civile singoli contratti

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CIVILE
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Roberto Giovagnoli - Consigliere di Stato
Roma, 26 e 28 Aprile 2016
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LEASING
LA TUTELA DELL'UTILIZZATORE NEL CONTRATTO DI LEASING FINANZIARIO - IL COMMENTO
di Giovanni Di Rosa
Cass. civ. Sez. Unite, 05 ottobre 2015, n. 19785
c.c. art. 1375
c.c. art. 1705
Le Sezioni Unite confermano l'orientamento maggioritario che esclude la proponibilità diretta da parte dell'utilizzatore in
leasing finanziario dell'azione di risoluzione del contratto di vendita stipulato tra il concedente e il fornitore per
l'inadempimento di quest'ultimo, atteso che il pur sussistente collegamento negoziale (sia pure non di tipo tecnico) tra il
contratto di leasing e il contratto di vendita non consente il superamento del principio di relatività degli effetti del contratto, in
mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo o di specifica clausola contrattuale di cessione della posizione
sostanziale del concedente. Non viene peraltro smentita l'interpretazione restrittiva dell'art. 1705, comma 2, c.c. che limita gli
strumenti di tutela del mandante (l'utilizzatore) nei confronti del terzo (il fornitore), inalterato il contratto concluso con il
mandatario (concedente), alle sole azioni manutentive (di adempimento e risarcitorie), quantunque lo stesso richiamo
all'istituto del mandato senza rappresentanza debba ritenersi, rispetto alla fattispecie in esame, non del tutto appropriato.
All'applicazione della regola della buona fede in executivis risponde, invece, in ragione del reciproco dovere di collaborazione
tra concedente e utilizzatore nella complessa operazione di natura preminentemente finanziaria, il diversificato regime di tutela
nei confronti del fornitore in presenza di vizi del bene concesso in leasing, a seconda cioè che si tratti di vizi emersi prima o
successivamente alla consegna, essendo comunque riconosciuta all'utilizzatore pretesa risarcitoria comprensiva dei canoni
eventualmente già corrisposti al concedente.
Sommario: La questione sottoposta alle Sezioni Unite - La ricostruzione della complessiva operazione nel quadro decisorio - Il
ravvisato collegamento negoziale non tecnico - La esclusa proponibilità da parte dell'utilizzatore dell'azione di risoluzione (Segue). I riconosciuti rimedi per i vizi del bene
La questione sottoposta alle Sezioni Unite
Con atto di citazione del 14 ottobre 1998 Spinelli & Rampazzo S.r.l. (utilizzatore nel contratto di leasing finanziario)
domandava la risoluzione del contratto di fornitura avente ad oggetto un bene mobile registrato (un autocarro), stipulato tra
Austria Finanza S.p.a. (società di leasing concedente) e Car Diesel S.p.a. (fornitore), per inadempimento di quest'ultimo,
essendo il bene risultato (successivamente alla consegna) privo di una qualità essenziale che lo rendeva inidoneo
all'ottenimento della prescritta e indispensabile omologazione amministrativa. Nel giudizio di primo grado il Trib. Verona con
sentenza 1° luglio 2003 faceva propria la richiesta di parte attrice con consequenziale declaratoria di risoluzione del contratto
di vendita per colpa e fatto del fornitore con obbligo di restituzione della somma percepita a titolo di prezzo, escludendosi
tuttavia il profilo risarcitorio; i giudici d'appello di Venezia, invece, accogliendo l'interposto gravame, con sentenza 7
novembre 2007 dichiaravano la carenza di legittimazione attiva dell'utilizzatore con conseguente rigetto di tutte le domande da
questi proposte. La Corte di cassazione, investita del ricorso da parte di Sertra S.r.l. (già Spinelli & Rampazzo S.r.l.), era così
chiamata a pronunciarsi sull'invocata violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c. e delle disposizioni che presiedono
all'interpretazione dei negozi giuridici ex artt. 1362 ss. c.c.; l'utilizzatore si doleva infatti della affermata carenza della propria
legittimazione attiva alla risoluzione del contratto di compravendita, erroneamente statuita a suo avviso dai giudici di appello
in quanto, mancando una previsione generale di legge, non era stata ravvisata alcuna specifica clausola contrattuale in tal
senso. Ritenuto il conflitto giurisprudenziale in ordine alle azioni contrattuali direttamente esperibili dall'utilizzatore in
relazione all'inadempimento del fornitore, in particolare l'azione di risoluzione della vendita per l'inadempimento di
quest'ultimo, l'ordinanza interlocutoria della III Sez. della Cass. 4 agosto 2014, n. 17597 ha rimesso gli atti di causa; il Primo
Presidente ne ha disposto l'assegnazione alle Sezioni Unite, a cui è stata sottoposta la dibattuta questione se, con riguardo ai
presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell'art. 1705, comma 2, c.c. al contratto di leasing finanziario,
l'utilizzatore sia legittimato, oltre a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di vendita stipulato tra il fornitore del
bene e il concedente (la società di leasing) e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto, anche a proporre domanda
di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore.
La ricostruzione della complessiva operazione nel quadro decisorio
Il richiesto intervento chiarificatore delle Sezioni Unite si inserisce in un variegato panorama dottrinale e giurisprudenziale in
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merito alla posizione e ai correlativi strumenti di tutela dell'utilizzatore rispetto al godimento del bene ottenuto in leasing. La
diversità delle soluzioni prospettate è peraltro espressione (e conseguenza) delle differenti ricostruzioni rispetto alle due
questioni che appaiono centrali nell'analisi del contratto di leasing (del resto intimamente connesse), ossia la relativa
dimensione funzionale (sotto il profilo, cioè, causale e del complessivo senso dell'operazione contrattuale) e la corrispondente
articolazione strutturale (sotto il profilo, cioè, sia del ruolo dei soggetti coinvolti, con inevitabili ricadute in ordine alle relative
tecniche di tutela, sia delle relazioni negoziali tra gli stessi instaurate)(1). Il dato non contestato è invece rappresentato dalla
comune considerazione del contratto di leasing come mezzo alternativo(2) "ai tradizionali modelli di acquisizione della
disponibilità dei beni, nella misura in cui appare tecnica negoziale diversificata sia rispetto allo schema della appropriazione
(immediata o preordinata) in via esclusiva (acquisizione del diritto reale di proprietà) sia rispetto allo schema della (mera)
concessione in godimento (ossia acquisizione del diritto personale di godimento)" (3); in tal senso si è appropriatamente rilevato
che l'operazione in esame "si colloca in qualche punto della zona intermedia fra quei due istituti che la tradizione giuridica
dell'Europa continentale - e quindi, in particolare, la nostra - individua e qualifica, rispettivamente, come locazione e come
vendita a rate con riserva della proprietà" (4).
Peraltro, la stessa questione sottoposta all'intervento nomofilattico deve necessariamente essere circoscritta, in quanto del resto
così rappresentata nel caso di specie oggetto della controversia, all'ipotesi in cui la prassi mercantile non abbia già risolto il
problema della tutela diretta dell'utilizzatore nei confronti del fornitore o attraverso la stipulazione di atti (segnatamente il
contratto di vendita) a cui partecipano tutte le parti (ossia concedente, utilizzatore e fornitore) con consequenziale disciplina
delle relative relazioni negoziali(5) o attraverso l'inserimento nel contratto di leasing di clausole di trasferimento da parte del
concedente e a favore dell'utilizzatore di tutti i diritti e le connesse azioni spettanti al primo nei confronti del fornitore del
bene(6).
Per quanto concerne l'aspetto strutturale l'orientamento condiviso dalle Sezioni Unite individua nel collegamento negoziale
(tuttavia di natura non tecnica) la più appropriata rappresentazione del rapporto tra i due contratti (quello di leasing stipulato
tra concedente e utilizzatore e quello di vendita stipulato tra concedente e fornitore), contraddistinto dall'incontrovertibile dato
logico-giuridico che la stipulazione del contratto di vendita (tra concedente e fornitore) e la correlativa fornitura del bene (ad
opera dello stesso fornitore direttamente a beneficio dell'utilizzatore) sono effettuate in funzione del contratto di leasing
(stipulato tra concedente e utilizzatore); la compiuta attuazione di quest'ultimo negozio risiede proprio nell'acquisita
disponibilità in godimento del bene da parte dell'utilizzatore a fronte dell'intervenuta acquisizione in titolarità da parte del
concedente (per il tramite del contratto di vendita stipulato da quest'ultimo con il fornitore). Questa stretta correlazione
negoziale (una sorta di circuito necessario) si traduce nella prassi (a testimonianza e conferma della ricostruzione sopra
prospettata) in una peculiare organizzazione contenutistica delle relazioni contrattuali tra i soggetti coinvolti, per il tramite di
una serie di clausole che spiegano il complessivo senso (economico e giuridico) dell'operazione in esame (mettendone dunque
in evidenza la particolare caratterizzazione funzionale) e consequenzialmente definiscono (anche in termini distributivi) il
piano dei rischi contrattuali, con un assetto la cui validità la giurisprudenza ha tendenzialmente riconosciuto(7).
Il profilo strutturale è peraltro indubbiamente correlato alla dimensione causale del contratto di leasing, essendosi già al
riguardo rilevato dalla prima giurisprudenza che "sotto l'aspetto economico il leasing nasce come procedimento di
finanziamento degli investimenti produttivi, fondandosi sulla considerazione di base che, ai fini della produzione industriale,
determinante non è la proprietà degli impianti o dei macchinari, ma la loro disponibilità" (8). La caratterizzazione finanziaria,
che giustifica l'inserimento nell'àmbito del fenomeno creditizio (9) o addirittura implica una ricostruzione propriamente
creditizia(10), va tuttavia correttamente interpretata alla stregua della funzione causale che "è, in senso lato, quella di agevolare
le attività di impresa, finanziando in maniera indiretta l'utilizzazione di quei beni che appaiono indispensabili ai fini di
un'efficace gestione economica" (11). Ne esce così rafforzata la convinzione, già peraltro manifestata da autorevole dottrina, che
il leasing è un contratto di scambio (assicurato godimento del bene da parte del concedente a fronte del pagamento dei relativi
canoni da parte dell'utilizzatore), la cui pur riconosciuta funzione di finanziamento non si traduce cioè in una struttura che lo
faccia rientrare nei contratti di credito(12). È proprio tuttavia sulla effettiva causa dell'operazione che sembrano manifestarsi le
maggiori incertezze rispetto alla rappresentazione fornita dalla decisione che qui si annota, con inevitabili riflessi sugli
individuati strumenti di tutela assicurabili all'utilizzatore in caso di inadempimento del fornitore del bene.
Il ravvisato collegamento negoziale non tecnico
Il divisato interesse del concedente alla remunerazione del capitale investito nell'acquisto del bene concesso in godimento
all'utilizzatore attraverso la programmata periodica riscossione dei canoni (secondo un ben preciso piano finanziario),
unitamente alla riconosciuta funzione di mera garanzia della proprietà del bene in capo al concedente e alla necessaria
strumentalità del contratto di vendita rispetto al contratto di leasing, consentono di comprendere la consolidata prassi negoziale
che, a sua volta, fornisce conferma, come già detto, di quanto prospettato. Si assiste così, per un verso, all'inserimento nei
formulari del contratto di leasing di clausole che addossano all'utilizzatore ogni rischio inerente il bene (la cui individuazione è
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peraltro rimessa in via esclusiva all'utilizzatore medesimo e che il concedente si obbliga ad acquistare), sia per mancata
consegna sia per consegna difettosa, o di clausole che fanno gravare sull'utilizzatore i danni provocati a terzi dal bene e la
stessa perdita o il perimento del bene(13); per altro verso, rispetto al contratto di vendita, oltre all'ipotesi (non infrequente) della
partecipazione dell'utilizzatore, possono facilmente riscontrarsi a favore di quest'ultimo sia clausole di trasferimento di tutte le
garanzie da parte del fornitore, sia clausole di estensione della garanzia prestata dal fornitore, oppure patti (intercorrenti tra
concedente e fornitore) volti ad assicurare la piena operatività (anche) a favore dell'utilizzatore di tutte le garanzie derivanti dal
contratto di vendita(14).
Da questo complessivo quadro emerge, ad avviso delle Sezioni Unite, una chiara rappresentazione della posizione giuridica dei
soggetti coinvolti, ciascuno dei quali si presenta come parte di contratti autonomi e distinti, giuridicamente dipendenti solo nei
limiti in cui ciò corrisponde all'effettiva volontà delle parti secondo il predisposto contenuto negoziale (e dunque in tal senso
collegati)(15); a fronte, cioè, del concedente (unico ad essere parte, a diverso titolo giuridico, di entrambi i contratti, sia quello di
leasing sia quello di vendita), l'utilizzatore (parte del contratto di leasing) è estraneo formalmente (ossia terzo rispetto) al
contratto di vendita, così come il fornitore (parte del contratto di vendita) è estraneo formalmente (ossia è terzo rispetto) al
contratto di leasing.
Pertanto la ravvisata trilateralità (che connota economicamente l'intera operazione) non può certamente tradursi (sul versante
della relativa configurazione giuridica), come pure in passato accaduto, in termini di contratto unitario plurilaterale (16),
difettando il conseguimento dello scopo comune quale caratteristica essenziale della categoria (17).
Risulta del resto escluso un collegamento in senso tecnico (o propriamente detto) tra il contratto di leasing e il contratto di
vendita riconducibile alla volontà dei contraenti (non precluso, in via di principio, dalla parziale diversità delle parti coinvolte
nei due contratti). Tale collegamento, in termini generali, viene ritenuto ricorrere allorché le parti articolano (sia geneticamente
sia funzionalmente o geneticamente e funzionalmente) la pluralità di contratti tra di loro intercorsi in maniera tale che questi si
presentino in qualche modo correlati, nel senso che, per come risulta dallo specifico intento delle parti, senza peraltro alcuna
specifica previsione ad opera delle stesse, il nesso di interdipendenza tra i contratti medesimi sia tale da escludere
l'autosufficienza del contratto isolato(18); viene così ravvisato il fondamento del collegamento negoziale volontario nella causa
concreta(19), dunque nell'interesse (concreto) che il contratto è diretto a realizzare(20). L'esclusione del collegamento negoziale
(di tipo funzionale) tra il contratto di leasing e il contratto di vendita(21) ha la propria ragion d'essere (a fronte del ravvisato
nesso oggettivo) nella ritenuta insussistenza del nesso soggettivo, ossia l'intenzione delle parti di collegare i diversi contratti in
uno scopo comune, con la correlativa esclusione della ordinaria conseguenza che scaturisce dalla interdipendenza (reciproca o
bilaterale) dei rapporti negoziali collegati, nel senso che le vicende dell'un rapporto si ripercuotono sull'altro e viceversa,
condizionandone la validità e l'efficacia (a mente del noto brocardo simul stabunt simul cadent)(22). Al riguardo, infatti, non
può revocarsi in dubbio che la patologia del contratto di leasing non può certo riverberarsi sul contratto di vendita (23), anche se
diversamente sembrerebbe doversi ritenere per l'ipotesi inversa (24), secondo però una tecnica di disciplina estranea al fenomeno
del collegamento negoziale(25).
La esclusa proponibilità da parte dell'utilizzatore dell'azione di risoluzione
Esclusa la configurazione strutturale dell'operazione in esame come contratto unitario plurilaterale viene meno anche la
prospettata proponibilità in via diretta delle azioni ex contractu da parte dell'utilizzatore (segnatamente l'azione di risoluzione
del contratto di compravendita per inadempimento del fornitore, rispetto al quale l'utilizzatore è per l'appunto terzo)(26);
peraltro, l'individuato e condiviso collegamento negoziale tra il contratto di vendita e il contratto di leasing, proprio per i limiti
in precedenza evidenziati, non viene (comunque) ritenuto giuridicamente idoneo dalle Sezioni Unite a consentire il
riconoscimento in capo all'utilizzatore della legittimazione all'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il
fornitore e il concedente, in assenza di specifiche clausole contrattuali in tal senso. In buona sostanza il non ravvisato
collegamento in senso tecnico non consente di eludere, secondo quanto avvertitamente statuito, la regola base in tema di effetti
del contratto ai sensi dell'art. 1372 c.c., ossia il principio della relatività del contratto, per cui "è da escludersi che, in mancanza
di diverso patto o di specifica disposizione normativa, colui che è stato parte del contratto di fornitura (l'utilizzatore) possa
agire perché il contratto stesso sia risolto; incidendo in una res inter alios acta e sortendo, così, l'effetto di privare il concedente
della proprietà del bene locato e, dunque, della garanzia riservatasi a fronte del pagamento dei canoni di locazione" (27). In
questo senso, cioè, la evidenziata rilevanza unitaria, sotto il profilo economico, dell'operazione di leasing non consente di
ritenere altrettanto sotto il profilo giuridico, essendosi in presenza di due contratti (la vendita e il leasing) ciascuno dei quali
conserva la rispettiva distinzione(28). Una diversa conclusione potrebbe essere consentita solo laddove il legislatore avesse
espressamente previsto una simile possibilità, derogando cioè al principio sancìto dall'art. 1372 c.c. e permettendo così
all'utilizzatore, terzo rispetto al contratto di vendita stipulato dal concedente con il fornitore, di proporre azione di risoluzione
per inadempimento del venditore (fornitore del bene).
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Né a diversa conclusione i giudici ritengono di potere giungere attraverso la soluzione interpretativa, prospettata in termini
dubitativi nell'ordinanza di rimessione (e peraltro costituente oggetto del quesito formulato), che, facendo leva sulla assimilata
scissione delle posizioni di concedente, utilizzatore e fornitore in maniera corrispondente a quelle (rispettivamente) di
mandatario, mandante e terzo nel mandato senza rappresentanza, richiama la previsione dell'art. 1705, comma 2, c.c. a tutela
dei diritti del mandante (l'utilizzatore) nei confronti del terzo (fornitore) che ha contrattato con il mandatario (il concedente)(29).
Giova al riguardo preliminarmente rilevare che la stessa configurabilità di un mandato senza rappresentanza ad acquistare,
ritenuto sotteso alla operazione in esame a carico del concedente, il quale si impegnerebbe per l'appunto ad acquistare il bene
presso il fornitore per conto dell'utilizzatore e in nome proprio, è stata criticata in ragione del fatto che "la proprietà del bene
locato resta all'impresa di leasing"(30). Certo, non può dubitarsi che la permanenza (anche eventualmente definitiva) della
titolarità del bene acquistato in capo al mandatario (ossia il concedente) collide, in sé, con la funzione programmatica del
contratto di mandato senza rappresentanza, destinato cioè ad assicurare attraverso il peculiare congegno effettuale previsto dal
legislatore nell'art. 1706 c.c. l'acquisizione a favore del mandante, reale dominus dell'affare (e per questo dispensatore
preventivo, almeno normalmente e salvo patto contrario, dei mezzi necessari per l'esecuzione del mandato ex art. 1719 c.c.,
ossia l'esatto opposto di quanto accade strutturalmente laddove si ricorra alla locazione finanziaria) (31); singolare appare,
inoltre, il riferimento al contratto di mandato in nome proprio, essendo ordinario il relativo utilizzo (sia pure non esclusivo) per
rendere ignota (e comunque giuridicamente irrilevante) al terzo contraente la presenza del mandante, a differenza di quanto
accade nella complessa operazione in esame in cui, all'opposto, l'utilizzatore (presunto mandante) conosce perfettamente (anzi
sceglie egli stesso) il fornitore (presunto terzo che contrae con il mandatario) e il bene oggetto della programmata
acquisizione(32). Il ricorso al mandato senza rappresentanza si palesa allora espediente non lineare e non del tutto condiviso
dalle Sezioni Unite(33), senza trascurare che altre soluzioni (pure in precedenza prospettate) sarebbero potute risultare più
appropriate, sia pure con qualche adattamento, quantunque non ritenute di rilievo e comunque estranee al caso oggetto della
controversia(34).
In ogni caso, pur ammettendo la sussistenza di un mandato senza rappresentanza, è proprio sugli strumenti di tutela che il
mandante può far valere nei confronti del terzo a incentrarsi la questione, oggetto della rimessione alle Sezioni Unite,
"concernente - con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell'articolo 1705, secondo comma, cod.
civ. alla locazione finanziaria - le azioni direttamente proponibili dall'utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente,
quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest'ultimo". Ai sensi dell'art. 1705, comma 2, c.c., infatti, "il
mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò
possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono", rappresentando tale previsione
una eccezione al principio indicato nel precedente comma 1, il quale esclude che i terzi abbiano rapporto alcuno con il
mandante; la possibilità di tutela riconosciuta al mandante non comporta, tuttavia, che a questi sia consentito l'esercizio delle
azioni contrattuali scaturenti dal regolamento di interessi disposto con il negozio gestorio (35), al fine cioè di fare valere la
mancata attuazione del rapporto obbligatorio (con riferimento, ad esempio, alle azioni di annullamento, risoluzione, rescissione
del contratto concluso dal mandatario con il terzo), proprio perché il mandante è terzo rispetto al rapporto esterno. Al riguardo,
pur risultando dall'ordinanza di rimessione le perplessità in ordine alla confermata interpretazione restrittiva dell'art. 1705,
comma 2, c.c. ad opera di precedente intervento nomofilattico e alla consequenziale limitativa trasposizione al contratto di
leasing(36), le Sezioni Unite non si discostano affatto dalla posizione tradizionale, anche alla luce del ribadito principio della
relatività degli effetti del contratto e, dunque, della ritenuta impraticabilità di azioni da parte di un soggetto, l'utilizzatore
(mandante), estraneo al rapporto instauratosi con la vendita stipulata tra il concedente (mandatario) e il fornitore (terzo rispetto
al mandato). Del resto la stessa interpretazione restrittiva dell'art. 1705, comma 2, c.c., che può peraltro ritenersi applicazione
del principio di relatività degli effetti del contratto (nel senso che la disposta eccezione quanto all'esercizio dei diritti di credito
da parte del mandante conferma la regola generale dell'assenza di rapporti tra soggetti che non sono parti del contratto), risulta
conforme alla richiamata Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale, adottata il 28 maggio 1988 e fatta propria dal
nostro Paese con la legge di recepimento 14 luglio 1993, n. 259, riguardante appunto la ratifica ed esecuzione della
Convenzione UNIDROIT sul leasing finanziario internazionale(37); il relativo art. 10 infatti, richiamato dalle Sezioni Unite a
testimonianza della confermata distinzione tra il contratto di leasing e il contratto di vendita, senza alcun correlativa parifica
delle figure del concedente e dell'utilizzatore nei loro rapporti con il fornitore, pur riconoscendo l'operatività degli obblighi
contrattuali derivanti dal rapporto tra il concedente e il fornitore anche nei confronti dell'utilizzatore (tra l'altro per il profilo
risarcitorio), esclude espressamente al comma 2 che l'utilizzatore possa risolvere il contratto di fornitura senza il consenso del
concedente. Risulta così confermata la non automaticità della tutela diretta dell'utilizzatore (attraverso cioè l'azione di
risoluzione per inadempimento) nei confronti del fornitore e la non appropriatezza del richiamo a tale ultimo disposto
normativo (peraltro nel caso di specie non applicabile) per fondare (sulla base di una certa interpretazione dell'art. 1705,
comma 2, c.c.) il riconoscimento all'utilizzatore di strumenti ai quali quest'ultimo non ha accesso neanche rispetto alla specifica
disciplina di legge (dettata peraltro per il leasing internazionale)(38); così come, del resto, anche la disciplina dei contratti di
credito collegati rispetto alla locazione finanziaria di cui al novellato D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia, esclude, in caso di inadempimento del fornitore, che il consumatore-utilizzatore
(ritenuto peraltro dalle stesse Sezioni Unite meritevole di maggiore protezione rispetto all'imprenditore-utilizzatore) possa
agire per la risoluzione del contratto di fornitura(39).
