Il super Io e la mania di perfezione Seminario del 23 Febbraio 2015

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Il super Io e la mania di perfezione Seminario del 23 Febbraio 2015
Il super Io e la mania di perfezione
Seminario del 23 Febbraio 2015
Con il tramonto del complesso edipico l’ideale si ripiega sparendo nel super io.
Ma allora il super io non è né prima né dopo, è prima e dopo. Come il nome, il
super io è fuori tempo, in un certo modo coincide con la sintassi e con l’avvio.
L’ideale con la frase e il super io con la sintassi.
Il super io. Mi pare ovvio che, quando una lunga notte ci attende, il tramonto
venga prima dell’aurora. Forse è proprio così che dobbiamo intendere il
tramonto del complesso edipico, e qualsiasi tramonto. Invece, che l’aurora
preceda il tramonto, questa non è per così dire che la versione “diurna” della
vita. La vita come ciascun giorno. Versione diurna che rischia proprio di
coincidere con quella aristotelica, ovvero: l’essere umano è destinato alla
morte, la vita non è che una preparazione alla morte. L’esaltazione del registro
della frase, l’esercizio della padronanza impossibile sull’oggetto sguardo ovvero
la fissazione dell’oggetto sguardo conduce alla concezione del tempo come
durata, al tempo e alle cose che finiscono. E’ la versione ossessiva della vita.
Una vita nella quale l’ideale si è imposto e controlla l’agire dall’esterno. Ma
l’ideale è sempre doppio, si sdoppia, si biforca, e tutto e già dato, consolidato,
il bene e il male, la vita e la morte, il giorno e la notte, sono dati. Lo sguardo
dell’ossessivo è rivolto al passato ed è difficile fargli intendere che il passato
non è mai esistito. Che il passato, anzi, è proprio una conseguenza dello
sdoppiamento.
Queste annotazioni mi sono sorte dall’osservazione non troppo distaccata di
alcuni comportamenti autistici e psicotici. Forse è meglio dire dall’ascolto
distratto, che poi è quello che lascia che le idee affiorino da sole alla mente.
Quando fate l’esperienza di condividere una parte della vostra vita con giovani
autistici o psicotici più o meno gravi, le categorie tradizionali, quelle
interpretative che diamo per scontate, o abbiamo, per così dire, interiorizzato,
cominciano a incrinarsi, soprattutto quelle temporali. Non si tratta di assumere
la posizione dell’antropologo, non vi è alcun sapere prestabilito che vi debba
sostenere. Certo, il fatto di dividere questa esperienza in diverse comunità, vi
mette in posizione particolare che, diciamo, è quella dell’osservatore, e un
osservatore non può evitare di trovarsi ad essere anche un buon strutturalista,
ossia di trovarsi confrontato con le ricorrenze, le analogie e le differenze. Ma
l’idea sorge prima, e sorge piuttosto dalla vicinanza stretta con un
comportamento, l’idea è sempre un’idea di distacco, contatto e poi distacco, e
occorre essere in gioco, con il proprio sapere e le proprie certezze. L’idea è
sempre un’idea, se vogliamo, sovversiva e nasce dal registro pragmatico della
parola. La teoria che si dispiega sorge poi successivamente, appunto dal
confronto con altre situazioni e con altri casi analoghi o molto diversi.
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Anche il freudiano tramonto del complesso edipico, in fondo, è da intendersi in
questo modo; che qualcosa tramonti, non è che una rappresentazione. Quando
si fissa una direzione - dunque, che l’alba preceda il tramonto o il tramonto
l’alba - avviene che l’intervallo sia cancellato, espulso l’Altro, avviene che la
voce e la provvidenza, la provvidenza nel fare, si dileguano.
Questa premessa è indispensabile per intendere l’espressione freudiana: il
super io è l’erede del tramonto del complesso edipico. L’erede, se va bene,
comincia una nuova vita. Cos’altro mai finisce, se non l’ideale? Soltanto l’ideale
tramonta. E nel tramontare l’ideale blocca la voce, una voce che allora
s’impone autoritaria, dall’esterno o dall’interno, comunque contro il soggetto
che esiste appunto solo come soggetto dell’ideale.
In modo del tutto approssimativo, mutuando la definizione da un dizionario di
psicoanalisi, diremo che il termine Super io traduce l’originale tedesco Uber-Ich,
che indica per Freud quell’istanza dell’apparato psichico originata dalla
“interiorizzazione” dei codici di comportamento, divieti, ingiunzioni, schemi di
valore (bene/male, giusto/sbagliato, buono/cattivo, gradevole/sgradevole) di
cui il bambino ha fatto esperienza all’interno del rapporto con i genitori.
Con il tramonto del complesso edipico acquisisce nuova autorevolezza il super
io nel registro del nome, l’ideale dell’io, nel registro della frase, e la
frantumazione del soggetto (che è sempre ideale o tiranno) nel registro
pragmatico dell’Altro.
