raffigurata dà l'impressione di una apparente staticità:
63
AA.VV., Rembrandt, Rizzoli – Skira, Milano 2003, 104.
45
Il momento dell'accoglienza e del perdono nell'immobilità della sua composizione dura
all'infinito. Il movimento del padre e del figlio parla di qualcosa che non passa ma dura per
sempre. 64
Ma è anche carica di pathos, il che lascia presagire un forte movimento interiore nei
personaggi raffigurati.
Da uno sfondo scuro emergono, illuminate, le figure del padre e del figlio minore che sono
decentrate ma che costituiscono il centro dell'opera. Dall'altro lato incombe la presenza del
fratello maggiore, anch'egli illuminato ma in modo più circoscritto.
IL FIGLIO MINORE appare inginocchiato, vestito di stracci logori, che coprono appena un
corpo sfinito. I piedi portano i segni di un viaggio lungo e umiliante.
E' un uomo spoglio di tutto, l'unico segno di dignità che gli rimane è la piccola spada che gli
pende dal fianco, l'emblema della sua nobiltà. Pur in mezzo alla degradazione, non ha
perso del tutto la consapevolezza di essere ancora il figlio di suo padre. Diversamente
avrebbe venduto la spada di grande valore, che invece è lì a dimostrare che, quantunque
sia tornato atteggiandosi come un mendicante e un proscritto, non ha dimenticato di essere
ancora il figlio del proprio padre. 65
Il volto è indefinito, potrebbe rappresentare ogni persona. Il capo è rasato, forse simbolo
della perdita di dignità e della sua individualità.
IL FIGLIO MAGGIORE appare defilato, poco coinvolto, con uno sguardo freddo e
giudicante. La sua postura è rigida, e questa rigidità è rafforzata dal lungo bastone che
tiene nelle mani chiuse e strette.
Il suo volto è illuminato ma il resto della figura rimane nell'ombra. Indossa un elegante
mantello rosso che sembra però rimanere stretto su di lui.
64
65
C. TUMPEL, Rembrandt, N.J.W. Becht, Amsterdam 1986, 350.
H.J.M. NOUWEN, L'abbraccio benedicente, Queriniana, Brescia 2007, 66-67.
46
Alcuni commentatori hanno notato che le posizioni del fratello minore e del fratello
maggiore richiamano anche l'altra parabola del fariseo e del pubblicano riportata sempre
dal Vangelo di Luca (18,9-14). Altri identificano la raffigurazione del pubblicano della
parabola con il personaggio seduto che si batte il petto sullo sfondo insieme ad altri
personaggi difficilmente identificabili, che forse rappresentano i dubbiosi e i perplessi.
IL PADRE è vestito con lo stesso elegante mantello rosso del figlio maggiore, ma il suo
mantello si apre accogliente.
Questo ampio mantello richiama alla mente le parole del salmo 91:
Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, dì al Signore: Mio
rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido (...) Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue
ali troverai rifugio. (Salmo 91,1-4)
Il volto è luminoso, anche se sofferente, gli occhi appaiono tumefatti, quasi consumati dal
continuo guardare l'orizzonte in attesa del ritorno del figlio.
Il suo corpo si piega sul figlio e lo accoglie in un caldo abbraccio. Questa postura del corpo
può rappresentare il concetto di Dio che scende verso l'uomo.
Le sue mani sono stese, e toccano il figlio con un gesto di benedizione. E sono proprio
queste mani il cuore del dipinto: sono esse che richiamano l'attenzione dell'osservatore e
su di esse si concentra la luce, sono l'incarnazione della misericordia.
Le mani sono molto diverse tra loro. La mano sinistra, posata sulla schiena del figlio, è forte
e muscolosa. È una mano che sembra non soltanto toccare, ma anche, con la sua forza,
sorreggere. È una mano di padre. La mano destra invece è raffinata, delicata, molto
tenera. Le dita sono ravvicinate ed hanno un aspetto elegante. La mano è posata
dolcemente sulla spalla del figlio. Vuole accarezzare, calmare, offrire conforto e
consolazione. È una mano di madre. 66
66
H.J.M. NOUWEN, L'abbraccio benedicente, op. cit., 144-145.
47
Il messaggio è molto forte: in Dio sono pienamente presenti sia la paternità che la
maternità.
Questo lampo di genio di Rembrandt, queste mani richiamano alla mente un brano del
profeta Isaia:
Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio
delle
sue viscere? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti
dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani. (Isaia 49, 15-16).
Solitamente noi facciamo molta fatica a superare la tradizionale immagine esclusivamente
maschile di Dio, ma tanti brani biblici e alcune opere d'arte come questa ci educano ad
aprire la mente e a non rinchiudere e limitare Dio nelle nostre categorie umane e nelle
nostre classificazioni di genere.
Tra le figure speculari del padre e del figlio c'è anche questa corrispondenza:
Mano destra del padre e piede sinistro del figlio: La mano delicata - femminile - è in
corrispondenza del piede scalzo e ferito: è posata dolcemente, esprime
delicatezza, rispetto, tatto e fragilità, vuole proteggere il lato più vulnerabile.
Mano sinistra del padre e piede destro del figlio: La mano robusta - maschile - è in
corrispondenza del piede semi-calzato col sandalo: è una mano che scuote con
energia e sorregge, quasi a infondere nel figlio la fiducia che possa riprendere il cammino
della vita. 67
Dio ci trascende, e anche l'immensità della sua misericordia, che spesso a noi appare
eccessiva, ci educa ad aprire il nostro cuore nei confronti dei fratelli, in modo particolare a
coloro che hanno sbagliato.
Nell'efficacia e nella sintesi di questo dipinto, Rembrandt è riuscito a rappresentare il cuore
del Vangelo. E a suscitare nelle persone che lo contemplano la nostalgia di Dio.
67
D. DORINI, Catechesi del 26 febbraio 2010, parrocchia di San Carlo alla Ca’ Granda,
dal sito www.sanpioxcinisello.it/Prediche%20Artistiche/introduzione_prediche_artistiche.htm
48
Mi devo inginocchiare davanti al Padre, mettere l'orecchio contro il suo petto e ascoltare,
senza interruzione, il battito del cuore di Dio. Solo allora portò dire con precisione e molto
dolcemente ciò che sento. 68
Questa commossa frase di Nouwen è anche una efficace descrizione della preghiera, che
non deve essere uno «spreco di parole» (Matteo, 6,7), come il figlio minore che,
ritornando, si era preparato «l'atto di dolore», inascoltato dal padre, ma deve essere
appunto, un ascolto del cuore di Dio.
3.1.5 JAN VEERMER
Breve biografia
Jan Vermeer nasce il 31 ottobre del 1632 a Delft, città sul fiume Schie nell’Olanda meridionale
vicino al porto di Rotterdam, ma vi è chi attribuisce questa data al giorno del suo battesimo. Il
padre Reyner, di confessione protestante, è un tessitore di professione e pare che si occupi anche
di commercio di opere d’arte.
Dell’infanzia, ma un po’ di tutta la vita di Jan Vermeer non si conosce granché, uniche fonti di una
certa attendibilità sono qualche documento ufficiale ed alcuni commenti scritti, lasciati casualmente
da artisti suoi contemporanei. Anche artisticamente, per lungo tempo poco conosciuto, viene
riscoperto e rivalutato a partire dagli anni del tramonto dell’Ottocento.
Anche dove, come e quando, il futuro artista svolga il suo apprendistato rimane cosa un po’
incerta, ma pare, che per sei anni, sempre a Delft egli frequenti come allievo Carel Fabritius
(Middenbeemster 1622 – Delft 1675), anticipatore della sua futura tecnica.
Nel 1652 muore il padre e Jan diventa erede sia della locanda che degli affari commerciali
riguardanti le opere artistiche.
Praticante del protestantesimo come i genitori, si converte al cattolicesimo prima dell’aprile 1653,
mese in cui si unisce in matrimonio con Catherina Bolnes, giovane cattolica appartenente ad una
famiglia nobile e molto agiata.
La coppia, quasi subito dopo le nozze, va a vivere nel quartiere cattolico di Delft dove abita la
madre della sposa Maria Thins, vedova altolocata che avrà un ruolo molto importante nella futura
vita artistica di Jan, in quanto non si rifiuta di usare buona parte dei suoi redditi per fronteggiare e
sostenere il genero, tutto preso dall’imporsi nel mondo dell’arte pittorica.
68
H.J.M. NOUWEN, L'abbraccio benedicente, op. cit., 31.
49
Nel 1653 Vermeer entra a far parte della corporazione (la Gilda) dei Pittori di san Luca di Delft,
divenendo in seguito un importante e stimato membro, e poi Capo del Consiglio.
Nel 1672, quando tutto in casa Vermeer pareva andare per il meglio, l’invasione francese in terra
d’Olanda provoca una profonda crisi finanziaria che determina il crollo delle richieste dei beni di
lusso tipo i dipinti, per cui il pittore-mercante ne risente molto, ed è costretto a contrarre debiti su
debiti che si protrassero sino ad essere ereditati dai figli.
In un documento ritrovato, la moglie Catherina attribuisce la morte del consorte allo stress derivato
appunto dai gravi problemi finanziari. Tuttavia, la vedova si dedicò molto sia a saldare i conti dei
creditori che a salvare parte della casa e delle opere lasciate dal marito. 69
La mezzana (vedi allegato 6)
Quest'opera è il primo quadro datato di Veermer, risale al 1656 ed è conservato a Dresda
al Staatliche Gemaldegalerie.
Opera di grandi dimensioni, è dipinta con esuberanza a vividi colori, arancio, giallo e rosso,
di grande effetto. Le figure sono tutte comprese in uno spazio ristretto dietro un tappeto
drappeggiato su una balaustra. Veermer voleva probabilmente rappresentare nel suo
dipinto un episodio della storia del Figliol Prodigo, tema estremamente comune nell'arte
olandese. Il questo quadro, l'aria sicura di sé e lo sguardo diretto della figura sulla sinistra
hanno le caratteristiche dell'autoritratto. Il suo costume, identificato come borgognone e
non del diciassettesimo secolo olandese, rafforza l'ipotesi che Veermer intendesse
raffigurare una storia del tempo passato più che una scena di vita contemporanea. 70
Anche Veermer, quindi, come Rembrandt, si è probabilmente identificato nel figlio minore
della parabola, desideroso di staccarsi dalla vita dissoluta e di tornare tra le braccia del
padre.
69
70
Dal sito www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Vermeer%20opere/0%20Vermeer%20biografia.htm
A. WHEELOCK, Veermer, Garzanti, Milano 1996, 70.
50
3.1.6 MURILLO
Breve biografia
Bartolomé Esteban Pérez Murillo, uno dei più grandi esponenti del barocco spagnolo, nasce a
Siviglia l’1 gennaio 1618. Bartolomé ha 13 fratelli, suo padre si chiama Gaspar Esteban e sua
madre Maria Perez Murillo, dalla quale prende il nome d’arte che porrà sulle sue tele. Alla morte di
entrambi i genitori, essendo ancora in tenera età, viene cresciuto da Ana, sua sorella maggiore
sposata con Juan Agustin de Lagaris, un barbiere-chirurgo con il quale avrà sempre un ottimo
rapporto affettivo. La sua formazione artistica si compie nella bottega di Juan Castillo, dove ha
modo di conoscere a fondo anche la tecnica ed il linguaggio della pittura fiamminga. Le sue opere
giovanili, che risentono dell’influenza di Ribera, Alonso Cano e Zurbaran, sono di grande realismo,
con un caratteristico linguaggio che col tempo subirà una grande evoluzione. Le sue opere
acquisiscono importanza anche perché coincidono con il gusto aristocratico e borghese,
soprattutto nelle tematiche a carattere religioso. Nel 1645 realizza tredici quadri per la chiesa di
San Francisco el Grande a Siviglia, che lo renderanno famoso in tutta la Spagna. Nello stesso
anno si unisce in matrimonio con Beatriz Cabrera che gli darà nove figli. Due opere realizzate per
la Cattedrale di Siviglia saranno la fonte della sua evoluzione nei due grandi filoni tematici che lo
renderanno più celebre: le Immacolate concezioni e le Madonne col bambino. Nel 1660 Murillo,
insieme ad altri esponenti del mondo artistico tra i quali Herrera el Mozo, fonda l’accademia di
Pittura di Siviglia, della quale, insieme allo stesso Herrera, sarà il primo Direttore. Data la sua
notorietà nelle tematiche religiose, in questo periodo, riceve molte richieste per coprire importanti
incarichi e molte commissioni per la realizzazione di opere in chiese, cattedrali e luoghi di culto, tra
i quali la Chiesa di S. Maria la Blanca (dipinti), il Monastero S. Agustin (Pala) e la Chiesa del
Convento dei Cappuccini (dipinti per le cappelle laterali e per la Pala Maggiore); questi ultimi
portati a termine nel 1665. Morirà 3 aprile 1682 a causa della caduta da una impalcatura mentre
stava realizzando “Lo Sposalizio mistico di Santa Caterina”. 71
Storie del figliol prodigo
Murillo, sempre attento alle tematiche religiose, dipinse un intero ciclo dedicato alla
parabola, che probabilmente gli fu commissionato, e che curò con particolare attenzione.
71
Dal sito www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Murillo%20opere/0%20Murillo%20opere.htm
51
La prova del singolare amore con cui trattò i dipinti di questo ciclo è il fatto che ne preparò
con grandissima cura l'esecuzione, studiandone ciascuno in un bozzetto di dimensioni pari
a un quarto di quelle definitive. 72
Questo ciclo comprende «Il figliol prodigo riceve la legittima», «La partenza del figliol
prodigo», «I piaceri del figliol prodigo, «Il figliol prodigo cacciato dalle cortigiane», «Il figliol
prodigo guardiano di porci», «Il ritorno del figliol prodigo», tutti conservati presso la Beit Art
Collection di Blessington (Irlanda); molti dei bozzetti di queste opere si trovano invece
presso il Museo del Prado di Madrid.
Il ritorno del figliol prodigo (vedi allegato 7)
Questo dipinto è forse il più noto delle rappresentazioni della parabola di Murillo.
E' conservato presso la National Gallery of Art di Washington ed è stato realizzato tra il
1667 e il 1670.
Raffigura in grandi dimensioni il figlio inginocchiato davanti al padre e i servitori che
portano i vestiti nuovi, l'anello e il vitello migliore, con un cagnolino che festeggia allegro il
ritorno del padroncino. Le figure emergono dal paesaggio indefinito sullo sfondo.
Colpisce il contrasto tra gli abiti eleganti e di stile seicentesco del padre e dei domestici e
gli stracci di cui è ricoperto il figlio minore. Anche il palazzo del padre, in stile classico, si
stacca dal resto del dipinto. A differenza del dipinto di Rembrandt, dove il figlio ha il volto
indefinito, qui i lineamenti del figlio sono ritratti con precisione, e si nota l'espressione di
supplica del figlio.
72
J.A. GAYA NUNO, L'opera completa di Murillo, Rizzoli, Milano 1978, 110.
52
3.1.7 GIORGIO DE CHIRICO
Breve biografia
Giorgio De Chirico nasce nel 1888 a Volos (Grecia). Molto giovane segue un corso di disegno
presso la Scuola politecnica di Atene, poi, dal 1906 al 1908, studia all’Accademia di Belle Arti di
Monaco. A partire dal 1910, le letture di Nietzsche lo spingono a produrre i primi autoritratti e
paesaggi
metafisici.
Dal 1911 al 1915, si stabilisce e lavora a Parigi, esponendo nei diversi saloni annuali. In guerra, De
Chirico viene ricoverato all’ospedale militare di Ferrara; vi incontra Carlo Carrà e Filippo De Pisis.
Alla fine della guerra de Chirico va a Roma e partecipa alle esposizioni di “Valori plastici”. La prima
personale è del 1919. Gli artisti surrealisti sono molto sensibili alla sua “pittura metafisica” che
prefigura quella del loro movimento. De Chirico crea un’opera in cui emerge un clima di nostalgico
mistero. Negli anni ’20, l’artista utilizza una fattura più classica e delle tecniche riprese dagli antichi
maestri (velature, tempere, etc.). Tra il 1924 ed il 1929 l’artista vive nuovamente a Parigi. Nel 1926
raggiunge il movimento del Novecento in netta opposizione al modernismo; De Chirico viene
criticato per questa sua scelta e molte delle sue relazioni artistiche gli girano le spalle.
De Chirico esplorerà il tema del doppio nelle tele in cui si mette in scena a fianco della madre, del
fratello o di specchi. Dipinge anche personaggi della mitologia greca, dei ritratti, dei cavalli,
compone nature morte che definisce “vite silenziose”. De Chirico si compiace nel confondere le
carte della propria arte, creando intorno a sé l’enigma che lo contraddistinguerà. Lo si critica di
imitare sé stesso. Giorgio de Chirico illustrerà diverse opere (Apollinaire, Cocteau, Eluard, etc.),
concepisce decori e costumi per l’opera, scrive (romanzo e prose corte). Artisti come Ernst, Yves
Tanguy, Dalì e Magritte hanno sottolineato l’influenza che egli ha saputo esercitare su di loro.