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(Segue). I riconosciuti rimedi per i vizi del bene
Una volta esclusa la proponibilità da parte dell'utilizzare dell'azione di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento
del fornitore e considerata altresì la prassi mercantile che, in virtù della predisposizione di apposite clausole, esonera il
concedente da ogni responsabilità per vizi del bene, obbligando pertanto l'utilizzatore alla corresponsione dei canoni, resta
pressante il problema di assicurare adeguata tutela a quest'ultimo rispetto al mancato o difettoso godimento del bene. Al
riguardo le Sezioni Unite, rilevata la preponderante natura finanziaria dell'operazione e, dunque, l'indipendenza e autonomia
dell'obbligazione del concedente rispetto a quella del fornitore, resa possibile dalle clausole sopra menzionate (40), confermano,
in ogni caso, la già riconosciuta tutela risarcitoria all'utilizzatore nei confronti del fornitore per lesione del proprio credito (al
godimento) nascente dal leasing, all'interno del cui quantum vengono ricompresi anche i canoni corrisposti al concedente in
costanza di godimento del bene viziato. Quanto, invece, ai restanti profili viene introdotta una distinzione tra vizi
immediatamente riconoscibili al momento della consegna (ipotesi alla quale va assimilata quella della ineseguita consegna) e
vizi occulti o in mala fede taciuti dal venditore, emersi dunque successivamente alla consegna, richiamandosi il canone della
buona fede in executivis ai sensi dell'art. 1375 c.c. quale regola integrativa della fattispecie contrattuale. In particolare, ciò
servirebbe a fondare obblighi di informazione (dell'utilizzatore nei confronti del concedente) e di protezione (del concedente
nei confronti dell'utilizzatore) onde assicurare un'appropriata realizzazione degli interessi sottesi all'intera operazione. Così,
laddove l'utilizzatore abbia avuto modo di riscontrare all'atto della consegna vizi redibitori (ossia tali da rendere il bene non
idoneo all'uso richiesto e pattuito) è tenuto a rifiutare la consegna medesima e a informare tempestivamente il concedente che,
a sua volta, è obbligato a sospendere il pagamento del prezzo al fornitore ed esercitare nei confronti di questi (ricorrendone i
presupposti) l'azione di risoluzione per inadempimento, alla quale segue necessariamente la risoluzione del contratto di leasing
(in linea, peraltro, con la prospettata ricostruzione in termini di collegamento negoziale non tecnico). Viceversa, in ipotesi di
vizi emersi successivamente alla consegna l'utilizzatore può agire nei confronti del fornitore per l'eliminazione dei vizi o la
sostituzione del bene; anche in questo caso, tuttavia, la tempestiva informazione dell'utilizzatore obbliga il concedente ad agire
nei confronti del fornitore per la risoluzione del contratto di vendita o per la riduzione del prezzo con consequenziale incidenza
sul contratto di leasing.
Le soluzioni prospettate dalle Sezioni Unite appaiono sostanzialmente confermare taluni indirizzi precedenti, sia per quanto
riguarda la tutela risarcitoria sia in ordine a quella sostitutivo-ripristinatoria, già riconosciute in capo all'utilizzatore da dottrina
e giurisprudenza per il tramite dell'applicazione dell'art. 1705, comma 2, c.c. o comunque a motivo del ritenuto sussistente
collegamento negoziale (ampiamente in precedenza esaminati e su cui dunque non si tornerà); così come pure non nuova
risulta la richiamata operatività della clausola generale di buona fede ex art. 1375 c.c. al fine di delineare reciproci obblighi
comportamentali(41), su cui, invece, appare opportuno soffermarsi brevemente. Sullo sfondo, peraltro, resta espressamente
esclusa l'applicabilità sia della già richiamata (peculiare) Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale(42) sia della
disciplina (speciale) della locazione finanziaria rispetto all'utilizzatore-consumatore (il leasing al consumo) di cui all'art. 125
quinquies, D.Lgs. n. 385/1993(43).
Quanto, allora, alla prescritta applicazione dell'art. 1375 c.c. deve preliminarmente convenirsi, in termini generali, con quella
dottrina la quale ritiene che l'ambito problematico della buona fede in esame corrisponde "all'area della gestione della sfera
individuale di un comportamento, in funzione della soddisfazione dell'interesse dell'altro, per quanto si discosti dalla
programmazione contrattuale"(44), assicurando di conferire rilevanza giuridica ad una pretesa non pattiziamente regolata (45). In
questo senso cioè la buona fede "si iscrive (e si risolve compiutamente) nella logica del principio pacta sunt servanda"(46),
quale criterio (tuttavia) di sviluppo (e specificazione) del sistema di regole proprie dell'ordinamento pattizio. Ora, quantunque
le prospettazioni sopra richiamate possano essere ritenute divergenti in ordine alla funzione assegnata alla buona fede (ruolo
positivo), elemento comune è certamente rappresentato dalla condivisione di ciò che la buona fede non è o che, comunque, alla
buona fede non compete (ruolo negativo), nel senso che essa certamente non introduce istanze etiche o solidaristiche che si
sovrappongono ai valori dell'ordinamento(47). Tenuta ferma, dunque, questa impostazione ricostruttiva, occorre allora verificare
in che misura il fondamento normativo al riguardo utilizzato dalle Sezioni Unite (ossia l'art. 1375 c.c.) risulti corrispondente
alla (più appropriata) configurazione giuridica del contratto di leasing, proprio muovendo dall'idea (che è probabilmente quella
condivisa, almeno sul piano formale, dalla decisione in esame rispetto all'id quod plerumque accidit) della (preminente) natura
finanziaria in senso tecnico-giuridico dell'operazione in questione con integrale trasferimento del rischio in capo
all'utilizzatore(48). Peraltro, a differenza di quanto ordinariamente previsto nella modulistica, che non estende all'utilizzatore la
titolarità attiva del rapporto di fornitura, precludendo così, come già evidenziato, la legittimazione all'esperimento dell'azione
di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore, in caso di rifiuto della consegna del bene (a motivo di
vizi redibitori) i formulari (almeno di regola) impongono allo stesso utilizzatore non solo di contestare formalmente i vizi al
fornitore ma altresì di informare di ciò anche il concedente (in ogni caso esente da responsabilità); in mancanza l'utilizzatore si
troverà costretto a iniziare immediatamente il pagamento periodico dei canoni convenuti. Da questo tipo di previsione pattizia
emerge pertanto una chiara relazione di corrispettività tra il pacifico godimento assicurato all'utilizzatore (in ragione dei
controlli preventivi e successivi da quest'ultimo eseguiti e allo stesso convenzionalmente deputati) e l'obbligo del pagamento
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dei canoni, smentendosi così la caratterizzazione in chiave esclusivamente finanziaria dell'operazione (che presenta, invece, i
tipici connotati del rapporto di scambio) e la stessa autonomia (assoluta) dell'obbligazione del concedente rispetto a quella del
fornitore(49).
Da altro punto di vista, tuttavia, deve rilevarsi che l'eventuale assenza di clausole del tenore sopra riportato (50) potrebbe aprire
spazi per doverosi comportamenti finalizzati ad evitare, in buona sostanza, ingiustificati trasferimenti di ricchezza, ossia dal
concedente al fornitore (al quale viene corrisposto il prezzo in assenza di assicurato godimento all'utilizzatore perché, nei casi
estremi, il bene non è stato consegnato o, comunque, è stato legittimamente rifiutato) e dall'utilizzatore al concedente (al quale
viene corrisposto il canone senza che il primo abbia avuto la possibilità di godere del bene che è l'oggetto del finanziato
acquisto), rispondendo in questo senso al sistema di regole proprie dell'ordinamento (51); ciò in linea, del resto, con l'assetto di
interessi meritevole di tutela che deve essere ravvisato anche in ordine a contratti non oggetto di compiuta, specifica, disciplina
di legge (ossia legalmente non tipizzati). Da questo punto di vista, tuttavia (condivisa cioè l'esigenza di tutela dell'utilizzatore
ma non l'apparato argomentativo a corredo), non può certamente ritenersi, come sembrano riconoscere le Sezioni Unite, che
l'utilizzatore debba avvertire il concedente della mancata consegna del bene esclusivamente nell'interesse del titolare del bene
(ossia per preservare le ragioni di questi), considerato che è proprio una tale comunicazione ad assicurare, a tutela
dell'utilizzatore (secondo peraltro gli stessi giudici), l'operatività dell'obbligo da parte del concedente di sospendere il
pagamento del prezzo in favore del fornitore (52). Correlativamente, se nel contratto di leasing (nel caso di specie finanziario,
ma si tratta di rilievo valido per tutti i tipi di leasing) l'interesse fondante il senso della complessiva operazione è propriamente
quello dell'utilizzatore a conseguire il godimento di un bene strumentale all'esercizio della propria attività di impresa o,
comunque, professionale, dunque idoneo e funzionale (così per come peraltro descritto e richiesto dallo stesso utilizzatore) (53),
gli invocati doveri di solidarietà e di protezione che le Sezioni Unite pongono a carico del concedente verso l'utilizzatore, onde
evitare che quest'ultimo subisca pregiudizi, sembrano avere poco a che fare con la buona fede in executivis. Delle due, infatti,
l'una: o si riconosce al contratto di leasing finanziario una causa squisitamente creditizia e, allora, il problema delle clausole di
inversione del rischio va affrontato in modo diverso e non certo attraverso il (salvifico) richiamo alla buona fede ex art. 1375
c.c., a cui nella sostanza viene affidato il compito di valutare la misura dell'operatività delle clausole medesime (ossia sino a
che punto esse possono considerarsi giuridicamente rilevanti e condizionanti il comportamento contrattuale rispetto alle
differenti condotte richieste); oppure, ritenuta più aderente la (decisiva) causa di scambio e valutata in questa logica la non
meritevolezza delle clausole medesime (senza dovere ricorrere però alla buona fede), la mancata realizzazione dell'interesse
sotteso (quello cioè al godimento del bene da parte dell'utilizzatore) porta con sé (e di per sé) meccanismi di automatica
riallocazione del piano di rischi contrattuali inerenti alla complessa operazione in esame, proprio in ragione della causa
concreta alla stessa riconosciuta(54).
Così come dunque in precedenza era stato giustamente corretto il ricorso alla buona fede ex art. 1375 c.c., in quanto utilizzata
come argomento per contrastare la validità delle clausole di inversione del rischio nel contratto di leasing(55), oggi, per
converso, non può convenirsi con il richiamo alla buona fede in executivis per giustificare obblighi comportamentali reciproci,
funzionali alla tutela delle contrapposte posizioni contrattuali, dovendosi piuttosto riconoscere la causa di scambio del
contratto di leasing e trarre le appropriate conclusioni in punto di (molto più lineare) distribuzione dei rischi contrattuali a
motivo della mancata attuazione del programma contrattuale per impossibilità sopravvenuta della prestazione (del concedente)
ex art. 1463 c.c.(56).
In realtà la stessa prospettazione delle Sezioni Unite in ordine alla tutela dell'utilizzatore per i vizi del bene sembra più
indirizzata a ripercorrere, sia pure attraverso un percorso procedimentale differente, la soluzione fornita dal legislatore a
proposito del leasing al consumo, quantunque la relativa applicazione sia stata esclusa (forse un po' troppo sommariamente) in
via di principio(57). Per un verso, infatti, il ravvisato obbligo comunicativo in capo all'utilizzatore (per il caso di mancata
consegna o, comunque, di vizi redibitori che giustificano il rifiuto della consegna) in quanto connesso (in termini di
presupposto) all'obbligo di esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di fornitura da parte del concedente, non appare poi
così differente dal meccanismo della richiesta dell'utilizzatore-consumatore al concedente-finanziatore di agire per la
risoluzione del contratto nei confronti del fornitore (cfr. art. 125 quinquies, comma 3, prima parte, D.Lgs. n. 385/1993); per
altro verso, poi, almeno così sembra, alla obbligata sospensione del pagamento del prezzo nei confronti del fornitore
inadempiente corrisponde la sospensione del pagamento dei canoni da parte dell'utilizzatore (altrimenti non si comprenderebbe
il richiamato caso inverso del pagamento del prezzo non dovuto che non può essere posto a carico dell'utilizzatore), alla stessa
stregua della normativamente disposta sospensione del pagamento dei canoni in caso di esercizio del diritto da parte
dell'utilizzatore-consumatore di chiedere al finanziatore di agire nei confronti del fornitore inadempiente per la risoluzione del
contratto di fornitura (cfr. art. 125 quinquies, comma 3, seconda parte, D.Lgs. n. 385/1993); per altro verso ancora, infine, è
giudizialmente definito il rapporto tra intervenuta risoluzione del contratto di fornitura e successiva risoluzione del contratto di
leasing, secondo peraltro quanto espressamente statuito dal legislatore (cfr. art. 125 quinquies, comma 3, terza parte, D.Lgs. n.
385/1993).
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(1) Si tratta di un'impostazione che è ben presente nell'ordinanza di rimessione e che è stata fatta propria anche dalle Sezioni Unite.
(2) In termini di negozio legalmente atipico sotto l'aspetto della assenza di specifica disciplina, quantunque noto al legislatore come nomen
iuris riassuntivo di un certo assetto di interessi (sia nella terminologia anglosassone di leasing sia in quella corrispondente alla traduzione
italiana, correntemente utilizzata, di locazione finanziaria). Indicativo, in tal senso, il richiamo da ultimo contenuto nella L. 28 dicembre
2015, n. 208, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (c.d. legge di stabilità 2016), il cui art. 1,
commi 76-81, menziona l'introdotto contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale; il già variegato
panorama dei possibili sottotipi del contratto in questione si è dunque arricchito di una ulteriore variante, non essendo dubbio che la
specificità del bene che ne forma oggetto (rispetto agli interessi da soddisfare) recherà con sé peculiari ordini di problemi (così come è
accaduto per il leasing di godimento piuttosto che traslativo, mobiliare piuttosto che immobiliare, al consumo piuttosto che strumentale
all'attività di impresa e via discorrendo).
(3) Di Rosa, Autonomia contrattuale e attività di impresa, Torino, 2010, 4.
(4) G. Gabrielli, Sulla funzione del leasing, in Riv. dir. civ., 1979, II, 455; similmente, in precedenza, Ferrarini, La locazione finanziaria,
Milano, 1977, 14.
(5) Tipico, al riguardo, il contenuto dei formulari redatti per la stipula dei contratti di compravendita di beni immobili strumentali oggetto di
locazione finanziaria, per la cui consultazione può visitarsi il sito dell'Associazione italiana leasing (ASSILEA) che si giova, per tale
predisposizione negoziale, del supporto professionale del Consiglio Notarile di Milano; il relativo contenuto contrattuale è infatti articolato in
maniera tale da assicurare all'utilizzatore piena tutela rispetto all'inadempimento del venditore, con il connesso riconoscimento della
proponibilità diretta delle azioni ex contractu.
(6) Superando così, in buona sostanza, una diversa prassi (di carattere limitativo) che, invece, tende ad escludere, a fronte della riconosciuta
facoltà di azione dell'utilizzatore, il possibile pregiudizio alla titolarità del diritto di proprietà del bene in capo al concedente (derivante, in
ipotesi, dall'esercizio da parte dell'utilizzatore dell'azione di risoluzione per inadempimento della vendita ai danni del fornitore), per il cui
riscontro possono utilmente consultarsi i materiali riportati in appendice a De Nova, Nuovi contratti2, Torino, 2000 (rist.), 323 ss.
(7) Tra le tante Cass. 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., 1996, I, 164; Cass. 30 giugno 1998, n. 6412, in Foro it., I, 3082.
(8) Trib. Milano 15 maggio 1978, in Giur. mer., 1979, 11.
(9) Il riferimento è a G. Gabrielli, Sulla funzione del leasing, cit., 455.
(10) In questo senso Munari, Leasing, in Enc. dir., Aggiornamento, VI, Milano, 2002, 660.
(11) Bigliazzi Geri - Breccia - Busnelli - Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1989, 511.
(12) Si tratta della posizione di De Nova, Nuovi contratti, cit., 271 s., il quale esclude la riconducibilità al mutuo e, più in generale, ai
contratti di credito; similmente Luminoso, Il leasing, in I contratti tipici e atipici, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 1996, 378; ulteriori
considerazioni al riguardo in Di Rosa, Autonomia contrattuale e attività di impresa, cit., 111 ss.
(13) Per converso, e specularmente, come di recente statuito da Cass. 12 gennaio 2011, n. 534, in Guida dir., n. 8/2011, 74, con nota di
Piselli, La posizione deve essere maggiormente tutelata se chi usa il bene è obbligato alla manutenzione, all'utilizzatore è riconosciuta la
legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni subiti da terzi, allorché egli sia tenuto alla manutenzione ordinaria e straordinaria del
bene e a lui siano stati trasferiti tutti i rischi inerenti al bene medesimo.
(14) Un compiuto quadro ricostruttivo delle clausole menzionate in testo (anche in rapporto alla relativa validità rispetto alla ampia disamina
giurisprudenziale) può rinvenirsi già in De Nova, Il contratto di leasing, Milano, 1982, 92 ss.; Id., Nuovi contratti, cit., 283 ss.; diffusamente
anche R. Clarizia, I contratti nuovi. Factoring. Locazione finanziaria, in Trattato Bessone, Torino, 1999, 139 ss.; Bussani, Contratti moderni.
Factoring. Franchising. Leasing, in Trattato Sacco, Torino, 2004, 335 ss.; Buonocore, La locazione finanziaria, in Trattato Cicu-MessineoMengoni-Schlesinger, Milano, 2008, 155 ss.
(15) Il tema (centrale) della attenta indagine sull'effettiva volontà delle parti era già ben presente, nella disamina generale del fenomeno, a R.
Scognamiglio, Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 380 s., proprio al fine di evitare "i pericoli di una eccessiva
estensione a questa stregua, e in difetto di un punto di riferimento sicuro, dei confini del collegamento volontario con tutte le conseguenze
già descritte" (381), in ordine cioè all'incidenza delle vicende dell'uno rispetto all'altro negozio e viceversa.
(16) Al riguardo, tra le ultime decisioni confermative di tale indirizzo ricostruttivo, Cass. 26 gennaio 2000, n. 854, in Giur. it., 2000, 1136,
con nota di Barbiera, Vizi della cosa concessa in leasing e diritti dell'utilizzatore.
(17) In tal senso De Nova, Nuovi contratti, cit., 280, richiamando il modello codicistico del contratto plurilaterale con comunione di scopo di
cui all'art. 1420 c.c. (rispetto, altresì, alle conseguenze previste dagli ulteriori artt. 1446, 1459 e 1466 c.c.); diversamente Chindemi, Leasing
di autovettura non immatricolata: diritti ed obblighi delle parti, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 441, il quale ritiene che non sussistono
"impedimenti giuridici di natura sistematica ostativi alla qualificazione del leasing quale contratto plurilaterale", ovviamente senza
comunione di scopo, sul presupposto cioè che la comunione di scopo possa caratterizzare, ma non esaurire, la tipologia dei contratti
plurilaterali (che possono essere, dunque, con o senza comunione di scopo). In merito può essere utile ricordare l'autorevole posizione di
Ascarelli, Contratto plurilaterale, ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, 115, il quale già rilevava che "la funzione del contratto
plurilaterale (…) non si esaurisce con l'esecuzione delle obbligazioni delle parti (come avviene negli altri contratti); l'esecuzione delle
obbligazioni delle parti costituisce invece la premessa per un'attività ulteriore; la realizzazione di questa costituisce la finalità del contratto,
questo corrisponde in sostanza a una organizzazione delle parti in ordine allo sviluppo di un'attività ulteriore".
(18) Nella trattatistica, senza alcuna pretesa di completezza, Bigliazzi Geri - Breccia - Busnelli - Natoli, Diritto civile, 1, II, Fatti e atti
giuridici, Torino, 1987, 752 ss.; Sacco, La nozione del contratto, in Sacco-De Nova, Il contratto3, I, in Trattato Sacco, Torino, 2004, 84 ss.;
Carusi, La disciplina della causa, in E. Gabrielli (a cura di), I contratti in generale2, I, in Trattato Rescigno-E. Gabrielli, Torino, 2006, 639
ss.; Galgano, Trattato di diritto civile3, II, Le obbligazioni in generale. Il contratto in generale. I singoli contratti, a cura di Zorzi Galgano,
Padova, 2015, 250 ss.
(19) Espressamente P. Troiano, Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999, 29; in giurisprudenza Cass. 27 gennaio 1997, n. 827, in
Foro it., 1997, I, 1142; sulla necessità, comunque, del requisito soggettivo Cass. 11 settembre 2014, n. 19161, in questa Rivista, 2014, 1025.
(20) Sulla prospettiva unificatrice della causa concreta, di recente, Cass. 31 maggio 2013, n. 13861, in questa Rivista, 2013, 692.
(21) Il collegamento si considera funzionale, come rilevato da C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto2, Milano, 2000, 481 s., in quanto
risulta dalla unitarietà della funzione perseguita, che ricorre quando i diversi rapporti negoziali posti in essere tendono a realizzare un fine
137
pratico unitario.
(22) In tal senso Cass. 2 luglio 1981, n. 4291, in Foro it., 1982, I, 467; similmente, da ultimo, Cass. 22 marzo 2013, n. 7255, in Guida dir., n.
22/2013, 62; Cass. 10 ottobre 2014, n. 21417, in Notariato, 2014, 636.
(23) Analoghe considerazioni svolgevo in Di Rosa, Autonomia contrattuale e attività di impresa, cit., 29 ss., anche rispetto alla prospettata
ricostruzione dell'operazione di sale and lease-back in termini di collegamento negoziale.
(24) All'interno del rilevato nesso di interdipendenza unilaterale (di tipo necessario) tra la vendita e il leasing si rileva da G. Lener, Leasing,
collegamento negoziale ed azione diretta dell'utilizzatore, in Foro it., 1998, I, 3083 ss., che la caducazione della prima non comporta, alla
stregua delle scelte effettuate in concreto dall'autonomia privata con la traslazione convenzionale (c.d. inversione) dei rischi in capo
all'utilizzatore, il venir meno del secondo, elidendosi pertanto l'effetto primario dell'affermato collegamento negoziale.
(25) Esemplificando, se il bene oggetto della vendita non venisse assicurato alla disponibilità dell'utilizzatore è del tutto evidente che si
realizzerebbe un'impossibilità di attuazione del rapporto di godimento (ovviamente nella configurazione del contratto di leasing in termini di
rapporto di scambio) che non potrebbe non refluire sulla vendita stessa, senza necessità tuttavia di invocare il meccanismo del collegamento
negoziale. Si tratta di una soluzione già prospettata dalla giurisprudenza, segnatamente (e non isolatamente, come si vedrà) Cass. 2 novembre
1998, n. 10926, in questa Rivista, 1999, 803 e in Foro it., 1998, I, 3081, con nota di G. Lener, Leasing, collegamento negoziale, cit., che,
diversamente dalle decisioni precedenti, ha ritenuto invalida la clausola del contratto di leasing che fa gravare sull'utilizzatore il rischio della
mancata consegna del bene per violazione del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede, prospettando dubbi in merito alla
derogabilità all'art. 1463 c.c. rispetto all'inadempimento per mancata consegna del bene oggetto della vendita e del leasing; un rilievo
similare, tuttavia più chiaro e incisivo, si deve a G. D'Amico, Buona fede in contrahendo, in Riv. dir. priv., 2003, 349 s., nt. 41, il quale
osserva che la nullità della clausola in esame si giustifica non per la violazione della buona fede ma per il contrasto con l'art. 1463 c.c.,
considerata per l'appunto norma inderogabile; analogamente Id., Credito al consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali
(considerazioni "inattuali" su collegamento negoziale e buona fede), in questa Rivista, 2013, 719 ss.
(26) L'intima relazione tra la configurazione giuridica in termini di presupposto (contratto unitario plurilaterale) e la tecnica di tutela
dell'utilizzatore in termini di conseguenza (esperibilità dell'azione di risoluzione) è ben presente, ad esempio, in Cass. 26 gennaio 2000, n.
854, cit., che postula peraltro il litisconsorzio necessario del concedente, onde evitare in buona sostanza che la giuridica posizione di questi
possa essere modificata (nell'ipotesi di dichiarata risoluzione del contratto di vendita) in assenza di un formale coinvolgimento nel relativo
giudizio.
(27) Non è tuttavia chiaro se i giudici, laddove avessero ravvisato il collegamento in senso tecnico o proprio, avrebbero ritenuto superabile la
regola della relatività del contratto.
(28) Il tema dei rapporti tra collegamento negoziale e principio della relatività degli effetti contrattuali è oggetto della attenta disamina di G.
