Febbraio 2016 - Liceo classico "Jacopo Stellini"

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Febbraio 2016 - Liceo classico "Jacopo Stellini"
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Liceo Classico Jacopo Stellini
In copertina
Da giugno 2014 ormai il prezzo del petrolio è in
netto calo ed è previsto che questa tendenza duri
sino al 2020. Considerando la centralità del petrolio negli equilibri del potere globale e gli introiti da
esso dipendenti, questo scenario avrà profonde
ripercussioni sull’ordine politico e, in particolar
modo, originerà un’ineluttabile perdita da parte
dei paesi produttori di parte della loro influenza
nella politica internazionale.
numero III, anno III
Le Unioni Civili
É ormai da un anno che si parla di legge sulle
unioni civili e sul riconoscimento dei diritti degli
omosessuali. Se ne è parlato e se ne parla tuttora
anche coi vertici dell’Unione Europea, i quali
ritengono sia necessaria la creazione di leggi sull’argomento in questione. Ora, grazie al disegno di
legge Cirinnà, tutto ciò sembra possibile. Questo
DDL, però, non convince lo stesso partito che lo
ha proposto: il Partito Democratico.
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Sommario
Attualità
Il petrolio: un’arma a doppio taglio
Pag. 4
Unioni civili
Pag. 5
Vatileaks 2
Pag. 6-7
Giulio è vivo
pag. 7
Le elezioni americane
pag. 8
Crescita o decrescita?
pag. 9
Cronaca
Le mezze stagioni
Pag. 10
Realtà o mondo
virtuale?
Pag. 10
Ricordo sulle foibe
Pag. 11
Chapeau
Pag. 11
Giornata
della
memoria
pag. 12-13
Scusi, ha da spegnere?
Pag. 14
La parità di
genere solo
sulla carta
Pag. 15
Scuola
pag. 16
Recensioni
Il figlio di Saul
Pag. 17
Terza Pagina
Dipendenza
Pag. 18
Il ragazzo, la
strada, il vecchio
Pag. 19
Lunedì o martedì
Pag. 19
Il diario del
seduttore
Pag. 20
Zensazionale!
Poesie
Pag. 23
pag. 21-22
Rubriche
Ricetta
Pag. 24
Umorismo
Pag. 24
Caffè letterario
Quanto spesso capita a noi ragazzi di desiderare un
confronto con i nostri coetanei, per cercare risposte ad
alcuni degli interrogativi che, nel nostro percorso di
maturazione, ci vengono alla mente? Che cosa significa amare? Che valore ha la parola libertà? Qual è la
storia dei nostri partiti politici? Quali sono e come si
confrontano le potenze mondiali in ambito economico, culturale, sociale? Come si rapportano il mondo
occidentale e quello musulmano? In quale filosofia
rientra il nostro pensiero personale? Dalla volontà di
cercare risposte a queste e molte altre domande, nasce
il Caffè letterario, un’iniziativa pensata, voluta e portata avanti da alcuni ragazzi delle scuole superiori di
Udine (Stellini, Percoto, Copernico, Marinelli,
Uccellis) che hanno percepito la necessità di un confronto da parte dei loro coetanei e hanno cercato di
soddisfarla. Il Caffè letterario è un incontro che avviene ogni quarto giovedì del mese presso il Cafè Ottelio
in piazza San Giacomo, nel quale i ragazzi delle scuole di Udine si ritrovano a discutere e confrontarsi su
tematiche a loro vicine. È questa un’ottima occasione
di arricchimento personale e un’opportunità per stringere nuove amicizie, svagandosi dalla monotonia
della vita scolastica.
Quindi non perdetevi il nostro pomeriggio mensile di
dibattiti e incontri, accompagnati da aperitivo e buffet,
nel quale conoscere altri studenti con esperienze e
idee a volte molto diverse dalle vostre, ma aperti al
dialogo e in cerca di risposte proprio come voi!
Il primo caffè letterario 2016 si svolgerà dalle ore 16
alle ore 19 presso il "Caffè Ottelio" il giorno giovedì
10 Marzo. Il prezzo d'iscrizione è di 5 euro, che servirà a coprire lo spazio del locale, il buffet e gli aperitivi, nonché la presenza dei relatori esterni. L'evento è
aperto a tutti gli studenti sia universitari che liceali. I
temi del prossimo caffè letterario: Le unioni civili,
L’Europa dei muri, Mangiare sano e biologico: la
sfida del XXI secolo, Caffè in itinere:parliamo del
mondo con le esperienze dei nosrti viaggi, L’eredità di
Dostoevskij: alla ricerca del suo retroterra,
L’ignoranza psicologica delle masse.
In copertina
Da giugno 2014 ormai il prezzo del petrolio è in
netto calo ed è previsto che questa tendenza duri
sino al 2020. Considerando la centralità del petrolio negli equilibri del potere globale e gli introiti
da esso dipendenti, questo scenario avrà profonde
ripercussioni sull’ordine politico e, in particolar
modo, originerà un’ineluttabile perdita da parte
dei paesi produttori
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Editoriale
Non c’è peggior cieco di chi...
Paolo Petrucco 3E
In un breve racconto intitolato Il
paese dei ciechi, si racconta di una
misteriosa valle montana, lontana dal
mondo. Rimasta isolata in seguito a
una terribile eruzione vulcanica, essa
offriva alla gente che ancora vi abitava “tutto ciò che un uomo può desiderare di meglio: acqua dolce, pascoli, un clima uniforme, pendii di terra
scura e fertile, con macchioni di un
arbusto che produceva un ottimo frutto”.
Una guida alpinistica, che si chiama
Nunez, accompagna una spedizione
inglese venuta a scalare montagne in
Ecuador. Dopo un incidente, precipita da uno strapiombo, ma riesce a
salvarsi e, dopo varie peripezie, arriva fino al fondo di quella valle. Ed è
così che trova il posto di cui molto
leggende parlavano.
Tutti gli abitanti di questo Paese sono
stati colpiti da un particolare male.
Dopo l’isolamento, dalla prima
all’ultima generazione hanno tutti
sofferto di una strana, quanto assoluta cecità. Quel mondo è costruito
perciò a misura di non vedenti. Le
case a differenza dei classici paesini
di montagna, non sono disposte alla
rinfusa, ma perfettamente allineate.
Questi sono i primi segnali di una
diversa organizzazione dello spazio.
Nel vederli, Nunez ricorda un vecchio proverbio, secondo cui “Tra i
ciechi, l’orbo d’un occhio è re”, e
rapidamente matura in lui la scelta di
fermarsi lì, e prendere il controllo di
quella popolazione, che lui ritiene
naturalmente minorata.
Egli si accorgerà ben presto che le
cose non vanno come in quell’antico
detto che gli ronza per la testa, fondato sulla “ovvia” superiorità di chi ha
“buoni occhi”. In quella società di
non vedenti, la lingua, i valori, la religione, le credenze, la scienza, le
norme riflettono necessariamente
quella condizione fisica. Lo stesso
avviene per le case, le vie e gli strumenti di lavoro. E in quel mondo
Nunez, che aveva covato un sogno di
potere in virtù della sua superiorità
fisica, scopre ben presto di essere lui
il vero minorato, con tutto ciò che
questa condizione implica in termini
di emarginazione e di rifiuto. Una
donna lo fa innamorare, e per amore
egli impara a rispettare e ad amare
quel mondo. Ma quel mondo, come il
nostro, mal tollera la diversità, e di
fronte alla prospettiva di una “normalizzazione” – che consiste nell’asportazione degli occhi - Nunez decide di
fuggire, facendo ritorno al mondo dei
vedenti.
Ho utilizzato questa storia per suggerire una riflessione che ci coinvolga
tutti. Siamo abituati a vivere e a gestire i nostri comportamenti sulla base
di atteggiamenti e di modi di essere
derivati dalla soggezione alle abitudini acquisite sin da bambini.
Interpretiamo la società attraverso
modelli che finiamo per confondere
con la realtà, reificandoli, ossia percependoli come realtà in sé mentre
sono una costruzione sociale. Siamo
abituati a dire che le persone con un
qualsiasi difetto psico-fisico o di particolari condizioni sociali siano automaticamente svantaggiate in quanto
differenti e inadeguate. Siamo portati
a individuare nelle diversità aspetti
da rigettare e da negare in quanto
ritenuti sbagliati. Non ci accorgiamo
che da un certo punto di vista siamo
noi i minorati, resi ciechi d’innanzi a
questa stessa evidenza dalla società
che ci costringe a questi comportamenti. Invito tutti ad utilizzare questo
breve racconto di Wells per una
riflessione fertile e proficua su quanto è considerato “normale”, o “per
natura”, come la famiglia o i rapporti
di genere. La realtà è molto più complessa di quanto i nostri giudizi sulla
sua apparente ovvietà vorrebbero
farci credere.
In questo numero
Negli ultimi tre mesi trascorsi dall’ultimo nostro numero sono successe molte cose che riguardano la
maggior parte anche il nostro Paese
- e noi - da vicino. Come avete
appena letto un tema su cui ci siamo
molto concentrati è quello delle
unioni civili e il decreto legge
Cirinnà, con un articolo di Giovanni
Cabroni.
Seguono poi tutti articoli di attualità nazionale e internazionale non
meno importanti.
Abbiamo inoltre inserito uno speciale a metà di questo numero che si
sofferma con due particolari e
molto belle riflessioni sul giorno
della memoria e sull’importanza del
ricordo. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Primo Levi ha sempre cercato di
farci capire che la memoria è necessaria. Dobbiamo rimembrare il passato per essere capaci di andare
avanti. Abbiamo bisogno della
memoria per fare questo. Non in un
solo giorno. Ma di ogni giorno della
nostra intera esistenza sulla terra.
Noi dobbiamo essere sostenitori
attivi di questa memoria. Nel
nostro millennio abbiamo a disposizione innumerevoli mezzi di informazione di massa. Sfruttiamoli.
Facciamo sì il minuto di silenzio
per il rispetto alle vittime dell’olocausto, ma un’ora o due ore dedicate alle parole, al dialogo valgono
più di mille minuti di silenzio.
Detto questo non mi resta altro che
augurarvi una buona lettura.
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In copertina
Il petrolio: un’arma a doppio taglio
Erika Tiepolo 3C
Da giugno 2014 ormai il prezzo del
petrolio è in netto calo ed è previsto
che questa tendenza duri sino al
2020. Considerando la centralità del
petrolio negli equilibri del potere globale e gli introiti da esso dipendenti,
questo scenario avrà profonde ripercussioni sull’ordine politico e, in particolar modo, originerà un’ineluttabile perdita da parte dei paesi produttori, quali la Russia, la Nigeria, il
Venezuela e l’Arabia Saudita, di
parte della loro influenza nella
politica internazionale. Più a lungo
i prezzi rimarranno a questi livelli
e maggiormente devastanti saranno gli effetti a livello globale. In
linea generale infatti, la crescita
del prezzo del petrolio è sentore di
un’economia solida, che origina,
conseguentemente, un aumento
della domanda. Al contrario il
costo scende quando, come attualmente sta accadendo, l’economia
globale è vacillante, la domanda
energetica è debole, i fornitori non
riescono ad adattare la produzione al
calo della domanda e si genera un
eccesso di riserve. Questa sovrapproduzione è ciò che si verificò all’inizio
degli anni 2000, col boom immobiliare, quando i prezzi del greggio crebbero in maniera esponenziale sino
alla crisi del 2008, superata, però,
rapidamente grazie alla nuova strategia del governo cinese, che aveva
deciso di investire pesantemente nelle
infrastrutture, soprattutto ponti e
autostrade. Nel 2014 la situazione
inaspettatamente mutò: la produzione
negli Stati Uniti, scesa tra il 1990 e il
gennaio 2014 da 7,5 milioni di barili
a 5,5 milioni, aumentò rapidamente
toccando i 9,6 milioni nel luglio
2015, grazie alla produzione da giacimenti non convenzionali attraverso il
fracking; un’ aumento simile si registrò in Canada grazie agli investimenti nelle sabbie bituminose, in Brasile
e in Africa occidentale in seguito allo
sfruttamento dei giacimenti in pro-
fondità. Tuttavia, la domanda non
riuscì a sostenere tale incremento. Da
un lato, la causa va ricercata nel
ribasso progressivo dell’economia
cinese, che dopo aver fatto in modo
che le banche statali prestassero enormi quantità di denaro ai consumatori
e alle aziende senza fare caso alla
loro solvibilità, pur di stimolare la
crescita e creare posti di lavoro, in
nome del capitalismo più spietato, è
alle prese con una montagna di mutui
e debiti abbinati a redditi sempre più
bassi.
Dall’altro lato, la maggiore efficienza
nei consumi energetici negli Stati
Uniti, il più grande consumatore al
mondo di petrolio, ha mostrato i
primi effetti. Ciò va aggiunto alla
progressiva consapevolezza da parte
di tutti i Paesi dei danni ambientali
che risorse energetiche quali il petrolio hanno sull’ecosistema, consapevolezza incrementata anche dal convegno sui cambiamenti climatici
tenutasi a Parigi, che ha posto l’accento sulla necessità di un radicale
quanto più rapido cambiamento nello
sfruttamento delle risorse del nostro
Pianeta, favorendo l’investimento
nelle energie rinnovabili.
Un fattore di particolare rilevanza è
poi l’accordo sul nucleare entrato in
vigore in Iran a metà gennaio, che
prevede il cancellamento delle sanzioni imposte da Washington e
dall’Unione Europea e che permette-
rà, dunque, a Teheran di tornare sul
mercato del petrolio e aggiornare le
sue tecnologie. Secondo l’Energy
Information Administration statunitense, la produzione dell’Iran potrebbe aumentare di 600mila barili al
giorno nel 2016 e far registrare una
crescita esponenziale nei prossimi
anni.
