FASSINO AVEVA UNA BANCA, MATTEUCCIO

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FASSINO AVEVA UNA BANCA, MATTEUCCIO
5 OTT 2016 19:19
FASSINO AVEVA UNA BANCA, MATTEUCCIO S’E’ FATTO UNA
MERCHANT BANK - DEVE TROVARE 16 MILIARDI PER
RICAPITALIZZARE LE BANCHE - CON DRAGHI, RAPPORTI TESI,
ATLANTE NON HA SOLDI, COSI’ SI E’ AFFIDATO MANI E PIEDI
ALLA JP MORGAN CHE DETTA LE REGOLE: FUORI VIOLA CHE
CONTESTAVA I COSTI DELL'OPERAZIONE E CERCAVA
UN'ALTERNATIVA, DENTRO IL FIDATO MORELLI
DAGONOTA
JPMORGAN DIMON RENZI PADOAN
Se, orgoglioso, Piero Fassino poteva chiedere a Giovanni Consorte “allora abbiamo una
banca?”, facendo riferimento alla scalata a Bnl, Matteo Renzi - con altrettanto orgoglio
e senza punti interrogativi - può affermare: abbiamo una merchant bank.
E si chiama JpMorgan. L’intesa fra il Ducetto di Rignano e Jamie Dimon sembra poter
essere più profonda di quel che appare.
Matteuccio ha un problema: deve trovare 16 miliardi per ricapitalizzare il sistema
bancario: un punto di pil. E non sa come fare.
DRAGHI RENZI
Con Draghi i rapporti sono, a dir poco, algidi: distanti è dir poco.
Altrettanto si può dire fra i componenti del board della Bce ed il ministro dell’Economia.
Il francese Benoît Cœuré, per esempio, di Padoan dice: parla un ottimo inglese ma non
sa assolutamente rapportarsi, per non dire opporsi, al mondo politico.
Ma come si arriva a 16 miliardi?
La conta è presto fatta: un miliardo per Veneto Banca, un altro miliardo per la Pop di
Vicenza, 5 miliardi per il Monte Paschi, 8 miliardi per Unicredit, 600 milioni per Ubi
banca.
Il Ducetto non sa dove prenderli.
COSTAMAGNA
Il Fondo Atlante, anche per le “incomprensioni” fra Claudio Costamagna e Alessandro
Penati, non decolla come avrebbe dovuto; servono miliardi che Atlante non ha.
Di fronte a questa situazione, Renzi si sarebbe aggrappato a JpMorgan.
Jamie Dimon, però, è un tipo tosto. E non fa beneficienza.
Ne consegue che non gli si può chiedere di mettere 5 miliardi di aumento di capitale del
Monte Paschi per una banca che ne vale 500.
O meglio. Gli si può anche chiedere. Ma poi decide lui come mettere in piedi
l’operazione.
FABRIZIO VIOLA
E come prima cosa, vuole suoi uomini al comando.
Per queste ragioni, Fabrizio Viola è stato fatto fuori senza tanti complimenti.
Anche le pietre di Piazza del Campo sapevano a Siena che l’ex amministratore delegato
era contrario alle mosse di JpMorgan.
In particolare, contestava l’esosità delle “fees” della banca d’affari.
CORRADO PASSERA
L’operazione Passera però non venne portata all’esame del cda del Monte, sebbene più
conveniente.
A bloccarla sarebbe stato proprio il muro alzato da JpMorgan: o lui o noi.
E visto che Matteuccio s’era già legato mani e piedi a Dimon, non poteva permettersi di
perdere l’uomo che gli potrebbe portare in dote il salvataggio del sistema bancario.
JAMIE DIMON
Ai piani alti della Bce guardano con scetticismo la fiducia di Renzi in Dimon.
Anche per questo, i rapporti fra il premier e SuperMario sono a dir poco gelidi. Solo uno
che viene da Rignano sull’Arno si può fidare di un banchiere che a Wall Street “il
cacciatore di balene”.
2. MPS NELLE MANI DEI FACILITATORI DI PALAZZO CHIGI
Mario Giordano per “La Verità”
PROFUMO E VIOLA
Attenti, arriva il Facilitatore Attivo. Da oggi, a turbare le nostre notti già inquiete,
abbiamo un nuovo spauracchio: dopo l' Uomo Nero, il Babau, l' Orco Cattivo e la Strega
Malefica, ecco il Facilitatore Attivo.
La nuova mitologica figura è stata spiegata ieri mattina sul Corriere della Sera dal
ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan, il quale ha dato la sua versione dei fattacci
di Mps: Jp Morgan tesse trame con Palazzo Chigi?
Il governo tromba l' amministratore delegato di una banca privata?
Il presidente si dimette per protesta?
Marco Carrai, l' amico affittacamere del premier, come rivela Ferruccio de Bortoli, si
intromette via sms, non si capisce a che titolo?
PADOAN RENZI
Non temete, assicura il ministro Padoan. Poi parla di «linea prudente», «sostegno
vigile», «comportamento coerente».
E conclude con il colpo di classe finale: «Tra Stato interventista e Stato attendista, il
governo ha scelto il ruolo del facilitatore attivo».
Proprio attivo, capite? Non passivo. Attivo.
E bisogna esserne orgogliosi: di questi tempi, è l' unico attivo che si vede dalle parti
delle nostre banche...
Ora voi capite che Padoan è un genio.
ALESSANDRO PROFUMO
FABRIZIO VIOLA
Per carità: come ministro dell' Economia forse non sarà un granché, i suoi conti
vengono sbertucciati dall' Ufficio di bilancio del Parlamento e da Bankitalia, in Europa lo
guardano con un po' di sospetto, la Corte dei Conti lo becca in fallo, i pensionati lo
osservano con lo stesso spirito con cui i capretti guardano la Santa Pasqua, pronti al
sacrificio, insomma.
Ma come inventore di supercazzole fa concorrenza al lider maximo dei cazzari, al secolo
Mattei Renzi.
Anzi: se ci fosse il Premio Pulitzer per l' Eufemismo, l' Oscar alla Circonlocuzione, il
Nobel della Perifrasi, beh, avrebbe già vinto per distacco. «Facilitatore Attivo», infatti, è
un' invenzione meravigliosa.
MPS RENZI PADOAN
Vi rendete conto? Un ministro, su incarico del premier, licenzia l' amministratore
delegato di una banca quotata in Borsa, il successore viene scelto su indicazione di una
società d' affari straniera (Jp Morgan, appunto), la notizia dell' avvicendamento viene
rilanciata via sms da un amico del premier (casualmente colui che gli aveva «prestato»
la casa a Firenze), e tutto questo viene definito una «Facilitazione Attiva»?
E se non volevano facilitare attivamente che facevano?
Li squartavano in Piazza del Campo e poi facevano dare comunicazione di morte alla
colf di casa Renzi?
Però tenetela a mente questa espressione «Facilitatore Attivo».
Potrebbe essere usata anche in altre circostanza.
Nel traffico, per esempio: «Scusi, lei mi ha tamponato?», «No, sto facendo il
Facilitatore Attivo del carrozziere».
O in coda alle Poste: «Scusi, lei mi ha spinto?», «No, sto facendo il Facilitatore Attivo
della sua avanzata verso lo sportello».
GIULIO TREMONTI VITTORIO GRILLI
M' immagino anche l' interrogatorio di un killer fermato dai carabinieri: «Scusi, lei ha
ucciso questo pover' uomo?». «No, maresciallo, che dice? Io sono stato solo il
Facilitatore Attivo del suo arrivo in paradiso».
«Scusi, lei ha massacrato quella gentile vecchietta?». «No, appuntato, che dice? Io
sono stato solo il Facilitatore Attivo della sua pace eterna».