D'Amico, Credito al consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali, cit., 712 ss., il quale giustamente critica (rispetto alla
specifica vicenda giudiziale analizzata) l'integrale sovrapposizione tra dato economico e dato giuridico, che conduce i giudici ad affermare
(in quel caso di specie) che la risoluzione del contratto di finanziamento (a seguito dell'inadempimento del contratto di vendita) legittima il
mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, non al mutuatario, ma direttamente (ed esclusivamente) al venditore; infatti,
nonostante il non dubitabile collegamento tra il contratto di finanziamento e il contratto di acquisto del bene, il principio di relatività degli
effetti contrattuali risulterebbe superato "se si ammettesse (…) che il meccanismo delle restituzioni conseguenti alla risoluzione dei contratti
"collegati" possa e debba avvenire secondo le modalità or ora richiamate" (717), come del resto poi disposto a seguito della riforma degli
artt. 121 ss., D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, contenente il testo unico in materia bancaria e creditizia, il cui nuovo art. 125 quinquies,
comma 2 prevede (tra l'altro) che "Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso". L'impostazione
criticata è ben presente alla stessa ordinanza di rimessione che richiama, proprio rispetto alle vicende scaturenti dai rapporti tra risoluzione
del contratto di vendita per inadempimento del fornitore e consequenziale scioglimento del contratto di leasing, "la fattispecie limitrofa di
collegamento negoziale tra compravendita e mutuo (di scopo) finalizzato all'acquisto". Sull'evoluzione normativa in materia, alla luce delle
modifiche imposte dalla disciplina comunitaria, può utilmente consultarsi, tra i vari contributi, il volume collettaneo La nuova disciplina
europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di G. De
Cristofaro, Torino, 2009.
(29) La scissione di posizioni di cui in testo è da tempo presa in considerazione, sia pure dubitativamente quanto all'àmbito di estensione in
ordine alle conseguenze ricavabili in punto di tutela del mandante (nel caso di specie l'utilizzatore); possono, al riguardo, segnalarsi Cass. 2
novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125, in Rep. Foro it., 2004, voce Intervento in causa e litisconsorzio, 1416, n. 13;
Cass. 1° ottobre 2004, n. 19657, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 611; Cass. 5 settembre 2005, n. 17767, in Giust. civ., 2006, 289; Cass.
27 luglio 2006, n. 17145, in Dir. prat. soc., n. 20/2006, 70, con nota di Gaeta, Tutela sostanziale dell'utilizzatore di "leasing" finanziario;
Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, in Dir. prat. soc., n. 24/2008, 73, con nota di Gelfi, "Leasing" finanziario e legittimazione
dell'utilizzatore e in Obbl. contr., 2008, 996, con nota di Cognolato, Ancora in tema di leasing, mandato ed azione diretta dell'utilizzatore
(con una parziale novità?).
(30) Buonocore, Leasing, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1983, 803; critico anche Barbiera, Vizi della cosa concessa in leasing, cit., 1137,
rispetto all'obbligo a contrarre del concedente; diversamente (ma in maniera non convincente) Cass. 2 ottobre 1998, n. 9785, in Giur. it.,
1999, 1152, con nota (decisamente critica) di Rondelli, Perpetuum mobile: il leasing e la tutela diretta dell'utilizzatore, la quale, richiamando
(tuttavia impropriamente per quel che interessa) l'insegnamento dottrinale sulla variabilità effettuale del mandato, al fine di giustificare la
tutela ex art. 1705, comma 2, c.c. con riguardo all'esercizio dei diritti di credito acquisiti ritiene riconducibile la situazione in esame a quella
scaturente da un mandato avente ad oggetto "la stipulazione di atti giuridici particolari, quali la stipulazione di prendere in locazione un bene
o di conseguire un qualsiasi titolo personale di godimento di una cosa (…). Infatti, in questi casi si deve ritenere implicito o un consenso
attuale del mandante e del mandatario alla cessione della locazione o del titolo di godimento personale a beneficio del mandante, oppure un
impegno alla futura stipulazione di tale cessione" (1160).
(31) Sul valore programmatico del contratto di mandato, alla cui stregua esaminare e giustificare il complesso delle peculiari disposizioni di
cui agli artt. 1705, 1706 e 1707 c.c., sia consentito il rinvio a Di Rosa, Rappresentanza e gestione. Forma giuridica e realtà economica,
Milano, 1997, 231 ss. Del resto lo stesso concedente mantiene comunque (ossia in ogni caso) la titolarità del bene acquistato nell'interesse
dell'utilizzatore per tutto il periodo di durata del contratto di leasing; si dovrebbe pertanto ravvisare, a rigore, un mandato all'acquisto in
funzione della mera concessione in godimento, rispetto cioè ad una situazione giuridica soggettiva diversa (in quanto di contenuto minore)
138
rispetto a quella oggetto dell'acquisizione in ragione del mandato, salva peraltro l'eventuale successiva acquisizione in titolarità del bene da
parte dell'utilizzatore-mandante in virtù dell'esercizio del diritto di opzione nei confronti del concedente-mandatario.
(32) Del resto, secondo lo stesso modello normativo invocato a supporto, il mandante rimane (in maniera logicamente coerente) formalmente
estraneo all'instaurata relazione tra mandatario in nome proprio e terzo contraente; proprio questo dato, nonostante il richiamato art. 1705,
comma 2, c.c. costituisce, come a breve si avrà modo di verificare, un ostacolo decisivo al riconoscimento di tutele altre (e più incisive) a
favore dell'utilizzatore-mandante.
(33) In un passo della decisione si ha infatti modo di leggere che, a motivo della sussistenza di talune clausole nei formulari predisposti, il
contratto di fornitura può essere configurato "alla stregua di un contratto produttivo di taluni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore,
senza la necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all'utilizzatore i diritti di azione
riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705, comma 2, c.c.)".
(34) Il riferimento è al contratto a favore di terzi rispetto a cui, mutuando lo schema dell'art. 1411 c.c., come rilevato da Barbiera, Vizi della
cosa concessa in leasing, cit., 1137, "il contratto concluso dal concedente col fornitore verrebbe a configurarsi come contratto a favore di
terzo (l'utilizzatore) con assunzione da parte del fornitore-promittente di obblighi verso l'utilizzatore svincolati dalle vicende del rapporto di
base (il cosiddetto rapporto di provvista), intercorso tra esso fornitore e l'impresa di leasing"; analogamente A. Segreto, Una nuova proposta
per la tutela dell'utilizzatore nel leasing finanziario, in Arch. civ., 1998, 260 ss., il quale inquadra il contratto di acquisto tra concedente e
fornitore nello schema del contratto (parzialmente, ossia per la parte che riguarda il godimento) a favore di terzo, cioè l'utilizzatore.
(35) In questi termini Carnevali, Mandato. I) Diritto civile, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, 5; analogamente Carpino, I contratti speciali. Il
mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato Bessone, XIV, Torino, 2007, 47 s.; identicamente, già in precedenza, Luminoso,
Mandato, commissione, spedizione, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, XXXII, Milano, 1984, 221 ss.; più di recente Calvo, La rilevanza
esterna del mandato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 793 ss.; da ultimo Di Gregorio, Il mandato, II, Gli atti compiuti dal mandatario nei
confronti dei terzi, in I contratti di collaborazione, a cura di Sirena, in Trattato Rescigno-E. Gabrielli, 16, Torino, 2011, 138.
(36) La decisione richiamata è di Cass., SS.UU., 8 ottobre 2008, n. 24772, in Corr. giur., 2009, 691, con nota di Maffeis, Le azioni
contrattuali nel mandato senza rappresentanza: interesse del mandante e affidamento del terzo e in Obbl. contr., 2009, 513, con nota di
Longo, Affidamento del terzo nel mandato senza rappresentanza e unicità del fatto costitutivo quale presupposto dell'azione di
arricchimento. Il tema, del resto, aveva suscitato un importante contrasto giurisprudenziale proprio con riferimento alla fattispecie del
leasing finanziario, per i cui riferimenti dottrinali e giurisprudenziali può rinviarsi a Di Rosa, Il mandato, I, Artt. 1703-1709, in Comm.
Schlesinger-Busnelli, Milano, 2012, sub art. 1705, 98 ss. La automatica trasposizione delle risultanze giudiziali nomofilattiche al contratto di
leasing era stata revocata in dubbio dall'ordinanza di rimessione rilevandosi che "lontana dalle peculiarità del leasing appare la ratio
ispiratrice della decisione delle SSUU; che non riposa nella tutela del mandante, e nemmeno in quella del mandatario, ma del terzo", il quale
ultimo si troverebbe esposto a interventi di soggetti estranei che incidono sulle sorti del contratto in assenza di un proprio espresso consenso;
questo tipo di ostacolo, ad avviso dell'ordinanza di rimessione, non sembrerebbe conducente dal momento che nella locazione finanziaria "il
rapporto (ancorché non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti;
certamente incluso il venditore. Sicché non vi sarebbe motivo di parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma
soltanto di esposizione del terzo (anche senza una specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena, ma addirittura
coessenziale al contratto da lui stipulato". In altra sede, ossia in Di Rosa, Il mandato, I, cit., sub art. 1705, 97 s., nt. 68, avevo già avuto modo
di esprimere perplessità, a proposito della confermata interpretazione restrittiva dell'art. 1705, comma 2, c.c., in ordine al ritenuto pregiudizio
che deriverebbe al terzo dall'eventuale riconoscimento di una tutela più ampia al mandante, soprattutto (come nella richiamata decisione del
2008) nel caso di fallimento del mandatario.
(37) In merito, tra tanti, R. Clarizia, La convenzione Unidroit sulla locazione finanziaria: analogie e differenze rispetto al modello italiano,
in Riv. dir. impr., 1994, 27 ss.
(38) In tal senso, del resto, la stessa giurisprudenza, ossia, tra le altre, Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, cit., che riconosce all'utilizzatore la
legittimazione ad agire nei confronti del fornitore per fare valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al
risarcimento del danno conseguente sofferto ovvero al risarcimento del danno da inesatto adempimento del contratto medesimo,
richiamandosi proprio allo schema di cui all'art. 1705, comma 2, c.c.
(39) Al riguardo l'art. 125 quinquies, comma 3, D.Lgs. n. 385/1993 prevede solamente la possibilità per il consumatore di chiedere al
finanziatore di agire per la risoluzione del contratto di fornitura, una volta inutilmente effettuata la costituzione in mora del fornitore, con la
disposta successiva automatica risoluzione del contratto di locazione finanziaria una volta intervenuta la risoluzione del contratto di fornitura.
Decisamente critica sia rispetto alla introdotta disciplina ad hoc per il leasing (di consumo e traslativo) sia rispetto allo specifico tipo di
regolamentazione Gorgoni, Sui contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al capo II titolo VI TUB, novellato dal titolo I del d.lg. n.
141 del 2010, in Giur. mer., 2011, 342 ss., che, alla luce della soluzione legislativa, ritiene probabile (da parte del legislatore) "la presa d'atto
che la locazione finanziaria dà vita ad un'operazione la cui complessità strutturale non è colta per intero dal collegamento (che il legislatore
non pensasse alla ricorrenza di un collegamento è dimostrato a contrario dal fatto che nel comma 1 dell'art. 125-quinquies si detta la
differente disciplina applicabile ai contratti collegati" (343), rilevando altresì che la soluzione normativa non corrisponde (almeno nella sua
interezza) ad alcuna delle tesi prospettate al riguardo nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale rispetto all'inadempimento del fornitore
(ossia sostanziale autonomia dell'obbligazione del concedente rispetto a quella del fornitore se si ritiene di natura finanziaria la causa del
contratto di leasing, invocabilità dell'art. 1463 c.c. se si opta per la causa di scambio, collegamento negoziale con riconosciuta tutela ex art.
1705, comma 2, c.c., discussa tuttavia in ordine al relativo àmbito di estensione); Ead., Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della
nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Resp. civ. prev., 2011, 774 s.
(40) Della cui validità dunque le Sezioni Unite non sembrano dubitare; proprio per questo, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo,
vengono riproposti (già noti) modelli di gestione del consequenziale rapporto tra concedente e utilizzatore rispetto alla posizione del fornitore
(resosi inadempiente).
(41) Il riferimento è alle decisioni di Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 435, con nota di Chindemi, Leasing di
autovettura non immatricolata, cit., e di Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, in questa Rivista, 2004, 1023, con nota di Addante, Dovere di
collaborazione tra concedente ed utilizzatore nel leasing e clausole di traslazione del rischio; entrambe le vicende, peraltro, riguardano lo
stesso specifico problema (autoveicolo consegnato ma non idoneo alla circolazione) esaminato nel giudizio nomofilattico (che equipara la
fattispecie in esame a quelle della mancata consegna o della consegna rifiutata per la presenza di contestati vizi redibitori del bene).
139
(42) Regolamentazione già peraltro ritenuta utile, nonostante la confermata non applicabilità, da Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit. e Cass.
16 novembre 2007, n. 23794, cit., in quanto esempio di disciplina tipizzata dell'operazione di leasing.
(43) Almeno secondo quanto espressamente risulta dalle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite, ma su questo profilo si avrà modo di tornare
a breve in testo.
(44) M. Barcellona, Commento sub artt. 1374-1375, in Comm. Cendon, IV, 1, Torino, 1991, 624 s., riprendendo peraltro quanto dallo stesso
sostenuto in Id., Un breve commento sull'integrazione del contratto, in Quadrimestre, 1988, 547 ss.
(45) L'insegnamento è di Belfiore, La presupposizione, in Il contratto in generale, IV, in Trattato Bessone, XIII, Torino, 2003, 26, che
peraltro ritiene ammissibile un risultato del genere solo ove "tale pretesa sia priva di autonomia rispetto all'interesse disciplinato in contratto
e, perciò, si configuri come meramente strumentale-accessoria al soddisfacimento di quell'interesse".
(46) Belfiore, La presupposizione, cit., 28.
(47) In tal senso M. Barcellona, Commento, cit., 626; Id., Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e
diritto europeo, Torino, 2006, 173; Belfiore, La presupposizione, cit., 28, a cui avviso la buona fede è ben lungi dal costituire "un canale di
ingresso di istanze etiche o solidaristiche in qualche modo riconducibili a formule della Costituzione".
(48) Si deve peraltro escludere, nella ricostruzione creditizia del contratto di leasing, che l'interesse al godimento (effettivo ed esente da vizi)
del bene possa ritenersi un interesse non regolato in via pattizia; piuttosto, a rigore, l'interesse in esame è stato sicuramente tenuto presente
dai contraenti per assicurarne l'indipendenza (o, recisamente, l'estraneità) dal contratto di leasing, in assenza altresì di peculiari clausole
contrattuali attributive di forme di tutela (non conservative) all'utilizzatore rispetto al diverso contratto di vendita, dunque nei confronti del
fornitore. Solo in questo senso, del resto, si comprende il passaggio della decisione nomofilattica in cui, a proposito della regolamentazione
pattizia in tema di vizi del bene, si specifica che le clausole contrattuali di esenzione della responsabilità del concedente e di correlativo
obbligo dell'utilizzatore di accertamento della conformità del bene in sede di consegna sono poste "a garanzia della separazione tra rischio
finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l'esecuzione del piano di ammortamento
del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura. Ciò significa che, in forza di
queste clausole, l'utilizzatore non può sospendere il pagamento dei canoni né ottenere la risoluzione del contratto di locazione".
(49) Su questo tipo di ragionamento si fondano peraltro tutte quelle decisioni che, pur nella diversità di prospettiva, hanno comunque escluso
in maniera condivisibile che l'autonomia negoziale dei privati possa trasformare il contratto di leasing in un'operazione assolutamente a
rischio e pericolo dell'utilizzatore (ossia meramente creditizia), quale che sia la (ulteriore) funzione dell'operazione in esame (oltre quella
cioè, connaturale, di godimento nella logica dello scambio), richiamando altresì l'applicabilità dell'art. 1579 c.c. alla locazione finanziaria. È
questa la posizione, già in precedenza esplicitata, di Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit., e ripresa, con argomentazioni di stretto rigore
logico-argomentativo sia da Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit. sia da Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit., che tuttavia si erano arrestate alla
definizione dei reciproci doveri comportamentali (ossia di concedente e utilizzatore rispetto al comportamento, inadempiente, del fornitore),
ancorati alla buona fede in executivis, senza spingersi in ordine al consequenziale assetto di interessi da ciò risultante rispetto al contratto di
vendita e al contratto di leasing.
(50) Come nel caso di specie, in cui le Sezioni Unite hanno confermato la decisione dei giudici di appello che, nel respingere le domande di
parte attrice (l'utilizzatore), aveva statuito la necessità di un'apposita pattuizione scritta per l'eventuale esonero di responsabilità del
proprietario-concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa (accertamento poi in via di fatto precluso dalla mancata produzione in
giudizio del contratto di locazione finanziaria); emerge chiaramente, infatti, la preoccupazione che l'utilizzatore "in assenza di clausole
contrattuali che (…) gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura (ipotesi
che s'è verificata nella fattispecie in trattazione), rimanga sfornito di tutela, nell'inerzia del concedente".
(51) Prescindendosi qui anche dalla eventuale correlazione con la previsione dell'art. 1175 c.c., se, ovviamente, si aderisce alla
differenziazione tra il criterio della correttezza ex art. 1175 c.c. e il criterio della buona fede ex art. 1375 c.c. e alla distinte sfere di
competenza da assegnare a ciascuno di questi distinti criteri, secondo la prospettazione di Belfiore, La presupposizione, cit., 28 ss.;
diversamente, sul punto, M. Barcellona, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., 164 s., a cui avviso può anche ritenersi, rispetto al
dettato dell'art. 1375 c.c., che "la buona fede in esso prevista abbia valore anche ricognitivo del dovere di correttezza dell'art. 1175 c.c., e
cioè che con esso il legislatore abbia inteso anche ribadire in sede contrattuale ciò che ha disposto nella sede più generale del rapporto
obbligatorio"; in precedenza Di Majo, Obbligazioni e contratti, 2, L'adempimento dell'obbligazione, Bologna, 1993, 37, per il quale buona
fede e correttezza sono (anche) sinonimi; Roppo, Il contratto2, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 465; sulle (comuni) applicazioni
giurisprudenziali in ordine alle singole fattispecie contrattuali Macario, Esecuzione di buona fede, in Commentario E. Gabrielli, Dei contratti
in generale (Artt. 1350-1386), II, a cura di Navarretta - Orestano, Torino, 2011, sub art. 1375, 760 ss.
(52) Diversamente, ossia in assenza di conoscenza della contestazione, il concedente sarebbe tenuto a corrispondere il prezzo all'utilizzatore
ma potrebbe legittimamente pretendere il pagamento dei canoni da parte dell'utilizzatore, che dunque resterebbe (almeno a questo stadio
della vicenda) l'unico soggetto economicamente pregiudicato. Tale profilo, ossia la (più o meno realizzata) cooperazione tra concedente e
utilizzatore, era stato preso in considerazione da Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit. e da Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit., per distribuire il
relativo piano di rischi anche in rapporto (in particolare la seconda decisione) alla possibile applicazione dell'art. 1227 c.c., laddove entrambe
le parti del contratto di leasing abbiano concorso a dare causa al danno derivante dall'inadempimento del fornitore, il cui esatto adempimento
viene indicato come interesse comune.
(53) Sul punto, chiaramente, C. Scognamiglio, Unità dell'operazione, buona fede e rilevanza in sede ermeneutica del comportamento delle
parti, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 136 s.; nello stesso senso, in giurisprudenza, Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno
2002, n. 8222, cit.; Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit.; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit.
(54) Si tratta, peraltro, di quanto espressamente riconosciuto dalle stesse decisioni alle quali le Sezioni Unite hanno fatto esplicito riferimento
per fondare (almeno in parte) la propria scelta interpretativa, come Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit., che, per l'appunto, individua
nell'interesse al godimento del bene da parte dell'utilizzatore ciò che l'operazione negoziale è diretta a realizzare, costituendone la causa
concreta, con specifica e autonoma rilevanza rispetto a quella, ritenuta parziale, dei singoli contratti (ossia il contratto di leasing e il contratto
di vendita), che rimangono peraltro nella propria autonoma individualità giuridica; adesivamente, in precedenza, Cass. 2 novembre 1998, n.
10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit.; Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit.
(55) Il riferimento è alla posizione di G. D'Amico, Credito al consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali, cit., 720 s.; in
precedenza già M. Barcellona, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., 186 ss., commentando una decisione di legittimità sul punto
140
(ossia Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.), ricollegava (nell'impostazione dei giudici) il problema della validità della clausola di
inversione del rischio (oltre che al tema della derogabilità dell'art. 1463 c.c.) alla "coerenza di una diversa regolazione negoziale con lo
schema dell'operazione di leasing" (187), non potendosi affidare alla buona fede dell'art. 1375 c.c. (pure dai giudici ivi richiamata) il giudizio
di invalidità.
(56) V., al riguardo, le riflessioni già sviluppate in precedenza alla nt. 25.
(57) Ravvisata infatti la specialità della normativa richiamata non si comprende il senso della correlativamente disposta non applicabilità;
anzi, il carattere della (soggettiva) internazionalità del leasing ivi disciplinato non sembra idoneo ad escludere la fondatezza dell'interrogativo
in ordine, piuttosto, al richiamo di un individuato complesso di regole (per un assetto di interessi corrispondente) al fine di colmare,
analogicamente, la lacuna in tema di tutela dell'utilizzatore del contratto di leasing (comunque finanziario).
141
LA TUTELA DELL'UTILIZZATORE NEL CONTRATTO DI LEASING FINANZIARIO
Cass. civ. Sez. Unite, 05-10-2015, n. 19785
In mancanza di un'espressa previsione normativa, l'utilizzatore può esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo)
del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola
contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. In tema di vizi della cosa concessa
in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della
consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala
fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza
del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in
favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per
la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la
sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni
ipotesi, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma
corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.
FONTI
Contratti, 2015, 11, 1020
Contratti, 2016, 3, 224 nota di DI ROSA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f. Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente Sezione Dott. RORDORF Renato - Presidente Sezione Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente Sezione Dott. BERNABAI Renato - Consigliere Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere Dott. SPIRITO Angelo - rel. Consigliere Dott. PETITTI Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 26028/2008 proposto da:
SERTRA S.R.L. (già SPINELLI & RAMPAZZO S.R.L. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell'avvocato BONACCORSI DI PATTI
DOMENICO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente contro
CAR DIESEL S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FLAMINIA 213, presso lo studio dell'avvocato REBOA ROMOLO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato
SILVIO BRENTAROLLI, per delega a margine del controricorso;
- controricorrente e contro
MARCIOR S.N.C. DI CORDIOLI E. & C.;
- intimata avverso la sentenza n. 1493/2007 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2015 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
uditi gli avvocati Domenico BONACCORSI DI PATTI, Romolo REBOA;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE
1 - Il processo.
La Spinelli & Rampazzo s.r.l. citò in giudizio la Car Diesel s.p.a., chiedendo la risoluzione, per inadempimento di quest'ultima,
142
del contratto di fornitura di un autocarro collegato ad un contratto di leasing stipulato con Austria Finanza s.p.a.; autocarro poi
risultato privo di una qualità essenziale, in quanto strutturalmente inidoneo ad ottenere l'autorizzazione ADR e la conseguente
omologazione da parte del Ministero dei Trasporti. Chiese, altresì, la condanna della società convenuta al risarcimento dei
danni o, quantomeno, alla riduzione del prezzo di compravendita.
Nella costituzione in giudizio di Car Diesel s.p.a. e previa riunione di questa causa ad altra da quest'ultima introdotta nei
confronti della Marciar s.n.c. di Cordioli E. & C., alla quale era stato dato incarico di allestire ed adeguare l'autocarro in vista
dell'ottenimento della suddetta autorizzazione ministeriale, intervenne là sentenza con la quale il tribunale di Verona:
dichiarò la risoluzione del contratto di fornitura per fatto e colpa della venditrice Car Diesel s.p.a.; condannò quest'ultima alla
restituzione di quanto percepito nella vendita; respinse la domanda risarcitoria.
Interposto gravame da parte della Car Diesel s.p.a., la corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado,
dichiarò la carenza di legittimazione attiva della Spinelli &
Rampazzo s.r.l., con conseguente rigetto di tutte le domande da questa proposte.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Sertra s.r.l. (già Spinelli & Rampazzo s.r.l.) sulla base di un unico
motivo. Resiste con controricorso la Car Diesel s.p.a. Sertra ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Nessuna attività
difensiva è stata svolta dalla Marciar s.n.c..
La terza sezione civile di questa Corte, ritenuto che la causa pone una questione di massima di particolare importanza, ha
rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha così disposto.
2- Il motivo di ricorso.
Con l'unico motivo di ricorso Sertra s.r.l. deduce, ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art.