In seguito alla situazione affermatasi,
alcuni paesi che avevano acquisito
grande influenza grazie all’esportazione del petrolio cominciano a
contare
sempre
di
meno.
Significativi esempi ne sono la
Nigeria, il cui 75 per cento delle
entrate deriva dalla vendita del
petrolio, la Russia, dove tale percentuale è del 50 per cento e il
Venezuela col suo 40 per cento.
Con il prezzo del petrolio a un
terzo rispetto a 18 mesi fa, le loro
entrate sono precipitate, mettendo
a rischio la capacità dei governi di
prendere iniziative sia sul fronte
interno che su quello internazionale. Un caso a parte è, invece, l’Arabia
Saudita, che può sopravvivere ai
bassi prezzi poiché, quando il costo
del petrolio era di 100 dollari a barile, mise da parte una porzione di guadagni che ammontava circa a 750
miliardi di dollari. Per queste economie, dunque, si presenta pressante la
necessità di ridurre la dipendenza dall’esportazione di petrolio in un orizzonte di medio termine.
Gli effetti che tale crisi potrà avere
sull’ecosistema sono assai controversi, da un lato infatti, essendo ormai
condannato a sparire l’ordine politico
globale che in passato si basava sull’aumento del prezzo del petrolio,
essa potrebbe favorire una transizione
verso un mondo alimentato da energie rinnovabili; dall’altro lato, però,
potrebbero essere proprio i prezzi
bassi, che rendono inferiori i costi di
produzione dei beni, a ridurre i tentativi di procedere con investimenti
nell’energia verde.
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Attualità
Le unioni civili
Giovanni Cabroni 1D
É ormai da un anno che si parla di
legge sulle unioni civili e sul riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Se ne è parlato e se ne parla tuttora anche coi vertici dell’Unione
Europea, i quali ritengono sia necessaria la creazione di leggi sull’argomento in questione. Ora, grazie al
disegno di legge Cirinnà, tutto ciò
sembra possibile. Questo DDL, però,
non convince lo stesso partito che lo
ha proposto: il Partito Democratico.
Questo perché la fazione cristiana del
partito non è convinta dell’attuazione
del cosiddetto “utero in affitto”, pratica che consiste nel concepire, per
via indiretta (inseminazione artificiale), una donna estranea alla coppia, la
quale porterà a termine la gravidanza
e donerà il bambino alla coppia
che l’ha commissionata. Per
questo motivo il PD ha presentato degli emendamenti per
cambiare alcune parti del disegno di legge. Quest’ultimo
comprende anche articoli più
importanti, come quello sulle
unioni civili. Gli articoli presenti nel DDL riconoscono il matrimonio fra due persone dello
stesso sesso e considerano la
loro unione come una famiglia.
Questa parte del disegno di
legge, al contrario di quella precedente, convince tutto il PD. Infine, un
altro punto importante della riforma
riguarda la “stepchild adoption”,
ovvero la possibilità di adottare il
figlio del compagno o della compagna da parte di un componente della
coppia. Infatti, poiché l’utero in affitto non è ancora legale in Italia, le
coppie omosessuali vanno all’estero
per ottenere un figlio, il quale però è
figlio naturale di un solo membro
della coppia. L’altro componente
della coppia chiede l’adozione tramite la stepchild adoption, pratica che
lo rende il secondo genitore. In generale, a favore della riforma ci sono la
Sinistra Italiana, il M5S e anche il
PD, sebbene quest’ultimo sia incerto
sull’utero in affitto. Contrari, invece,
al disegno di legge sono tutti i partiti
di Destra, come la Lega Nord, il
Nuovo Centro-Destra e Forza Italia.
Non è stato, però, ancora comunicato
il giorno delle votazioni sulla riforma. Ci sono state, inoltre, due grandi
manifestazioni pro e contro il DDL.
La prima manifestazione in ordine
cronologico è stata a favore della
riforma e ha coinvolto numerose città
italiane; si è svolta il 23 gennaio e ha
avuto luogo nelle piazze delle città
più importanti d’Italia, come Milano
e Roma. Alla manifestazione hanno
partecipato circa un milione di persone, distribuite nelle diverse piazze
d’Italia. Pochi, però, i rappresentanti
del governi.
La manifestazione opposta, invece, è
il Family Day, tenutosi il 30 gennaio,
al quale hanno partecipato, secondo
gli organizzatori, due milioni di persone, anche se la questura ne ha contati trecentomila. Tralasciando i
numeri, c’è da sottolineare la partecipazione di importanti figure cattoliche come Mario Adinolfi, direttore
de “La Croce”. Sono stati presenti
anche esponenti della Destra Italiana
come Giorgia Meloni e Maurizio
Gasparri, ma anche politici appartenenti alla fazione cristiana del PD. Lo
scopo del Family Day sarebbe stato
quello di manifestare contro i diritti
legittimi delle coppie dello stesso
sesso, con l’ulteriore obiettivo di
influenzare il Parlamento, anche se
invano, per impedire l’attuazione del
DDL Cirinnà. Molte contestazioni a
questa riforma derivano, infatti, dal
fatto che, secondo alcuni, nuocerebbe
ad un bambino vivere con due genitori omossessuali e che l’utero in affitto sia un abuso nei confronti della
donna coinvolta in questa pratica e
perciò un metodo immorale. Se
dovessi rispondere a queste critiche
direi che, innanzitutto, fino a prova
contraria, non è scientificamente provato che vivere con due genitori
omosessuali nuoccia a un bambino e
inoltre direi che, anche se fosse vero
l’abuso subito dalle donne che volontariamente si sottopongono alla pratica dell’inseminazione artificiale, è da
ricordare che questa stessa pratica è
stata inventata per le coppie eterosessuali e che sarebbe ipocrita
ritenere che solo gli omosessuali
abusino, sempre ipoteticamente,
delle donne in questione.
Ognuno, quindi, ha una sua etica,
ma non comprendo il senso di
negare dei diritti ad altre persone.
Non capisco dove sia l’etica nel
negare dei diritti, senza peraltro
ottenerne degli altri o avere, per
lo meno, dei vantaggi di conseguenza. Se, quindi, due persone
dello stesso sesso si sentono uniti
in matrimonio, perché negarglielo?
Se due persone dello stesso sesso
vogliono avere un figlio, perché
negarglielo? Se un bambino sta bene
e si sente a proprio agio all’interno di
un ambiente familiare composto da
due omosessuali, perché negargli la
felicità? Perché imporre ai suoi genitori leggi negative che comprometterebbero l’andamento della sua vita?
Vorrei, dunque, far riflettere sull’etica civile, l’etica dello Stato, che non
può essere confusa con l’etica cristiana. Sono due concetti molto diversi e,
sebbene io sia un cattolico praticante,
non credo che la Chiesa debba condizionare con la sua morale le leggi
dello Stato, specialmente leggi come
quella sulle unioni civili.
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Attualità
Vatileaks 2
Andrea Scolaro 2D
Mi dispiace deludere le vostre aspettative, ma, nonostante quello che il titolo
potrebbe suggerire, questa non è una
recensione né di un film, né tantomeno di
un sequel di un romanzo. Questa storia
tratta argomenti più “sacri” di questi,
anche se i protagonisti sono proprio due
libri. Ma iniziamo dal principio.
Tanto tempo fa un uomo povero che
viveva in Palestina era così amato e contemporaneamente così odiato dal suo
popolo da lasciarsi crocifiggere per
espiare i peccati dell’intera umanità.
Poiché dopo tre giorni il suo corpo scomparve dal sepolcro e alcuni sostennero di
averlo visto risorgere ed ascendere in
cielo, quest’uomo venne considerato
da molti il figlio di Dio e coloro che
credevano nella sua resurrezione decisero di dedicare la loro vita a trasmettere le sue parole ed i suoi insegnamenti a tutte le genti del mondo e
crearono una religione che seguiva i
suoi comandamenti, ponendosi come
obbiettivo di togliere la violenza e il
male dal mondo. Oggi, a più di duemila anni di distanza dalla nascita dell’uomo che morì sulla croce, non sembra che questi discepoli siano riusciti a
raggiungere questa meta, ma anzi
sembrano essersi allontanati parecchio
dall’immagine di quel falegname che
predicava la povertà, l’umiltà e l’amore verso il prossimo andando in giro con
solo una tunica e dei sandali ai piedi.
Ed è qui che inizia questa storia, che
riguarda appunto la più antica e potente
istituzione creata per servire Dio e seguire i comandamenti del Figlio, ovvero la
Chiesa cattolica. In questo momento il
Vaticano nell’immaginario collettivo non
è più un luogo pulito e santo dove un
uomo che crede nei comandamenti cristiani può far in modo che il proprio peccato venga identificato, cancellato e perdonato, ma anzi gli scandali negli ultimi
anni sembrano trovare proprio all’interno
della Santa Sede uno dei principali palcoscenici dove possono uscire allo scoperto. Basti ricordare il caso Vatileaks,
quando un maggiordomo tradì Benedetto
XVI divulgando informazioni che danneggiarono enormemente il pontefice
tedesco, uno dei pochi, nella storia della
Chiesa, a rinunciare alla sua carica di
Santo Padre. Ma, come potete constatare
dal titolo, dopo quella vicenda gli scandali di fughe di notizie non terminarono
a Roma e quindi si venne a creare un
seguito a quell’avvenimento, denominato appunto Vatileaks 2.
Dopo Benedetto XVI Francesco è il 266°
papa della Chiesa di Roma, un personaggio diventato davvero popolare in questi
ultimi anni e dipinto dai mass media
come un papa rivoluzionario, un uomo
umile e buono che sta cercando con il
suo operato di benedire con l’acqua santa
tutti i demoni che stanno corrompendo la
Chiesa e la sua immagine con disonestà e
reati.
Impresa tutt’altro che semplice, visto che
Francesco è circondato da ben pochi
angeli custodi in Vaticano e la maggioranza dei signori dalla veste purpurea ha
dimenticato che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un
ricco entri nel regno dei cieli” e che nemmeno gli uomini di Dio sono al di sopra
della legge. Ad ogni modo il Papa continua la sua lotta e così, poco tempo fa, ha
istituito due commissioni, una per controllare le finanze del Vaticano, una per
quelle dello Ior.
Ed è proprio nella prima che Francesco
farà i conti con quelli che, attratti dai
trenta pezzi d’argento, lo tradiranno.
Dovete sapere che questa commissione
creata dal pontefice è composta quasi
interamente da laici a parte un unico
ecclesiastico, il monsignor Lucio Angel
Vallejo Balda, tutti scelti direttamente
dal pontefice. La Cosea (così si chiama la
suddetta commissione) perciò inizia le
sue indagini, analizza un gran numero di
documenti e alla fine, dopo aver fatto una
relazione dei dati raccolti al Papa, viene
sciolta. La storia, però, è solo all’inizio.
Nell’ombra, infatti, i corvi travestiti da
colombe lavorano a portare informazioni
riservate fuori dalla Santa Sede e a consegnarle a mani profane. Ed ecco che,
poco tempo dopo lo scioglimento, due
libri vengono pubblicati: “Avarizia” e
“Via Crucis”, rispettivamente scritti dai
due giornalisti Emiliano Fittipaldi e
Gianluigi Nuzzi. In essi viene descritto
dettagliatamente, attraverso anche delle
foto dei documenti che erano stati raccolti dalla Cosea, il rapporto tutt’altro che
“santo” fra la Chiesa e il denaro e di
come i cardinali e i vescovi invece di
usare i soldi a favore della comunità
cristiana, il più delle volte li intaschino e li usino per comprare immobili e
oggetti tutt’altro conciliabili con l’umiltà che in teoria il cristianesimo
vorrebbe insegnare, tra cui basti elencare le “centinaia di migliaia di euro
per voli in business class, vestiti su
misura, mobili di pregio, perfino per
un sottolavello da 4600 euro”.
Insomma, come ennesima prova che
la penna ferisce più della spada, ecco
che dopo l’uscita di questi due libri
scoppia uno scandalo. I giornalisti in
questione rilasciano più volte interviste nelle televisioni e sui giornali, mentre
la candida e positiva immagine di
Francesco sembra venir per la prima
volta “macchiata” da questa fuga di
informazioni e quella della Chiesa,
imbrattata ancora una volta agli occhi
dell’opinione pubblica.
Anche le reazioni del Vaticano, però, non
si fanno attendere. Infatti vengono fatte
immediatamente le prime indagini per
capire da dove Fittipaldi e Nuzzi siano
riusciti a prendere questi documenti
riservati e, alla fine, la Gendarmeria vaticana scopre che sono stati proprio alcuni
membri delle Cosea scelti personalmente
dal pontefice a diffonderli. In particolare
vengono portati sotto accusa l’unico
ecclesiastico della commissione, ovvero
il monsignor Balda, un certo signor
Maio, collaboratore del monsignore, e
Francesca Chaouqui per aver diffuso illegalmente dei documenti riservati.
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Il castigo divino, però, non sembra volersi fermare e anche i due giornalisti chehanno pubblicato i suddetti documenti
vengono accusati di aver fatto pressioni
per ottenere delle informazioni in modo
illegale. Il processo inizia la mattina del
24 novembre 2015 e, secondo le stime,
prima di poterlo dichiarare concluso, a
causa dei continui rinvii, si dovranno
aspettare ancora settimane, forse mesi.
Questa storia, perciò, non ha ancora una
fine, anche se in questo momento sta
suscitando una serie di discussioni e
pareri contrastanti tra il Vaticano, i giornalisti e l’opinione pubblica.