Anche i prossimi furti avranno già la spiegazione à la carte, copyright Padoan: «Scusi,
lei ha rubato tutti i risparmi di quell' anziano pensionato?».
LISA E VITTORIO GRILLI
«No, brigadiere, che dice? Io sono stato solo il Facilitatore Attivo della loro libera
circolazione per il Paese».
In fondo, lo vedete, furto per furto, restiamo sempre nei pressi delle questioni
bancarie...
Intanto si sa che alla fine è sempre una questione di parole. Così ci fregano, infatti: con
l' Eufemismo di Regime, con la Vaselina linguistica che il Potere sparge a piene mani
per fingere di essere dolce e, nel frattempo, fotterti. Aumentano le tasse?
CARRAI AGNESE RENZI
Parlano di «armonizzazione fiscale». Ti riempiono le città di clandestini? È «l'
accoglienza dei richiedenti asilo». Ti stangano sulle bollette dell' acqua e del gas? Lo
definiscono «adeguamento tariffario».
Ti impongono regole folli e criminali? La chiamano «uniformità con i vincoli europei».
E se poi, dopo tutto ciò, ti licenziano senza averne il minimo diritto, magari con un sms
dell' amico di Renzi, ebbene, non è una porcata mai vista, macché, è che stanno
facendo i «Facilitatori Attivi».
Al solo sentire la parola, mi viene da tremare. Per esempio adesso ho sentito bussare
alla porta: non vorrei proprio fosse il Facilitatore Attivo.
Nel caso, vi ho voluto molto bene.
IlFattoQuotidiano.it / Economia & Lobby / Lobby
Monte dei Paschi, de Bortoli: “Serve
trasparenza sull’accordo tra il governo
Renzi e Jp Morgan. Vicenda oscura”
L'ex direttore, in un editoriale sul Corsera, ripercorre la messa a
punto del complesso piano di salvataggio di Rocca Salimbeni:
l'incontro tra il premier e il numero uno della banca d'affari a
Palazzo Chigi, la cacciata di Viola sostituito con Morelli, i potenziali
guadagni dell'istituzione Usa con cui però "per ora non risulta
firmato alcun contratto". E il ruolo dell'ex ministro dell'Economia e
direttore generale del Tesoro Grilli
di F. Q. | 3 ottobre 2016
“La memoria del Paese è corta. Quella di risparmiatori,azionisti e lavoratori delle tante
banche coinvolte un po’ meno. Rinfrescarla fa bene a tutti”.
Così Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, chiude un duro editoriale
sul piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena messo a punto con il contributo
cruciale del Tesoro, che di Rocca Salimbeni è il primo azionista.
Nel fondo, pubblicato lunedì in prima pagina sul quotidiano di via Solferino, de Bortoli
auspica “un po’ più di trasparenza nei rapporti” della banca d’affari statunitense Jp
Morgan “con il governo e nella ristrutturazione del capitale Mps, specie tenendo conto che
la banca americana sarà impegnata anche nell’aumento di Unicredit”.
Perché, spiega, il “senso di responsabilità nazionale non ci impedisce, anzi ci impone, di
avanzare qualche scomoda questione“.
Un passo indietro: l’ex direttore del Corsera, che di recente ha ribadito di sentire “odore
di massoneria” nelle vicende di Banca Etruria e della stessa Mps, ricorda che il 7 settembre
il ministro Padoan ha “chiamato il presidente Massimo Tononi per dirgli
dilicenziare l’amministratore delegato Fabrizio Viola“ e contestualmente indicargli come
sostituto Marco Morelli.
Con gli organi societari che restano a guardare, “ridotti a soprammobili“.
Una “forzatura figlia di un accordo tra il governo e la banca americana”, accordo stretto dallo
stesso Renzi durante un incontro a pranzo a Palazzo Chigi con “il numero uno Jamie
Dimon su sollecitazione di Claudio Costamagna, presente l’ex ministroVittorio Grilli, oggi
in Jp Morgan”, nella veste di presidente delle attività di Corporate & investment banking per
Europa, Medio Oriente e Africa.
L’intesa prevede che Jp Morgan conceda al Monte un finanziamento ponte da 6
miliardi finalizzato alla successiva cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (9 miliardi
netti, 28 lordi).
Ma “qui la vicenda si complica e si fa oscura“, scrive de Bortoli. Infatti “al momento non
risulterebbe firmato alcun contratto tra Mps e Jp Morgan per il prestito e la
cartolarizzazione”.
C’è “solo un pre underwriting agreement, e solo per l’aumento di capitale: poco più di una
stretta di mano”. Questo a fronte di un’operazione che “comporterebbe per Jp Morgan una
commissione del 4,75 per cento” sull’aumento più un “margine di guadagno
potenziale elevatissimo” sui non performing loans, i crediti deteriorati appunto, visto che “se
qualcosa dovesse andare storto prenderebbe tutti i 28 miliardi a un prezzo effettivo di 18
centesimi contro i 33 riconosciuti alla banca, di cui 27 pagati subito”.
Mentre “Atlante, cui partecipano 69 istituzioni italiane compresa la Cassa depositi e
prestiti con i soldi del nostro risparmio postale, perderebbe tutto”.
Ciliegina sulla torta, “Jp Morgan per fare una valutazione delle sofferenze ai fini del prestito, ha
incaricato Italfondiario del gruppo americano Fortress mettendo in discussione la scelta
fatta da Atlante che si è affidato a Fonspa.
Qui si pone anche un duplice rischio. Il primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei
crediti in sofferenza inferiore a quella garantita ad Atlante, a tutto vantaggio delle
banche creditrici, soprattutto Jp Morgan.
Il secondo che si formi una posizione dominante visto che Italfondiario (…) è anche il
principale operatore nella gestione e nella riscossione.
Tutto ciò sarebbe in contrasto con il memorandum of understanding siglato da Mps
con Quaestio, ovvero Atlante, e reso pubblico, che prevede «concorrenza e trasparenza»
nella gestione di un mercato delle sofferenze che avrà dimensioni colossali”.
“Può darsi”, chiosa de Bortoli, “che la proposta di Jp Morgan, con Mediobanca in un ruolo
minore, sia l’unica percorribile. Ma visto l’attivismo di Renzi e Padoan, se
dovesse fallire coinvolgerebbe l’intero governo, complicando la soluzione B (capitale pubblico)
che pure si sta studiando”.
Infine, occorre chiarire se “nello sbrogliare la matassa di Siena non avrà alcun ruolo chi
confezionò, in Jp Morgan, ai tempi di Mussari e Vigni, il famoso, o meglio famigerato,
strumento finanziario Fresh per l’acquisto da parte di Mps di Antonveneta.
(…) Operazione che ottenne l’avallo dello stesso Grilli, allora direttore generale del Tesoro con
supervisione delle Fondazioni”.
A stretto giro Padoan ha replicato sostenendo che sul salvataggio di Mps “non c’è nessun
ruolo intromissivo da parte del governo” e che il tesoro è il primo azionista di Mps, ma
utilizza la sua posizione, in modo molto soft, di vigile attenzione a ciò che la banca sta facendo”.
Il ministro, non entrando nel merito delle puntuali osservazioni di de Bortoli ha quindi invitato
a non confondere “il concetto di tempo con quello di fretta. C’è bisogno di un tempo giusto per
mettere a posto un sistema europeo che ha molte fragilità”, ha detto sostenendo che “c’è da parte
del management della banca, in collaborazione operatori finanziari molto qualificati, la messa a
punto di un piano che finirà con la ricapitalizzazione nell’ordine di 5 miliardi”. In quel
frangente, sostiene ancora Padoan, “non ci saranno offerte alternative, ma un’offerta al mercato
che sono convinto avrà successo”.
