Protesi acustica,Anca: protesi,Caldo: rimedi,Le ustioni,Le cicatrici,Il
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Protesi acustica,Anca: protesi,Caldo: rimedi,Le ustioni,Le cicatrici,Il
Protesi acustica Protesi acustica Fonte: www.acum.it La protesi acustica Carina T M , sviluppata e prodotta da Otologics, LLC, è una nuova alternativa di trattamento completamente impiantabile per l’ipoacusia. Questa nuova tecnologia rivoluzionaria consiste in una protesi per l’orecchio medio completamente impiantabile che bypassa il condotto uditivo e il timpano, superando i limiti anatomici e fisici che impediscono alla terapia convenzionale di fornire la massima capacità uditiva nei pazienti affetti da disturbi dell’udito da moderati a gravi. La protesi acustica completamente impiantabile Carina rilascia un segnale ad alta fedeltà all’orecchio medio, fornendo funzionalità, comfort e utilità migliori rispetto agli apparecchi acustici tradizionali. La protesi acustica completamente impiantabile Carina T M viene inserita sottocute e non prevede alcun coinvolgimento del condotto uditivo, non vi sono parti visibili che lascino intendere che il paziente porti una protesi acustica. Il dispositivo offre libertà e comfort pari a quelli del sistema uditivo naturale, consentendone l’uso in tutti i tipi di ambiente e durante lo svolgimento di qualunque attività. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/protesiacustica.flv 480 368] Ora è possibile svolgere attività prima incompatibili con l’uso degli apparecchi acustici tradizionali, come fare una doccia, nuotare e praticare altri sport.La protesi acustica completamente impiantabile Carina rilascia un segnale ad alta fedeltà all’orecchio medio, fornendo funzionalità, comfort e utilità migliori rispetto agli apparecchi acustici tradizionali. La protesi acustica completamente impiantabile Carina TM è costituita da tre parti principali: una capsula contenente le parti elettroniche, un microfono e il trasduttore per l’orecchio medio. I suoni vengono captati da un microfono sensibile, amplificati in base alle esigenze del paziente e convertiti in un segnale elettrico. Questo segnale viene inviato alla bobina e al trasduttore. La punta del trasduttore di Carina viene impiantata nell’orecchio medio. Il trasduttore converte i segnali elettrici in un movimento meccanico che stimola direttamente gli ossicini e consente al paziente di percepire i suoni. La protesi acustica completamente impiantabile Carina è indicata per pazienti adulti affetti neurosensoriale da moderata a grave. da ipoacusia NOSTRO COMMENTO: Chi ha gravi problemi gravi di udito, tutto sommato, gli conviene farsi impiantare una protesi acustica per risolvere il problema alla radice. Anca: protesi Protesi dell’anca L’artrosi dell’anca colpisce di più le persone dalla cinquantina in sù. I sintomi possono andare da una leggera scomodità fino a forti dolori accompagnati da immobilità. Il trattamento dell’artrosi dell’anca si concentra sulla diminuzione dei dolori ed il miglioramento della mobilità dell’articolazione. Quando i metodi di trattamento di conservazione non riescono a procurare il sollievo ricercato, si può prendere in considerazione l’impianto di una protesi totale d’anca. Un chirurgo ortopedico specializzato nel trattamento dei problemi ossei ed articolari, valuta se il paziente debba subire una sostituzione dell’anca. Il chirurgo discuterà l’anamnesi clinica, misurerà il grado di motricità e la forza muscolare delle anche ed osserverà il modo in cui si siede, come si china e come si sposta. Inoltre, le saranno fatte delle radiografie per determinare la superficie delle lesioni delle articolazioni delle anche. Se le radiografie presentano delle gravi lesioni articolari e se nessun altro trattamento ha apportato sollievo, il chirurgo ortopedico le proporrà un intervento chirurgico di sostituzione dell’anca. La protesi totale d’anca si è evoluta in modo tale da essere diventata una delle procedure più idonee ed affidabili che si abbia a disposizione. La sostituzione totale dell’articolazione ha trasformato la vita di numerosi pazienti dando loro la possibilità di essere ancora attivi sentendo poco dolore. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/protesianca.flv 480 368] Articolazione dell’anca post-operatoria con protesi impiantata La sostituzione totale dell’anca è un’operazione eseguita per sostituire un’articolazione che è stata lesionata, di solito dall’artrosi. L’articolazione dell’anca è un’articolazione a testa emisferica e ad alloggio concavo. L’emisfero è formato dalla testa dell’osso della coscia (femore) che si adatta perfettamente nell’alloggio concavo (acetabolo). Le superfici di queste ossa sono ricoperte da uno strato composto da una sostanza liscia e flessibile conosciuta con il nome di cartilagine articolare. L’artrosi fa la sua apparizione quando la cartilagine si consuma ed espone la struttura ossea che sostiene. Vedere il disegno di destra, intitolato «anca affetta da artrosi». L’artrosi causa dolori, deformazione e perdita della mobilità. Durante l’operazione di sostituzione totale dell’anca, il chirurgo sostituisce la testa consumata dell’osso della coscia con un emisfero in metallo o in ceramica montato su un sostegno, mentre la superficie della cavità viene rifatta con una cuffia in polietilene (plastico) o in metallo ricoperto da una pellicola di polietilene. La protesi potrà o essere fissata con il cemento (protesi cementata), o fissata solidamente a ressione senza cementazione. I risultati di un’operazione di sostituzione totale dell’anca sono rappresentati nel disegno qui sotto. Quando il chirurgo ortopedico procede ad una sostituzione totale dell’anca, lui o lei, si pone quattro obiettivi di base: Alleggerimento del dolore Restituire la mobilità Correggere le deformazioni, ristabilire la lunghezza della gamba, correggere la claudicazione Ottenere dei buoni risultati a lungo termine Prima di un’operazione di sostituzione totale dell’anca, un paziente può subire numerosi esami come i raggi X, gli esami del sangue e solitamente un elettrocardiogramma. Il paziente è ricoverato in ospedale il giorno precedente l’operazione, allo scopo d’effettuare le preparazioni pre-operatorie ed anestetiche. In funzioni delle preferenze dei chirurghi e dei pazienti, può essere necessario digiunare se l’operazione necessita di un’anestesia generale o epidurale. La durata dell’ospedalizzazione varia, ma, di solito, dura fra i 3 e i 10 giorni. Dopo la dimissione è necessario andare da un terapeuta e compiere quotidianamente degli esercizi. Gli esercizi di fisioterapia sono importanti dopo una sostituzione totale dell’anca, perché condizionano, generalmente, la capacità di un paziente a ristabilire velocemente la propria camminata. In un primo tempo, il paziente dovrà usare le stampelle o un deambulatore, prima di passare, dopo alcuni mesi, all’uso di un bastone. Durante il periodo post-operatorio, vengono insegnate delle tecniche per camminare, salire le scale, sedersi ed alzarsi dalle sedie, entrare ed uscire dalle automobili e utilizzare la toilette. I trattamenti pre e post-operatori differiscono con il variare di più fattori. Contatti il suo chirurgo per avere più informazioni circa la durata del trattamento e del periodo di recupero. Com’è il decorso postoperatorio? Dopo l’intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 4 e 8 giorni in funzione dell’età, delle malattie coesistenti, della capacità di seguire il programma riabilitativo. La deambulazione inizia in genere in seconda giornata, con l’ausilio di stampelle per evitare di caricare l’arto operato. Negli impianti cementati è possibile eliminare le stampelle precocemente, non appena siano guariti i tessuti molli (entro 2 settimane), mentre in quelli non cementati è preferibile attendere 4-6 settimane per non disturbare il processo di osteointegrazione delle componenti. La riabilitazione precoce dopo protesi d’anca, nell’opinione di chi scrive, dovrebbe limitarsi all’insegnamento della deambulazione in appoggio sfiorante e degli esercizi di mantenimento del tono muscolare. Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita normale. Quanto dura una protesi d’anca? Le protesi attualmente disponibili hanno una sopravvivenza media di circa 15 anni, ma la variabilità individuale è grandissima. Il peso corporeo e il livello di attività fisica sembrano incidere in modo determinante sulla durata dell’impianto. Questo fa si che un paziente anziano, magro e con basse richieste funzionali possa ragionevolmente ritenere che il suo impianto sia “per sempre”. Non così un giovane attivo e sovrappeso, per il quale il rischio di andare incontro ad un intervento di riprotesizzazione è concreto. Si può fare sport con una protesi d’anca? Ritornare alla normalità significa, ovviamente, anche ripristinare quelle attività che contribuiscono alla qualità di vita. Per i pazienti più giovani, lo sport è sicuramente tra queste, ma in questo campo è necessario fare delle precisazioni. Innanzitutto la pratica sportiva richiede un completo recupero della funzione e della stabilità articolari, traguardi che difficilmente vengono raggiunti prima di 4 mesi dall’intervento. La protesi d’anca, poi, eliminando il dolore, si presta ad incentivare il paziente a riprendere le attività sportive che aveva da tempo interrotto. La mancanza di dolore durante una corsa, però, non significa che questa non sia potenzialmente dannosa per l’impianto protesico. In effetti tutti gli sport che comportano la corsa o il salto (jogging, volley, basket, calcio…) determinano violenti e ripetuti impatti della testa protesica nella coppa, con conseguente incremento dell’usura. Sono dunque sport assolutamente sconsigliati. Un’ulteriore considerazione meritano gli sport a rischio di trauma, perchè eseguiti in velocità (sci alpino, ciclismo) o a distanza da terra (equitazione). Il paziente che vi si cimenti deve ricordare che un incidente, magari provocato da terzi, può avere gravi ripercussioni sulla propria protesi. Insomma ci vuole prudenza, conoscenza dei propri limiti e delle condizioni ambientali. In conclusione gli sport ai pazienti protesizzati non sono vietati, purchè siano praticati soltanto ad un livello ludico-ricreativo e siano intrapresi con discernimento, privilegiando quelle attività (come il nuoto, il golf, la ginnastica) che incidono poco o nulla sull’usura dell’impianto e non espongono a situazioni pericolose. Esistono protesi “studiate” per i pazienti giovani? I pazienti giovani o relativamente giovani possono giovarsi di disegni protesici conservativi e di accoppiamenti a bassissima usura. Le protesi conservative sono modelli protesici che richiedono una minore asportazione ossea, soprattuto a livello femorale. In questo gruppo rientrano le protesi a conservazione del collo femorale e quelle di rivestimento. Le protesi conservative hanno indicazioni pittosto ristrette e il loro utilizzo richiede un’accurata selezione dei pazienti. Gli accoppiamenti a bassissima usura sono interfacce articolari che liberano quantità minime di detriti. Le interfacce tradizionali sono dette metallo-polietilene o ceramica-polietilene in base alla composizione della testa protesica e dell’inserto acetabolare (la parte interna della coppa). Sebbene il polietilene attuale sia capace di eccellenti prestazioni di durata (al punto che è considerato ideale nel paziente over-60), esso può liberare quantità di detriti considerevoli nei pazienti molto giovani e attivi. Per questo oggi tali pazienti sono spesso protesizzati con accoppiamenti metallometallo o ceramica-ceramica. (Fonte: www.ancaeginocchio.it/) NOSTRO COMMENTO: I migliori auguri a chi si opera. Caldo: rimedi Rimedi anti-caldo Fonte: http://www.donnad.it Il caldo sta inesorabilmente entrando nelle nostre case e uffici rendendoci stanche e poco energiche. Ecco per te alcuni suggerimenti e qualche piccolo trucco “fai da te” per farti superare questo momento con serenità ed allegria. la menta produce un’azione di freschezza immediata. Aggiungine un