Di scorcio, è possibile notare che nella storia dell’occidente il super io,
l’interrogazione sul nome, ha preceduto l’ideale, il significante e il figlio.
L’antico testamento ne è un’espressione significativa (padre) e poi il nuovo
testamento (figlio). La storia occidentale può forse essere considerata come
una storia di vicende costantemente illuminata da una luce diurna. E
l‘ideologia, come le rivoluzioni storiche (rivoluzione francese e anche quelle
comuniste) rendono ben evidente questo insistente ripiegamento dell’ideale
verso il super io, verso il terrore e la tirannia. Senza il registro pragmatico
della parola qualsiasi riflessione storica è condannata a ridursi a ideologia. Il
registro pragmatico della parola è indispensabile per qualsiasi ricerca, storica o
scientifica che sia.
L’Io non è che la punta dell’iceberg e il super io è in gran parte inconscio. Noi
possiamo condurre altrove queste metafore di Freud, che possiamo
considerare una rappresentazione, valida per esigenze chiaramente didattiche
ed espositive, di quello che chiama l’apparato psichico; ma quest’ultimo non
ammette alcuna rappresentazione e localizzazione a priori. Rappresentare e
localizzare sono modi di espressione del fantasma di padronanza che in modo
peculiare informa la ragione medicale e scientista dell’epoca, quella che proprio
Freud ha cominciato nondimeno a scardinare. Le topiche freudiane si
succedono, si convertono, si rimpiazzano l’una con l’altra, rivelando così la
contraffazione insita in qualsiasi rappresentazione. Dipendendo dall’esigenza
espositiva e didattica, ciascuna topica trasforma e mette in questione quella
che la precede.
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Nessuna rappresentazione possibile dell’apparato psichico, così come, oggi
potremmo aggiungere, nessuna rappresentazione ultima, sostanziale e
definitiva, del neurone o della cellula. Così, la mente non è la copia di alcuna
sostanza soggiacente. La mente è infinita; è l’infinito della parola che, soltanto
appiattita nella rappresentazione, si sdoppia nella copia e nell’originale. Ma il
dualismo cartesiano imperversa ancora ovunque.
Quale torsione potremmo allora far fare a questa annotazione freudiana sul
super io?
Quando la voce, che non può definirsi interiore, s’impone, quando diventa
tirannica e non le si può sfuggire, è perché il super io sta funzionando a pieno
ritmo. A pieno ritmo vuol dire che il soggetto è sommerso dalla voce, che il
soggetto stesso è già naufragato nella voce. Accade di stupirsi del modo in cui
uno psicotico sia molto abile nell’imitare perfettamente una voce, nelle sue
sfumature e nei gesti, come se da una sorta di oltretomba si affacciasse
davvero il personaggio imitato. Qual è la condizione che permette a qualcuno
di essere un bravo imitatore? Ovviamente non si tratta di volontà, la cosa
avviene del tutto naturalmente, non si tratta di una rappresentazione. E’ come
se la voce stessa fosse in grado di rendere conto, direi per contraccolpo
immediato, della perfetta somiglianza con quella della persona imitata. E’
soltanto l’individuazione di questo punto di astrazione irraggiungibile che
consente l’imitazione perfetta. E’ come se la dimensione frastica della parola,
fosse cancellata. Immediatamente la sintassi coinvolge la voce, e solo la
sintassi può farlo. Dunque, questo è il modo di agire del superio.
Vi è un film di assoluto interesse, Birdman, in questi giorni nelle sale, dove il
protagonista vive, a mio parere un’esperienza molto simile. Il regista sembra
averlo intuito. Il film racconta l’esperienza di un attore che, qualche tempo
addietro, era stato una vera celebrità vestendo i panni di un supereroe con
becco ed ali, in grado di levitare e di volare. Era fuggito dal carrozzone
holliwoodiano per dimostrare che poteva essere davvero un bravo attore,
finendo per recitare in un teatro di Broadway. Il superio, nel film, è
rappresentato dal grande uccello che lo accompagna talvolta, e soprattutto
dalla voce, della sua coscienza, profonda e rauca, che interloquisce con lui, e
pare incitarlo a passare all’azione. Al di là della satira al mondo di celluloide e
quattrini, al di là della critica a un ideale che rende gli spettatori sempre più
idioti e bambini, straordinaria mi è parsa l’intuizione del regista, che rovescia i
luoghi comuni sul teatro e sulle doti che occorre avere per essere un bravo
attore. Il protagonista e non solo lui, risponde a una domanda su come facesse
ad essere così bravo nel recitare, e risponde che il teatro per lui non è affatto
una recita, ma la vita vera. E nel film durante la recita, estrema come la vita,
la voce della coscienza scompare.
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