Monte Paschi, Jp Morgan è una tassa da
1,7 miliardi
Il cda si è rifiutato di valutare il piano Passera e ha consegnato la banca agli americani voluti dal premier
che puntano alle commissioni (senza garanzia di risultato)
di F. Q. | 3 ottobre 2016
Arriva. A questo punto della triste storia del Monte dei Paschi ecco la domanda delle cento pistole: perché
il consiglio di amministrazione della banca senese si limita al forno di Jp Morgan e non lo mette in
concorrenza con l‟altro forno proposto da Corrado Passera? La questione è curiosa, Jp Morgan passa per
la salvatrice della patria ormai dal 6 luglio, e cioè da quando il suo capo Jamie Dimon disse a Matteo
Renzi che mai avrebbe lasciato fallire Mps per l‟inezia di 5 miliardi.
Se abbandonato, Mps avrebbe trascinato nel gorgo il sistema bancario e dunque l‟Italia. Giammai.
Il premier gli prestò fede, ma dopo tre mesi la grande banca americana ha ancora firmato nessun accordo
vincolante. E non ha firmato nemmeno il partner italiano dell‟operazione, e cioè Mediobanca.
Tanto incaponirsi su Jp Morgan, rappresentata in Italia dall‟ex ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, induce
a chiedersi se il consiglio di Mps possa o non possa ascoltare l‟ex ministro dello Sviluppo economico che,
nella sua vita precedente, vanta i successi del Banco Posta e di Intesa Sanpaolo?
Di solito i consigli esplorano le alternative. Se non lo fanno, lo devono spiegare. In questo caso, sorge il
dubbio che a Dimon sia stata concessa l‟esclusiva.
Se fosse, il consiglio dovrebbe chiarire quando, come e a quali condizioni. Oppure l‟esclusiva è stata
concessa de facto dall‟azionista di riferimento di Mps, e cioè dal Tesoro?
O forse ancora da palazzo Chigi?
Al mercato Mps ha presentato un piano targato Jp Morgan che non è stato realizzato. E ora cambia il
vertice, su richiesta della stessa Jp Morgan (non di Mediobanca), e cambia pure il “suo” piano, ma
tenendone ben fermi i costi sensazionali.
Il 29 luglio il consiglio aveva annunciato la svalutazione dei crediti deteriorati e la cessione di tutti quelli
in sofferenza. La conseguente perdita di 5 miliardi sarebbe stata ripiantata con un equivalente aumento di
capitale da offrire in opzione ai soci. Il soggetto deputato all‟acquisto delle sofferenze, finora misterioso,
dovrebbe pagare subito Mps. Poiché si finanzia emettendo obbligazioni, quel soggetto avrà bisogno di un
prestito ponte che verrà rimborsato con l‟incasso delle obbligazioni.
Ma lo schema non decolla. La scusa ufficiale è il referendum.
Palazzo Chigi lo ha presentato come un‟ordalia tra la luce e le tenebre. Gli investitori resteranno alla
finestra fino al 4 dicembre. L‟argomento non depone a favore della saggezza del governo, che non
dovrebbe mai presentate il proprio Paese sull‟orlo di un precipizio.
Se vincesse il No, dal 5 dicembre sarebbe Renzi per primo a gettare acqua sul fuoco e a invocare il ritorno
al business as usual.
La verità è che, alla faccia della grandeur di Jp Morgan, 5 miliardi non sono noccioline.
Il consorzio bancario internazionale di garanzia non si forma. E il ritardo rischia di infilare Mps
nell‟ingorgo delle ricapitalizzazioni dei colossi Deutsche Bank, Unicredit e Caixa.
Parte così la ridda teleguidata delle voci in attesa che il 24 ottobre il nuovo amministratore delegato,
Marco Morelli, scopra le carte. Morelli era stato sponsorizzato dal “Giglio magico” per Unicredit, ma il
consiglio della multinazionale bancaria italiana gli preferì il francese Mustier.
Ora, a Siena, sembra giocare in squadra con Jp Morgan, per la quale un tempo aveva lavorato. Secondo le
voci prevalenti, la ricapitalizzazione resterebbe pari a 5 miliardi, ma verrebbe effettuata in parte con un
aumento di capitale e in parte con la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni.
Nella nuova versione dell‟aumento sparirebbe il diritto di opzione. Perché? Per guadagnare tempo, si
dice. E poi, visto che Mps vale meno di 600 milioni, che diritto ci sarà mai? A certe condizioni, i diritti
possono valere qualcosa, e in ogni caso ci si chiede se la totale rinuncia ai diritti non implichi un danno
erariale per il Tesoro.
E non ci si venga a dire che il Tesoro ha solo il 4 per cento perché con questa partecipazione ha il potere
di licenziare l‟ex ad Fabrizio Viola e assumere Morelli.
Quanto alla conversione delle obbligazioni subordinate, in prima battuta sarebbe volontaria, poi si vedrà.
Certo è che i fondi avvoltoio le hanno appena comprate a 70 e guadagnerebbero bene anche con la
conversione a 90, mentre i risparmiatori cassettisti, che le avevano prese a 100, materializzerebbero una
perdita che potrebbe essere recuperata solo dal rimbalzo delle quotazioni azionarie.
Due parole sui costi by Jp Morgan. Le commissioni per l‟aumento di capitale da 5 miliardi peserebbero
per 230 milioni. La progettazione e la costruzione del veicolo che compra le sofferenze ne prenderebbe
altri 45. Il prestito ponte di 5 miliardi, studiato per 18 mesi ma che, essendo ottimisti, verrà usato per soli
6 mesi, assorbirebbe altri 150 milioni tra interessi e commissione upfront. Le banche finanziatrici avranno
come garanzia l‟intero ammontare delle sofferenze, e cioè 9,2 miliardi, perciò al momento svalutabili fino
al 18% del valore facciale. Attenzione dunque alle clausole, perché alle banche finanziatrici converrebbe
l‟insolvenza del veicolo. Poi vengono gli interessi sulle obbligazioni senior (60 milioni l‟anno), quelli
sulle mezzanine riservate al fondo Atlante (100 milioni l‟anno), le commissioni per il recupero dei crediti
(altri 100 milioni l‟anno).
Se consideriamo che il lungo periodo di recupero potrà essere equivalente a 5 annualità, ecco che il giro
di soldi tra commissioni e interessi si aggira sugli 1,7 miliardi.
Cifre che oggi possono essere solo suggestive, ovvio.
Ma insomma, se quest‟operazione nel primo anno costa più di quanto vale oggi in Borsa la terza banca
italiana, qualcosa da capire ancora resta. O no?
Veniamo così alle voci sulla proposta alternativa. Passera coprirebbe il buco di 5 miliardi con un aumento
di capitale di 2,5 miliardi riservato a 4-5 fondi di chiara fama, dai quali avrebbe ottenuto via libera. Per
questo non ci sarebbe più bisogno dell‟avallo di Ubs.
A questo intervento dei nuovi soci di riferimento si aggiungerebbe un altro miliardo di aumento riservato
in opzione agli attuali azionisti. Il resto verrebbe dalla rinuncia ai dividendi per due o tre anni. Passera, si
sostiene, non toccherebbe le obbligazioni subordinate. I risparmiatori continuerebbero a percepire gli
interessi e sarebbero pienamente rimborsati alla scadenza. Ma soprattutto Passera non cederebbe le
sofferenze a prezzo vile a un veicolo messo su da Jp Morgan ma a un veicolo formato con personale Mps,
le cui azioni sarebbero date ai soci Mps. La banca deconsoliderebbe le sofferenze, ma l‟upside resterebbe
in famiglia.