Un caos che può essere riassunto in queste poche righe: la Chiesa accusa Nuzzi e
Fittipaldi di aver pubblicato quei libri
soltanto per farsi pubblicità e che con il
loro contributo hanno soltanto ostacolato
Francesco nella sua opera di riforma; i
giornalisti urlano all’attentato alla libertà
di stampa e affermano che in un Paese
civile nessuno sarebbe stato arrestato per
la pubblicazione di quelle informazioni e
l’opinione pubblica è principalmente
Giulio è vivo
Sofia D’Urso 3C
Morto, in un fosso. Il corpo di Giulio
Regeni, di Fiumicello, il mio paese, è
stato trovato mercoledì 25 gennaio privo
di vita in un fosso nella capitale egiziana.
Un dolore rabbioso ha pervaso le menti e
i cuori non solo della sua famiglia straziata, dei suoi amici e di noi compaesani,
ma di tutti gli Italiani, che si uniscono
alle lacrime di quella madre “dal cuore
spezzato” che piange la scomparsa del
suo primogenito.
Giulio ha frequentato le scuole elementari e medie a Fiumicello, poi si è
iscritto al Liceo Classico “Petrarca” di
Trieste, ma lì è rimasto per soli tre anni
poiché, in seguito ad una borsa di studio, è entrato al Collegio del Mondo
Unito che lo ha portato in New
Mexico: era stato lui stesso a raccontarlo in un numero del mensile triestino Konrad del 2005, in cui annunciava di
voler tenere una sorta di corrispondenza
sui temi dell’ecologia e dell’ambiente.
Ha proseguito i suoi studi in Inghilterra e,
successivamente, si è trasferito al Cairo,
per lavorare alla sua tesi da dottorando in
suddivisa tra i sostenitori e oppositori di
entrambe le fazioni. Per quanto riguarda
i tre corvi solo la Chaouqui sta avendo
una particolare rilevanza mediatica, definendo il suo operato non come un tradimento, quanto più un obbligo che si sentiva di dover compiere nei confronti della
comunità dei fedeli cattolici, che meritano a parer suo di conoscere che cosa
accade veramente all’interno della
Chiesa. Io personalmente non voglio
darvi il mio parere su questa vicenda, ma
lascio a voi giudicare chi fra queste parti
ha ragione, anche se in verità la pubblicazione delle informazioni non riguarda le
accuse che sono state rivolte a Nuzzi e
Fittipaldi, ma soltanto il modo in cui
sono state ottenute.
menti o dato una qualche risposta. Niente
di tutto quello che c’è scritto in questi
due libri è stato smentito e il Vaticano
sembra volontariamente ignorare i contenuti di quei documenti con cui accusano
i due giornalisti, che sono tutt’altro che
trascurabili. Per i discepoli di quel povero falegname è davvero più importante
condannare due giornalisti che hanno
pubblicato dei documenti riservati, quando quegli stessi documenti rivelano scandali enormi proprio sul rapporto corrotto
fra loro e il demone del denaro? Davvero
l’immagine è più importante della
sostanza?
“Commercio e sviluppo internazionale”
al Dipartimento di politica e Studi internazionali dell’Università di Cambridge.
Conosceva l’arabo, parlava l’inglese e il
francese… Giulio era un cittadino del
mondo, era uno come noi, che desideriamo viaggiare, conoscere, relazionarci
con le culture e le tradizioni degli altri.
Istruzione di Fiumicello, prof. Bruno
Lasca e la professoressa Michela Vanni,
che Giulio era un giovane “dalle grandi
promesse sempre mantenute”, un pacifista interessato agli avvenimenti del
mondo, avido di nuove conoscenze e
aperto al futuro.
D’altra parte la Chiesa sembra utilizzare
due pesi e due misure. Per quanto possa
essere ammirabile la sua reazione immediata a questo reato, individuando i colpevoli e facendo iniziare i processi in
così breve tempo, per tutti i reati e le
informazioni pubblicate in “Avarizia” e
“Via Crucis” non ha ancora fatto com-
Ormai non ci resta che aspettare che la
giustizia del Santo Padre faccia il suo
corso per vedere la fine di questa storia e,
se è vero che un giorno un uomo disse
“Beati quelli che hanno fame e sete della
giustizia, perché saranno saziati”, allora è
meglio che tutti quelli coinvolti inizino a
pregare, perché “iustitia caeca est” e non
basta certo sfoggiare un crocefisso al
collo o trasformare il vino in sangue la
domenica per poter essere perdonati.
E ora noi vogliamo la verità.
Vogliamo la verità per far fronte alle
ingiustizie, vogliamo la verità per
imporci e per imporre le nostre idee,
per salvarci da un mondo intriso di
iniquità e di soprusi, per difendere
quella “libertà soggettiva” che
Socrate ci ha insegnato ad amare.
Giulio, non temere, non ci arrenderemo, otterremo quella Verità, in tuo
nome, per il tuo nome.
Giulio non aveva paura degli altri.
Chi lo ha conosciuto bene lo ricorda con
le lacrime agli occhi, ribadendo, come
hanno fatto l’Assessore alla Cultura ed
E tu sarai ancora vivo, e noi tutti, cittadini del mondo, non ci fermeremo, non
avremo paura, perché tu non ne hai
avuta.
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Attualità
Le elezioni presidenziali americane
Federico Collavini 3B
11 2016 sarà un anno fondamentale,
un anno in cui molti conti si regoleranno: forse tramonterà il sogno dell’unione politica in Europa, forse la
recessione economica allenterà la sua
morsa. Sicuramente negli Stati Uniti
emergeranno i due contendenti alla
carica presidenziale.
La campagna elettorale si è fatta sempre più accesa negli ultimi mesi, la
maggior parte dei candidati adotta
comportamenti atipici e anticonformisti,
alcuni
rappresentano
un’America che mai prima d’ora
aveva puntato così in alto. Le grassroots di Ted Cruz, Marco Rubio e
Bernie Sanders si oppongono ai ricchi finanziatori di Donald Trump e
Hilary Clinton. Personalità forti e
carismatiche, volti nuovi e conservatori, politici di grande esperienza e
progressisti.
Tra i repubblicani figure come Bush e
Romney hanno lasciato il posto al
dirompente Trump, al pacato Cruz e
al giovane Rubio. The Donald è il
personaggio più discusso del panorama elettorale; con le sue affermazioni, forti e discriminanti, lontanissime
dal politically correct tanto caro a
Barack Obama, ha catalizzato l’attenzione dei media. Ricco e famoso
imprenditore, dall’alterno successo,
finanziò nel 2008 la campagna di
Hilary Clinton. Ora è sceso in campo,
è il candidato più imprevedibile, controverso e criticato, ma all’aumentare
degli attacchi crescono i consensi. La
sua arma principale è un linguaggio
non filtrato, l’esposizione vistosa dei
suoi difetti e delle sue idee. Trump
dice ciò che pensa, presenta le cose
come stanno, anche se si tratta di
realtà scomode: questo è il messaggio
che trasmette ai suoi elettori, attraverso frasi semplici e ad effetto, il cui
fine non è avere un senso compiuto,
ma stupire il pubblico. La vittoria di
The Donald lascerebbe l’intero
mondo col fiato sospeso.
I suoi due avversari, Ted Cruz e
Marco Rubio, rappresentano alternative meno incognite, più moderate e
concrete. Entrambi di origine cubana,
aborriscono il socialismo e sono animati da una forte fede cristiana. Li
accomuna un profondo disprezzo per
la Casa Bianca e per le politiche del
Presidente Obama. Predicano agli
elettori il realizzarsi del sogno americano: qualsiasi uomo, partendo dal
nulla, può avere successo e conquistare posizioni di rilievo all’interno
della società. Il loro obiettivo principale è il ritorno degli Stati Uniti al
ruolo di superpotenza, sia economica
che militare, in grado di garantire la
sicurezza internazionale. Essi non
sono finanziati dai grandi magnati,
ma guidano le grassroots alla ribalta.
Ted si presenta come l’erede di
Ronald Reagan, Marco come il giovane volto della politica americana.
Sul versante democratico i due contendenti alla carica presidenziale
hanno una visione progressista e l’intenzione di proseguire e migliorare il
progetto di Obama: sanità ed istruzione accessibili a tutta la popolazione,
politiche ambientali efficaci e una
classe media che regga le sorti del
Paese. Nonostante i loro programmi
abbiano molti punti in comune,
Hilary Clinton e Bernie Sanders sono
due personalità assai divergenti. La
consorte di Bill è la grande favorita:
alle sue spalle ha l’apparato organizzativo più imponente ed è in assoluto
il candidato che ha ricevuto più
finanziamenti. I diritti civili, le pari
opportunità, la difesa delle minoranze e una politica estera più decisa
sono i suoi cavalli di battaglia. Dovrà
abbandonare l’aura di white privilege
che la circonda e convincere gli americani di poter risollevare il Paese e
riportarlo in auge. In caso di vittoria
sarebbe la prima donna ad entrare
nello Studio Ovale come capo di
Stato e una nuova ondata di cambiamento percuoterebbe il mondo.
D’altro canto, Bernie Sanders è una
figura altrettanto rivoluzionaria.
L’anziano senatore è riuscito nella
formidabile impresa di creare un’alternativa a Hilary Clinton all’interno
del Democratic Party. Mai prima
d’ora era accaduto che negli Stati
Uniti idee così progressiste, definite
dallo stesso Sanders come socialiste,
riscuotessero un tale successo. Bernie
predica la lotta incondizionata contro
la superclasse di miliardari che, dopo
la caduta del Muro di Berlino, ha
monopolizzato l’economia globale,
l’aumento dei controlli su Wall Street
e, infine, l’abbattimento delle disparità sociali. La classe media e il suo
benessere sono al centro del programma politico del senatore newyorkese. Il successo di Bernie
Sanders
potrebbe
significare
un’America diversa, un’America
migliore.
I profili dei cinque favoriti esprimono
gli Stati Uniti contemporanei e la
strada che percorreranno in futuro.
Differenze importanti si delineano
anche all’interno degli stessi schieramenti, mai come ora il prevalere di
una fazione sull’altra segnerà indelebilmente il mondo. Un mondo che
scalpita.
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Crescita o decrescita?
Benedetta Ardito 3C
Lo scorso 2 febbraio in occasione di
Friuli Future Forum, un’iniziativa
promossa
dalla
Camera
di
Commercio per discutere di ricostruzione economica del futuro, Udine
ha avuto l’onore di ospitare Serge
Latouche, filosofo-economista francese oggi al centro del panorama
mondiale in quanto ideatore della
“decrescita felice”.
Classe 1940, è uno degli animatori
della Revue du MAUSS (movimento
anti-utilitarista nelle scienze sociali),
presidente dell'associazione «La
ligne d'horizon», professore emerito
di Scienze economiche all'Università
di Parigi XI e all'Institut d'études du
developpement économique et social
(IEDES), nonché autore di numerosi
libri (fra gli ultimi per esempio “Per
un’abbondanza frugale” o “Usa e
getta. Le follie dell’obsolescenza
programmata”).
Latouche è arrivato a Udine in treno
(inquina infatti meno dell’aereo) e
quasi impossibile da contattare perché uno dei pochi rimasti per scelta
senza telefono cellulare. Appena
entrato in sala ha catturato subito
l’attenzione di tutti con un saluto dall’accento così marcatamente francese che a stento il pubblico confidava
in una conferenza interamente in italiano come promesso; il suo aspetto
associabile al tipico stereotipo dell’aria da “filosofo parigino” era sottolineata dal suo abbigliamento trasandato: una giacca marrone fuori moda
consumata dagli anni, i pantaloni
informi, la barba volutamente incolta. Insomma, un personaggio interessante. Si è fatto ancor più interessante quando ha iniziato a parlare: per
iniziare scherzando ci ha raccontato
di come, prima che iniziasse la crisi
nel 2008, la sua filosofia economica
fosse derisa e tenuta in basso conto e
di come invece ora, falliti i tentativi
di riforme anti-crisi a livello euro-
peo, le sue idee vengano poste su un
piedistallo. Ereditando e sviluppando
il pensiero di Karl Polanyi e Ivan
Illich, ha elaborato un’analisi critica
dell’economia occidentale, fatalmente destinata al collasso, e ha articolato una prospettiva economica alternativa che, proprio per l’inversione
di tendenza che propone, è nominata
“decrescita”. Partendo dal presupposto infatti che in un mondo finito non
è concepibile uno sviluppo infinito,
egli sostiene appunto che una “decrescita felice” sia meno utopistica di
una crescita continua. Si tratta della
riduzione controllata, selettiva e
volontaria della produzione economica e dei consumi, con l'obiettivo di
stabilire delle relazioni di equilibrio
ecologico fra l'uomo e la natura. Il
tutto senza perdere di vista l'uguaglianza tra gli esseri umani. La
decrescita non teorizza la rinuncia
allo scambio dei beni e delle merci,
ne teorizza la riduzione a favore di
una maggiore qualità della vita diffusa e di un benessere ecologico a tutela della vita sulla Terra. Egli dice:
“Non ci opponiamo ciecamente al
progresso, ma ci opponiamo al progresso cieco.”
Osserva quindi che la necessaria
limitazione dei nostri livelli di consumo e di produzione non riporterà
ad una vita di privazione e fatica, ma
ad una riscoperta di creatività e convivialità, ad un ritorno di benessere
inteso come un bien vivre che tiene
conto di aspetti immateriali e normalmente “dimenticati”, quali la cultura, il tempo libero, le relazioni
umane. Niente di nostalgico, niente
che possa far pensare ad un regresso:
piuttosto un’alternativa non solo economica, ma anche esistenziale, che
permetterà di uscire radicalmente da
questo distruttivo sistema.
Latouche si mostra molto critico
anche verso il tanto nominato “svi-
luppo sostenibile”, una vera e propria
presa in giro, una maschera della
consueta produzione consumistica,
che superficialmente appare rispettosa verso la natura, ma in sostanza
risulta inutile.
“Lo sviluppo sostenibile è come la
via per l'inferno, lastricata di buone
intenzioni.”