E' morto nel 1978 a Roma. 73
Il figliol prodigo (vedi allegato 8)
Questo dipinto è stato realizzato da De Chirico nel 1922 ed è conservato a Milano, al
Museo del Novecento. È un dipinto a tempera, realizzato in anni di ricerche tecniche e
stilistiche da parte dell'autore.
In una piazza, tra portici e paesaggi lontani, spiccano due curiose figure, un manichino
senza volto e una statua di gesso.
73
Dal sito http://www.mchampetier.com/note-di-biografia-Giorgio-De.Chirico.html
53
In questo dipinto, derivato da un disegno del 1917, De Chirico traduce il tema della
parabola evangelica del figliol prodigo in chiave metafisica; il figlio manichino, con il
consueto contorno di squadre, righelli, cavalletti, proprio del periodo ferrarese, torna tra le
braccia del padre, rappresentato come statua ottocentesca, il quale per accoglierlo è sceso
dal basso piedistallo sul quale il pittore ha segnato la data e la firma. Il paesaggio nel quale
avviene l'incontro, con il cielo percorso da leggere nuvole, e quell'edificio porticato dalle
proporzioni classiche, sulla destra, ha una limpida spazialità che riecheggia il
Rinascimento. Il ritorno di De Chirico alla tradizione, da lui in realtà mai trascurata, e al
museo avviene in una atmosfera di serena, malinconica familiarità. 74
Anche De Chirico, come Rembrandt e Veermer, ha messo qualcosa di autobiografico in
quest'opera, identificandosi con il figlio, confermando l'incisività di questa parabola nella
vita dei lettori che vi si accostano.
3.1.8 MARC CHAGALL
Breve biografia
Marc Chagall nasce a Liosno, presso Vitebsk nel 1887, primogenito di una famiglia ebrea di nove
figli. Dal 1906 al 1909 studia prima a Vitebsk, quindi all'accademia di Pietroburgo, dove è allievo
anche di Léon Bakst. Nel 1910 si trasferisce a Parigi. Qui conosce le nuove correnti del momento,
particolarmente il Fauvismo e il Cubismo. Si inserisce negli ambienti artistici d'avanguardia.
Frequenta tra gli altri Guillaume Apollinaire e Robert Delaunay. Nel 1912 espone sia al Salon des
Indépendants, che al Salon d'Automne. Delaunay lo fa conoscere al mercante berlinese Herwarth
Walden, che nel 1914 gli allestisce una personale presso la sua galleria Der Sturm. Il
sopraggiungere della guerra nel 1914 fa rientrare Marc Chagall a Vitebsk. Qui fonda l'Istituto
d'Arte, di cui è direttore fino al 1920, quando gli subentra Malevich. Si trasferisce a Mosca. Inizia a
realizzare le decorazioni per il teatro ebraico statale "Kamerny". Nel 1923 ritorna a Berlino e
successivamente a Parigi. Qui ristabilisce i contatti e conosce Ambroise Vollard, che gli
commissiona l'illustrazione di vari libri. Nel 1924 ha luogo una importante retrospettiva di Chagall
presso la Galerie Barbazanges-Hodeberg. In seguito, effettua viaggi in Europa e anche in
Palestina. Nel 1933 presso il Kunstmuseum Basel ha luogo una grande retrospettiva. Ma quasi
contemporaneamente avviene l'ascesa del nazismo al potere in Germania. Tutte le opere di
74
AA.VV., De Chirico, I classici dell'Arte- Il Novecento, Rizzoli – Skira, Milano 2004, 132.
54
Chagall vengono confiscate ai musei tedeschi. Alcune figurano nell'asta tenuta alla Galerie Fischer
di Lucerna nel 1939. A Chagall non rimane che rifugiarsi in America. Nel 1947 fa ritorno a Parigi, e
nel 1949 si stabilisce a Vence. Importanti mostre gli vengono dedicate dappertutto. Inizia la lunga
serie di decorazioni di grandi strutture pubbliche. Nel 1962 disegna le vetrate per la sinagoga dello
Hassadah Medical Center, presso Gerusalemme, e per la cattedrale di Metz. Nel 1964 realizza le
pitture del soffitto dell'Opéra di Parigi. L'anno dopo è la volta delle grandi pitture murali sulla
facciata della Metropolitan Opera House di New York. Nel 1970 disegna le vetrate del coro e del
rosone del Fraumünster di Zurigo. Di poco successivo è il grande mosaico a Chicago. Muore a
Saint-Paul-de-Vence nel 1985. 75
Il figliol prodigo (vedi allegato 9)
Il dipinto, realizzato da Chagall negli anni 1975-76, è conservato a Saint Paul de Vence, in
Francia, presso una collezione privata.
L'immagine sembra onirica, sospesa, e le figure centrali del padre e del figlio si stagliano
in un villaggio dove sembra che l'intera popolazione ruoti intorno a loro per festeggiare
l'incontro.
Tutto il dipinto è immerso in un azzurro luminoso che si carica qua e là di macchie di colore
intenso: bagliori di rosso e giallo, zone d’ombra blu o verde scuro. All’orizzonte si riconosce
Vitebsk, paese natale di Chagall, il luogo dove egli aveva respirato la sua fede ebraica e
aveva assaporato qualcosa del mondo religioso e incantato dei Chassidim. La strada che si
snoda al centro del dipinto conduce proprio là in quel gruppo di case assiepate attorno al
campanile di una chiesa cristiana. Sul lato opposto a Vitebsk nella parte destra della tela, in
basso, s’intravede ancora Chagall con un cavalletto da pittore alle spalle mentre si
allontana dal villaggio. Tutto il percorso umano e spirituale del pittore è qui riassunto.
Si
era allontanato come un figlio prodigo dalle sue radici ebraiche a causa della pittura, un’arte
poco compresa dall’area più osservante del giudaismo. Ora tornava in patria, in quella
patria che tanto gli aveva dato, ancora profondamente credente e con la sua anima da
ebreo russo più intatta che mai. Aveva sperimentato, è vero, la tentazione di abbandonare
le sue radici per seguire quelle linee di pensiero soggiacenti ad alcune espressioni dell’arte
moderna, tra cui il surrealismo cui Chagall aderì per un certo tempo, eppure quel
percorso interiore che la vera arte
75
innesca lo aveva in qualche modo sempre tenuto
Dal sito www.chagall.it
55
legato ai valori fondamentali della sua fede, della sua gente, della sua terra natale.
Qui Chagall, ed è quello che colpisce, chiama il villaggio a raccolta. Sembra che l’intero
borgo di Vitebsk si sia precipitato all’aperto, lungo la strada principale per assistere
all’incontro e partecipare alla festa. 76
In quest'opera dai contorni indefiniti e sganciata dallo spazio e dal tempo, veniamo riportati
alla centralità di ciò che ha veramente valore e rimane in eterno: l'amore e il perdono del
Padre.
Oltre a queste opere, sono degni di nota anche i dipinti:
Il ritorno del figliol prodigo, di Pompeo Batoni, eseguito nel 1773 e conservato presso il
Kunsthistorisches Museum di Vienna (vedi allegato 10)
Il ritorno del figliol prodigo, di Lucio Massari, eseguito nel 1614 e conservato presso la
Pinacoteca Nazionale di Bologna (vedi allegato 11)
Il ritorno del figliol prodigo, di James Jaques Tissot, eseguito nel 1862 e conservato presso
il Museum of Biblical Art di New York (vedi allegato 12)
76
Dal sito http://adoratrici.culturacattolica.it/default.asp?id=446&id_n=17843&Pagina=1&fo=
56
3.2 LA PARABOLA NELLA SCULTURA
3.2.1 ARTURO MARTINI
Breve biografia
Arturo Martini nasce a Treviso l'11 agosto 1889. Abbandonati gli studi, lavora come apprendista
presso un orefice e poi in una manifattura di ceramiche. Tra il 1909 e il 1913 viaggia a Monaco e a
Parigi, dove viene a contatto con le novità artistiche di quegli anni. Nel 1913, al ritorno da Parigi,
partecipa con alcune opere alla mostra di Ca' Pesaro provocando grandi dissensi da parte di
critica e pubblico. Nel 1914 partecipa alla II Secessione Romana e all'Esposizione Libera Futurista
Internazionale.
Nel dopoguerra, lasciatesi alle spalle le influenze simboliste ed espressioniste degli esordi, si
dedica a una forma di purismo plastico. Collabora alla rivista “Valori Plastici” ed espone a Berlino
con gli artisti legati ad essa, aderendo alla sintesi metafisica e alla tradizione classicista che
caratterizzano il gruppo. Nel 1925 è invitato con una sala alla III Biennale Romana; nel 1926
partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia (in precedenza le sue opere erano state
sempre rifiutate) e alla I Mostra del Novecento Italiano alla Permanente di Milano, dove è presente
anche per la seconda edizione realizzata nel 1929. Le opere realizzate in questo periodo
evidenziano un momento di grande creatività in cui Martini fonde insieme, in un unicum
rivoluzionario, le forme classiche (dall'arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del
Trecento) con nuove concezioni plastiche. Nel 1931 vince il Premio per la Scultura alla I
Quadriennale Romana e nel 1932 è invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia.
Tra il 1937 e il 1939 realizza grandi commissioni pubbliche per la città di Milano. Nel 1940 presenta
alla Galleria Barbaroux di Milano la sua prima esposizione di dipinti. Nel 1942 (anno in cui inizia a
insegnare all'Accademia di Venezia) la sua opera “Donna che nuota sott'acqua” è accolta come un
capolavoro alla Biennale di Venezia. Nelle sue ultime opere giunge alle soglie dell'astrazione.
Sono anni di crisi artistica e morale, testimoniata dal testo “La scultura lingua morta”. Si spegne a
Milano il 22 marzo 1947. 77
77
Dal sito http://www.archimagazine.com/bmartini.htm
57
Il figliol prodigo (Vedi allegato 13)
Questa scultura in bronzo è stata realizzata da Martini nel 1927 ed è conservata all'Opera
Pia Ottolenghi di Acqui Terme (AL).
L'opera esprime non solo la riconciliazione tra padre e figlio, ma il colloquio tra giovinezza e
vecchiaia. Rispetto al racconto evangelico, infatti, Martini accentua la fragilità dell'anziano
padre. Mentre nella parabola è una persona ancora sana, in grado di correre, di dare ordini
e prendere provvedimenti, Martini immagina un uomo sofferente, che guarda nel vuoto
davanti a sé e afferra il braccio del figlio per farsi suggerire dal tatto quello che la vista gli
dice ormai a fatica. Il giovane, da parte sua, lo scruta ansiosamente, scoprendolo per la
prima volta invecchiato, debole. L'incontro col padre si tramuta così, anche, in una
cognizione della precarietà dell'esistenza. E la tensione di quell'abbraccio incompiuto,
insieme commosso e pudico, colto un attimo prima dello scioglimento finale e bloccato in
quel primo contatto accorato, tocca un'intensità irraggiungibile. 78
L'autore è riuscito a trasformare un materiale metallico e apparentemente freddo come il
bronzo in figure piene di pathos, realizzando una scultura veramente toccante.
3.3 LA PARABOLA NELLA LETTERATURA
3.3.1 GIOVANNI GONDOLA
Breve biografia
Nato da antica e potente famiglia patrizia ragusea nella costa dalmata da Francesco di Francesco
Gondola (1567-1624) e Gina de Gradi, Giovanni Gondola (anche Giovanni Francesco Gondola o
ancora de Gondola) venne educato in lettere dal gesuita Silvestro Muzio, studiando anche filosofia
con Ridolfo Ricasoli e Camillo Camilli, dandosi poi agli studi giuridici con risultati così brillanti da
essere assai presto chiamato ad assolvere importanti incarichi nelle magistrature della Repubblica
di Ragusa.
78
C. GIANFERRARI, E. PONTIGGIA, L. VELANI (a cura di), Arturo Martini, Skira, Milano 2006, 128-130.
58
A diciannove anni fu cooptato nel Maggior Consiglio della Repubblica. Per due volte nel corso
della sua varia carriera pubblica - nel 1615 e nel 1619 - fu capitano di Canali: un ufficio pubblico di
durata annuale o biennale, in riferimento al quale il Gondola scrisse ai Rettori della Repubblica due
relazioni il 26 e il 27 giugno 1619: si tratta degli unici due documenti manoscritti del Gondola a noi
pervenuti.
A trent'anni si sposò con Nicoletta Sorgo - dell'antica casata nobile. Ebbero cinque figli: Francesco,
Matteo, Sigismondo, Maria e Giovanna.
Negli ultimi tre anni della sua vita, Gondola fu senatore (1636), giudice (1637) e membro del Minor
Consiglio (1638). In prossimità della sua elezione alla massima carica - quella di Rettore - Gondola
morì di febbre, probabilmente a seguito di un'infezione al torace.
Lungo tutto il corso della sua vita, Giovanni Gondola coltivò con sempre maggior passione la
scrittura e la poesia, acquisendo ancora in vita una buona fama, ingigantitasi viepiù negli anni fino
a farlo ritenere "il Tasso del Seicento raguseo" e il più decantato autore dell'intera storia della
letteratura della Repubblica. 79
Le lagrime del figliol prodigo (Suze sina razmetnoga)
Si tratta di un poema religioso, stampato a Venezia nel 1622 che comprende tre lamenti:
il peccato, il ravvedimento e il pentimento, e che esprime una concezione della vita
tipicamente barocca.
Il poema di Gondola è costituito da 1332 versi e, a differenza della parabola evangelica,
narra del figlio minore che, spinto dall'amore per una donna, cerca di conquistarla
colmandola di doni preziosi. Viene tralasciata la parte conclusiva della parabola e la figura
del fratello maggiore per evidenziare la parte del ritorno al padre e la riflessione sulla sua
grande bontà.
79
Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gondola
59
3.3.2 VOLTAIRE (François-Marie Arouet)
Breve biografia
François-Marie Arouet (Parigi,1694-1778), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Voltaire, fu un
filosofo molto importante e influente, nonché finissimo scrittore e punto cardine dell'Illuminismo.
Di formazione umanistica, proveniente da una ricca famiglia borghese, studiò presso i giansenisti
ed i gesuiti del rinomato collegio Louis-le-Grand e venne introdotto giovanissimo nella “Societé du
Temple”, noto cenacolo di Parigi ad orientamento libertino. Il successo della rappresentazione
della
sua
prima
tragedia,
Edipo/Oedipe
(1718),
lo
rese
celebre
ed
apprezzato.
Fu imprigionato due volte (1717-1718 e nel 1726) alla Bastiglia, a causa dell'irriverenza espressa
in versi nei confronti del reggente. Con la pubblicazione del poema “La Ligue” del 1723, scritto
durante la prigionia, ottenne l'assegnazione di una pensione da parte del re. L'opera verrà
pubblicata nuovamente col titolo di Enriade nel 1728. Fu esiliato in Gran Bretagna (1726-1729)
dove, con la conoscenza di uomini di cultura democratica, scrittori e filosofi come Robert Walpole,
Jonathan Swift, Alexander Pope e George Berkeley, maturò idee illuministe contrarie
all'assolutismo feudale della Francia. In Gran Bretagna scrisse “Lettere sugli inglesi” (o “Lettere
filosofiche”), per la quale venne di nuovo condannato, essendo stata un'opera di riferimento contro
il vecchio regime. Ancora esule in Lorena (a causa dell'opera Storia di Carlo XII del 1731), scrisse
le tragedie “Bruto” e “La morte di Cesare”, cui seguirono “Maometto e Merope”, il trattato “Gli
elementi della filosofia di Newton” oltre all'opera storiografica “Il secolo di Luigi XIV”. Grazie al
riavvicinamento con la corte, favorito da Madame de Pompadour, nel 1746 fu nominato storiografo
e membro dell'Académie Française. Dal 1749 al 1752 soggiornò a Berlino, a Ginevra, e nel 1755 a
Losanna presso il castello di Ferney. Ormai ricco e famoso, divenne un punto di riferimento per
tutta l'Europa illuminista. Entrò in polemica coi cattolici per la parodia di Giovanna d'Arco in “La
pulzella d'Orléans”, ed espresse le sue posizioni in “Candido ovvero l'ottimismo” (1759), in cui
polemizzò con l'ottimismo di Gottfried Leibniz. Il romanzo rimane l'espressione letteraria più
riuscita del suo pensiero, contrario ad ogni provvidenzialismo o fatalismo. Da qui iniziò un'accanita
polemica contro la superstizione ed il fanatismo a favore di una maggiore tolleranza e giustizia.