1705 c.c. , e delle disposizioni che presiedono all'interpretazione dei negozi giuridici ex art. 1362 c.p.c. e segg.. La corte di
appello avrebbe erroneamente affermato la carenza della sua legittimazione attiva alla risoluzione della vendita sull'erroneo
presupposto che l'esercizio diretto dell'azione contrattuale da parte dell'utilizzatore del bene in leasing nei confronti del
fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, sia ammissibile solo in presenza di specifica clausola
contrattuale, nella specie inesistente.
A corredo del motivo viene formulato, ex art. 366 bis c.p.c. (qui applicabile ratione temporis), il seguente quesito di diritto: "se
vi è stata violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c. , e dei criteri che presiedono all'interpretazione dei negozi giuridici
in virtù dei quali nel contratto di locazione finanziaria all'utilizzatore è riconosciuta, quale effetto naturale connaturato
all'operazione di locazione finanziaria stessa, una tutela diretta verso il fornitore per i vizi della cosa anche in assenza di
specifiche clausole contrattuali, avendo ritenuto nel caso di specie la corte di appello di Venezia, nonostante la pacifica e
documentata sussistenza della locazione finanziaria, il difetto di legittimazione attiva dell'utilizzatore, sul presupposto che la
stessa dovesse avere la propria fonte in un patto contrattuale non rinvenuto agli atti del giudizio; dovendosi invece dichiarare
sussistente la legittimazione attiva dell'odierna ricorrente quale utilizzatore nel contratto di locazione finanziaria intercorrente
con la Car Diesel, con ogni conseguenza di legge".
3 -L'ordinanza di rimessione.
Con ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2014, n. 17597, la Terza Sezione Civile di questa Corte ha chiesto l'intervento
chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, concernente - con riguardo ai
presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell'art. 1705 c.c. , comma 2, alla locazione finanziaria - le azioni
direttamente proponibili dall'utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per
inadempimento di quest'ultimo.
Ha osservato il collegio che tale questione non può prescindere dalla considerazione della natura e della struttura del contratto
di locazione finanziaria.
In particolare, sotto il profilo della causa contrattuale, viene evidenziato che il conseguimento del bene nella disponibilità
dell'utilizzatore è reso possibile dall'intervento del concedente;
il quale, peraltro, esaurisce il proprio ruolo nel fornire il supporto finanziario necessario all'acquisto, restando sostanzialmente
indifferente allo svolgimento della relazione materiale con il bene, sebbene ne sia divenuto formalmente proprietario. Ed,
infatti, il concedente: non intrattiene rapporti con il fornitore diversi da quelli necessari a formalizzare l'acquisto, nemmeno
nella fase della trattativa (occupandosi direttamente l'utilizzatore della scelta del bene da acquistare); non assume i rischi
riconducibili a vario titolo al rapporto con la cosa (deterioramento, sottrazione, perimento, vizi, difetti funzionali, inidoneità
all'uso previsto, mancata o incompleta consegna).
Insomma, il concedente sostiene finanziariamente un'operazione che è definita da soggetti diversi nei suoi aspetti essenziali.
Sotto il profilo della struttura del contratto, poi, l'ordinanza ritiene ormai superata la ricostruzione del leasing in termini di
contratto unitario plurilaterale, preferendo dottrina e giurisprudenza fare riferimento alla figura del collegamento negoziale tra
compravendita e locazione finanziaria. Tale ricostruzione, che non mette in discussione la causa unitaria dell'operazione
economica, condurrebbe ad ammettere l'azione diretta dell'utilizzatore nei confronti del fornitore, seppure in presenza di alcuni
presupposti e limiti, non sempre univocamente determinati, riconducibili al mandato senza rappresentanza di cui all'art. 1705
c.c. , comma 2, laddove l'utilizzatore assume la veste di mandante, il concedente quella di mandatario (compiendo un'attività
giuridica per conto dell'utilizzatore senza spenderne il nome) ed il fornitore quella del terzo.
Sostiene, pertanto, l'ordinanza che:
143
a) l'operazione economica che interviene tra concedente, utilizzatore e fornitore non da luogo ad un contratto plurilaterale, ma
ad un collegamento negoziale tra un contratto di compravendita ed un contratto di locazione finanziaria, per effetto del quale
l'utilizzatore è legittimato ad esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura. Con la conseguenza che
la clausola derogativa della competenza, contenuta nel contratto di vendita ed espressamente approvata per iscritto dalle parti
di quel contratto, deve ritenersi operante anche nei confronti dell'utilizzatore, in quanto clausola di trasferimento, facente parte
del contratto dal quale l'utilizzatore deriva il suo potere di azione;
b) "in caso di leasing finanziario - atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del
terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che sì ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza
(sicchè ai sensi dell'art. 1705 c.c. , comma 2, il mandante ha diritto di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via
surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non
pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto
del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del
danno in caso di inadempimento) - l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura,
oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto" (in questo senso Cass. 27 luglio 2006, n. 17145), nonchè
ancora all'accertamento dell'esatto corrispettivo spettante al fornitore;
c) l'utilizzatore non è, invece, normalmente legittimato all'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la
società di leasing, salva la presenza di una specifica clausola contrattuale che trasferisca in capo all'utilizzatore la posizione
sostanziale spettante al concedente. Legittimazione, peraltro, riconosciuta da alcune sentenze, le quali, facendosi carico del
pregiudizio che la risoluzione del contratto di vendita potrebbe arrecare al concedente, configurano, a tutela di quest'ultimo e a
garanzia della utilità della sentenza medesima, una fattispecie di litisconsorzio necessario che ne permetta la partecipazione al
giudizio; litisconsorzio esteso anche all'azione di riduzione del prezzo della fornitura.
L'ordinanza interlocutoria richiama, poi, la L. 14 luglio 1993, n. 259 , di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul
leasing finanziario internazionale stipulata ad Ottawa il 28 maggio 1988.
L'art. 10, della menzionata legge - non applicabile nel caso all'esame della Corte ma pur sempre utile a fini interpretativi stabilisce che gli obblighi del fornitore derivanti dal contratto di fornitura possono essere fatti valere anche dall'utilizzatore, pur
non essendo quest'ultimo parte del contratto, anche se per l'annullamento o per la risoluzione del contratto di fornitura occorre
in ogni caso il consenso del concedente. Il tutto, peraltro, nel quadro di una disciplina informata ad una maggiore tutela
dell'utilizzatore nei confronti del concedente, laddove per il diritto interno è preclusa la possibilità di ottenere la risoluzione del
contratto di leasing per questioni inerenti alla cosa, nonchè la possibilità di far valere nei confronti del concedente
l'inadempimento del fornitore.
Si afferma, altresì, che qualsiasi soluzione interpretativa non può prescindere dalle conclusioni raggiunte da Sez. U, 8 ottobre
2008, n. 24772, secondo la quale "l'espressione diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato ( art. 1705 c.c. , comma
2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta ali 'esercizio dei diritti sostanziali
acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento
del danno)". Si tratta, beninteso, di una decisione non emessa in materia di leasing ma di portata generale, affrontandosi tutti
gli aspetti della legittimazione sostitutiva del mandante, così come desumibili dall'art. 1705 c.c. , comma 2, norma ritenuta
ormai costituente "Il passaggio obbligato comunemente invocato per normativamente giustificare e definire, anche nella
locazione finanziaria, le azioni contrattuali esperibili in via diretta dall'utilizzatore".
Il collegio della terza sezione, peraltro, dubita che il decisum di Sez. U, n. 24772/2008, con riferimento all'attribuzione al
mandante dei diritti ma non delle azioni, possa essere trasposto sic et simpliciter in materia di leasing in quanto significherebbe
negare la peculiarità di tale istituto e la stessa sua perfetta sussumibilità sotto la disciplina del mandato senza rappresentanza.
Ed, invero:
a) con riferimento all'art. 1705 c.c. , comma 2, l'utilizzatore, a differenza del mandante, ha un rapporto diretto con il fornitore
(terzo nel rapporto di mandato), gestendo in prima persona, fin dall'inizio, il rapporto di fornitura e stabilendone
discrezionalmente le condizioni;
b) con riferimento all'art. 1706 c.c. , il regime degli acquisti del mandatario poco o nulla si attaglia alla locazione finanziaria,
nella quale il passaggio delle cose alla proprietà del mandante non avviene (se avviene) per rivendica (cose mobili) o per
obbligo di ritrasferimento (immobili e mobili registrati), ma per esercizio del riscatto;
c) la ratio ispiratrice di Sez. U, n. 24772/2008 è volta alla tutela del terzo: "ciò che osta all'accoglimento della tesi ammissiva
della legittimazione diretta da parte del soggetto, il mandante, che pure ha acquisito i diritti negoziali e ne può fruire in guanto
titolare sostanziale, è la preclusione a configurare nella specie in pregiudizio del terzo ed in violazione dell'articolo 1406 del
codice civile - una cessione al mandante dell'intera posizione contrattuale formalmente costituitasi in capo al mandatario (...)
senza consenso del contraente ceduto. Orbene, si tratta di un ostacolo che, nella locazione finanziaria, non sembra abbia
ragione di esistere; dal momento che in essa il rapporto (ancorchè non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi ed a svolgersi
nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti; certamente incluso il venditore. Sicchè non vi sarebbe motivo di
parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma soltanto di esposizione del terzo (anche senza una
specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena, ma addirittura coessenziale al contratto da lui
stipulato".
144
L'ordinanza di rimessione osserva, altresì, che Sez. U, n. 24772/2008 non stabiliscono una regola assoluta, ma un semplice
rapporto regola - eccezione, ragion per cui sarebbe sempre possibile far rientrare il leasing tra le ipotesi in cui la legge
riconosce eccezionalmente all'utilizzatore - mandante la legittimazione sostanziale e processuale. Tuttavia, resterebbe il
problema di stabilire quali sono le azioni che spettano all'utilizzatore e, segnatamente, se gli spetta l'azione di risoluzione, che
potrebbe essere pregiudizievole per il mandatario-concedente.
In realtà, sembra necessario al collegio della terza sezione contemperare, quale naturale conseguenza del collegamento
negoziale, le diverse esigenze di tutela del concedente e dell'utilizzatore, pressappoco come avvenuto nel caso limitrofo del
collegamento negoziale tra compravendita e mutuo di scopo, in cui è stato riconosciuto che, in caso di risoluzione del contratto
di vendita per fatto imputabile al venditore, l'obbligo di restituzione al mutuante della somma ricevuta grava sul venditore e
non sul mutuatario; e ciò in relazione al venir meno, in tale evenienza, dello scopo del contratto di mutuo. Allo stesso modo, lo
scioglimento della vendita potrebbe comportare Io scioglimento della locazione finanziaria se fosse valorizzata la funzione
economica non solo finanziaria, ma anche di scambio insita nel collegamento negoziale tra contratto di fornitura e leasing.
Infine, viene evidenziato che la soluzione del litisconsorzio necessario con il concedente, affermata in alcune pronunce al fine
di ammettere la risoluzione ad istanza dell'utilizzatore, non è soddisfacente, perchè "la sola partecipazione alla lite del
concedente (quand'anche la si ritenesse necessaria) nulla sarebbe in grado di dire sui diritti contrattuali che, nel processo così
soggettivamente esteso, possono trovare deduzione e riconoscimento".
In tale situazione di incertezza interpretativa, è richiesto, pertanto, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.
4 - La questione sottoposta alle Sezioni Unite - Premesse.
La questione sottoposta alle Sezioni Unite può essere, dunque, così sintetizzata: se, in caso di leasing finanziario, l'utilizzatore
sia legittimato - oltre che a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno
conseguentemente sofferto - anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di
leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in
presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all'utilizzatore.
Prima di procedere alla soluzione della questione occorre svolgere alcune premesse.
Vanno dati per acquisiti una serie di concetti, nozioni e definizioni consolidatisi intorno al contratto del quale si discute, che,
benchè atipico rispetto a quelli previsti dal codice civile, ha ormai trovato, nelle sue molteplici versioni, unanime definizione
dottrinaria e giurisprudenziale, nonchè ripetuti riconoscimenti normativi. Va, dunque, ristretta la trattazione nei limiti del
quesito posto alle Sezioni Unite e delle perplessità avanzate dall'ordinanza di rimessione rispetto ad un preponderante quadro
dottrinario e giurisprudenziale che, come si vedrà in seguito (e come la stessa ordinanza ammette), non solo ha da tempo
negato alla vicenda la natura di negozio plurilaterale ma, ravvisando un'ipotesi di collegamento negoziale (tra la vendita e la
locazione), ha escluso che l'utilizzatore possa sperimentare verso il fornitore l'azione di risoluzione e quella di riduzione del
prezzo.
Altrettanto occorre premettere che, come meglio si spiegherà, la prassi mercantile ha di fatto risolto il problema attraverso la
frequente stipulazione di atti ai quali partecipano le tre parti (soprattutto nel leasing immobiliare), oppure attraverso clausole
contenute nel contratto di locazione con le quali il concedente trasferisce all'utilizzatore tutti i diritti e le correlate azioni che
egli potrebbe sperimentare verso il fornitore.
5 - Le azioni esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di inadempimento del fornitore - Il risalente quadro giurisprudenziale.
La chiave di volta della questione risiede nella configurazione strutturale del contratto del quale si discute, posto che, se lo si
ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l'esperibilità dell'azione di risoluzione da parte
dell'utilizzatore contro il fornitore, posto che quest'ultimo è considerato anch'egli parte del contratto di compravendita. Il
problema si pone, invece, se l'interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e
concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della
stessa), pur riconoscendo l'indiscutibile collegamento esistente tra i due.
In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l'utilizzatore, negozio stipulato tra terzi (res inter alios acta) rispetto al
quale egli non ha alcun potere d'incidenza; restando, comunque, da verificare se il riconosciuto collegamento negoziale
conceda all'utilizzatore (come sostiene il ricorso in esame e pone in chiave problematica l'ordinanza interlocutoria) quel potere,
compresa l'esperibilità da parte sua dell'azione di risoluzione del contratto di vendita, al quale egli non ha partecipato.
Come s'è già visto in precedenza, una risalente giurisprudenza, proprio per risolvere positivamente il problema, tendeva a
configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l'acquisto ad opera del concedente va effettuato per
conto dell'utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell'esonero del primo da ogni responsabilità in
ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere
il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente
l'obbligo della consegna, nè garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, nè rimane tenuto alla
garanzia per evizione (in tal senso, Cass. n. 4367/97, n. 6076/95, n. 5571/91).
Così ragionando, si evitava di lasciare l'utilizzatore senza tutela, essendo comunque "abilitato ad esperire direttamente le azioni
derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore" (in questo senso si esprimeva la già citata Cass. n. 4367/97);
azioni giustificate proprio dalla struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è l'utilizzatore (e non il concedente/proprietario,
che si è limitato a finanziare l'operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto.
145
Più in particolare, Cass. n. 854/00, ponendosi appunto nell'ottica del contratto di leasing come contratto plurilaterale, osservava
che, poichè la prestazione del fornitore va ritenuta essenziale nell'economia dell'affare ai sensi dell'art. 1459 c.c. , non v'è
possibilità da parte dell'utilizzatore di chiedere la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del fornitore senza
che venga coinvolto anche il concedente. Invero, "la locazione finanziaria dà luogo ad un'operazione giuridica unitaria, nella
quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall'affare; ciascun contraente
assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a
trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell'utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente
si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento ali 'utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a
rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento ottenuto.
Nascono vincoli obbligatori incrociati tra loro nei quali la prestazione del fornitore è essenziale nell'economia del contratto,
perchè è quella che soddisfa l'interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore a ricevere il prezzo; se essa
viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti.
La risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall'utilizzatore il quale consegua la
restituzione del prezzo e il risarcimento del danno pregiudicherebbe la condizione del concedente; questi oltre ad essere privato
della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la
cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell'utilizzatore di pagare i canoni". Di qui la
necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione del concedente, che la sentenza riteneva rispondere all'esigenza
avvertita anche dal legislatore, allorquando, con l' art. 10 della legge n. 259/1993, recependo la Convenzione Unidroit sul
leasing internazionale, ha stabilito che l'utilizzatore, pur potendo agire direttamente nei riguardi del fornitore per
l'adempimento del contratto di fornitura (comma 1), non può chiederne tuttavia la risoluzione senza il consenso del concedente
(secondo comma).
Questa sorta di litisconsorzio necessario nei confronti del concedente (nell'azione di risoluzione direttamente introdotta
dall'utilizzatore contro il fornitore) sembrava, a siffatta giurisprudenza, un espediente capace di rimediare alla stridente
anomalia dell'azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere e che, nel suo esito positivo,
necessariamente comporta la perdita in danno del concedente/proprietario/locatore non solo della proprietà (garanzia rispetto
all'utilizzatore) ma anche dei canoni derivanti dalla locazione (sulla stregua di quest'orientamento si vedano anche Cass. n.
5125/04 e n. 11776/06).
6 - Segue - L'evoluzione giurisprudenziale.
La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, ben presto abbandonata dalla giurisprudenza a seguito della decisa
critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leasing come ipotesi di
collegamento negoziale. Secondo quest'idea, l'operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro: quello
di leasing propriamente detto e quello di fornitura. "Questo collegamento, consistente in ciò che il contratto di fornitura, nel
complesso dell'operazione, ha la funzione di mezzo per l'esecuzione di quello di leasing, risulta da più indici: la struttura del
procedimento di formazione negoziale, in cui intervengono in varia sequenza le tre parti; la sussunzione, a contenuto del
contratto di fornitura, di elementi individuati insieme dal fornitore e dell'utilizzatore; la circostanza che i contratti, di fornitura
come di leasing, esplicitino, per solito, come ragione dell'acquisto del bene da parte del concedente sia la sua concessione in
godimento all'utilizzatore che lo ha scelto, sia la previsione, contenuta nel contratto di fornitura, che la consegna del bene
dovrà farsi dal fornitore direttamente all'utilizzatore" (così motiva Cass. n. 10926/98 e le fanno seguito Cass. n. 15762/00, n.
5125/04, n. 19657/04, n. 6728/05, n. 20592/07).
In altri termini, il leasing finanziario "realizza un'ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di
fornitura, quest'ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l'interesse del futuro
utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa" (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene
normalmente in evidenza proprio "in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società
di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della
società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato
direttamente dal fornitore all'utilizzatore" (Cass. n. 16158/07, n. 9417/14).
In quest'ordine di idee, s'è fatto ricorso alla disposizione dell'art. 1705 c.c. , comma 2, (il quale attribuisce al mandante il
diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario,
assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto
concluso, potendo il mandante esercitare in confronto del terzo le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario,
intese ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) per dedurne che l'utilizzatore ha la
legittimazione a far valere le azioni intese all'adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto
adempimento (così Cass. n. 10926/98, n. 17145/06, n. 17767/05, n. 5125/04, n. 19657/04), con esplicita o talvolta implicita
esclusione dell'azione di risoluzione.
Sulla base della stessa premessa normativa, si è pure aggiunto che, in assenza di diversa pattuizione, con la consegna del bene
dal fornitore direttamente all'utilizzatore e la conseguente sua accettazione da parte di quest'ultimo, sorge a carico
dell'utilizzatore l'obbligo di pagamento dei canoni nei confronti del concedente e non possono a lui opporsi eventuali vizi, per
quanto originali, del bene locato, che devono essere fatti valere con azione di garanzia unicamente nei confronti del fornitore.
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Invero, costituisce elemento naturale del negozio "l'esonero dal locatore di ogni responsabilità in ordine alle condizioni del
bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene, che sarà oggetto
del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere
direttamente dall'utilizzatore nei confronti del fornitore, così come avviene nel caso di contratto concluso dal mandatario in
nome proprio, ma per conto del mandante". Con la conseguenza che "l'utilizzatore non può far valere l'eccezione di
inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell'art. 1460 c.c. , per rifiutare le proprie prestazioni nei
confronti del concedente" (Cass. n. 19657/04).
Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale s'è, dunque, ammesso che l'utilizzatore possa agire contro il fornitore per
l'adempimento o per il risarcimento, ma s'è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto,
conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell'obbligo
di restituzione del bene e della perdita del lucro dell'operazione di finanziamento.
In particolare, si è sottolineato "l'emergere a tale stregua di una lacuna in merito alla disciplina applicabile al leasing
finanziario in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e in particolare relativamente ai rimedi dallo stesso
utilizzatore esperibili nei confronti del fornitore. Lacuna da risolversi invero solamente caso per caso, la possibilità di
esercitarsi da parte dell'utilizzatore l'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing - cui
esso è estraneo - dipendendo in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo" (così, Cass. n.
17145/06 e n. 534/11).
Quest'orientamento tiene a precisare (in risposta alla risalente giurisprudenza che pretendeva il litisconsorzio necessario del
concedente in siffatta azione dell'utilizzatore contro il fornitore) che la questione attiene non già alla legittimazione passiva, ma
alla "titolarità attiva, all'esito del previo accertamento in ordine alla previsione nel contratto di leasing di una clausola
contemplante il suindicato pattizio trasferimento all'utilizzatore della posizione sostanziale originariamente propria della
società di leasing acquirente"; con la conseguenza che "il relativo accertamento, soggetto ad eccezione di parte nei tempi e nei
modi previsti dal codice di rito, spetta invero al giudice del merito".
Anche Cass. n. 23794/2007, che pure riconosce la legittimazione dell'utilizzatore alla domanda di accertamento dell'esatto
corrispettivo, nega, benchè implicitamente, la legittimazione di quest'ultimo alla domanda di risoluzione: "(...) deve decisamente - escludersi che la domanda di accertamento (negativo) delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal
fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a quest'ultimo, possa identificarsi in
una domanda di risoluzione contrattuale".
7- La soluzione della questione.
Benchè siano ormai numerosi gli interventi legislativi diretti a definire ed a regolamentare la vicenda negoziale della quale si
sta trattando e, dal canto suo, la giurisprudenza (non solo di legittimità) sia stata finora tesa a studiarlo in maniera unitaria e
formalistica, l'istituto della locazione finanziaria si presenta, invece, nella pratica mercantile, sotto forme e strutture diverse, di
volta in volta adattate a realizzare i concreti e disparati interessi degli operatori economici, tradotti in formulari contrattuali che
hanno soltanto alcuni punti in comune ma che, abitualmente, sono diversamente forgiati secondo le concrete esigenze in
campo.
E' così che nella generica denominazione di leasing si vanno a ricomprendere numerosissime figure contrattuali, ognuna avente
la sua peculiarità, quali (solo per citarne alcune) il leasing traslativo e quello di godimento, il leasing operativo e quello al
consumo, il leasing pubblico e quello finanziario immobiliare, il lease back e la locazione finanziaria di autoveicoli, navi ed
aeromobili.
Il dato comune a tutti è che, alla base, esiste un'operazione di finanziamento tendente a consentire al c.d. utilizzatore il
godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un
soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all'utilizzatore di soddisfare
un interesse che, diversamente, non avrebbe avuto la possibilità o l'utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone
che si compone, in parte, del costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l'anticipazione del capitale.
Affiancata a questa v'è, necessariamente, un'altra operazione, quella tendente all'acquisto del bene del quale l'utilizzatore
intende godere, ossia un'ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e concedente, attraverso la quale il secondo diventa
proprietario del bene che darà in locazione all'utilizzatore da lui finanziato. Proprietà che, soprattutto nel leasing traslativo
(ossia quello che, come esito finale, prevede il trasferimento di proprietà dal concedente all'utilizzatore) ha la fondamentale
funzione di garanzia a favore del primo, rispetto ai canoni che ha il diritto di percepire dal secondo.
Nella grande normalità dei casi, è lo stesso utilizzatore/locatario a scegliere non solo il bene in tutte le sue caratteristiche, ma
anche il fornitore, il quale ultimo è consapevole dei risvolti dell'operazione, ossia che la cosa viene acquistata dal concedente
perchè questi la dia in godimento all'utilizzatore.
Non v'è dubbio, dunque, che la vicenda è trilatera, nel senso che coinvolge necessariamente tre soggetti; così come è indubbio
che tra i due negozi v'è un indispensabile collegamento, siccome la fornitura è effettuata in funzione della successiva locazione
del bene compravenduto e la locazione presuppone che il locatore si sia procurato il bene che darà in godimento al locatario.