Tante le domande e i dubbi che sorgono in sala alla fine del suo intervento, tanti i punti lasciati oscuri
della sua vasta trattazione filosofica.
La “vecchia generazione” appare
maggiormente aderente ai concetti
proposti, sarà perché ha vissuto in
prima persona gli anni del “boom
economico” e della conseguente crescita smoderata che tanto si critica,
sarà per un pessimismo dettato dagli
ultimi anni di grave crisi. Fra i giovani presenti (i nati dopo gli anni ’70)
si nota invece una certa perplessità
mista a curiosità, sentimenti che
rifletto anche in me stessa: avendo
vissuto sempre col mostro della crisi,
dell’austerità, del mito del consumismo e avendo una vita ancora davanti, solamente il concetto di “decrescere” appare quasi come un “accontentarsi”, un non trovare un’altra
soluzione al distruttivo petrolio, un
non credere più nella razionalità dell’uomo nel capire il proprio limite.
Ora che il limite è stato raggiunto,
veramente l’umanità sceglierà la
strada dell’autodistruzione? Sarò io
troppo giovane e troppo ottimista per
non voler cedere e sperare piuttosto
in un nuovo tipo di crescita economica, seppur necessariamente diversa
da quella attuale, fatto sta che, a mio
parere, la vera pecca della filosofia di
Latouche è che si tratta appunto di
filosofia, quando invece l’economia,
da cui facciamo dipendere la nostra
sorte, è fatta di numeri e fatti concreti. Se solo bastassero le belle parole
per cambiare il mondo.
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Cronaca
Le stagioni titaniane
Simone del Fabro 2D
“Non ci sono più le mezze stagioni”.
Quante volte abbiamo sentito questa
frase? Sulla Terra tale fenomeno è
dovuto all’inquinamento e al riscaldamento globale del pianeta, ma non
su Titano, la luna più grande di
Saturno. La NASA, infatti, ha scoperto che, negli enormi laghi di metano di questo satellite, si verificano
fenomeni esogeni simili al nostro
scioglimento dei ghiacciai. Questo
non è dovuto a una temperatura anomala della sua atmosfera, ma è del
tutto normale.
Poco tempo fa, la sonda Cassini, in
orbita intorno a Saturno, ha rilevato
dei movimenti paragonabili alle
nostre onde e anche delle bolle di gas
che salgono in superficie. I dati
hanno sconvolto i ricercatori, i quali
sono arrivati alla conclusione che su
Titano ci sono delle stagioni, anche
se con frequenze più dilatate, simili a
quelle terrestri. Il prossimo appuntamento con la primavera titaniana è
previsto per il 2017.
Tutte queste scoperte hanno rivoluzionato il modo di concepire il
Sistema Solare. Infatti, fino a un
secolo fa, si pensava che il pianeta
più simile al nostro fosse Venere, a
causa della sua dimensione paragonabile all'”arancia blu”. In realtà,
Venere è un vero e proprio inferno,
con temperature di 460 °C e piogge
acide: non è proprio il miglior posto
del mondo… anzi, dell’universo.
Invece, dal 2005, da quando su
Titano si posò la sonda Huygens, sappiamo che questa luna ha un clima
simile a quello della Terra primordiale, con la differenza che la nostra
acqua è sostituita dal metano.
vero
amore,
visitare
luoghi
fantastici,…Più tempo passi su internet,
su questi siti web, più la tua concezione
di realtà cambia e pensi che sia quello il
mondo adatto in cui vivere; improvvisamente è lì che ti senti te stesso. È facile
rifugiarsi in un sogno che credi realtà
perché la vera realtà è troppo dura o non
ti piace abbastanza. Molto spesso vorresti scappare dai problemi, dai genitori
che non ti capiscono, dalla scuola troppo
stressante, dagli amici, dagli impegni,…
e quale modo più semplice se non quello
di crearsi un’altra realtà? La tua realtà?
Cambiare. Diventare un’altra persona:
perché lì, in un gioco, puoi essere chiunque tu voglia: puoi essere forte, coraggioso, dolce, romantico, spavaldo o arrogante. Puoi assumere l’aspetto che avresti
sempre voluto avere, ma che sai non
avrai mai; e, anche solo per poco, sei felice. Anche perché, in un mondo come
quello virtuale, basta avere, ad esempio,
una spada per andare ovunque vuoi. Sarà
anche un ambiente virtuale, ma ti senti
più vivo lì che nel mondo delle persone
reali. Così cominci a isolarti, rifiuti la
realtà che sei costretto a vivere e una
sorta di apatia ti accompagna per tutta la
giornata, fino a quando non arrivi a casa
e hai finalmente la possibilità di tornare… a “casa”. Può sembrare un gioco di
parole, ma è quello in cui molte persone
si perdono. Una volta, in un film, il cui
nome adesso non ricordo, sentii queste
parole che mi colpirono molto: ”Ogni
uomo vive condizionato dalle proprie
conoscenze e dai propri giudizi a cui dà il
nome fallace di realtà. Ma le conoscenze
e i giudizi sono cose ambigue. È possibile che la tua realtà sia un miraggio, senza
dubitarne tutti vivono nelle proprie false
convinzioni, non credi?” Forse è vero:
ogni uomo vive nella sua realtà, nel piccolo mondo che si è creato, proteggendolo da chiunque voglia intaccarlo.
Un’eterna illusione. La vita può essere
vista così. E le persone che vivono con
noi? Chi sono? Come conoscerle? Perché
nella tua realtà le persone sono chi vorresti che fossero, ma nella realtà di tutti?
Credo che non ci sia differenza tra il
mondo reale e quello virtuale. Tu non
cambi dentro solo perché cambi fuori e le
persone non sono mai ciò che fanno credere di essere. Quello che si vede, in
fondo, è un mondo virtuale, unico per
ogni uomo. Ma, non ha senso chiedersi
chi siano gli altri, nella realtà: tutto ciò
che possiamo fare è credere in loro e
accettarli per quello che sono, perché
così come noi li conosciamo, le persone
sono in realtà. Perciò, forse, certe volte
bisognerebbe smettere di chiedere, di
domandarsi o anche solo di pensare.
Bisognerebbe fermarsi, guardarsi, accettare ciò che si vede e cominciare… a
vivere
Realtà... o mondo virtuale?
Mariasole Galgliano 3A
Che cos’è la realtà? È ciò che vediamo,
ciò che crediamo o ciò che pensiamo? La
realtà è tutto ciò che esiste effettivamente, di solito contrapposto a ciò che è
immaginario o, a volte, al sogno. Ma se
la realtà è tutto ciò che esiste, allora qualcosa che io credo esista perché lo sento, è
realtà? Da sempre l’uomo si è domandato cosa sia reale, o quanto meno, come
distinguere la realtà dalla fantasia. Nella
filosofia la dicotomia tra verità e apparenza viene da sempre ricercata, e
abbraccia non poche branche di questa
disciplina: la gnoseologia, la metafisica,
l’ontologia etc.Ma parlare della realtà
basandosi sulla filosofia richiederebbe
troppo tempo e in questo articolo non è
mia intenzione fare una lezione di filosofia; quello di cui voglio parlare è il concetto di realtà per noi, ragazzi e ragazze
del XXI secolo.Siamo la generazione dei
telefoni, dei computer, di Facebook,
Instagram e chi più ne ha, più ne metta.
Ma, essendo la generazione di tutte queste tecnologie, talvolta veniamo sopraffatti da esse, tanto da sforare nell’assurdo, perdendo la cognizione del tempo e
non riuscendo più a distinguere la realtà
dal mondo virtuale. Esistono un gran
numero di siti web e di social che ti
danno l’opportunità di fare tutto ciò che
nella realtà non puoi fare: costruire i tuoi
villaggi, combattere battaglie straordinarie contro mostri leggendari, trovare il
C’è la possibilità che Titano ospiti la
vita? Forse essa potrà svilupparsi
quando il Sole si trasformerà in
gigante rossa producendo un calore
così grande da poter dare avvio all’evoluzione. Ma ciò si verificherà tra
cinque miliardi di anni. E io penso
che, per quella data, saremmo tutti
assai liberi da impegni per poter assistere allo spettacolo...
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Chapeau
Ricordo sulle foibe
Dino Pavlovic 4B
Letizia Rigotto 3C
Poco tempo fa, precisamente il 10
febbraio, si è celebrato il giorno
del ricordo, festa nazionale con la
quale si vuole commemorare i
quasi diecimila italiani gettati, vivi
e morti, nelle foibe.
Questa è solo una delle tante stragi
avvenute nel XX secolo e di certo
non una delle più tristemente
famose (basti pensare al genocidio
degli ebrei che avviene sostanzialmente nello stesso periodo), ma
per gli italiani, e più nel particolare per i giuliani, non passa inosservato.
Mentre da una parte i tedeschi
effettuano l'eliminazione sistematica degli ebrei, dall'altra le truppe
del maresciallo Tito si scatenano
contro gli italiani: i destinatari di
queste violenze dovevano essere
originariamente i fascisti, giudicati
"nemici del popolo", ma ben presto
non ci si sofferma più di tanto sull'orientamento politico e si getta
nelle foibe anche donne, anziani e
bambini, indipendentemente dal
partito cui appartengono.
Nel 1945 finisce la guerra, ma non
finiscono le stragi da parte dei titi-
ni che andranno avanti fino al 1947
quando viene fissato il confine tra
Italia e Jugoslavia.
All'annessione dell'Istria e della
Dalmazia, principalmente di popolazione italiana, comincia però una
migrazione che coinvolge trecentocinquantamila persone che si trasformano in esuli e che non vengono accolti bene in Italia: la sinistra
italiana, ideologicamente vicina a
Tito e perciò non interessata ad
affrontare il dramma delle foibe, li
ignora, la classe dirigente democristiana non mostra interesse per i
profughi dalmati considerandoli,
come afferma lo storico Giovanni
Sabbatucci, "cittadini di serie B" e
i neofascisti, poiché ai tempi del
massacro (1943-1945) il territorio
era sotto l'occupazione fascista,
non affrontano la questione.
Questo episodio è dunque stato
ignorato per oltre cinquant'anni e
solo nel 2005 il Parlamento ha
deciso di dedicare una giornata al
ricordo delle migliaia di vittime
infoibate di cui solo una, Graziano
Udovisi, è sopravvissuta.
Nella scorsa assemblea d'istituto
ho assistito all'ennesima riprova
del preoccupante stadio di metastasi civile e politica italiana.
Di fronte a un insulto al valore
delle lotte civili fatte finora, si è
ipocritamente (spero) invocato il
rispetto delle opinioni.
Pensavo che il dibattito sulla contronaturalità dell'omosessualità
fosse finito da un pezzo e nessuno
potesse azzardarsi a riaprirlo con
delle topiche da perfetto cretino
che pesano sulla coscienza pubblica e sul morale di chi, ogni
giorno, soffre il dramma non della
sua condizione (l'omosessualità è
una sessualità come un'altra,
come l'eterosessualità o la castità), ma della condizione di viscerale stupidità dei suoi persecutori.
Chi ha osato dire di rispettare
un'offesa alla sacralità della libertà sessuale o ha invitato a farlo,
ammettendo così che l'omofobia
oggi va ancora rispettata, ha mancato di rispetto, oltre che a me, a
moltissimi omosessuali che di
fronte a ogni discriminazione si
aspettano almeno un po' di solidarietà.
Andate a dire alla madre del
ragazzo istigato a impiccarsi sul
corrimano di una scala che rispettate l' "opinione'' che sta a monte
del bullismo omofobico e dell'inaccettabile discriminazione sessuale di cui era vittima suo figlio.
Io non rispetto l'omofobia, non
rispetto il razzismo, non rispetto
la stupidità di chi vorrebbe sindacare, con chissà quale diritto,
nella vita degli altri.
Voi sì?
Chapeau.
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Giornata della memoria
Emma Rinaldi 4C
Mia nonna è ebrea. La Seconda
Guerra Mondiale l’ha colta di sorpresa quando era ancora una bambina. É
stata perseguitata, separata dalla sua
famiglia, privata della sua identità e
derubata, infine, della sua stessa
madre. Tuttavia ne è uscita illesa,
senza aver provato, almeno non sulla
sua pelle, la dura realtà dei campi di
sterminio.
Fortunata perché la persecuzione è un
ricordo di mia nonna, non mio: per
me, tutto ciò non è “ricordo”, è solamente “passato”. Fortunata, infine,
perché sono passati quasi ottant’anni,
e questo passato non mi fa nemmeno
più paura.
Forse perché la storia studiata a scuola sembra così distante, quasi irreale:
una favola che recitiamo a memoria
davanti ai professori, magari menzionando qualche dato per apparire ai
loro occhi più preparati, come “gli
ebrei sterminati furono più di sei
milioni”.
Guardandola negli occhi, io non
posso fare a meno di pensare a quanto sono fortunata. Fortunata perché
ho imparato il significato della parola
“olocausto” cercandola, banalmente,
sul dizionario. Fortunata perché la
Seconda Guerra Mondiale l’ho conosciuta tramite un libro di storia.
Con quanta superficialità, con quanto
distacco emotivo pronunciamo queste parole: noi non sappiamo cosa
significhino, non siamo in grado di
cogliere la smisurata sofferenza che
si cela dietro a esse. Sei milioni di
vittime sono troppe per figurarcele, è
un numero al di sopra della portata
della nostra immaginazione.
Io e lei non parliamo della Guerra,
probabilmente perché essa è tanto
atroce quanto indescrivibile, ma mi
basta guardarla negli occhi per prendere coscienza del fatto
che io sono al mondo
perché lei ha saputo
farsi coraggio e resistere. Io sono qui perché
lei, giovane e innocente, non si è fatta sopraffare dagli orrori di una
guerra
massacrante,
non si è fatta abbattere
da quel sistema che la
accusava e riteneva colpevole del semplice
fatto di essere ebrea.