A tal proposito scrisse diverse altre opere. I suoi resti riposano al Panthéon dove sono stati
trasportati dopo la rivoluzione. Malgrado il trionfo, alla morte, nel 1778 gli fu negata la sepoltura
ecclesiastica. 80
80
Dal sito http://www.zam.it/biografia__Voltaire
60
Il figliol prodigo (commedia)
Questa commedia di Voltaire è composta da cinque atti, in versi da dieci sillabe. Fu
rappresentata per la prima volta alla Comédie-Française il 10 Ottobre 1736, ed ebbe un
grandissimo successo di pubblico, pur non essendo stata annunciata o pubblicizzata,
anche se incappò nella censura, nonostante Voltaire non apparisse esplicitamente come
autore:
L'Enfant prodigue dovette piegarsi ai voleri di un censore più che mai occhiuto, il quale
vietò persino l'uso di parole come “patriarca” ed “esorcismo”, che pure non contenevano la
minima allusione a faccende sacre. 81
I personaggi della commedia sono:
Euphémon padre, Euphémon figlio, Fierenfat (presidente di Cognac, secondo figlio di
Euphémon), Rondon (Borghese di Cognac), Lise (figlia di Rondon), Baronessa di
Croupillac, Marthe (vicina di Lise), Jasmin (valletto di Euphemon figlio). La storia si svolge
a Cognac.
Questa opera è nota più che altro per la prefazione, dove Voltaire, nascondendosi dietro il
nome dell'editore, disquisisce sul carattere al contempo ludico ed edificante della
commedia e sulla necessità di indulgere, di tanto in tanto, al sorriso nella tragedia,
riassumendo il concetto con la nota frase « tutti gli stili sono buoni, tranne il genere
noioso».
81
T. BESTERMAN, Voltaire, Feltrinelli, Milano 1971, 168.
61
3.3.3 PRIMO MAZZOLARI
Breve biografia
Primo Mazzolari nacque al Boschetto, una frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890. Terminate le
scuole elementari, Primo decise di entrare in seminario a Cremona. Fu ordinato prete nel 1912.
Nel 1913 fu nominato professore di lettere nel ginnasio del seminario. Svolse tale funzione per un
biennio, durante il quale utilizzò le vacanze estive per recarsi in Svizzera, ad Arbon, come
missionario dell'Opera Bonomelli tra i lavoratori italiani là emigrati. Era intanto scoppiata la Prima
Guerra Mondiale e, nella primavera del 1915 si schierò in quel frangente tra gli interventisti
democratici, così come altri giovani cattolici, e collaborò al giornale «L'Azione» di Cesena. La
guerra comportò però subito un atroce dolore per il giovane prete. Nel novembre 1915, infatti, morì
sul Sabotino l'amatissimo fratello Peppino, il cui ricordo rimase sempre vivissimo in don Primo.
Questi aveva comunque già deciso di offrirsi volontario: fu così inserito nella Sanità militare e
impiegato negli ospedali di Genova e poi di Cremona. Il timore di sentirsi ‘imboscato' spinse però
don Mazzolari a chiedere il trasferimento al fronte. Così nel 1918 fu destinato come cappellano
militare a seguire le truppe italiane inviate sul fronte francese. Rimase nove mesi in Francia.
Rientrato nel 1919 in Italia ebbe altri incarichi con il Regio Esercito, compreso quello di recuperare
le salme dei caduti nella zona di Tolmino. Nel 1920 seguì un periodo di sei mesi trascorso in Alta
Slesia insieme alle truppe italiane inviate per mantenere l'ordine in una zona che era stata
forzatamente ceduta dalla Germania alla neonata Polonia. Tutte le testimonianze concordano nel
raccontare dell'impegno e della passione umana con cui don Primo seguì in questi vari frangenti i
suoi soldati. Smobilitato nell'agosto 1920, don Mazzolari chiese al suo vescovo di non tornare
all'insegnamento in seminario, ma di essere destinato al lavoro pastorale tra la gente e cercò
forme nuove per accostare tutti coloro che si erano ormai allontanati dalla Chiesa. Durante
l'inverno faceva la scuola serale per i contadini e istituì la biblioteca parrocchiale. L'avvento del
fascismo lo vide fin dall'inizio diffidente e preoccupato, senza celare la propria intima opposizione.
Nel novembre 1925 rifiutò di cantare solennemente il Te Deum dopo che era stato sventato un
complotto per attentare alla vita di Mussolini. Nel 1932 don Primo fu trasferito a Bozzolo dove iniziò
a scrivere in modo regolare, così che gli anni Trenta furono per lui molto ricchi di opere. Nei suoi
libri, egli tendeva a superare l'idea della Chiesa come ‘società perfetta'. Nel 1934 don Mazzolari
pubblicò La più bella avventura, basata sulla parabola del figliuol prodigo, ma questo testo fu
condannato l'anno dopo dal Sant'Uffizio vaticano, che giudicò «erroneo» il libro e ne impose il ritiro
dal commercio. Ubbidiente, don Primo si sottomise. Le opere successive finirono però ancora
sotto la scure della censura. Le autorità fascista censurarono infatti nel 1941 Tempo di credere,
ritenuto un libro non conforme allo ‘spirito del tempo', quello cioè di un'Italia in guerra, ma lui
62
strinse sempre più rapporti con la Resistenza. L'impegno per l'evangelizzazione, la pacificazione,
la costruzione di una nuova società più giusta e libera costituirono i cardini dell'impegno di don
Mazzolari dal 1945 in poi.
Nella Chiesa italiana il nome di Mazzolari continuava a dividere: alle prese di posizione ufficiali,
che in pratica lo proscrivevano e lo volevano rinchiudere nella sua Bozzolo, si contrapponevano i
tanti amici, ammiratori, discepoli di ogni tipo che si riconoscevano nelle sue battaglie e
diffondevano le sue idee in tutta Italia. Lui rimaneva coerente al suo proposito di ‘ubbidire in piedi',
sottomettendosi sempre ai suoi superiori, ma tutelando la propria dignità e la coerenza del proprio
sentire. Proprio alla fine della sua vita cominciò a venire qualche gesto significativo di distensione
nei suoi confronti. Nel novembre del 1957 l'arcivescovo di Milano mons. Montini (il futuro papa
Paolo VI) lo chiamò a predicare alla Missione di Milano. Nel febbraio 1959, infine, il nuovo papa,
Giovanni XXIII, lo ricevette in udienza in Vaticano, lasciando in don Primo un'intensa emozione.
Ormai però la salute del parroco di Bozzolo era minata e logorata. Don Primo Mazzolari morì infatti
poco tempo dopo, il 12 aprile 1959. Anni più tardi, Paolo VI dirà di lui: «Lui aveva il passo troppo
lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è
il destino dei profeti». 82
La più bella avventura (sulla traccia del prodigo)
Questo testo, del 1934, è un ampio commento alla parabola. E' un appello alla Chiesa,
una richiesta di aprirsi ai lontani, ai protestanti, ai modernisti, agli spiriti critici e ai liberi
pensatori, perchè «niente è fuori dalla paternità di Dio».
In queste pagine, don Primo immagina una Chiesa aperta al mondo, anticipando
profeticamente il tema del rapporto tra Chiesa e modernità.
La parabola del figliol prodigo è assunta come immagine della Chiesa del tempo. Il figlio
minore rappresenta i lontani, mentre il maggiore, invece di gioire per la conversione del
fratello, «che era perduto ed è stato ritrovato», rappresenta chi si chiude in un
atteggiamento teso a salvaguardare solo i propri privilegi. La polemica, seppur velata, è
contro tutti coloro che non escono dal tempio e preferiscono rimanere tra le mura sicure e
accomodanti della propria cittadella. La più bella avventura è proprio la conversione, che
coinvolge tutti, chi è dentro e chi è fuori, chi vive nella Chiesa e chi se ne allontana. Per il
parroco di Bozzolo tutti gli uomini sono come il figliol prodigo e aspettano di essere chiamati
82
Dal sito www.fondazionemazzolari.it
63
dal padre. Ciò che conta è dunque la conversione del cuore, che deve essere profonda e
autentica, non tanto il ritenersi “dentro” la Chiesa per un fatto esclusivamente di presenza
fisica o di adesione alle sue associazioni. Mazzolari mette al centro l’immagine della casa
del padre, accogliente e aperta a tutti: invita così ad aprirsi ai “lontani” e ad abbandonare
ogni atteggiamento di paura e di contrapposizione. Si tratta di tematiche, relative al difficile
rapporto fra la Chiesa e un mondo sempre più lontano e indifferente, che il parroco di
Bozzolo aveva già affrontato in una “missione” a Breno (Brescia) nel 1929 e a Genova in
una predicazione del 1931. 83
3.3.4 DAVID MARIA TUROLDO
Breve biografia
Giuseppe Turoldo nasce a Coderno di Sedegliano il 22 novembre 1916. Dopo alcuni anni di
formazione presso l’ordine mendicante religioso dei Servi di Maria (che lui definiva “mendicanti
d’amore”), emette la sua prima professione religiosa nel ’35 assumendo il nome di fra David Maria.
Nel ’40 viene ordinato sacerdote e per quindici anni tiene la predicazione domenicale nel Duomo di
Milano. Fin dall’inizio del suo sacerdozio si impegna in ambiti diversi: predicazione, scritture,
resistenza, assistenza ai poveri e Nomadelfia (“piccola città” con l’unica legge della
fraternità).Fonda il centro culturale “Corsia dei Servi”e alterna l’attività culturale alla testimonianza
civile e politica, all’attività di predicatore e soprattutto di poeta. Nel ’46 si laurea in filosofia con una
tesi dal titolo “Per una ontologia dell’uomo”. Durante la Resistenza fonda una rivista antifascista
clandestina, “L’Uomo”, dove pubblica le sue prime poesie; scrive anche testi in prosa di contenuto
biblico-letterario, testi teatrali; traduce inoltre tutti i salmi della Bibbia e compone nuovi inni e cantici
a commento della liturgia domenicale e festiva. Per i suoi scritti anticonformisti, viene chiamato
“coscienza inquieta della Chiesa”. Viene allontanato da Pio XII da Milano per la severità con cui
interpreta il Vangelo di fronte alla borghesia milanese e viene inviato all’estero. A metà degli anni
’60 si trasferisce nella comunità dei Servi di Maria a Fontanella, vicino a Sotto il Monte, paese
natale di papa Giovanni XXIII. Turoldo ha stima e fiducia per il cammino dell’uomo promosso dal
Papa buono e dal Concilio Vaticano II e s’impegna per una “ricomposizione” indicata dal vangelo.
Da Fontanella continua a condurre le sue battaglie e dirige il Centro di Studi Ecumenici Giovanni
XXIII. L’obbedienza al servizio all’uomo e alla solidarietà si realizza nella sua attività di prosatore
prolifico e pungente e di notista con delle rubriche fisse su giornali e riviste. Denuncia tutti i
83
A. PALINI, «L'influenza di don Mazzolari sulla Chiesa e la società bresciana», relazione al convegno diocesano del
13/03/2011 Primo Mazzolari, profeta e testimone, tenuto presso il Centro Pastorale Paolo VI di Brescia. Dal sito
www.ildialogo.org
64
soprusi, soprattutto istituzionali ed economici, e si fa voce degli oppressi, anche di quelli più
lontani, per la libertà e la giustizia. Crede, infatti, che l’unica scelta di salvezza sia la spartizione dei
beni (incontro con Ernesto Cardenal, valorizzazione di Rigoberta Menchù, canto per Oscar
Romero).
Nel suo testamento spirituale, scritto nel 1986, padre David ringrazia i suoi “tre amori” con l’aiuto
dei quali ha saputo superare ogni difficoltà: gli amici laici, i confratelli e i poveri (che lui chiamava
“mie radici e mio sangue” e “la mia gente”). La produzione poetica degli anni della sofferenza
fisica, in cui “sperare è più difficile che credere”, si caratterizza per la trattazione delle tematiche
legate al mistero dell’essere, alla vita e alla morte con una schiettezza radicale. Dopo una lunga
malattia che lo segna fisicamente e moralmente, ma che non gli fa mai abbandonare la speranza,
padre David muore nel 1992. 84
Ritorno del figliuol prodigo (poesia)
Ho l'anima rossa di ricordi
ultimo sangue che ancora mi resta:
poi tutto ho perso
cuore sostanze
lungo le strade.
Ricordo la tua mano protesa
verso la mia casa
e mi dicesti: «Sali
a metterti la veste».
Ora la Tua calma
riappare
sopra la grande città. 85
84
85
Dal sito www.zam.it/biografia_David%20M._Turoldo
D. M. TUROLDO, O sensi miei..., BUR, Milano 2002, 33
65
Eppure mi tenta ancora (poesia)
Eppure mi tenta ancora
questa avventura
del Figlio Prodigo. Prima
era un dovere.
Potere un giorno
dire coi sensi che le cose
gridano a un essere più alto,
a una più alta gioia;
che esse sole
non sono sufficienti.
Dovere di sacrificare
quelle stesse cose
che sono divine,
di consumarle in noi stessi
al fine di una creazione
che è nostra.
Oh io l'avrei fatto
s'Egli non avesse parlato.
E se resto, non mi lamento
come il fratello maggiore
che non comprende la ricchezza
di quel figlio
che ha tutto perduto.
Era bene che uno Gli portasse
l'omaggio delle donne
anche da quelle strade;
sacra, è la bellezza
di tutte le creature
e uno doveva raccoglierla.
Diffìcile era credere
senza provare,
sono i sensi il tempio
di una incrollabile fede.
E dentro la Sua casa
66
non sempre l'uomo intende.
E anch'Egli ha lasciato
il seno del Padre,
e si è commosso di noi
e ci ha amati
perdutamente. 86
Padre David, come ha detto di lui Carlo Bo, «ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia.
Dandogli la fede gli ha imposto di cantarla tutti i giorni».
La poesia era per lui come una necessità, un fuoco interiore che esigeva di essere lasciato
uscire, comunicato.
La poesia fu, per padre David, quasi una necessità biologica, come la preghiera, come la
predicazione: inscindibile dalla sua fede, dalla sua vocazione e dalla sua stessa vita, dalla
sua esperienza di Dio e dalla ricerca di salvezza per sé e per il mondo. Indissolubilmente
legata alla ricerca della verità, e quindi al desiderio di capire e di farsi capire, divenne
sovente una forma di profezia per il semi-disperato dispensatore di speranza. 87
Oltre a queste riportate sopra, tante altre poesie della vasta produzione di Turoldo
attingono alla Bibbia, con la quale il poeta si pone in continuo confronto, ed in modo
particolare alle parabole.
Viene da chiedersi perchè padre Turoldo sia così affascinato, e si può dire innamorato,
delle parabole. Le ragioni ce le spiega lui stesso: “E' proprio della parabola contare sulla
libera apertura del cuore”; il che, se non interpreto male, significa che la parabola non è un
precetto, un comandamento; ma un invito a riflettere, la buona novella offerta con
discrezione, allusivamente; e a me piace pensarla come una vena di laicità evangelica. 88
86
87
88
D. M. TUROLDO, O sensi miei..., op. cit., 37-38
M. BALLARINI, prefazione a D. M. TUROLDO, Amare, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2002, 15.
G. PAMPALONI, prefazione a D. M. TUROLDO, Anche Dio è infelice, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1991, 7.
67
Ed è proprio la parabola del figliuol prodigo ad affascinarlo in modo particolare, perchè,
come ebbe a dire, «La vicenda del prodigo non è un'avventura che finisce, è una storia
che continua, e ognuno di noi è dentro per la sua parte».
3.3.5 ROMANO FRANCO TAGLIATI
Breve biografia
Romano Franco Tagliati è uno scrittore contemporaneo nato a Mantova anche se vive a Milano da
molti anni. Seguendo i percorsi impostigli dalle sue attività, ha soggiornato in diversi Paesi
dell'Europa, dell'America, Africa ed Asia. Rilevante in lungo soggiorno in Germania, e in particolare
a Berlino, dove, ai tempi del Muro ha vissuto in prima persona la dolorosa esperienza della città
divisa. Ha collaborato con periodici e quotidiano nazionali, diretto la casa editrice “La Corte” ed è
stato redattore della rivista “La scena illustrata” di Roma. Tra le sue opere: “Discorso in piazza”
(1968), “Natalie” (1970), “Icaro” (1987), “Le mani in tasca” (1990), “Un uomo di provincia” (1998),
“L'opinione” (1999), “Dopo l'esilio” (2004). 89
Elogio al prodigo (romanzo)
In questo romanzo viene narrata la storia di un ragazzo non ancora diciottenne che un
giorno, senza nessun preavviso e senza ragioni apparenti, abbandona la casa paterna
fuggendo con una sua coetanea. Si nasconde in squallidi alloggi di una grande città
facendo precipitare nell'angoscia i genitori, già in crisi matrimoniale.
Il padre, che è l'io narrante, inizia così un percorso di dolorosa meditazione che diventa un
cammino di purificazione. 90
89
90
R.F. TAGLIATI, Elogio al prodigo, O.G.E., Milano 2006, interno copertina.
R.F. TAGLIATI, Elogio al prodigo, op. cit., retro copertina
68
Alla fine, anziché il figlio che torna dal padre, sarà il padre ad andare incontro al figlio,
riconoscendo in lui alcuni aspetti della sua giovinezza inquieta e acquisendo una paternità
più matura.
