Protesi acustica,Anca: protesi,Caldo: rimedi,Le ustioni,Le cicatrici,Il

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Protesi acustica,Anca: protesi,Caldo: rimedi,Le ustioni,Le cicatrici,Il
Protesi acustica
Protesi acustica
Fonte: www.acum.it
La protesi acustica Carina T M , sviluppata e prodotta da
Otologics, LLC, è una nuova alternativa di trattamento
completamente impiantabile per l’ipoacusia. Questa nuova
tecnologia rivoluzionaria consiste in una protesi per
l’orecchio medio completamente impiantabile che bypassa il
condotto uditivo e il timpano, superando i limiti anatomici e
fisici che impediscono alla terapia convenzionale di fornire
la massima capacità uditiva nei pazienti affetti da disturbi
dell’udito da moderati a gravi. La protesi acustica
completamente impiantabile Carina rilascia un segnale ad alta
fedeltà all’orecchio medio, fornendo funzionalità, comfort e
utilità migliori rispetto agli apparecchi acustici
tradizionali. La protesi acustica completamente impiantabile
Carina T M
viene
inserita
sottocute
e
non
prevede
alcun
coinvolgimento del condotto uditivo, non vi sono parti
visibili che lascino intendere che il paziente porti una
protesi acustica. Il dispositivo offre libertà e comfort pari
a quelli del sistema uditivo naturale, consentendone l’uso in
tutti i tipi di ambiente e durante lo svolgimento di qualunque
attività.
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Ora è possibile svolgere attività prima incompatibili con
l’uso degli apparecchi acustici tradizionali, come fare una
doccia, nuotare e praticare altri sport.La protesi acustica
completamente impiantabile Carina rilascia un segnale ad alta
fedeltà all’orecchio medio, fornendo funzionalità, comfort e
utilità migliori rispetto agli apparecchi acustici
tradizionali. La protesi acustica completamente impiantabile
Carina TM è costituita da tre parti principali: una capsula
contenente le parti elettroniche, un microfono e il
trasduttore per l’orecchio medio. I suoni vengono captati da
un microfono sensibile, amplificati in base alle esigenze del
paziente e convertiti in un segnale elettrico. Questo segnale
viene inviato alla bobina e al trasduttore. La punta del
trasduttore di Carina viene impiantata nell’orecchio medio. Il
trasduttore converte i segnali elettrici in un movimento
meccanico che stimola direttamente gli ossicini e consente al
paziente di percepire i suoni.
La protesi acustica completamente impiantabile Carina è
indicata per pazienti adulti affetti
neurosensoriale da moderata a grave.
da
ipoacusia
NOSTRO COMMENTO: Chi ha gravi problemi gravi di udito, tutto
sommato, gli conviene farsi impiantare una protesi acustica
per risolvere il problema alla radice.
Anca: protesi
Protesi dell’anca
L’artrosi dell’anca colpisce di più le persone dalla
cinquantina in sù. I sintomi possono andare da una leggera
scomodità fino a forti dolori accompagnati da immobilità. Il
trattamento dell’artrosi dell’anca si concentra sulla
diminuzione dei dolori ed il miglioramento della mobilità
dell’articolazione. Quando i metodi di trattamento di
conservazione non riescono a procurare il sollievo ricercato,
si può prendere in considerazione l’impianto di una protesi
totale d’anca. Un chirurgo ortopedico specializzato nel
trattamento dei problemi ossei ed articolari, valuta se il
paziente debba subire una sostituzione dell’anca. Il chirurgo
discuterà l’anamnesi clinica, misurerà il grado di motricità e
la forza muscolare delle anche ed osserverà il modo in cui si
siede, come si china e come si sposta. Inoltre, le saranno
fatte delle radiografie per determinare la superficie delle
lesioni delle articolazioni delle anche. Se le radiografie
presentano delle gravi lesioni articolari e se nessun altro
trattamento ha apportato sollievo, il chirurgo ortopedico le
proporrà un intervento chirurgico di sostituzione dell’anca.
La protesi totale d’anca si è evoluta in modo tale da essere
diventata una delle procedure più idonee ed affidabili che si
abbia
a
disposizione.
La
sostituzione
totale
dell’articolazione ha trasformato la vita di numerosi pazienti
dando loro la possibilità di essere ancora attivi sentendo
poco dolore.
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Articolazione dell’anca post-operatoria con protesi impiantata
La sostituzione totale dell’anca è un’operazione eseguita per
sostituire un’articolazione che è stata lesionata, di solito
dall’artrosi. L’articolazione dell’anca è un’articolazione a
testa emisferica e ad alloggio concavo. L’emisfero è formato
dalla testa dell’osso della coscia (femore) che si adatta
perfettamente nell’alloggio concavo (acetabolo). Le superfici
di queste ossa sono ricoperte da uno strato composto da una
sostanza liscia e flessibile conosciuta con il nome di
cartilagine articolare. L’artrosi fa la sua apparizione quando
la cartilagine si consuma ed espone la struttura ossea che
sostiene. Vedere il disegno di destra, intitolato «anca
affetta da artrosi». L’artrosi causa dolori, deformazione e
perdita della mobilità. Durante l’operazione di sostituzione
totale dell’anca, il chirurgo sostituisce la testa consumata
dell’osso della coscia con un emisfero in metallo o in
ceramica montato su un sostegno, mentre la superficie della
cavità viene rifatta con una cuffia in polietilene (plastico)
o in metallo ricoperto da una pellicola di polietilene. La
protesi potrà o essere fissata con il cemento (protesi
cementata), o fissata solidamente a ressione senza
cementazione. I risultati di un’operazione di sostituzione
totale dell’anca sono rappresentati nel disegno qui sotto.
Quando il chirurgo ortopedico procede ad una sostituzione
totale dell’anca, lui o lei, si pone quattro obiettivi di
base:
Alleggerimento del dolore
Restituire la mobilità
Correggere le deformazioni, ristabilire la lunghezza
della gamba, correggere la claudicazione
Ottenere dei buoni risultati a lungo termine
Prima di un’operazione di sostituzione totale dell’anca,
un paziente può subire numerosi esami come i raggi X,
gli
esami
del
sangue
e
solitamente
un
elettrocardiogramma. Il paziente è ricoverato in
ospedale il giorno precedente l’operazione, allo scopo
d’effettuare le preparazioni pre-operatorie ed
anestetiche. In funzioni delle preferenze dei chirurghi
e dei pazienti, può essere necessario digiunare se
l’operazione necessita di un’anestesia generale o
epidurale.