“Hanno
dimostrato per tutti
i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e
di pazzia giacciano latenti
nell'uomo dopo millenni di
vita civile, e questa è opera
demoniaca”
Primo Levi
Ma io non mi farò ingannare da un
libro di storia freddo e distaccato,
perché la vera Storia non è scritta lì,
letteralmente appiattita, spogliata,
sepolta, schiacciata tra mille altri
eventi e date. La vera Storia è scritta,
o meglio impressa, indelebilmente
negli occhi e nel cuore di mia nonna.
Io mi sento in dovere di dare un senso
agli orrori che quegli occhi hanno
visto e alle sofferenze che quel cuore
ha provato.
“Ditemi: dov’era Dio ad
Auschwitz? La risposta: e
l’uomo dov’era?”
William Clark Styron
In che modo? Comincerò con il non
dimenticare. Io mi immagino l’olocausto come una ferita profonda e
inguaribile, una ferita che non si cicatrizzerà mai del tutto, una ferita che
mia nonna recherà per
sempre con sé nel suo
cuore, che io conserverò nel mio e che tutta
l’umanità dovrebbe portarsi appresso come triste eredità di un passato
che ci fa tanto vergognare, segno indelebile
di un pezzo di storia che
brucia e che ci trascineremo dietro come un
peso e come una colpa
comune, che possiamo
espiare solo ricordando e ricordando
ancora. Possiamo sì cercare di seppellire sotto un mucchio di distrazioni questo terribile dolore, ma esso
ritornerà incessante per ricordarci di
cosa è stato capace l’uomo. É proprio
quello che meritiamo e il giusto stimolo a non dimenticare mai.
Cara nonna, non scorderò mai i tuoi
occhi. Ti sarò eternamente grata per
aver resistito e avermi donato in questo modo la vita. Tu mi lasci un’eredità scomoda, perché inevitabilmente
si tramuta in doloroso senso di colpa:
sono troppo fortunata, non mi merito
l’agio e la spensieratezza in mezzo ai
quali vivo. Poi mi ricordo che tu, con
la tua sofferenza, me li hai garantiti.
Mi hai donato la pace e l’orgoglio: la
pace di un mondo più buono e l’orgoglio di avere una nonna come te.
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Sofia Giunta 5D
È da pochi giorni trascorsa la
Giornata della Memoria, quel 27
Gennaio che ogni anno ci riporta
sotto gli occhi il tragico genocidio
ebraico, con un’onda d’urto spesso
difficile da contenere, un risveglio
della coscienza che per un giorno fa
sì che il nostro sentirci europei, e italiani, sia calato del tutto all’interno di
un capitolo assolutamente drammatico e brutale della storia.
L’insensatezza e la vastità del consenso scaturiti da un’idea simile - l’idea dello sterminio di un popolo intero - ci mettono di fronte ogni anno ad
un ribrezzo comune, una condanna
netta e senza tentennamenti che nasce
dal cuore, dal senso di umanità di
tutti noi e che ci fa riflettere su quanto accaduto.
“La luna correva fra le
nubi; non c'erano più le
cose, non c'erano più gli
uomini, ma solo il lamento degli uomini”
Mario Rigoni Stern
Per un giorno, continuiamo a ribadire
quel concetto di distanza che speriamo di mettere tra noi e “loro”, i generali senza scrupoli come Adolf
Eichmann, principale artefice della
“soluzione finale” pianificata con un
razionalità di ghiaccio agli inizi del
’42. Ma è sufficiente un giorno per
renderci davvero conto delle proporzioni della spietatezza umana? È sufficiente spogliare della loro umanità e
condannare per un giorno come
“mostri” quegli uomini, quelle donne
che, in quanto esecutori materiali del
massacro più vasto della storia, per
noi “uomini” e “donne” non sono?
Per molti la risposta è un no, convinto, e questo pare assolutamente natu-
rale e comunemente accettato: la
risposta è no perché il ricordare
dev’essere una scelta quotidiana, da
rinnovare ogni giorno. La nostra
coscienza non può accontentarsi di
celebrare la Giornata della Memoria.
Deve invece cercare di indagare il più
possibile, conoscere e poi tramandare
un ricordo non sterile di quei terribili
eventi, diventando così portatrice
attiva della memoria storica. Se è
vero che tutte le nostre esperienze
quotidiane sono intrise di storia, allora si tratta di un processo senza il
quale non possiamo andare avanti:
l’unico modo per dare un vero significato a quello che facciamo è conoscere e dare senso a ciò che c’è stato
prima, e dobbiamo farlo con interesse, perché siamo noi a desiderarlo, e
non delle scadenze fisse, non delle
date sul calendario.
Ma c’è un ulteriore fattore da tenere
presente, spesso dato per scontato. La
Storia, è vero, è nostra “maestra di
vita”, ma non possiamo accontentarci
di trasmettere a chi verrà in futuro
l’importanza che ad essa attribuiamo,
se non riusciamo a calarla nel presente. Il passo più difficile da compiere è
vivere con credibilità il nostro tempo,
con gli strumenti che la storia ci ha
dato. Deve maturare una sorta di
nuova sensibilità nei confronti del
mondo che ci circonda, a cui spesso
tendiamo a non dare ascolto. È solo
grazie all’informazione, all’approfondimento, alla cura del nostro
bagaglio culturale che saremo in
grado – in maniera efficace, questa
volta – di parlare di Storia e capirne
davvero il significato. Capire in che
società e in che tempo viviamo, è un
favore che dobbiamo in primo luogo
a noi stessi e poi agli altri. Soprattutto
alla luce dei fatti di sangue che ogni
giorno occupano le prime pagine dei
nostri quotidiani,
alla luce della complessità di un
mondo che si sta sempre più radicalizzando, dove l’individuo è troppo
spesso vittima del pensiero di altri,
dobbiamo essere testimoni attenti e
spiriti critici. Spesso si sente dire che
la colpa di quanto accadde in
Germania fu in gran parte attribuibile
a quelle migliaia di tedeschi che si
lasciarono plasmare dalle idee deviate di un solo uomo, e che non si opposero e non espressero il loro dissenso
di fronte ad esse. Oggi, abbiamo gli
strumenti per dissociarci di molto da
quell’apatia in parte colpevole.
Il genocidio ebraico è ancora una
ferita aperta nella storia mondiale
perché fa male ad ognuno di noi
sapere che l’uomo è stato capace di
un tale livello di atrocità. Ma, se
sapremo leggere con le giuste chiavi
interpretative e i giusti scrupoli morali i singoli avvenimenti che si susseguono, giorno dopo giorno, attorno a
noi, allora l’Olocausto sarà finalmente ricordato in maniera più significativa e profonda, e noi avremo la certezza una volta per tutte che bestialità del genere non si ripetano mai più.
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Cronaca
Scusi, ha da spegnere?
Filippo Cerchio 3D
Carissime fumatrici, carissimi fumatori, ma anche comuni individui dai
polmoni illesi,e' mia intenzione quest'oggi parlare a quanti di voi non ne
fossero ancora al corrente di un neonato provvedimento, presentato nel
decreto n. 221 del 28 dicembre 2015
(“Disposizioni in materia
ambientale per promuovere misure di
green economy e per il contenimento
dell'uso eccessivo di risorse naturali”) e pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale in data 18 gennaio 2016, ma
effettivamente vigente a partire dal 2
febbraio dell'anno corrente.
Questa porzione di decreto
che, come potete ben intuire
dall'apostrofe iniziale, vi
tange direttamente, consiste
nel divieto di gettare al
suolo rifiuti di varia tipologia (carte, cartine, biglietti,
gomme da masticare, ecc.
ma soprattutto mozziconi di
sigaretta, dato che di questo
si tratterà particolarmente,
al solo scopo di rendere
paradigmatica anche per gli
altri tipi di consumo “usa e getta” la
situazione di una “categoria” sociale
colpita dal divieto, che è quella dei
fumatori). Di primo acchito, cosa si
potrebbe trovare di errato in tale
provvedimento? E' una normativa
corretta, legittima, anzi necessaria,
che tiene conto del fatto che l'ambiente che ci circonda debba essere
tutelato dalla barbarie, anche se involontaria, ingenua e sicuramente in
buona fede, dei passanti che, con piccoli oggetti, rifiuti e quant'altro, contribuiscono incessantemente a determinarne il degrado (e con questo non
voglio colpevolizzare nessuno in particolare). Ragionandoci un po' sopra,
però, credo non sia particolarmente
difficile carpire la tenera follia alla
base di questo divieto: a rigore di
logica, quale individuo, magari con
esperienza di tabagismo pluriennale
che gli ha mentalmente consolidato
una piccola, insignificante ma terribilmente inestinguibile abitudine nel
gettare a terra i mozziconi delle sigarette, credete che percepisca questo
divieto come un effettivo impedimento al suo gesto ormai automatico?
La situazione, dal mio punto di vista,
non si modifica sostanzialmente, poiché se prima i fumatori (o almeno la
maggior parte di essi) erano soliti
gettare i residui delle loro sigarette
per terra senza curarsi di possibili o
reali osservatori, ora basterà loro scegliere il momento in cui gettare la
sigaretta per terra, dopo essersi accertati che non vi sia intorno a loro una
pattuglia che possa fermarli e punirli
secondo legge; sarebbe anche consigliabile che, nel momento della caduta del mozzicone dalle dita del fumatore al tocco del suolo, il suddetto
consumatore di tabacco si curasse di
non essere visto proprio da nessuno,
evitando così la possibilità di imbattersi in un convinto e logorroico
ambientalista che potrebbe finirlo
con discorsi tanto legittimi quanto
stancanti.
Con questo non ritengo assolutamente corretto ogni atteggiamento che
infranga le norme vigenti, e non
intendo incoraggiare nessuno a compiere tali gesti. E' una banale constatazione: i costumi (che
in questo caso sono quotidiane abitudini) sono più forti delle leggi.
Sarebbe sicuramente magnifico che,
tramite il decreto, lo Stato riuscisse a
generare nella coscienza di ogni cittadino un senso civico tale da rivolgere la sua attenzione anche ai problemi ambientali; il motivo scatenante, quello del problema dell'inquinamento stradale, e il fine per cui questa norma è stata approvata, ovvero la
sensibilizzazione in merito al problema e anche la sua soluzione relativa
ad un ambito particolare, sono nobili
e degni di rispetto; ma, come
già spiegato, credo che la pigrizia insita quasi geneticamente
nella natura umana non permetterà a questo divieto di attecchire omogeneamente fra la popolazione. Si potrebbe tranquillamente obiettare: “Ma anche per
reati più gravi esistono norme
che li proibiscano, eppure una
parte di popolazione, esigua ma
presente, continua a commetterli.” Anche questo è vero, ma
in questo caso si tratta di un
reato minimo, pur sempre reato, ma
punibile con una multa dai 30,00 € ai
150,00 € e, è giusto dirlo, con un po'd'attenzione non si dovrebbe correre
alcun rischio.
Da fumatore, cercherò di attenermi
rigidamente a quanto deciso e, da cittadino, ribadisco i miei elogi all'intenzione della legge, che ritengo validissima, elogi accompagnati, però, da
fortissimidubbi.
Continueremo ad assecondare ingenuamente le nostre solide abitudini o
ci sforzeremo, per quanto il nostro
essere pigri possa frenarci, di cercare
un posacenere o un cestino nelle vicinanze, fosse solamente per sentirci
cittadini migliori e rispettosi?
Le incertezze sono molte: non ci
resta che seguire amorevolmente la
convalescenza di questo giusto,
importante e ingenuo decreto.
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Parità di genere solo sulla carta
Alessia Forte 3A
6 milioni 788 mila. Questo
sarebbe in Italia il numero
di donne che hanno subito
nel corso della loro vita
una violenza fisica o sessuale, stando ai dati Istat
risalenti a giugno 2015.
Per non parlare dei drammatici dati raccolti nel
Terzo Rapporto Eures sul
femminicidio in Italia, i
quali attestano che durante
il 2014 sono state uccise
117 donne in ambito familiare, su un totale di 152
vittime feminili.
Nonostante il fenomeno
dei femminicidi e delle violenze sulle
donne siano stati, negli ultimi anni, al
centro della cronaca, ci si ostina
ancora a sostenere che nella società e
nel Paese in cui viviamo la parità dei
sessi sia stata raggiunta, senza renderci conto che ciò è vero solamente
dal punto di vista legislativo. Per
smontare queste congetture basta
riflettere sul fatto che sia stato necessario, nel 2001, creare una nuova
parola nella lingua italiana per descrivere una particolare tipologia di omicidio compiuto, per una particolare e
specifica causa, nei confronti di una
donna . La parola femminicidio infatti non indica la semplice uccisione di
una donna, fatto per il quale si usa il
termine generico omicidio; bensì
indica l’uccisione di una donna il cui
movente risiede nel sesso della vittima, nel suo essere dunque femmina.
Nella maggior parte dei casi, l’uomo
che compie questo delitto è un componente della sfera familiare della
vittima, un ex o uno spasimante, il
quale si sente legittimato a compiere
un atto simile per via della sua presunta superiorità in quanto maschio.
Gli uomini che si macchiano di questi delitti il più delle volte agiscono
per gelosia, in seguito alla fine di un
amore, oppure perpetrano costante-
mente violenze sulla propria moglie o
compagna, come per ribadire una
volta in più chi comanda, chi fra i due
ha potere decisionale all’interno della
coppia o del nucleo familiare, come
se i rapporti amorosi si basassero su
un’assurda forma di gerarchia.
Queste donne il più delle volte non
hanno il coraggio di ribellarsi e sporgere denuncia non solo per timore
delle conseguenze, ma anche per vergogna, scarsa considerazione della
gravità della loro situazione e per
paura che la relazione finisca.