Questo romanzo è una interessante attualizzazione di quella storia di duemila anni fa che
continua a suscitare riflessioni.
La nostra parabola è stata utilizzata anche per un approfondito studio linguistico, è uscito
infatti un volume dal titolo Le strutture verbali dei dialetti di Puglia nelle versioni della
parabola del figliuol prodigo, di Michele Melillo, per l'Università degli studi di Bari, nel 1975.
3.4 LA PARABOLA NELLA MUSICA
3.4.1 AMILCARE PONCHIELLI
Breve biografia
Nato a Paderno, un piccolo paese in provincia di Cremona nel 1834, Ponchielli ebbe la prima
istruzione musicale dal padre, organista e maestro di scuola. A soli nove anni, prima dell'età
consentita, superò il difficile esame di ammissione al Regio Conservatorio di Milano.
Conseguì il diploma nel 1854 con il massimo dei voti.
I suoi primi esperimenti teatrali ricevettero un'accoglienza tiepida e Ponchielli si adattò a ricoprire il
posto di direttore delle bande civiche delle città di Piacenza e di Cremona.
Nel 1872 una nuova versione de “I Promessi Sposi” ebbe un esito felicissimo al Teatro Dal Verme
di Milano, inaugurando un fruttuoso rapporto professionale con l'editore Ricordi che gli
commissionò subito una nuova opera: “I Lituani”. Il lavoro procedette lentamente e l'autore,
sempre pieno di dubbi e ripensamenti, sembrò volerne ritardare la conclusione. Finalmente portati
a termine, “I Lituani” ebbero alla Scala un notevole successo.
Iniziò per Ponchielli una stagione aurea: sposatosi con la cantante Teresina Brambilla, prima
interprete della nuova versione de I promessi sposi, si trasferì a Milano e si dedicò con rinnovata
69
lena alla sua attività creativa, anche se il carattere estremamente introverso ed insicuro lo
portavano continuamente a ripensamenti e fasi di depressione.
Nel 1876 debuttò alla Scala la sua “Gioconda”, su libretto di Arrigo Boito (firmato con lo
pseudonimo Tobia Gorrio), anche grazie al celeberrimo ballo noto come “La danza delle ore”, ed
ebbe inizio un trionfale percorso attraverso i teatri di tutto il mondo.
Da questo exploit nacquero i tardivi riconoscimenti ufficiali alla sua attività creatrice: la cattedra al
Conservatorio di Milano, dove Ponchielli ebbe tra i suoi allievi Giacomo Puccini e Pietro Mascagni.
L'attività creatrice di Ponchielli sembrò tuttavia ad un punto critico, come attestano i molti progetti
non portati a termine (come le opere “Olga” e “I Mori di Valenza”).
In questo particolare spirito nacquero i due ultimi capolavori teatrali: “Il figliol prodigo” (1880), che
ebbe pieno successo alla Scala ma che in seguito uscì dai repertori dei teatri, e “Marion Delorme”
(1885), accolta con favore del pubblico ma non dalla critica.
Nel dicembre di quell'anno, mentre si trovava a Piacenza per un allestimento della “Gioconda”, fu
colto da un attacco di broncopolmonite. Morì il 16 gennaio 1886 a cinquantuno anni. È sepolto nel
Famedio del Cimitero Monumentale di Milano. 91
Il figliuol prodigo (opera)
E' un'opera in quattro atti, con libretto di Angelo Zanardini, rappresentata per la prima volta
al Teatro alla Scala di Milano il 26/12/1880.
Nella valle di Jessen, durante la Pasqua ebraica, il giovane Azaele (tenore) salva
dall'assalto di una pantera la assira Nefte (mezzosoprano) e il fratello suo Amenofi
(baritono). Quest'ultimo, perseguendo un disegno malvagio, convince il giovane, già
innamorato di Nefte a seguirli a Ninive nonostante Jeftele (soprano), la fanciulla ebrea già
promessa sposa di Azaele, e il padre di lui, Ruben (basso), cerchino di dissuaderlo. Giunti
a Ninive, Amenofi scopre il suo piano: intende sacrificare al fiume Tigri, secondo la
consuetudine assira, proprio Azaele. Questi a stento sfugge agli assiri e comincia una vita
randagia. Ruben è diventato pazzo e la notizia aumenta la disperazione del giovane. Ma un
giorno, ritrovata finalmente Jeftele, Azaele si lascia convincere a tornare presso il padre,
che, vedendolo, ritrova la ragione perduta. 92
91
92
Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Amilcare_Ponchielli
G. NEGRI, L'Opera italiana. Storia, costume, repertorio, Mondadori, Milano 1985, 262.
70
L'opera è stata rappresentata con discontinuità e anche le incisioni discografiche sono
piuttosto rare e spesso si limitano all'aria più conosciuta: «Tenda natal».
3.4.2 DARIUS MILHAUD
Breve biografia
Darius Milhaud (Marsiglia, 4 settembre 1892 – Ginevra, 22 giugno 1974), è stato un compositore
francese. Nel 1909 entra al Conservatorio di Parigi e, abbandonato ben presto lo studio del violino,
si dedica alla composizione. Assunto in seguito come segretario da Paul Claudel, quando viene
inviato a Rio de Janeiro come ministro plenipotenziario, Milhaud lo accompagna e lì scopre il
folclore ed i ritmi sud-americani. In tale periodo entrò in contatto col compositore brasiliano Heitor
Villa-Lobos: i due diventarono grandi amici, diventando l'uno fonte di ispirazione musicale per
l'altro. Nel 1918 entra in contatto con Cocteau e Satie e fa parte del “Gruppo dei sei”. Nel 1923,
durante un soggiorno negli Stati Uniti, scopre il jazz.
Nel 1940, per sfuggire ai nazisti essendo lui di fede ebraica, ritorna negli Stati Uniti, dove insegna
al Mills College di Oakland). Nel 1947 ritorna a Parigi dove insegna al conservatorio e dall'anno
successivo dirige la sezione musicale di Radio France. La sua fede ebraica è testimoniata anche
dalla sua ultima opera, "David" che scrive nel 1952. L'artrite che lo sta paralizzando rallenta poco a
poco la sua attività. Nel 1971 viene eletto all'Accademia delle Belle Arti.
Milhaud lascia un corpus musicale gigantesco (più di 450 opere) che riguarda: opere teatrali,
balletti, musiche di scena e musica corale, composizioni per voci e strumenti, musica da camera e
per pianoforte. 93
Il ritorno del figliol prodigo Op. 42 (cantata)
Quest'opera, composta nel 1917, è una cantata per 5 voci e 21 strumenti (o 2 pianoforti),
basata su un testo di André Gide.
E' basata su una serie di conversazioni tra il figliol prodigo appena tornato e vari membri
della sua famiglia, il padre, il fratello maggiore, la madre e un fratello minore.
93
Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Darius_Milhaud
71
La musica vuole evocare la sensazione di una calda serata sul Mediterraneo orientale.
3.4.3 SERGEJ PROKOFIEV
Breve biografia
Sergei Prokofiev, nato a Sontsovka nel 1891, è uno dei più grandi compositori russi del Novecento.
Dopo aver studiato al Conservatorio di Pietroburgo, nel 1918 inizia a viaggiare, tra Europa e Stati
Uniti entrando in contatto con personalità come Diaghilev, Stravinskij e musicisti appartenenti a
correnti d'avanguardia inclini al politonalismo (Honegger, Milhaud, Auric, Roussel etc.) e
all'espressionismo in voga in quegli anni. Nel 1923 torna in Russia per partecipare attivamente al
processo di trasformazione sociale e culturale del suo paese, ma viene accusato di formalismo dal
miope apparato burocratico sovietico di Stalin e, per forza di cose, nei dieci anni che rimase
nell'Unione Sovietica, il senso estetico di Prokofiev si affievolì, da posizioni d'avanguardia ad un
andamento melodico più
vicino ai desiderata
dell'intellighenzia
politica
del momento.
Considerato come uno dei massimi musicisti del secolo scorso, Prokofiev vanta una prodigiosa
tecnica compositiva progressivamente elaborata sui modelli proposti da Liszt, Ciaikovskij,
Stravinskij, Ravel, Debussy e Honegger mantenendo una originalissima vena ironica, sarcastica e
persino grottesca propria di una eclettica personalità artistica. Di Prokofiev ricordiamo i 5 concerti e
le 8 Sonate, l'avveniristica “Suite Scita” (1916) l'ossessiva "Seconda", "Terza" e "Quarta Sinfonia"
e le colonne sonore per i film "Alexander Nevskij" e "Ivan il Terribile" del famoso regista del muto
Eisenstein. Prokofiev morì a Mosca nel 1953.
94
Il figliol prodigo (balletto)
E' un balletto, scritto nel 1928 e rappresentato per la prima volta a Parigi il 21/05/1929 e
composto da dieci episodi, ciascuno della durata di circa tre minuti.
Gli episodi più interessanti, a nostro avviso, sono: il secondo “Incontro con gli amici”,
caratterizzato da due temi, l'uno dissonante, l'altro cantabile (il “motivo del figliol prodigo”
ricorrente più volte nella partitura), con i quali il compositore vuole sottolineare la malvagità
dei falsi amici, che si divertono a fare ubriacare il Prodigo, e l'ingenuità del protagonista che
94
Dal sito www.settemuse.it/musica/sergej_prokofiev.htm
72
li asseconda; il terzo “La sirena” la cui affascinante musica descrive l'incontro tra l'eroe e
una incantevole sirena; il sesto “Ubriachezza”, un rumoroso ostinato, che ricorda molto
alcuni passaggi musicali de “L'angelo di fuoco” e de “Il passo d'acciaio”; il settimo “La
spoliazione”, un silenzioso e sardonico “moto perpetuo”, senza dubbio l'episodio più
moderno del balletto, il quale illustra musicalmente il momento in cui gli amici derubano il
prodigo dei suoi averi e dei suoi abiti; l'ottavo “Risveglio e rimorso” , la cui melodia religiosa
descrive in modo mirabile la maturazione interiore del protagonista e il suo fermo proposito
di ritornare a casa. 95
Il successo del balletto non fu molto durevole e anche la critica non è unanime nella
valutazione positiva dell'opera:
La musica del “Figliol prodigo”, che è funzionale al balletto, resta secondo me
stilisticamente un po' incerta. Per taluni aspetti l'argomento biblico stimola Profokiev nella
ricerca di atmosfere musicali nuove sospese e rarefatte, ma in altri momenti (nelle scene di
seduzione della cortigiana) ritroviamo i tratti di un'altra sua opera. “L'angelo di fuoco”. Di
questa oscillazione stilistica risentono anche altre sue opere successive. 96
Oltre a queste opere, sono degni di nota anche i seguenti oratori musicali:
 Il figliol prodigo di Giacomo Antonio Perti, non datato
 Il figliol prodigo di Ferdinando Bertoni, composto nel 1747
 Il figliol prodigo di Henryk Opienski, composto nel 1930
95
96
V. BUTTINO, Invito all'ascolto di Prokofiev, Mursia, Milano 2000, 161.
P. RATTALINO, Sergej Prokofiev. La vita, la poetica, lo stile, Zecchini, Varese 2005, 147.
73
3.5 LA PARABOLA NEL CINEMA
3.5.1 RICHARD THORPE
Breve biografia:
Richard Thorpe, 24 febbraio 1896 - 1 Maggio 1991, è stato un regista statunitense.
Nato come Rollo Smolt Thorpe ad Hunchinton, in Kansas, cominciò la sua carriera nello spettacolo
nel vaudeville (commedie leggere che alternano prosa a strofe cantate) e sul palco teatrale. Nel
1921 comincia la sua carriera come attore, nel 1923 gira il suo primo film muto.
Per il suo contributo al cinema statunitense è stato posto anche il suo nome nella Hollywood Walk
of Fame sull'Hollywood Blvd.
Si è ritirato dal mondo del cinema nel 1967, al termine del suo ultimo film, dopo essere stato uno
dei registi più prolifici di Hollywood. 97
Il figliuol prodigo
E' un film del 1955 e racconta la storia di Micah, un ricco e giovane ebreo, che si reca a
Damasco, dove viene irretito e sedotto da una bellissima sacerdotessa pagana, Samarra,
che lo induce a rinunciare a tutte le sue ricchezze in favore del Gran Sacerdote del suo
culto. Dopo essere stato ridotto in miseria e venduto come schiavo, partecipa a una rivolta
e dopo numerose peripezie fa ritorno alla casa paterna.
3.5.2 JEAN-MARIE STRAUB E DANIELE HUILLET
Breve biografia
Jean-Marie Straub (Metz, 8 gennaio 1933) e Danièle Huillet (Parigi, 1 Maggio 1936- Cholet, 9
Ottobre 2006) sono una coppia di cineasti francesi.
Hanno realizzato una trentina di film dal 1963 al 2009.
97
Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Thorpe
74
Nel 2006 Straub e Huillet sono stati omaggiati di un "Leone Speciale per l'innovazione del
linguaggio cinematografico" alla 63^ Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Cineasti pienamente moderni, hanno contribuito allo sviluppo di un nuovo cinema, che unisce una
nuova estetica, grazie ad un nuovo statuto dell'immagine, della parola e del sonoro, dello spazio,
del tempo, dell'attore e dello spettatore, coinvolti in un processo dialettico, ad un forte impegno
politico, che presuppone la primarietà della coscienza. La loro opera, che punta ad un contatto il
più possibile intenso con il reale, è oggi più che mai attuale. 98
Il ritorno del figliol prodigo-Umiliati
Questo film drammatico, di produzione italo-franco-tedesca, è uscito nel 2003, ed è
ispirato al romanzo Le donne di Messina, scritto da Elio Vittorini nel 1949.
Un gruppo di reduci della seconda guerra mondiale forma una comunità di operai e
contadini sull'Appennino tosco-emiliano. Si racconta la storia di Spine, il figlio prodigo che
prima divide e poi ricompatta la comunità. Ma arriva Carlo il Calvo, inviato dai proprietari
della terra, bonificata e lavorata dalla comunità, per rivendicarne il possesso. Lo seguono
tre prepotenti cacciatori ex partigiani alla ricerca di Ventura, ex fascista. 99
3.6 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Questo itinerario nel tempo per inseguire le rappresentazioni della parabola permette di
gettare uno sguardo sull'evoluzione delle espressioni artistiche nelle varie epoche storiche.
Si parte da Bosch, che nel 1500 risente delle dottrine religiose ed intellettuali dell'Europa
centro-settentrionale che, a quell'epoca, a differenza dell'Umanesimo italiano, negavano il
primato dell'intelletto accentuando le componenti trascendenti ed irrazionali. Il fitto
simbolismo e la «stranezza» di questa sua opera ne dà testimonianza.
98
99
Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Straub_e_Huillet
L.- L.-M. MORANDINI, Il Morandini 2006. Dizionario dei film, Zanichelli, Bologna 2005, 1274.
75
Il seicento è ampiamente rappresentato; le opere del Guercino e di Mattia Preti sono
caratterizzate da un realismo, una sensibilità cromatica e dall'utilizzo dei chiaroscuri che
rivelano la forte influenza di Caravaggio su questi artisti; la monumentale e rivoluzionaria
produzione artistica del Caravaggio ha infatti lasciato le sue impronte su un vasto numero
di pittori dell'epoca barocca, non solo italiani ma anche europei, soprattutto spagnoli ed
olandesi, chiamati per questo «caravaggisti» o «caravaggeschi».
«Con l'eccezione di Michelangelo, nessun altro pittore italiano ha esercitato una così
grande influenza sui pittori posteriori» 100
Anche il grande pittore fiammingo Rembrandt e il suo seguace Veermer risentono
indubbiamente dell'influenza caravaggesca arrivata fino in Olanda e si possono
considerare, assieme a Rubens, come i maggiori rappresentanti del cosiddetto «secolo
d'oro» dei Paesi Bassi, un periodo corrispondente all'incirca al XVII secolo, durante il
quale il commercio, le scienze e le arti olandesi godettero di grande considerazione nel
mondo.
I maestri olandesi primeggiavano dei generi pittorici della natura morta, della pittura
paesaggistica e della pittura di genere (rappresentante scene di vita quotidiana).
Un soggetto molto rappresentato in questo periodo del Barocco olandese è il ritratto di
gruppo, come la celebre Ronda di notte dello stesso Rembrandt.
Anche in Spagna il periodo barocco è stato interessante dal punto di vista artistico,
seppure la controriforma in atto aveva regolato alcuni criteri che invitavano i pittori a
realizzare opere chiare e dirette ai temi sacri che venivano sottoposte a controlli (il
100
B. BERENSON, Del Caravaggio: delle sue incongruenze e dela sua fama, Electa, Milano 1954
76
maestro di Velasquez, Francisco Pacheco, fu un sovrintendente dell'Inquisizione di Siviglia
e controllava l'ortodossia degli artisti).
Murillo è stato uno dei maggiori rappresentanti dell'arte in questo periodo e ha dipinto
molte opere incentrate sulla pietà popolare e sull'Immacolata Concezione, che è rimasto il
suo soggetto preferito.
