Investimenti alternativi

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Investimenti alternativi
URANIO
Investimenti alternativi
A nessuno piace avere materiale radioattivo in casa, però nel portafogli sì,
non solo perché l’energia nucleare sta per acquistare nuovo interesse ma
anche perché la materia prima comincia a scarseggiare. Il numero di coloro
che vogliono approfittare del boom del nucleare sta crescendo.
(28-02-2007) Coloro che, quando sentono
parlare di investimento alternativo, immaginano
un investimento in energie rinnovabili o nella
bioagricoltura, dovrebbero sentire Robert
Mitchell. Mitchell è manager del Hedgfond Adit
Capital Managment e ciò che egli colleziona,
proprio in Oregon, il cuore dell’ecologia, è
l’incubo di ogni ambientalista. Circa 1000
tonnellate di uranio grezzo giacciono in un
magazzino rivestito di piombo.
“Alternativo” significa solo investire il capitale non
in maniera tradizionale, cioè in azioni, titoli di
stato o valuta. L’uranio è tutt’altro che un
investimento tradizionale. Il metallo serve quasi
esclusivamente come combustibile nelle centrali
nucleari o per usi militari. L’uranio è presente in
tutto il mondo, ma i produttori sono pochi, perché l’estrazione risulta essere
conveniente solo in pochi luoghi. Il mercato è una cosa da specialisti – nessuna
borsa tratta l’uranio.
DDP
Recycling: L’uranio proveniente
dall’arsenale russo è arricchito e fornito
in contenitori di questo genere alle
centrali nucleari
Il fatto che fondi come Adit creino depositi privati d’uranio è un effetto del boom
delle materie prime e, in particolare, del boom dell’uranio. Da anni, le miniere
producono quantità della materia sempre inferiori rispetto a quella richiesta dalle
centrale nucleari. La World Nuclear Association (WNA) stima il fabbisogno di
quest’anno delle 438 centrali nucleari a circa 67.000 tonnellate. La produzione è
invece stimata solo a 50.000 tonnellate.
Le grandi società dell’energia si riforniscono ancora da riserve una parte delle quali
proveniente dall’arsenale russo, ma entro pochi anni queste riserve saranno
esaurite. Parallelamente si fa notare una crescente domanda, perché, secondo la
WNA, sono in costruzione 22 nuove centrali nucleari, 48 in progettazione e altre
158 sono state proposte. A fronte di questo sviluppo, l’abbandono del nucleare da
parte della Germania appare piuttosto irrilevante. La lobby del nucleare sfrutta
anche il cambiamento climatico sostenendo a spada tratta che le centrali nucleari
sono “pulite” perché non emettono CO2.
Nel dicembre del 2000, una libbra (453 grammi) di ossido di uranio costava 7,10
dollari. Nel frattempo il prezzo è salito a 85 dollari. Nonostante questo aumento, gli
investitori non intendono ancora liquidare gli stock accumulati negli ultimi anni. “se
la domanda dovesse crescere ancora come negli ultimi anni, il prezzo potrebbe
ulteriormente salire”, dice Rupert Stöger, direttore dello studio Performaxx di
Monaco di Baviera, “non bisogna però attendersi grandi sbalzi così come in
passato“.
Gli analisti, per quest’anno, prevedono che il prezzo di una libbra di uranio si
aggirerà tra 70 e 120 dollari. Poiché i prezzi della materia prima costituiscono solo
una minima parte dei costi d’esercizio di una centrale nucleare e poiché l’uranio è
venduto con contratti a lunga scadenza, la domanda cresce indipendentemente
dell’inflazione. Il prezzo è determinato dall’offerta limitata e gli acquisti degli
investitori che immagazzinano il metallo ne aumentano ulteriormente la carenza.
Il rischio degli investimenti
Nel 2077, l’uranio dimostrerà la miglior performance tra tutte le materie prime, ha
previsto l’esperto Patricia Mohr della Scotiabank canadese. Nel frattempo, il settore
bancario ha scoperto che notizie di questo genere possono attirare anche investitori
privati. Negli ultimi mesi, alcuni nuovi prodotti sono apparsi sul mercato. Ne sono
esempi il certificato UBS Uranium Basket, il certificato d’uranio di Merrill Lynch, il
certificato della Société Générale sul World Uranium Total Return Index (URAX) e il
titolo Uranium Garant I di Lehman Brothers.
Queste offerte puntano in primo luogo a titoli dei maggiori produttori di uranio quali
la Cameco canadese, la società nucleare francese Areva, l’Energy Resources of
Australia appartenente al gigante minerario Rio Tinto e la WMC Resources che
appartiene al gruppo BHP Billiton. “Questi titoli sono estremamente speculativi
perché la quotazione si basa spesso solo su futuri progetti”, mette però in guardia
l’analista Stöger.
Il maggior progetto della leader Cameco, nell’ottobre del 2006, ha dovuto subire un
duro colpo. Il cantiere della Cigar Lake Mine, nella provincia canadese di
Saskatchewan, dopo una frana si è allagato. Non è certo se e quando la miniera
potrà continuare a produrre le solite 8.000 tonnellate/anno di uranio della migliore
qualità. Per la Cameco e il partner Areva l’interruzione ha comportato una perdita di
un centinaio di milioni di dollari. La notizia ha ulteriormente provocato un rincaro
dei prezzi.
Disgrazie di questo genere sono ancora più dannose per società minerarie più
piccole. L’acquisto dei titoli di queste società è considerata un’occasione unica
perché le loro quotazioni non sono ancora salite così come quelle della grandi
società.
Un’altra fetta del mercato è occupata dalla società statunitense USEC, unica
azienda quotata in borsa, che offre uranio arricchito. L’USEC, partner del governo
statunitense nel progetto “Da Megaton a Megawatt”, acquista ordigni nucleari dal
governo e produce da questa materia carburante nucleare per le centrali.
Particolarmente strani sono gli investimenti in titoli di aziende che
commercializzano uranio e che, di recente, si trovano anche in borsa. Aziende di
questo genere sono la Uranium Participation canadese, affiliata alla Denison Mines,
e la britannica Nufcor Uranium che appartiene alla AngloGold Ashanti. Così queste
aziende non solo trovano acquirenti della loro merce radiante ma offrono anche agli
investitori l’opportunità di crearsi una propria riserva di uranio.
Fonte: Arvid Kaiser, Strahlende Gewinne; in: M a n a g e r
Magazin
27.02.2007