Febbraio 2016 - Liceo classico "Jacopo Stellini"
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Febbraio 2016 - Liceo classico "Jacopo Stellini"
SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 1 Liceo Classico Jacopo Stellini In copertina Da giugno 2014 ormai il prezzo del petrolio è in netto calo ed è previsto che questa tendenza duri sino al 2020. Considerando la centralità del petrolio negli equilibri del potere globale e gli introiti da esso dipendenti, questo scenario avrà profonde ripercussioni sull’ordine politico e, in particolar modo, originerà un’ineluttabile perdita da parte dei paesi produttori di parte della loro influenza nella politica internazionale. numero III, anno III Le Unioni Civili É ormai da un anno che si parla di legge sulle unioni civili e sul riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Se ne è parlato e se ne parla tuttora anche coi vertici dell’Unione Europea, i quali ritengono sia necessaria la creazione di leggi sull’argomento in questione. Ora, grazie al disegno di legge Cirinnà, tutto ciò sembra possibile. Questo DDL, però, non convince lo stesso partito che lo ha proposto: il Partito Democratico. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 2 Sommario Attualità Il petrolio: un’arma a doppio taglio Pag. 4 Unioni civili Pag. 5 Vatileaks 2 Pag. 6-7 Giulio è vivo pag. 7 Le elezioni americane pag. 8 Crescita o decrescita? pag. 9 Cronaca Le mezze stagioni Pag. 10 Realtà o mondo virtuale? Pag. 10 Ricordo sulle foibe Pag. 11 Chapeau Pag. 11 Giornata della memoria pag. 12-13 Scusi, ha da spegnere? Pag. 14 La parità di genere solo sulla carta Pag. 15 Scuola pag. 16 Recensioni Il figlio di Saul Pag. 17 Terza Pagina Dipendenza Pag. 18 Il ragazzo, la strada, il vecchio Pag. 19 Lunedì o martedì Pag. 19 Il diario del seduttore Pag. 20 Zensazionale! Poesie Pag. 23 pag. 21-22 Rubriche Ricetta Pag. 24 Umorismo Pag. 24 Caffè letterario Quanto spesso capita a noi ragazzi di desiderare un confronto con i nostri coetanei, per cercare risposte ad alcuni degli interrogativi che, nel nostro percorso di maturazione, ci vengono alla mente? Che cosa significa amare? Che valore ha la parola libertà? Qual è la storia dei nostri partiti politici? Quali sono e come si confrontano le potenze mondiali in ambito economico, culturale, sociale? Come si rapportano il mondo occidentale e quello musulmano? In quale filosofia rientra il nostro pensiero personale? Dalla volontà di cercare risposte a queste e molte altre domande, nasce il Caffè letterario, un’iniziativa pensata, voluta e portata avanti da alcuni ragazzi delle scuole superiori di Udine (Stellini, Percoto, Copernico, Marinelli, Uccellis) che hanno percepito la necessità di un confronto da parte dei loro coetanei e hanno cercato di soddisfarla. Il Caffè letterario è un incontro che avviene ogni quarto giovedì del mese presso il Cafè Ottelio in piazza San Giacomo, nel quale i ragazzi delle scuole di Udine si ritrovano a discutere e confrontarsi su tematiche a loro vicine. È questa un’ottima occasione di arricchimento personale e un’opportunità per stringere nuove amicizie, svagandosi dalla monotonia della vita scolastica. Quindi non perdetevi il nostro pomeriggio mensile di dibattiti e incontri, accompagnati da aperitivo e buffet, nel quale conoscere altri studenti con esperienze e idee a volte molto diverse dalle vostre, ma aperti al dialogo e in cerca di risposte proprio come voi! Il primo caffè letterario 2016 si svolgerà dalle ore 16 alle ore 19 presso il "Caffè Ottelio" il giorno giovedì 10 Marzo. Il prezzo d'iscrizione è di 5 euro, che servirà a coprire lo spazio del locale, il buffet e gli aperitivi, nonché la presenza dei relatori esterni. L'evento è aperto a tutti gli studenti sia universitari che liceali. I temi del prossimo caffè letterario: Le unioni civili, L’Europa dei muri, Mangiare sano e biologico: la sfida del XXI secolo, Caffè in itinere:parliamo del mondo con le esperienze dei nosrti viaggi, L’eredità di Dostoevskij: alla ricerca del suo retroterra, L’ignoranza psicologica delle masse. In copertina Da giugno 2014 ormai il prezzo del petrolio è in netto calo ed è previsto che questa tendenza duri sino al 2020. Considerando la centralità del petrolio negli equilibri del potere globale e gli introiti da esso dipendenti, questo scenario avrà profonde ripercussioni sull’ordine politico e, in particolar modo, originerà un’ineluttabile perdita da parte dei paesi produttori SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 3 Editoriale Non c’è peggior cieco di chi... Paolo Petrucco 3E In un breve racconto intitolato Il paese dei ciechi, si racconta di una misteriosa valle montana, lontana dal mondo. Rimasta isolata in seguito a una terribile eruzione vulcanica, essa offriva alla gente che ancora vi abitava “tutto ciò che un uomo può desiderare di meglio: acqua dolce, pascoli, un clima uniforme, pendii di terra scura e fertile, con macchioni di un arbusto che produceva un ottimo frutto”. Una guida alpinistica, che si chiama Nunez, accompagna una spedizione inglese venuta a scalare montagne in Ecuador. Dopo un incidente, precipita da uno strapiombo, ma riesce a salvarsi e, dopo varie peripezie, arriva fino al fondo di quella valle. Ed è così che trova il posto di cui molto leggende parlavano. Tutti gli abitanti di questo Paese sono stati colpiti da un particolare male. Dopo l’isolamento, dalla prima all’ultima generazione hanno tutti sofferto di una strana, quanto assoluta cecità. Quel mondo è costruito perciò a misura di non vedenti. Le case a differenza dei classici paesini di montagna, non sono disposte alla rinfusa, ma perfettamente allineate. Questi sono i primi segnali di una diversa organizzazione dello spazio. Nel vederli, Nunez ricorda un vecchio proverbio, secondo cui “Tra i ciechi, l’orbo d’un occhio è re”, e rapidamente matura in lui la scelta di fermarsi lì, e prendere il controllo di quella popolazione, che lui ritiene naturalmente minorata. Egli si accorgerà ben presto che le cose non vanno come in quell’antico detto che gli ronza per la testa, fondato sulla “ovvia” superiorità di chi ha “buoni occhi”. In quella società di non vedenti, la lingua, i valori, la religione, le credenze, la scienza, le norme riflettono necessariamente quella condizione fisica. Lo stesso avviene per le case, le vie e gli strumenti di lavoro. E in quel mondo Nunez, che aveva covato un sogno di potere in virtù della sua superiorità fisica, scopre ben presto di essere lui il vero minorato, con tutto ciò che questa condizione implica in termini di emarginazione e di rifiuto. Una donna lo fa innamorare, e per amore egli impara a rispettare e ad amare quel mondo. Ma quel mondo, come il nostro, mal tollera la diversità, e di fronte alla prospettiva di una “normalizzazione” – che consiste nell’asportazione degli occhi - Nunez decide di fuggire, facendo ritorno al mondo dei vedenti. Ho utilizzato questa storia per suggerire una riflessione che ci coinvolga tutti. Siamo abituati a vivere e a gestire i nostri comportamenti sulla base di atteggiamenti e di modi di essere derivati dalla soggezione alle abitudini acquisite sin da bambini. Interpretiamo la società attraverso modelli che finiamo per confondere con la realtà, reificandoli, ossia percependoli come realtà in sé mentre sono una costruzione sociale. Siamo abituati a dire che le persone con un qualsiasi difetto psico-fisico o di particolari condizioni sociali siano automaticamente svantaggiate in quanto differenti e inadeguate. Siamo portati a individuare nelle diversità aspetti da rigettare e da negare in quanto ritenuti sbagliati. Non ci accorgiamo che da un certo punto di vista siamo noi i minorati, resi ciechi d’innanzi a questa stessa evidenza dalla società che ci costringe a questi comportamenti. Invito tutti ad utilizzare questo breve racconto di Wells per una riflessione fertile e proficua su quanto è considerato “normale”, o “per natura”, come la famiglia o i rapporti di genere. La realtà è molto più complessa di quanto i nostri giudizi sulla sua apparente ovvietà vorrebbero farci credere. In questo numero Negli ultimi tre mesi trascorsi dall’ultimo nostro numero sono successe molte cose che riguardano la maggior parte anche il nostro Paese - e noi - da vicino. Come avete appena letto un tema su cui ci siamo molto concentrati è quello delle unioni civili e il decreto legge Cirinnà, con un articolo di Giovanni Cabroni. Seguono poi tutti articoli di attualità nazionale e internazionale non meno importanti. Abbiamo inoltre inserito uno speciale a metà di questo numero che si sofferma con due particolari e molto belle riflessioni sul giorno della memoria e sull’importanza del ricordo. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Primo Levi ha sempre cercato di farci capire che la memoria è necessaria. Dobbiamo rimembrare il passato per essere capaci di andare avanti. Abbiamo bisogno della memoria per fare questo. Non in un solo giorno. Ma di ogni giorno della nostra intera esistenza sulla terra. Noi dobbiamo essere sostenitori attivi di questa memoria. Nel nostro millennio abbiamo a disposizione innumerevoli mezzi di informazione di massa. Sfruttiamoli. Facciamo sì il minuto di silenzio per il rispetto alle vittime dell’olocausto, ma un’ora o due ore dedicate alle parole, al dialogo valgono più di mille minuti di silenzio. Detto questo non mi resta altro che augurarvi una buona lettura. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 4 In copertina Il petrolio: un’arma a doppio taglio Erika Tiepolo 3C Da giugno 2014 ormai il prezzo del petrolio è in netto calo ed è previsto che questa tendenza duri sino al 2020. Considerando la centralità del petrolio negli equilibri del potere globale e gli introiti da esso dipendenti, questo scenario avrà profonde ripercussioni sull’ordine politico e, in particolar modo, originerà un’ineluttabile perdita da parte dei paesi produttori, quali la Russia, la Nigeria, il Venezuela e l’Arabia Saudita, di parte della loro influenza nella politica internazionale. Più a lungo i prezzi rimarranno a questi livelli e maggiormente devastanti saranno gli effetti a livello globale. In linea generale infatti, la crescita del prezzo del petrolio è sentore di un’economia solida, che origina, conseguentemente, un aumento della domanda. Al contrario il costo scende quando, come attualmente sta accadendo, l’economia globale è vacillante, la domanda energetica è debole, i fornitori non riescono ad adattare la produzione al calo della domanda e si genera un eccesso di riserve. Questa sovrapproduzione è ciò che si verificò all’inizio degli anni 2000, col boom immobiliare, quando i prezzi del greggio crebbero in maniera esponenziale sino alla crisi del 2008, superata, però, rapidamente grazie alla nuova strategia del governo cinese, che aveva deciso di investire pesantemente nelle infrastrutture, soprattutto ponti e autostrade. Nel 2014 la situazione inaspettatamente mutò: la produzione negli Stati Uniti, scesa tra il 1990 e il gennaio 2014 da 7,5 milioni di barili a 5,5 milioni, aumentò rapidamente toccando i 9,6 milioni nel luglio 2015, grazie alla produzione da giacimenti non convenzionali attraverso il fracking; un’ aumento simile si registrò in Canada grazie agli investimenti nelle sabbie bituminose, in Brasile e in Africa occidentale in seguito allo sfruttamento dei giacimenti in pro- fondità. Tuttavia, la domanda non riuscì a sostenere tale incremento. Da un lato, la causa va ricercata nel ribasso progressivo dell’economia cinese, che dopo aver fatto in modo che le banche statali prestassero enormi quantità di denaro ai consumatori e alle aziende senza fare caso alla loro solvibilità, pur di stimolare la crescita e creare posti di lavoro, in nome del capitalismo più spietato, è alle prese con una montagna di mutui e debiti abbinati a redditi sempre più bassi. Dall’altro lato, la maggiore efficienza nei consumi energetici negli Stati Uniti, il più grande consumatore al mondo di petrolio, ha mostrato i primi effetti. Ciò va aggiunto alla progressiva consapevolezza da parte di tutti i Paesi dei danni ambientali che risorse energetiche quali il petrolio hanno sull’ecosistema, consapevolezza incrementata anche dal convegno sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, che ha posto l’accento sulla necessità di un radicale quanto più rapido cambiamento nello sfruttamento delle risorse del nostro Pianeta, favorendo l’investimento nelle energie rinnovabili. Un fattore di particolare rilevanza è poi l’accordo sul nucleare entrato in vigore in Iran a metà gennaio, che prevede il cancellamento delle sanzioni imposte da Washington e dall’Unione Europea e che permette- rà, dunque, a Teheran di tornare sul mercato del petrolio e aggiornare le sue tecnologie. Secondo l’Energy Information Administration statunitense, la produzione dell’Iran potrebbe aumentare di 600mila barili al giorno nel 2016 e far registrare una crescita esponenziale nei prossimi anni. In seguito alla situazione affermatasi, alcuni paesi che avevano acquisito grande influenza grazie all’esportazione del petrolio cominciano a contare sempre di meno. Significativi esempi ne sono la Nigeria, il cui 75 per cento delle entrate deriva dalla vendita del petrolio, la Russia, dove tale percentuale è del 50 per cento e il Venezuela col suo 40 per cento. Con il prezzo del petrolio a un terzo rispetto a 18 mesi fa, le loro entrate sono precipitate, mettendo a rischio la capacità dei governi di prendere iniziative sia sul fronte interno che su quello internazionale. Un caso a parte è, invece, l’Arabia Saudita, che può sopravvivere ai bassi prezzi poiché, quando il costo del petrolio era di 100 dollari a barile, mise da parte una porzione di guadagni che ammontava circa a 750 miliardi di dollari. Per queste economie, dunque, si presenta pressante la necessità di ridurre la dipendenza dall’esportazione di petrolio in un orizzonte di medio termine. Gli effetti che tale crisi potrà avere sull’ecosistema sono assai controversi, da un lato infatti, essendo ormai condannato a sparire l’ordine politico globale che in passato si basava sull’aumento del prezzo del petrolio, essa potrebbe favorire una transizione verso un mondo alimentato da energie rinnovabili; dall’altro lato, però, potrebbero essere proprio i prezzi bassi, che rendono inferiori i costi di produzione dei beni, a ridurre i tentativi di procedere con investimenti nell’energia verde. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 5 Attualità Le unioni civili Giovanni Cabroni 1D É ormai da un anno che si parla di legge sulle unioni civili e sul riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Se ne è parlato e se ne parla tuttora anche coi vertici dell’Unione Europea, i quali ritengono sia necessaria la creazione di leggi sull’argomento in questione. Ora, grazie al disegno di legge Cirinnà, tutto ciò sembra possibile. Questo DDL, però, non convince lo stesso partito che lo ha proposto: il Partito Democratico. Questo perché la fazione cristiana del partito non è convinta dell’attuazione del cosiddetto “utero in affitto”, pratica che consiste nel concepire, per via indiretta (inseminazione artificiale), una donna estranea alla coppia, la quale porterà a termine la gravidanza e donerà il bambino alla coppia che l’ha commissionata. Per questo motivo il PD ha presentato degli emendamenti per cambiare alcune parti del disegno di legge. Quest’ultimo comprende anche articoli più importanti, come quello sulle unioni civili. Gli articoli presenti nel DDL riconoscono il matrimonio fra due persone dello stesso sesso e considerano la loro unione come una famiglia. Questa parte del disegno di legge, al contrario di quella precedente, convince tutto il PD. Infine, un altro punto importante della riforma riguarda la “stepchild adoption”, ovvero la possibilità di adottare il figlio del compagno o della compagna da parte di un componente della coppia. Infatti, poiché l’utero in affitto non è ancora legale in Italia, le coppie omosessuali vanno all’estero per ottenere un figlio, il quale però è figlio naturale di un solo membro della coppia. L’altro componente della coppia chiede l’adozione tramite la stepchild adoption, pratica che lo rende il secondo genitore. In generale, a favore della riforma ci sono la Sinistra Italiana, il M5S e anche il PD, sebbene quest’ultimo sia incerto sull’utero in affitto. Contrari, invece, al disegno di legge sono tutti i partiti di Destra, come la Lega Nord, il Nuovo Centro-Destra e Forza Italia. Non è stato, però, ancora comunicato il giorno delle votazioni sulla riforma. Ci sono state, inoltre, due grandi manifestazioni pro e contro il DDL. La prima manifestazione in ordine cronologico è stata a favore della riforma e ha coinvolto numerose città italiane; si è svolta il 23 gennaio e ha avuto luogo nelle piazze delle città più importanti d’Italia, come Milano e Roma. Alla manifestazione hanno partecipato circa un milione di persone, distribuite nelle diverse piazze d’Italia. Pochi, però, i rappresentanti del governi. La manifestazione opposta, invece, è il Family Day, tenutosi il 30 gennaio, al quale hanno partecipato, secondo gli organizzatori, due milioni di persone, anche se la questura ne ha contati trecentomila. Tralasciando i numeri, c’è da sottolineare la partecipazione di importanti figure cattoliche come Mario Adinolfi, direttore de “La Croce”. Sono stati presenti anche esponenti della Destra Italiana come Giorgia Meloni e Maurizio Gasparri, ma anche politici appartenenti alla fazione cristiana del PD. Lo scopo del Family Day sarebbe stato quello di manifestare contro i diritti legittimi delle coppie dello stesso sesso, con l’ulteriore obiettivo di influenzare il Parlamento, anche se invano, per impedire l’attuazione del DDL Cirinnà. Molte contestazioni a questa riforma derivano, infatti, dal fatto che, secondo alcuni, nuocerebbe ad un bambino vivere con due genitori omossessuali e che l’utero in affitto sia un abuso nei confronti della donna coinvolta in questa pratica e perciò un metodo immorale. Se dovessi rispondere a queste critiche direi che, innanzitutto, fino a prova contraria, non è scientificamente provato che vivere con due genitori omosessuali nuoccia a un bambino e inoltre direi che, anche se fosse vero l’abuso subito dalle donne che volontariamente si sottopongono alla pratica dell’inseminazione artificiale, è da ricordare che questa stessa pratica è stata inventata per le coppie eterosessuali e che sarebbe ipocrita ritenere che solo gli omosessuali abusino, sempre ipoteticamente, delle donne in questione. Ognuno, quindi, ha una sua etica, ma non comprendo il senso di negare dei diritti ad altre persone. Non capisco dove sia l’etica nel negare dei diritti, senza peraltro ottenerne degli altri o avere, per lo meno, dei vantaggi di conseguenza. Se, quindi, due persone dello stesso sesso si sentono uniti in matrimonio, perché negarglielo? Se due persone dello stesso sesso vogliono avere un figlio, perché negarglielo? Se un bambino sta bene e si sente a proprio agio all’interno di un ambiente familiare composto da due omosessuali, perché negargli la felicità? Perché imporre ai suoi genitori leggi negative che comprometterebbero l’andamento della sua vita? Vorrei, dunque, far riflettere sull’etica civile, l’etica dello Stato, che non può essere confusa con l’etica cristiana. Sono due concetti molto diversi e, sebbene io sia un cattolico praticante, non credo che la Chiesa debba condizionare con la sua morale le leggi dello Stato, specialmente leggi come quella sulle unioni civili. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 6 Attualità Vatileaks 2 Andrea Scolaro 2D Mi dispiace deludere le vostre aspettative, ma, nonostante quello che il titolo potrebbe suggerire, questa non è una recensione né di un film, né tantomeno di un sequel di un romanzo. Questa storia tratta argomenti più “sacri” di questi, anche se i protagonisti sono proprio due libri. Ma iniziamo dal principio. Tanto tempo fa un uomo povero che viveva in Palestina era così amato e contemporaneamente così odiato dal suo popolo da lasciarsi crocifiggere per espiare i peccati dell’intera umanità. Poiché dopo tre giorni il suo corpo scomparve dal sepolcro e alcuni sostennero di averlo visto risorgere ed ascendere in cielo, quest’uomo venne considerato da molti il figlio di Dio e coloro che credevano nella sua resurrezione decisero di dedicare la loro vita a trasmettere le sue parole ed i suoi insegnamenti a tutte le genti del mondo e crearono una religione che seguiva i suoi comandamenti, ponendosi come obbiettivo di togliere la violenza e il male dal mondo. Oggi, a più di duemila anni di distanza dalla nascita dell’uomo che morì sulla croce, non sembra che questi discepoli siano riusciti a raggiungere questa meta, ma anzi sembrano essersi allontanati parecchio dall’immagine di quel falegname che predicava la povertà, l’umiltà e l’amore verso il prossimo andando in giro con solo una tunica e dei sandali ai piedi. Ed è qui che inizia questa storia, che riguarda appunto la più antica e potente istituzione creata per servire Dio e seguire i comandamenti del Figlio, ovvero la Chiesa cattolica. In questo momento il Vaticano nell’immaginario collettivo non è più un luogo pulito e santo dove un uomo che crede nei comandamenti cristiani può far in modo che il proprio peccato venga identificato, cancellato e perdonato, ma anzi gli scandali negli ultimi anni sembrano trovare proprio all’interno della Santa Sede uno dei principali palcoscenici dove possono uscire allo scoperto. Basti ricordare il caso Vatileaks, quando un maggiordomo tradì Benedetto XVI divulgando informazioni che danneggiarono enormemente il pontefice tedesco, uno dei pochi, nella storia della Chiesa, a rinunciare alla sua carica di Santo Padre. Ma, come potete constatare dal titolo, dopo quella vicenda gli scandali di fughe di notizie non terminarono a Roma e quindi si venne a creare un seguito a quell’avvenimento, denominato appunto Vatileaks 2. Dopo Benedetto XVI Francesco è il 266° papa della Chiesa di Roma, un personaggio diventato davvero popolare in questi ultimi anni e dipinto dai mass media come un papa rivoluzionario, un uomo umile e buono che sta cercando con il suo operato di benedire con l’acqua santa tutti i demoni che stanno corrompendo la Chiesa e la sua immagine con disonestà e reati. Impresa tutt’altro che semplice, visto che Francesco è circondato da ben pochi angeli custodi in Vaticano e la maggioranza dei signori dalla veste purpurea ha dimenticato che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli” e che nemmeno gli uomini di Dio sono al di sopra della legge. Ad ogni modo il Papa continua la sua lotta e così, poco tempo fa, ha istituito due commissioni, una per controllare le finanze del Vaticano, una per quelle dello Ior. Ed è proprio nella prima che Francesco farà i conti con quelli che, attratti dai trenta pezzi d’argento, lo tradiranno. Dovete sapere che questa commissione creata dal pontefice è composta quasi interamente da laici a parte un unico ecclesiastico, il monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, tutti scelti direttamente dal pontefice. La Cosea (così si chiama la suddetta commissione) perciò inizia le sue indagini, analizza un gran numero di documenti e alla fine, dopo aver fatto una relazione dei dati raccolti al Papa, viene sciolta. La storia, però, è solo all’inizio. Nell’ombra, infatti, i corvi travestiti da colombe lavorano a portare informazioni riservate fuori dalla Santa Sede e a consegnarle a mani profane. Ed ecco che, poco tempo dopo lo scioglimento, due libri vengono pubblicati: “Avarizia” e “Via Crucis”, rispettivamente scritti dai due giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. In essi viene descritto dettagliatamente, attraverso anche delle foto dei documenti che erano stati raccolti dalla Cosea, il rapporto tutt’altro che “santo” fra la Chiesa e il denaro e di come i cardinali e i vescovi invece di usare i soldi a favore della comunità cristiana, il più delle volte li intaschino e li usino per comprare immobili e oggetti tutt’altro conciliabili con l’umiltà che in teoria il cristianesimo vorrebbe insegnare, tra cui basti elencare le “centinaia di migliaia di euro per voli in business class, vestiti su misura, mobili di pregio, perfino per un sottolavello da 4600 euro”. Insomma, come ennesima prova che la penna ferisce più della spada, ecco che dopo l’uscita di questi due libri scoppia uno scandalo. I giornalisti in questione rilasciano più volte interviste nelle televisioni e sui giornali, mentre la candida e positiva immagine di Francesco sembra venir per la prima volta “macchiata” da questa fuga di informazioni e quella della Chiesa, imbrattata ancora una volta agli occhi dell’opinione pubblica. Anche le reazioni del Vaticano, però, non si fanno attendere. Infatti vengono fatte immediatamente le prime indagini per capire da dove Fittipaldi e Nuzzi siano riusciti a prendere questi documenti riservati e, alla fine, la Gendarmeria vaticana scopre che sono stati proprio alcuni membri delle Cosea scelti personalmente dal pontefice a diffonderli. In particolare vengono portati sotto accusa l’unico ecclesiastico della commissione, ovvero il monsignor Balda, un certo signor Maio, collaboratore del monsignore, e Francesca Chaouqui per aver diffuso illegalmente dei documenti riservati. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 7 Il castigo divino, però, non sembra volersi fermare e anche i due giornalisti chehanno pubblicato i suddetti documenti vengono accusati di aver fatto pressioni per ottenere delle informazioni in modo illegale. Il processo inizia la mattina del 24 novembre 2015 e, secondo le stime, prima di poterlo dichiarare concluso, a causa dei continui rinvii, si dovranno aspettare ancora settimane, forse mesi. Questa storia, perciò, non ha ancora una fine, anche se in questo momento sta suscitando una serie di discussioni e pareri contrastanti tra il Vaticano, i giornalisti e l’opinione pubblica. Un caos che può essere riassunto in queste poche righe: la Chiesa accusa Nuzzi e Fittipaldi di aver pubblicato quei libri soltanto per farsi pubblicità e che con il loro contributo hanno soltanto ostacolato Francesco nella sua opera di riforma; i giornalisti urlano all’attentato alla libertà di stampa e affermano che in un Paese civile nessuno sarebbe stato arrestato per la pubblicazione di quelle informazioni e l’opinione pubblica è principalmente Giulio è vivo Sofia D’Urso 3C Morto, in un fosso. Il corpo di Giulio Regeni, di Fiumicello, il mio paese, è stato trovato mercoledì 25 gennaio privo di vita in un fosso nella capitale egiziana. Un dolore rabbioso ha pervaso le menti e i cuori non solo della sua famiglia straziata, dei suoi amici e di noi compaesani, ma di tutti gli Italiani, che si uniscono alle lacrime di quella madre “dal cuore spezzato” che piange la scomparsa del suo primogenito. Giulio ha frequentato le scuole elementari e medie a Fiumicello, poi si è iscritto al Liceo Classico “Petrarca” di Trieste, ma lì è rimasto per soli tre anni poiché, in seguito ad una borsa di studio, è entrato al Collegio del Mondo Unito che lo ha portato in New Mexico: era stato lui stesso a raccontarlo in un numero del mensile triestino Konrad del 2005, in cui annunciava di voler tenere una sorta di corrispondenza sui temi dell’ecologia e dell’ambiente. Ha proseguito i suoi studi in Inghilterra e, successivamente, si è trasferito al Cairo, per lavorare alla sua tesi da dottorando in suddivisa tra i sostenitori e oppositori di entrambe le fazioni. Per quanto riguarda i tre corvi solo la Chaouqui sta avendo una particolare rilevanza mediatica, definendo il suo operato non come un tradimento, quanto più un obbligo che si sentiva di dover compiere nei confronti della comunità dei fedeli cattolici, che meritano a parer suo di conoscere che cosa accade veramente all’interno della Chiesa. Io personalmente non voglio darvi il mio parere su questa vicenda, ma lascio a voi giudicare chi fra queste parti ha ragione, anche se in verità la pubblicazione delle informazioni non riguarda le accuse che sono state rivolte a Nuzzi e Fittipaldi, ma soltanto il modo in cui sono state ottenute. menti o dato una qualche risposta. Niente di tutto quello che c’è scritto in questi due libri è stato smentito e il Vaticano sembra volontariamente ignorare i contenuti di quei documenti con cui accusano i due giornalisti, che sono tutt’altro che trascurabili. Per i discepoli di quel povero falegname è davvero più importante condannare due giornalisti che hanno pubblicato dei documenti riservati, quando quegli stessi documenti rivelano scandali enormi proprio sul rapporto corrotto fra loro e il demone del denaro? Davvero l’immagine è più importante della sostanza? “Commercio e sviluppo internazionale” al Dipartimento di politica e Studi internazionali dell’Università di Cambridge. Conosceva l’arabo, parlava l’inglese e il francese… Giulio era un cittadino del mondo, era uno come noi, che desideriamo viaggiare, conoscere, relazionarci con le culture e le tradizioni degli altri. Istruzione di Fiumicello, prof. Bruno Lasca e la professoressa Michela Vanni, che Giulio era un giovane “dalle grandi promesse sempre mantenute”, un pacifista interessato agli avvenimenti del mondo, avido di nuove conoscenze e aperto al futuro. D’altra parte la Chiesa sembra utilizzare due pesi e due misure. Per quanto possa essere ammirabile la sua reazione immediata a questo reato, individuando i colpevoli e facendo iniziare i processi in così breve tempo, per tutti i reati e le informazioni pubblicate in “Avarizia” e “Via Crucis” non ha ancora fatto com- Ormai non ci resta che aspettare che la giustizia del Santo Padre faccia il suo corso per vedere la fine di questa storia e, se è vero che un giorno un uomo disse “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”, allora è meglio che tutti quelli coinvolti inizino a pregare, perché “iustitia caeca est” e non basta certo sfoggiare un crocefisso al collo o trasformare il vino in sangue la domenica per poter essere perdonati. E ora noi vogliamo la verità. Vogliamo la verità per far fronte alle ingiustizie, vogliamo la verità per imporci e per imporre le nostre idee, per salvarci da un mondo intriso di iniquità e di soprusi, per difendere quella “libertà soggettiva” che Socrate ci ha insegnato ad amare. Giulio, non temere, non ci arrenderemo, otterremo quella Verità, in tuo nome, per il tuo nome. Giulio non aveva paura degli altri. Chi lo ha conosciuto bene lo ricorda con le lacrime agli occhi, ribadendo, come hanno fatto l’Assessore alla Cultura ed E tu sarai ancora vivo, e noi tutti, cittadini del mondo, non ci fermeremo, non avremo paura, perché tu non ne hai avuta. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 8 Attualità Le elezioni presidenziali americane Federico Collavini 3B 11 2016 sarà un anno fondamentale, un anno in cui molti conti si regoleranno: forse tramonterà il sogno dell’unione politica in Europa, forse la recessione economica allenterà la sua morsa. Sicuramente negli Stati Uniti emergeranno i due contendenti alla carica presidenziale. La campagna elettorale si è fatta sempre più accesa negli ultimi mesi, la maggior parte dei candidati adotta comportamenti atipici e anticonformisti, alcuni rappresentano un’America che mai prima d’ora aveva puntato così in alto. Le grassroots di Ted Cruz, Marco Rubio e Bernie Sanders si oppongono ai ricchi finanziatori di Donald Trump e Hilary Clinton. Personalità forti e carismatiche, volti nuovi e conservatori, politici di grande esperienza e progressisti. Tra i repubblicani figure come Bush e Romney hanno lasciato il posto al dirompente Trump, al pacato Cruz e al giovane Rubio. The Donald è il personaggio più discusso del panorama elettorale; con le sue affermazioni, forti e discriminanti, lontanissime dal politically correct tanto caro a Barack Obama, ha catalizzato l’attenzione dei media. Ricco e famoso imprenditore, dall’alterno successo, finanziò nel 2008 la campagna di Hilary Clinton. Ora è sceso in campo, è il candidato più imprevedibile, controverso e criticato, ma all’aumentare degli attacchi crescono i consensi. La sua arma principale è un linguaggio non filtrato, l’esposizione vistosa dei suoi difetti e delle sue idee. Trump dice ciò che pensa, presenta le cose come stanno, anche se si tratta di realtà scomode: questo è il messaggio che trasmette ai suoi elettori, attraverso frasi semplici e ad effetto, il cui fine non è avere un senso compiuto, ma stupire il pubblico. La vittoria di The Donald lascerebbe l’intero mondo col fiato sospeso. I suoi due avversari, Ted Cruz e Marco Rubio, rappresentano alternative meno incognite, più moderate e concrete. Entrambi di origine cubana, aborriscono il socialismo e sono animati da una forte fede cristiana. Li accomuna un profondo disprezzo per la Casa Bianca e per le politiche del Presidente Obama. Predicano agli elettori il realizzarsi del sogno americano: qualsiasi uomo, partendo dal nulla, può avere successo e conquistare posizioni di rilievo all’interno della società. Il loro obiettivo principale è il ritorno degli Stati Uniti al ruolo di superpotenza, sia economica che militare, in grado di garantire la sicurezza internazionale. Essi non sono finanziati dai grandi magnati, ma guidano le grassroots alla ribalta. Ted si presenta come l’erede di Ronald Reagan, Marco come il giovane volto della politica americana. Sul versante democratico i due contendenti alla carica presidenziale hanno una visione progressista e l’intenzione di proseguire e migliorare il progetto di Obama: sanità ed istruzione accessibili a tutta la popolazione, politiche ambientali efficaci e una classe media che regga le sorti del Paese. Nonostante i loro programmi abbiano molti punti in comune, Hilary Clinton e Bernie Sanders sono due personalità assai divergenti. La consorte di Bill è la grande favorita: alle sue spalle ha l’apparato organizzativo più imponente ed è in assoluto il candidato che ha ricevuto più finanziamenti. I diritti civili, le pari opportunità, la difesa delle minoranze e una politica estera più decisa sono i suoi cavalli di battaglia. Dovrà abbandonare l’aura di white privilege che la circonda e convincere gli americani di poter risollevare il Paese e riportarlo in auge. In caso di vittoria sarebbe la prima donna ad entrare nello Studio Ovale come capo di Stato e una nuova ondata di cambiamento percuoterebbe il mondo. D’altro canto, Bernie Sanders è una figura altrettanto rivoluzionaria. L’anziano senatore è riuscito nella formidabile impresa di creare un’alternativa a Hilary Clinton all’interno del Democratic Party. Mai prima d’ora era accaduto che negli Stati Uniti idee così progressiste, definite dallo stesso Sanders come socialiste, riscuotessero un tale successo. Bernie predica la lotta incondizionata contro la superclasse di miliardari che, dopo la caduta del Muro di Berlino, ha monopolizzato l’economia globale, l’aumento dei controlli su Wall Street e, infine, l’abbattimento delle disparità sociali. La classe media e il suo benessere sono al centro del programma politico del senatore newyorkese. Il successo di Bernie Sanders potrebbe significare un’America diversa, un’America migliore. I profili dei cinque favoriti esprimono gli Stati Uniti contemporanei e la strada che percorreranno in futuro. Differenze importanti si delineano anche all’interno degli stessi schieramenti, mai come ora il prevalere di una fazione sull’altra segnerà indelebilmente il mondo. Un mondo che scalpita. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 9 Crescita o decrescita? Benedetta Ardito 3C Lo scorso 2 febbraio in occasione di Friuli Future Forum, un’iniziativa promossa dalla Camera di Commercio per discutere di ricostruzione economica del futuro, Udine ha avuto l’onore di ospitare Serge Latouche, filosofo-economista francese oggi al centro del panorama mondiale in quanto ideatore della “decrescita felice”. Classe 1940, è uno degli animatori della Revue du MAUSS (movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali), presidente dell'associazione «La ligne d'horizon», professore emerito di Scienze economiche all'Università di Parigi XI e all'Institut d'études du developpement économique et social (IEDES), nonché autore di numerosi libri (fra gli ultimi per esempio “Per un’abbondanza frugale” o “Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata”). Latouche è arrivato a Udine in treno (inquina infatti meno dell’aereo) e quasi impossibile da contattare perché uno dei pochi rimasti per scelta senza telefono cellulare. Appena entrato in sala ha catturato subito l’attenzione di tutti con un saluto dall’accento così marcatamente francese che a stento il pubblico confidava in una conferenza interamente in italiano come promesso; il suo aspetto associabile al tipico stereotipo dell’aria da “filosofo parigino” era sottolineata dal suo abbigliamento trasandato: una giacca marrone fuori moda consumata dagli anni, i pantaloni informi, la barba volutamente incolta. Insomma, un personaggio interessante. Si è fatto ancor più interessante quando ha iniziato a parlare: per iniziare scherzando ci ha raccontato di come, prima che iniziasse la crisi nel 2008, la sua filosofia economica fosse derisa e tenuta in basso conto e di come invece ora, falliti i tentativi di riforme anti-crisi a livello euro- peo, le sue idee vengano poste su un piedistallo. Ereditando e sviluppando il pensiero di Karl Polanyi e Ivan Illich, ha elaborato un’analisi critica dell’economia occidentale, fatalmente destinata al collasso, e ha articolato una prospettiva economica alternativa che, proprio per l’inversione di tendenza che propone, è nominata “decrescita”. Partendo dal presupposto infatti che in un mondo finito non è concepibile uno sviluppo infinito, egli sostiene appunto che una “decrescita felice” sia meno utopistica di una crescita continua. Si tratta della riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l'obiettivo di stabilire delle relazioni di equilibrio ecologico fra l'uomo e la natura. Il tutto senza perdere di vista l'uguaglianza tra gli esseri umani. La decrescita non teorizza la rinuncia allo scambio dei beni e delle merci, ne teorizza la riduzione a favore di una maggiore qualità della vita diffusa e di un benessere ecologico a tutela della vita sulla Terra. Egli dice: “Non ci opponiamo ciecamente al progresso, ma ci opponiamo al progresso cieco.” Osserva quindi che la necessaria limitazione dei nostri livelli di consumo e di produzione non riporterà ad una vita di privazione e fatica, ma ad una riscoperta di creatività e convivialità, ad un ritorno di benessere inteso come un bien vivre che tiene conto di aspetti immateriali e normalmente “dimenticati”, quali la cultura, il tempo libero, le relazioni umane. Niente di nostalgico, niente