La durata dell’ospedalizzazione varia, ma, di solito,
dura fra i 3 e i 10 giorni. Dopo la dimissione è
necessario andare da un terapeuta e compiere
quotidianamente degli esercizi. Gli esercizi di
fisioterapia sono importanti dopo una sostituzione
totale dell’anca, perché condizionano, generalmente, la
capacità di un paziente a ristabilire velocemente la
propria camminata. In un primo tempo, il paziente dovrà
usare le stampelle o un deambulatore, prima di passare,
dopo alcuni mesi, all’uso di un bastone.
Durante il periodo post-operatorio, vengono insegnate
delle tecniche per camminare, salire le scale, sedersi
ed alzarsi dalle sedie, entrare ed uscire dalle
automobili e utilizzare la toilette.
I trattamenti pre e post-operatori differiscono con il
variare di più fattori. Contatti il suo chirurgo per
avere più informazioni circa la durata del trattamento e
del periodo di recupero.
Com’è il decorso postoperatorio?
Dopo l’intervento, il paziente rimane ricoverato nel
reparto chirurgico per un tempo variabile tra 4 e 8
giorni in funzione dell’età, delle malattie coesistenti,
della capacità di seguire il programma riabilitativo.
La deambulazione inizia in genere in seconda giornata,
con l’ausilio di stampelle per evitare di caricare
l’arto operato. Negli impianti cementati è possibile
eliminare le stampelle precocemente, non appena siano
guariti i tessuti molli (entro 2 settimane), mentre in
quelli non cementati è preferibile attendere 4-6
settimane per non disturbare il processo di
osteointegrazione delle componenti.
La riabilitazione precoce dopo protesi d’anca,
nell’opinione di chi scrive, dovrebbe limitarsi
all’insegnamento della deambulazione in appoggio
sfiorante e degli esercizi di mantenimento del tono
muscolare.
Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare,
il paziente può tornare ad una vita normale.
Quanto dura una protesi d’anca?
Le protesi attualmente disponibili hanno una
sopravvivenza media di circa 15 anni, ma la variabilità
individuale è grandissima. Il peso corporeo e il livello
di attività fisica sembrano incidere in modo
determinante sulla durata dell’impianto. Questo fa si
che un paziente anziano, magro e con basse richieste
funzionali possa ragionevolmente ritenere che il suo
impianto sia “per sempre”. Non così un giovane attivo e
sovrappeso, per il quale il rischio di andare incontro
ad un intervento di riprotesizzazione è concreto.
Si può fare sport con una protesi d’anca?
Ritornare alla normalità significa, ovviamente, anche
ripristinare quelle attività che contribuiscono alla
qualità di vita. Per i pazienti più giovani, lo sport è
sicuramente tra queste, ma in questo campo è necessario
fare delle precisazioni.
Innanzitutto la pratica sportiva richiede un completo
recupero della funzione e della stabilità articolari,
traguardi che difficilmente vengono raggiunti prima di 4
mesi dall’intervento.
La protesi d’anca, poi, eliminando il dolore, si presta
ad incentivare il paziente a riprendere le attività
sportive che aveva da tempo interrotto. La mancanza di
dolore durante una corsa, però, non significa che questa
non sia potenzialmente dannosa per l’impianto protesico.
In effetti tutti gli sport che comportano la corsa o il
salto (jogging, volley, basket, calcio…) determinano
violenti e ripetuti impatti della testa protesica nella
coppa, con conseguente incremento dell’usura. Sono
dunque sport assolutamente sconsigliati.
Un’ulteriore considerazione meritano gli sport a rischio
di trauma, perchè eseguiti in velocità (sci alpino,
ciclismo) o a distanza da terra (equitazione). Il
paziente che vi si cimenti deve ricordare che un
incidente, magari provocato da terzi, può avere gravi
ripercussioni sulla propria protesi. Insomma ci vuole
prudenza, conoscenza dei propri limiti e delle
condizioni ambientali.
In conclusione gli sport ai pazienti protesizzati non
sono vietati, purchè siano praticati soltanto ad un
livello ludico-ricreativo e siano intrapresi con
discernimento, privilegiando quelle attività (come il
nuoto, il golf, la ginnastica) che incidono poco o nulla
sull’usura dell’impianto e non espongono a situazioni
pericolose.
Esistono protesi “studiate” per i pazienti giovani?
I pazienti giovani o relativamente giovani possono
giovarsi di disegni protesici conservativi e di
accoppiamenti a bassissima usura.
Le protesi conservative sono modelli protesici che
richiedono una minore asportazione ossea, soprattuto a
livello femorale. In questo gruppo rientrano le protesi
a conservazione del collo femorale e quelle di
rivestimento. Le protesi conservative hanno indicazioni
pittosto ristrette e il loro utilizzo richiede
un’accurata selezione dei pazienti.
Gli accoppiamenti a bassissima usura sono interfacce
articolari che liberano quantità minime di detriti. Le
interfacce tradizionali sono dette metallo-polietilene o
ceramica-polietilene in base alla composizione della
testa protesica e dell’inserto acetabolare (la parte
interna della coppa). Sebbene il polietilene attuale sia
capace di eccellenti prestazioni di durata (al punto che
è considerato ideale nel paziente over-60), esso può
liberare quantità di detriti considerevoli nei pazienti
molto giovani e attivi. Per questo oggi tali pazienti
sono spesso protesizzati con accoppiamenti metallometallo
o
ceramica-ceramica.
(Fonte:
www.ancaeginocchio.it/)
NOSTRO COMMENTO: I migliori auguri a chi si opera.
Caldo: rimedi
Rimedi anti-caldo
Fonte: http://www.donnad.it
Il caldo sta inesorabilmente entrando nelle nostre case e
uffici rendendoci stanche e poco energiche. Ecco per te alcuni
suggerimenti e qualche piccolo trucco “fai da te” per farti
superare questo momento con serenità ed allegria.
la menta produce un’azione di freschezza immediata. Aggiungine
un rametto in un litro di tè freddo per rendere la tua bevanda
ancora più dissetante oppure procurati dell’olio essenziale di
menta ed applica due gocce sulle tempie e sulla nuca: avrai un
senso di freschezza immediato.
Se lavori d’estate o fai lunghi tragitti in auto, tieni sempre
nella borsa un minispray di acqua termale: vaporizzalo più
volte su viso, gambe e braccia per abbassare la temperatura
rapidamente. Puoi anche fare un impacco di acqua termale sul
viso la sera: lascia una compressa imbevuta d’acqua sul viso
fino a quando sarà completamente asciutta.