Tuttavia, nessuno pone in discussione che i due atti mantengano la loro sostanziale autonomia, che l'utilizzatore sia terzo
rispetto al contratto di fornitura ed, a sua volta, il fornitore sia terzo rispetto al contratto di locazione; laddove, invece, il
concedente è l'unico, tra i tre, ad essere parte di entrambi gli atti.
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In quest'ordine di idee, la sottrazione della vicenda dall'ambito del rapporto plurilaterale e la sua sussunzione in quello del
contratto collegato fa sì che le parti possano gestire separatamente i distinti rapporti contrattuali, secondo le rispettive funzioni,
assegnando rilevanza giuridica a quelle sole interdipendenze che realmente condizionano l'attuazione dell'operazione
economica.
D'altronde, è la stessa prassi che ha preferito la strada del contratto collegato, tenuto conto che, per un verso, il contenuto del
contratto di fornitura è di estrema rilevanza per l'utilizzatore nelle parti in cui si fissano le qualità e le caratteristiche del bene,
le garanzie di conformità, gli obblighi di consegna, ma che, per altro verso, una serie di altri patti contenuti nel contratto di
fornitura (si pensi, ad esempio, alle clausole relative al pagamento del prezzo) non generano interdipendenza e rimangono (o
possono rimanere) estranee al regolamento contrattuale tra concedente ed utilizzatore.
La stessa Convenzione di Ottawa, della quale s'è già fatta menzione, descrive la vicenda economica come incorporante due
distinti contratti rispettivamente richiamati nelle L. n. 259 del 1993 , comma 1, lett. a) e b), pone al centro dell'operazione il
concedente e lo individua in colui il quale stipula sia il contratto di fornitura, sulla base delle indicazioni dell'utilizzatore, sia il
distinto contratto di leasing con l'utilizzatore, "dando a quest'ultimo il diritto di usare il bene contro pagamento dei canoni".
Peraltro, la Convenzione non parifica in radice le figure del concedente e dell'utilizzatore nei loro rapporti verso il fornitore,
bensì ricorre alla tecnica dell'assimilazione, stabilendo che "Gli obblighi del fornitore in base al contratto di fornitura potranno
essere fatti valere anche dall'utilizzatore come se egli fosse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito
direttamente" (art. 10).
Così inquadrato, il contratto di leasing è un contratto meramente bilaterale stipulato tra concedente ed utilizzatore e collegato
ad altro contratto bilaterale stipulato tra concedente e fornitore per l'acquisizione del bene oggetto del contratto a favore
dell'utilizzatore.
Nella pratica, il collegamento si realizza mediante apposite clausole previste in ciascuno dei due contratti. In particolare, nel
contratto di leasing, quelle clausole: obbligano il concedente ad acquistare il bene già individuato dall'utilizzatore e descritto
nello stesso contratto (anche mediante esplicito riferimento al contenuto del contratto di fornitura, che l'utilizzatore dichiara di
conoscere ed approvare); cedono all'utilizzatore diritti futuri, ma determinabili perchè derivanti al concedente dal contratto di
fornitura; obbligano il concedente alla futura cessione di eventuali diritti nascenti da responsabilità del fornitore. Nel contratto
di fornitura:
configurano l'utilizzatore (che nel contratto di leasing ha assunto tutti i rischi derivanti dalla fornitura oltre che dall'utilizzo del
bene oggetto del contratto) quale beneficiario delle prestazioni inerenti alla produzione e messa a disposizione del bene, in
conformità con le prescrizioni contrattuali e di legge già definite nel contratto di leasing. Così pure, nella pratica questo
collegamento è talvolta ancor più esaltato attraverso la partecipazione dell'utilizzatore al contratto di fornitura. Soprattutto in
area di leasing immobiliare il notaio usa costituire nel contratto di compravendita la "parte venditrice" (il fornitore), la "parte
acquirente" (il concedente), nonchè l'altro soggetto che dichiara di intervenire nell'atto di compravendita in qualità di
"utilizzatore" dell'immobile, oggetto del separato contratto di locazione finanziaria, ed al quale la parte venditrice, preso atto
che l'acquisto viene effettuato dal concedente al solo fine di fargli utilizzare l'immobile, presta tutte le garanzie di legge,
assumendo altresì nei suoi confronti le obbligazioni che - per legge o per convenzione - sono a suo carico in quanto parte
venditrice. In siffatti contratti si aggiunge pure che:
per la suddetta ragione, l'utilizzatore (riconosciuta la corrispondenza dell'immobile a quello da lui autonomamente prescelto ed
individuato) potrà rivolgersi direttamente ed autonomamente alla parte venditrice in ogni sede per qualsivoglia reclamo o
pretesa, relativi all'immobile, previa comunicazione scritta alla parte acquirente; l'utilizzatore manleva la parte acquirente da
qualsiasi conseguenza derivante da vizi, difetti, irregolarità, inidoneità all'uso, mancanza delle qualità all'uso, mancanza delle
qualità relativi all'immobile, agli impianti, alle pertinenze ed agli accessori dello stesso, nonchè per eventuali mendacità,
irregolarità od imprecisioni delle dichiarazioni rese dalla parte venditrice nell'atto (così testualmente s'esprimono le più comuni
clausole inserite nei contratti di compravendita di beni immobili destinati al leasing).
E' proprio la presenza di siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il contratto di
fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza necessità di
ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all'utilizzatore i diritti di azione
riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza ( art. 1705 c.c. , comma 2).
In questo senso, la pratica commerciale ha elaborato soluzioni idonee a conciliare le istanze di separazione funzionale e dei
rischi, così da consentire la realizzazione dell'operazione economica attraverso il coordinamento che l'unitarietà di tale
operazione e l'interdipendenza tra le prestazioni naturalmente generano.
Volendosi, invece, porre al cospetto di ipotesi in cui nessuna clausola contrattuale consenta all'utilizzatore la sperimentazione
dell'azione risolutiva del contratto di fornitura, non può eludersi la regola base in tema di effetti del contratto, ossia quella in
virtù della quale il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse
dalla legge e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. E' la regola della c.d. relatività del contratto,
consacrata nell'art. 1372 c.c. , in forza della quale è, in via di principio, da escludersi che, in mancanza di diverso patto o di
specifica disposizione normativa, colui che non è stato parte del contratto di fornitura (l'utilizzatore) possa agire perchè il
contratto stesso sia risolto; incidendo in una res inter alios acta e sortendo, così, l'effetto di privare il concedente della proprietà
del bene locato e, dunque, della garanzia riservatasi a fronte del pagamento dei canoni di locazione.
148
Questa regola, in specifiche ipotesi, è stata ritenuta derogata da un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la
considerazione unitaria della fattispecie. Collegamento in senso tecnico per il quale è necessario che ricorra sia un requisito
oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti
nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito
dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche
il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria
autonomia anche dal punto di vista causale (il principio è consolidato e, tra le più recenti in tal senso, cfr. Cass. n. 11974/10).
Non è qui il caso di approfondire in astratto il tema del collegamento negoziale, tuttavia il quesito posto alle Sezioni Unite
presuppone (nell'impostazione sia del ricorso, sia dell'ordinanza interlocutoria) che ci si interroghi se, nella specifica vicenda in
trattazione, ricorra un'ipotesi di collegamento negoziale in senso tecnico, in virtù del quale la validità e l'invalidità di un
contratto si rifletta sull'altro in forma di reciproca interdipendenza. Ossia produca, in estrema sintesi, gli effetti di cui al
brocardo del simul stabunt simul cadent.
Orbene, sul punto occorre concordare con quell'autorevole dottrina la quale osserva che, dal punto di vista economico,
l'operazione di leasing è sicuramente trilaterale, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono
un tutto unitario. Eppure, dal punto di vista giuridico, le cose stanno diversamente, siccome ci si trova al cospetto di due
contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s'è visto in precedenza, conservano la rispettiva
distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso
tecnico. Un collegamento tale, cioè, da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell'altro. E'
pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perchè possa
ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l'intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo
comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà
concesso in locazione dal compratore/concedente all'utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla
vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del
contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo.
Tant'è che, nella fisiologica evoluzione dell'operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all'utilizzatore, esce di
scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell'altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente
ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l'utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la
consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l'acquisto da parte del committente sia finalizzato alla
locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a
stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna.
Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto
disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall'utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è
garantito dalla proprietà del bene rispetto all'obbligo del pagamento del canone a carico dell'utilizzatore stesso.
A conferma di quanto finora argomentato soccorre (oltre la menzionata Convenzione di Ottawa) il quadro normativo delineato
dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ( D.Lgs. n. 385 del 1993 ), il quale, nei contratti di credito collegati
ed in ipotesi di inadempimento del fornitore, non consente all'utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di
maggior tutela rispetto all'imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura,
bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la
risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (art. 125 quinquies, il
quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del
contratto di locazione finanziaria).
Per le ragioni finora esposte deve escludersi pure che l'utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l'azione
di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra
concedente e fornitore.
E' per tutte queste ragioni che le SU concordano con l'orientamento giurisprudenziale (la cui più approfondita analisi va
rinvenuta nella già citata Cass. n. 17145/06) dal quale possono dedursi le due seguenti considerazioni:
Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e
fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si
verifica un'ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del
quale l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del
danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore può
esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è
estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria
posizione sostanziale.
Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causarti bensì la titolarità attiva del
rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto.
8 - La tutela dell'utilizzatore.
Posto che il dibattito finora affrontato scaturisce dalla preoccupazione che l'utilizzatore, in assenza di clausole contrattuali che
149
(come s'è detto) gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura
(ipotesi che s'è verificata nella fattispecie in trattazione), rimanga sfornito di tutela, nell'inerzia del concedente, occorre
affrontare anche questo tema.
C'è, dunque, da chiedersi quali siano i rimedi esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di vizi della cosa (oggetto sia del contratto
del leasing, sia di quello di fornitura) in una vicenda contrattuale che, nella prassi mercantile, tende ad affermare (come s'è
visto) l'esonero del concedente da responsabilità per vizi della cosa ed il corrispondente obbligo dell'utilizzatore di accertare la
conformità del bene in sede di consegna (eventualmente rifiutandolo). Ciò a garanzia della separazione tra rischio finanziario e
rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l'esecuzione del piano di ammortamento
del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura. Ciò significa che,
in forza di queste clausole, l'utilizzatore non può sospendere il pagamento dei canoni, nè ottenere la risoluzione del contratto di
locazione.
Trattandosi di discipline speciali, deve essere decisamente escluso che alla fattispecie possa farsi estensiva applicazione delle
disposizioni contenute nella Convenzione di Ottawa, sul leasing finanziario internazionale, o nel TUB, a favore
dell'utilizzatore/consumatore.
La giurisprudenza unanime (così come la dottrina) riconosce all'utilizzatore il diritto di agire verso il fornitore per il
risarcimento del danno, nel quale sono tra l'altro compresi i canoni pagati al concedente in costanza di godimento del bene
viziato. A tale ultimo riguardo la responsabilità risarcitoria può farsi risalire, in via generale, a quella da lesione del credito
illecitamente commessa dal fornitore che è terzo rispetto al contratto di locazione.
Ma venendo più al fondo della questione, occorre distinguere l'ipotesi in cui i vizi siano immediatamente riconoscibili
dall'utilizzatore da quella in cui gli stessi si manifestino successivamente alla consegna, tenendo soprattutto conto che il canone
di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti ( art. 1375 c.c.). In questo caso, v'è l'obbligo dell'utilizzatore di
informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante, così come v'è l'obbligo a carico del concedente di
solidarietà e di protezione verso l'utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi.
Il primo caso deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicchè il concedente, una volta informato del fatto che
l'utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all'uso, ha rifiutato la consegna, ha l'obbligo di sospendere il
pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell'inadempimento,
l'azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing.
Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può
essere posto a carico dell'utilizzatore.
Il secondo caso - quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l'accettazione verbalizzata da parte
dell'utilizzatore - sicuramente consente all'utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la
sostituzione della cosa. Ma, laddove ne ricorrano i presupposti, anche in questo caso il concedente, informato dall'utilizzatore
dell'emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il
fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed
economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione.
In conclusione, si può affermare il principio in ragione del quale:
In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui
gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa
perchè nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la
conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere
di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la
risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo.
Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa,
mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l'utilizzatore può
agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già
eventualmente pagati al concedente.
9- La causa in trattazione.
Come s'è visto in precedenza, nella causa in trattazione l'utilizzatrice Spinelli & Rampazzo srl ha citato la fornitrice Car Diesel
spa per la risoluzione del contratto di fornitura per mancanza nella cosa delle qualità promesse in contratto in subordine, per la
riduzione del prezzo. La sentenza impugnata ha dichiarato l'attrice priva di "attiva legittimazione" ed ha così respinto le
domande, ritenendo che l'eventuale esonero del proprietario/concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa debba
risultare da apposito patto, non avendo fonte normativa. La sentenza ha pure aggiunto che l'attrice non ha nemmeno prodotto in
giudizio il contratto di locazione finanziaria, sì da provare l'esistenza di un menzionato patto.
Così decidendo la sentenza s'è adeguata ai principi di diritto sopra enunciati, con la conseguenza che il ricorso proposto dalla
Spinelli & Rampazzo deve essere respinto.
La complessità della questione, che ha richiesto l'intervento delle SU, impone l'intera compensazione tra le parti delle spese del
giudizio di cassazione.
150
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2015
151
TUTELA DELL'UTILIZZATORE NEL LEASING FINANZIARIO: NUOVI PROFILI IN TEMA DI BUONA FEDE
INTEGRATIVA E GIUSTIZIA CONTRATTUALE
di Alessandro Semprini(*)
La pronuncia della Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785, in materia di locazione finanziaria, può considerarsi un nuovo
tassello nell'opera di "tipizzazione giurisprudenziale" del canone di buona fede di cui all'art. 1375 c.c.
Il contributo - dopo alcune note introduttive ed una breve disamina sull'approccio esegetico da utilizzare nell'analisi delle
tematiche in trattazione - affronta i profili problematici che il leasing finanziario presenta riguardo alla c.d. tutela
dell'utilizzatore, nel caso di inadempienze del fornitore (mancata consegna del bene o vizi della cosa). Segnatamente, si
interroga sulle azioni esperibili in via diretta dall'utilizzatore nei confronti del fornitore alla luce delle argomentazioni della
S.C. in tema di buona fede integrativa, con riflessioni finali (e comparative) sulle soluzioni adottate dalla Convenzione
Unidroit per il leasing internazionale.
Sommario: Considerazioni introduttive - L'autonomia contrattuale nella prassi mercantile - Le più frequenti combinazioni di
clausole contrattuali: risvolti problematici in tema di tutela dell'utilizzatore - Gli orientamenti giurisprudenziali ed il quadro di
tutele individuato dalle Sezioni Unite di ottobre 2015 - La buona fede oggettiva come strumento integrativo della disciplina del
leasing finanziario - Discipline giuridiche a confronto: locazione finanziaria e leasing internazionale - La giustizia contrattuale
nelle trame ricorrenti del contratto di leasing finanziario. Riflessioni conclusive
Considerazioni introduttive
Il leasing(1) è un contratto atipico di derivazione anglosassone(2). Il ripetuto rinvio del "giorno del giudizio" (3) del legislatore
italiano(4) non ha però impedito agli operatori economici di fare ampio uso di esso nei traffici commerciali, ed alla
giurisprudenza di ridefinirne la natura ed il contenuto (5). Lo schema "socialmente tipico" di leasing finanziario, oggi
individuabile, si compone di due contratti tra loro collegati (con causa mista e funzione di finanziamento): con il primo vendita/fornitura tra fornitore e concedente - viene trasferita la proprietà del bene verso il pagamento di un prezzo determinato;
con il secondo - leasing in senso stretto, tra concedente ed utilizzatore - si attribuisce a quest'ultimo il godimento del bene
contro il pagamento di un canone periodico, con opzione di acquisto alla scadenza del termine convenuto.
L'operazione negoziale così delineata, se da un lato risponde in modo efficiente alle esigenze del mercato mediante una "forma
dinamica di finanziamento"(6) per le imprese, dall'altro realizza (sovente) vicende prive di equilibrio contrattuale e di equità
nelle regole sulla responsabilità.
Una di queste si verifica proprio in tema di tutela dell'utilizzatore, laddove il fornitore sia inadempiente per mancata consegna
del bene o per vizi della cosa. Infatti, a causa di particolari combinazioni di clausole contrattuali adottate nella prassi,
l'utilizzatore si trova privo sia della possibilità di rivalersi sul concedente(7) che di agire in via diretta verso il fornitore per la
risoluzione del contratto di vendita (non essendo parte di quel contratto).
La dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo impegnate nella ricerca del giusto contemperamento tra gli interessi del
concedente e la tutela dei diritti dell'utilizzatore(8). Le risposte sono state però tutt'altro che uniformi, anche in ragione della
differente natura giuridica attribuita dagli interpreti al contratto de quo.
Al riguardo, la pronuncia della Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785 ha fatto un po' di chiarezza, colmando (in parte) le
suddette lacune mediante il ricorso alla clausola di buona fede contrattuale - in funzione integrativa - di cui all'art. 1375 c.c.
Prima di affrontare le tematiche centrali occorre però individuare il corretto approccio esegetico, poiché presupposto
indispensabile per la piena comprensione delle ragioni giuridiche e dei percorsi argomentativi sviluppati da dottrina e
giurisprudenza.
L'autonomia contrattuale nella prassi mercantile
La trattazione di aspetti specifici della disciplina giuridica del leasing finanziario impone di prendere le mosse dal concetto di
autonomia contrattuale, di cui all'art. 1322 c.c. Tale principio permette alle parti di comporre liberamente il contenuto dei
contratti tipici - nei limiti imposti dalla legge - e di porre in essere le più differenti costruzioni contrattuali, purché dirette a
152
realizzare interessi meritevoli di tutela.
Non avendo il leasing una disciplina civilistica tipizzata ed un nucleo normativo cui fare riferimento, i contraenti - più che in
altre figure contrattuali - godono di ampia autonomia, sia in sede di procedimento di formazione del contratto che al momento
della predisposizione del regolamento contrattuale. Nella prassi operativa possono, dunque, individuarsi contenuti contrattuali
molto divergenti tra loro (con clausole talvolta eccentriche) e, giocoforza, risulta molto difficoltoso ogni inquadramento
sistematico dell'istituto(9) e della sua disciplina giuridica(10).
A tale stregua, nella interpretazione ed analisi del contratto di locazione finanziaria, diviene fondamentale adottare un
approccio casistico, improntato sulla fattispecie concreta e sul regolamento contrattuale effettivamente predisposto dai
contraenti. In particolare, sembra imprescindibile una "chiave di lettura" che tenga conto in primis del procedimento di
formazione dell'operazione negoziale di leasing e, in secundis, delle singole clausole che compongono il regolamento
contrattuale (al fine di valutarne la liceità/validità in rapporto alla meritevolezza degli interessi perseguiti), in quanto elementi
che generano grandi variabili nell'esame della tematica in oggetto.
Per quanto concerne il procedimento di formazione(11), lo schema più frequentemente utilizzato nella prassi mercantile vede
l'utilizzatore prendere l'iniziativa, richiedere il godimento del bene individuato e condurre le trattative (con il fornitore e con il
concedente), raggiungendo con questi dei veri e propri accordi(12) in vista della stipulazione dei contratti di vendita/fornitura e
di leasing in senso stretto.
Gli schemi alternativi utilizzati nei traffici commerciali sono numerosi ma meno frequenti: vi sono casi in cui l'iniziativa è
assunta dal concedente, il quale conduce le trattative in genere su indicazioni dell'utilizzatore (13); altre volte, a prendere
l'iniziativa è il fornitore, il quale sceglie l'utilizzatore in forza di precedenti accordi/convenzioni con la società di leasing(14).
Le modalità di formazione del contratto sono quindi differenti ma - in ordine agli aspetti strutturali dell'operazione - il risultato
è sempre il medesimo: un contratto di vendita tra fornitore e concedente ed un contratto di leasing in senso proprio tra
concedente e utilizzatore. Differente, invece, può essere il profilo causale dell'operazione (15). Non è un caso che l'assunzione di
tutti i rischi in capo all'utilizzatore venga motivata proprio in ragione della modalità di formazione del contratto nella quale
l'utilizzatore conduce le trattative e sceglie autonomamente fornitore e bene stesso (16). Tale schema formativo, di conseguenza,
legittima la partecipazione del concedente nella sola funzione di finanziatore (17) e - per lungo tempo - ha permesso di
individuare nel leasing finanziario la sola causa di finanziamento.
Assume, dunque, fondamentale importanza interpretare il contenuto contrattuale secondo un approccio che tenga conto degli
accordi raggiunti antecedentemente dai singoli soggetti e - segnatamente - del ciclo procedimentale dell'operazione, poiché
solo in tal modo sarà possibile comprendere appieno la causa dell'operazione negoziale, l'equità nella allocazione dei rischi
contrattuali (tra i soggetti facenti parte della stessa) e la liceità/illiceità delle singole clausole(18).
Una volta determinata la chiave di lettura (casistico-procedimentale), può a questo punto prendersi in esame lo specifico
regolamento contrattuale, fonte di diritti ed obblighi per le parti. Nella prassi operativa non vi è una vera trattativa sullo stesso,
ma di regola vengono utilizzati contratti standard predisposti unilateralmente dalle imprese di leasing, con successiva adesione
da parte dell'utilizzatore. Oltre ai seri dubbi sulla libertà contrattuale di quest'ultimo(19), si impone - come già accennato - una
valutazione delle singole pattuizioni contrattuali in ordine alla meritevolezza degli interessi perseguiti ed all'eventuale
contrasto con la previsione di cui all'art. 1229 c.c. (20).
Tra le tante(21), le più comuni e rilevanti nell'ottica della trattazione in oggetto, sono le clausole di inversione dei rischi, le quali
esonerano il concedente da responsabilità per gli inadempimenti del fornitore (come in caso di mancata consegna del bene o di
vizi della cosa). Tali clausole sono state a lungo ritenute valide(22) - nonostante i rilievi della dottrina più accorta(23) - in ragione
della funzione economico-finanziaria del contratto, che imporrebbe al concedente il solo acquisto del bene (con l'obbligo di
consegna a carico del fornitore). Oggi però - con riguardo alla sola mancata consegna e nel caso in cui non sia ancora stato
sottoscritto il relativo verbale - l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (24) reputa tali clausole invalide poiché dirette
a realizzare interessi non meritevoli di tutela. Infatti, nella locazione finanziaria deve ravvisarsi anche una causa di scambio e,
di conseguenza, obbligare l'utilizzatore al pagamento del canone nonostante la mancata consegna del bene si porrebbe in
contrasto con la causa dell'operazione e con l'inderogabilità dell'art. 1463 c.c. Di converso, si precisa invece che in ordine alle
clausole di esonero da responsabilità per vizi della cosa, le isolate aperture effettuate da parte di alcune pronunce (25) sono state
superate dalle Sezioni Unite di ottobre 2015 (spunto della presente analisi), le quali hanno (implicitamente) ribadito la validità
di tali clausole poiché volte a mantenere la "[…] separazione tra rischio finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda
in questione […]".
153
Ulteriori clausole - di frequente inserite nei formulari contrattuali - sono quelle che trasferiscono dal concedente all'utilizzatore
tutti i rischi derivanti dalle vicende del bene (come perimento dello stesso, danni a terzi ecc.). Queste, oggi, sono pacificamente
ritenute valide(26) poiché - oltre a derogare mere norme dispositive - i medesimi effetti vengono previsti dalla disciplina legale
di contratti tipici(27). In questi casi, l'utilizzatore sarà costretto a continuare a pagare i canoni del leasing anche in assenza del
godimento del bene.
Ed ancora, si utilizzano clausole che dispongono l'applicazione dell'art. 1526 o dell'art. 1458 c.c. (per il caso di inadempimento
dell'utilizzatore), clausole di interconnessione tra il contratto di vendita/fornitura ed il contratto di locazione finanziaria (28), e le
tipiche clausole risolutive espresse.
Infine meritano attenzione le clausole con cui viene trasferita pattiziamente l'intera posizione sostanziale originaria del
concedente (di cui si dirà meglio infra), le quali legittimano l'utilizzatore all'esercizio di tutte le azioni nei confronti del
fornitore.
La varietà di clausole contrattuali presenti nei formulari ed i rilevanti effetti che le stesse determinano impongono quindi una
attenta valutazione, la quale dovrà però svolgersi tenendo conto del complessivo assetto di interessi realizzato dall'operazione
negoziale nel suo insieme. Solo in tal modo potrà essere accertata la validità/invalidità di una determinata clausola, e solo in tal
modo potrà valutarsi l'effettiva possibilità per l'utilizzatore di tutelare i suoi diritti (29).