Ora, queste voci provenienti dall‟uno e dall‟altro forno sono vere o false? Di certo influenzano il mercato,
e dunque, mentre mi chiedo che cosa vigili la Vigilanza Unica, mi aspetterei che la Consob facesse
chiarezza. Ma soprattutto che il governo si assumesse le sue responsabilità. Magari in Parlamento.
Chiarendo che, se tutto andasse male, si potrebbe sempre nazionalizzare in via temporanea utilizzando la
clausola esimente dal bail in. Ma di questo parleremo un‟altra volta.
di Massimo Mucchetti, giornalista, senatore del Pd, presidente commissione
Industria
MONTE PASCHI
Un‟opaca vicenda bancaria
L‟americana Jp Morgan è istituzione seria ma un po‟ più di trasparenza nei rapporti con il
governo e nella ristrutturazione del capitale Mps è necessaria, anche perché è impegnata pure
nell‟aumento di Unicredit
di Ferruccio de Bortoli
Sono giornate decisive per il futuro del sistema bancario italiano. Discussioni private molto accese, ed è
un eufemismo. Dibattito pubblico pressoché assente. Dobbiamo tutti augurarci che il Monte Paschi
risolva finalmente i suoi problemi di ricapitalizzazione e di sistemazione dei crediti in sofferenza, che le
quattro good bank (Marche, Ferrara, Chieti, Etruria) trovino un compratore, che il fondo Atlante completi
il salvataggio degli istituti veneti e non solo.
Naturale che il governo sia impegnato al massimo nel promuovere una soluzione privata. Un intervento
pubblico, per la normativa europea, penalizzerebbe azionisti e obbligazionisti subordinati e non.
Il senso di responsabilità nazionale non ci impedisce, anzi ci impone, di avanzare qualche scomoda
questione.
Le modalità con cui è stato cambiato il vertice a Siena avrebbero scatenato, in altri tempi, forti polemiche.
Cominciamo da una telefonata. È il 7 settembre. Il ministro dell‟Economia Padoan, su incarico di Renzi,
chiama il presidente Massimo Tononi, per dirgli «da ambasciatore» di licenziare l‟amministratore
delegato Fabrizio Viola.
Il Tesoro ha solo il 4 per cento della banca quotata in Borsa. Tononi non gradisce la procedura irrituale e
qualche giorno dopo si dimetterà. Fa presenti le difficoltà di trovare - nelle condizioni particolari in cui
versa la banca che pure oggi guadagna - un sostituto. Il ministro gli dice che il nome c‟è già.
E‟ Marco Morelli, professionista molto apprezzato ma con un passato nell‟istituto senese
Gli organi societari, in questa circostanza, sono ridotti a soprammobili. Gli altri azionisti non contano
nulla. L‟incarico al cacciatore di teste, una finta.
La forzatura è figlia di un accordo tra il governo e la banca americana Jp Morgan del quale non
sappiamo nulla. Renzi incontra a pranzo a palazzo Chigi il numero uno Jamie Dimon su sollecitazione di
Claudio Costamagna, presente l‟ex ministro Vittorio Grilli, oggi in Jp Morgan.
Una delle più grandi banche d‟investimento mondiali promette di impegnarsi nell‟aumento di capitale di
Siena, nella concessione di un finanziamento ponte (bridge financing) finalizzato alla successiva
cartolarizzazione dei crediti in sofferenza(non performing loans).
Agli americani Viola non piace, preferiscono Morelli che ha lavorato con loro.
La Bce non gradisce la sostituzione.
L‟amministratore delegato uscente, peraltro, aveva appreso della sua sostituzione da un sms scrittogli da
Marco Carrai, non si sa a quale titolo interessato alla vicenda.
Può darsi che la proposta di Jp Morgan, con Mediobanca in un ruolo minore, sia l‟unica percorribile.
Ma visto l‟attivismo di Renzi e Padoan, se dovesse fallire coinvolgerebbe l‟intero governo, complicando
la soluzione B (capitale pubblico) che pure si sta studiando.
Quali sono gli accordi allora?
E qui la vicenda si complica.
E si fa oscura.
Al momento non risulterebbe firmato alcun contratto tra Mps e Jp Morgan per il prestito e la
cartolarizzazione. Particolare curioso. Solo un pre underwriting agreement, e solo per l‟aumento di
capitale: poco più di una stretta di mano.
Il successo dell‟aumento di capitale (cinque miliardi) comporterebbe per Jp Morgan una commissione del
4,75 per cento che sia Tononi sia Viola hanno giudicato elevata.
Ma sono i crediti in sofferenza posti a garanzia, e la loro messa sul mercato attraverso cartolarizzazioni a
sollevare non poche perplessità.
In sintesi, l‟operazione è questa.
Mps cede 9 miliardi di sofferenze nette su 28 lorde. Svalutandole in bilancio, prima della cessione, si crea
un ammanco di capitale che va coperto. A fronte della cessione di 9 miliardi di sofferenze, Mps dovrebbe
ottenere 7,6 miliardi, di cui 1,6 da Atlante e 5 da Jp Morgan come prestito ponte per 18 mesi.
Il prestito guidato da Jp Morgan però sarebbe concesso con la garanzia di tutti i non performing loans.
Se qualcosa dovesse andare storto, la banca d‟affari si prenderebbe tutti i 28 miliardi a un prezzo
effettivo di 18 centesimi contro i 33 riconosciuti alla banca, di cui 27 pagati subito.
Il margine di guadagno potenziale sarebbe elevatissimo.
E Atlante, cui partecipano 69 istituzioni italiane, compresa la Cassa depositi e prestiti con i soldi del
nostro risparmio postale, perderebbe tutto.
Non solo.
Jp Morgan per fare una valutazione delle sofferenze ai fini del prestito, ha incaricato Italfondiario del
gruppo americano Fortress mettendo in discussione la scelta fatta da Atlante che si è affidato a Fonspa
Qui si pone anche un duplice rischio.
Il primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei crediti in sofferenza inferiore a quella garantita ad
Atlante, a tutto vantaggio delle banche creditrici, soprattutto Jp Morgan.
Il secondo che si formi una posizione dominante visto che Italfondiario non si limiterebbe, come Fonspa,
alla valutazione dei crediti, ma è anche il principale operatore nella gestione e nella riscossione.
Tutto ciò sarebbe in contrasto con il memorandum of understanding siglato da Mps con Quaestio, ovvero
Atlante, e reso pubblico, che prevede «concorrenza e trasparenza» nella gestione di un mercato delle
sofferenze che avrà dimensioni colossali.
Con l’indebolirsi delle grandi banche d‟investimento europee (Deutsche Bank è il caso più clamoroso),
le istituzioni americane hanno gioco facile. Ne ha parlato ieri su queste colonne Lucrezia Reichlin.
Muovono capitali ingenti, arruolano ex capi di governo e ministri. Jp Morgan è istituzione seria.
Ma un po‟ più di trasparenza nei rapporti con il governo e nella ristrutturazione del capitale Mps appare
opportuna, specie tenendo conto che la banca americana sarà impegnata anche nell‟aumento di Unicredit.
Tra i tanti dubbi che questo caso solleva, ci rimane da capire quali consigli darà Jp Morgan alla sua
clientela nello scegliere tra i titoli dei due istituti, Mps e Unicredit.
E se poi, nello sbrogliare la matassa di Siena, non avrà alcun ruolo chi confezionò, in Jp Morgan, ai tempi
di Mussari e Vigni, il famoso, o meglio famigerato, strumento finanziario «Fresh» per l‟acquisto da parte
di Mps di Antonveneta.