Quest’ultima causa potrebbe sembrare apparentemente insensata, ma per
le donne che si trovano a dover
affrontare la scelta fra il porre fine
alla relazione, e dunque alle violenze
stesse, e il mantenere lo stato di equilibrio in cui si trovano (una casa, dei
figli, un matrimonio,…), seppur questo comporti per loro dei maltrattamenti, spesso si rivela migliore la
seconda scelta in quanto la prima
causerebbe loro un maggiore investimento psichico. Accettano dunque
una vita, se così si può definire, priva
di qualsiasi libertà e diritti, come se
fossero possesso dell’uomo.
Nemmeno in ambito lavorativo la
situazione è delle migliori: maschi e
femmine hanno sulla carta gli stessi
diritti, ma nella pratica il gap salaria-
le tra uomini e donne in
molti Paesi rappresenta
un dato di fatto; ne è un
esempio l’Italia, in cui il
divario raggiunge circa il
7%. Inoltre, ancora oggi,
molti lavori vengono
considerati appannaggio
delle donne o viceversa,
ed è possibile notare
come, all’aumentare del
prestigio di un impiego,
diminuisca il numero di
donne che lo svolgono.
Un altro problema che
molte donne si trovano a
dover affrontare una volta
entrate nel mondo del
lavoro è senza dubbio l’eventuale
desiderio di costituire una famiglia.
Ormai molti datori di lavoro si preoccupano più di capire se hanno davanti una giovane donna intenzionata ad
avere bambini, fatto che le obbligherebbe ad andare in maternità, invece
di prestare attenzione al suo curriculum. Preferiscono dunque assumere
donne più anziane oppure uomini.
Altre volte invece le dipendenti, al
rientro dal periodo di maternità, si
vedono spinte in tutti i modi da aziende e capi a rassegnare le proprie
dimissioni.
Le leggi che tutelino la parità dei
sessi esistono e non lo si può negare.
I problemi principali sono altrove,
per esempio nell’educazione impartita ai bambini e alla mentalità che li si
porta a sviluppare, poiché saranno
loro in futuro i componenti della
società. Un piccolo passo per migliorare la situazione sarebbe insegnare
ai bambini fin da piccoli a rispettare
le femmine non perché, appunto,
femmine, non perché appartenenti al
cosiddetto “sesso debole”. Bisogna
far capire loro che si devono rispettare le femmine per il semplice fatto
che sono delle persone esattamente
come i maschi, e dunque spettano
loro gli stessi diritti.
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Scuola
Lettera aperta ad un compagno di classe
Veronica Cojaniz 2A
Premetto di non avere argomentazioni concrete, nel senso di dati oggettivi, per convincerti a non iscriverti in
un’altra scuola; al contrario, ti propongo una mia personale prospettiva,
che ritengo valida e che spero ti
possa far cambiare idea.
Se mi chiedi perché ho scelto questa
scuola, ti rispondo: “Ho percepito la
bellezza”. Ricordo di essere entrata
in un giorno di Scuola aperta, aver
visto la scalinata principale dell’atrio
ed esserne rimasta incantata; subito
dopo mi sono rivolta a mia madre che
mi aveva accompagnato e le ho detto:
“questa è la mia scuola”. Come vedi,
non c’è stato nessun fattore razionale
nella mia scelta, ma è proprio questo
che mi ha garantito che non me ne
sarei pentita, perché ciò che è originale e spontaneo sicuramente non ha
subìto influenze, perciò è assai attendibile.
Benché questa scuola sia per me
quasi un tempio e un punto di riferimento fondamentale, posso capire
perché tu sia tentato di andartene, dal
momento che anch’io – come credo
ogni studente dello Stellini – ho
incontrato molte difficoltà. Le mie
principali paure prima di cominciare
qui le superiori erano la mancanza di
tempo e la conseguente assenza di
vita sociale (questa seconda, provocata dalle diffuse dicerie).
Non nego che per “sopravvivere”
nella nostra scuola si debba dedicare
molto tempo allo studio, ma ciò – con
una minima capacità organizzativa e
forza di volontà – non diviene un
ostacolo né alla pratica di altre attività (in un numero limitato, ovviamente) né, tantomeno, al mantenimento
di relazioni sociali, e questo lo posso
dire con certezza, basandomi sulla
mia esperienza, e anche tu – credo –
potrai confermarlo.
Una seconda motivazione – probabilmente la principale – che forse ti ha
spinto a pensare di cambiare scuola è
la faticosa e costante applicazione
allo studio: qui ritengo stia il nocciolo della questione; questi elementi
però, caro amico, non possono neppure sostenere il confronto con ciò
che essi stessi fanno raggiungere: una
capacità di pensiero e di comprensione e analisi della realtà elevatissima,
un padronanza del lessico e una capacità di gestione delle situazioni che
nessun altro Istituto può garantirti. In
particolare, io percepisco un quotidiano arricchimento personale, spirituale, e a questo proposito cito
Ovidio, uno dei molti testimoni dell’importanza di una formazione classico-umanistica:
«Costruisci per tempo uno spirito che
duri a sostegno della bellezza:
è l’unica dote che permane fino
all’ultimo giorno di vita.
Metti ogni cura a coltivare il tuo
animo con le nobili arti
e impara a fondo le due lingue dell’impero».
Non c’è nulla, nulla che abbia più
valore e che sia più eterno. Sono consapevole di non essere una fonte
completamente attendibile, ma, come
sai, grandi uomini di tutti i tempi
hanno compreso l’importanza dei
nostri studi al punto da fare della propria vita un’opera in loro onore: non
sarà mica un caso, né parole dette
superficialmente!
Così voglio confutare anche un’altra
opinione diffusa: gli studenti dei licei
classici – una volta usciti dall’università – hanno poche probabilità di trovare un lavoro, “non hanno un futuro”. A parte il fatto che non è vero
(per lo più la nostra scuola non esclude indirizzi di tipo scientificomatematico), questo tipo di affermazioni mi sembra alquanto limitato e
limitante: con futuro, intendiamo
unicamente trovare un lavoro?
No, io credo che prima di tutto sia il
tipo di persona che ognuno di noi
vuole diventare, ciò che si vuole
donare al mondo e il segno che vi si
vuole lasciare: non c’è futuro senza
ambizioni, e il liceo classico è sicuramente la scuola che più ti dà la possibilità di permettertele; neppure esiste
un futuro senza passato, ed è per questo che ci dedichiamo così tanto allo
studio della storia e delle lingue antiche.
Infine, concordo con Roberto
Vecchioni nel ritenere che «Non si
vive solo di utile», e se comprenderai
questo concetto non avrai più alcuna
incertezza.
La bellezza è la chiave di tutto ciò
che ci circonda, non c’è nulla che
conta di più, insieme alla passione
per la vita; ti chiedo quindi di avere
un minimo di fede nelle mie parole e
in quelle di uomini brillanti che si
sono conquistati l’immortalità credendo alle parole e agli insegnamenti dei loro avi.
A volte mi sorge il dubbio che ogni
cosa sia vacua, che in fondo l’arte, la
filosofia e, in generale, la cultura,
non abbiano alcun significato, quindi
mi chiedo: perché affannarsi tanto?
Ma, a mente più lucida, penso che
non dovrei neanche ipotizzarlo, poiché è un’offesa all’umanità intera!
Perché vedi, è il nostro patrimonio, la
sola cosa che realmente abbiamo e
che rimane, l’unica vera forza dell’uomo. È questo che mi ha insegnato la mia scuola e il motivo per cui le
sono oltremodo grata: mi ha fatto
apprendere il valore della bellezza,
che sta pure in ciò che studi… Come
disse Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo»!
Anche nei momenti in cui maledico
proprio il luogo che sto ora elogiando
perché mi ha inoltrato nel profondo e
infinito abisso della realtà dove naufrago, mi rincuora il fatto che ogni
mattina, quando entro in queste
mura, so che mi aspettano ore di
scuola di vita che contribuiranno a
costruire, mattone dopo mattone,
quella magnifica cattedrale che
diverrà la mia anima.
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Recensioni
Il figlio di Saul
Elena Magnani 5F
Era inevitabile che il cinema si confrontasse con l'Olocausto.Il più tragico crimine di massa della storia
moderna e il più potente mezzo per
raccontarlo: il primo per definizione inespressibile, irrappresentabile nella grandezza
del suo orrore ancora fresco;
il secondo un linguaggio di
natura popolare, volto cioè ai
grandi numeri, al consenso
del grande pubblico, che gli
dà la vita ma ne riduce anche
le possibilità. Dunque non
solo la necessità del cinema
di trovare le parole per raccontare la Shoah, ma anche di
riuscire a raccontarla a tutti,
di venderla al maggior
numero possibile di spettatori. Era una sfida ambiziosa
ma necessaria, perchè se è
vero che il cinema racconta la
nostra vita, allora l'Olocausto
era un capitolo imprescindibile. E in molti ci hanno provato, con risultati a volte
potenti, a volte edulcorati, a
volte pietistici o esageratamente spettacolarizzanti, ma
tutti sempre einevitabilmente
impantanati nella questione
morale del cinema che si
misura con laStoria: quanto è
giusto dire? Quanto è rispettoso mostrare? Alla fine
siamo arrivati al paradosso, cioè al
cinema della Shoah come cinema di
genere, con i suoi topoi e le sue
costanti il pigiama a righe, e i bambini innocenti, e il campo lungo sulle
recinzioni di filo spinato il repertorio
insomma da cui attingiamo a man
bassa per le assemblee di istituto.
Come se una storia valesse
l'altra.Làszlò Nemes non vuole cadere in questa sorta di dimenticatoio
cinematografico, e sceglie una strada
ancora mai battuta per Il figlio di
Saul. Una strada ancora mai battuta,
sì, ma con una precisazione: de Il
figlio di Saul la critica ha parlato
finora come di un'operazione spregiudicata, ma l'innovazione di Nemes
non è per forza un azzardo. Anzi,
forse la sua è la meno coraggiosa
delle scelte, sicuramente la più semplice.
Il cinema precedente, fatto di eccessi di melodramma, di moralismo, di
immagini, ha fallito: così Nemes sceglie di fare un film crudo e di poche
parole.
E se la Shoah è irrappresentabile, lui
decide di non rappresentarla, di
lasciarla letteralmente sfocata al margine della scena, che non a caso è in
3:4, il vecchio formato quasi quadrato che lascia allo schermo solo i
primi piani. Ne Il figlio di Saul la
videocamera non si stacca mai dal
collo del protagonista Saul- dal suo
viso, dai suoi occhi, perchè questo
non è il racconto corale dei campi di
sterminio, ma quello di un uomo solo
e della sua solitudine. Saul Auslander
è un ebreo ungherese che
fa
parte
del
Sonderkommando,
la
squadra di prigionieri che
assiste i nazisti nello sterminio, svolgendone la
bassa manovalanza. Un
giorno, mentre sta ripulendo il pavimento di una
camera a gas, vede un
medico soffocare a forza
un ragazzino fortuitamente
sopravvissuto. Saul, dicendo che il ragazzo è suo
figlio, ottiene di rimandarne l'autopsia e inizia un'ossessiva ricerca di un rabbino per
dare sepoltura al corpo.
Il figlio di Saul è l'incubo
di un uomo già morto,
sballottato per il campo
come in balia della marea,
costretto ad assistere a sofferenze atroci e spesso gratuitamente insensate senza
battere ciglio, ma incapace,
di fronte al fallimento della
vita, di credere nel fallimento anche della morte, e
perciò deciso ad ogni costo
a dare sepoltura al ragazzo
figlio suo come figlio di tutti e con
lui alla parte migliore di sè stesso. Il
suo è un dramma intimo e personale;
e l'orrore, la riflessione e la colpa
quelli universali, quelli che la Storia
ci ha caricato sulle spalle. Saul li
lascia inespressi e tutti per noi, da
portarci a casa alla fine del film per
farci i conti da soli. Quella di Nemes,
seppure la più semplice e forse la
meno coraggiosa, è una scelta vincente, perchè fa de Il figlio di Saul un
film responsabile, un film onesto
girato per amore della verità e per
amore del cinema: e lo fa senza dire
una parola.
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Terza pagina
Dipendenza
Biagio Sartori 3C
Quella sera Joe stava passeggiando lungo
il quartiere dove abitava. Il sole era tramontato da un pezzo ed era stato rallentato da alcuni scontri per i diritti degli
omosessuali. Camminava con lo sguardo
basso, tenendo la testa fra le nuvole e
sbuffando spesso. Era particolarmente
stanco e, mani in tasca, calciava via i sassolini ai lati della strada. Sapeva che
appena sarebbe tornato a casa si sarebbe
preso una bella ramanzina da sua madre.
L'aveva persino obbligato ad aiutare, il
giorno seguente, un vecchio che abitava
dall'altra parte del quartiere. Il ragazzo
non sapeva che affari avesse con lei quel
burbero pianista in pensione. A Joe facevano solo comodo i soldi che gli avrebbe
dato, visto che, benché in casa non mancassero, nessuno gliene prestava mai
molti. Gli piaceva soltanto vestirsi come
voleva, fare quello che gli piaceva, ascoltare musica e leggere qualsiasi libro lo
emozionasse. Si divertiva come tutti gli
altri coetanei, seguiva la sua squadra del
cuore e andava in palestra. Però, persino
se si scopriva innamorato, sapeva che per
la maggior parte del suo tempo rimaneva
un egoista. Dava fin troppo peso a questo
problema e spesso perdeva ore intere a
pensarci su. Non era però il momento
opportuno, quindi accelerò il passo.
Quando rincasò la madre lo rimproverò.