In conclusione, non vi sarà una regola generale con cui valutare la legittimità delle previsioni adottate dai contraenti (e delle
inversioni dei rischi "imposte" dalle imprese di leasing), ma queste dovranno essere prese in esame caso per caso, alla luce del
procedimento di formazione del contratto e del complessivo quadro di rapporti instauratisi all'interno della fattispecie concreta.
Le più frequenti combinazioni di clausole contrattuali: risvolti problematici in tema di tutela dell'utilizzatore
Anche la ricostruzione del sistema di tutele ed azioni riconosciute in genere all'utilizzatore, per gli inadempimenti del fornitore,
non potrà prescindere dalla valutazione delle singole clausole che compongono il contenuto contrattuale. Infatti, determinate
pattuizioni (principalmente le clausole di inversione dei rischi e quelle che trasferiscono la posizione sostanziale del
concedente all'utilizzatore) risultano determinanti nella individuazione dell'assetto di strumenti a disposizione dell'utilizzatore.
Invero alcune combinazioni delle stesse possono provocare situazioni intollerabili per la tutela dei suoi diritti nei casi di
mancata consegna o di vizi della cosa.
Facendo maggiore chiarezza, per quanto attiene i rapporti con il concedente, in assenza di clausole che esonerino quest'ultimo
da ogni responsabilità, l'utilizzatore potrebbe ottenere la risoluzione del contratto di leasing. Infatti(30), l'obbligazione del
concedente (di concedere in godimento il bene) si estinguerebbe ai sensi dell'art. 1256 c.c. per causa a lui non imputabile
(mancata consegna del fornitore)(31) e, di conseguenza, anche l'utilizzatore sarebbe liberato ai sensi dell'art. 1463 c.c. per
impossibilità sopravvenuta. Nella gran parte dei casi però le suddette clausole di esonero sono presenti (32), ed il meccanismo
ora delineato non può operare, impedendo di fatto all'utilizzatore di chiedere al concedente la risoluzione del leasing per gli
inadempimenti del fornitore.
Per quanto invece riguarda i rapporti con il fornitore, l'utilizzatore non potrà esperire le azioni derivanti dal contratto di
vendita/fornitura non essendo stato parte dello stesso e risultando quindi privo della titolarità attiva del rapporto. Infatti, la
regola della c.d. relatività del contratto di cui all'art. 1372 c.c. dispone l'efficacia dello stesso tra le sole parti, e di conseguenza
sancisce per i soggetti terzi l'impossibilità (rectius mancanza di legittimazione) di intraprendere azioni giudiziali dotate di
efficacia costitutiva su contratti realizzati da altri. Come la dottrina insegna (33), tale legittimazione potrebbe ravvisarsi
solamente in presenza di una determinata clausola contrattuale che trasferisca la posizione sostanziale dall'impresa di leasing
all'utilizzatore(34). E precisamente, solo laddove vi sia un mandato in rem propriam conferito dal concedente all'utilizzatore,
quest'ultimo diverrebbe titolare di un "[…] potere rappresentativo di natura sostanziale che legittimi il [suo, nda] potere
processuale […] a chiedere la risoluzione del contratto di compravendita nel quale non è parte" (35). Nella prassi dei traffici
commerciali però il concedente esprime la sua maggior forza contrattuale proprio riservandosi tale legittimazione, e pertanto
tali clausole non sono in genere presenti.
Ciò precisato, in quella vicenda "socialmente tipica" in cui il contratto di locazione finanziaria (36) preveda la traslazione dei
rischi in capo all'utilizzatore senza che vi sia il trasferimento in suo favore della posizione sostanziale del concedente (azioni
comprese), l'utilizzatore da un lato non potrà rivalersi sul concedente e risolvere il contratto di leasing, dall'altro non potrà
agire in via diretta nei confronti del fornitore (non essendo stato parte di quel contratto)(37).
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In questi specifici casi, qualora il bene non sia stato consegnato o presenti dei vizi, come ottiene tutela l'utilizzatore? Le
clausole di trasferimento dei rischi devono ritenersi invalide come ha sottolineato parte della giurisprudenza (nei casi di
mancata consegna)? Ed ancora, quali rimedi possono individuarsi in capo all'utilizzatore laddove il concedente non agisca in
risoluzione contro il fornitore (pur essendo il bene viziato ed inidoneo all'uso)?
Gli orientamenti giurisprudenziali ed il quadro di tutele individuato dalle Sezioni Unite di ottobre 2015
Negli anni, sono state prospettate dagli interpreti numerose soluzioni ermeneutiche volte a ristabilire un equilibrato assetto di
interessi tra i soggetti facenti parte dell'operazione negoziale de qua. Ogni soluzione implica però, a monte, una scelta sulla
qualificazione giuridica e sulla struttura che si intende riconoscere al leasing finanziario, poiché dalla stessa derivano rilevanti
differenze procedurali in relazione alla legittimazione dell'utilizzatore a proporre (in via diretta) azioni nei confronti del
fornitore.
L'orientamento più risalente(38), ricostruendo la locazione finanziaria come un contratto unitario plurilaterale, risolveva alla
radice i problemi giuridici prospettati. L'utilizzatore infatti, in ragione della struttura trilaterale del rapporto e dei suoi rapporti
diretti con il fornitore, veniva considerato parte del contratto di compravendita e di conseguenza era "[…] abilitato ad esperire
direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore" (39), compresa l'azione di
risoluzione(40).
Tale interpretazione è stata però ben presto abbandonata dagli interpreti, i quali hanno iniziato a ricostruire il leasing
finanziario come una fattispecie di collegamento negoziale (41) tra il contratto di leasing propriamente detto ed il contratto di
fornitura. L'adesione (oggi ormai consolidata (42)) a tale tesi - pur se impeccabile da un punto di vista strettamente giuridico pone però una serie di problemi ricorrenti nella dinamica attuativa del rapporto. Precisamente, genera le problematiche sopra
prospettate, non garantendo all'utilizzatore una adeguata tutela dei propri diritti in caso di mancata consegna del bene o di vizi
della cosa. A tal fine, si è fatto ricorso alla disposizione di cui all'art. 1705, comma 2, c.c. - dettata in tema di mandato senza
rappresentanza - la quale sancisce che "I terzi non hanno alcun rapporto con il mandante. Tuttavia il mandante [utilizzatore,
nda], sostituendosi al mandatario [concedente, nda], può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato,
salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono", la quale è
divenuta "[…] il passaggio obbligato comunemente invocato per normativamente giustificare e definire, anche nella locazione
finanziaria, le azioni contrattuali esperibili in via diretta dall'utilizzatore" (43). Orbene, le differenze tra il mandato senza
rappresentanza ed il leasing finanziario sono numerose(44), ma rilevandosi i medesimi presupposti applicativi (e la stessa
scissione di posizioni) si è estesa, in via analogica, la suddetta disposizione alla locazione finanziaria.
Tale applicazione analogica - nella sua corretta interpretazione(45) - ha quindi consentito all'utilizzatore di esperire in via diretta
nei confronti del fornitore solo quelle azioni attinenti ai propri diritti sostanziali (e precisamente l'azione di adempimento e
l'azione di risarcimento del danno(46)), ma non quelle poste a tutela degli stessi (ad es. l'azione di risoluzione).
La giurisprudenza quindi, salvo rare eccezioni (fondate su argomentazioni poi superate) (47), ha sempre escluso la legittimazione
dell'utilizzatore a domandare in via diretta (nei confronti del fornitore) la risoluzione del contratto di compravendita, poiché
questa determinerebbe effetti abnormi e pregiudizievoli nella sfera giuridica del concedente (obbligo di restituzione del bene al
fornitore e perdita del lucro dell'operazione di finanziamento).
In tema di mancata consegna - come si è in precedenza indicato - alcune recenti pronunce(48) hanno adottato percorsi
argomentativi differenti e, valorizzando in maniera più forte la causa unitaria di scambio del contratto di leasing, hanno
reputato invalide le clausole di esonero da responsabilità del concedente (legittimando l'utilizzatore a sospendere i canoni e ad
eccepire l'impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell'art. 1463 c.c.).
Di converso, in tema invece di vizi della cosa (manifesti od occulti) l'incertezza è rimasta e - per risolvere il contrasto
giurisprudenziale e colmare le suddette lacune di tutela per l'utilizzatore - sono intervenute le SS.UU. della Cass., sent. 5
ottobre 2015, n. 19785.
Queste, preso atto degli orientamenti e ricostruita con chiarezza la questione, hanno in primo luogo confermato la tesi
giurisprudenziale più recente che vede nell'operazione di locazione finanziaria un collegamento negoziale. I Giudici di
legittimità però, discostandosi in parte da quanto sancito nel 2006 (49), non l'hanno considerato un collegamento negoziale in
senso tecnico (bilaterale), ma solo in senso prettamente economico (50). In tal modo, hanno escluso l'assoluta e reciproca
interdipendenza tra i contratti e l'applicazione del brocardo "simul stabunt simul cadent"(51), dal momento che - si è sostenuto le parti sarebbero mosse ciascuna dal proprio autonomo interesse e non dalla comune intenzione di raggiungere uno scopo
155
comune (c.d. nesso soggettivo)(52).
In secondo luogo, i Giudici della S.C. hanno confermato la legittimazione dell'utilizzatore ad esperire le sole azioni di
adempimento e risarcimento, con esclusione invece dell'azione di riduzione del prezzo (53) e dell'azione di risoluzione. Inoltre,
in risposta a quella giurisprudenza(54) che legittimava l'utilizzatore alla risoluzione della fornitura in forza del c.d. litisconsorzio
necessario del concedente, hanno sottolineato come la questione attenga alla titolarità attiva del rapporto (e non alla legitimatio
ad causam), ribadendo - quale unica soluzione - il trasferimento pattizio all'utilizzatore della posizione sostanziale del
concedente.
A questo punto, al fine di colmare la presente lacuna di tutela per l'utilizzatore (il quale - si ribadisce - "[…] non può
sospendere il pagamento dei canoni, né ottenere la risoluzione del contratto di locazione"), le Sezioni Unite hanno ricostruito
uno specifico quadro disciplinare per i casi in cui sia stato consegnato un bene che presenti vizi (manifesti od occulti) che lo
rendano inidoneo all'uso. Applicando il canone di buona fede quale strumento integrativo dei contratti, ai sensi dell'art. 1375
c.c., la Corte di cassazione ha individuato doveri di solidarietà e quindi specifici obblighi a carico del concedente e
dell'utilizzatore, disponendo espressamente che "Il primo caso [ovvero il caso in cui vi siano vizi immediatamente riconoscibili
dall'utilizzatore, nda], deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicché il concedente, una volta informato del
fatto che l'utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all'uso, ha rifiutato la consegna, ha l'obbligo di sospendere
il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell'inadempimento,
l'azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing.
Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può
essere posto a carico dell'utilizzatore.
Il secondo caso - quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l'accettazione verbalizzata da parte
dell'utilizzatore - sicuramente consente all'utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la
sostituzione della cosa. Ma, laddove ne ricorrano i presupposti, anche in questo caso il concedente, informato dall'utilizzatore
dell'emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (e non la facoltà) di agire verso
il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed
economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione".
La buona fede oggettiva come strumento integrativo della disciplina del leasing finanziario
I Giudici della S.C., con la pronuncia in oggetto, hanno quindi tentato di risolvere le problematiche di tutela dell'utilizzatore
nella locazione finanziaria, applicando il canone di buona fede di cui all'art. 1375 c.c. in funzione integrativa, e quindi
individuando a carico dei contraenti specifici obblighi non previsti dal regolamento contrattuale da loro predisposto.
Innanzitutto, è doveroso premettere come tale interpretazione non sia nuova nella ricostruzione delle vicende della locazione
finanziaria. La dottrina(55) infatti lo considera un canone fondamentale nell'equilibrio degli interessi del leasing, e la Corte di
cassazione - in più occasioni - ha fatto ricorso alla buona fede per regolamentare specifiche problematiche sorte nella dinamica
attuativa dell'operazione negoziale in oggetto.
Ad esempio, con riguardo alle clausole di inversione del rischio in rapporto all'inadempimento per mancata consegna, come già
rilevato, alcune pronunce(56) le hanno ritenute invalide in ragione (della causa unitaria di scambio e) del contrasto con il dovere
di esecuzione del contratto secondo buona fede di cui all'art. 1375 c.c. (57). Ciò detto, è bene però precisare che la
giurisprudenza successiva ha correttamente "sconfessato" tale lettura fondando l'invalidità di dette clausole su altri percorsi
argomentativi(58), non potendo la violazione dell'art. 1375 c.c. condurre ad un giudizio sulla validità del contratto (o delle
singole clausole).
In tempi ancora più recenti, la sentenza della Cass. 23 maggio 2012, n. 8101 (59), riprendendo e sviluppando tematiche già
prospettate, individua una violazione della clausola di buona fede da parte di quell'utilizzatore che abbia sottoscritto il verbale
di consegna senza tuttavia aver ricevuto il bene dal fornitore, poiché in tal caso il concedente sarebbe posto nella condizione di
dover procedere con il pagamento del prezzo al fornitore.
Facendo un passo indietro(60), le applicazioni della suddetta clausola generale sono tante ed in svariati campi del diritto (61).
L'interpretazione del disposto di cui all'art. 1375 c.c. in funzione integrativa, non ha però avuto vita facile a causa "[…] delle
resistenze opposte dalla cultura giuspositivistica all'espansione delle cc.dd. clausole generali (di cui la norma sull'esecuzione
del contratto secondo buona fede costituisce rappresentazione tra le più emblematiche)" (62), ed è stata recuperata solo alla fine
degli anni Sessanta dalla dottrina più sensibile(63).
156
La lettura più risalente, infatti, riteneva che la buona fede intervenisse solo in un momento successivo, limitandone la funzione
a regola di valutazione delle condotte dei contraenti, in ragione dell'interpretazione letterale della norma e dei pericoli di
eccessiva arbitrarietà concessa ai giudici(64).
Con l'orientamento oggi prevalente, invece, si è riconosciuta alla buona fede oggettiva un'applicazione più estesa, fino ad
attribuirle il ruolo di fonte di integrazione del contratto(65). In forza di tale interpretazione, la clausola di buona fede - ispirata ai
principi di solidarietà, ragionevolezza, correttezza, cooperazione e salvaguardia dell'altrui utilità e sempre più parte integrante
del patrimonio giuridico europeo(66) - può quindi determinare a carico dei contraenti una serie di obblighi di comportamento
(nella fase di esecuzione del contratto) non previsti dall'originario regolamento contrattuale.
Inoltre, alle fisiologiche incertezze applicative di tale clausola, si contrappone oggi un vero e proprio processo di "tipizzazione
giurisprudenziale"(67), volto a individuare le frontiere delle sue applicazioni ed i settori in cui vengono in rilievo i suddetti
"doveri giuridici".
Tornando al leasing finanziario - proprio in ragione delle dinamiche verificatesi in sede di esecuzione del contratto - le Sezioni
Unite della Corte di cassazione (unitamente ad altre pronunce giurisprudenziali) permettono oggi di ricostruire l'intero quadro
disciplinare nei casi di mancata consegna o vizi del bene. Possono quindi individuarsi una serie di doveri giuridici in diretta
applicazione della clausola di buona fede con funzione integrativa, i quali impongono ad entrambi i contraenti una
cooperazione attiva nel rispetto del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.: all'utilizzatore, obblighi di avviso e di
informazione; al concedente, obblighi di salvaguardia dell'interesse dell'utilizzatore.
In caso di mancata consegna del bene da parte del fornitore o di rifiuto della cosa (da parte dell'utilizzatore) a causa di vizi che
la rendano inidonea all'uso, l'utilizzatore dovrà immediatamente informare il concedente (68); quest'ultimo, a questo punto, avrà
l'obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore (69) e domandare la riduzione del prezzo oppure - rilevata
la gravità dell'inadempimento - la risoluzione del contratto di fornitura (alla quale conseguirà la risoluzione del contratto di
leasing)(70).
Nel caso invece di vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore - e quindi emersi dopo la sottoscrizione del verbale di
consegna ed il conseguente pagamento del prezzo da parte del concedente al fornitore -, innanzitutto l'utilizzatore potrà
domandare in via diretta al fornitore l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Per ottenere la risoluzione del contratto
di fornitura, invece, si applica il principio sopra descritto: informativa immediata dell'utilizzatore al concedente, il quale - in
presenza del presupposto di gravità dell'inadempimento - avrà il dovere di chiedere la riduzione del prezzo o la suddetta
risoluzione (alla quale conseguirà la risoluzione del contratto di leasing).
In entrambe le vicende (mancata o rifiutata consegna - per vizi immediatamente riconoscibili - e vizi emersi dopo la consegna),
l'utilizzatore potrà inoltre domandare al fornitore in via diretta il risarcimento dei danni, con la restituzione della somma pari ai
canoni già pagati al concedente.
La Corte di cassazione quindi aderisce all'interpretazione estensiva in tema di buona fede integrativa, e prevede una serie di
obblighi ulteriori non previsti dal regolamento contrattuale predisposto dai contraenti (ma da un certo punto di vista
"giustificati" dalla standardizzazione dei contratti di leasing operante nella prassi). La lettura delle Sezioni Unite si presta però
ad alcune riflessioni.
Sotto un primo aspetto, non convince pienamente la previsione dell'obbligo a carico del concedente di agire in giudizio per la
risoluzione del contratto di fornitura ai sensi dell'art. 1375 c.c. Imporre tale azione giudiziale infatti costituisce una forte deroga
al limite di operatività del principio di buona fede, "[…] la cui osservanza non deve rappresentare […] un apprezzabile
sacrificio dell'interesse proprio" (71). D'altro canto, però, nel caso di specie sorgono preminenti esigenze di equilibrio
contrattuale e la prospettata soluzione ermeneutica (pur se poco lineare) garantisce un equilibrato assetto di interessi tra i
soggetti contraenti, avvicinandosi inoltre in modo rilevante alle soluzioni adottate dalla Convenzione Unidroit per il leasing
internazionale e dal D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) per il cd. leasing al
consumo(72).
In secondo luogo, i Giudici di legittimità non precisano quali siano i rimedi per l'eventuale inadempimento da parte del
concedente. Al riguardo, è opportuno ricostruire ed analizzare le due ipotesi prospettate dalle Sezioni Unite "sotto la lente"
degli specifici interessi dei contraenti.
157
Nel caso di vizi emersi immediatamente alla consegna del bene - e laddove l'utilizzatore abbia rifiutato lo stesso ed informato il
concedente della vicenda - quest'ultimo avrà un concreto interesse a domandare l'azione di risoluzione nei confronti del
fornitore poiché, in ogni caso, la mancata consegna interrompe l'operazione e legittima l'utilizzatore alla sospensione del
pagamento dei canoni del leasing.
Nel caso invece di vizi emersi dopo la consegna, e quindi di vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore, la questione si
pone in termini differenti poiché il concedente avrà già (presumibilmente) pagato il bene al fornitore ed allo stesso tempo
iniziato a ricevere i canoni del leasing dall'utilizzatore.
Orbene, in quest'ultimo caso, nulla quaestio se il concedente procede autonomamente ed ottiene la risoluzione del contratto di
compravendita (ricevendo dal fornitore - a fronte del ritrasferimento del bene - la restituzione del prezzo integralmente pagato
ed il rimborso di spese e pagamenti effettuati). Da tale risoluzione, infatti, deriverà anche la risoluzione della locazione
finanziaria, in ragione del collegamento negoziale (unilaterale) che si instaura nell'operazione negoziale di leasing, con
successiva restituzione (da parte del concedente) all'utilizzatore di quella parte dei canoni già corrisposta (trattenendone
eventualmente una quota a titolo di risarcimento)(73).
Ma cosa accade se il concedente - pur in presenza dei presupposti - non agisce in risoluzione nei confronti del fornitore oppure
ritarda la suddetta azione, facendo inutilmente decorrere i termini per l'esercizio della stessa?
Benché infatti il concedente sia obbligato ad esperire tale azione (in forza dell'obbligo di salvaguardia dell'interesse dell'altra
parte, prospettato dalle Sezioni Unite e connaturato all'esecuzione di buona fede di cui all'art. 1375 c.c.(74)), l'esercizio della
stessa si pone in conflitto con i suoi interessi personali, poiché una pronuncia di risoluzione determinerebbe per questo la
perdita della garanzia della proprietà del bene e la definitiva interruzione della riscossione dei canoni dall'utilizzatore.
Ciò detto, quali rimedi possono individuarsi in capo all'utilizzatore qualora il concedente, nonostante le sollecitazioni del
primo, non esperisca azione di risoluzione del contratto di fornitura?
Certamente, l'utilizzatore potrà chiedere al fornitore il risarcimento dei danni per il suo inadempimento (comprensivo anche dei
canoni da pagare al concedente)(75); a rigor di logica inoltre, l'utilizzatore potrà chiedere anche al concedente il risarcimento dei
danni, per la violazione del suo obbligo di cui all'art. 1375 c.c.
Il paradosso però è che l'utilizzatore rimarrebbe obbligato al pagamento dei canoni nei confronti del concedente, relativi ad un
contratto di leasing finanziario avente ad oggetto un bene inidoneo all'uso.
È doveroso quindi auspicare una lettura della pronuncia che attribuisca all'utilizzatore la facoltà di domandare la risoluzione
(non del contratto di fornitura ma) del contratto di leasing nei confronti del concedente, per la sua violazione dell'obbligo di
buona fede di cui all'art. 1375 c.c.(76). Non potendo infatti autonomamente provocare una pronuncia costitutiva di risoluzione
della fornitura, nella perdurante inerzia del concedente si rende necessario consentire all'utilizzatore l'esercizio della
risoluzione del contratto di leasing per violazione dei doveri di buona fede cooperativa del concedente (77).
Aderendo alla lettura sopra prospettata (in verità l'unica in grado di garantire un equilibrato assetto di interessi nel quadro
delineato dalle Sezioni Unite(78)) l'utilizzatore diverrebbe titolare di un efficace strumento di pressione nei confronti del
concedente, affinché quest'ultimo chieda la risoluzione del contratto di fornitura per i vizi che rendano il bene inidoneo all'uso.
Chiosando ancora il passaggio argomentativo, potrebbe dunque sostenersi una "attenuazione" della natura meramente
finanziaria dell'operazione in oggetto, avvicinando così in maniera rilevante il nostro ordinamento alle soluzioni ermeneutiche
(e normative) adottate dalla Convenzione Unidroit per il leasing internazionale, già oggi considerata criterio interpretativo
della disciplina interna(79).
Discipline giuridiche a confronto: locazione finanziaria e leasing internazionale
La pressante esigenza di garantire al leasing finanziario la sua più ampia diffusione in ambito internazionale (80) e la
conseguente necessità di eliminare le differenze nei trattamenti giuridici del contratto presenti nei diversi ordinamenti
(certamente foriere di dubbi ed incertezze applicative), hanno portato alla approvazione della Convenzione sul leasing
finanziario internazionale (Convention on International Financial Leasing), firmata ad Ottawa il 28 maggio 1988. L'iniziativa
ed i lavori dell'Istituto Internazionale per l'Unificazione del Diritto Privato (UNIDROIT), iniziati nel 1974, hanno permesso di
superare(81) le abituali difficoltà che incontrano i testi normativi applicabili a sistemi giuridici differenti, ottenendo così un
158
nucleo normativo conciliabile con le discipline interne dei singoli Paesi.
Il risultato è stato un testo - poi ratificato dall'Italia con Legge 14 luglio 1993, n. 259 - di buon compromesso tra ordinamenti di
civil law ed ordinamenti di common law (e tra Paesi industriali e Paesi in via di sviluppo (82)), con un quadro disciplinare di
maggior favore per l'utilizzatore rispetto a quanto normalmente previsto nei singoli diritti nazionali.
Infatti - oltre ad alcune divergenze strutturali con la prassi contrattuale italiana (83) - il quadro normativo delineato garantisce
all'utilizzatore un sistema di tutele più forte per i casi di inadempimento del fornitore (e del concedente).