Uno strumento complicatissimo che permise alla Fondazione Monte Paschi di mantenere il controllo a
Siena, però con soldi a debito.
Operazione che ottenne l‟avallo dello stesso Grilli, allora direttore generale del Tesoro con supervisione
delle Fondazioni. I guai cominciarono lì.
La memoria del Paese è corta. Quella di risparmiatori, azionisti e lavoratori delle tante banche coinvolte
un po‟ meno. Rinfrescarla fa bene a tutti.
2 ottobre 2016 (modifica il 3 ottobre 2016 | 08:55)
IlFattoQuotidiano.it / Economia & Lobby / Lobby
Monte dei Paschi, le prove di bail-in in
corso a Siena e gli ultimi scampoli di
fiducia nel sistema bancario
L'analisi di Paolo Fior
A tanto si è arrivati dopo un’estate di pensamenti e ripensamenti sul
piano di salvataggio e vani tentativi di trovare una copertura sul
mercato all’aumento di capitale da 5 miliardi dell’istituto senese. E
non è neppure detto che la mossa sia sufficiente
27 settembre 2016
Un bail-in mascherato che rischia di tramutarsi in bail-in vero e proprio se i risparmiatori si
rifiuteranno di convertire le obbligazioni subordinate in azioni MontePaschi.
A tanto si è arrivati dopo un’estate di pensamenti e ripensamenti sul piano di salvataggio e
vani tentativi di trovare una copertura sul mercato all’aumento di capitale da 5 miliardi
dell’istituto senese.
In prima battuta gli advisor della banca (Jp Morgan e Mediobanca) e il Tesoro (primo
azionista con il 4%) avevano pensato di proporre la conversione “volontaria” dei bond in
azioni ai soli investitori istituzionali in modo da ridurre l’importo dell’aumento di capitale da 5 a
3 miliardi.
Poi si è capito che solo in pochi avrebbero aderito e che la fatica di racimolare 3 miliardi sul
mercato sarebbe stata vana, mancando comunque all’appello i restanti 2 miliardi.
Dunque, come ha comunicato il consiglio d’amministrazione dell’istituto, l’offerta di
conversione verrà allargata a tutti i detentori di bond, cioè anche ai risparmiatori – in massima
parte correntisti del MontePaschi – che hanno in portafoglio titoli subordinati per oltre 2
miliardi di euro, vale a dire quasi il 50% delle emissioni di questo tipo effettuate dalla banca
(4,5 miliardi in tutto).
I particolari dell’operazione sono ancora formalmente allo studio soprattutto per le
implicazioni legali, ma l’idea sottostante è semplice: “o ci state o perdete tutto”.
Infatti, se l’aumento di capitale non andrà in porto sarà pressoché inevitabile il ricorso al bailin con il conseguente azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate, per poi
eventualmente toccare le obbligazioni senior e i conti correnti per la parte superiore ai
100mila euro.
Insomma, quella che arriverà a dicembre – ammesso che nel frattempo la situazione non
peggiori – sarà la classica offerta che “non si può rifiutare”.
Ma serviva davvero perdere altre settimane per cambiare amministratore delegato se la sorte di
Siena era già segnata?
Marco Morelli, il nuovo ad, era stato venduto da Jp Morgan come il segnale di
discontinuità che avrebbe indotto gli investitori a mettere capitali freschi nell’istituto, in
realtà sarà colui che punterà la pistola alla tempia di centinaia di migliaia di famiglie che sono
state indotte a sottoscrivere i bond subordinati dalla loro banca nel lontano 2008, quando Siena
aveva bisogno di soldi per condurre a termine la sciagurata acquisizione di Antonveneta.
E non è detto che la conversione “volontaria” dei bond sia sufficiente: oltre ai ritardi (il piano
industriale non sarà pronto prima del 24 ottobre) e alle difficoltà oggettive del piano di
salvataggio (c’è una maxi operazione di cartolarizzazione delle sofferenze che è ancora
tutta da fare), nuove nuvole di tempesta si addensano sul sistema bancario e portano il nome
di Deutsche Bank.
L’acuirsi della crisi del colosso tedesco rischia di pesare sul settore bancario europeo ed italiano
ben più dell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre e potrebbe avere effetti
potenzialmente devastanti in un momento critico, in cui diverse banche devono ricapitalizzare.
Il governo, che nella vicenda di Siena porta gravi responsabilità, tace e crede forse di riuscire a
vendere il bail-in mascherato di MontePaschi come un’operazione positiva o almeno come il
male minore.
L’ennesima sottovalutazione di una crisi rischia di far definitivamente saltare il tappo e di
cancellare in un istante la residua fiducia nel sistema con conseguenze gravissime per il Paese.
» ECONOMIA
sabato 17/09/2016
Mps, le amnesie del nuovo numero uno
Morelli sul favore fatto a Jp Morgan nel 2008
Interrogato dai pm nel 2012, il manager disse di non ricordare la lettera che proteggeva la banca
americana dai rischi legati al mancato o ritardato rimborso del prestito obbligazionario emesso per
finanziare l'acquisizione di Antonveneta. Ma davanti al documento ammise: "La firma è mia"
di Marco Lillo | 17 settembre 2016
Il consiglio di Monte dei Paschi di Siena ha nominato mercoledì Marco Morelli amministratore
delegato della banca.
L‟articolo del Fatto con la ricostruzione del ruolo di Morelli nel 2008 nel prestito di 60
milioni da Mps, di cui era vicedirettore generale, al gruppo Btp di Riccardo Fusi, un amico di
Denis Verdini, non ha influenzato le scelte ormai prese da Matteo Renzi ePier Carlo Padoan.
Nessuno ha chiesto spiegazioni a Morelli sul perché si fosse speso per quel prestito in tempi
lontani, quando Giuseppe Mussari era presidente della banca e Denis Verdini era coordinatore
del Pdl. Una perdita di una cinquantina di milioni di euro in una banca, che oggi ha lo Stato
come primo azionista, meritava forse qualche attenzione.
Anche perché i carabinieri nell‟indagine su questa brutta storia (Morelli non è stato mai indagato)
hanno sequestrato a Fusi un appunto dal quale emerge la ripartizione progettata dei 150 milioni
prestati da quattro banche tra cui Mps, se ne caricava da sola 60 milioni. L‟appunto si conclude
con la scritta “Fossombroni 4 milioni e 200 mila euro” e “Denis 800 mila euro”. Fossombroni è
il cognome da nubiledella moglie di Verdini.
Nella loro informativa, i carabinieri annotavano che, per prestazioni diverse, sul conto di Verdini,
due mesi dopo, il finanziamento arrivava a circa 700 mila euro da “persone fisiche e giuridiche,
comunque interessate alla vicenda del finanziamento dei 150 milioni”. Coincidenze, quisquilie
per Renzi e Padoan. Come quelle telefonate di Morelli pubblicate dal Fatto nelle quali a perorare
quel prestito con il neo ad Mps, su mandato di Fusi, è Andrea Pisaneschi, professore e avvocato
senese, nominato consigliere Mps in quota centrodestra nel 2003 e poi presidente
di Antonveneta nel 2008. Pisaneschi è sotto processo per false fatture a Firenze (come Verdini
per la sua parte) in relazione a 400 mila euro presi insieme al fratello Niccolò Pisaneschi “per
l‟attività di lobbying prestata in favore del gruppo Fusi-Bartolomei” su Mps per il finanziamento
da 150 milioni. Niccolò insieme allo studio Olivetti Rason, era stato scelto come consulente
legale dal gruppo Fusi-Bartolomei nell‟operazione. Per i tre legali era prevista una parcella a
percentuale dell‟uno per cento dei 150 milioni: 1,5 milioni. Cose vecchie. Oggi Andrea
Pisaneschi, è nel Comitato per il Sì. Il coimputato di Verdini passa da promotore del prestito a
Fusi a promotore delle riforme di Renzi con agilità.