Inoltre, come se non bastassero i grilli a
tormentarlo, quella dannata notte a qualcuno venne la magnifica idea di farsi
venire un infarto alle tre del mattino. Da
quando passò l'ambulanza con le sirene
che fendevano l'aria Joe non s'addormentò più. Fissò per il resto della notte il
cielo fuori dalla finestra e il buio delle
sue palpebre, senza però mai assopirsi. Il
giorno seguente, lasciati i libri a casa, si
recò nel primo pomeriggio dove abitava
Patrick O'Bell, il vecchio che avrebbe
dovuto aiutare in qualche faccenda, probabilmente riguardo alla casa. Il muretto
del giardino dell'anziano appariva infatti
bisognoso di una riverniciata e Joe temeva che quella sarebbe stata la sua occupazione fino a sera. Suonò il campanello
d'ottone levigato e O'Bell aprì l'uscio che
dava sul vialetto che attraversava il prato.
"Buongiorno signore!"
"Salve ragazzo, sei tu Joe? Beh, se sei tu
vieni subito qua, hai molte cose da fare
oggi." Patrick era un uomo sulla settantina, asciutto, completamente grigio di
capelli, alto tanto quanto basta per arriva-
re a prendere un barattolo dall'ultimo
scaffale di una dispensa. Fissava tutti con
i suoi occhi verdi e, tenendo sempre le
braccia incrociate, parlava con una voce
che in gioventù doveva essere stata quella di un discreto cantante. Egli aveva
prima combattuto in guerra e poi, tornato
nel suo paese, aveva intrapreso la carriera di pianista. Era finito però per sposarsi con una donna bellissima, secondo
quanto dicevano, e diventare insegnante
di musica. Quando Joe entrò vide delle
foto attaccate ai muri: alcune della
moglie, morta probabilmente pochi anni
prima, altre dei figli, che avevano ormai
le loro famiglie.
Il vecchio diede al ragazzo i barattoli di
vernice, i pennelli e una pacca sulla spalla. Sbuffando per aver indovinato cosa lo
avrebbe aspettato, Joe si mise al lavoro.
Per diverse ore spese le sue energie nello
stendere il colore sul muretto. Per tutto
quel tempo non vide mai il pianista che
se ne stava in casa all'ombra, probabilmente a bersi una birra fredda, e che
verso sera eseguì una sonata di Schubert.
Terminato il lavoro, Joe entrò nella piccola cucina.
"Vieni qui, dovrò pur pagarti" lo chiamò
la voce del vecchio dalla stanza a fianco.
Questa era riempita da alcuni scaffali
riempiti con libri, sopra i quali la polvere
ormai era diventata tanto compatta da
farli sembrare scampati da un incendio,
un vecchio tappeto sfilacciato sul pavimento in legno e un elegante e lucido
pianoforte a mezza coda che occupava
tutta stanza. Lì si poteva sentire la vera
essenza del padrone di casa. Joe si sentì
davvero piccolo.
"Ti ho guardato, mentre lavoravi, oggi."
esordì Patrick.
"E cosa gliene importa a lei di come
lavoro?" rispose il ragazzo, stupito da
quella confidenza.
"Nulla, solo che mi ricordi com'ero io
molti anni fa. So che mi reputi soltanto
un vecchio che deve mettersi a letto e
decidersi a tirare le gambe. Quello che ti
dico non è il discorso sconclusionato di
un matto appollaiato sulla sua vecchiaia
che vuole darti consigli a buon mercato.
Voglio soltanto dirti di vivere sulle tue
gambe e non fra i meandri della tua testa.
Non servono a nulla. Cerca le grandi
esperienze, ma ugualmente accetta la
realtà e dà tutto te stesso in ogni cosa."
"Ma lei che cosa vuole da me? Perché mi
sta dicendo queste cose? "
"Quando passi molto tempo a cercare di
capire come vive la gente, riconosci al
volo quello che ha la testa piena perché
mentre lavora, invece di cantare, fissa lo
sguardo e annega nel pensiero. Hai ragione a dire che la vita senza pensare non ha
senso, ma attento a non perderti. Così
come, al contrario, non devi smarrirti
nelle distrazioni. Ricorda: il dubbio è
ristagno."
"Lo so" disse Joe turbato. "Mi dà i
soldi?"
"Tieni"
Il vecchio tirò fuori una banconota da
dieci. Joe per poco non si strappò per la
rabbia la ciocca di capelli che si stava
nervosamente attorcigliando.
"Cosa? Solo dieci? Ho lavorato cinque
ore!"
"Ti posso dare solo questo. Ricorda quello che ti ho detto, buona serata."
Joe non aveva il coraggio di mettersi a
insultarlo in quel luogo che pareva quasi
sacro. Uscì dalla porta di casa ripromettendosi che con i lavori per i vecchi
aveva chiuso. Tornando a casa rifletté
bene su quello che si era sentito dire.
Effettivamente Patrick O'Bell non sbagliava. Quando entrò in casa si sentiva
già diverso. Per la prima volta parlò a sua
madre guardandola davvero in faccia
mentre cenavano. Non avevano mai parlato così.
Per diversi giorni fu come spaurito, privato del suo involucro impenetrabile di
pensiero. Poi, lentamente, iniziò a lasciare che la vita gli apparisse davanti senza
che lui abbassasse gli occhi. Raccolse
tutto il coraggio sprecato nel risolvere i
problemi che si era creato nella propria
testa.
Dopo qualche mese Joe era cambiato. Da
quella sera non aveva trovato se stesso o
altre cose di cui molti scrivono vagamente. Era solamente uscito dal bozzolo che
lo confinava e lo aveva usato per spingersi come una farfalla al primo balzo. Non
aveva più parlato con Patrick ma non ne
sentiva il bisogno. Aveva già ascoltato
tutto quello che gli serviva.
Un giorno, mentre stava tornando a casa,
passò davanti a un bar dal quale stavano
portando via, a giudicare dalle urla, un
anziano malato compulsivo di gioco
d'azzardo. Ecco dov'erano finiti tutti i
soldi che Patrick avrebbe dovuto dargli.
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Terza pagina
Il ragazzo, la strada, il vecchio
Giuseppe Beltrame 3C
Spesso mi fermo in mezzo alla strada,
tra le vie della mia città, e guardo.
Guardo la vita che mi scorre davanti,
che gioca, che si rincorre davanti ai
miei occhi. Uomini e donne, indaffarati, indifferenti, neanche si guardano
intorno, con la valigetta o la tracolla,
camminano dritti, spediti, passo veloce, passo di marcia, passo di chi non
arriverà mai. Non ho neanche il tempo
di osservare, di ragionare sul volto, l’espressione, che son già scomparsi, perduti dietro ai loro troppi impegni. Per
la strada poi corron bambini che giocano, guardano il mondo come fosse la
prima volta, osservano i colori, la luce.
Son curiosi, affamati di scoprire, sordi
ai richiami dei genitori, ti guardano
con quel loro sorriso fugace ma tenero,
quasi delicato, poi scappano, felici,
spensierati. Spesso il mio sguardo si
posa, però, su alcune figure, procedono
lente, si guardano intorno, ogni tanto si
fermano, poi riprendono. Anziani,
logorati dall’età, che continuano ad
avanzare, a camminare nella vita. Ho
tutto il tempo di osservarli e mi scopro
sempre incuriosito da questi capienti
vasi di esperienze, di avventure, di sto-
rie. Spesso si accorgono di me, mi
guardano, guardano per primi gli
occhi, quasi tutti, dal primo sguardo
capiscono molto. Ti osservano per
qualche istante, poi “ciao, cosa fai?”.
Lì comincia tutto, loro spesso non
aspettano altro. Dimenticati da amici e
parenti, in quel “cosa fai?” c’è ancora
tutta la curiosità, tutta la voglia di vivere, di uno che non si rassegna, di uno
che ha ancora tanto da dire. Io rispondo, educato, lì per lì un po’ stupito, ma
poi pian piano comincio a parlare e a
scoprire un mondo diverso dal mio, dal
nostro, un mondo antico ma non vecchio, duro ma affascinante, un mondo
da molti dimenticato, un mondo di
lavoro, il Friuli degli anni ’40, il Friuli
dei friulani e del friulano, il Friuli di
une volte, i friulani che, nel bene e nel
male, hanno dato tanto a questa nostra
magnifica terra. Queste anziane figure
non desiderano altro che continuare a
raccontare, a chiedere, a conoscere. Io
ne sono sempre compiaciuto, potrei
parlare per ore, non si sente la differenza di età, anzi, spesso è un vantaggio. I
problemi che si pone la nostra società,
orgogliosa e senza memoria, sono
spesso una barriera insormontabile, ma
basta una strada, un ragazzo con un po’
di tempo, tra una versione e l’altra, che
si ferma e guarda. Guarda un mondo
che continua, grazie a qualcuno che
l’ha migliorato, qualcuno che spesso
dimentichiamo, qualcuno che non
aspetta altro che chiederti quel “cosa
fai?”, domanda che sa di vita a tutte le
età. Siamo noi, noi giovani, noi futuro,
noi speranza, che dobbiamo accorgerci
di quel vecchio che passa, dobbiamo
tendere la mano e ascoltare, quell’ascoltare che oggi è dimenticato in un
mondo in cui tutti vogliono soltanto
dire la loro. Noi siamo stati quei bambini spensierati e saremo quegli uomini attempati, ma un giorno saremo quel
pedone tranquillo, che ogni tanto si
ferma e poi riprende lento, risoluto su
quella strada. Quel vecchio è la storia,
storia che fa parte della nostra terra,
delle nostre radici, della nostra vita.
Poi mi mi accorgo che è tardi, saluto
l’anziano, gli stringo la mano, vado
verso la stazione, torno a casa, sempre
pronto a fermarmi di nuovo, a guardare la vita, ad ascoltarla, carezzarla,
viverla.
che era costretta a prendere, la vera
“cura” che la teneva lontana da esaurimenti nervosi, crisi depressive e forti
sbalzi d'umore, che la perseguitarono
tutta la vita. Riempiva, infatti, le lunghe e frenetiche giornate di parole tracciate sulla carta: le lettere, il diario,
l’attività critica, i romanzi, i saggi e,
per l’appunto, i racconti brevi. “Perché
una volta che il male di leggere si è
impadronito dell'organismo, lo indebolisce tanto da farne facile preda dell'altro flagello, che si annida nel calamaio
e che suppura nella penna.” (Orlando)
tà e figure retoriche, pensieri che,
come fanno i colori, fondendosi fra di
loro, ne generano di nuovi, il tema
della guerra, che funge da sfondo, il
rapporto tra il genere maschile e quello femminile. In quest’opera, tuttavia,
a differenza di quelle successive, emerge una scrittura satirica, ironica e
divertente. La migliore satira di
Virginia Woolf si trova in uno dei
primi racconti, intitolato “Una società”, le cui protagoniste, analizzando le
opere artistiche e letterarie prodotte dal
genere maschile a loro contemporaneo,
rimangono sconcertate nel constatare
che esse non sono di alcun valore. "A
che scopo," chiede una di loro, "se gli
uomini scrivono tale robaccia, le
nostre madri hanno sprecato la loro
giovinezza fornendo loro le gambe per
camminare in questo mondo?"
Decidono, dunque, sconfortate, di non
Lunedì o Martedì
Emma Mattiussi 3C
Virginia Woolf (Londra, 1882 Rodmell, 1941) fu una delle più
influenti scrittrici moderniste del
Novecento, nota soprattutto per lo stile
raffinato e ricercato di cui si serviva
per esprimere il flusso della coscienza.
Oltre alle opere maggiori, di cui fanno
parte romanzi come “Mrs. Dalloway”
e “Gita al faro” e il celeberrimo saggio
“Una stanza tutta per sé”, la sua ampia
produzione comprende anche una serie
di racconti brevi, alcuni dei quali, selezionati personalmente dalla scrittrice,
furono pubblicati nel 1921 sotto il titolo di “Monday or Tuesday”. La forma
narrativa breve, confessa nel diario e
nelle lettere, era per lei una pratica
quasi liberatoria, nei periodi di pausa
dalla grande fatica che le costava la
scrittura di saggi o romanzi. In generale, l’atto di scrivere costituiva per
Virginia Woolf, oltre agli psicofarmaci
“Monday or Tuesday” è composto da
otto racconti, i quali presentano tutti le
caratteristiche che Virginia Woolf svilupperà in seguito, nei suoi romanzi di
successo: la descrizione di scene di
vita domestica o di eventi altrettanto
banali, un linguaggio ricco di musicali-
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Terza pagina
In “Un romanzo mai scritto”, invece, il lettore viene introdotto al processo di creazione di una storia: a
partire dalla figura di una donna
incontrata sul treno e di cui non si
sa nulla, l’autrice tenta di immaginare la sua vita, sviluppando un
vero e proprio personaggio da
romanzo. Di esso, tuttavia, come
spesso fanno gli scrittori nell'abbozzare un nuovo libro, presto si
stancherà. Questi personaggi, unicamente concepiti, ma mai partoriti dalla mente, sono i protagonisti
di tutti i romanzi mai scritti, come
il rododendro che Virginia Woolf
cerca di inserire a metà racconto,
per ravvivare la scena, cambiando,
però, velocemente idea: “ma un
rododendro a Eastburn – in dicembre – sulla tavola dei Marsh – no,
no, non oso farlo.”
Il lungo monologo interiore, la scelta
di raccogliere uno dei tanti fili di pensiero ingarbugliati in testa, per poi
districarlo e seguirlo cautamente con le
parole, è una delle caratteristiche che
distingue Virginia Woolf dagli autori
tradizionali. Ne “Il segno sul muro”,
per esempio, non accade nulla oltre
alla mera presa di coscienza da parte
cinquanta miglia all'ora - e ti deposita all'estremità opposta senza più
alcuna forcina in testa! Sparato ai
piedi di Dio completamente nudo!