Prepara dei cubetti ghiacciati di acqua di rose e passali più
volte al giorno sul viso e sul décolleté.
Aggiungi una goccia di olio essenziale di eucalipto, pino
marittimo o lavanda alla tua crema quotidiana per il viso.
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Tieni in frigorifero le creme per il viso da giorno e notte e
la crema per il corpo: quando le applicherai sentirai un
beneficio immediato.
Anche il profumo può avere un effetto rinfrescante: scegli le
fragranze con essenze di muschio, erbe o bosco.
Ottimo anche un pediluvio rinfrescante: lascia i piedi per 15
minuti in una bacinella d’acqua nella quale avrai aggiunto con
2 cucchiai di bicarbonato e 8 gocce essenziale di menta.
Prepara uno snack idratante: frulla insieme un cetriolo, una
tazzina di ribes o lampone, aggiungi un vasetto di yogurt
magro e qualche cubetto di ghiaccio.
Per stimolare la micro-circolazione delle tue gambe, messa a
dura prova dal caldo, vai sotto la doccia e dirigi il getto
dell’acqua sulle gambe partendo dalle caviglie fino ai glutei,
prima con l’acqua fredda e poi con quella tiepida. Poi stendi
sulle gambe una crema all’ippocastano o al mirtillo per
rinforzare i capillari.
Ti sei alzata con gli occhi gonfi? Tieni in frigo della
camomilla, imbevi delle compresse di garza e fai degli
impacchi per 10 minuti.
Inserisci nella tua dieta quotidiana delle bevande o delle
tisane che ti aiutino anche a reidratarti: la mattina a
digiuno bevi un bicchiere di acqua oligominerale o una tazza
di tè verde freddo, dopo mangiato fai una tisana al finocchio
che aiuta la digestione, nel pomeriggio prepara un
centrifugato di carote e mele che ti aiuta anche a rinforzare
la melanina, la sera bevi una tisana drenante alla betulla o
alla gramigna.
NOSTRO COMMENTO: Sono consigli utili e direi “rinfrescanti”
che si possono seguire per attenuare l’afa estiva ed essere
più leggeri e pimpanti.
Le ustioni
USTIONI Fonte Video: RAI UNO
Fonte: www.saninforma.it
Cosa sono
Le ustioni sono lesioni provocate dagli effetti distruttivi
sulla pelle causati dal calore (fiamma libera, corpi roventi o
liquidi surriscaldati, raggi solari), da sostanze chimiche
(es. acido muriatico, ammoniaca) o dalla corrente elettrica.
In questa scheda si parlerà delle ustioni da calore mentre per
alcuni altri tipi di ustioni si rimanda alle rispettive schede
(Ustioni solari, Ustioni da sostanze chimiche).
La maggior parte delle ustioni da calore sono dovute al
mancato rispetto di elementari norme di sicurezza.
E’ importante:
non accendere fuochi con l’aiuto di liquidi infiammabili
come l’alcool;
prestare la massima attenzione in cucina quando in casa
sono presenti bambini piccoli che possono ustionarsi con
pentole d’acqua bollente, olio caldo ecc.
Come si manifestano
A seconda della gravità le ustioni vengono classificate in 3
gruppi:
Ustioni di 1° grado: sono le più lievi, con semplice
arrossamento, bruciore e dolore per contatto. Non sono
presenti vesciche. Guariscono rapidamente e non lasciano
cicatrici sulla pelle.
Ustioni di 2° grado: oltre allo strato superficiale
della pelle, viene colpito anche lo strato di tessuto
immediatamente sottostante. Sono molto dolorose e sono
presenti vesciche ripiene di liquido. Le ustioni meno
gravi cicatrizzano nel giro di qualche settimana, quelle
più profonde richiedono tempi più lunghi, spesso la
guarigione è difficile e restano cicatrici permanenti.
Ustioni di 3° grado: sono le più gravi in quanto
nell’area colpita la pelle è completamente distrutta in
tutto in suo spessore. Il loro aspetto è però spesso
meno impressionante delle ustioni di 2° grado. Non è
presente dolore per la distruzione dei recettori nervosi
e non ci sono vesciche. La guarigione richiede tempi
lunghi e lascia cicatrici permanenti (cheloidi) a volte
sfiguranti al punto da dover ricorrere ad interventi di
chirurgia plastica.
La gravità dell’ustione dipende inoltre dall’estensione, dalla
zona colpita e dalla causa che l’ha prodotta. Un’ustione di 3°
grado ma di piccole dimensioni non rappresenta un pericolo per
la vita. Al contrario, un?ustione di 2° grado molto estesa può
avere una prognosi molto grave.
Anche la zona colpita è importante, soprattutto se interessa
articolazioni o aree cutanee soggette a stiramento o parti
delicate. Le ustioni che interessano il viso, gli occhi, le
orecchie e i genitali richiedono sempre una valutazione
specialistica.
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Altri fattori che condizionano la gravità del danno sono il
tipo e il calore specifico dell’agente ustionante. In genere
le ustioni da liquidi sono più estese, quelle da solidi (per
esempio, la marmitta del motorino) localizzate ma più
profonde. Indipendentemente dall?estensione, sono considerate
”importanti” tutte le lesioni da caustici e da folgorazione
che vanno sempre sottoposte a osservazione medica.
È facile intuire l’importanza del tempo di esposizione.
Lesioni di uguale intensità (1° grado) sono provocate dal
contatto per 6 ore con temperature di 45°C, per 2 minuti a
51°C, per un solo secondo a 60°C. Il contatto di un solo
secondo con un corpo alla temperatura di 65°C è sufficiente a
determinare una ustione di 2° grado.
Quali sono i rischi
L’ustione può infettarsi. Nei casi più gravi può esservi
febbre, passaggio di batteri nel sangue e diffusione
dell’infezione ad altre parti del corpo. Particolarmente a
rischio sono i neonati e gli anziani sopra i 60 anni,
soprattutto se portatori di malattie croniche (per esempio, il
diabete).
Cosa si deve fare
Il primo soccorso ha come obiettivo quello di
raffreddare e detergere la zona ustionata. L’immersione
prolungata (almeno 10 minuti) in acqua fredda riduce
l’arrossamento e il gonfiore, diminuendo l’estensione
del danno e alleviando contemporaneamente il dolore. Se
la parte ustionata è coperta da indumenti, rimuoverli
con estrema attenzione: meglio tagliare la stoffa
piuttosto che sfilarli.