Nelle carte di un altro procedimento penale, quello sull‟operazione Antonveneta e Mps, c‟è
un‟altra vicenda che merita di essere raccontata. Il 26 luglio 2012, Marco Morelli è stato sentito
come persona informata dei fatti dal pm di Siena Antonino Nastasi. Il magistrato indagava sulle
modalità anomale di finanziamento dell‟acquisto di Antonveneta e quel giorno chiede a Morelli
di alcune lettere di indemnity che accordavano alla banca Jp Morgan la copertura dai rischi
derivanti dai rovesci finanziari (che poi si verificheranno) di Mps ai sottoscrittori di un prestito
denominato Fresh.
La domanda chiave del pm Nastasi sulle indemnity al teste Morelli arriva subito. La risposta è
fumosa: “Non ho seguito la vicenda e l‟interlocuzione con Banca d‟Italia. (…) Non ricordo se
furono rilasciate indemnity a Jp Morgan per l‟operazione Fresh. A questo punto – prosegue il
verbale – l‟Ufficio mostra al dichiarante indemnity datata 15 aprile 2008 su carta intestata Banca
Mps con destinatario JP Morgan”. Morelli replica: “Adesso che me lo ponete in visione ricordo
questo documento. La firma è mia. L‟indemnity copre JP Morgan dalle conseguenze negative che
avrebbe sopportato dal mancato o ritardato pagamento del corrispettivo dei titoli collocati”.
Morelli qualcosa ricorda, però: “Posso dire con certezza che questo atto, prima della mia
sottoscrizione, è stato valutato dall‟ufficio legale della banca e da chi seguiva gli aspetti tecnici
dell‟operazione, altrimenti non lo avrei firmato (…) ho informato il direttore generale”. Infine
ammette: “Non sono in grado di dire se il suddetto documento è stato trasmesso aBanca
d’Italia”. Il manager si farà risentire dal pm per dire che quell‟indemnity durava solo 24 ore. Il
pm Nastasi, quando lo sente la prima volta, chiede a Morelli però anche di un‟indemnity più
„delicata‟, rilasciata il 10 marzo 2009 a Bank of New York. Morelli non ricorda e il pm gli
esibisce come al solito l‟email del 12 marzo (ricevuta da Morelli) con allegata la lettera di
indemnity.
Allora lui aggiunge: “Ricordo che alcuni giorni prima dell‟assemblea parlai con Molinari
(manager di Mps) circa i problemi sollevati da alcuni investitori e da Jabre (fondo che
pretendeva l‟indemnity, ndr) e valutammo cosa fare. Tra le possibili soluzioni vi era anche quella
del rilascio di una indemnity a Bank of New York. Tale soluzione l‟avevo rimessa alla
valutazione di Molinari”. Anche stavolta conclude: “Non so se detto atto è stato trasmesso a
Banca d‟Italia”. Nel bilancio del 2013, proprio per rimettere a posto i conti mal rappresentati a
causa di quell‟indemnity, l‟amministratore di Mps, Fabrizio Viola, ha dovuto fare
una rettifica da 76 milioni di euro. Ora lo hanno indotto alle dimissioni. Invece Morelli, che per
quella vicenda sarà sanzionato dalla Banca d‟Italia e indagato a Siena ma prosciolto a Milano,
dopo il trasferimento dell‟inchiesta, è in sella.
Per la Bce è lui l‟uomo giusto per guidare Mps. D‟altro canto, proprio Jp Morgan è il partner
individuato per aiutare la banca senese nella missione che oggi pare quasi impossibile, di trovare
risorse per un aumento di capitale da 5 miliardi. In cambio di una commissione da centinaia di
milioni. Gli investitori sono scettici, però il titolo Mps ieri è crollato ancora del 9,34 per cento a
0,2 euro per azione.
“Me l‟ha ordinato Renzi”: così
Padoan ha licenziato Viola.
giovedì 15/09/2016
POSTED BY PPICCINI52
Pier Carlo Padoan
Mps, “Me l’ha ordinato Renzi”: così
Padoan ha licenziato Viola
di Giorgio Meletti
Per capire il ciclone che sta travolgendo il Monte dei Paschi di Siena bisogna ripartire da mercoledì 7
settembre. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan telefona al presidente di Mps Massimo Tononi e gli
spiega che Jp Morgan e Mediobanca, le due banche incaricate di curare l’aumento di capitale da 5 miliardi
necessario a salvare la banca senese, hanno fatto presente al governo italiano che il mercato non sembra
ben disposto e che un effetto positivo sulla predisposizione a investire 5 miliardi su una banca che vale in
Borsa meno di 700 milioni potrebbe averlo un cambio al vertice.
L’amministratore delegato Fabrizio Viola, spiega Padoan all’attonito presidente di Mps, ha già portato a
termine due aumenti di capitale da 8 miliardi complessivi che si sono rivelati insufficienti, e Jp Morgan ritiene
che meglio sarebbe mandare a chiederne altri 5 una faccia nuova.
Tononi prova a replicare chiedendo conto a Padoan del voltafaccia.
Infatti è accaduto che dopo il pranzo del 6 luglio a Palazzo Chigi – quando il numero uno mondiale di Jp
Morgan, Jamie Dimon, ha convinto Matteo Renzi a dargli carta bianca sulla pratica Mps – proprio Padoan ha
opposto alle pretese del premier una sorta di resistenza passiva, spalleggiando Tononi e Viola, con il
silenzioso consenso del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che hanno messo a punto il piano di
salvataggio presentato il 29 luglio su linee diverse da quelle immaginate da Jp Morgan.
Per esempio tenendo relativamente alto il valore dei crediti inesigibili, anche allo scopo, caro a Padoan e
Visco, di stabilire un precedente rassicurante per le altre banche italiane alle prese con le cosiddette
sofferenze.
RAPPORTI TESI
Il manager furente per il voltafaccia dell’ex alleato che si giustifica: direttive dall’alto
Ed è qui che Padoan ha troncato la discussione, chiamandosene fuori a modo suo: “Io adesso sto parlando a
nome del presidente del Consiglio”, ha scandito a Tononi sottintendendo che ogni ulteriore distinguo sarebbe
stata una pura perdita di tempo.
A questo punto Tononi ha obiettato quanto fosse assurdo cambiare l’amministratore delegato nel bel mezzo
dell’attuazione di un piano di salvataggio annunciato ai mercati 40 giorni prima.
Un segnale destabilizzante che avrebbe prevalso sul segnale di novità del cambio al vertice.
Padoan, per rassicurare Tononi, gli ha risposto di non preoccuparsi, che Viola sarebbe stato sostituito in
tempi rapidissimi perché al governo già risultava la disponibilità di un manager di grossa caratura: Marco
Morelli, ex vice direttore generale del Montepaschi durante l’era Mussari e prima numero uno di Jp Morgan
Italia.
Subito dopo Padoan ha fatto a Viola una telefonata dello stesso tenore.
Il giorno dopo l’amministratore delegato si è presentato dimissionario al cda.
Immediatamente è stata avviata la procedura per la selezione del successore: il cacciatore di teste Egon
Zehnder è stato incaricato di cercare un bravo amministratore delegato che si chiamasse Marco di nome e
Morelli di cognome, e chissà quanto è costata la prestazione agli azionisti di Mps.
La rottura tra Padoan e Tononi a questo punto era inevitabile.
Il presidente della banca si è trovato costretto ad andare a Francoforte per chiedere alla Banca centrale
europea un parere informale sul nome di Morelli, non deciso dagli amministratori della banca, ma imposto con
una telefonata dal governo.