che possa far pensare ad un regresso: piuttosto un’alternativa non solo economica, ma anche esistenziale, che permetterà di uscire radicalmente da questo distruttivo sistema. Latouche si mostra molto critico anche verso il tanto nominato “svi- luppo sostenibile”, una vera e propria presa in giro, una maschera della consueta produzione consumistica, che superficialmente appare rispettosa verso la natura, ma in sostanza risulta inutile. “Lo sviluppo sostenibile è come la via per l'inferno, lastricata di buone intenzioni.” Tante le domande e i dubbi che sorgono in sala alla fine del suo intervento, tanti i punti lasciati oscuri della sua vasta trattazione filosofica. La “vecchia generazione” appare maggiormente aderente ai concetti proposti, sarà perché ha vissuto in prima persona gli anni del “boom economico” e della conseguente crescita smoderata che tanto si critica, sarà per un pessimismo dettato dagli ultimi anni di grave crisi. Fra i giovani presenti (i nati dopo gli anni ’70) si nota invece una certa perplessità mista a curiosità, sentimenti che rifletto anche in me stessa: avendo vissuto sempre col mostro della crisi, dell’austerità, del mito del consumismo e avendo una vita ancora davanti, solamente il concetto di “decrescere” appare quasi come un “accontentarsi”, un non trovare un’altra soluzione al distruttivo petrolio, un non credere più nella razionalità dell’uomo nel capire il proprio limite. Ora che il limite è stato raggiunto, veramente l’umanità sceglierà la strada dell’autodistruzione? Sarò io troppo giovane e troppo ottimista per non voler cedere e sperare piuttosto in un nuovo tipo di crescita economica, seppur necessariamente diversa da quella attuale, fatto sta che, a mio parere, la vera pecca della filosofia di Latouche è che si tratta appunto di filosofia, quando invece l’economia, da cui facciamo dipendere la nostra sorte, è fatta di numeri e fatti concreti. Se solo bastassero le belle parole per cambiare il mondo. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 10 Cronaca Le stagioni titaniane Simone del Fabro 2D “Non ci sono più le mezze stagioni”. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Sulla Terra tale fenomeno è dovuto all’inquinamento e al riscaldamento globale del pianeta, ma non su Titano, la luna più grande di Saturno. La NASA, infatti, ha scoperto che, negli enormi laghi di metano di questo satellite, si verificano fenomeni esogeni simili al nostro scioglimento dei ghiacciai. Questo non è dovuto a una temperatura anomala della sua atmosfera, ma è del tutto normale. Poco tempo fa, la sonda Cassini, in orbita intorno a Saturno, ha rilevato dei movimenti paragonabili alle nostre onde e anche delle bolle di gas che salgono in superficie. I dati hanno sconvolto i ricercatori, i quali sono arrivati alla conclusione che su Titano ci sono delle stagioni, anche se con frequenze più dilatate, simili a quelle terrestri. Il prossimo appuntamento con la primavera titaniana è previsto per il 2017. Tutte queste scoperte hanno rivoluzionato il modo di concepire il Sistema Solare. Infatti, fino a un secolo fa, si pensava che il pianeta più simile al nostro fosse Venere, a causa della sua dimensione paragonabile all'”arancia blu”. In realtà, Venere è un vero e proprio inferno, con temperature di 460 °C e piogge acide: non è proprio il miglior posto del mondo… anzi, dell’universo. Invece, dal 2005, da quando su Titano si posò la sonda Huygens, sappiamo che questa luna ha un clima simile a quello della Terra primordiale, con la differenza che la nostra acqua è sostituita dal metano. vero amore, visitare luoghi fantastici,…Più tempo passi su internet, su questi siti web, più la tua concezione di realtà cambia e pensi che sia quello il mondo adatto in cui vivere; improvvisamente è lì che ti senti te stesso. È facile rifugiarsi in un sogno che credi realtà perché la vera realtà è troppo dura o non ti piace abbastanza. Molto spesso vorresti scappare dai problemi, dai genitori che non ti capiscono, dalla scuola troppo stressante, dagli amici, dagli impegni,… e quale modo più semplice se non quello di crearsi un’altra realtà? La tua realtà? Cambiare. Diventare un’altra persona: perché lì, in un gioco, puoi essere chiunque tu voglia: puoi essere forte, coraggioso, dolce, romantico, spavaldo o arrogante. Puoi assumere l’aspetto che avresti sempre voluto avere, ma che sai non avrai mai; e, anche solo per poco, sei felice. Anche perché, in un mondo come quello virtuale, basta avere, ad esempio, una spada per andare ovunque vuoi. Sarà anche un ambiente virtuale, ma ti senti più vivo lì che nel mondo delle persone reali. Così cominci a isolarti, rifiuti la realtà che sei costretto a vivere e una sorta di apatia ti accompagna per tutta la giornata, fino a quando non arrivi a casa e hai finalmente la possibilità di tornare… a “casa”. Può sembrare un gioco di parole, ma è quello in cui molte persone si perdono. Una volta, in un film, il cui nome adesso non ricordo, sentii queste parole che mi colpirono molto: ”Ogni uomo vive condizionato dalle proprie conoscenze e dai propri giudizi a cui dà il nome fallace di realtà. Ma le conoscenze e i giudizi sono cose ambigue. È possibile che la tua realtà sia un miraggio, senza dubitarne tutti vivono nelle proprie false convinzioni, non credi?” Forse è vero: ogni uomo vive nella sua realtà, nel piccolo mondo che si è creato, proteggendolo da chiunque voglia intaccarlo. Un’eterna illusione. La vita può essere vista così. E le persone che vivono con noi? Chi sono? Come conoscerle? Perché nella tua realtà le persone sono chi vorresti che fossero, ma nella realtà di tutti? Credo che non ci sia differenza tra il mondo reale e quello virtuale. Tu non cambi dentro solo perché cambi fuori e le persone non sono mai ciò che fanno credere di essere. Quello che si vede, in fondo, è un mondo virtuale, unico per ogni uomo. Ma, non ha senso chiedersi chi siano gli altri, nella realtà: tutto ciò che possiamo fare è credere in loro e accettarli per quello che sono, perché così come noi li conosciamo, le persone sono in realtà. Perciò, forse, certe volte bisognerebbe smettere di chiedere, di domandarsi o anche solo di pensare. Bisognerebbe fermarsi, guardarsi, accettare ciò che si vede e cominciare… a vivere Realtà... o mondo virtuale? Mariasole Galgliano 3A Che cos’è la realtà? È ciò che vediamo, ciò che crediamo o ciò che pensiamo? La realtà è tutto ciò che esiste effettivamente, di solito contrapposto a ciò che è immaginario o, a volte, al sogno. Ma se la realtà è tutto ciò che esiste, allora qualcosa che io credo esista perché lo sento, è realtà? Da sempre l’uomo si è domandato cosa sia reale, o quanto meno, come distinguere la realtà dalla fantasia. Nella filosofia la dicotomia tra verità e apparenza viene da sempre ricercata, e abbraccia non poche branche di questa disciplina: la gnoseologia, la metafisica, l’ontologia etc.Ma parlare della realtà basandosi sulla filosofia richiederebbe troppo tempo e in questo articolo non è mia intenzione fare una lezione di filosofia; quello di cui voglio parlare è il concetto di realtà per noi, ragazzi e ragazze del XXI secolo.Siamo la generazione dei telefoni, dei computer, di Facebook, Instagram e chi più ne ha, più ne metta. Ma, essendo la generazione di tutte queste tecnologie, talvolta veniamo sopraffatti da esse, tanto da sforare nell’assurdo, perdendo la cognizione del tempo e non riuscendo più a distinguere la realtà dal mondo virtuale. Esistono un gran numero di siti web e di social che ti danno l’opportunità di fare tutto ciò che nella realtà non puoi fare: costruire i tuoi villaggi, combattere battaglie straordinarie contro mostri leggendari, trovare il C’è la possibilità che Titano ospiti la vita? Forse essa potrà svilupparsi quando il Sole si trasformerà in gigante rossa producendo un calore così grande da poter dare avvio all’evoluzione. Ma ciò si verificherà tra cinque miliardi di anni. E io penso che, per quella data, saremmo tutti assai liberi da impegni per poter assistere allo spettacolo... SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 11 Chapeau Ricordo sulle foibe Dino Pavlovic 4B Letizia Rigotto 3C Poco tempo fa, precisamente il 10 febbraio, si è celebrato il giorno del ricordo, festa nazionale con la quale si vuole commemorare i quasi diecimila italiani gettati, vivi e morti, nelle foibe. Questa è solo una delle tante stragi avvenute nel XX secolo e di certo non una delle più tristemente famose (basti pensare al genocidio degli ebrei che avviene sostanzialmente nello stesso periodo), ma per gli italiani, e più nel particolare per i giuliani, non passa inosservato. Mentre da una parte i tedeschi effettuano l'eliminazione sistematica degli ebrei, dall'altra le truppe del maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani: i destinatari di queste violenze dovevano essere originariamente i fascisti, giudicati "nemici del popolo", ma ben presto non ci si sofferma più di tanto sull'orientamento politico e si getta nelle foibe anche donne, anziani e bambini, indipendentemente dal partito cui appartengono. Nel 1945 finisce la guerra, ma non finiscono le stragi da parte dei titi- ni che andranno avanti fino al 1947 quando viene fissato il confine tra Italia e Jugoslavia. All'annessione dell'Istria e della Dalmazia, principalmente di popolazione italiana, comincia però una migrazione che coinvolge trecentocinquantamila persone che si trasformano in esuli e che non vengono accolti bene in Italia: la sinistra italiana, ideologicamente vicina a Tito e perciò non interessata ad affrontare il dramma delle foibe, li ignora, la classe dirigente democristiana non mostra interesse per i profughi dalmati considerandoli, come afferma lo storico Giovanni Sabbatucci, "cittadini di serie B" e i neofascisti, poiché ai tempi del massacro (1943-1945) il territorio era sotto l'occupazione fascista, non affrontano la questione. Questo episodio è dunque stato ignorato per oltre cinquant'anni e solo nel 2005 il Parlamento ha deciso di dedicare una giornata al ricordo delle migliaia di vittime infoibate di cui solo una, Graziano Udovisi, è sopravvissuta. Nella scorsa assemblea d'istituto ho assistito all'ennesima riprova del preoccupante stadio di metastasi civile e politica italiana. Di fronte a un insulto al valore delle lotte civili fatte finora, si è ipocritamente (spero) invocato il rispetto delle opinioni. Pensavo che il dibattito sulla contronaturalità dell'omosessualità fosse finito da un pezzo e nessuno potesse azzardarsi a riaprirlo con delle topiche da perfetto cretino che pesano sulla coscienza pubblica e sul morale di chi, ogni giorno, soffre il dramma non della sua condizione (l'omosessualità è una sessualità come un'altra, come l'eterosessualità o la castità), ma della condizione di viscerale stupidità dei suoi persecutori. Chi ha osato dire di rispettare un'offesa alla sacralità della libertà sessuale o ha invitato a farlo, ammettendo così che l'omofobia oggi va ancora rispettata, ha mancato di rispetto, oltre che a me, a moltissimi omosessuali che di fronte a ogni discriminazione si aspettano almeno un po' di solidarietà. Andate a dire alla madre del ragazzo istigato a impiccarsi sul corrimano di una scala che rispettate l' "opinione'' che sta a monte del bullismo omofobico e dell'inaccettabile discriminazione sessuale di cui era vittima suo figlio. Io non rispetto l'omofobia, non rispetto il razzismo, non rispetto la stupidità di chi vorrebbe sindacare, con chissà quale diritto, nella vita degli altri. Voi sì? Chapeau. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 12 Giornata della memoria Emma Rinaldi 4C Mia nonna è ebrea. La Seconda Guerra Mondiale l’ha colta di sorpresa quando era ancora una bambina. É stata perseguitata, separata dalla sua famiglia, privata della sua identità e derubata, infine, della sua stessa madre. Tuttavia ne è uscita illesa, senza aver provato, almeno non sulla sua pelle, la dura realtà dei campi di sterminio. Fortunata perché la persecuzione è un ricordo di mia nonna, non mio: per me, tutto ciò non è “ricordo”, è solamente “passato”. Fortunata, infine, perché sono passati quasi ottant’anni, e questo passato non mi fa nemmeno più paura. Forse perché la storia studiata a scuola sembra così distante, quasi irreale: una favola che recitiamo a memoria davanti ai professori, magari menzionando qualche dato per apparire ai loro occhi più preparati, come “gli ebrei sterminati furono più di sei milioni”. Guardandola negli occhi, io non posso fare a meno di pensare a quanto sono fortunata. Fortunata perché ho imparato il significato della parola “olocausto” cercandola, banalmente, sul dizionario. Fortunata perché la Seconda Guerra Mondiale l’ho conosciuta tramite un libro di storia. Con quanta superficialità, con quanto distacco emotivo pronunciamo queste parole: noi non sappiamo cosa significhino, non siamo in grado di cogliere la smisurata sofferenza che si cela dietro a esse. Sei milioni di vittime sono troppe per figurarcele, è un numero al di sopra della portata della nostra immaginazione. Io e lei non parliamo della Guerra, probabilmente perché essa è tanto atroce quanto indescrivibile, ma mi basta guardarla negli occhi per prendere coscienza del fatto che io sono al mondo perché lei ha saputo farsi coraggio e resistere. Io sono qui perché lei, giovane e innocente, non si è fatta sopraffare dagli orrori di una guerra massacrante, non si è fatta abbattere da quel sistema che la accusava e riteneva colpevole del semplice fatto di essere ebrea. “Hanno dimostrato per tutti i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell'uomo dopo millenni di vita civile, e questa è opera demoniaca” Primo Levi Ma io non mi farò ingannare da un libro di storia freddo e distaccato, perché la vera Storia non è scritta lì, letteralmente appiattita, spogliata, sepolta, schiacciata tra mille altri eventi e date. La vera Storia è scritta, o meglio impressa, indelebilmente negli occhi e nel cuore di mia nonna. Io mi sento in dovere di dare un senso agli orrori che quegli occhi hanno visto e alle sofferenze che quel cuore ha provato. “Ditemi: dov’era Dio ad Auschwitz? La risposta: e l’uomo dov’era?” William Clark Styron In che modo? Comincerò con il non dimenticare. Io mi immagino l’olocausto come una ferita profonda e inguaribile, una ferita che non si cicatrizzerà mai del tutto, una ferita che mia nonna recherà per sempre con sé nel suo cuore, che io conserverò nel mio e che tutta l’umanità dovrebbe portarsi appresso come triste eredità di un passato che ci fa tanto vergognare, segno indelebile di un pezzo di storia che brucia e che ci trascineremo dietro come un peso e come una colpa comune, che possiamo espiare solo ricordando e ricordando ancora. Possiamo sì cercare di seppellire sotto un mucchio di distrazioni questo terribile dolore, ma esso ritornerà incessante per ricordarci di cosa è stato capace l’uomo. É proprio quello che meritiamo e il giusto stimolo a non dimenticare mai. Cara nonna, non scorderò mai i tuoi occhi. Ti sarò eternamente grata per aver resistito e avermi donato in questo modo la vita. Tu mi lasci un’eredità scomoda, perché inevitabilmente si tramuta in doloroso senso di colpa: sono troppo fortunata, non mi merito l’agio e la spensieratezza in mezzo ai quali vivo. Poi mi ricordo che tu, con la tua sofferenza, me li hai garantiti. Mi hai donato la pace e l’orgoglio: la pace di un mondo più buono e l’orgoglio di avere una nonna come te. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 13 Sofia Giunta 5D È da pochi giorni trascorsa la Giornata della Memoria, quel 27 Gennaio che ogni anno ci riporta sotto gli occhi il tragico genocidio ebraico, con un’onda d’urto spesso difficile da contenere, un risveglio della coscienza che per un giorno fa sì che il nostro sentirci europei, e italiani, sia calato del tutto all’interno di un capitolo assolutamente drammatico e brutale della storia. L’insensatezza e la vastità del consenso scaturiti da un’idea simile - l’idea dello sterminio di un popolo intero - ci mettono di fronte ogni anno ad un ribrezzo comune, una condanna netta e senza tentennamenti che nasce dal cuore, dal senso di umanità di tutti noi e che ci fa riflettere su quanto accaduto. “La luna correva fra le nubi; non c'erano più le cose, non c'erano più gli uomini, ma solo il lamento degli uomini” Mario Rigoni Stern Per un giorno, continuiamo a ribadire quel concetto di distanza che speriamo di mettere tra noi e “loro”, i generali senza scrupoli come Adolf Eichmann, principale artefice della “soluzione finale” pianificata con un razionalità di ghiaccio agli inizi del ’42. Ma è sufficiente un giorno per renderci davvero conto delle proporzioni della spietatezza umana? È sufficiente spogliare della loro umanità e condannare per un giorno come “mostri” quegli uomini, quelle donne che, in quanto esecutori materiali del massacro più vasto della storia, per noi “uomini” e “donne” non sono? Per molti la risposta è un no, convinto, e questo pare assolutamente natu- rale e comunemente accettato: la risposta è no perché il ricordare dev’essere una scelta quotidiana, da rinnovare ogni giorno. La nostra coscienza non può accontentarsi di celebrare la Giornata della Memoria. Deve invece cercare di indagare il più possibile, conoscere e poi tramandare un ricordo non sterile di quei terribili eventi, diventando così portatrice attiva della memoria storica. Se è vero che tutte le nostre esperienze quotidiane sono intrise di storia, allora si tratta di un processo senza il quale non possiamo andare avanti: l’unico modo per dare un vero significato a quello che facciamo è conoscere e dare senso a ciò che c’è stato prima, e dobbiamo farlo con interesse, perché siamo noi a desiderarlo, e non delle scadenze fisse, non delle date sul calendario. Ma c’è un ulteriore fattore da tenere presente, spesso dato per scontato. La Storia, è vero, è nostra “maestra di vita”, ma non possiamo accontentarci di trasmettere a chi verrà in futuro l’importanza che ad essa attribuiamo, se non riusciamo a calarla nel presente. Il passo più difficile da compiere è vivere con credibilità il nostro tempo, con gli strumenti che la storia ci ha dato. Deve maturare una sorta di nuova sensibilità nei confronti del mondo che ci circonda, a cui spesso tendiamo a non dare ascolto. È solo grazie all’informazione, all’approfondimento, alla cura del nostro bagaglio culturale che saremo in grado – in maniera efficace, questa volta – di parlare di Storia e capirne davvero il significato. Capire in che società e in che tempo viviamo, è un favore che dobbiamo in primo luogo a noi stessi e poi agli altri. Soprattutto alla luce dei fatti di sangue che ogni giorno occupano le prime pagine dei nostri quotidiani, alla luce della complessità di un mondo che si sta sempre più radicalizzando, dove l’individuo è troppo spesso vittima del pensiero di altri, dobbiamo essere testimoni attenti e spiriti critici. Spesso si sente dire che la colpa di quanto accadde in Germania fu in gran parte attribuibile a quelle migliaia di tedeschi che si lasciarono plasmare dalle idee deviate di un solo uomo, e che non si opposero e non espressero il loro dissenso di fronte ad esse. Oggi, abbiamo gli strumenti per dissociarci di molto da quell’apatia in parte colpevole. Il genocidio ebraico è ancora una ferita aperta nella storia mondiale perché fa male ad ognuno di noi sapere che l’uomo è stato capace di un tale livello di atrocità. Ma, se sapremo leggere con le giuste chiavi interpretative e i giusti scrupoli morali i singoli avvenimenti che si susseguono, giorno dopo giorno, attorno a noi, allora l’Olocausto sarà finalmente ricordato in maniera più significativa e profonda, e noi avremo la certezza una volta per tutte che bestialità del genere non si ripetano mai più. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 14 Cronaca Scusi, ha da spegnere? Filippo Cerchio 3D Carissime fumatrici, carissimi fumatori, ma anche comuni individui dai polmoni illesi,e' mia intenzione quest'oggi parlare a quanti di voi non ne fossero ancora al corrente di un neonato provvedimento, presentato nel decreto n. 221 del 28 dicembre 2015 (“Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”) e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 18 gennaio 2016, ma effettivamente vigente a partire dal 2 febbraio dell'anno corrente. Questa porzione di decreto che, come potete ben intuire dall'apostrofe iniziale, vi tange direttamente, consiste nel divieto di gettare al suolo rifiuti di varia tipologia (carte, cartine, biglietti, gomme da masticare, ecc. ma soprattutto mozziconi di sigaretta, dato che di questo si tratterà particolarmente, al solo scopo di rendere paradigmatica anche per gli altri tipi di consumo “usa e getta” la situazione di una “categoria” sociale colpita dal divieto, che è quella dei fumatori). Di primo acchito, cosa si potrebbe trovare di errato in tale provvedimento? E' una normativa corretta, legittima, anzi necessaria, che tiene conto del fatto che l'ambiente che ci circonda debba essere tutelato dalla barbarie, anche se involontaria, ingenua e sicuramente in buona fede, dei passanti che, con piccoli oggetti, rifiuti e quant'altro, contribuiscono incessantemente a determinarne il degrado (e con questo non voglio colpevolizzare nessuno in particolare). Ragionandoci un po' sopra, però, credo non sia particolarmente difficile carpire la tenera follia alla base di questo divieto: a rigore di logica, quale individuo, magari con esperienza di tabagismo pluriennale che gli ha mentalmente consolidato una piccola, insignificante ma terribilmente inestinguibile abitudine nel gettare a terra i mozziconi delle sigarette, credete che percepisca questo divieto come un effettivo impedimento al suo gesto ormai automatico? La situazione, dal mio punto di vista, non si modifica sostanzialmente, poiché se prima i fumatori (o almeno la maggior parte di essi) erano soliti gettare i residui delle loro sigarette per terra senza curarsi di possibili o reali osservatori, ora basterà loro scegliere il momento in cui gettare la sigaretta per terra, dopo essersi accertati che non vi sia intorno a loro una pattuglia che possa fermarli e punirli secondo legge; sarebbe anche consigliabile che, nel momento della caduta del mozzicone dalle dita del fumatore al tocco del suolo, il suddetto consumatore di tabacco si curasse di non essere visto proprio da nessuno, evitando così la possibilità di imbattersi in un convinto e logorroico ambientalista che potrebbe finirlo con discorsi tanto legittimi quanto stancanti. Con questo non ritengo assolutamente corretto ogni atteggiamento che infranga le norme vigenti, e non intendo incoraggiare nessuno a compiere tali gesti. E' una banale constatazione: i costumi (che in questo caso sono quotidiane abitudini) sono più forti delle leggi. Sarebbe sicuramente magnifico che, tramite il decreto, lo Stato riuscisse a generare nella coscienza di ogni cittadino un senso civico tale da rivolgere la sua attenzione anche ai problemi ambientali; il motivo scatenante, quello del problema dell'inquinamento stradale, e il fine per cui questa norma è stata approvata, ovvero la sensibilizzazione in merito al problema e anche la sua soluzione relativa ad un ambito particolare, sono nobili e degni di rispetto; ma, come già spiegato, credo che la pigrizia insita quasi geneticamente nella natura umana non permetterà a questo divieto di attecchire omogeneamente fra la popolazione. Si potrebbe tranquillamente obiettare: “Ma anche per reati più gravi esistono norme che li proibiscano, eppure una parte di popolazione, esigua ma presente, continua a commetterli.” Anche questo è vero, ma in questo caso si tratta di un reato minimo, pur sempre reato, ma punibile con una multa dai 30,00 € ai 150,00 € e, è giusto dirlo, con un po'd'attenzione non si dovrebbe correre alcun rischio. Da fumatore, cercherò di attenermi rigidamente a quanto deciso e, da cittadino, ribadisco i miei elogi all'intenzione della legge, che ritengo validissima, elogi accompagnati, però, da fortissimidubbi. Continueremo ad assecondare ingenuamente le nostre solide abitudini o ci sforzeremo, per quanto il nostro essere pigri possa frenarci, di cercare un posacenere o un cestino nelle vicinanze, fosse solamente per sentirci cittadini migliori e rispettosi? Le incertezze sono molte: non ci resta che seguire amorevolmente la convalescenza di questo giusto, importante e ingenuo decreto. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 15 Parità di genere solo sulla carta Alessia Forte 3A 6 milioni 788 mila. Questo sarebbe in Italia il numero di donne che hanno subito nel corso della loro vita una violenza fisica o sessuale, stando ai dati Istat risalenti a giugno 2015. Per non parlare dei drammatici dati raccolti nel Terzo Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, i quali attestano che durante il 2014 sono state uccise 117 donne in ambito familiare, su un totale di 152 vittime feminili. Nonostante il fenomeno dei femminicidi e delle violenze sulle donne siano stati, negli ultimi anni, al centro della cronaca, ci si ostina ancora a sostenere che nella società e nel Paese in cui viviamo la parità dei sessi sia stata raggiunta, senza renderci conto che ciò è vero solamente dal punto di vista legislativo. Per smontare queste congetture basta riflettere sul fatto che sia stato necessario, nel 2001, creare una nuova parola nella lingua italiana per descrivere una particolare tipologia di omicidio compiuto, per una particolare e specifica causa, nei confronti di una donna . La parola femminicidio infatti non indica la semplice uccisione di una donna, fatto per il quale si usa il termine generico omicidio; bensì indica l’uccisione di una donna il cui movente risiede nel sesso della vittima, nel suo essere dunque femmina. Nella maggior parte dei casi, l’uomo che compie questo delitto è un componente della sfera familiare della vittima, un ex o uno spasimante, il quale si sente legittimato a compiere un atto simile per via della sua presunta superiorità in quanto maschio. Gli uomini che si macchiano di questi delitti il più delle volte agiscono per gelosia, in seguito alla fine di un amore, oppure perpetrano costante- mente violenze sulla propria moglie o compagna, come per ribadire una volta in più chi comanda, chi fra i due ha potere decisionale all’interno della coppia o del nucleo familiare, come se i rapporti amorosi si basassero su un’assurda forma di gerarchia. Queste donne il più delle volte non hanno il coraggio di ribellarsi e sporgere denuncia non solo per timore delle conseguenze, ma anche per vergogna, scarsa considerazione della gravità della loro situazione e per paura che la relazione finisca. Quest’ultima causa potrebbe sembrare apparentemente insensata, ma per le donne che si trovano a dover affrontare la scelta fra il porre fine alla relazione, e dunque alle violenze stesse, e il mantenere lo stato di equilibrio in cui si trovano (una casa, dei figli, un matrimonio,…), seppur questo comporti per loro dei maltrattamenti, spesso si rivela migliore la seconda scelta in quanto la prima causerebbe loro un maggiore investimento psichico. Accettano dunque una vita, se così si può definire, priva di qualsiasi libertà e diritti, come se fossero possesso dell’uomo. Nemmeno in ambito lavorativo la situazione è delle migliori: maschi e femmine hanno sulla carta gli stessi diritti, ma nella pratica il gap salaria- le tra uomini e donne in molti Paesi rappresenta un dato di fatto; ne è un esempio l’Italia, in cui il divario raggiunge circa il 7%. Inoltre, ancora oggi, molti lavori vengono considerati appannaggio delle donne o viceversa, ed è possibile notare come, all’aumentare del prestigio di un impiego, diminuisca il numero di donne che lo svolgono. Un altro problema che molte donne si trovano a dover affrontare una volta entrate nel mondo del lavoro è senza dubbio l’eventuale desiderio di costituire una famiglia. Ormai molti datori di lavoro si preoccupano più di capire se hanno davanti una giovane donna intenzionata ad avere bambini, fatto che le obbligherebbe ad andare in maternità, invece di prestare attenzione al suo curriculum. Preferiscono dunque assumere donne più anziane oppure uomini. Altre volte invece le dipendenti, al rientro dal periodo di maternità, si vedono spinte in tutti i modi da aziende e capi a rassegnare le proprie dimissioni. Le leggi che tutelino la parità dei sessi esistono e non lo si può negare. I problemi principali sono altrove, per esempio nell’educazione impartita ai bambini e alla mentalità che li si porta a sviluppare, poiché saranno loro in futuro i componenti della società. Un piccolo passo per migliorare la situazione sarebbe insegnare ai bambini fin da piccoli a rispettare le femmine non perché, appunto, femmine, non perché appartenenti al cosiddetto “sesso debole”. Bisogna far capire loro che si devono rispettare le femmine per il semplice fatto che sono delle persone esattamente come i maschi, e dunque spettano loro gli stessi diritti. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 16 Scuola Lettera aperta ad un compagno di classe Veronica Cojaniz 2A Premetto di non avere argomentazioni concrete, nel senso di dati oggettivi, per convincerti a non iscriverti in un’altra scuola; al contrario, ti propongo una mia personale prospettiva, che ritengo valida e che spero ti possa far cambiare idea. Se mi chiedi perché ho scelto questa scuola, ti rispondo: “Ho percepito la bellezza”. Ricordo di essere entrata in un giorno di Scuola aperta, aver visto la scalinata principale dell’atrio ed esserne rimasta incantata; subito dopo mi sono rivolta a mia madre che mi aveva accompagnato e le ho detto: “questa è la mia scuola”. Come vedi, non c’è stato nessun fattore razionale nella mia scelta, ma è proprio questo che mi ha garantito che non me ne sarei pentita, perché ciò che è originale e spontaneo sicuramente non ha subìto influenze, perciò è assai attendibile. Benché questa scuola sia per me quasi un tempio e un punto di riferimento fondamentale, posso capire perché tu sia tentato di andartene, dal momento che anch’io – come credo ogni studente dello Stellini – ho incontrato molte difficoltà. Le mie principali paure prima di cominciare qui le superiori erano la mancanza di tempo e la conseguente assenza di vita sociale (questa seconda, provocata dalle diffuse dicerie). Non nego che per “sopravvivere” nella nostra scuola si debba dedicare molto tempo allo studio, ma ciò – con una minima capacità organizzativa e forza di volontà – non diviene un ostacolo né alla pratica di altre attività (in un numero limitato, ovviamente) né, tantomeno, al mantenimento di relazioni sociali, e questo lo posso dire con certezza, basandomi sulla mia esperienza, e anche tu – credo – potrai confermarlo. Una seconda motivazione – probabilmente la principale – che forse ti ha spinto a pensare di cambiare scuola è la faticosa e costante applicazione allo studio: qui ritengo stia il nocciolo della questione; questi elementi però, caro amico, non possono neppure sostenere il confronto con ciò che essi stessi fanno raggiungere: una capacità di pensiero e di comprensione e analisi della realtà elevatissima, un padronanza del lessico e una capacità di gestione delle situazioni che nessun altro Istituto può garantirti. In particolare, io percepisco un quotidiano arricchimento personale, spirituale, e a questo proposito cito Ovidio, uno dei molti testimoni dell’importanza di una formazione classico-umanistica: «Costruisci per tempo uno spirito che duri a sostegno della bellezza: è l’unica dote che permane fino all’ultimo giorno di vita. Metti ogni cura a coltivare il tuo animo con le nobili arti e impara a fondo le due lingue dell’impero». Non c’è nulla, nulla che abbia più valore e che sia più eterno. Sono consapevole di non essere una fonte completamente attendibile, ma, come sai, grandi uomini di tutti i tempi hanno compreso l’importanza dei nostri studi al punto da fare della propria vita un’opera in loro onore: non sarà mica un caso, né parole dette superficialmente! Così voglio confutare anche un’altra opinione diffusa: gli studenti dei licei classici – una volta usciti dall’università – hanno poche probabilità di trovare un lavoro, “non hanno un futuro”. A parte il fatto che non è vero (per lo più la nostra scuola non esclude indirizzi di tipo scientificomatematico), questo tipo di affermazioni mi sembra alquanto limitato e limitante: con futuro, intendiamo unicamente trovare un lavoro? No, io credo che prima di tutto sia il tipo di persona che ognuno di noi vuole diventare, ciò che si vuole donare al mondo e il segno che vi si vuole lasciare: non c’è futuro senza ambizioni, e il liceo classico è sicuramente la scuola che più ti dà la possibilità di permettertele; neppure esiste un futuro senza passato, ed è per questo che ci dedichiamo così tanto allo studio della storia e delle lingue antiche. Infine, concordo con Roberto Vecchioni nel ritenere che «Non si vive solo di utile», e se comprenderai questo concetto non avrai più alcuna incertezza. La bellezza è la chiave di tutto ciò che ci circonda, non c’è nulla che conta di più, insieme alla passione per la vita; ti chiedo quindi di avere un minimo di fede nelle mie parole e in quelle di uomini brillanti che si sono conquistati l’immortalità credendo alle parole e agli insegnamenti dei loro avi. A volte mi sorge il dubbio che ogni cosa sia vacua, che in fondo l’arte, la filosofia e, in generale, la cultura, non abbiano alcun significato, quindi mi chiedo: perché affannarsi tanto? Ma, a mente più lucida, penso che non dovrei neanche ipotizzarlo, poiché è un’offesa all’umanità intera! Perché vedi, è il nostro patrimonio, la sola cosa che realmente abbiamo e che rimane, l’unica vera forza dell’uomo. È questo che mi ha insegnato la mia scuola e il motivo per cui le sono oltremodo grata: mi ha fatto apprendere il valore della bellezza, che sta pure in ciò che studi… Come disse Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo»! Anche nei momenti in cui maledico proprio il luogo che sto ora elogiando perché mi ha inoltrato nel profondo e infinito abisso della realtà dove naufrago, mi rincuora il fatto che ogni mattina, quando entro in queste mura, so che mi aspettano ore di scuola di vita che contribuiranno a costruire, mattone dopo mattone, quella magnifica cattedrale che diverrà la mia anima. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 17 Recensioni Il figlio di Saul Elena Magnani 5F Era inevitabile che il cinema si confrontasse con l'Olocausto.Il più tragico crimine di massa della storia moderna e il più potente mezzo per raccontarlo: il primo per definizione inespressibile, irrappresentabile nella grandezza del suo orrore ancora fresco; il secondo un linguaggio di natura popolare, volto cioè ai grandi numeri, al consenso del grande pubblico, che gli dà la vita ma ne riduce anche le possibilità. Dunque non solo la necessità del cinema di trovare le parole per raccontare la Shoah, ma anche di riuscire a raccontarla a tutti, di venderla al maggior numero possibile di spettatori. Era una sfida ambiziosa ma necessaria, perchè se è vero che il cinema racconta la nostra vita, allora l'Olocausto era un capitolo imprescindibile. E in molti ci hanno provato, con risultati a volte potenti, a volte edulcorati, a volte pietistici o esageratamente spettacolarizzanti, ma tutti sempre einevitabilmente impantanati nella questione morale del cinema che si misura con laStoria: quanto è giusto dire? Quanto è rispettoso mostrare? Alla fine siamo arrivati al paradosso, cioè al cinema della Shoah come cinema di genere, con i suoi topoi e le sue costanti il pigiama a righe, e i bambini innocenti, e il campo lungo sulle recinzioni di filo spinato il repertorio insomma da cui attingiamo a man bassa per le assemblee di istituto. Come se una storia valesse l'altra.Làszlò Nemes non vuole cadere in questa sorta di dimenticatoio cinematografico, e sceglie una strada ancora mai battuta per Il figlio di Saul. Una strada ancora mai battuta, sì, ma con una precisazione: de Il figlio di Saul la critica ha parlato finora come di un'operazione spregiudicata, ma l'innovazione di Nemes non è per forza un azzardo. Anzi, forse la sua è la meno coraggiosa delle scelte, sicuramente la più semplice. Il cinema precedente, fatto di eccessi di melodramma, di moralismo, di immagini, ha fallito: così Nemes sceglie di fare un film crudo e di poche parole. E se la Shoah è irrappresentabile, lui decide di non rappresentarla, di lasciarla letteralmente sfocata al margine della scena, che non a caso è in 3:4, il vecchio formato quasi quadrato che lascia allo schermo solo i primi piani. Ne Il figlio di Saul la videocamera non si stacca mai dal collo del protagonista Saul- dal suo viso, dai suoi occhi, perchè questo non è il racconto corale dei campi di sterminio, ma quello di un uomo solo e della sua solitudine. Saul Auslander è un ebreo ungherese che fa parte del Sonderkommando, la squadra di prigionieri che assiste i nazisti nello sterminio, svolgendone la bassa manovalanza. Un giorno, mentre sta ripulendo il pavimento di una camera a gas, vede un medico soffocare a forza un ragazzino fortuitamente sopravvissuto. Saul, dicendo che il ragazzo è suo figlio, ottiene di rimandarne l'autopsia e inizia un'ossessiva ricerca di un rabbino per dare sepoltura al corpo. Il figlio di Saul è l'incubo di un uomo già morto, sballottato per il campo come in balia della marea, costretto ad assistere a sofferenze atroci e spesso gratuitamente insensate senza battere ciglio, ma incapace, di fronte al fallimento della vita, di credere nel fallimento anche della morte, e perciò deciso ad ogni costo a dare sepoltura al ragazzo figlio suo come figlio di tutti e con lui alla parte migliore di sè stesso. Il suo è un dramma intimo e personale; e l'orrore, la riflessione e la colpa quelli universali, quelli che la Storia ci ha caricato sulle spalle. Saul li lascia inespressi e tutti per noi, da portarci a casa alla fine del film per farci i conti da soli. Quella di Nemes, seppure la più semplice e forse la meno coraggiosa, è una scelta vincente, perchè fa de Il figlio di Saul un film responsabile, un film onesto girato per amore della verità e per amore del cinema: e lo fa senza dire una parola. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 18 Terza pagina Dipendenza Biagio Sartori 3C Quella sera Joe stava passeggiando lungo il quartiere dove abitava. Il sole era tramontato da un pezzo ed era stato rallentato da alcuni scontri per i diritti degli omosessuali. Camminava con lo sguardo basso, tenendo la testa fra le nuvole e sbuffando spesso. Era particolarmente stanco e, mani in tasca, calciava via i sassolini ai lati della strada. Sapeva che appena sarebbe tornato a casa si sarebbe preso una bella ramanzina da sua madre. L'aveva persino obbligato ad aiutare, il giorno seguente, un vecchio che abitava dall'altra parte del quartiere. Il ragazzo non sapeva che affari avesse con lei quel burbero pianista in pensione. A Joe facevano solo comodo i soldi che gli avrebbe dato, visto che, benché in casa non mancassero, nessuno gliene prestava mai molti. Gli piaceva soltanto vestirsi come voleva, fare quello che gli piaceva, ascoltare musica e leggere qualsiasi libro lo emozionasse. Si divertiva come tutti gli altri coetanei, seguiva la sua squadra del cuore e andava in palestra. Però, persino se si scopriva innamorato, sapeva che per la maggior parte del suo tempo rimaneva un egoista. Dava fin troppo peso a questo problema e spesso perdeva ore intere a pensarci su. Non era però il momento opportuno, quindi accelerò il passo. Quando rincasò la madre lo rimproverò. Inoltre, come se non bastassero i grilli a tormentarlo, quella dannata notte a qualcuno venne la magnifica idea di farsi venire un infarto alle tre del mattino. Da quando passò l'ambulanza con le sirene che fendevano l'aria Joe non s'addormentò più. Fissò per il resto della notte il cielo fuori dalla finestra e il buio delle sue palpebre, senza però mai assopirsi. Il giorno seguente, lasciati i libri a casa, si recò nel primo pomeriggio dove abitava Patrick O'Bell, il vecchio che avrebbe dovuto aiutare in qualche faccenda, probabilmente riguardo alla casa. Il muretto del giardino dell'anziano appariva infatti bisognoso di una riverniciata e Joe temeva che quella sarebbe stata la sua occupazione fino a sera. Suonò il campanello d'ottone levigato e O'Bell aprì l'uscio che dava sul vialetto che attraversava il prato. "Buongiorno signore!" "Salve ragazzo, sei tu Joe? Beh, se sei tu vieni subito qua, hai molte cose da fare oggi." Patrick era un uomo sulla settantina, asciutto, completamente grigio di capelli, alto tanto quanto basta per arriva- re a prendere un barattolo dall'ultimo scaffale di una dispensa. Fissava tutti con i suoi occhi verdi e, tenendo sempre le braccia incrociate, parlava con una voce che in gioventù doveva essere stata quella di un discreto cantante. Egli aveva prima combattuto in guerra e poi, tornato nel suo paese, aveva intrapreso la carriera di pianista. Era finito però per sposarsi con una donna bellissima, secondo quanto dicevano, e diventare insegnante di musica. Quando Joe entrò vide delle foto attaccate ai muri: alcune della moglie, morta probabilmente pochi anni prima, altre dei figli, che avevano ormai le loro famiglie. Il vecchio diede al ragazzo i barattoli di vernice, i pennelli e una pacca sulla spalla. Sbuffando per aver indovinato cosa lo avrebbe aspettato, Joe si mise al lavoro. Per diverse ore spese le sue energie nello stendere il colore sul muretto. Per tutto quel tempo non vide mai il pianista che se ne stava in casa all'ombra, probabilmente a bersi una birra fredda, e che verso sera eseguì una sonata di Schubert. Terminato il lavoro, Joe entrò nella piccola cucina. "Vieni qui, dovrò pur pagarti" lo chiamò la voce del vecchio dalla stanza a fianco. Questa era riempita da alcuni scaffali riempiti con libri, sopra i quali la polvere ormai era diventata tanto compatta da farli sembrare scampati da un incendio, un vecchio tappeto sfilacciato sul pavimento in legno e un elegante e lucido pianoforte a mezza coda che occupava tutta stanza. Lì si poteva sentire la vera essenza del padrone di casa. Joe si sentì davvero piccolo. "Ti ho guardato, mentre lavoravi, oggi." esordì Patrick. "E cosa gliene importa a lei di come lavoro?" rispose il ragazzo, stupito da quella confidenza. "Nulla, solo che mi ricordi com'ero io molti anni fa. So che mi reputi soltanto un vecchio che deve mettersi a letto e decidersi a tirare le gambe. Quello che ti dico non è il discorso sconclusionato di un matto appollaiato sulla sua vecchiaia che vuole darti consigli a buon mercato. Voglio soltanto dirti di vivere sulle tue gambe e non fra i meandri della tua testa. Non servono a nulla. Cerca le grandi esperienze, ma ugualmente accetta la realtà e dà tutto te stesso in ogni cosa." "Ma lei che cosa vuole da me? Perché mi sta dicendo queste cose? " "Quando passi molto tempo a cercare di capire come vive la gente, riconosci al volo quello che ha la testa piena perché mentre lavora, invece di cantare, fissa lo sguardo e annega nel pensiero. Hai ragione a dire che la vita senza pensare non ha senso, ma attento a non perderti. Così come, al contrario, non devi smarrirti nelle distrazioni. Ricorda: il dubbio è ristagno." "Lo so" disse Joe turbato. "Mi dà i soldi?" "Tieni" Il vecchio tirò fuori una banconota da dieci. Joe per poco non si strappò per la rabbia la ciocca di capelli che si stava nervosamente attorcigliando. "Cosa? Solo dieci? Ho lavorato cinque ore!" "Ti posso dare solo questo. Ricorda quello che ti ho detto, buona serata." Joe non aveva il coraggio di mettersi a insultarlo in quel luogo che pareva quasi sacro. Uscì dalla porta di casa ripromettendosi che con i lavori per i vecchi aveva chiuso. Tornando a casa rifletté bene su quello che si era sentito dire. Effettivamente Patrick O'Bell non sbagliava. Quando entrò in casa si sentiva già diverso. Per la prima volta parlò a sua madre guardandola davvero in faccia mentre cenavano. Non avevano mai parlato così. Per diversi giorni fu come spaurito, privato del suo involucro impenetrabile di pensiero. Poi, lentamente, iniziò a lasciare che la vita gli apparisse davanti senza che lui abbassasse gli occhi. Raccolse tutto il coraggio sprecato nel risolvere i problemi che si era creato nella propria testa. Dopo qualche mese Joe era cambiato. Da quella sera non aveva trovato se stesso o altre cose di cui molti scrivono vagamente. Era solamente uscito dal bozzolo che lo confinava e lo aveva usato per spingersi come una farfalla al primo balzo. Non aveva più parlato con Patrick ma non ne sentiva il bisogno. Aveva già ascoltato tutto quello che gli serviva. Un giorno, mentre stava tornando a casa, passò davanti a un bar dal quale stavano portando via, a giudicare dalle urla, un anziano malato compulsivo di gioco d'azzardo. Ecco dov'erano finiti tutti i soldi che Patrick avrebbe dovuto dargli. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 19 Terza pagina Il ragazzo, la strada, il vecchio Giuseppe Beltrame 3C Spesso mi fermo in mezzo alla strada, tra le vie della mia città, e guardo. Guardo la vita che mi scorre davanti, che gioca, che si rincorre davanti ai miei occhi. Uomini e donne, indaffarati, indifferenti, neanche si guardano intorno, con la valigetta o la tracolla, camminano dritti, spediti, passo veloce, passo di marcia, passo di chi non arriverà mai. Non ho neanche il tempo di osservare, di ragionare sul volto, l’espressione, che son già scomparsi, perduti dietro ai loro troppi impegni. Per la strada poi corron bambini che giocano, guardano il mondo come fosse la prima volta, osservano i colori, la luce. Son curiosi, affamati di scoprire, sordi ai richiami dei genitori, ti guardano con quel loro sorriso fugace ma tenero, quasi delicato, poi scappano, felici, spensierati. Spesso il mio sguardo si posa, però, su alcune figure, procedono lente, si guardano intorno, ogni tanto si fermano, poi riprendono. Anziani, logorati dall’età, che continuano ad avanzare, a camminare nella vita. Ho tutto il tempo di osservarli e mi scopro sempre incuriosito da questi capienti vasi di esperienze, di avventure, di sto- rie. Spesso si accorgono di me, mi guardano, guardano per primi gli occhi, quasi tutti, dal primo sguardo capiscono molto. Ti osservano per qualche istante, poi “ciao, cosa fai?”. Lì comincia tutto, loro spesso non aspettano altro. Dimenticati da amici e parenti, in quel “cosa fai?” c’è ancora tutta la curiosità, tutta la voglia di vivere, di uno che non si rassegna, di uno che ha ancora tanto da dire. Io rispondo, educato, lì per lì un po’ stupito, ma poi pian piano comincio a parlare e a scoprire un mondo diverso dal mio, dal nostro, un mondo antico ma non vecchio, duro ma affascinante, un mondo da molti dimenticato, un mondo di lavoro, il Friuli degli anni ’40, il Friuli dei friulani e del friulano, il Friuli di une volte, i friulani che, nel bene e nel male, hanno dato tanto a questa nostra magnifica terra. Queste anziane figure non desiderano altro che continuare a raccontare, a chiedere, a conoscere. Io ne sono sempre compiaciuto, potrei parlare per ore, non si sente la differenza di età, anzi, spesso è un vantaggio. I problemi che si pone la nostra società, orgogliosa e senza memoria, sono spesso una barriera insormontabile, ma basta una strada, un ragazzo con un po’ di tempo, tra una versione e l’altra, che si ferma e guarda. Guarda un mondo che continua, grazie a qualcuno che l’ha migliorato, qualcuno che spesso dimentichiamo, qualcuno che non aspetta altro che chiederti quel “cosa fai?”, domanda che sa di vita a tutte le età. Siamo noi, noi giovani, noi futuro, noi speranza, che dobbiamo accorgerci di quel vecchio che passa, dobbiamo tendere la mano e ascoltare, quell’ascoltare che oggi è dimenticato in un mondo in cui tutti vogliono soltanto dire la loro. Noi siamo stati quei bambini spensierati e saremo quegli uomini attempati, ma un giorno saremo quel pedone tranquillo, che ogni tanto si ferma e poi riprende lento, risoluto su quella strada. Quel vecchio è la storia, storia che fa parte della nostra terra, delle nostre radici, della nostra vita. Poi mi mi accorgo che è tardi, saluto l’anziano, gli stringo la mano, vado verso la stazione, torno a casa, sempre pronto a fermarmi di nuovo, a guardare la vita, ad ascoltarla, carezzarla, viverla. che era costretta a prendere, la vera “cura” che la teneva lontana da esaurimenti nervosi, crisi depressive e forti sbalzi d'umore, che la perseguitarono tutta la vita. Riempiva, infatti, le lunghe e frenetiche giornate di parole tracciate sulla carta: le lettere, il diario, l’attività critica, i romanzi, i saggi e, per l’appunto, i racconti brevi. “Perché una volta che il male di leggere si è impadronito dell'organismo, lo indebolisce tanto da farne facile preda dell'altro flagello, che si annida nel calamaio e che suppura nella penna.” (Orlando) tà e figure retoriche, pensieri che, come fanno i colori, fondendosi fra di loro, ne generano di nuovi, il tema della guerra, che funge da sfondo, il rapporto tra il genere maschile e quello femminile. In quest’opera, tuttavia, a differenza di quelle successive, emerge una scrittura satirica, ironica e divertente. La migliore satira di Virginia Woolf si trova in uno dei primi racconti, intitolato “Una società”, le cui protagoniste, analizzando le opere artistiche e letterarie prodotte dal genere maschile a loro contemporaneo, rimangono sconcertate nel constatare che esse non sono di alcun valore. "A che scopo," chiede una di loro, "se gli uomini scrivono tale robaccia, le nostre madri hanno sprecato la loro giovinezza fornendo loro le gambe per camminare in questo mondo?" Decidono, dunque, sconfortate, di non Lunedì o Martedì Emma Mattiussi 3C Virginia Woolf (Londra, 1882 Rodmell, 1941) fu una delle più influenti scrittrici moderniste del Novecento, nota soprattutto per lo stile raffinato e ricercato di cui si serviva per esprimere il flusso della coscienza. Oltre alle opere maggiori, di cui fanno parte romanzi come “Mrs. Dalloway” e “Gita al faro” e il celeberrimo saggio “Una stanza tutta per sé”, la sua ampia produzione comprende anche una serie di racconti brevi, alcuni dei quali, selezionati personalmente dalla scrittrice, furono pubblicati nel 1921 sotto il titolo di “Monday or Tuesday”. La forma narrativa breve, confessa nel diario e nelle lettere, era per lei una pratica quasi liberatoria, nei periodi di pausa dalla grande fatica che le costava la scrittura di saggi o romanzi. In generale, l’atto di scrivere costituiva per Virginia Woolf, oltre agli psicofarmaci “Monday or Tuesday” è composto da otto racconti, i quali presentano tutti le caratteristiche che Virginia Woolf svilupperà in seguito, nei suoi romanzi di successo: la descrizione di scene di vita domestica o di eventi altrettanto banali, un linguaggio ricco di musicali- SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 20 Terza pagina In “Un romanzo mai scritto”, invece, il lettore viene introdotto al processo di creazione di una storia: a partire dalla figura di una donna incontrata sul treno e di cui non si sa nulla, l’autrice tenta di immaginare la sua vita, sviluppando un vero e proprio personaggio da romanzo. Di esso, tuttavia, come spesso fanno gli scrittori nell'abbozzare un nuovo libro, presto si stancherà. Questi personaggi, unicamente concepiti, ma mai partoriti dalla mente, sono i protagonisti di tutti i romanzi mai scritti, come il rododendro che Virginia Woolf cerca di inserire a metà racconto, per ravvivare la scena, cambiando, però, velocemente idea: “ma un rododendro a Eastburn – in dicembre – sulla tavola dei Marsh – no, no, non oso farlo.” Il lungo monologo