rametto in un litro di tè freddo per rendere la tua bevanda ancora più dissetante oppure procurati dell’olio essenziale di menta ed applica due gocce sulle tempie e sulla nuca: avrai un senso di freschezza immediato. Se lavori d’estate o fai lunghi tragitti in auto, tieni sempre nella borsa un minispray di acqua termale: vaporizzalo più volte su viso, gambe e braccia per abbassare la temperatura rapidamente. Puoi anche fare un impacco di acqua termale sul viso la sera: lascia una compressa imbevuta d’acqua sul viso fino a quando sarà completamente asciutta. Prepara dei cubetti ghiacciati di acqua di rose e passali più volte al giorno sul viso e sul décolleté. Aggiungi una goccia di olio essenziale di eucalipto, pino marittimo o lavanda alla tua crema quotidiana per il viso. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/caldorimedi.flv 368] 480 Tieni in frigorifero le creme per il viso da giorno e notte e la crema per il corpo: quando le applicherai sentirai un beneficio immediato. Anche il profumo può avere un effetto rinfrescante: scegli le fragranze con essenze di muschio, erbe o bosco. Ottimo anche un pediluvio rinfrescante: lascia i piedi per 15 minuti in una bacinella d’acqua nella quale avrai aggiunto con 2 cucchiai di bicarbonato e 8 gocce essenziale di menta. Prepara uno snack idratante: frulla insieme un cetriolo, una tazzina di ribes o lampone, aggiungi un vasetto di yogurt magro e qualche cubetto di ghiaccio. Per stimolare la micro-circolazione delle tue gambe, messa a dura prova dal caldo, vai sotto la doccia e dirigi il getto dell’acqua sulle gambe partendo dalle caviglie fino ai glutei, prima con l’acqua fredda e poi con quella tiepida. Poi stendi sulle gambe una crema all’ippocastano o al mirtillo per rinforzare i capillari. Ti sei alzata con gli occhi gonfi? Tieni in frigo della camomilla, imbevi delle compresse di garza e fai degli impacchi per 10 minuti. Inserisci nella tua dieta quotidiana delle bevande o delle tisane che ti aiutino anche a reidratarti: la mattina a digiuno bevi un bicchiere di acqua oligominerale o una tazza di tè verde freddo, dopo mangiato fai una tisana al finocchio che aiuta la digestione, nel pomeriggio prepara un centrifugato di carote e mele che ti aiuta anche a rinforzare la melanina, la sera bevi una tisana drenante alla betulla o alla gramigna. NOSTRO COMMENTO: Sono consigli utili e direi “rinfrescanti” che si possono seguire per attenuare l’afa estiva ed essere più leggeri e pimpanti. Le ustioni USTIONI Fonte Video: RAI UNO Fonte: www.saninforma.it Cosa sono Le ustioni sono lesioni provocate dagli effetti distruttivi sulla pelle causati dal calore (fiamma libera, corpi roventi o liquidi surriscaldati, raggi solari), da sostanze chimiche (es. acido muriatico, ammoniaca) o dalla corrente elettrica. In questa scheda si parlerà delle ustioni da calore mentre per alcuni altri tipi di ustioni si rimanda alle rispettive schede (Ustioni solari, Ustioni da sostanze chimiche). La maggior parte delle ustioni da calore sono dovute al mancato rispetto di elementari norme di sicurezza. E’ importante: non accendere fuochi con l’aiuto di liquidi infiammabili come l’alcool; prestare la massima attenzione in cucina quando in casa sono presenti bambini piccoli che possono ustionarsi con pentole d’acqua bollente, olio caldo ecc. Come si manifestano A seconda della gravità le ustioni vengono classificate in 3 gruppi: Ustioni di 1° grado: sono le più lievi, con semplice arrossamento, bruciore e dolore per contatto. Non sono presenti vesciche. Guariscono rapidamente e non lasciano cicatrici sulla pelle. Ustioni di 2° grado: oltre allo strato superficiale della pelle, viene colpito anche lo strato di tessuto immediatamente sottostante. Sono molto dolorose e sono presenti vesciche ripiene di liquido. Le ustioni meno gravi cicatrizzano nel giro di qualche settimana, quelle più profonde richiedono tempi più lunghi, spesso la guarigione è difficile e restano cicatrici permanenti. Ustioni di 3° grado: sono le più gravi in