Con i capelli al vento come la coda
di un cavallo da corsa. Sì, questo
sembra esprimere la rapidità della
vita, il perpetuo sciupare e riparare;
tutto così casuale, così provvisorio..."
I rimanenti racconti sono più brevi e
più descrittivi. La liricità della
prosa, curatissima e piena d’inventiva, contiene un universo costituito
da impressioni visive e uditive,
testimoni della passione per le parole di questa scrittrice, non solo a
livello di contenuto, ma anche di
suono.
del narratore di una piccola macchia
scura sulla parete. Questa banalissima
circostanza dà luogo a una serie di
pensieri concatenati e ironici sull'esistenza, dimostrando l’abilità di
Virginia Woolf nel partire dai dettagli
della vita per poi scrivere della vita in
sé. “Se proprio si volesse paragonare la
vita a qualcosa, bisognerebbe pensare
a una metropolitana che ti trascina a
La raccolta presenta, dunque, una
Virginia Woolf giovane e alle prese
con una grande sperimentazione linguistica; la lettura è scorrevole e sorprendentemente divertente. Troppo
spesso accade che piccole raccolte,
come questa, siano tralasciate e ritenute di minore importanza, esse sono,
tuttavia, significative a comprendere
l’autore e il suo stile quanto lo sono le
opere maggiori.
Diaro del seduttore di Søren Kierkegaard
Paolo Lucca 3C
"Quando,
oramai
maturo,
Kierkegaard scriveva della propria
giovinezza come d'un cammino di
dissolutezze e perdizione, aveva già
donato nuova vita nel "Diario del
seduttore" ai suoi morti trascorsi da
libertino. Il romanzo, pur non intendibile come fedele cronaca autobiografica, narra vicende fortemente vicine
alla vita dello stesso filosofo, tradotto
nella persona di Giovanni, seduttore
diabolicamente scaltro. Il protagonista vive in questo breve epistolario
l'ordinato resoconto della sua ultima
ed ardita opera di seduzione, vittima
della quale è la giovane Cordelia.
Ma la trama, pur sembrando in sé
forse banale e quasi scontata, rinnova
continuamente un vivido interesse nel
lettore, che é disarmato dal geniale
raggiro psicologico ordito da
Kierkegaard. "Conquistare l'anima di
una ragazza è un'arte, sapersene liberare è un capolavoro". Il seduttore
sensuale non realizza sé stesso nel
possesso carnale, ma nella piena sudditanza mentale; egli si nutre del cedimento e dell'abbandono delle donne e
ne gode superbamente come frutto di
una strategia militare. La seduzione è
pura arte, nasce dallo spirito e dalla
parola e cresce con l'eleganza e l'ironia: "l'uomo deve parlare, e perció
deve essere in possesso di alcune di
quelle facoltà che costituivano il vero
fascino di Venere: colloquio e dolce
lusinga, vale a dire: l'arte di insinuare." Ma qualsivòglia forma di riflessione si edùca dal racconto di
Giovanni non si puó e deve strappare
al contesto culturale da cui è genita; il
seduttore è la maschera romantica
dell'esteta, è l'immoralità da scavalcare verso il momento ideale, etico-reli-
gioso; l'edonismo, l'erotismo e,
appunto, l'estetismo saranno trascesi
dallo stesso Kierkegaard quando porterà la propia esistenza verso i nuovi
traguardi della spiritualità. Il Diario
del Seduttore é un'opera brillante e
coinvolgente, è un continuo oscillare
tra spirito e carne, tra l'accendersi del
desiderio e lo spegnersi nel suo appagamento, ma è anche un calco esistenziale dell'autore che da sè confessa:"È
regola di delicatezza, quando si scrive, non dire mai la verità, ma tenerla
per sé e lasciarla soltanto rifrangersi
sotto angoli diversi."
Consigliato a coloro che ardiscano
alla nobile scienza dell'ammaliamento, nell'auspicio che si rendano presto
consapevoli della loro immoralità e si
pentano della vacuità dei loro costumi.
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Rubriche
Zensazionale
Anonimo maestro zen
Imparare a stare zitti
Gli allievi della scuola di Tendai
solevano studiare meditazione anche
prima che lo Zen entrasse in
Giappone. Quattro di loro, che erano
amici intimi, si ripromisero di osservare sette giorni di silenzio. Il primo
giorno rimasero zitti tutti e quattro.
La loro meditazione era cominciata
sotto buoni auspici, ma quando scese
la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno degli allievi
non riuscì a tenersi e ordinò a un
servo: «Regola quella lampada!». Il
secondo allievo si stupì nel sentire
parlare il primo. «Non dovremmo
dire neanche una parola» osservò.
«Siete due stupidi. Perché avete parlato?» disse il terzo.
Hyakujo, il maestro cinese di Zen,
ancora all’età di ottant’anni conservava l’abitudine di lavorare coi suoi
allievi, tenendo in ordine i giardini,
sarchiando il terreno e potando gli
alberi. Ai suoi allievi dispiaceva che
il vecchio maestro faticasse tanto, ma
poiché sapevano che sarebbe stato
inutile consigliargli di smettere, gli
nascosero gli attrezzi. Quel giorno il
maestro non volle mangiare. Non
mangiò nemmeno l’indomani e nemmeno il giorno seguente. «Forse è
arrabbiato perché gli abbiamo nasco-
sto gli attrezzi» immaginarono gli
allievi. «Sarà meglio che li rimettiamo al loro posto». Così fecero, e quel
giorno stesso il maestro lavorò e
mangiò come prima. La sera li istruì:
«Chi non lavora non mangia».
Quando Mamiya, che divenne in
seguito un famoso predicatore, andò
da un insegnante per farsi istruire, gli
fu chiesto di spiegare il suono di una
sola mano. Mamiya meditò intensamente quale potesse essere il suono
di una sola mano. «Non ti applichi
abbastanza» gli disse l'insegnante.
«Sei troppo attaccato al cibo, alla ricchezza, alle cose e ai loro suoni.
Sarebbe meglio se tu morissi. Questo
risolverebbe il problema». Quando
Mamiya si presentò all'insegnante la
volta successiva, quello gli domandò
di nuovo che cosa avesse da dire a
proposito del suono di una sola
mano. Subito Mamiya si lasciò cadere giù come se fosse morto. «Sei proprio morto» osservò allora l'insegnante. «Ma che mi dici di quel
suono?». «Quello non l'ho ancora
risolto» rispose Mamiya alzando lo
sguardo. «I morti non parlano» disse
l'insegnante. «Vattene!».
Chi non lavora non mangia
La risposta del morto
«Io sono l’unico che non ha parlato»
concluse il quarto.
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Poesie
Cappotto di zinco
Riverso su un prato guardo il mio cuore,
cuore in un elmetto sporco,
arrugginito e ammaccato.
Il mio respiro,
strappato via da una scheggia ignota,
non si impregnerà più delle tue guance,
di caffè,
di campagna,
di quelle impantanate sigarette,
unico lumino in un campo bruciato.
Mi promettevano che sarei tornato a casa.
Ma effettivamente non come.
Morto per cosa?
Per un maledetto colore,
per il desiderio di quel pugno di terra
che ci dicevano di dover conquistare.
Ma ora l'unica terra che mi rimane
è quella attaccata al mio freddo volto.
Biagio Sartori 3C
San Valentino
Arrivi ogni anno,
Anche troppo velocemente
Ed ogni anno
Alla fine resto delusa
Maledetto mio Valentino
Rossi.
Veronica Libelli
Costituzione della società
degli specchi
Resta uguale a ciò che hai intorno,
Ricordati che sei fragile,
Che per una minima noncuranza
Puoi romperti in mille pezzi.
Puoi riflettere quanto vuoi,
Non puoi non farlo,
Ma se non rifletti chi ti guarda,
se non sei come loro,
Ti vorranno cambiare,
E ci riusciranno.
Riflettere è importante,
Tu sei importante
Ma solo se rifletti
Le aspettative degli altri.
G.I.
Alba
All'alba vidi il Sole
filtrare tra le nubi del cielo;
lo vidi posarsi lieve
tra le vette innevate del monte;
calò il Silenzio, lassù, in cima al mondo,
laddove si staglia la piccolezza dell'uomo.
Luca Maggio Zanon 2B
Danza sui ciottoli
Le dita esperte del grande pianista
danno voce ai ciottoli lisci e duri,
tu voli sulle corde sottili della nostra strada
mentre ti guardo da una sedia sulla pista.
Fra queste quattro mura sul retro
balli da sola e mi tendi la mano
e io ti posso dare solo uno sguardo lontano,
rimane nella notte il ballo sul vetro.
I tuoi capelli sembrano di ragazzino,
saltano neri sulle note senza limite,
sempre liberi come un rosso mattino.
Ora sto qui a guardare l'azzurro,
steso sulla pietra e senza inchiostro,
a dipingerti fra le nuvole con un sussurro.
Biagio Sartori 3C
Ode al Greco
Ode al Greco, materia la cui inestimabile, nobilissima e sublime
utilità è chiarissima per quelli che la
osannano traducendo testi che giustizia
le diano giustamente, poiché sanno
che non sempre essa è capita da chi ha riserve, per nulla assolutamente se non
per scarsa volontà di imparare ciò che ha
permesso di
fondare così tanti e così grandi antichi imperi durati anni e anni e anni.
Le troubadour plaisanter
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Poesie
Il coffiere nella nebbia
Fendendo queste piccole e leggere lacrime
mi perdo lietamente nel candore silente,
misteriosa veste dei lampioni e delle strade,
antico panno di malinconiche rime.
Il sapore della notte mi riempie la bocca
mentre lascio i passi sull'erba immobile
e la tua ombra si allunga sul cuore,
i battiti risuonano in ogni fredda nocca.
Ti cerco come il fuoco nella tormenta,
brucio le mani tremanti al tuo sguardo,
ogni riflesso scuote le mie fondamenta.
Mi fermo alla porta su una coffa di mattonelle
e alzo il volto al mare celeste,
sperando di scrutare un giorno le stelle.
Biagio Sartori 3C
Guera di trincea
Giorno dopo giorno
Combattiamo mattina e sera
Per poco spazio in più
Stagione dopo stagione
A volte vince uno
A volte vince l'altro
Vittime senza cordoglio
Siamo la notte e il giorno.
Francesco Giacomarra
La strada di montagna
Mi persi, in quella strada di montagna,
in quella strada che pian piano al cielo
saliva;
mi persi, per poi ritrovarmi in cima
a contemplare il mondo sotto di me
immerso ed intorpidito in un candido
mare senza fine.
Mi persi, in prossimità del cielo,
ma solo per ritrovarmi uomo
dinnanzi allo spettacolo del Sole
che si fa largo tra quel candido mare
con i suoi dolci raggi di luce immensa.
Luca Maggio Zanon 2B
Strafalcioni latini
Latini amanti del rock
Rem album adoro
(io adoro le cose serene)
Io adoro l'album dei R.E.M.
Si pentivano così...
Eamus cubitum
(andiamo a dormire)
Mangiamoci i gomiti.
Allerta meteo
Roma ventus est
(è venuto a Roma)
A Roma c'è vento.
Altrimenti è sempre agitato
Equus est bonus comes equitis
(il cavallo è un buon compagno per i
cavalieri)
Il cavallo è buono in coma.
Organizzate dei corsi di nuoto!
Procellam nautae timent
(i marinai temono la tempesta)
I maiali hanno paura di nuotare.
Mamme latine
Magna cum prudentia
(con grande prudenza)
Mangia con prudenza.
Giganti figli del detersivo
Filii dixerunt bovem maiorem esse
(i figli dissero che il bovino era più
grande)
Il figlio del Dixan era più grande del
bue.
Agenzia turistica Caesar!
Veni,vidi,vici
(Arrivai,vidi,vinsi)
Vieni a vedere il villaggio!
Filippo contro gli africani
Filippus equm negrum mortiferum
(Filippo possedeva un cavallo nero e
micidiale)
Filippo cavalcava e causava la morte ai
negri.
Trovati i testi di un nuovo autore:
Bello Punico secundo
(Nella seconda guerra punica)
Secondo la bella guerra.
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Rubriche
Agnello di pane
Ricetta di Pasqua
Ingredienti:
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500g di farina bianca
7g di lievito di birra secco
2 cucchiaini da tè di zucchero
1 cucchiaino da tè di zucchero
1 uovo
4 cucchiai d’olio d’oliva
250ml di latte tiepido
1 rametto di rosmarino
2 olive nere
Preparazione:
Setacciare la farina in una terrina larga e mescolarvi il lievito; aggiungere lo zucchero, il sale, l'uovo, 2
cucchiai di olio ed amalgamare poco per volta il latte tiepido. Lavorare l'impasto su un ripiano leggermente infarinato per circa 10 minuti. Rimettere l'impasto nella terrina infarinata, coprirlo con un canovaccio e
porlo a lievitare in un luogo tiepido fino a quando il suo volume sarà raddoppiato (40 minuti circa). Con i
2/3 dell'impasto ben lievitato formare un rotolo e dividerlo in 20-24 palline uguali: disporre le palline l'una
attaccata all'alta in modo da formare il corpo dell'agnello sulla teglia del forno ricoperta dalla carta forno.
Dividere in 7 pezzi l'impasto rimanente e modellarli in modo da formare la testa, le orecchie e le zampette. Spennellare con 2 cucchiai d'olio, cospargere il corpo con il rosmarino tritato e del sale grosso e segnare gli occhi con le olive. Porre a lievitare per altri 20 minuti e infine cuocere nella parte media del forno
preriscaldato a 200° per 20-25 minuti.
Alessandro simonutti 3C
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Ringraziamenti
Caporedattore: Paolo Petrucco
Impaginazione: Biagio Sartori
con Paolo Petrucco
Revisione e correzioni: Emma Mattiussi