interiore, la scelta di raccogliere uno dei tanti fili di pensiero ingarbugliati in testa, per poi districarlo e seguirlo cautamente con le parole, è una delle caratteristiche che distingue Virginia Woolf dagli autori tradizionali. Ne “Il segno sul muro”, per esempio, non accade nulla oltre alla mera presa di coscienza da parte cinquanta miglia all'ora - e ti deposita all'estremità opposta senza più alcuna forcina in testa! Sparato ai piedi di Dio completamente nudo! Con i capelli al vento come la coda di un cavallo da corsa. Sì, questo sembra esprimere la rapidità della vita, il perpetuo sciupare e riparare; tutto così casuale, così provvisorio..." I rimanenti racconti sono più brevi e più descrittivi. La liricità della prosa, curatissima e piena d’inventiva, contiene un universo costituito da impressioni visive e uditive, testimoni della passione per le parole di questa scrittrice, non solo a livello di contenuto, ma anche di suono. del narratore di una piccola macchia scura sulla parete. Questa banalissima circostanza dà luogo a una serie di pensieri concatenati e ironici sull'esistenza, dimostrando l’abilità di Virginia Woolf nel partire dai dettagli della vita per poi scrivere della vita in sé. “Se proprio si volesse paragonare la vita a qualcosa, bisognerebbe pensare a una metropolitana che ti trascina a La raccolta presenta, dunque, una Virginia Woolf giovane e alle prese con una grande sperimentazione linguistica; la lettura è scorrevole e sorprendentemente divertente. Troppo spesso accade che piccole raccolte, come questa, siano tralasciate e ritenute di minore importanza, esse sono, tuttavia, significative a comprendere l’autore e il suo stile quanto lo sono le opere maggiori. Diaro del seduttore di Søren Kierkegaard Paolo Lucca 3C "Quando, oramai maturo, Kierkegaard scriveva della propria giovinezza come d'un cammino di dissolutezze e perdizione, aveva già donato nuova vita nel "Diario del seduttore" ai suoi morti trascorsi da libertino. Il romanzo, pur non intendibile come fedele cronaca autobiografica, narra vicende fortemente vicine alla vita dello stesso filosofo, tradotto nella persona di Giovanni, seduttore diabolicamente scaltro. Il protagonista vive in questo breve epistolario l'ordinato resoconto della sua ultima ed ardita opera di seduzione, vittima della quale è la giovane Cordelia. Ma la trama, pur sembrando in sé forse banale e quasi scontata, rinnova continuamente un vivido interesse nel lettore, che é disarmato dal geniale raggiro psicologico ordito da Kierkegaard. "Conquistare l'anima di una ragazza è un'arte, sapersene liberare è un capolavoro". Il seduttore sensuale non realizza sé stesso nel possesso carnale, ma nella piena sudditanza mentale; egli si nutre del cedimento e dell'abbandono delle donne e ne gode superbamente come frutto di una strategia militare. La seduzione è pura arte, nasce dallo spirito e dalla parola e cresce con l'eleganza e l'ironia: "l'uomo deve parlare, e perció deve essere in possesso di alcune di quelle facoltà che costituivano il vero fascino di Venere: colloquio e dolce lusinga, vale a dire: l'arte di insinuare." Ma qualsivòglia forma di riflessione si edùca dal racconto di Giovanni non si puó e deve strappare al contesto culturale da cui è genita; il seduttore è la maschera romantica dell'esteta, è l'immoralità da scavalcare verso il momento ideale, etico-reli- gioso; l'edonismo, l'erotismo e, appunto, l'estetismo saranno trascesi dallo stesso Kierkegaard quando porterà la propia esistenza verso i nuovi traguardi della spiritualità. Il Diario del Seduttore é un'opera brillante e coinvolgente, è un continuo oscillare tra spirito e carne, tra l'accendersi del desiderio e lo spegnersi nel suo appagamento, ma è anche un calco esistenziale dell'autore che da sè confessa:"È regola di delicatezza, quando si scrive, non dire mai la verità, ma tenerla per sé e lasciarla soltanto rifrangersi sotto angoli diversi." Consigliato a coloro che ardiscano alla nobile scienza dell'ammaliamento, nell'auspicio che si rendano presto consapevoli della loro immoralità e si pentano della vacuità dei loro costumi. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 21 Rubriche Zensazionale Anonimo maestro zen Imparare a stare zitti Gli allievi della scuola di Tendai solevano studiare meditazione anche prima che lo Zen entrasse in Giappone. Quattro di loro, che erano amici intimi, si ripromisero di osservare sette giorni di silenzio. Il primo giorno rimasero zitti tutti e quattro. La loro meditazione era cominciata sotto buoni auspici, ma quando scese la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno degli allievi non riuscì a tenersi e ordinò a un servo: «Regola quella lampada!». Il secondo allievo si stupì nel sentire parlare il primo. «Non dovremmo dire neanche una parola» osservò. «Siete due stupidi. Perché avete parlato?» disse il terzo. Hyakujo, il maestro cinese di Zen, ancora all’età di ottant’anni conservava l’abitudine di lavorare coi suoi allievi, tenendo in ordine i giardini, sarchiando il terreno e potando gli alberi. Ai suoi allievi dispiaceva che il vecchio maestro faticasse tanto, ma poiché sapevano che sarebbe stato inutile consigliargli di smettere, gli nascosero gli attrezzi. Quel giorno il maestro non volle mangiare. Non mangiò nemmeno l’indomani e nemmeno il giorno seguente. «Forse è arrabbiato perché gli abbiamo nasco- sto gli attrezzi» immaginarono gli allievi. «Sarà meglio che li rimettiamo al loro posto». Così fecero, e quel giorno stesso il maestro lavorò e mangiò come prima. La sera li istruì: «Chi non lavora non mangia». Quando Mamiya, che divenne in seguito un famoso predicatore, andò da un insegnante per farsi istruire, gli fu chiesto di spiegare il suono di una sola mano. Mamiya meditò intensamente quale potesse essere il suono di una sola mano. «Non ti applichi abbastanza» gli disse l'insegnante. «Sei troppo attaccato al cibo, alla ricchezza, alle cose e ai loro suoni. Sarebbe meglio se tu morissi. Questo risolverebbe il problema». Quando Mamiya si presentò all'insegnante la volta successiva, quello gli domandò di nuovo che cosa avesse da dire a proposito del suono di una sola mano. Subito Mamiya si lasciò cadere giù come se fosse morto. «Sei proprio morto» osservò allora l'insegnante. «Ma che mi dici di quel suono?». «Quello non l'ho ancora risolto» rispose Mamiya alzando lo sguardo. «I morti non parlano» disse l'insegnante. «Vattene!». Chi non lavora non mangia La risposta del morto «Io sono l’unico che non ha parlato» concluse il quarto. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 22 Poesie Cappotto di zinco Riverso su un prato guardo il mio cuore, cuore in un elmetto sporco, arrugginito e ammaccato. Il mio respiro, strappato via da una scheggia ignota, non si impregnerà più delle tue guance, di caffè, di campagna, di quelle impantanate sigarette, unico lumino in un campo bruciato. Mi promettevano che sarei tornato a casa. Ma effettivamente non come. Morto per cosa? Per un maledetto colore, per il desiderio di quel pugno di terra che ci dicevano di dover conquistare. Ma ora l'unica terra che mi rimane è quella attaccata al mio freddo volto. Biagio Sartori 3C San Valentino Arrivi ogni anno, Anche troppo velocemente Ed ogni anno Alla fine resto delusa Maledetto mio Valentino Rossi. Veronica Libelli Costituzione della società degli specchi Resta uguale a ciò che hai intorno, Ricordati che sei fragile, Che per una minima noncuranza Puoi romperti in mille pezzi. Puoi riflettere quanto vuoi, Non puoi non farlo, Ma se non rifletti chi ti guarda, se non sei come loro, Ti vorranno cambiare, E ci riusciranno. Riflettere è importante, Tu sei importante Ma solo se rifletti Le aspettative degli altri. G.I. Alba All'alba vidi il Sole filtrare tra le nubi del cielo; lo vidi posarsi lieve tra le vette innevate del monte; calò il Silenzio, lassù, in cima al mondo, laddove si staglia la piccolezza dell'uomo. Luca Maggio Zanon 2B Danza sui ciottoli Le dita esperte del grande pianista danno voce ai ciottoli lisci e duri, tu voli sulle corde sottili della nostra strada mentre ti guardo da una sedia sulla pista. Fra queste quattro mura sul retro balli da sola e mi tendi la mano e io ti posso dare solo uno sguardo lontano, rimane nella notte il ballo sul vetro. I tuoi capelli sembrano di ragazzino, saltano neri sulle note senza limite, sempre liberi come un rosso mattino. Ora sto qui a guardare l'azzurro, steso sulla pietra e senza inchiostro, a dipingerti fra le nuvole con un sussurro. Biagio Sartori 3C Ode al Greco Ode al Greco, materia la cui inestimabile, nobilissima e sublime utilità è chiarissima per quelli che la osannano traducendo testi che giustizia le diano giustamente, poiché sanno che non sempre essa è capita da chi ha riserve, per nulla assolutamente se non per scarsa volontà di imparare ciò che ha permesso di fondare così tanti e così grandi antichi imperi durati anni e anni e anni. Le troubadour plaisanter SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:07 Pagina 23 Poesie Il coffiere nella nebbia Fendendo queste piccole e leggere lacrime mi perdo lietamente nel candore silente, misteriosa veste dei lampioni e delle strade, antico panno di malinconiche rime. Il sapore della notte mi riempie la bocca mentre lascio i passi sull'erba immobile e la tua ombra si allunga sul cuore, i battiti risuonano in ogni fredda nocca. Ti cerco come il fuoco nella tormenta, brucio le mani tremanti al tuo sguardo, ogni riflesso scuote le mie fondamenta. Mi fermo alla porta su una coffa di mattonelle e alzo il volto al mare celeste, sperando di scrutare un giorno le stelle. Biagio Sartori 3C Guera di trincea Giorno dopo giorno Combattiamo mattina e sera Per poco spazio in più Stagione dopo stagione A volte vince uno A volte vince l'altro Vittime senza cordoglio Siamo la notte e il giorno. Francesco Giacomarra La strada di montagna Mi persi, in quella strada di montagna, in quella strada che pian piano al cielo saliva; mi persi, per poi ritrovarmi in cima a contemplare il mondo sotto di me immerso ed intorpidito in un candido mare senza fine. Mi persi, in prossimità del cielo, ma solo per ritrovarmi uomo dinnanzi allo spettacolo del Sole che si fa largo tra quel candido mare con i suoi dolci raggi di luce immensa. Luca Maggio Zanon 2B Strafalcioni latini Latini amanti del rock Rem album adoro (io adoro le cose serene) Io adoro l'album dei R.E.M. Si pentivano così... Eamus cubitum (andiamo a dormire) Mangiamoci i gomiti. Allerta meteo Roma ventus est (è venuto a Roma) A Roma c'è vento. Altrimenti è sempre agitato Equus est bonus comes equitis (il cavallo è un buon compagno per i cavalieri) Il cavallo è buono in coma. Organizzate dei corsi di nuoto! Procellam nautae timent (i marinai temono la tempesta) I maiali hanno paura di nuotare. Mamme latine Magna cum prudentia (con grande prudenza) Mangia con prudenza. Giganti figli del detersivo Filii dixerunt bovem maiorem esse (i figli dissero che il bovino era più grande) Il figlio del Dixan era più grande del bue. Agenzia turistica Caesar! Veni,vidi,vici (Arrivai,vidi,vinsi) Vieni a vedere il villaggio! Filippo contro gli africani Filippus equm negrum mortiferum (Filippo possedeva un cavallo nero e micidiale) Filippo cavalcava e causava la morte ai negri. Trovati i testi di un nuovo autore: Bello Punico secundo (Nella seconda guerra punica) Secondo la bella guerra. SE DIO VUOLE HO FINITO_bozza.qxd 25/02/2016 17:08 Pagina 24 Rubriche Agnello di pane Ricetta di Pasqua Ingredienti: ● ● ● ● ● ● ● ● ● 500g di farina bianca 7g di lievito di birra secco 2 cucchiaini da tè di zucchero 1 cucchiaino da tè di zucchero 1 uovo 4 cucchiai d’olio d’oliva 250ml di latte tiepido 1 rametto di rosmarino 2 olive nere Preparazione: Setacciare la farina in una terrina larga e mescolarvi il lievito; aggiungere lo zucchero, il sale, l'uovo, 2 cucchiai di olio ed amalgamare poco per volta il latte tiepido. Lavorare l'impasto su un ripiano leggermente infarinato per circa 10 minuti. Rimettere l'impasto nella terrina infarinata, coprirlo con un canovaccio e porlo a lievitare in un luogo tiepido fino a quando il suo volume sarà raddoppiato (40 minuti circa). Con i 2/3 dell'impasto ben lievitato formare un rotolo e dividerlo in 20-24 palline uguali: disporre le palline l'una attaccata all'alta in modo da formare il corpo dell'agnello sulla teglia del forno ricoperta dalla carta forno. Dividere in 7 pezzi l'impasto rimanente e modellarli in modo da formare la testa, le orecchie e le zampette. Spennellare con 2 cucchiai d'olio, cospargere il corpo con il rosmarino tritato e del sale grosso e segnare gli occhi con le olive. Porre a lievitare per altri 20 minuti e infine cuocere nella parte media del forno preriscaldato a 200° per 20-25 minuti. Alessandro simonutti 3C Scriveteci! [email protected] Seguiteci! @Asteriskos Ringraziamenti Caporedattore: Paolo Petrucco Impaginazione: Biagio Sartori con Paolo Petrucco Revisione e correzioni: Emma Mattiussi