Precisamente, la Convenzione Unidroit(84) - all'art. 10(85) - riconosce all'utilizzatore azioni dirette verso il fornitore (come se
egli stesso fosse parte del contratto di fornitura), limitatamente però all'esatto adempimento, alla riparazione dei vizi o al
risarcimento(86); per converso, le azioni di risoluzione o di annullamento del contratto di fornitura potranno essere esperite solo
con il consenso del concedente.
All'art. 12(87) invece - dopo aver sancito che la consegna del bene è un obbligo del concedente (88) - la Convenzione riconosce:
all'utilizzatore, il diritto di rifiutare il bene o di risolvere il contratto di leasing (qualora il bene non sia stato consegnato o
consegnato in ritardo o non conforme a quanto pattuito nel contratto di fornitura); al concedente, il diritto di rimediare al suo
inadempimento(89).
Inoltre, è previsto per l'utilizzatore il diritto di sospendere il pagamento dei canoni fino a quando il medesimo non perda il
diritto di rifiutare il bene o il concedente non abbia rimediato al suo inadempimento.
In buona sostanza, la normativa in commento garantisce all'utilizzatore numerosi strumenti di pressione (90) (possibilità di
chiedere la risoluzione del leasing o di sospendere i pagamenti del canone) sul concedente, affinché quest'ultimo si renda
adempiente o presti il proprio consenso ovvero eserciti l'azione di risoluzione del contratto di fornitura.
Come nell'ordinamento italiano, si può rilevare l'esclusione per l'utilizzatore di una autonoma legittimazione all'esperimento
dell'azione di risoluzione del contratto di fornitura, ma nella disciplina in esame tale esclusione è abbinata ad un diverso regime
di ripartizione del rischio di fornitura.
In conclusione, il quadro normativo delineato dalla Convenzione Unidroit, nell'ottica di mantenere "a fair balance of interests
between the different parties to the transaction"(91), raggiunge quel giusto connubio tra la logica finanziaria e la logica
locativa(92) e quindi tra la natura finanziaria dell'intervento del concedente e la tutela dei diritti dell'utilizzatore.
La giustizia contrattuale nelle trame ricorrenti del contratto di leasing finanziario. Riflessioni conclusive
L'operazione negoziale di leasing finanziario, realizzata nell'ordinamento interno o ai sensi della normativa dettata dalla
Convenzione Unidroit per il leasing internazionale, genera problematiche comuni - connaturate alla sua struttura di
collegamento negoziale - le quali impongono accurate valutazioni in tema di bilanciamento degli interessi dei soggetti
contraenti.
In particolare, per quanto concerne il c.d. leasing "domestico", l'assenza di una disciplina civilistica, la (frequente) disparità di
potere contrattuale tra i contraenti e l'andamento oscillante della giurisprudenza (nelle soluzioni ai problemi giuridici), non
hanno garantito al contratto de quo una "navigazione tranquilla".
Per risolvere i numerosi profili problematici sorti in questi 50 anni circa di applicazione dell'istituto, e precisamente quelle
problematiche in tema di tutela dell'utilizzatore, sono state prospettate varie soluzioni.
La miglior dottrina(93) ha, fin da subito, rilevato i problemi applicativi derivanti da determinate combinazioni di clausole
contrattuali, prospettando la validità delle stesse solo laddove fosse garantita all'utilizzatore la possibilità concreta di tutelare i
propri diritti.
Percorsi argomentativi parzialmente differenti sono stati invece utilizzati da quell'orientamento giurisprudenziale (94) che ha
rilevato nel contratto di locazione finanziaria una causa non solo finanziaria ma anche di scambio, sancendo l'invalidità di
quelle clausole che non garantivano il raggiungimento della medesima.
159
Ulteriori e differenti argomentazioni sono state infine utilizzate dalle Sezioni Unite in commento, le quali - nell'ottica di
rispettare la buona fede nell'esecuzione del contratto - hanno individuato obblighi di solidarietà tra i contraenti (e precisamente
di informazione e di salvaguardia dell'interesse dell'altro contraente), realizzando un quadro disciplinare non così distante da
quello prospettato dalla Convenzione Unidroit.
Alla luce delle soluzioni ermeneutiche sopra considerate, può così ravvisarsi la preminente esigenza di evitare "vulnus di
tutela" per l'utilizzatore; astraendo il ragionamento, può rilevarsi la comune ricerca degli interpreti di un equilibrio contrattuale
troppe volte infranto dalle originarie pattuizioni dei contraenti o dalle dinamiche attuative della fattispecie (contrarie allo
spirito del regolamento contrattuale). Al riguardo, può dunque individuarsi una c.d. "giustizia contrattuale" quale ratio
ispiratrice delle differenti linee interpretative.
Tale concetto(95), sempre più centrale nel dibattito sul diritto europeo dei contratti, può essere utilizzato secondo diverse
accezioni, e merita una più approfondita analisi(96). In questa sede, è sufficiente sottolineare la crescente esigenza degli
interpreti di garantire un equilibrio contrattuale alla fattispecie di leasing finanziario. Od ancor meglio, un equilibrato assetto
degli interessi in conflitto, che se non raggiunto in sede legislativa (come avvenuto nella Convenzione Unidroit) o alla
predisposizione del regolamento contrattuale, dovrà essere ottenuto mediante l'operato dell'autorità giudiziaria (97).
Rilevato e definito il concetto al quale ispirarsi, molteplici rimangono le incertezze in sede di applicazione pratica del
medesimo ai differenti settori e, in particolare, alle fattispecie di leasing finanziario.
Sul punto, è ragionevole concordare con coloro che sottolineano la necessità di un intervento legislativo che faccia proprie le
conclusioni raggiunte in tema di locazione finanziaria e definisca in modo chiaro il corretto bilanciamento di interessi
nell'ordinamento interno(98). Solo in tal modo si potrà ottenere una soluzione appagante e duratura alla problematica.
A tal proposito, si auspica che il quadro disciplinare ricostruito dalle Sezioni Unite in tema di tutela dell'utilizzatore - il quale
avvicina già in modo rilevante la disciplina italiana alla normativa adottata in sede internazionale - possa fungere da
presupposto per la redazione di un testo normativo sul leasing finanziario interno; testo che, ove ispirato al principio di
giustizia contrattuale ed alle soluzioni ermeneutiche adottate dalla Convenzione Unidroit, potrà costituire l'ennesimo piccolo
passo nell'ottica di una progressiva armonizzazione del diritto privato.
(*) N.d.R.: il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, al vaglio del Comitato di Valutazione.
(1) Senza pretese di completezza, per un orientamento bibliografico si rinvia agli studi di G. De Nova, Il contratto di leasing. Con sentenze
ed altri materiali, III ed., Milano, 1995; R. Clarizia, La locazione finanziaria, Torino, 1996; V. Buonocore, Locazione finanziaria, in
Trattato di diritto civile comm., Milano, 2008; M.R. La Torre, Manuale della locazione finanziaria, Milano, 2002; M. Imbrenda - F.
Carimini, Leasing e lease back, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Milano, 2008; M.
Imbrenda, Il leasing finanziario. Trilateralità funzionale ed equilibrio del rapporto, in Collana del Dipartimento di Diritto, Impresa e
Lavoro dell'Università degli Studi di Salerno - Studi monografici, 1, Napoli, 2005; G. Ferrarini - P. Barucco, La locazione finanziaria, in
Trattato di diritto privato, 11: Obbligazioni e Contratti, III, II ed., Torino, 2000, 5-50; R. Clarizia, Il leasing operativo, in V. Cuffaro (a cura
di), I contratti di utilizzazione dei beni, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno - E. Gabrielli, Torino, 2008, 431-459; A. Luminoso, I
contratti tipici e atipici, in G. Iudica - P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 1995, 359-436; S. De Roxas, Il contratto di
leasing, in G. Cassano (a cura di), I singoli contratti. Applicazioni pratiche, clausole specifiche, giurisprudenza di riferimento, I, 2010, 693737.
(2) L'istituto nasce negli Stati Uniti d'America a metà del '900 come tecnica innovativa di finanziamento per le imprese; precisamente, il
leasing mobiliare può datarsi intorno al 1952, mentre le prime operazioni immobiliari (aventi ad oggetto immobili da costruire) furono
realizzate intorno al 1936. In Italia invece inizia a diffondersi negli anni '60, e la prima pronuncia che considera meritevoli gli interessi
perseguiti dal contratto è quella (storica) del Trib. Vigevano 14 dicembre 1972. Cfr. F. Mancuso, Per la storia del leasing in Italia, Bologna,
2008, 25 ss. e R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 23-24.
(3) V. Buonocore, op. cit., 123.
(4) La locazione finanziaria, pur essendo richiamata in alcuni provvedimenti legislativi, rimane un contratto atipico. Le suddette disposizioni
normative infatti richiamano il leasing per quanto riguarda precise agevolazioni, incentivi e facilitazioni in favore degli utilizzatori, e non ne
ricostruiscono l'intera disciplina.
La disposizione che, più di frequente, viene presa come punto di partenza dagli interpreti è l'art. 17 della L. 2 maggio 1976, n. 183, recante
provvedimenti relativi agli interventi straordinari del Mezzogiorno d'Italia, il quale dispone che "[...] per operazioni di locazione finanziaria
si intendono le operazioni di locazione di beni mobili o immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta o indicazione del
conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest'ultimo di divenire proprietario dei beni locati, al termine della locazione,
dietro versamento di un prezzo stabilito". Tale definizione, ad ogni modo, non ne ha sancito la tipizzazione ma solamente fotografato
l'utilizzo che veniva fatto del leasing finanziario negli anni Settanta. Cfr. M.R. La Torre, op. cit., 115; G. De Nova, op. cit., 2; A. Luminoso,
op. cit., 362.
Di recente, con la L. 28 dicembre 2015, n. 208 (cd. Legge di stabilità 2016), si è "tipizzato" il contratto di locazione finanziaria di immobile
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da adibire ad abitazione principale (c.d. leasing immobiliare abitativo). Tale atto normativo, all'art. 1 commi 76-84, oltre a prevedere
specifiche agevolazioni fiscali, ha infatti ricostruito un frammento della sua disciplina civilistica - statuendo precisamente sull'applicazione
dell'art. 67, comma 3, lett. a), R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), sulla risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, sulla
sospensione temporanea del pagamento dei corrispettivi periodici e sul procedimento per il rilascio dell'immobile - "codificando" inoltre la
prassi più frequente nei seguenti termini: "76. Con il contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale, la
banca o l'intermediario finanziario iscritto nell'albo di cui all'articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al
decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire l'immobile su scelta e secondo le indicazioni
dell'utilizzatore, che se ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo mette a disposizione per un dato tempo verso un determinato
corrispettivo che tenga conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l'utilizzatore ha
la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito".
(5) Oltre alle tre forme principali (leasing finanziario, leasing operativo e lease back), possono individuarsi numerosi altri sottotipi di leasing
- in ragione della natura del bene (mobile, immobile, mobile registrato ecc.) o della qualità dell'utilizzatore (imprenditore, ma oggi anche
consumatore o ente pubblico) - i quali presentano discipline giuridiche anche profondamente differenti tra loro. Per una analisi riassuntiva
delle varie tipologie, si rinvia a R. Clarizia, Il leasing operativo, cit., 431-459.
Pur se irrilevante ai fini della presente indagine, è opportuno inoltre un accenno alla distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento,
effettuata dalla Corte di cassazione con le note sei sentenze del 13 dicembre 1989. Il criterio discriminante tra le due figure (alle quali si
applicano norme differenti in tema di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore) viene individuato nella volontà delle parti di pattuire
un canone come anticipazione del prezzo di acquisto del bene (leasing traslativo) o come corrispettivo dell'utilizzazione dello stesso (leasing
di godimento). Per approfondimenti (e critiche) sulla suddetta distinzione, si veda V. Buonocore, op. cit., 128 ss.
(6) Cfr. S. De Roxas, op. cit., 694.
(7) Infatti il concedente (impresa di leasing), in ragione del suo intervento con funzione di finanziamento, viene di regola esonerato da
responsabilità dalle cc.dd. clausole di inversione dei rischi. Qui di seguito, a titolo esemplificativo, uno stralcio delle condizioni generali di
contratto di locazione finanziaria, adottate da Consel S.p.a. (Gruppo Banca Sella): Mod. LEAS.01/15 "Articolo 14 - Esonero da
responsabilità. […] l'Utilizzatore assume a proprio carico sin da ora ogni rischio e responsabilità conseguenti l'utilizzo dei beni oggetto del
contratto e rinuncia espressamente a ogni suo eventuale diritto, ragione e azione verso la Concedente nei seguenti casi: - ritardata consegna o
disponibilità dei beni o altre inadempienze del Fornitore; […] - vizi dei beni, anche di costruzione, palesi od occulti, originari e sopravvenuti;
- difetti di funzionamento, anche se intervenuti durante il corso della locazione finanziaria. […] In queste ipotesi la Concedente, in qualità di
acquirente dei beni oggetto della locazione finanziaria, cederà all'Utilizzatore, a sua richiesta, i diritti circa il puntuale adempimento,
consegna e garanzia che vanta nei confronti del venditore; cederà inoltre ogni altra azione che eventualmente le spetti nei confronti del
fornitore o di terzi per tutelare nelle opportune sedi i propri diritti per l'eliminazione di vizi o difetti dei beni, o per il risarcimento del danno
eventualmente subito derivante dall'esclusione o limitazione delle possibilità di uso dei beni. Rimane espressamente esclusa per l'Utilizzatore
la facoltà di richiedere la risoluzione del contratto di acquisto. Da parte sua l'Utilizzatore rinuncia fin d'ora a qualsiasi azione e pretesa nei
confronti della Concedente, si obbliga ad agire soltanto contro i soggetti sopra indicati ed a considerarla indenne da qualsivoglia pretesa,
anche risarcitoria avanzata da eventuali controparti. L'Utilizzatore riconosce che non è esonerato dal puntuale pagamento dei canoni alle
scadenze previste, anche in presenza di deroga a quanto disposto dagli articoli 1579, 1584 e 1621 del Codice civile, qualunque sia l'esito
delle vicende e delle liti, e l'impossibilità di utilizzazione parziale o totale dei beni per qualsiasi periodo dovuta a qualsiasi motivo".
(8) F. Lapertosa, Vizi della cosa e tutela dell'utilizzazione nel leasing finanziario, in Giust. civ., 1987, 264 ss.; Cass. 2 novembre 1998, n.
10926, in questa Rivista, 1999, 8-9, 803 ss., con nota di A.G. Ruvolo, La clausola di inversione del rischio nella locazione finanziaria; Cass.
26 gennaio 2000, n. 854, in Giur. it., 2000, 1136 ss., con nota di L. Barbiera, Vizi della cosa concessa in leasing e diritti dell'utilizzatore;
Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, in Nuova giur. civ. comm., 2003, 435 ss., con nota di D. Chindemi, Leasing di autovettura non immatricolata:
diritti ed obblighi delle parti, e in Danno e resp., 2002, 10, 941 ss., con osservazioni di V. Cuocci; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125; Cass. 19
maggio 2006, n. 11776; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, in Corr. giur., 2007, 10, 1438 ss., con nota di A.L. Pennetta, Leasing finanziario e
legittimazione dell'utilizzatore ad agire direttamente nei confronti del fornitore; E. Fochesato, Causa unitaria nell'ambito dell'operazione di
leasing finanziario e tutela dell'utilizzatore: una svolta della Cassazione?, in questa Rivista, 2007, 4, 374 ss.; Cass., 29 settembre 2007, n.
20592, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 356 ss., con nota di I.L. Nocera, Collegamento negoziale, causa concreta e clausola di traslazione
del rischio: la giustizia contrattuale incontra il leasing; Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 7, 733 ss., con
nota di E. Bacciardi, Leasing finanziario: la Cassazione apre le porte della tutela dichiarativa all'utilizzatore; Trib. Firenze 4 febbraio 2008,
in questa Rivista, 2009, 1, 52 ss., con nota di F.T. Vespasiani, Natura giuridica del leasing: contratto collegato e contratto di "scambio";
Cass. 19 febbraio 2008, n. 4235; Cass. 8 gennaio 2011, n. 534, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 555 ss., con nota di I.L. Nocera, Tutela
aquiliana in favore dell'utilizzatore: struttura, causa e situazioni di dominio nel leasing finanziario; Cass. 23 maggio 2012, n. 8101, in questa
Rivista, 2013, 5, 463 ss., con nota di G. Barillà, Mancata consegna del bene da parte del fornitore e violazione dei doveri di cooperazione
dell'utilizzatore.
(9) L'inquadramento del contratto di leasing è da sempre operazione molto problematica, poiché l'individuazione dei suoi caratteri marcanti
varia - da autore ad autore - in rapporto all'evoluzione dell'istituto rispetto al contesto sociale in cui opera. Per una analisi dei requisiti
minimali, affinché una determinata fattispecie contrattuale possa qualificarsi leasing finanziario, si veda A. Luminoso, op. cit., 414-419, il
quale considera caratteri necessari dell'operazione: la concessione in godimento di un bene (acquistato o fatto costruire appositamente da una
società di leasing), l'opzione di acquisto per l'utilizzatore e la commisurazione immediata del corrispettivo globale (ripartito in frazioni
periodiche, costituite in parte dal canone ed in parte dal prezzo del valore capitale del bene) e di quello per l'eventuale acquisto finale.
Un corretto inquadramento del leasing finanziario (e dei suoi caratteri marcanti) assume particolare rilievo nella prassi operativa per evitare
che il contratto divenga una formula vuota (adattabile alle diverse esigenze delle parti) o sia utilizzato per eludere la disciplina di fattispecie
tipizzate dal legislatore. Ivi, 416-417.
(10) Questa viene infatti ricostruita dagli interpreti in forza delle clausole contrattuali predisposte dai contraenti e della estensione analogica
di norme dettate (principalmente) in tema di locazione e di vendita con riserva della proprietà. Cfr. G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 11.
(11) F. Guerrera, Il procedimento di formazione dell'operazione di leasing finanziario, in Rass. dir. civ., 1987, 861-923.
(12) Tali accordi potranno avere ad oggetto l'individuazione del bene, la determinazione del prezzo, le modalità della consegna ecc. Per
161
ulteriori approfondimenti si rinvia a M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit., 94 ss. Sul diverso grado di intensità dei medesimi non vi è però
unanimità di vedute, poiché ad esempio l'utilizzatore potrebbe essersi vincolato con il concedente ai sensi dell'art. 1381 c.c. alla stipula della
vendita, oppure aver assunto il mero "impegno di sottoporre al venditore gli accordi raggiunti con il concedente" ivi, 96. Vista però la
complessità della relazione economica di leasing finanziario - nella quale divengono incerti i confini tra fase precontrattuale e contrattuale sembra che a tali accordi possa attribuirsi valore contrattuale.
(13) Si veda V. Buonocore, op. cit., 112-113.
(14) Il c.d. "leasing convenzionato". Cfr. G. De Nova, op. cit., 36 ss., il quale inoltre sottolinea come vi sia la tendenza ad inserire il singolo
contratto di leasing in una preesistente rete di rapporti.
(15) Al riguardo, M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit., 100, sottolineano come "[…] il modo nel quale gli interessi delle parti vengono ad
essere dedotti nell'affare e, in particolare, la distribuzione del rischio contrattuale, non possono rappresentare variabili indipendenti
dall'ordine seriale assunto dagli atti nella vicenda. La iniziativa proveniente dall'utilizzatore piuttosto che dal concedente o dal fornitore e il
tipo di intese raggiunte riflettono un assetto di interessi sottostante di segno diverso". Ed ancora, F. Guerrera, op. cit., 871-872, sostiene che
"[…] la composizione e la cadenza del procedimento formativo reagiscono direttamente sul piano di distribuzione del rischio contrattuale e,
per questo tramite, influenzano il profilo causale dell'operazione, connotandone la stessa essenza giuridica".
(16) Sul punto, si veda R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 277; F. Guerrera, op. cit., 879, nt. 36; M. Bussani, I singoli contratti. 4,
Contratti moderni. Factoring, Franchising, Leasing, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 2004, 336; A. Luminoso, op.
cit., 405.
In giurisprudenza, per tutte, Cass. 5 settembre 2005, n. 17767: "Se l'utilizzatore sceglie, oltre al bene, la persona che deve fornirglielo ed è
convenuto che il fornitore consegni direttamente il bene all'utilizzatore, l'obbligazione del concedente diventa quella di concludere il
contratto di vendita con il fornitore mediante l'impiego del capitale nell'acquisto, mentre l'obbligazione di consegna del bene sulla base del
contratto di vendita va adempiuta nei confronti dell'utilizzatore.
In una situazione siffatta l'eventuale clausola di esonero di responsabilità del concedente per inadempimento del fornitore non presenta
tecnicamente la funzione di convenire un esonero di responsabilità in quanto in questo caso può considerarsi gravare sul concedente solo
l'obbligazione di determinare in capo al fornitore (con la conclusione del contratto di vendita ed il pagamento del prezzo) l'obbligo di
consegnare il bene all'utilizzatore".
(17) Questo infatti si disinteressa totalmente della scelta del fornitore e dello stesso bene, con il quale manca inoltre alcun rapporto materiale.
(18) Cfr. M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit., 102, le quali sostengono che "il controllo di meritevolezza deve essere esercitato non in chiave
statica, vale a dire circoscrivendolo temporalmente al momento perfezionativo della fattispecie né tantomeno a parti della stessa, quanto
piuttosto prendendo in considerazione il collegamento tra i vari atti, in funzione del risultato finale complessivo".
(19) La tematica merita una più ampia trattazione, ma in questa sede si può sottolineare come in genere l'utilizzatore versi in uno stato di
"strutturale e genetica debolezza contrattuale" sia nei confronti della società concedente che dello stesso fornitore, ed accetti previsioni
perlopiù a loro favorevoli. Cfr. M. Imbrenda, op. cit., 113 ss.; G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 13.
(20) Cfr. R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 192.
(21) Per un elenco esaustivo delle clausole utilizzate nella prassi, si veda V. Buonocore, op. cit., 156 ss.
(22) Fra gli altri A. Luminoso, op. cit., 405 ss.; G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 17 ss., anche se con alcune differenziazioni: questi ultimi
infatti sostengono l'applicabilità al leasing finanziario dell'art. 1579 c.c. in tema di locazione, comminando l'inefficacia di quelle clausole di
esonero in cui possa ravvisarsi malafede del concedente o vizi che rendano impossibile il godimento del bene. Per un quadro completo delle
posizioni, si veda M. Bussani, op. cit., 336 ss.
Con riguardo alla giurisprudenza, per tutte Cass. 21 giugno 1993, n. 6862, in Foro it., 1993, I, 2144 ss., con nota di A. Mastrorilli,
Inadempimento del fornitore, rischio contrattuale, tutela dell'utilizzatore, e in Giust. civ., 1994, I, 1626 ss. con nota di L. Palamara, Il
controllo delle clausole disposte dai contraenti e la tutela dell'utilizzatore del bene nel contratto di leasing; Cass. 2 agosto 1995, n. 8464, in
Foro it., 1996, I, 164 ss. con nota di G. Lener, Mancata consegna nel Leasing, obbligo di buona fede e causa contrattuale; Cass. 5 settembre
2005, n. 17767.
(23) G. De Nova, op. cit., 40, anticipando quelle che saranno poi le considerazioni più diffuse tra gli interpreti, sottolinea che "[…] può
apparire giustificata una clausola di totale esonero del concedente dalla garanzia per i vizi, in quanto l'utilizzatore sia effettivamente messo in
condizioni di tutelare i propri interessi nei confronti del fornitore".
(24) Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit.; Cass. 29 settembre 2007, n. 20592, cit.; Cass. 19 febbraio
2008, n. 4235; Cass. 23 maggio 2012, n. 8101, cit. Per un quadro delle posizioni giurisprudenziali, si rinvia a V. Tagliaferri, Vendita,
permuta, leasing. Percorsi giurisprudenziali, in Scenari, Milano, 2010, 253-258.
(25) Sulla invalidità delle clausole in oggetto, si veda Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit., e Cass. 29 settembre 2007, n. 20592, cit. Alcuni
commentatori (M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit., 109) sostengono sia necessaria una ripartizione del rischio ai sensi dell'art. 1227 c.c.; altri
invece (G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 17) reputano tali clausole valide, salvo malafede del concedente (applicando analogicamente il
principio previsto per la locazione ai sensi dell'art. 1579 c.c. e per la vendita ai sensi dell'art. 1490, comma 2, c.c.).
(26) Cfr. V. Tagliaferri, op. cit., 258-262 e G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 13 ss.