Le ustioni più lievi (1° grado) non richiedono
particolari interventi. Il più delle volte sono
sufficienti a ridurre il dolore impacchi ripetuti con
acqua fredda. Se questo non basta, può essere utile
l’applicazione di una crema anestetica (es.
Ortodermina), tenendo presente il rischio di possibili
sensibilizzazioni da contatto. Se il dolore è molto
intenso
si
può
far
ricorso
a
un
farmaco
antiinfiammatorio non steroideo con attività analgesica
come l’aspirina, l’ibuprofene (es. Moment) o il
diclofenac (es. Novapirina) oppure al paracetamolo (es.
Tachipirina) per via orale. In seguito, per lenire
bruciore e prurito residui, può essere impiegata una
crema cortisonica a bassa potenza come l’idrocortisone
(es. Lenirit), purché la cute sia integra e solo per un
breve periodo di tempo.
Le ustioni più gravi (2° grado superficiali) devono
essere deterse e disinfettate con una soluzione
antisettica a base di clorexidina (es. Neoxene),
clorossidante elettrolitico (es. Amuchina 10%) o
povidone iodio (es. Betadine) dopo aver asportato
eventuali frammenti di pelle distrutti dall’ustione.
Sconsigliate le tinture, le soluzioni di acido borico o
l’alcool denaturato.
Qualora si formassero delle bolle, queste vanno aperte
forandole con ago sterile (passato alla fiamma), facendo
defluire il liquido, senza però togliere la pelle che
forma il tetto della bolla. La pelle della vescica potrà
essere delicatamente rimossa dopo alcuni giorni
tagliandola con forbicine disinfettate con cura.
L’area va medicata con una garza grassa (es. Adaptic,
Jelonet, Non-ad), ricoperta con garza sterile e poi
fasciata con una benda, senza mai comprimere troppo la
parte colpita. Anche Fitostimoline e Connettivina garze
vanno considerate nulla più che semplici garze grasse:
non è infatti dimostrato il presunto effetto coadiuvante
dei processi riparativi tessutali dei principi attivi in
esse contenuti.
La medicazione all’inizio andrà rinnovata giornalmente
per rilevare l’andamento dei processi riparativi; in
seguito ogni 3-4 giorni sino alla guarigione che in
genere avviene in 2 settimane, disinfettando sempre
accuratamente la parte. L’accurata detersione e
disinfezione delle lesioni scongiura il rischio di
infezioni e rende inutile l’impiego di antibiotici
topici.
E’ importante ricordare che:
non si deve cospargere l’ustione di olio,
perché impedisce una accurata pulizia della
lesione e, ostacolando la dispersione di
calore, favorisce la macerazione della pelle
e fa aumentare il rischio di infezioni;
non impiegare creme antibiotiche senza aver
prima consultato il medico;
non impiegare acido borico, alcool
denaturato, sostanze coloranti, tutte
tossiche per le cellule.
Nelle ustioni più gravi (2° e 3° grado) il trattamento è
di pertinenza medica. Non applicare prodotti di alcun
tipo sull’ustione e far bere acqua se il soggetto
avverte sete intensa. Trasportare immediatamente il
soggetto ad un Pronto Soccorso.
quando rivolgersi al medico
Per tutte le ustioni di 2° e 3° grado.
Per le ustioni che interessano parti delicate del corpo,
come il viso o l’addome.
Se compare febbre elevata, sopra i 39° C.
In caso di ritardo nella guarigione nonostante gli
interventi effettuati.
In caso di infezione della parte ustionata.
Quando il paziente è anziano, è ammalato di diabete o è
un bambino al di sotto dei 3 anni di età.
NOSTRO COMMENTO: Chi ha un’ustione seria deve subito ricorrere
al medico
Le cicatrici
Riduzione delle cicatrici/ Fonte Video: RAI UNO
Fonte:www.chirurgia-plastica-estetica.it
Che cos’è una cicatrice?
La cicatrice è il tessuto che colma le ferite e le perdite di
sostanza dei tessuti e degli organi. Il tessuto cicatriziale,
infatti, si forma tutte le volte che si verifica
un’interruzione della continuità della cute (epidermide e
derma) in seguito ad un evento patologico o traumatico.
Esistono diversi tipi di cicatrici?
Esistono fondamentalmente due tipi di cicatrici patologiche:
il cheloide e la cicatrice ipertrofica.
Il cheloide è una vera e propria neoformazione, spessa,
arrossata, pruriginosa o dolente che ha origine da una
cicatrice, ma si sviluppa sempre oltre i confini della
cicatrice da cui deriva. I cheloidi si formano molto
raramente, possono comparire ovunque, ma si sviluppano
soprattutto a livello toracico in corrispondenza dello
sterno, sui padiglioni auricolari e a livello delle
spalle e sono più frequenti nella popolazione di colore.
La cicatrice ipertrofica spesso viene scambiata per un
cheloide, ma a differenza di questo il tessuto
cicatriziale in esubero rimane all’interno dei confini
della cicatrice che si presenta arrossata e rilevata.
Spesso si accompagna ad una sintomatologia pruriginosa e
talvolta a dolore locale.
Da quali fattori dipende la migliore o minore qualità di una
cicatrice?
La qualità delle cicatrici, sia che si formino per eventi
traumatici che in seguito ad interventi chirurgici, dipende in
larga parte dal modo in cui la cute di un soggetto tende a
guarire e in misura minore dal tipo di evento che ne ha
determinato la formazione e dalle precauzioni adottate durante
la fase di guarigione.
Le variabili che influenzano la formazione di una cicatrice
sono molteplici: in generale, i soggetti con carnagione chiara
hanno maggiore probabilità di presentare cicatrici di buona
qualità rispetto ai soggetti con carnagione scura
(mediterranea). Inoltre in alcune regioni del corpo le
cicatrici tendono per costituzione a risultare più evidenti,
come ad esempio nella regione toracica, dietro le orecchie e
sulle spalle.
Esistono tuttavia delle situazioni in cui la probabilità di
formazione di una brutta cicatrice sono indipendenti dalle
caratteristiche del soggetto, come nel caso di esiti
cicatriziali da ustione di II grado profondo o di III grado o
in seguito a traumi complessi.
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E’ possibile eliminare le cicatrici?
A differenza di quanto comunemente si pensi, le cicatrici sono
dei segni permanenti che non possono essere eliminati con
nessuna tecnica chirurgica, ma soltanto migliorate.