Però ciò che Padoan non aveva previsto è che la notizia della sua telefonata a Tononi venisse
immediatamente divulgata dal Fatto.
Certe cose, nella politica e nella finanza, si fanno ma non si
dicono.
Invece la telefonata di Padoan, una volta conosciuta, ha reso pubbliche tre cose assai imbarazzanti.
La prima: Renzi, dopo essersi vantato di aver cacciato la politica dalle banche, su richiesta della Jp Morgan –
con cui ha da anni rapporti assai amichevoli – ordina a Padoan di far licenziare Viola.
La seconda: Padoan, che pure ha cercato per mesi di resistere alle pressioni di palazzo Chigi sul tema Mps,
non trova soluzione migliore che obbedire a Renzi.
La terza: Padoan, di fronte alle sensate obiezioni di Tononi, non trova soluzione migliore che chiamarsi fuori
dalla vicenda e ammonire il presidente di Mps che gli sta parlando come ambasciatore di decisioni non sue,
di fatto disconoscendole.
Nell’immenso casino messo in piedi dal governo e dalle banche d’affari attorno all’agonizzante Monte dei
Paschi si manifesta così il tema, sempre tenuto abilmente sottotraccia, dei rapporti critici tra Renzi e il suo
ministro chiave, sul quale pesa il peccato originale di non essere stato scelto dal premier ma imposto
dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
» IL FATTO ECONOMICO
mercoledì 14/09/2016
Mps, quando il nuovo Ad prestò 60
milioni a Fusi. L’amico di Verdini: “Non
ho difficoltà, lì c’è Morelli”
Ieri l'amministratore delegato designato ha incontrato la Vigilanza Bce prima di tornare a Siena: quando
era in banca il suo ruolo fu decisivo nel finanziamento all’azienda (in crisi) di Riccardo Fusi
di Marco Lillo | 14 settembre 2016
Marco Morelli è stato scelto da Padoan e Renzi per dare discontinuità al Monte dei Paschi.
Stamattina sarà nominato dal Cda, ieri si è presentato alla Bce a Francoforte con il
presidente Massimo Tononi. Dovrà gestire una banca con crediti deteriorati per 27,7 miliardi.
Ma quando era vicedirettore generale, nel 2008, ha partecipato a una partita emblematica del
credito allegro ai tempi di Giuseppe Mussari.
Prima di nominarlo, il Cda di Mps dovrebbe leggere le intercettazioni dell‟inchiesta sul mutuo da
150 milioni al gruppo Btp di Riccardo Fusi e poi porsi due domande: che fine hanno fatto i 60
milioni della quota di Mps?
Che ruolo ha avuto in quella vicenda il futuro amministratore?
Su quel finanziamento (60 milioni da Mps, 50 da Unipol, 20 da Cariprato e 10 a testa
da Credito Fiorentino e Banca MB) è in corso un processo a Firenze.
Il procuratore aggiunto Luca Turco contesta ai due maggiori esponenti delle società
beneficiarie, Riccardo Fusi (amico e in passato in affari con Denis Verdini) e Roberto
Bartolomei, di aver fornito notizie false alle banche.
Gli imprenditori sostenevano di volere usare i 150 milioni per sviluppare il gruppo che invece
“già versava in un grave stato di crisi”. Altro che sviluppo. I milioni sono stati usati per coprire
esposizioni pregresse.
Pochi mesi dopo, scrivono i pm, il gruppo “avviava un procedimento per la ristrutturazione del
debito verso il sistema bancario, circa 800 milioni di euro”. Marco Morelli era il manager sul
quale Fusi contava per spingere questo ardito finanziamento. Dalle intercettazioni del Ros dei
Carabinieri emergono i contatti con due uomini di Fusi che parlano con Morelli e lo incontrano:
l‟ad della Btp Vincenzo Di Nardo e Andrea Pisaneschi, professore ed ex consigliere di Mps e
allora presidente diAntonveneta nonché consulente di Fusi e Bartolomei nell‟operazione, oggi è
uno dei costituzionalisti favorevoli alla riforma di Renzi e promotore delComitato del Sì ma
allora era considerato vicino a Verdini, nominato nel cda di Mps in quota centrodestra.
Il 12 giugno 2008 Pisaneschi dice che c‟è bisogno di una spinta nel comitato crediti, ma esulta
già: “Non ho difficoltà perché se la pratica è ben istruita eccetera… lì c‟è… il Morelli c’è”.
Il 17 giugno Fusi dice al suo socio Bartolomei che “Pisaneschi ormai di banda c‟è” e aggiunge
che “poi il passaggio va fatto anche con Marino e con Morelli … perchè loro quando va in
Comitato (crediti) bisogna che ci siano”.
Il 27 giugno Pisaneschi informa Fusi: “Ho parlato con Pompei (funzionario Mps) mi pare che la
cosa vada bene”. Aggiunge: “Lo porterà in Comitato Crediti lunedì però io immediatamente ho
già parlato anche con Morelli, ovviamente non credo che ci siano problemi”.
Il 14 luglio arriva il comitato crediti ed è Morelli l’uomo chiave. Alle 20 e 54 l‟avvocato Pier
Ettore Olivetti Rason chiama Fusi: “Mi ha detto Pisaneschi che ora stava mandando un
messaggino a Marco Morelli chiedendo se avevano finito oppure no”.
L‟epilogo della vicenda è registrato sul telefono di Fusi: “Riccardo? Sono Andrea Pisaneschi…
scusami tanto l‟ora… ma mi hanno chiamato dieci minuti fa dunque mi sembra che è andato bene
però il Morelli che mi ha chiamato non si ricordava con esattezza la cifra .. dice… „te lo farò
sapere domattina … sono stremato … ho fatto 4 ore di comitato‟ …„si… ho capito‟ –dico –
„ma dimmi la cifra‟ e lui dice: „è passato per quello che doveva essere‟”.
Poi sorge un problema sul pegno delle azioni. E Pisaneschi rassicura Fusi: “richiamo Morelli
anche su questo”. Pochi minuti e arriva un sms a Fusi: “Il 24 vedo Morelli e sollecito
ulteriormente. Ti tengo aggiornato”.
Il 25 luglio Pisaneschi aggiorna Fusi: “Sono stato ieri a cena con Marco …. gliel‟ho ridetto…
così … ma lui era sereno”.
Un paio di telefonate di Morelli con Di Nardo sono state registrate dal Ros ma non ritenute
rilevanti tanto che Morelli non è stato indagato né sentito dai pm.
Il 26 febbraio Di Nardo organizza un incontro nella sede Mps con Fusi e Morelli per il
finanziamento. Il 19 marzo del 2008 Fusi chiede a Di Nardo di dire a Morelli di parlare al
funzionario Pompei, che si occupa della pratica. Di Nardo esegue il 20 marzo. La telefonata viene
annotata così dai Carabinieri: “Di Nardo chiama Morelli e gli dice che l‟operazione è ben vista
e ben valutata da Firenze e sta arrivando oggi sul tavolo di Pompei per una verifica definitiva.
Di Nardo aggiunge di parlarci subito con Pompei e fargli sapere. Morelli gli farà sapere”.
Il 26 marzo Fusi richiama Di Nardo. Il 28 marzo Di Nardo invia un sms a Morelli: “Caro Marco
quando puoi mi kiami? Vorrei vederti 5 minuti a Siena. Il 16 aprile hai un cda importante. Non
mancare! Vincenzo”.
Il 23 aprile Di Nardo richiama Morelli. Ha saputo che “devono portare i bilanci anche se
sapevano che i bilanci verranno approvati a giugno”.