Per quanto riguarda la letteratura, nel poema religioso di Gondola si ritrova la nuova
concezione di vita del periodo barocco, dove nasce la consapevolezza da parte dell'uomo
che il suo agire può modificare, peggiorando o migliorando la realtà in cui vive.
Il grande fermento culturale del settecento, il secolo dei Lumi, è degnamente
rappresentato da Voltaire, dalle cui opere letterarie traspare la visione razionalista
dell'uomo e la fiducia nelle scienze, anche se, al di là delle controversie con la Chiesa, la
sua posizione riguardo alla sfera del trascendente, non era atea o agnostica, ma deista; è
nota e significativa la sua frase
«Ogni volta che guardo il cielo stellato, non posso non pensare che, se esiste un così
perfetto orologio, esista un orologiaio».
Pompeo Batoni, autore nel 1773 del dipinto Il ritorno del figliol prodigo, del quale si fatica
a trovare notizie e commenti, si può già considerare un esponente del neoclassicismo.
L'ottocento, secolo delle grandi unificazioni nazionali e delle grandi industrie, è
rappresentato dal tormentato musicista Ponchielli, che nelle sue opere tenta di svincolarsi
dallo stile imperante in quell'epoca, che era sostanzialmente quello del melodramma
verdiano, per gettare le basi del melodramma romantico, che ha ispirato la cosiddetta
Giovane scuola di Puccini, Mascagni e Leoncavallo.
77
Verso la fine del secolo ha operato anche il pittore James Jaques Tissot, con il suo stile
caratterizzato dalla cura per i minimi particolari e il grande realismo delle figure.
Anche il novecento, ribattezzato «secolo breve» dallo storico Eric Hobsbawm, con le sue
violente svolte storiche ed economiche, è ampiamente rappresentato.
Per quanto riguarda la pittura troviamo Giorgio de Chirico, grande esponente della
cosiddetta pittura metafisica, che vuole rappresentare ciò che si trova oltre l'apparenza
fisica della realtà, al di là dell'esperienza sensoriale
Il termine «metafisica» trova la sua giustificazione nelle parole del suo rappresentante più
significativo, Giorgio de Chirico, in uno scritto del 1918: «Intorno a me la masnada
internazionale dei pittori moderni si arrabattava stupidamente tra formule sfruttate e sistemi
infecondi. Io solo, nel mio squallido atelier della rue Campagne-Première, cominciavo a
scorgere i primi fantasmi di un'arte più completa, più profonda, più complicata, più
metafisica».
101
Marc Chagall rappresenta la cosiddetta «scuola di Parigi», un gruppo di artisti che
animarono il dibattito culturale tra il 1907 e il 1920 circa, anche se la nostra opera è stata
realizzata negli anni '70 verso la fine della sua carriera, quando aveva inciso sul suo stile
l'influenza della corrente del Tachisme (da tache, macchia), dove il colore diventa un
elemento libero ed indipendente dalla forma.
Lo scultore Arturo Martini ha operato tra le due guerre, e la sua bellissima scultura Il figliol
prodigo, secondo il critico Mario De Micheli «apre veramente la storia della scultura
italiana contemporanea».
Turoldo e Mazzolari sono due altissime figure profetiche di credenti che, al di la del loro
importante contributo letterario, hanno vissuto pienamente la resistenza e le lotte dei loro
101
E. BERNINI e R. ROTA, Uno sguardo sull'arte. Dal settecento a oggi, Laterza, Bari, 2009, 238
78
contemporanei senza tirarsi indietro e si possono considerare, insieme a don Dossetti,
padre Balducci e don Milani, gli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del
cristianesimo e di un nuovo umanesimo sociale.
Per quando riguarda la musica, il novecento è rappresentato da Milhaud e Prokofiev. Il
primo autore, avendo viaggiato molto, si è lasciato contaminare da ritmi esotici, in
particolare brasiliani, e questo ha conferito al suo stile ironia e modernità, con qualche
sconfinamento nell'atonalità. Lo stile di Prokofiev è stato forzatamente modificato dai
condizionamenti del regime russo del suo tempo, ma ha mantenuto una ironia, un
sarcasmo e una freschezza unica.
Per quanto riguarda gli autori contemporanei lasciamo ai posteri giudicare la traccia che
avranno saputo lasciare...
L'indiscutibile fascino della parabola attraversa i secoli e traspare da tutte queste opere,
che rappresentano in qualche modo la celebrazione e la riflessione su un tema che da
sempre accomuna tutti, credenti e non credenti: il tema del ritorno; il ritorno al Padre per
gli uni, il ritorno a casa per gli altri.
Questo tema porta inevitabilmente ad andare al di là della parabola e ad affrontare
direttamente il problema dei problemi: quello della vita oltre la morte, con il quale da
sempre l'uomo si confronta e si arrovella.
Tutti, dentro di noi, avvertiamo una certa nostalgia dell'approdo in un porto sicuro e sereno
dove «Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi » (Apocalisse 7, 17), o , più laicamente
« dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto»
(Francesco Guccini, Cirano).
79
Se questa parabola ha toccato molti cuori e ispirato pittori, scultori, scrittori, musicisti e
registi è perchè riesce ad entrare nel nostro intimo e a fare vibrare le nostre corde più
profonde.
In conclusione, si può affermare che tutti questi autori, nelle varie forme artistiche nelle
quali si sono espressi, a volte riconoscendosi nell'uno o nell'altro personaggio della
parabola, sono riusciti con le loro opere (alcune delle quali di notevole valore artistico) a
favorire quel tipo di meditazione che porta a vivere una vita più piena, che rende capaci di
onorare spiritualmente sia la gioia che il dolore e a coltivare la speranza dell'immortalità.
E questo è uno dei grandi meriti dell'arte.
80
ALLEGATO 1
Hieronymus Bosch - Il figliol prodigo
81
ALLEGATO 2
Il Guercino: Il ritorno del figliol prodigo
ALLEGATO 3
Mattia Preti : Ritorno del figliol prodigo
82
ALLEGATO 4
Rembrandt: L'allegra coppia (il figliol prodigo dilapida la sua eredità)
83
ALLEGATO 5
Rembrandt: Il Figliol Prodigo
84
ALLEGATO 6
Jan Vermeer: La mezzana
85
ALLEGATO 7
Murillo: Il ritorno del figliol prodigo
86
ALLEGATO 8
Giorgio De Chirico: Il figliol prodigo
87
ALLEGATO 9
Marc Chagall: Il figliol prodigo
ALLEGATO 10
Pompeo Batoni: Il ritorno del figliol prodigo
88
ALLEGATO 11
Lucio Massari : Il ritorno del figliol prodigo
89
ALLEGATO 12
James Jaques Tissot: Il ritorno del figliol prodigo
ALLEGATO 13
Arturo Martini : Il figliol prodigo
90
CAPITOLO 4
UNA PROPOSTA DIDATTICA
In questo capitolo, dopo una parte introduttiva
costituita da qualche riflessione sugli
strumenti che saranno utilizzati, viene proposta una unità di apprendimento che utilizza
parte dei materiali esaminati nei capitoli precedenti per raggiungere gli obiettivi educativi
che si prefigge.
4.1 STRUMENTI UTILIZZATI
4.1.1 LA BIBBIA A SCUOLA
Nonostante la Bibbia sia riconosciuta da molti, anche (cosiddetti) non credenti, come un
testo indispensabile per capire la cultura occidentale, la storia e l'arte, rimane
indubbiamente ancora un «oggetto sconosciuto» in ambito scolastico e non solo
(purtroppo spesso anche in ambito ecclesiale, nonostante la Dei Verbum...).
Nel complesso, a tutt'oggi la Bibbia (e a fortiori il Talmud, il Corano e le rispettive tradizioni)
sono praticamente sconosciuti nell'attuale scuola italiana sia pur «riformata». Col risultato,
fra i tanti, di rendere sostanzialmente incomprensibili opere come la Commedia dantesca e
solo parzialmente percepibili i manzoniani Promessi Sposi, per non citare che i due esempi
più clamorosi, trattandosi di testi presenti praticamente da sempre, com'è noto, nei
programmi ministeriali per tutte le scuole superiori. 102
Un «monumento letterario» di questa portata meriterebbe senz'altro di essere trattato ed
utilizzato trasversalmente dalle varie discipline scolastiche, ma siccome questo è al di là
102
B. SALVARANI, A scuola con la Bibbia. Dal libro assente al libro ritrovato (Mondialità), EMI, Bologna 2001, 31
91
da venire, è importante che almeno l'ora di Religione, nelle scuole, sia centrata sulle
Scritture.
Un prezioso canale che permette di imparare l'alfabeto delle conoscenze bibliche è
l'insegnamento della religione cattolica nella scuola. Esso, com'è noto, considera la Bibbia
quale fonte primaria e principale documento di riferimento. Rispetto alla catechesi, ha come
proprio obiettivo di realizzare una alfabetizzazione culturale circa la Bibbia, sempre più
intensa e bene programmata. Più specificamente, esso mira a fare conoscere l'identità
storica, letteraria e teologica del libro sacro, il suo contributo per la comprensione della
religione ebraica e di quella cristiana, la sua collocazione nella riflessione e nella vita della
Chiesa, la sua valenza ecumenica, la prestigiosa storia dei suoi tanti effetti religiosi, civili,
artistici a livello italiano ed europeo, il suo apporto nel dialogo interreligioso e interculturale
nel contesto scolastico e sociale attuale.
Agli insegnanti di religione cattolica è affidato il compito di elaborare una
programmazione capace di far incontrare l'oggettiva presentazione del testo sacro con
le attese più vive dei loro alunni, così che tutti possano rintracciare gli effetti di una
Parola capace di illuminare e orientare l'esistenza. 103
Il ruolo di documento religioso della Bibbia, nella scuola si svolge attraverso diverse
funzioni:
 Testimonianza insostituibile della religione ebraico-cristiana, di cui ci fa
conoscere le origini e lo sviluppo
 Matrice di storia post-biblica (storia degli effetti). La Bibbia ha prodotto
influssi che sono alla base di effetti religiosi (ad esempio le cattedrali e le
varie espressioni artistiche) ma anche laici (ad esempio le dichiarazioni dei
diritti)
103
UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE – SETTORE APOSTOLATO BIBLICO, La Bibbia nella vita della
chiesa, 1995, n. 29
92
 Criterio ermeneutico dell'esistenza. La Bibbia ha la capacità di suscitare
riflessioni profonde, le domande di senso (la vita e la morte, il bene e il male,
l'origine e la fine), proponendo risposte senza imporle.
Come ha detto il Card. Carlo M. Martini «Una fede che fa pensare anche
senza credere è migliore, è più adeguata all'uomo di una fede che fa credere
senza pensare».
 Deposito di un ricco linguaggio espressivo. La Bibbia si può considerare
come la più grande eredità linguistico-religiosa dell'umanità.
 Libro dei credenti. La Bibbia deve essere presentata a scuola non con un
approccio catechistico ma culturale (non cioè essere proposta secondo le
dinamiche partecipative proprie della fede ma occorre fare conoscere come i
credenti la intendono).
La Bibbia è il libro più diffuso al mondo, perchè lo condividono l'ebraismo e il cristianesimo.
E' tramite queste religioni che essa esprime i valori di cui è la fonte, cui si connette, come
motivo causante, questa comprensione teologica della Scrittura intesa, accolta e vissuta
come Parola di Dio, con una straordinaria ricchezza speculativa ed operativa, in campo
etico, spirituale, artistico.. 104
 Libro del dialogo. In senso ecumenico, la Bibbia fa oggi da maggior
coefficiente di dialogo tra le Chiese, in una Europa caratterizzata da una
notevole presenza pluralistica; in senso interreligioso costituisce uno
strumento di dialogo e di confronto con i testi sacri delle altre espressioni
religiose.
104
C. BISSOLI, «Bibbia a scuola», dossier in Insegnare religione, novembre-dicembre 2010, Elledici, Cascine VicoRivoli (TO)
93
Oltre a queste funzioni, si possono riconoscere anche diverse finalità dello studio della
Bibbia:
Le finalità dello studio della Bibbia possono essere così riassunte:
 CONOSCERE per colmare l'abisso di incultura che regna intorno al testo biblico
 PER COMPRENDERE la rilevanza culturale che il testo biblico ha esercitato sulla
storia dell'umanità, con particolare riguardo alla cultura occidentale
 PER VALUTARE le diverse forme della ricodificazione biblica nei vari campi artistici
 FAR COGLIERE IL NESSO TRA BIBBIA E CULTURA: il sapere biblico è sapere
culturale in senso ampio e profondo
 FAR COGLIERE IL NESSO TRA BIBBIA E SUO POTENZIALE COGNITIVO: la
conoscenza della Bibbia, oltre ad avere un valore cognitivo ha un valore formativo e
può fornire strumenti concettuali utili a capire in modo significativo se stessi e il
mondo
 FAR COGLIERE IL NESSO TRA BIBBIA ED ERMENEUTICA: la lunga storia
ermeneutica della Bibbia va esplicitata ed esemplificata per farne cogliere la
ricchezza 105
4.1.2 IL PENSIERO NARRATIVO
Tenendo conto dei criteri interpretativi accennati nel primo capitolo, la Bibbia, a scuola, è
utilissima come fonte praticamente inesauribile di racconti.
La narrazione è una dimensione ineludibile nella scuola, perchè le storie parlano della vita
e insegnano a vivere.
Nel mito, la leggenda, la fiaba, il racconto, la novella, l'epica, la storia la tragedia, il
dramma, la commedia, il mimo, la pittura, nei mosaici, nel cinema, nei fumetti, nelle notizie,
nella conversazione, in tutti i luoghi e in tutte le società. Indipendentemente da una
suddivisione in buona o cattiva letteratura, la narrazione è internazionale, transtorica,
transculturale: essa è semplicemente lì, come la vita stessa. 106
105
106
B. SALVARANI-A. TOSOLINI, Bibbia, cultura, scuola, Claudiana/EMI, (Torino/Bologna) 2011, 73-74
R. BARTHES , citato in “Elementi di psicologia della narrazione”, dal sito
http://galileo.cincom.unical.it/pubblicazioni/editoria/Altro/Tesi/CONCET/CAP1A.HTML
94
Si può affermare che il pensiero logico-matematico consente di trovare i nessi causali tra
gli eventi, e il pensiero narrativo consente di pensare il sociale, di organizzare l'esperienza
e rappresentare gli eventi trasformandoli in oggetti di analisi e di riflessione.
Jerome Bruner (1969-1996), psicologo americano, ha studiato approfonditamente le
caratteristiche del pensiero narrativo al quale attribuisce un ruolo fondamentale nella
costruzione narrativa della realtà e nell'organizzazione dell'esperienza nel mondo.
Bruner ha individuato nove proprietà della narrazione:
La sequenzialità per cui gli eventi narrati sono organizzati secondo una sequenza di tipo spaziotemporale.
La particolarità per cui il contenuto delle storie è un episodio specifico.
L'intenzionalità che coincide con l'interesse per le intenzioni umane che, sorrette da scopi, da
opinioni e credenze, guidano le azioni.
L'opacità referenziale che consiste nella tendenza a descrivere rappresentazioni di eventi (del
narrante) piuttosto che fatti obiettivi. Ad una narrazione, infatti, non si richiede di essere vera,
ma verosimile, cioè possibile.
La componibilità ermeneutica che è rappresentata dal legame tra le varie parti della narrazione ed
il tutto, dal quale dipende l'interpretazione fornita.
La violazione della canonicità che coincide con la presenza di eventi inattesi che rompono la
routine.
La composizione pentadica per la quale in ogni storia esistono almeno cinque elementi: un attore
che compie un'azione con un certo strumento, per raggiungere uno scopo in una determinata
situazione.
L'incertezza che nasce dall'espressione di un punto di vista tra i tanti possibili, ossia quello del
narratore
L'appartenenza ad un genere che coincide con una categoria letteraria che guida il modo di
raccontare i contenuti. 107
Il pensiero narrativo, quindi, non è una forma di pensiero minore o illogico, ma una forma
di comprensione della realtà parallela a quella logica e di pari dignità.
107
I. LUONI, Itinerari di pedagogia narrativa, dal sito www.liceimanzoni.it/Didattica/PDF/pedagogia%20narrativa.pdf
95
Il pensiero logico-matematico ed il pensiero narrativo, dunque, sono due forme di
conoscenza che non devono essere contrapposte, ma che sono complementari, e la
scuola le deve proporre entrambe per favorire una crescita ed una formazione integrali ed
armoniche degli studenti.
Sul piano didattico, una interessante caratteristica della narrazione è quella della sua
richiesta di un atteggiamento attivo da parte dell'ascoltatore.
Il senso di un testo, di un qualsiasi testo, è sempre incompiuto, se non alla luce di un lettore
che lo completa, lo attualizza, lo fa suo, nella sua lettura. E P. Ricoeur, in un'intervista,
dichiarava: «Un'opera non è mai finita. Dipende solo dai lettori farne un'opera completa».