Quali trattamenti si possono effettuare per migliorare le
cicatrici?
Le cicatrici cheloidee e quelle ipertrofiche possono essere
migliorate sia mediante trattamenti medici che chirurgici.
Prima di ricorrere ad un intervento chirurgico di revisione
della cicatrice sono usualmente presi in considerazione tutti
gli altri possibili trattamenti medici volti a migliorare
l’aspetto della cicatrice, soprattutto nel caso di cicatrici
poco evidenti in cui l’intervento chirurgico potrebbe dare
scarsi risultati.
In ogni caso, prima di ricorrere ad un intervento di revisione
della cicatrice è necessario attendere circa un anno
dall’evento che ne ha determinato l’origine. Durante questo
periodo, infatti, la cicatrice va incontro a numerose
trasformazioni che la rendono molto evidente soprattutto nei
primi 3 mesi, fino a maturare e arrivare ad una conformazione
definitiva.
Quali sono i trattamenti medici e chirurgici utilizzati per
correggere le cicatrici?
I trattamenti medici della cicatrice sono:
Massaggio ripetuto più volte al giorno.
Compressione continua (ove questo risulti possibile).
Occlusione con fogli di gel di silicone o pomata con gel
di silicone.
Iniezione di cortisonici.
Dermoabrasione
Trattamenti laser.
Trattamenti con basse dosi di radiazioni.
I trattamenti chirurgici della cicatrice consistono nella:
Escissione “intralesionale”.
Escissione completa.
Il tipo di tecnica chirurgica adottata dallo specialista per
migliorare le cicatrici da trattare varia a seconda del tipo
di cicatrice, della sua ampiezza e dalla regione corporea
interessata.
Notevoli speranze di miglioramento sono riposte in una nuova
tecnica chirurgica che utilizza tessuto autologo (cellule
proprie) che prende il nome di Recell.
Le opzioni chirurgiche possibili devono essere discusse
esaurientemente con il paziente che deve conoscere con
precisione quali possono essere le sue aspettative di
miglioramento.
Quali trattamenti chirurgici sono indicati per le cicatrici
cheloidee e per quelle ipertrofiche?
I trattamenti chirurgici delle cicatrici variano a seconda che
si tratti di cicatrici cheloidee o ipertrofiche.
Il trattamento chirurgico del cheloide, a cui si giunge di
solito dopo una serie di tentativi con terapia medica, prevede
l’escissione cosiddetta “intralesionale” della formazione,
ossia senza la sua completa asportazione. Seguendo tale
tecnica è stato visto che la probabilità, comunque sempre
alta, che si riformi un cheloide delle stesse dimensioni si
riduce.
Il trattamento chirurgico della cicatrice ipertrofica prevede,
invece, l’escissione dell’intera cicatrice. Anche in questo
caso, comunque, la probabilità che si riformi una cicatrice di
qualità scadente è alta, essendo le caratteristiche soggettive
della
cute
del
paziente
l’elemento
determinante
nell’insorgenza di cicatrici patologiche.
Riduzione delle cicatrici
Che cos’è una cicatrice?
La cicatrice è il tessuto che colma le ferite e le perdite di
sostanza dei tessuti e degli organi. Il tessuto cicatriziale,
infatti, si forma tutte le volte che si verifica
un’interruzione della continuità della cute (epidermide e
derma) in seguito ad un evento patologico o traumatico.
Esistono diversi tipi di cicatrici?
Esistono fondamentalmente due tipi di cicatrici patologiche:
il cheloide e la cicatrice ipertrofica.
Il cheloide è una vera e propria neoformazione, spessa,
arrossata, pruriginosa o dolente che ha origine da una
cicatrice, ma si sviluppa sempre oltre i confini della
cicatrice da cui deriva. I cheloidi si formano molto
raramente, possono comparire ovunque, ma si sviluppano
soprattutto a livello toracico in corrispondenza dello
sterno, sui padiglioni auricolari e a livello delle
spalle e sono più frequenti nella popolazione di colore.
La cicatrice ipertrofica spesso viene scambiata per un
cheloide, ma a differenza di questo il tessuto
cicatriziale in esubero rimane all’interno dei confini
della cicatrice che si presenta arrossata e rilevata.
Spesso si accompagna ad una sintomatologia pruriginosa e
talvolta a dolore locale.
Da quali fattori dipende la migliore o minore qualità di una
cicatrice?
La qualità delle cicatrici, sia che si formino per eventi
traumatici che in seguito ad interventi chirurgici, dipende in
larga parte dal modo in cui la cute di un soggetto tende a
guarire e in misura minore dal tipo di evento che ne ha
determinato la formazione e dalle precauzioni adottate durante
la fase di guarigione.
Le variabili che influenzano la formazione di una cicatrice
sono molteplici: in generale, i soggetti con carnagione chiara
hanno maggiore probabilità di presentare cicatrici di buona
qualità rispetto ai soggetti con carnagione scura
(mediterranea). Inoltre in alcune regioni del corpo le
cicatrici tendono per costituzione a risultare più evidenti,
come ad esempio nella regione toracica, dietro le orecchie e
sulle spalle.
Esistono tuttavia delle situazioni in cui la probabilità di
formazione di una brutta cicatrice sono indipendenti dalle
caratteristiche del soggetto, come nel caso di esiti
cicatriziali da ustione di II grado profondo o di III grado o
in seguito a traumi complessi.
E’ possibile eliminare le cicatrici?
A differenza di quanto comunemente si pensi, le cicatrici sono
dei segni permanenti che non possono essere eliminati con
nessuna tecnica chirurgica, ma soltanto migliorate.
Quali trattamenti si possono effettuare per migliorare le
cicatrici?
Le cicatrici cheloidee e quelle ipertrofiche possono essere
migliorate sia mediante trattamenti medici che chirurgici.
Prima di ricorrere ad un intervento chirurgico di revisione
della cicatrice sono usualmente presi in considerazione tutti
gli altri possibili trattamenti medici volti a migliorare
l’aspetto della cicatrice, soprattutto nel caso di cicatrici
poco evidenti in cui l’intervento chirurgico potrebbe dare
scarsi risultati.
In ogni caso, prima di ricorrere ad un intervento di revisione
della cicatrice è necessario attendere circa un anno
dall’evento che ne ha determinato l’origine. Durante questo
periodo, infatti, la cicatrice va incontro a numerose
trasformazioni che la rendono molto evidente soprattutto nei
primi 3 mesi, fino a maturare e arrivare ad una conformazione
definitiva.