(27) Infatti, in tema di vendita con riserva di proprietà, è proprio l'art. 1523 c.c. a prevedere il trasferimento di tutti i rischi alla consegna del
bene e quindi prima del trasferimento della proprietà. Ugualmente, in materia di comodato, l'art. 1806 c.c. prevede che (in caso di stima del
bene alla conclusione del contratto) il perimento del bene sia a carico del comodatario anche se avvenuto per causa a lui non imputabile.
(28) Si fa riferimento a quelle clausole che realizzano effettivamente il collegamento, presenti sia all'interno del contratto di fornitura (con le
quali si conviene che il bene venga acquistato allo scopo di cederlo in godimento all'utilizzatore oppure che la consegna avvenga dal
fornitore all'utilizzatore) che del contratto di leasing (ad esempio quelle che obbligano il concedente ad acquistare il bene già individuato
dall'utilizzatore ecc.).
(29) Cfr. G. De Nova, op. cit., 40.
(30) Sul punto, G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 29 e G. De nova, op. cit., 38-39.
(31) In forza di quel percorso argomentativo che considera il fornitore un ausiliario dell'utilizzatore. In tal senso, G. Ferrarini - P. Barucco,
op. cit., 29: "Il fornitore, in effetti, è scelto dall'utilizzatore, il quale tratta pure le condizioni della compravendita e - una volta che questa si
162
sia perfezionata - cura che ad essa sia data compiuta esecuzione da parte del venditore". Si veda anche M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit.,
105-106, le quali stabiliscono che "[…] coerente alla ratio dell'art. 1228 cod. civ. è l'inversione del rischio connesso alla attività prestata dal
'terzo cooperatore' [fornitore, nda], là dove la scelta non dipenda dal debitore [concedente, nda] […]".
(32) In ragione della natura finanziaria dell'operazione e della predisposizione unilaterale dei formulari da parte delle imprese di leasing.
Ibidem.
(33) Cfr. G. De Nova, op. cit., 40-41; G. Di Rosa, Il mandato, I, sub Artt. 1703-1709, in AA.VV., Il codice civile. Commentario, fondato da
P. Schlesinger, diretto da D. Busnelli, Milano, 2012, 95-102.
(34) Non essendo invece sufficienti quelle clausole che estendono la garanzia del fornitore in favore dell'utilizzatore, poiché la titolarità
dell'azione redibitoria ed estimatoria "[…] non può andare disgiunta dalla posizione di diritto sostanziale a tutela della quale l'azione
medesima è concessa". Vedi G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 30-31.
(35) Così R. Clarizia, I contratti nuovi. Factoring, locazione finanziaria, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, XV, Torino, 1999,
157; G. Di Rosa, Il mandato, cit., 100-101.
(36) Su iniziativa e conduzione delle trattative da parte dell'utilizzatore.
(37) Cfr. R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 206 ss.
(38) Per tutte v. Cass. 17 maggio 1991, 5571; Cass. 30 maggio 1995, n. 6076; Cass. 11 luglio 1995, n. 7595; Cass. 16 maggio 1997, n. 4367.
(39) V. Cass. 16 maggio 1997, n. 4367.
(40) Si precisa che tale soluzione garantiva un corretto equilibrio contrattuale ed il pieno esonero di responsabilità per il concedente (il quale
partecipava all'operazione nella sua sola funzione finanziaria).
Al riguardo, è opportuno sottolineare come la prassi mercantile dei nostri giorni, in tema di leasing immobiliare, riproduca tale ricostruzione
facendo intervenire nel contratto di fornitura (tra fornitore e concedente) anche l'utilizzatore, legittimandolo in tal modo all'esercizio di ogni
azione nei confronti del fornitore (previa comunicazione scritta al concedente). La "tipizzazione" del leasing immobiliare abitativo operata
dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208 (cd. Legge di stabilita 2016) ai commi 76-84 dell'art. 1, non ha però "codificato" tale prassi, la quale
rimane quindi un mero accorgimento tecnico utilizzato dai notai nella loro tipica funzione anti-processualistica.
(41) Tale fenomeno - individuabile nei casi in cui due o più negozi dotati di struttura e causa autonoma perseguano una comune finalità (v. F.
Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 2012, 216-218; M.C. Diener, Il contratto in generale. Manuale e
applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, II ed., Milano, 2011, 85) - può assumere varie configurazioni, non potendo (ad oggi)
individuarsi regole generali idonee a risolvere i molteplici problemi applicativi. Cfr. G. Ferrando, I contratti collegati, in I contratti in
generale. Aggiornamento 1991-1998, III, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, diretta da G.
Alpa e M. Bessone, Torino, 1999, 1907-1930.
(42) Si veda, tra gli altri, G. De Nova, op. cit., 33-35; R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 194-216. Tra le pronunce giurisprudenziali,
per tutte Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit.
(43) Cass., Ord., 4 agosto 2014, n. 17597.
(44) Come acutamente rilevato dalla ordinanza di rimessione alle SS.UU., 4 agosto 2014, n. 17597, le differenze tra il mandato senza
rappresentanza ed il leasing finanziario sono rilevanti: in primis, il rapporto diretto che l'utilizzatore (a differenza del mandante) intrattiene
con il fornitore, nel procedimento di formazione dell'operazione di leasing più diffuso (iniziativa dell'utilizzatore); in secondo luogo, il
passaggio della proprietà dei beni all'utilizzatore che nel leasing finanziario avviene per esercizio del riscatto (e non per rivendica o per
obbligo di ritrasferimento come nel mandato); da ultimo, la differente ratio che ispira le norme in tema di mandato senza rappresentanza - nel
quale preminente rilievo assume la tutela del terzo (ignaro del rapporto tra mandante e mandatario) - rispetto a quelle dettate in tema di
leasing finanziario, in cui tutti i soggetti sono pienamente consapevoli della complessiva operazione negoziale. In forza di tali
argomentazioni, la suddetta ordinanza supera anche i dubbi sulla validità del trasferimento della posizione sostanziale senza il consenso del
contraente ceduto (fornitore).
(45) Al fine di risolvere la nota problematica interpretativa sulle azioni esperibili ai sensi dell'art. 1705 comma 2 c.c., sono intervenute le
SS.UU., Cass. pronuncia 8 ottobre 2008, n. 24772, le quali - aderendo alla tesi restrittiva - hanno stabilito che l'espressione diritti di credito
debba essere circoscritta all'esercizio dei soli diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con esclusione delle azioni poste a loro tutela
(annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento).
(46) V. inoltre Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, cit., nella quale si è riconosciuta la legittimazione dell'utilizzatore anche alla domanda di
accertamento dell'esatto corrispettivo spettante al fornitore.
(47) Riproponendo l'unitarietà dell'operazione giuridica, alcune pronunce (Cass. 26 gennaio 2000, n. 854, cit.; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125;
Cass. 19 maggio 2006, n. 11776) - sulla scia delle soluzioni ermeneutiche adottate dalla Convenzione Unidroit sul leasing internazionale (ed
in ragione della asserita essenzialità all'interno dell'affare della prestazione del fornitore ai sensi dell'art. 1459 c.c.) - sostenevano la
legittimazione dell'utilizzatore all'esercizio dell'azione di risoluzione nei confronti del fornitore purché vi fosse la partecipazione al giudizio
di risoluzione del concedente (c.d. litisconsorzio necessario).
(48) Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit.; Cass. 29 settembre 2007, n. 20592, cit.; Cass. 19 febbraio
2008, n. 4235; Cass. 23 maggio 2012, n. 8101, cit.
(49) V. Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit., "È proprio l'interesse al godimento da parte dell'utilizzatore della cosa (che il finanziatore al
medesimo procura presso il fornitore) a venire in tale ipotesi essenzialmente in rilievo, e che l'operazione negoziale in questione è
sostanzialmente volta a realizzare, costituendone pertanto la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella - parziale dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro,
condizionandone la validità e l'efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la
distinzione con il negozio complesso o con il negozio misto".
(50) Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785, sottolinea che "[…] dal punto di vista giuridico […] ci si trova al cospetto di due contratti
(quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che come s'è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo
tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico. Un collegamento tale, cioè da
comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell'altro. È pur vero che questi contratti sono legati da un nesso
obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perché possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia
163
l'intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune".
(51) Il quale vincola in modo assoluto la validità/invalidità di un contratto sull'altro, e legittimerebbe quindi l'utilizzatore ad eccepire - alla
domanda di adempimento del concedente - l'inadempimento del fornitore.
(52) In tal senso, per tutti, R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 194-216. Alcuni autori (tra cui G. Ferrando, op. cit., 1922-1923) però
criticano tale interpretazione, alla luce della rilevante partecipazione dell'utilizzatore all'intera operazione economica.
(53) In quanto modificativa dei termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore.
(54) Per tutte Cass. 26 gennaio 2000, n. 854, cit.
(55) Per tutti, si veda R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 175-192.
(56) Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit.
(57) Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, infatti, tra le diverse argomentazioni addotte a sostegno della propria tesi, sancisce che "[…] la nullità
di tale clausole deriverebbe dal contrasto in cui le stesse si pongono rispetto all'obbligo del concedente di eseguire in buona fede il contratto
(art. 1375 cod. civ.) e quindi di salvaguardare l'interesse dell'utilizzatore".
(58) Le più recenti sentenze (v. Cass. 23 maggio 2012, n. 8101) fondano tale invalidità sulla causa di godimento del bene (da parte
dell'utilizzatore) di cui è connotata l'operazione e sulla inderogabilità dell'art. 1463 c.c.
Nello stesso senso anche la dottrina prevalente (per tutti A. D'Angelo, La buona fede, IV, Il contratto in generale, in Trattato di diritto
privato, diretto da M. Bessone, XIII, Torino, 2004, 250-251), la quale sottolinea l'erronea chiamata in causa della nullità per violazione della
clausola di buona fede di cui all'art. 1375 c.c., poiché l'inadempimento del fornitore non potrà mai essere considerato un vizio genetico. In
proposito, particolare rilievo assume anche la recente pronuncia della Cass., SS.UU., 19 dicembre 2007, n. 26725, la quale ribadisce che salvo specifica previsione - la violazione di regole di comportamento (quali buona fede e correttezza) non può portare alla nullità totale o
parziale del contratto.
(59) In questa Rivista, 2013, 5, 463 ss., con nota di G. Barillà, Mancata consegna del bene da parte del fornitore e violazione dei doveri di
cooperazione dell'utilizzatore.
(60) G. Alpa, La buona fede integrativa: note sull'andamento parabolico delle clausole generali, in L. Garofalo (a cura di), Il ruolo della
buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionali di studi in onore di Alberto
Burdese, I, Padova, 2003, 155 ss.
(61) Al riguardo, sull'incidenza del canone ermeneutico della buona fede nella interpretazione del contratto, si veda M. Costanza, Profili
dell'interpretazione del contratto secondo buona fede, Milano, 1989.
(62) Sul punto F. Macario, sub Art. 1375 - Esecuzione di buona fede, in AA.VV., Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei
contratti in generale, a cura di E. Navarretta - A. Orestano, artt. 1350 - 1386, Torino, 2011, 730.
(63) S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004 (ristampa integrata), passim.
(64) Tale tesi, sostenuta tra gli altri da L. Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, 1988, 170 ss. e C.
Scognamiglio, L'integrazione, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I, I contratti in generale, 1, II ed., Torino, 2006, 1149-1180, separava quindi in
maniera netta l'art. 1374 c.c. dall'art. 1375 c.c. e negava un ruolo integrativo del contratto alla clausola di buona fede.
Per una puntuale analisi degli orientamenti, si rinvia a F. Macario, op. cit., 727 ss. e M.A. Livi, L'integrazione del contratto, in Diritto Civile,
diretto da N. Lipari - P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, III, Obbligazioni, II, Il contratto in generale, Milano, 2009, 652, mentre per
approfondimenti sul concetto di buona fede in senso oggettivo si segnala F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo, in collana Studi di
diritto privato, diretta da F.D. Busnelli - S. Patti - V. Scalisi - P. Zatti, Torino, 2015.
(65) In tal senso, per tutti S. Rodotà, op. cit., 111 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 500 ss.
(66) Cfr. C.M. Bianca, Buona fede e diritto privato europeo, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e
contemporanea. Atti del Convegno internazionali di studi in onore di Alberto Burdese, a cura di L. Garofalo, I, Padova, 2003, 201 ss.; F.
Macario, op. cit., 753-760.
(67) Sul punto, M. Franzoni, Degli effetti del contratto. Integrazione del contratto. Suoi effetti reali e obbligatori, II, Artt. 1374 - 1381, II ed.,
Milano, 2013, 195-202. L'Autore sottolinea inoltre come il settore del diritto relativo alle clausole generali sia una sorta di diritto
giurisprudenziale, in cui il precedente giudiziario (divenuto leading case) assume un ruolo di primaria importanza.
(68) Senza ovviamente sottoscrivere il verbale di consegna.
(69) Nel caso in cui non lo faccia, il pagamento del prezzo in favore del fornitore sarebbe non dovuto e di conseguenza non sarebbe possibile
porlo a carico dell'utilizzatore.
(70) Da tale considerazione - espressa dalle Sezioni Unite in commento - può desumersi la qualificazione del contratto in oggetto come
collegamento negoziale unilaterale, nel quale solo le vicende di un contratto (fornitura) producono effetti sull'altro contratto collegato
(leasing), e non viceversa.
(71) Così G. Sicchiero, La risoluzione per inadempimento, sub Artt. 1453-1459, in AA.VV., Il codice civile. Commentario, fondato da P.
Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2007, 347. Con riguardo al c.d. apprezzabile sacrificio si veda F. Macario, op. cit., 749; C.M.
Bianca, Il contratto, cit., 505; M. Franzoni, op. cit., 174.
Sulla questione, in una fattispecie non così dissimile, Cass. 31 luglio 2002, n. 11364 ritiene che "Il dovere di correttezza imposto dall'art.
1227 c.c. al danneggiato presuppone un'attività dalla quale certamente il danno sarebbe stato evitato o ridotto, ma non implica l'obbligo di
iniziare un'azione giudiziaria o esecutiva in quanto il creditore non è tenuto ad una attività gravosa o implicante rischi o spese, né a
provvedere ad esecuzione forzata anche se ciò rientra nelle sue facoltà". Di converso, in terreni lontani ma comparabili, la sentenza del Cons.
Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3, amplia il limite del c.d. apprezzabile sacrificio, reputando la mancata impugnazione di un
provvedimento amministrativo in contrasto alla clausola di buona fede. V. AA.VV., Coordinate ermeneutiche di diritto civile, a cura di M.
Santise, Torino, 2014, 9.
(72) D'altronde, i Giudici della S.C. (nel loro percorso argomentativo) richiamano in più occasioni le suddette normative speciali,
considerando le soluzioni adottate dalle medesime (meglio infra precisate) come parametri interpretativi di riferimento per la risoluzione
delle problematiche di tutela dell'utilizzatore.
(73) Cfr. R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 207.
(74) Cfr. M. Franzoni, op. cit., 228-235.
164
(75) Cfr. R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 206-207 e Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785 la quale riconosce all'utilizzatore "[…]
il diritto di agire verso il fornitore per il risarcimento del danno, nel quale sono tra l'altro compresi i canoni pagati al concedente in costanza
di godimento del bene viziato. A tale ultimo riguardo la responsabilità risarcitoria può farsi risalire, in via generale, a quella da lesione del
credito illecitamente commessa dal fornitore che è terzo rispetto al contratto di locazione".
(76) La risoluzione dei contratti in generale, per violazione degli obblighi di buona fede di cui all'art. 1375 c.c., rientra tra i rimedi
astrattamente esperibili dal contraente non inadempiente. Cfr. G. Sicchiero, op. cit., 336-363; M.A. Livi, op. cit., 656; A. D'Angelo, op. cit.,
143-146. Il più risalente orientamento contrario a tale possibilità, è stato infatti superato dalla tesi che consente la risoluzione del rapporto.
Precisamente, Cass. 1 agosto 2002, n. 11437, sottolinea che "[…] la violazione degli obblighi comportamentali stabiliti dagli artt. 1175 e
1375 cod. civ. può assumere rilevanza per la risoluzione del rapporto soltanto se, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono
obbligate a tenere per preservare il reciproco interesse all'esatto adempimento delle rispettive prestazioni, pregiudica gli effetti economici e
giuridici del contratto". F. Macario, op. cit., 723, nt. 2, precisa che una risoluzione di tal genere non potrebbe essere spiegata "[…] facendo
ricorso all'inadempimento dell'obbligo, bensì al mancato raggiungimento del risultato contrattuale nella fase esecutiva".
(77) Sul punto, già F. Guerrera, op. cit., 920, prospettava tale possibilità. Invece M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit., 110-111, rilevano
l'esigenza di una rilettura più proporzionata del regolamento negoziale e del ruolo finanziario del concedente, anche alla luce della normativa
predisposta dalla Convenzione Unidroit.
(78) Percorsi argomentativi differenti sono invece sviluppati da G. Di Rosa, La tutela dell'utilizzatore nel contratto di leasing finanziario, in
questa Rivista, 2016, 224-244, il quale critica l'interpretazione adottata dalle Sezioni Unite in commento e precisamente l'utilizzo della buona
fede di cui all'art. 1375 c.c. ai fini della risoluzione delle problematiche di tutela dell'utilizzatore, suggerendo - quale soluzione dirimente - il
pieno riconoscimento della causa di scambio del contratto di leasing (con conseguente operare dell'art. 1463 c.c. anche in caso di vizi della
cosa). In via alternativa, l'Autore prospetta invece l'applicazione (analogica) dell'art. 125 quinquies, comma 3, D.Lgs. 1° settembre 1993, n.
385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) - il quale stabilisce che: "In caso di locazione finanziaria (leasing) il
consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire
per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni. La risoluzione del contratto di
fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria" - oggi applicabile solo se
l'utilizzatore sia un mero consumatore (e non agisca quindi nell'esercizio di una attività d'impresa).
(79) Cfr. M. Imbrenda - F. Carimini, op. cit., 110 e nt. 343.
(80) Cfr. A. Frignani, Leasing finanziario internazionale: analisi comparata, in questa Rivista, 2000, 3, 285.
(81) Sul punto M. Bussani, op. cit., 354.
(82) Cfr. G. De Nova, op. cit., 92.
(83) In particolare, nel leasing internazionale, non è stata considerata essenziale la presenza dell'opzione di acquisto per l'utilizzatore, al fine
di venire incontro alla prassi inglese nella quale il leasing non include mai una opzione di compera per evitare confusione con la figura del
c.d. hire-purchase. Si veda G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 45.
(84) Applicabile nei soli casi in cui concedente ed utilizzatore abbiano la loro sede di affari in Stati contraenti diversi, e non vi sia l'unanime
volontà dei soggetti di disapplicarla. Cfr. V. Buonocore, op. cit., 326.
(85) Convenzione Unidroit, ratificata con Legge 14 luglio 1993, n. 259, art. 10: "1. - Gli obblighi del fornitore in base al contratto di
fornitura potranno essere fatti valere anche dall'utilizzatore come se egli stesso fosse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse
essere fornito direttamente. Tuttavia il fornitore non sarà responsabile nei confronti sia del concedente che dell'utilizzatore per il medesimo
danno.
2. - Questo articolo non dà tuttavia diritto all'utilizzatore di risolvere o annullare il contratto di fornitura senza il consenso del concedente".
(86) Così A. Frignani, op. cit., 288.
(87) Convenzione Unidroit, ratificata con Legge 14 luglio 1993, n. 259, art. 12: "1. - Se il bene non viene consegnato o viene consegnato in
ritardo o non è conforme al contratto di fornitura: a) l'utilizzatore ha il diritto, nei confronti del concedente, di rifiutare il bene o di risolvere il
contratto di leasing; b) il concedente ha il diritto di rimediare al suo inadempimento all'obbligo di consegnare il bene in conformità al
contratto di fornitura, come se l'utilizzatore avesse convenuto l'acquisto del bene dal concedente, alle stesse condizioni stabilite dal contratto
di fornitura.
2. - I diritti previsti dal paragrafo precedente potranno essere esercitati e saranno perduti nelle stesse circostanze che se l'utilizzatore avesse
convenuto di acquistare il bene dal concedente alle stesse condizioni sancite dal contratto di fornitura.
3. - L'utilizzatore ha il diritto di trattenere i canoni dovuti in base al contratto di leasing fino a che il concedente non abbia rimediato al suo
inadempimento all'obbligo di consegnare il bene in conformità al contratto di fornitura, o fino a quando l'utilizzatore non abbia perduto il
diritto di rifiutare il bene.
4. - L'utilizzatore, quando abbia esercitato il diritto di risolvere il contratto di leasing, può ottenere il rimborso di tutti i canoni pagati e delle
altre somme anticipate, dedotta una somma corrispondente ai benefici che abbia potuto ragionevolmente trarre dal bene.
5. - L'utilizzatore non ha altra azione nei confronti del concedente, in conseguenza della mancata consegna, della consegna ritardata o della
consegna di bene non conforme, salvo che tali eventi non siano attribuibili all'atto o all'omissione del concedente.
6. - Il presente articolo non pregiudica i diritti riconosciuti allo utilizzatore nei confronti del fornitore in base all'articolo 10".
(88) A differenza dell'ordinamento italiano, nel quale l'obbligazione del concedente di concedere il godimento del bene all'utilizzatore si
concreta solamente in quei comportamenti strumentali al godimento dell'utilizzatore (ovvero: concludere la compravendita con il fornitore e
pattuire con il fornitore che il bene verrà da questo consegnato all'utilizzatore nei tempi e modi stabiliti). In proposito, G. De Nova, op. cit.,
38 ss.
(89) Facendo ricorso alla fictio iuris di ipotizzare che "l'utilizzatore abbia convenuto di acquistare il bene oggetto di leasing dal concedente a
condizioni eguali a quelle pattuite per il contratto di fornitura. Ne viene che l'uno e l'altro diritto sono assoggettati alla stessa disciplina
(legale e convenzionale) della fornitura (art. 12 c.1) e che essi potranno essere esercitati nello stesso modo e si estingueranno nelle stesse
circostanze 'che se l'utilizzatore avesse convenuto di acquistare il bene dal concedente alle stesse condizioni sancite dal contratto di fornitura'
(art. 12 c. 2)", v. G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 49.
In questo modo farebbe ingresso nella Convenzione sul leasing anche la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale, le cui
165
norme regoleranno ulteriori aspetti disciplinari nel caso in cui il contratto di fornitura sia una vendita internazionale sottoposta a tale
Convenzione. In tal senso cfr. A. Frignani, op. cit., 289 e G. Ferrarini - P. Barucco, op. cit., 49.
(90) Cfr. A. Frignani, op. cit., 289.
(91) Come indicato nel Preambolo della Convenzione.
(92) Cfr. R. Clarizia, La locazione finanziaria, cit., 274.
(93) G. De nova, op. cit., 39-40.
(94) Per tutte, Cass. 2 novembre 1998, n. 10926; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222; Cass. 29 settembre 2007, n. 20592.
(95) Si consiglia la lucida analisi svolta da R. Sacco, nella voce Giustizia contrattuale, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg. VII, 2012, 534-545,
nella quale l'Autore si sofferma sulla ricerca di una regola generale espressa per la cd. giustizia contrattuale e si interroga sulle applicazioni
del concetto nel nostro ordinamento (ad es. L. 10 ottobre 1990 n. 287 sulla concorrenza, art. 1469 bis c.c. e D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206
sulla tutela del consumatore, L. 18 luglio 1998 n. 192 sulla subfornitura ecc.).
(96) Per un orientamento bibliografico, si veda A. D'Angelo, op. cit.; F. Volpe, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli,
2004; U. Perfetti, L'ingiustizia del contratto, Milano, 2005; C. Caccavale, Giustizia del contratto e presupposizione, Torino, 2005. Per una
disamina dei profili storici del concetto di giustizia contrattuale, si rinvia invece a G. Chiodi, La giustizia contrattuale. Itinerari della
giurisprudenza italiana tra Otto e Novecento, Milano, 2009.
(97) In proposito R. Sacco, in R. Sacco - G. De Nova, Il contratto, II, in R. Sacco (a cura di), Trattato di diritto civile, Torino, 2004, 431438, sottolinea la sempre maggior rilevanza delle cc.dd. "regole di opinione" del giudice, nell'ottica di un diritto privato più "giusto" e sempre
meno ancorato al "culto della lettera".
(98) Per tutti, G. De Nova, op. cit., 41.
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