Tutte le opere del passato possono allora divenire contemporanee, attraverso un nuovo
atto di lettura. Forse Benjamin ci dice che non possiamo creare opere nuove, ma che in
ogni caso tutte le opere del passato ci sono accessibili. Il problema è di non trasformarle in
un museo, un museo narrativo. E' necessario ritrovare il carattere potenziale di un'opera, il
carattere incompiuto, il fatto che il suo senso è ancora in sospeso e che sono le nuove
letture che gli daranno un senso nuovo. Non credo alla morte del raccontare...». Ecco:
anch'io, come Ricoeur, anche se ben più modestamente, non riesco a credere alla morte
del raccontare; credo invece alla necessità di ripensarne le ragioni profonde, credo alla
potenziale grande rilevanza del narrare nel quadro di un dialogo ecumenico e interreligioso,
e al fine di una maggiore fedeltà alle dinamiche della chiesa delle origini, per scommettere,
una volta di più, su un'ipotesi che ci sta ancora tutta davanti, che si dia l'eventualità di un
mondo diverso da quello che stiamo vivendo, finalmente, un mondo narrato e narrabile in
cui sorga una risposta credibile al nostro attuale e perenne grande bisogno di salvezza. 108
Tutto questo apre prospettive interessantissime per l'attività didattica, perchè richiede ad
ogni studente-ascoltatore uno sforzo creativo ed interpretativo che lo rende protagonista e
contribuisce allo sviluppo della narrazione stessa.
Narrare non significa limitarsi ad accumulare aneddoti. Ha effetti critici, è pericoloso, non è
facile, ci costringe a metterci in gioco, a prendere posizione, a entrare nelle storie
108
B. SALVARANI, Le storie di Dio. Dal grande codice alla teologia narrativa, Emi, Bologna, 1997, 116-117
96
raccontate, a domandarcene il senso. Il narrare è l'esperienza tipica dei “piccoli” (in senso
evangelico) e degli oppressi che cercano di raggiungere la libertà. 109
Per tutti queste motivazioni, quindi, l'esperienza della narrazione non può mancare nella
scuola.
4.1 3 BIBBIA E ARTE
Siccome l'arte cristiana è parola tradotta in immagine, è inevitabile che per comprenderla
occorra fare riferimento alle fonti letterarie che l'hanno ispirata, quindi, in primo luogo alla
Bibbia.
È curioso notare che la Bibbia parte con un divieto ferreo destinato a bloccare l’arte
figurativa di Israele: «Non ti farai immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che
è quaggiù sulla terra né dì ciò che è nelle acque sotto terra», recita il primo Comandamento
(Es 20,4). Eppure la Parola biblica, coi suoi simboli, con la sua incandescenza, la sua
poesia è stata il grande arsenale iconografico dell’Occidente, il «grande codice» della
nostra cultura, «l’alfabeto colorato della speranza in cui hanno intinto i loro pennelli i pittori di tutti i
tempi», come dichiarava Chagall. 110
Non è certamente facile indagare sulla complessità delle relazioni tra il mondo della Bibbia
e il mondo dell'Arte, entrambi così vasti e variegati:
La Bibbia, da un lato, raccoglie un arco letterario che, dopo un' indefinibile preistoria orale,
si è cristallizzato in almeno una dozzina di secoli, dalle superbe odi del XII sec. a.C. (ad es.
Gdc 5; Sal 29) sino a quegli scritti “di piccola letteratura” che sono i Vangeli nati in piena
epoca imperiale romana.
D'altra parte, parlare di arte, del suo statuto costitutivo e delle sue manifestazioni è – per
usare un'immagine di Origene – come affidarsi con un piccolo legno ad un oceano di tanti
misteri. 111
109
110
111
B. SALVARANI, Le storie di Dio. Dal grande codice alla teologia narrativa, op. cit., 116
G. RAVASI, prefazione in M.C.VISENTIN, Bibbia e arte. I percorsi della cultura e della fede (Bibliotheca berica),
EMP, Padova 2006
P. ROSSANO – G. RAVASI – A. GIRLANDA, a cura di, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello
Balsamo (MI) 1988, 169
97
Tra questi due mondi ci sono da sempre molti punti di contatto e di scontro, la Bibbia
stessa è un prodotto artistico, e da sempre l'arte ha attinto alla Bibbia come fonte di
ispirazione.
Esiste una parentela tra fede biblica e arte: un legame tra le “cose che occhio non vide, né
orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo” (Is. 64,3; 1 Cor. 2,9), e le diverse modalità
con cui gli artisti ci fanno vedere e sentire. Nell'arte come nella Bibbia c'è un irresistibile
avvio verso qualche cosa sconosciuta la cui sagoma si intravede imperfettamente ma che
attira e affascina. Non a caso usiamo gli stessi termini per descrivere sia l'esperienza
biblica che quella artistica: per l'arte come per la Bibbia parliamo di “ispirazione”,
“messaggio profetico” e “visione”. 112
L'arte è da sempre stata utilizzata come formidabile strumento di catechesi biblica, basti
pensare alla Biblia pauperum, a tutte le pitture e le sculture che nel medioevo hanno
parlato della Bibbia a generazioni di persone impossibilitate ad accedervi direttamente.
Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione
evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei
fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e
nella perfezione della bellezza. È un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà
dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal
momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del
messaggio evangelico. 113
Anche se oggi sappiamo leggere e scrivere, accedere alla Bibbia attraverso l'arte non ha
affatto perso la sua validità.
Nell'esperienza in classe, capita che anche gli studenti meno dotati culturalmente,
riescano a cogliere i significati profondi delle opere artistiche che stanno osservando, e
che trovino gratificazione da questo.
112
113
T. VERDON (a cura di), L'arte e la Bibbia. Immagine come esegesi biblica, Biblia, Settimello (FI) 1992, 7
J. RATZINGER, Introduzione al Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Libreria Editrice Vaticana – San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1995, n. 5
98
4.1 4 L'UTILIZZO IN CLASSE DEL COOPERATIVE LEARNING
Il cooperative learning è un metodo di apprendimento che comporta la collaborazione tra
gli studenti.
L'idea di far lavorare insieme i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze appare quasi
una necessità all'interno della nostra società «liquida» (Z. Bauman), in cui i legami
sembrano sciogliersi, lasciando il posto a un senso di inquietudine e sfiducia diffusa verso
le relazioni umane. Tuttavia questa intuizione non è affatto nuova nel campo
dell'educazione. M. Comoglio, con un prezioso lavoro di sintesi, sottolinea come già il
Talmud (secoli IV e V d.C.) e Comenio (1592-1670) parlassero dell'importanza di
lavorare e di far lavorare insieme. Tuttavia le prime esperienze di apprendimento
cooperativo si collocano tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento con Andrew Bell in
India e Joseph Lancaster in Inghilterra.
Dagli attuali molteplici approcci al Cooperative Learning è possibile ricavare una serie di
caratteristiche essenziali per la riuscita delle attività cooperative:
 interdipendenza positiva
 interazione faccia a faccia
 insegnamento diretto e uso delle abilità sociali
 agire in piccoli gruppi eterogenei
 revisione del lavoro svolto e valutazione individuale e di gruppo 114
Non è un metodo semplice, perchè richiede una certa preparazione e la capacità di
mettersi in discussione da parte dell'insegnante, il quale, senza rinunciare al proprio ruolo,
deve promuovere la responsabilità individuale degli studenti.
Nella proposta didattica che segue, il cooperative learning viene utilizzato della fase della
decostruzione e nell'interpretazione del dipinto, perchè consente di superare lo schema
competitivo, largamente utilizzato nella scuola come nella vita.
114
M. DAL CORSO – M. DAMINI, Insegnare le religioni. In classe con il Cooperative Learning, EMI, Bologna,
2001, 47-49
99
I tentativi di combattere la competizione nella scuola attraverso il mutuo insegnamento e
varie forme di cooperazione educativa, non hanno ancora conosciuto risultati apprezzabili,
né quella conoscenza e diffusione che meriterebbero. La competizione in sé non fa male,
ma l'abuso è negativo. La cooperazione, invece, può stimolare il senso della comunità in
una classe, al lavoro, in famiglia. 115
4.2 PROPOSTA DI UNA UNITÀ DI APPRENDIMENTO
“Le concezioni di Dio: dal dio pagano al Dio della Rivelazione”
Se si facesse un sondaggio sull'immagine che le persone hanno di Dio, probabilmente ne
uscirebbe un quadro piuttosto desolante: nella maggior parte delle persone, infatti, Dio è
percepito come un legislatore, un giudice, un controllore, un essere onnipotente e lontano
che scruta il comportamento degli uomini per valutarlo.
Solo alcuni lo descriverebbero come Padre misericordioso.
E' piuttosto diffusa una immagine di Dio piuttosto negativa e spaventosa, forse retaggio
della teologia medievale ma anche di più recenti convinzioni, magari trasmesse da certi
stili catechistici o da preghiere che veicolano messaggi di questo tipo, ad esempio l' «Atto
di dolore» che recita: «peccando ho meritato i Tuoi castighi»...
Sembra che l'idea di Dio sia più vicina a quella della filosofia greca che a quella della
Rivelazione biblica, e che la Buona Notizia del Vangelo fatichi ad entrare nella nostra
catechesi e nella nostra mentalità.
C'è un Cristo che non abbiamo avuto ancora il coraggio di scoprire. Ci sono pagine nel
Vangelo che sono state lette a metà. Ci sono immagini di Dio che ci siamo costruiti sulla
115
A. NANNI, Decostruzione e intercultura, EMI, Bologna 2001, 100
100
misura del nostro egoismo, secondo orizzonti umani che ora sentiamo ristretti. In tale dio
non possiamo credere. 116
Il Dio di Gesù Cristo è un Dio esclusivamente buono, che ama tutti, che «fa sorgere il sole
sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt. 5,45) e che accoglie il
figlio che ha dilapidato il patrimonio restituendogli la piena dignità.
Questo amore incondizionato fa problema, perchè questa gratuità sovverte l'ordine del
potere su cui si fonda ogni società, Chiesa compresa, per cui, lungo la storia, alcuni brani
del Vangelo sono stati accettati con molta difficoltà. 117
Questo progetto didattico, centrato sulla parabola del Padre misericordioso, vorrebbe
contribuire a sradicare false immagini o luoghi comuni che a volte capita di sentire, per
aiutare a scoprire il volto di Dio.
Dio, di mestiere, fa il Valorizzatore, nel senso che valorizza le persone che incontra. In
Genesi 1,31 Dio trova la gente bella e buona (“tob” in ebraico significa sia bello che buono):
Elohim vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto “tob”.
“Ma come? - si dirà – Dio non vede tutti i disastri che ci sono?”. Sì, li vede, e sicuramente
non li approva; però, nonostante questo, vede anche qualcosa che gli fa dire che la gente
vale. E se anche hanno dei difetti o fanno degli sbagli, valgono lo stesso, perchè per lo
meno possono togliersi i difetti e correggere gli sbagli. Dio crea questa possibilità appunto
perchè ci stima, ci valorizza. Se andiamo a cercare questa dimensione in Gesù, nei Vangeli
troviamo moltissimi esempi.
Allora, se devo immaginare Dio non lo immagino con i tratti del re, che vince in battaglia,
usa la forza, legifera, condanna, punisce e non si lascia avvicinare: queste sono cose che
facevano i re (beh.. anche quasi tutte le persone potenti le fanno).
Ma lo vedo piuttosto come uno dallo sguardo così: lo sguardo di una persona che valorizza
gli altri. Dio valorizza. E se nella vita non valorizzi qualcuno anche tu, non sei in comunione
con Lui. Non assomigli a tuo Padre. 118
116
117
118
J. ARIAS, Il dio in cui non credo, Cittadella, Assisi, 2003, 10
Per approfondire: A.MAGGI, Versetti pericolosi, Fazi, Roma, 2011
G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 137-140
101
L'attività è pensata per la classe terza della scuola secondaria di secondo grado e si
articola in sei lezioni di un'ora ciascuna.
Dopo la presentazione del progetto didattico, si affronta il concetto di decostruzione con
una attività di gruppo, per poi passare all'argomento delle concezioni arbitrarie di Dio per
metterle in discussione e giungere alla costruzione di una concezione di Dio fondata
biblicamente.
Ci si concentra poi sulla descrizione di Dio che ci viene proposta da Gesù con la parabola
del Padre misericordioso, analizzandone il testo, e un'opera d'arte che la parabola ha
ispirato.
4.2.1 STRUTTURA DELLE LEZIONI
PRIMA LEZIONE
 Presentazione dell'unità di apprendimento
 La decostruzione. Attività di cooperative learning
L'attività è stata presa dal testo Insegnare le religioni. In classe con il Cooperative
Learning (pag. 71) ed adattata all'argomento trattato.
Titolo attività: “Decostruiamo la decostruzione”
Classe: Classe terza della scuola secondaria di secondo grado
Organizzazione degli studenti: Gruppi di 4 formati in modo casuale in banchi disposti per
l'attività
102
Obiettivi cognitivi:
- Riflettere sul significato della parola decostruzione
- Analizzare un testo biblico
Obiettivi di cooperazione (abilità sociali):
-
Rispettare il turno di parola
Comunicare con chiarezza e precisione
Trovare una strada per risolvere i conflitti
Brano biblico utilizzato:
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima che io ti formassi nel grembo di tua madre, ti ho conosciuto; prima che tu uscissi
dal suo grembo, ti ho consacrato e ti ho stabilito profeta delle nazioni».
Io risposi: «Ahimè, Signore. Eterno, io non so parlare, perché sono giovane».
Ma il Signore mi disse: «Non dire: "Sono un ragazzo" perché tu andrai da tutti coloro ai
quali ti manderò e dirai tutto ciò che ti ordinerò.
Non aver paura davanti a loro, perché io sono con te per proteggerti, dice il Signore».
Poi il Signore stese la sua mano e toccò la mia bocca, e mi disse: «Ecco, io ho messo le
mie parole nella tua bocca.
Oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni, per sradicare e per demolire, per
distruggere e abbattere, per edificare e piantare». (Geremia, 1,4-10)
(viene consegnata una copia del testo per ciascun gruppo in modo da favorire
l'interdipendenza delle risorse)
103
Fasi del lavoro
L'insegnante
Tempi
introduce
il
concetto
di 10 minuti
Organizzazione
Plenaria
«decostruzione» senza nominarla, leggendo il
brano di Geremia, in cui sono presenti i 4 verbi
sradicare e distruggere, per edificare e piantare
Gli studenti si dividono in gruppo ed elaborano 20 minuti
L'insegnante
una breve frase che riassuma il testo, che sarà
dei ruoli al'interno dei
scritta su una striscia di carta firmata dai
gruppi (responsabile di
componenti del gruppo, in modo da assumerne
una
la corresponsabilità.
responsabile
abilità
assegna
sociale,
dei
materiali, timer)
Vengono presentate le frasi, poi l'insegnante 20 minuti
Plenaria
scrive alla lavagna la parola decostruzione,
proponendo delle domande-stimolo:
Che relazione c'è tra l'idea di decostruzione e i
verbi utilizzati da Geremia?
Quali altre parole (verbi, aggettivi, sostantivi)
possiamo
legare
a
questa
parola?
(brainstorming)
Per iniziare ad affrontare un argomento, è spesso necessario dovere decostruire le
convinzioni ed i pregiudizi che abbiamo interiorizzato su di esso.
Che cosa significa «decostruire»? Il senso comune lega questo concetto all'idea di
sradicamento di norme precostituite, di leggi, di modi di vita e pensiero legati a una non
meglio definita «tradizione» che spesso è necessario scalzare per lasciare posto al nuovo.
Partendo da questo significato «ingenuo» della decostruzione già possiamo renderci conto
della valenza educativa che essa riveste, soprattutto quando si lavora con gli adolescenti
che hanno bisogno, letteralmente, di decostruire quanto appreso fino all'età della prima
giovinezza per riappropriarsi del significato di certe regole, di certi stili di vita, di certi affetti.
104
Un percorso a volte tortuoso, che richiede spesso una mediazione, un percorso che non è
distruzione tout court. Decostruire non è distruggere il passato e il presente a favore di un
non meglio identificato futuro. 119
La decostruzione ci insegna a diffidare della presunta verità e certezza delle convinzioni
che abbiamo e ci consente di eliminare gli aspetti non accettabili del nostro modello
culturale. Dobbiamo costruire decostruendo.
Come afferma Jacques Derrida, grande teorico della decostruzione, non va messa tra le
forme di nichilismo o di scetticismo, perchè si decostruisce transitoriamente per costruire
ciò che si ritiene più desiderabile e più sostenibile.
E' indubbiamente significativo che la Bibbia, in alcune sue parti, si presenti come un libro di
decostruzione. Pensiamo ai quattro verbi di Geremia (svellere e distruggere per edificare e
piantare) e al tipico motivo messianico “vi è stato detto ma io vi dico”. Nella Bibbia troviamo
la decostruzione di mitologie precedenti, idolatrie, antropomorfismi, politeismo ecc.