Quali sono i trattamenti medici e chirurgici utilizzati per
correggere le cicatrici?
I trattamenti medici della cicatrice sono:
Massaggio ripetuto più volte al giorno.
Compressione continua (ove questo risulti possibile).
Occlusione con fogli di gel di silicone o pomata con gel
di silicone.
Iniezione di cortisonici.
Dermoabrasione
Trattamenti laser.
Trattamenti con basse dosi di radiazioni.
I trattamenti chirurgici della cicatrice consistono nella:
Escissione “intralesionale”.
Escissione completa.
Il tipo di tecnica chirurgica adottata dallo specialista per
migliorare le cicatrici da trattare varia a seconda del tipo
di cicatrice, della sua ampiezza e dalla regione corporea
interessata.
Notevoli speranze di miglioramento sono riposte in una nuova
tecnica chirurgica che utilizza tessuto autologo (cellule
proprie) che prende il nome di Recell.
Le opzioni chirurgiche possibili devono essere discusse
esaurientemente con il paziente che deve conoscere con
precisione quali possono essere le sue aspettative di
miglioramento.
Quali trattamenti chirurgici sono indicati per le cicatrici
cheloidee e per quelle ipertrofiche?
I trattamenti chirurgici delle cicatrici variano a seconda che
si tratti di cicatrici cheloidee o ipertrofiche.
Il trattamento chirurgico del cheloide, a cui si giunge di
solito dopo una serie di tentativi con terapia medica, prevede
l’escissione cosiddetta “intralesionale” della formazione,
ossia senza la sua completa asportazione. Seguendo tale
tecnica è stato visto che la probabilità, comunque sempre
alta, che si riformi un cheloide delle stesse dimensioni si
riduce.
Il trattamento chirurgico della cicatrice ipertrofica prevede,
invece, l’escissione dell’intera cicatrice. Anche in questo
caso, comunque, la probabilità che si riformi una cicatrice di
qualità scadente è alta, essendo le caratteristiche soggettive
della
cute
del
paziente
l’elemento
determinante
nell’insorgenza di cicatrici patologiche.
Come si svolge la visita pre-operatoria?
Il trattamento chirurgico delle cicatrici è un intervento
molto personalizzato che, come tale, necessita di un’accurata
visita specialistica.
Durante la prima visita il chirurgo dovrà valutare la qualità
e le dimensioni della cicatrice e illustrarvi i risultati
estetici che è possibile concretamente ottenere.
Il chirurgo dovrà inoltre valutare le vostre condizioni di
salute per escludere la presenza di alterazioni (quali
problemi di coagulazione o di cicatrizzazione, pressione alta,
ecc.) che potrebbero influire sul risultato estetico
dell’intervento.
Al termine della visita il chirurgo, d’accordo con voi,
sceglierà la procedura chirurgica più indicata al vostro caso.
Prima dell’intervento riceverete istruzioni specifiche
relative
all’alimentazione
pre
e
post-operatoria,
all’assunzione di farmaci, alcool e sigarette.
Che tipo di anestesia viene praticata?
L’intervento chirurgico di revisione della cicatrice viene
generalmente eseguito in anestesia locale in regime di day
hospital ed ha una durata variabile in relazione alla
cicatrice da trattare.
Qual è il decorso post-operatorio?
Al fine di ottenere il miglior risultato possibile, è
importante che dopo l’intervento chirurgico di revisione della
cicatrice seguiate scrupolosamente tutte le indicazioni che il
chirurgo di volta in volta vi darà.
Nel periodo postoperatorio è consigliata l’applicazione di
presidi medici a livello della nuova cicatrice durante la sua
fase di maturazione al fine di ridurre al minimo la
possibilità della formazione di una cicatrice di cattiva
qualità.
Le modalità e i tempi di tali trattamenti vi verranno
illustrati dallo specialista in occasione dei controlli
ambulatoriali.
La ripresa di una normale attività è strettamente dipendente
dal tipo di intervento a cui sarete stati sottoposti.
Per semplici revisioni di piccole cicatrici effettuate in
anestesia locale, di solito già dal giorno successivo
all’intervento si possono riprendere le normali occupazioni
quotidiane.
Che tipo di risultato si può ottenere con l’intervento di
revisione della cicatrice?
Il risultato estetico varia dalla risposta del singolo
paziente ed è condizionato da diversi fattori (tipo di
carnagione, zona del corpo interessata, ecc.).
Il risultato è permanente e sarà definitivamente raggiunto a
distanza di circa un anno dall’intervento
NOSTRO COMMENTO: la decisione circa l’eliminazione di una
brutta cicatrice è un fatto strettamente personale lasciato,
ovviamente, alla libera valutazione del paziente stesso.
Il glaucoma
GLAUCOMA / Fonte Video: RAI UNO
Fonte: www.centroitalianoglaucoma.it
Con il termine glaucoma si indica un gruppo di patologie
caratterizzate da una progressiva perdita delle cellule
ganglionari retiniche , da un deficit funzionale
caratteristico (valutabile con l’ esame del campo visivo) e da
tipiche alterazioni anatomiche della testa del nervo ottico.
Il glaucoma può essere del tutto asintomatico fino alle fasi
più tardive della malattia . Si stima che la metà delle
persone affette da glaucoma non sappia di essere malata.
Il glaucoma è causato da numerose patologie o alterazioni
oculari, che nella maggior parte dei casi si associano ad una
aumentata pressione intraoculare (IOP), che è il principale
fattore di rischio per la malattia.
L’ ipertono oculare è causato da un’ alterazione dell’
idrodinamica dei fluidi oculari (umore acqueo) e nel tempo
provoca danni non reversibili al nervo ottico. Diviene quindi
di fondamentale importanza la diagnosi precoce e l’
impostazione del trattamento per preservare la funzione
visiva.
[flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/glaucoma.flv 480 368]
L’ umore acqueo viene prodotto in continuazione dal corpo
ciliare, una piccola ghiandola situata dietro l’ iride;
riempie la camera anteriore, nutre la cornea e il cristallino,
e passa attraverso la pupilla dalla camera posteriore a quella
anteriore, dove defluisce a livello dell’ angolo formato da
iride e cornea. In questa zona è presente un tessuto spugnoso,
chiamato trabecolato, che è il punto di drenaggio dell’ umore
acqueo. Se il trabecolato, per cause primarie o secondarie, si
intasa, l’ umore acqueo non riesce più a defluire e, essendo
l’ occhio un sistema chiuso, la pressione intraoculare
aumenta.