I bilanci non sono una cosa secondaria per chi vuole avere 60 milioni da una banca.
Ma Morelli non si scompone: “Dice che il problema è che se Pompei non ha i bilanci non
delibera in quanto non vuole che ci siano dei cambiamenti e di aver chiesto a Pompei e
Zamparella di vedere cosa era possibile fare”.
Poi “Morelli dice che stamattina ne parla con Pompei”.
Alla fine trova la soluzione: “Morelli chiama Di Nardo – scrive sempre il Ros – e gli dice che la
cosa può essere risolta con l‟approvazione in consiglio della bozza del progetto di bilancio
prendendo in considerazione il bilancio del 2007”.
I bilanci aggiornati in fondo non erano la cosa più importante per un prestito dal Monte di Morelli
e Mussari.
14 SET 2016 10:32
MORELLI COLTO SUL "FATTO" - IL NUOVO AD DI MPS (IN
QUOTA RENZI), PRESTO' 60 MILIONI A RICCARDO FUSI, AMICO
DI VERDINI (PRESTITO MAI RIMBORSATO) - LE
INTERCETTAZIONI DEI CARABINIERI QUANDO MORELLI ERA
VICE DIRETTORE DI MPS - IL RUOLO DI PISANESCHI, GIA'
CHAIRMAN DI ANTONVENETA ED OGGI PRESIDENTE DI UN
COMITATO PER IL "SI" AL REFERENDUM, AI TEMPI
INTERMEDIARIO FRA MORELLI E FUSI
DAGONOTA
RICCARDO FUSI
Nella sua precedente vita di vice direttore generale, Marco Morelli si è adoperato che
andasse a buon fine un finanziamento del Monte Paschi a Riccardo Fusi.
Lo rivelano le intercettazioni in un processo a Firenze, svelate dal "Fatto quotidiano".
Per chi avesse la memoria corta, Riccardo Fusi è l'amico di Denis Verdini (co-imputato
in un processo), ma anche di Francesco De Vito Piscicelli: quello che rideva la notte del
terremoto dell'Aquila e con lui coinvolto nelle irregolarità nell'appalto per la Scuola di
Marescialli di Firenze.
Casualmente, è stato Matteo Renzi ad imporre Morelli alla guida del Monte Paschi. E
sempre casualmente Verdini è la stampella che sostiene la maggioranza del premier al
Senato. E' sempre un caso, poi, che gli intermediari fra Morelli e Riccardo Fusi svelano le intercettazioni riportate da Marco Lillo sul "Fatto" - siano l' ad della Btp
Vincenzo Di Nardo ed Andrea Pisaneschi, professore ed ex consigliere di Mps e allora
presidente di Antonveneta nonché consulente di Fusi e Bartolomei nell' operazione.
DE VITO PISCICELLI E RICCARDO FUSI
Pisaneschi oggi è uno dei costituzionalisti favorevoli alla riforma di Renzi e promotore
del "Comitato del Sì" ma allora era considerato vicino a Verdini, nominato nel cda di
Mps in quota centrodestra (proprio in quota Denis).
Le intercettazionidei Ros (Carabinieri) sono relative ad un finanziamento di 60 milioni
ricevuto da Fusi. Su quel finanziamento (60 milioni da Mps, 50 da Unipol, 20 da
Cariprato e 10 a testa da Credito Fiorentino e Banca MB ) è in corso un processo a
Firenze. Il procuratore aggiunto Luca Turco contesta ai due maggiori esponenti delle
società beneficiarie, Riccardo Fusi (amico e in passato in affari con Denis Verdini) e
Roberto Bartolomei, di aver fornito notizie false alle banche.
VERDINI
Gli imprenditori sostenevano di volere usare i 150 milioni per sviluppare il gruppo che
invece "già versava in un grave stato di crisi".
Altro che sviluppo, scrive "Il Fatto". I milioni sono stati usati per coprire esposizioni
pregresse. Pochi mesi dopo, scrivono i pm, il gruppo "avviava un procedimento per la
ristrutturazione del debito verso il sistema bancario, circa 800 milioni di euro".
Marco Morelli era il manager sul quale Fusi contava per spingere questo ardito
finanziamento.
Il 12 giugno 2008 - secondo le intercettazioni del quotidiano - Pisaneschi dice che c' è
bisogno di una spinta nel comitato crediti, ma esulta già: "Non ho difficoltà perché se la
pratica è ben istruita eccetera… lì c' è… il Morelli c' è".
ANDREA PISANESCHI
Il 17 giugno Fusi dice al suo socio Bartolomei che "Pisaneschi ormai di banda c' è" e
aggiunge che "poi il passaggio va fatto anche con Marino e con Morelli … perchè loro
quando va in Comitato (crediti) bisogna che ci siano".
Il 27 giugno Pisaneschi informa Fusi: "Ho parlato con Pompei (funzionario Mps) mi pare
che la cosa vada bene". Aggiunge: "Lo porterà in Comitato Crediti lunedì però io
immediatamente ho già parlato anche con Morelli, ovviamente non credo che ci siano
problemi".
Il 14 luglio arriva il comitato crediti ed è Morelli l' uomo chiave. Alle 20 e 54 l' avvocato
Pier Ettore Olivetti Rason chiama Fusi: "Mi ha detto Pisaneschi che ora stava mandando
un messaggino a Marco Morelli chiedendo se avevano finito oppure no".
MARCO MORELLI
L' epilogo della vicenda è registrato sul telefono di Fusi: "Riccardo? Sono Andrea
Pisaneschi… scusami tanto l' ora… ma mi hanno chiamato dieci minuti fa dunque mi
sembra che è andato bene però il Morelli che mi ha chiamato non si ricordava con
esattezza la cifra .. dice… 'te lo farò sapere domattina … sono stremato … ho fatto 4 ore
di comitato' …'si… ho capito' -dico - 'ma dimmi la cifra' e lui dice: 'è passato per quello
che doveva essere'".
Poi sorge un problema sul pegno delle azioni. E Pisaneschi rassicura Fusi: "richiamo
Morelli anche su questo".
Pochi minuti e arriva un sms a Fusi: "Il 24 vedo Morelli e sollecito ulteriormente. Ti
tengo aggiornato". Il 25 luglio Pisaneschi aggiorna Fusi: "Sono stato ieri a cena con
Marco .… gliel' ho ridetto… così … ma lui era sereno".
Un paio di telefonate di Morelli con Di Nardo sono state registrate dal Ros ma non
ritenute rilevanti - sottolinea "Il Fatto" - tanto che Morelli non è stato indagato né
sentito dai pm.
Il 26 febbraio Di Nardo organizza un incontro nella sede Mps con Fusi e Morelli per il
finanziamento.
DI NARDO PISCICELLI
Il 19 marzo del 2008 Fusi chiede a Di Nardo di dire a Morelli di parlare al funzionario
Pompei, che si occupa della pratica. Di Nardo esegue il 20 marzo.
La telefonata viene annotata così dai Carabinieri: "Di Nardo chiama Morelli e gli dice
che l' operazione è ben vista e ben valutata da Firenze e sta arrivando oggi sul tavolo
di Pompei per una verifica definitiva. Di Nardo aggiunge di parlarci subito con Pompei e
fargli sapere. Morelli gli farà sapere".
Alla fine trova la soluzione. Secondo le intercettazioni riportate dal "Fatto", "Morelli
chiama Di Nardo - scrive sempre il Ros - e gli dice che la cosa può essere risolta con l'
approvazione in consiglio della bozza del progetto di bilancio prendendo in
considerazione il bilancio del 2007".
I bilanci aggiornati in fondo - commenta il quotidiano - non erano la cosa più
importante per un prestito dal Monte di Morelli e Mussari.