Nella Bibbia è possibile individuare un materiale molto ampio e interessante per progettare
esercizi di decostruzione. Ad esempio, la decostruzione della visione del Cosmo e del
tempo: la genealogia storico-culturale che la Bibbia propone non è soltanto una strada
lineare in crescita, ma è, allo stesso tempo, una decostruzione di mentalità e di istituzioni
precedenti. 120
119
120
M. DAL CORSO – M. DAMINI, Insegnare le religioni. In classe con il Cooperative Learning, op. cit., 68
A. NANNI, Decostruzione e intercultura, op. cit., 15
105
SECONDA LEZIONE
 Breve ripresa della lezione precedente
 Brainstorming in plenaria sull'immagine di Dio dove tutti gli studenti saranno
stimolati ad esprimersi
 Approfondimento sulle concezioni di Dio che sono emerse dal brainstorming,
distinguendo tra quelle che derivano da fonti extrabibliche (sulle quali ci si sofferma)
e quelle derivate dal testo biblico (che saranno esaminate nella terza lezione).
Nei brainstorming sulle parole che vengono associate a Dio che ho avuto modo di fare
nelle scuola superiori, sono emerse spesso queste definizioni:
 Dio che controlla l'uomo, ne punisce i peccati ed è geloso della sua felicità
Questa concezione di Dio non è ebraico-cristiana ma è pagana. Gli dei pagani, infatti,
erano concepiti come potenti, privilegiati nei confronti dell'uomo (possedevano immortalità
e felicità) e gelosi.
Se l'uomo si permetteva di essere felice veniva punito, e il sistema religioso pagano era
finalizzato a placare gli dei e a evitarne i castighi.
Mentre gli dèi dell'Olimpo inseguivano instancabilmente belle donne, il Dio dei Sinai
proteggeva le vedove e gli orfani. Mentre l'Anu della Mesopotamia e l'El di Canaan
percorrevano indifferenti le loro strade, YHWH pronuncia il nome di Abramo, sollevando il
suo popolo dalla schiavitù, e (nella visione di Ezechiele) va alla ricerca degli ebrei soli e
afflitti a Babilonia. Dio è un Dio della giustizia, la cui amorevolezza è da sempre e per
sempre, e la cui misericordia è presente in tutte le sue opere. 121
121
H. SMITH, Le religioni del mondo, Fazi, Roma 2011, 344
106
Nonostante questo, ancora oggi si sentono, anche tra i cristiani, frasi che rivelano
reminiscenze di questa mentalità: «me la sentivo che doveva succedere qualcosa, andava
tutto troppo bene....!»
Capita ancora di sentire definire le persone ammalate come «parafulmini dell'ira divina»...
Dio viene scambiato per Giove (esistono persino sciagurate rappresentazioni pittoriche di
Dio che scaglia i fulmini!).
Non credo nel Dio che punisce i peccati, che manda le pestilenze per far ravvedere gli
uomini. Per moltissimo tempo si è pensato così. San Carlo Borromeo, in occasione di una
pestilenza a Milano, organizzò una grande processione. Il santo portava la pesante croce di
legno col sacro chiodo davanti a tutti invocando la misericordia di Dio. Scrisse poi al
cardinale di Bologna esprimendo la sua gioia perché le chiese non erano mai state piene
come in quei giorni. La peste, a suo giudizio, era stata lo strumento di Dio per il
ravvedimento del popolo. Il segno chiaro che questa interpretazione era giusta stava nel
fatto che “nonostante l'assembramento numeroso della gente che si era raccolta a pregare,
non si era verificato nessun altro caso di peste”. 122
 Dio onnipotente
L'immagine di un Dio onnipotente intesa nel senso «può fare tutto quello che vuole»
provoca una reazione spontanea: «allora perchè non impedisce il male?»
L'accettazione del proverbio «non si muove foglia che Dio non voglia» causa la
rassegnazione nei confronti del male, delle malattie, della morte come volontà di Dio, il
quale diventa così temuto e non amato.
E' un tema spesso affrontato e messo in discussione da molti teologi, prendiamone ad
esempio due, uno ebreo ed uno cristiano:
Il filosofo ebreo Hans Jonas, nel suo breve scritto Il concetto di Dio dopo Auschwitz, dice:
122
C. MOLARI, «Che Dio mi liberi da Dio. Otto immagini di Dio in cui non credere», in Ore Undici n° 3/2011
107
Mi è stato insegnato, da bambino, che Dio è buono e onnipotente. Dopo Auschwitz non
posso più credere che Dio sia entrambe le cose, perché se fosse davvero buono e
onnipotente avrebbe impedito Auschwitz; se non l’ha fatto, vuol dire o che non è buono
(quindi è rimasto indifferente davanti a quella tragedia inaudita), o che non è onnipotente
(quindi non ha potuto o saputo impedirla). Devo dunque scegliere tra credere in un Dio
onnipotente, ma non buono, oppure in un Dio buono, ma non onnipotente. Scelgo di
credere in un Dio buono, ma non onnipotente. 123
Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano, nelle sue Lettere dal carcere, prima di essere ucciso
dai nazisti, ha parlato a più riprese della impotenza di Dio:
Dio si lascia cacciare fuori dal mondo, sulla croce: Dio è impotente e debole nel mondo, e
così soltanto rimane con noi e ci aiuta. Matteo 8,17 è chiarissimo: Cristo non ci aiuta in virtù
della sua onnipotenza, ma in virtù della sua debolezza, della sua sofferenza! 124
Esiste una tale pluralità di concezioni di Dio, nelle religioni, che contemporaneamente
allarga la mente e disorienta...
A Dio è stato attribuito tutto e il contrario di tutto, descrivendolo volta per volta come:
 uno e unico, ma anche trino e tripersonale;
 puro spirito, ma anche dotato di voce, di vista, di udito;
 essere o atto d'essere, ma anche purissimo nulla;
 maschile come un padre, ma anche femminile come una madre;
 con un nome preciso (per quanto impronunciabile), ma anche innominato e
innominabile;
 onnipotente, ma anche impotente per il rispetto che deve alla libertà della
creazione;
 onnisciente, ma anche all'oscuro delle scelte dell'uomo (sempre per il motivo di
sopra);
 onnipresente, ma anche onniassente per la sua infinita trascendenza;
 dimorante nell'alto dei cieli, ma anche dentro l'interiorità umana;
 impassibile, ma anche colmo di passioni come per esempio l'amore;
 severo e inflessibile, ma anche misericordioso e pronto in ogni istante al perdono.
123
124
H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, Genova 2004, 12
D. BONHOEFFER, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 437
108
Alla luce di questo elenco approssimativo ogni persona ragionevole vede quanto siano
necessari sobrietà, equilibrio, capacità analitica.
125
TERZA LEZIONE
 Breve ripresa della lezione precedente
 Approfondimento sulle concezioni di Dio che sono emerse dal brainstorming della
lezione precedente, con particolare riferimento a quelle derivate dal testo biblico
 Dio violento
Indubbiamente anche nella Bibbia si trovano immagini violente di Dio, che a volte causa la
morte delle persone o risulta essere il mandante di stragi.
Molto spesso però queste sono immagini di un Dio antropomorfo, che si comporta come
l'uomo e che l'uomo ha immaginato e descritto, come se fosse Dio ad essere ad immagine
e somiglianza sua.
Quando leggiamo la Bibbia non incontriamo direttamente Dio, ma le immagini di Dio di
Mosè, del popolo di Israele, di Gesù, di Paolo ecc. "Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio
suo ce lo ha narrato” (prologo di Giovanni).
Ora se di Dio si hanno solo immagini umane quale è il valore della Bibbia? Quali immagini
rispecchiano il volto di Dio? Il polo negativo, violento è nostro, non di Dio. Noi esportiamo in
Dio la nostra distruttività e negatività per poterla giustificare. Noi siamo i violenti.
Dio è tutt'altro.
Nell'ottica di fede scorgiamo nelle immagini contrastanti di Dio la presenza dello Spirito che
non soffoca né i processi proiettivi né quelle immagini folgoranti di un Dio puro. Dio è
all'interno di questo scontro.126
125
126
V. MANCUSO, Io e Dio. Una guida dei perplessi, Garzanti, Milano 2011, 136
G. BARBAGLIO, «Dio violento?» Sintesi della relazione al Convegno «Il problema teologico delle immagini di
Dio», Verbania Pallanza, 19/11/1994, dal sito www.giuseppebarbaglio.it/Articoli/finesettimana5.pdf
109
 Dio mortificante
Dio è concepito da alcuni credenti come desideroso di mortificazioni, sacrifici, digiuni e
penitenze. Un Dio triste, che vuole che anche gli uomini siano tristi e che portino la croce.
Una certa spiritualità dolorista, non ancora superata, ha portato ad aberrazioni quali
l'utilizzo di pratiche penitenziali come l'utilizzo del cilicio, le fustigazioni, il percorrere lunghi
tragitti o scale sante in ginocchio ed altre, che avranno anche «fatto dei santi» in passato
ma che sono sicuramente più vicine a derive masochistiche che alla buona notizia del
Vangelo.
Dio non si può considerare il «mandante» della morte in croce di Gesù, ma, come ha detto
Gesù stesso, le persecuzioni sono inevitabili per chi come lui e come i cristiani in seguito,
hanno annunciato coraggiosamente la verità denunciando le ingiustizie, mettendosi così
in opposizione al potere che cerca sempre di eliminare le persone scomode.
« Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc. 6, 26).
Molte persone associano la volontà di Dio ai momenti più dolorosi della loro esistenza,
alle malattie ai lutti, e mai ai momenti felici.
La volontà di Dio è che ogni uomo diventi suo figlio attraverso la pratica dell'amore.
Penso ad una affermazione sentita tante volte nello spazio cristiano, detta ai malati e ai
parenti dei malati. "Dio prova colui che ama" …l'avete sentita certamente, parola,
attenzione, che sta in Pr 3,11-12, ma, quando la si legge intera è "Dio prova colui che ama
come un padre prova il figlio". Cioè Dio corregge l'uomo con l'amore di un padre verso il
figlio e un padre manderà mai una malattia per suo figlio per provarlo. Un Dio così, voi
capite, che è un Dio padre meno buono dei padri, pur cattivi, che noi abbiamo avuto nella
vita.
La sofferenza e la malattia non corrisponde ad una attenzione privilegiata da Dio, né si
deve dire che Dio permette il male, semplicemente Dio è contro il male, non vuole il male,
ma il male fa parte di questa creazione che è in attesa della redenzione finale. Dio non è
110
mai colui che manda una malattia o per avvertire o per convertire, e mai la malattia e il
dolore possono diventare soddisfazione per placare Dio, né possono diventare riparazione
per i peccati propri o altrui.
Ancora recentemente, e non faccio il nome perché la mia intenzione non è polemica, un
personaggio di grande carità, una persona alla quale va tutta la mia ammirazione per quel
che ha fatto, però una persona prigioniera di questa tradizione, alla domanda di un
giornalista: "Come lei interpreta la sofferenza?" questa persona ha risposto: "…ho detto a
un malato di cancro che il suo cancro era un bacio di Dio e il segno che Gesù vuole portarlo
sulla croce per baciarlo meglio. Ho detto a quel malato che, se il tuo cuore è puro, la
sofferenza della malattia non è una tortura, ma è la condizione in cui tu capisci che Dio ti
ama più degli altri". Ecco vedete queste sono davvero parole dette con buona intenzione,
dette magari perché ispirate da una grande volontà di difendere Dio, ma non sono né
evangeliche né cristiane e danno a Dio il volto del Dio perverso. 127
Il Dio ebraico-cristiano non è il Dio dei morti, ma dei viventi; non mortifica, ma vivifica; non
vuole la tristezza ma la piena felicità e la realizzazione dei suoi figli.
 Dio giudice
L'uomo spesso riconosce come limitato il suo concetto di giustizia, e lo proietta sulla
divinità, che diventa infallibile nello scovare e punire i colpevoli.
E' significativa la frase «E' riuscito a sfuggire alla giustizia umana, ma non sfuggirà alla
giustizia divina!».
Occorre tenere presente che il significato di giustizia attribuita a Dio nella Bibbia è
traducibile con fedeltà. Il Dio giusto è quindi il Dio fedele.
Inoltre, nella parabola del Padre misericordioso, la giustizia divina si realizza con la
misericordia.
127
E. BIANCHI, «Sulla malattia e la sofferenza», conferenza tenuta presso l'Hospice “Madonna dell'Uliveto” di
Montericco (RE) il 15 giugno 2003
111
 C'è un Dio dell'Antico Testamento e un Dio del Nuovo Testamento
Alcune persone sostengono posizioni vicine a quelle del marcionismo, distinguendo un Dio
severo del Primo Testamento da un Dio misericordioso del Nuovo Testamento.
Per la comprensione del Nuovo Testamento il valore dell'Antico Testamento è indiscutibile,
così come viene ribadito dal documento della Pontificia Commissione Biblica, la quale
considera il rapporto fra entrambi come un legame vitale che garantisce la corretta
interpretazione delle Scritture. Questo legame è espressione della stessa azione di Dio che
porta avanti nella storia il suo disegno di salvezza, per cui non si può separare la novità del
messaggio evangelico da quanto è servito per la sua preparazione e piena attuazione. L'AT
appartiene al mondo culturale degli autori del neotestamentari, che trovano in esso un
valido aiuto per l'esposizione del proprio pensiero. 128
In realtà anche il Primo Testamento è disseminato di testi che descrivono in modo
inequivocabile e toccante la genitorialità misericordiosa di Dio nei confronti dei suoi figli, a
partire dai racconti della creazione del Genesi, per continuare con la liberazione del
popolo di Israele e la fedeltà incrollabile di Dio nei sui confronti nonostante le infedeltà da
parte degli uomini nell'Esodo e con i profeti, ad esempio Isaia e Osea:
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonata, il Signore mi ha dimenticata».
Una donna può forse dimenticare il bimbo che allatta, smettere di avere pietà del
frutto delle sue viscere? Anche se le madri dimenticassero, io non dimenticherò te.
Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stanno
sempre davanti agli occhi. (Isaia 49,14-16).
Si può proseguire con i Salmi, ad esempio il Salmo 103 che benedice Dio in forma poetica
per la sua infinita misericordia, e con altri innumerevoli esempi.
128
R.A. PEREZ MARQUEZ, L'Antico testamento nell'Apocalisse. Storia della ricerca, bilancio e prospettive,
Cittadella, Assisi 2010, 11-12
112
D'altra parte, anche il Nuovo Testamento non è esente da parti oscure e minacciose, dalla
prospettiva di condanna dei malvagi alla morte eterna.
Occorre allora una accurata analisi dei testi in senso storico-critico, per essere in grado di
cogliere gli autentici significati dei messaggi trasmessi (sempre validi), a volte pronunciati
con intento pedagogico, a volte inseriti all'interno di generi letterari per noi inusuali (come
ad esempio il genere apocalittico) e lontani dalla nostra cultura.
In quanto libro umano (che racconta di Dio), la Bibbia ha sempre bisogno di essere
interpretata. Anzi, essa vive nelle e delle sue interpretazioni. C'è una significativa tradizione
ebraica che sostiene che al centro dell'intera Torah (il Pentateuco dei cristiani) sta
l'espressione darosh darash, vale a dire «cercare, cercò», che troviamo in Levitico 10,16. Il
verbo ebraico darash significa appunto cercare, ma anche «studiare, sollecitare,
investigare». Da qui, l'importanza enorme che Israele ha sempre riservato allo studio, nella
consapevolezza che l'interpretazione della Scrittura non è mai unica e assoluta, bensì
sempre plurale.
Resta centrale quella lettura storico-critica che già alla fine del XIX secolo aveva messo in
crisi la tradizionale visione dell'inerranza biblica, La quale, in forza di un sillogismo
semplicistico («se la Bibbia ha Dio come autore e se Dio non può sbagliare, allora la Bibbia
è senza errori»), giungeva quasi inevitabilmente ad una interpretazione fondamentalistica
della Scrittura, fino ad assumere posizioni apologetiche e a sostenere principi indifendibili.
Luciano Manicardi, nella sua Guida alla conoscenza della Bibbia, sostiene che la Bibbia,
libro umano, rappresenta anche l'indicazione di una via per l'umanizzazione dell'essere
umano. Quindi, concludendo: la Bibbia, con Dio a scuola di umanità... 129
Quando ci capita di essere confusi da tutte le definizioni, a volte contraddittorie, di Dio, il
criterio da seguire è quindi quello del bene dell'uomo, quello dell'amore.
Le imposizioni provengono dall'uomo e non da Dio: Dio propone ma non impone mai.
129
B. SALVARANI-A. TOSOLINI, Bibbia, cultura, scuola, op. cit., 131-136
113
Dio non è mai contro l'uomo ma opera sempre a suo favore. La persona umana è al centro
e nel cuore di Dio e tutto è in funzione del suo bene, autentico valore non negoziabile. «Il
sabato è per l'uomo e non l'uomo per il sabato» (Marco 2,27).