L’ aumento della IOP causa danni alle fibre nervose retiniche
portandole alla morte . La perdita di cellule nervose causa un
lento e irreversibile calo della capacità visiva. La diagnosi
corretta e la terapia possono prevenire l’ infausto esito del
glaucoma.
Fattori di rischio e presentazione
Il glaucoma è la prima causa di cecità irreversibile al mondo
nei paesi industrializzati e risulta affetto il 2% della
popolazione. Grossi studi clinici controllati hanno fornito
importanti informazioni riguardo ai “fattori di rischio” per
il glaucoma, che sono:
Età
Sesso
Razza
Pressione intraoculare
Spessore corneale centrale
Struttura della papilla ottica
Miopia
Elevati livelli di ipermetropia
Ipotensione arteriosa
Familiarità
Fattori vascolari
Prolungata terapia con corticosteroidi
Non esiste (per ora) una cura definitiva per il glaucoma: la
perdita visiva non può essere recuperata, ma con una terapia
farmacologica o chirurgia, agendo sulla riduzione della IOP
(che ricordiamo è il fattore di rischio principale) si può
prevenire l’ ulteriore perdita visiva. Il glaucoma è una
condizione cronica e deve essere monitorata frequentemente per
tutta la vita, in quanto il quadro clinico può modificarsi
negli anni.
Nel glaucoma ad angolo aperto potrebbero non esserci sintomi.
La pressione intraoculare elevata, di solito, non da dolore.
La perdita visiva inizia alla periferia del campo visivo e
solo nelle fasi più tardive coinvolge la visione centrale. Il
miglior modo per proteggersi dal glaucoma è sottoporsi a una
visita oculistica e, se venisse diagnosticata la malattia,
iniziare subito la terapia.
Classificazione
Nell’ adulto il glaucoma si suddivide in :
– glaucoma ad angolo aperto (primario o secondario)
– glaucoma ad angolo stretto (primario o secondario)
Le due forme differisco per patogenesi e presentazione, ma
entrambe portano a una progressiva perdita dell’ acuità
visiva.
NOSTRO COMMENTO: La pressione alta, l’elevata miopia, la
pressione endoculare consigliano di approfondire la situazione
e, nel caso di riscontro di un glaucoma, farsi operare col
laser. L’intervento non desta preoccupazione.-
La cataratta
CATARATTA
Fonte: www.grvision.com.
Sono davvero notevoli i miglioramenti che la chirurgia della
cataratta ha avuto negli ultimi anni, grazie all’evoluzione
tecnologica. L’invasività è ridotta ormai ai minimi termini:
basti pensare che, se nei primi interventi era necessaria
un’incisione oculare di almeno cinque o sei millimetri, oggi
ne sono sufficienti solo due per rimuovere il tessuto alterato
e inserire la nuova lente artificiale. Questi progressi hanno
contribuito alla diffusione di questo intervento che oggi è
eseguito in oltre 550mila casi. Tra le varie tecniche, sta
vivendo una seconda giovinezza quella a ultrasuoni, che
recenti innovazioni hanno portato a un livello di
perfezionamento elevato. «Questa metodica, in assoluto la più
utilizzata al mondo, si avvale di uno speciale strumento a
punta, che l’ultrasuono fa vibrare, provocandone un movimento
che frantuma il cristallino», spiega il dottor Gianluca
Rubiolini, medico oculista presso l’Ospedale Moriggia
Pelascini di Gravedona (Como), www.grvision.com. «La novità
consiste nel fatto che oggi è possibile conferire a questo
strumento una multi-direzionalità, che gli consente di
eseguire non solo movimenti oscillatori antero-posteriori (a
mo’ di un pendolo), ma anche torsionali. L’intervento è quindi
estremamente mirato, la quantità di ultrasuoni emessa è
ridotta, l’impatto sull’occhio è minimo».
La tecnica a ultrasuoni trova indicazioni per tutti i tipi di
cataratta, dalle forme lievi alle più avanzate. Miglioramenti
significativi riguardano anche i cristallini artificiali: «Il
materiale plastico con cui sono realizzati, dapprima rigido,
col tempo è andato assumendo una consistenza sempre più
malleabile, tanto che oggi può essere praticamente iniettato
nell’occhio con un apposito strumento simile a una siringa,
per poi essere posizionato, una volta all’interno, in modo
definitivo», sottolinea il dottor Rubiolini. «Questo riduce
sensibilmente eventuali rischi o effetti collaterali,
accorciando notevolmente anche i tempi di riabilitazione. Il
recupero visivo è rapido, con una visione soddisfacente già
nelle prime ore postoperatorie».
Il fiore all’occhiello di questo tipo di chirurgia sono le
lenti intraoculari di ultima generazione: cristallini evoluti
in grado di contrastare anche difetti visivi preesistenti. Per
i pazienti che lo desiderano e che ne fanno richiesta, miopia,
ipermetropia e perfino astigmatismo possono essere corretti
durante la rimozione della cataratta. Infine, una speciale
lente multifocale permette di poter vedere da vicino,
eliminando l’uso degli occhiali». È importante poter lavorare
con tranquillità, studiando il paziente e valutando il tipo di
cristallino da utilizzare. Fondamentale la selezione del
Centro dove eseguire l’intervento.
Come funziona? Quanto Dura?
• L’operazione per eliminare la cataratta non richiede
alcun ricovero.
• Si esegue un anestesia topica che consiste
nell’applicazione di gocce di collirio anestetico.
• L’intervento dura, in genere, 20 minuti.
• Non è doloroso!
• Viene inserito un cristallino artificiale
sostituisce quello opacato.
che
NOSTRO COMMENTO: da come si può vedere e leggere sopra, chi
soffre di cataratta e vede offuscato deve andare subito a
farsi operare. L’intervento non desta alcuna preoccupazione e
risolve radicalmente il problema.
La prostata
IL TUMORE PROSTATICO/ FONTE VIDEO: RAI UNO
I pazienti ai quali è stato diagnosticato un tumore prostatico
necessitano spesso di informazioni relative al tumore e alle
opzioni di trattamento. Su queste pagine sono disponibili
moltissime informazioni utili. Per sconfiggere il tumore
prostatico, l’unica arma è la conoscenza. Lo scopo di
curaprostata.it è fornire informazioni ai pazienti affetti da
tumore prostatico e alle loro famiglie.
“Lei ha un tumore alla prostata”.
Nessun uomo vorrebbe sentirsi dire questa frase.