QUARTA LEZIONE
 Breve ripresa delle lezioni precedenti
 Proiezione dell'immagine del dipinto di Rembrandt Il ritorno del figlio prodigo senza
svelarne il titolo
 Osservazione del dipinto e ipotesi di interpretazione. Attività di cooperative learning
Titolo attività: «Osservazione di un dipinto e ipotesi di interpretazione»
Classe: Classe terza della scuola secondaria di secondo grado
Organizzazione degli studenti: 6 gruppi di 3-4 studenti formati in modo casuale in banchi
disposti per l'attività
Obiettivi cognitivi:
- Osservare in modo approfondito un'opera d'arte
Proporre alcune ipotesi interpretative
Obiettivi di cooperazione (abilità sociali):
-
Rispettare il turno di parola
Comunicare con chiarezza e precisione
Trovare una strada per risolvere i conflitti
Dipinto utilizzato: Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt
114
Fasi del lavoro
Tempi
Organizzazione
Gli studenti si dividono in 6 gruppi di 3-4. Tutti i 30 minuti
L'insegnante
gruppi
di
dei ruoli al'interno dei
interpretazione della scena globale del dipinto ed
gruppi (responsabile di
osservare un personaggio in modo particolare:
una
2 gruppi la figura dell'anziano che abbraccia,
responsabile
2 gruppi la figura in ginocchio e 2 gruppi la figura
materiali, timer)
dovranno
produrre
una
ipotesi
abilità
assegna
sociale,
dei
dell'osservatore di lato, arrivando ad una sintesi
condivisa.
Ogni gruppo presenta le ipotesi di interpretazione 20 minuti
Plenaria
e le osservazioni sul personaggio assegnato.
L'insegnante prende nota di quanto è emerso dal
lavoro dei gruppi.
QUINTA LEZIONE
 Breve ripresa della lezione precedente
 Lettura della parabola del Padre misericordioso (Lc. 15,11-32) con alcuni commenti
ed alcune note esegetiche importanti
 Proiezione dell'immagine del dipinto di Rembrandt e confronto tra la parabola, il
dipinto e le osservazioni prodotte dai gruppi nella lezione precedente
SESTA LEZIONE
 Verifica di apprendimento
(la verifica è strutturata con diverse modalità di domande (domande aperte, quiz a risposta
multipla e domande con opzione vero/falso per permettere a tutti gli studenti, anche a chi
115
presenta disabilità o disturbi di apprendimento, di affrontarne in modo soddisfacente
almeno una parte).
4.2.2 VERIFICA DI APPRENDIMENTO
«Le concezioni di Dio: dal dio pagano al Dio della Rivelazione»
Test (una sola risposta è esatta)
 La concezione della divinità gelosa della felicità dell'uomo è
□ una concezione ebraica
□ una concezione cristiana
□ una concezione pagana
 Nel dipinto di Rembrandt le mani di Dio sono diverse tra loro. Questo significa:
□ Che Dio è metà maschio e metà femmina
□ Che Dio è Padre e Madre
□ È un errore del pittore
 La parola antropomorfismo significa:
□ Che Dio è Padre e Madre
□ Che Dio può assumere tante forme diverse
□ È l'attribuzione a Dio di caratteristiche umane
116
 Quando ci troviamo di fronte ad una incertezza nell'interpretare la volontà di Dio,
qual è il criterio suggerito da Gesù?
□ L'importante è che trionfi la giustizia
□ L'importante è che non si offenda Dio
□ L'importante è che si rispetti il criterio dell'amore e del bene dell'uomo
 A cosa serviva l'anello che il Padre restituisce al figlio nella parabola?
□ Serviva per sigillare i contratti, un po' come la firma di oggi
□ Era un marchio che i peccatori dovevano portare
□ Aveva soltanto una funzione estetica
 Perchè il Padre fa uccidere il vitello grasso nella parabola?
□ Per fare un sacrificio a Dio come ringraziamento perchè il figlio è tornato
□ Per mangiare la carne e fare festa
□ Per trasferire le colpe del figlio sul vitello ed eliminarle
117
Le seguenti affermazioni sono vere o false?
 Dio desidera che l'uomo sia realizzato e felice
VERO FALSO
 Nella Bibbia esistono 2 divinità: una severa ed una misericordiosa
VERO FALSO
 Il concetto di «Dio onnipotente» è stato messo in discussione da alcuni teologi
VERO FALSO
 Nell'Antico Testamento esistono descrizioni poetiche di Dio misericordioso
VERO FALSO
 I maiali, che il figlio della parabola sorvegliava, sono animali impuri per gli Ebrei
VERO FALSO
Domande aperte
 Come definiresti in sintesi il significato della parola «decostruzione» ?
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________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
 Pensi che sia giusto che il Padre abbia perdonato il figlio, con tutto quello che
aveva combinato?
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118
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________________________________________________________________________
 Come descriveresti il fratello maggiore della parabola?
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 Cosa ti è piaciuto o non ti è piaciuto del dipinto di Rembrandt?
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________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
 Quali altre riflessioni ti ha suscitato questa attività?
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________________________________________________________________________
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119
TABELLA RIASSUNTIVA DELL'UNITÀ DI APPRENDIMENTO
TRAGUARDI PER LO OBIETTIVI
SVILUPPO
COMPETENZE
SPECIFICI
DELLE APPRENDIMENTO
Lo studente è in grado
di riflettere sulle
diverse concezioni di
Dio, decostruendo le
 Collaborare in modo
interdipendente e
corresponsabile con i
compagni
DI METODOLOGIA
UTILIZZATA
 Brain storming
 Lezione frontale
 Attività di cooperative
learning a gruppi
radicate concezioni
 Conoscere e riflettere sul
 Osservazione di un
distinguendole da
 Approfondire i brani biblici
 Utilizzo del testo biblico
extra bibliche
quelle bibliche.
Lo studente è in grado
di lavorare in gruppo e
di elaborare
interpretazioni
personali su un'opera
d'arte.
concetto di decostruzione
proposti cogliendone in
profondità i significati e gli
effetti che hanno prodotto
dipinto
 Verifica di
apprendimento
nell'ispirazione artistica
 Riflettere sulle diverse
concezioni di Dio
individuandone la
provenienza
 Osservare attentamente un
dipinto per coglierne la
bellezza ed i significati e
proporre interpretazioni.
120
RACCORDI
TEMPI / SPAZI
 Area
6 lezioni (6 ore)
linguisticoartistico-
espressiva
 Area storico
geografica
In classe
CONCLUSIONI
Al termine di questo percorso viene spontaneo pensare con gratitudine alla grandezza del
Dio Padre misericordioso annunciato nel Vangelo.
Un Dio sconfinato, non solo nel senso di grandezza, ma soprattutto nel senso del suo
superamento dei confini:
Dio sconfina. Partendo dal centro della sua divinità, attraversa una serie di confini:
tuffandosi nella realtà corporea dell'umanità, nascendo da una donna, supera la distanza
incolmabile tra divino e umano, condivide la nostra stessa origine, libera il nostro corpo e
tutti coloro che con il corpo sono stati identificati, le donne, le persone di colore. Oltrepassa
il confine tra padrone e servo, destabilizza le distinzioni, volta le spalle ai palazzi dei re, erra
senza avere dove posare il capo, si prende cura dell'altro/a e fa della cura reciproca il
centro della sua proposta di vita. Estromesso dal campo, attraversa le mura della città,
sconfina nell'impurità per morire con i reietti, scarti di una civiltà costruita sulla morte. Il suo
sangue versato in terra sconfina in una natura oltraggiata e agonizzante. 130
Un Dio non interessato ai meriti o alle colpe delle persone, ma alle loro necessità. E di
meriti da vantare non ne abbiamo tutti, ma tutti abbiamo dei bisogni, delle necessità.
Un Dio che unisce alla paternità la maternità, la tenerezza.
Che cos'è della persona che amiamo che ci sconvolge? La tenerezza che ci usa! La cosa
che mi fa sconvolgere, che cos'è? Uno che ti si presenta come un uomo duro? No! Ecco
perchè questo è il tempo della tenerezza! Perchè è il tempo del terrorismo, è il tempo della
guerra: per noi è il tempo della tenerezza. Il sorriso di chi ci ama fa spegnere lo splendore
del mio egoismo, della mia cattiveria.
In che cuore viene impresso, più che in ogni altro cuore, l'immagine, la vicenda, la
sofferenza, il cammino faticoso dei fratelli e delle sorelle? In che cuore s'affonda la
condizione di povertà dei nostri fratelli e delle nostre sorelle? In un cuore tenero, In un
cuore, come quello del Signore, in cui la vicenda di ciascuno viene impressa.
130
E. E. GREEN, Il Dio sconfinato. Una teologia per donne e uomini, Claudiana, Torino, 2007, retro copertina
121
E' solo se abbiamo il cuore tenero che in noi si può ritrovare il senso della storia. Nella
storia ci si sta da teneri; se ci si sta da duri succede che non si lascia nessun segno. 131
Un Dio che utilizza la pedagogia della dolcezza, che ci propone strategie educative basate
non sulla paura della punizione ma sull'attrazione e sul fascino dell'amore, strategia
confermata anche dal pragmatismo e dalla saggezza del proverbio popolare «Si prendono
più mosche con una goccia di miele che con un barile d'aceto»....
Un Dio che arriva ad identificarsi con i più poveri, con gli ultimi, gli esclusi, i disprezzati,
emarginati, discriminati.
Nel Primo Testamento, Dio, quando deve affidare ruoli e missioni importanti, sceglie
sempre le persone apparentemente più deboli o inadatte (Mosè che non sa parlare, Sara
che è sterile, Davide che è escluso dai suoi fratelli e tanti altri).
Lo stesso popolo di Israele viene scelto perchè piccolo: «Il Signore si è legato a voi e vi ha
scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i
popoli , ma perché il Signore vi ama» (Deuteronomio 7,7-8a).
Nel Nuovo Testamento Gesù non frequenta i palazzi del potere civile e religioso, ma i
pubblicani, i lebbrosi, le prostitute, i malati, tutti coloro cioè che erano esclusi dalla vita
civile e religiosa.
Va da sé che un Dio così è compreso molto meglio da chi vive le condizioni di cui sopra
che da chi si considera a posto, in regola, privo di mancanze da farsi perdonare.
Nella mia attività sia professionale che «pastorale», ho avuto modo di toccare con mano
l'impatto dirompente e commovente che provoca l'incontro con il «Dio-amore
131
D. SIMONAZZI, Parola, non solo parole. Omelie dell'anno liturgico 2002-2003, San Lorenzo, Reggio Emilia,
2003, 344-346
122
incondizionato» da parte di persone considerate ai margini della vita ecclesiale, quali ad
esempio carcerati, persone omosessuali, coppie «irregolari»...
E' altrettanto evidente, poi, che un Dio così, chiede alla sua Chiesa una risposta ed un
impegno convinto in questa direzione; fortunatamente nella Chiesa ci sono tante iniziative
di accoglienza e carità e molte persone si impegnano generosamente in queste attività,
ma mi pare che i cristiani siano chiamati ad un atteggiamento più strutturale, ad essere
carità:
Io penso ora alla Chiesa (il problema però riguarda noi e il nostro essere Chiesa, perchè la
Chiesa siamo noi), alla mia Chiesa che amo e che voglio servire, ma che vedo così
modesta e povera. Una Chiesa più impegnata a restaurarsi che a diventare profezia, che
dedica molta attenzione all'amministrazione dei beni, ma che non sa fare una vera azione
politica per le fasce deboli neppure con i soldi di cui dispone; una Chiesa che, nonostante i
discorsi, continua ad allearsi con i potenti e questo vuol dire mettersi dalla parte dei forti,
dimenticando i deboli, e che finisce per lasciare ai poveri e al mondo della sofferenza in
genere le briciole dei suoi averi e del suo impegno; una Chiesa che non sa fare un'azione
politica che non sia quella dell'autodifesa. Che riduce le Eucaristie domenicali a dei bei
discorsi che non hanno né un prima né un poi. Amo una Chiesa che giochi la sua partita
all'attacco, non per vincere – non ne ha bisogno e non le serve, la Chiesa deve solo servire
– ma per diventare «segno» chiaro, forte e luminoso che molti, anche al suo interno,
possono contestare, ma che solo in questo modo può offrire al mondo un modello di vita e
dare agli uomini una speranza. Amo e vorrei una Chiesa profezia, amo e vorrei delle
comunità parrocchiali che celebrano delle belle Eucaristie, belle non perchè luccicanti di
suoni e abiti solenni, di processioni e canti, ma perchè vere, perchè non si dimenticano dei
deboli, dei vecchi, dei malati terminali, delle famiglie a rischio, dei giovani che non hanno
più ideali e per loro non sanno proporre altro che soluzioni evasive come gite, cene, feste e
tornei di calcio; ben sapendo che questo non serve, neppure a fare della prevenzione.
Vorrei delle comunità che smettano di fare dell'assistenzialismo e cominciano a fare della
promozione umana. Una Chiesa più missionaria qui e altrove, che ha il respiro largo e gli
orizzonti vasti, un clero attento alle persone più che alle strutture da erigere e da
restaurare. Una Chiesa che crea anche le strutture, ma che le usa per promuovere e non
per assistere. Una Chiesa meno in sagrestia e sui sagrati, che si espone di più nei quartieri
a rischio, che perde un po' di tempo a fianco dei malati di Aids e non li ghettizza. Insomma
123
una Chiesa di frontiera, che non tiene sotto controllo i poveri perchè non invadano e se non
gli arrivano sotto casa, se li va a cercare in stazione, nei casolari abbandonati o sulle strade
per strappare le ragazze dal marciapiede. Ci sono delle comunità capaci dimettersi per
questa strada? E se non ci sono, dobbiamo rivedere il significato delle nostre Eucaristie. 132
La comunità ecclesiale, sull'esempio del suo Maestro, è chiamata a guardare avanti, e non
indietro, e a farsi carico delle nuove sfide del mondo presente e futuro, delle nuove
domande che incontra e che incontrerà.
La Chiesa cattolica si trova oggi di fronte a diversi nodi, intricati quanto e forse più di quello
di Gordio. Il sentimento d'impotenza rischia di diventare predominante e pervasivo nella
Chiesa del «terzo millennio». «Duc in altum», vai al largo; con le parole di Gesù a Pietro (Lc
5,4), Giovanni Paolo II esortava al coraggio. L'impressione è che si faccia molta fatica a
levare le ancore.
Dico questo, soprattutto perchè da tempo mi interrogo sulla ragione che spinge un po' tutti,
pastori e fedeli, a dare tanto rilievo alla «legge naturale». Certamente, questo indica la
centralità della questione antropologica: chi sia l'uomo, ecco la grande domanda che un po'
tutti si fanno. Nello stesso tempo, la ricerca di una «natura» comune a tutti gli uomini
esprime la preoccupazione per l'arbitrio e la facilità con i quali si mettono etichette sugli
uomini, rompendo, di fatto, l'unità del genere umano e distruggendo il concetto di «bene
comune» (...).
Ecco perchè tanti discorsi ecclesiastici sembrano fuori dalla storia. Finchè rimangono fuori
dalla storia, la conseguenza è spiacevole, ma non particolarmente grave: la Chiesa viene
considerata una vecchia zia brontolona, rispettabile e magari con un certo fascino; le sue i
dee demodées danno, ai nipoti che la visitano, l'occasione di rileggere la propria storia.
Veniamo da lontano, anche se non sappiamo dove andiamo.
Il guaio è, che, con questa insistenza sulla «natura», si rischia di essere fuori dalla
prospettiva della Bibbia e del Vangelo, che è quella della «storia della salvezza», cioè di
una storia che è conflitto, lotta, caduta e grazia. In particolare, rischiamo di cadere in quella
che, per il cristianesimo, sarebbe la malattia peggiore: il moralismo. 133
132
133
L. GUGLIELMI, Il rischio della carità. Scritti scelti 1989-1996 (a cura di Daniele Gianotti), San Lorenzo, Reggio
Emilia 2011, 138-139
G. JR. DOSSETTI, Nodi. Religione e violenza, coppie irregolari nella Chiesa, la droga. EDB, Bologna 2009, 5-6.
124
Per finire, in tutti i sensi, è davvero bello pensare che l'angoscia della morte che accomuna
tutte le persone viene superata dalla speranza-certezza cristiana; è bello pensare che alla
fine della nostra vita terrena troveremo il Padre che, commosso, ci correrà incontro e ci
abbraccerà...
Tutti. Anche coloro che temono di averla fatta troppo grossa e di non essere accolti, come
esprime in modo splendido questo testo di Fabrizio De Andrè, tratto dall'album Volume 1
del 1967, dedicata all'amico cantautore Luigi Tenco, morto suicida.
Vorrei concludere questo lavoro lasciando parlare questa preghiera poetica.
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.
Quando attraverserà
l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno
nel mondo del buon Dio.
Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
125
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.
Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza
preferirono la morte.
Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura.
Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
126
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