Il tumore alla prostata può incutere timore, ma se viene
diagnosticato allo stadio iniziale le possibilità di
sopravvivenza sono elevatissime. La scienza medica ha fatto
grandi passi avanti nella diagnosi del tumore prostatico e nel
trattamento di questa neoplasia.
Progressi nei trattamenti
Se viene diagnosticato un tumore prostatico, è necessario
prendere una decisione importante. Quale trattamento è
migliore per voi? Nel passato le comuni opzioni di trattamento
del tumore prostatico possono essere sembrate aggressive,
incerte oppure potevano avere effetti collaterali
preoccupanti.
[flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/prostata.flv 480 368]
Per questi ed altri motivi, incluso il fatto che il tumore
prostatico tende ad avere una progressione lenta, alcuni
pazienti scelgono un atteggiamento di vigile attesa. Questo
comporta il monitoraggio sistematico della progressione della
malattia senza trattamenti specifici, tenendo sotto controllo
la possibile propagazione del tumore.
Fortunatamente, i progressi in campo tecnologico hanno portato
a miglioramenti nel trattamento. Attualmente, è disponibile
un’ampia gamma di trattamenti per il tumore prostatico. Nella
scelta del trattamento è opportuno individuarne uno che
consenta di combinare il miglior risultato possibile a effetti
collaterali minimi. Questo sito Web consente di confrontare i
vantaggi e gli svantaggi delle varie opzioni di trattamento.
(Fonte: http://myprostatecanceroptions.com/it/)
NOSTRO
COMMENTO:
dopo
la
mezza
età,
specie
se
esiste
familiarità, è bene fare con frequenza annuale un PSA per
accertarsi che tutto vada bene.
Esofago di Barrett
ESOFAGO DI BARRETT/Fonte Video: RAI UNO
L’epitelio di Barrett o esofago di Barrett è una metaplasia a
carico dell’epitelio esofageo, che viene sostituito con
epitelio colonnare. E’ una complicanza patologica
dell’esofago, in seguito a reflusso gastroesofageo (RGE).
In seguito al rilasciamento del cardias, il succo gastrico
acido, a contatto prolungato con l’esofago, origina una
modificazione dell’epitelio che tenta di difendersi
dall’acido.
Le cellule che sostituiscono il tratto di epitelio esofageo
che viene a contatto con il reflusso acido hanno
caratteristiche molto simili a quelle duodenali e
costituiscono l’esofago di Barrett.
[flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/esofago.flv 480 368]
Tale patologia è spesso pre-cancerosa poiché questo epitelio
può andare incontro a incontrollata replicazione; questo
succede circa nel 2-5% dei casi.
NOSTRO COMMENTO: Attenzione al reflusso gastro_esofageo! Se è
persistente è bene fare accertamenti.
Scivolamento vertebrale.FONTE VIDEO: RAI UNO
SCIVOLAMENTO VERTEBRALE (Prof. Roberto BASSANI)
E’ una tecnica poco diffusa in Europa, ma che riscuote grandi
consensi negli Stati Uniti, dove è praticata comunemente: è la
discoplastica, una metodica consolidata e adatta a chi soffre
di degenerazione dei dischi vertebrali. Con la discoplastica
si torna subito efficienti dopo una ventina di giorni
dall’intervento, abbreviando di circa cinque volte i tempi di
recupero. E non è un fatto da poco, visto che solo nel nostro
Paese le persone con oltre quarant’anni che soffrono di
patologie dei dischi vertebrali sono migliaia. La
discoplastica rimette a posto la schiena a tempo di record
grazie a una protesi artificiale che restituisce la piena
mobilità al tratto lombare.
E’ questo a Bruxelles il tema centrale di “EuroSpine”, il più
importante congresso europeo dedicato allo studio e allo
sviluppo delle nuove tecnologie per il trattamento delle
patologie della colonna vertebrale. Gli specialisti europei,
ortopedici e neurochirurghi della colonna vertebrale, per
confermare l’efficacia della nuova tecnica lanciano uno studio
che coinvolge nove paesi. “La discoplastica è un intervento
che prevede la sostituzione del disco danneggiato con una
protesi artificiale – spiega Roberto Bassani, chirurgo
ortopedico e vertebrale della Divisione di Ortopedia e
Traumatologia diretta dal Prof. G.P. Jelmoni del IRCCS
Policlinico San Matteo di Pavia – la cui funzione è quella di
riprodurre meccanicamente nel modo migliore possibile il
movimento con caratteristiche simili ad un disco sano.”
[flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/scivolvertebrale.flv
480 368]
La mobilità del tratto lombare viene quindi mantenuta con
tempi di recupero estremamente brevi. I pazienti infatti sono
già in piedi il giorno dopo l’intervento e possono iniziare un
attività fisica moderata dopo soli 20-25 giorni
dall’operazione. I tempi di riabilitazione sono sensibilmente
ridotti rispetto a quelli richiesti dalla vecchia tecnica di
fusione, che richiede dai 4 agli 8 mesi. Requisito essenziale
per la riuscita dell’intervento è la selezione del paziente:
la discoplastica è adatta a persone tra i 30 e i 50 anni di
età, che soffrono di mal di schiena cronico, con una
degenerazione iniziale del disco vertebrale e che non sono
riusciti a risolvere il problema con la terapia conservativa e
presentano o meno la ben nota “sciatica” (lombosciatalgia),
riconducibile proprio alla discopatia degenerativa.
L’artoplastica, largamente usata da molti anni per l’anca ed
il ginocchio, è solo da poco impiegata per trattare la
malattia degenerativa dei dischi vertebrali a livello lombare
e cervicale. Ancora oggi infatti, per la patologia del disco
vertebrale, si ricorre ad interventi chirurgici tradizionali e
collaudati ma più invasivi. “La discoplastica – spiega il
professor Bassani – è una delle metodiche attualmente più
vicina alla normale fisiologia del tratto lombare”. L’esperto
spiega infatti che la colonna vertebrale è quanto di più
mobile ci possa essere in natura ed è per questo che la
ricerca tende a sviluppare sistemi di protesi e tecniche
chirurgiche che riproducano tale movimento. Spiega ancora
l’esperto:” Con la moderna tecnica si riducono anche il
sovraccarico e l’usura precoce dei dischi vertebrali
adiacenti, che la chirurgia di fusione tradizionale provoca
nei soggetti giovani”.
NOSTRO COMMENTO: Meglio la protesi che l’invalidità ed il
dolore.