quanto nell’area colpita la pelle è completamente distrutta in tutto in suo spessore. Il loro aspetto è però spesso meno impressionante delle ustioni di 2° grado. Non è presente dolore per la distruzione dei recettori nervosi e non ci sono vesciche. La guarigione richiede tempi lunghi e lascia cicatrici permanenti (cheloidi) a volte sfiguranti al punto da dover ricorrere ad interventi di chirurgia plastica. La gravità dell’ustione dipende inoltre dall’estensione, dalla zona colpita e dalla causa che l’ha prodotta. Un’ustione di 3° grado ma di piccole dimensioni non rappresenta un pericolo per la vita. Al contrario, un?ustione di 2° grado molto estesa può avere una prognosi molto grave. Anche la zona colpita è importante, soprattutto se interessa articolazioni o aree cutanee soggette a stiramento o parti delicate. Le ustioni che interessano il viso, gli occhi, le orecchie e i genitali richiedono sempre una valutazione specialistica. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/USTIONI.flv 480 368] Altri fattori che condizionano la gravità del danno sono il tipo e il calore specifico dell’agente ustionante. In genere le ustioni da liquidi sono più estese, quelle da solidi (per esempio, la marmitta del motorino) localizzate ma più profonde. Indipendentemente dall?estensione, sono considerate ”importanti” tutte le lesioni da caustici e da folgorazione che vanno sempre sottoposte a osservazione medica. È facile intuire l’importanza del tempo di esposizione. Lesioni di uguale intensità (1° grado) sono provocate dal contatto per 6 ore con temperature di 45°C, per 2 minuti a 51°C, per un solo secondo a 60°C. Il contatto di un solo secondo con un corpo alla temperatura di 65°C è sufficiente a determinare una ustione di 2° grado. Quali sono i rischi L’ustione può infettarsi. Nei casi più gravi può esservi febbre, passaggio di batteri nel sangue e diffusione dell’infezione ad altre parti del corpo. Particolarmente a rischio sono i neonati e gli anziani sopra i 60 anni, soprattutto se portatori di malattie croniche (per esempio, il diabete). Cosa si deve fare Il primo soccorso ha come obiettivo quello di raffreddare e detergere la zona ustionata. L’immersione prolungata (almeno 10 minuti) in acqua fredda riduce l’arrossamento e il gonfiore, diminuendo l’estensione del danno e alleviando contemporaneamente il dolore. Se la parte ustionata è coperta da indumenti, rimuoverli con estrema attenzione: meglio tagliare la stoffa piuttosto che sfilarli. Le ustioni più lievi (1° grado) non richiedono particolari interventi. Il più delle volte sono sufficienti a ridurre il dolore impacchi ripetuti con acqua fredda. Se questo non basta, può essere utile l’applicazione di una crema anestetica (es. Ortodermina), tenendo presente il rischio di possibili sensibilizzazioni da contatto. Se il dolore è molto intenso si può far ricorso a un farmaco antiinfiammatorio non steroideo con attività analgesica come l’aspirina, l’ibuprofene (es. Moment) o il diclofenac (es. Novapirina) oppure al paracetamolo (es. Tachipirina) per via orale. In seguito, per lenire bruciore e prurito residui, può essere impiegata una crema cortisonica a bassa potenza come l’idrocortisone (es. Lenirit), purché la cute sia integra e solo per un breve periodo di tempo. Le ustioni più gravi (2° grado superficiali) devono essere deterse e disinfettate con una soluzione antisettica a base di clorexidina (es. Neoxene), clorossidante elettrolitico (es. Amuchina 10%) o povidone iodio (es. Betadine) dopo aver asportato eventuali frammenti di pelle distrutti dall’ustione. Sconsigliate le tinture, le soluzioni di acido borico o l’alcool denaturato. Qualora si formassero delle bolle, queste vanno aperte forandole con ago sterile (passato alla fiamma), facendo defluire il liquido, senza però togliere la pelle che forma il tetto della bolla. La pelle della vescica potrà essere delicatamente rimossa dopo alcuni giorni tagliandola con forbicine disinfettate con cura. L’area va medicata con una garza grassa (es. Adaptic, Jelonet, Non-ad), ricoperta con garza sterile e poi fasciata con una benda, senza mai comprimere troppo la parte colpita. Anche Fitostimoline e Connettivina garze vanno considerate nulla più che semplici garze grasse: non è infatti dimostrato il presunto effetto coadiuvante dei processi riparativi tessutali dei principi attivi in esse contenuti. La medicazione all’inizio andrà rinnovata giornalmente per rilevare l’andamento dei processi riparativi; in seguito ogni 3-4 giorni sino alla guarigione che in genere avviene in 2 settimane, disinfettando sempre accuratamente la parte. L’accurata detersione e disinfezione delle lesioni scongiura il rischio di infezioni e rende inutile l’impiego di antibiotici topici. E’ importante ricordare che: non si deve cospargere l’ustione di olio, perché impedisce una accurata pulizia della lesione e, ostacolando la dispersione di calore, favorisce la macerazione della pelle e fa aumentare il rischio di infezioni; non impiegare creme antibiotiche senza aver prima consultato il medico; non impiegare acido borico, alcool denaturato, sostanze coloranti, tutte tossiche per le cellule. Nelle ustioni più gravi (2° e 3° grado) il trattamento è di pertinenza medica. Non applicare prodotti di alcun tipo sull’ustione e far bere acqua se il soggetto avverte sete intensa. Trasportare immediatamente il soggetto ad un Pronto Soccorso. quando rivolgersi al medico Per tutte le ustioni di 2° e 3° grado. Per le ustioni che interessano parti delicate del corpo, come il viso o l’addome. Se compare febbre elevata, sopra i 39° C. In caso di ritardo nella guarigione nonostante gli interventi effettuati. In caso di infezione della parte ustionata. Quando il paziente è anziano, è ammalato di diabete o è un bambino al di sotto dei 3 anni di età. NOSTRO COMMENTO: Chi ha un’ustione seria deve subito ricorrere al medico Le cicatrici Riduzione delle cicatrici/ Fonte Video: RAI UNO Fonte:www.chirurgia-plastica-estetica.it Che cos’è una cicatrice? La cicatrice è il tessuto che colma le ferite e le perdite di sostanza dei tessuti e degli organi. Il tessuto cicatriziale, infatti, si forma tutte le volte che si verifica un’interruzione della continuità della cute (epidermide e derma) in seguito ad un evento patologico o traumatico. Esistono diversi tipi di cicatrici? Esistono fondamentalmente due tipi di cicatrici patologiche: il cheloide e la cicatrice ipertrofica. Il cheloide è una vera e propria neoformazione, spessa, arrossata, pruriginosa o dolente che ha origine da una cicatrice, ma si sviluppa sempre oltre i confini della cicatrice da cui deriva. I cheloidi si formano molto raramente, possono comparire ovunque, ma si sviluppano soprattutto a livello toracico in corrispondenza dello sterno, sui padiglioni auricolari e a livello delle spalle e sono più frequenti nella popolazione di colore. La cicatrice ipertrofica spesso viene scambiata per un cheloide, ma a differenza di questo il tessuto cicatriziale in esubero rimane all’interno dei confini della cicatrice che si presenta arrossata e rilevata. Spesso si accompagna ad una sintomatologia pruriginosa e talvolta a dolore locale. Da quali fattori dipende la migliore o minore qualità di una cicatrice? La qualità delle cicatrici, sia che si formino per eventi traumatici che in seguito ad interventi chirurgici, dipende in larga parte dal modo in cui la cute di un soggetto tende a guarire e in misura minore dal tipo di evento che ne ha determinato la formazione e dalle precauzioni adottate durante la fase di guarigione. Le variabili che influenzano la formazione di una cicatrice sono molteplici: in generale, i soggetti con carnagione chiara hanno maggiore probabilità di presentare cicatrici di buona qualità rispetto ai soggetti con carnagione scura (mediterranea). Inoltre in alcune regioni del corpo le cicatrici tendono per costituzione a risultare più evidenti, come ad esempio nella regione toracica, dietro le orecchie e sulle spalle. Esistono tuttavia delle situazioni in cui la probabilità di formazione di una brutta cicatrice sono indipendenti dalle caratteristiche del soggetto, come nel caso di esiti cicatriziali da ustione di II grado profondo o di III grado o in seguito a traumi complessi. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/cicatrici.flv 480 368] E’ possibile eliminare le cicatrici? A differenza di quanto comunemente si pensi, le cicatrici sono dei segni permanenti che non possono essere eliminati con nessuna tecnica chirurgica, ma soltanto migliorate. Quali trattamenti si possono effettuare per migliorare le cicatrici? Le cicatrici cheloidee e quelle ipertrofiche possono essere migliorate sia mediante trattamenti medici che chirurgici. Prima di ricorrere ad un intervento chirurgico di revisione della cicatrice sono usualmente presi in considerazione tutti gli altri possibili trattamenti medici volti a migliorare l’aspetto della cicatrice, soprattutto nel caso di cicatrici poco evidenti in cui l’intervento chirurgico potrebbe dare scarsi risultati. In ogni caso, prima di ricorrere ad un intervento di revisione della cicatrice è necessario attendere circa un anno dall’evento che ne ha determinato l’origine. Durante questo periodo, infatti, la cicatrice va incontro a numerose trasformazioni che la rendono molto evidente soprattutto nei primi 3 mesi, fino a maturare e arrivare ad una conformazione definitiva. Quali sono i trattamenti medici e chirurgici utilizzati per correggere le cicatrici? I trattamenti medici della cicatrice sono: Massaggio ripetuto più volte al giorno. Compressione continua (ove questo risulti possibile). Occlusione con fogli di gel di silicone o pomata con gel di silicone. Iniezione di cortisonici. Dermoabrasione Trattamenti laser. Trattamenti con basse dosi di radiazioni. I trattamenti chirurgici della cicatrice consistono nella: Escissione “intralesionale”. Escissione completa. Il tipo di tecnica chirurgica adottata dallo specialista per migliorare le cicatrici da trattare varia a seconda del tipo di cicatrice, della sua ampiezza e dalla regione corporea interessata. Notevoli speranze di miglioramento sono riposte in una nuova tecnica chirurgica che utilizza tessuto autologo (cellule proprie) che prende il nome di Recell. Le opzioni chirurgiche possibili devono essere discusse esaurientemente con il paziente che deve conoscere con precisione quali possono essere le sue aspettative di miglioramento. Quali trattamenti chirurgici sono indicati per le cicatrici cheloidee e per quelle ipertrofiche? I trattamenti chirurgici delle cicatrici variano a seconda che si tratti di cicatrici cheloidee o ipertrofiche. Il trattamento chirurgico del cheloide, a cui si giunge di solito dopo una serie di tentativi con terapia medica, prevede l’escissione cosiddetta “intralesionale” della formazione, ossia senza la sua completa asportazione. Seguendo tale tecnica è stato visto che la probabilità, comunque sempre alta, che si riformi un cheloide delle stesse dimensioni si riduce. Il trattamento chirurgico della cicatrice ipertrofica prevede, invece, l’escissione dell’intera cicatrice. Anche in questo caso, comunque, la probabilità che si riformi una cicatrice di qualità scadente è alta, essendo le caratteristiche soggettive della cute del paziente l’elemento determinante nell’insorgenza di cicatrici patologiche. Riduzione delle cicatrici Che cos’è una cicatrice? La cicatrice è il tessuto che colma le ferite e le perdite di sostanza dei tessuti e degli organi. Il tessuto cicatriziale, infatti, si forma tutte le volte che si verifica un’interruzione della continuità della cute (epidermide e derma) in seguito ad un evento patologico o traumatico. Esistono diversi tipi di cicatrici? Esistono fondamentalmente due tipi di cicatrici patologiche: il cheloide e la cicatrice ipertrofica. Il cheloide è una vera e propria neoformazione, spessa, arrossata, pruriginosa o dolente che ha origine da una cicatrice, ma si sviluppa sempre oltre i confini della cicatrice da cui deriva. I cheloidi si formano molto raramente, possono comparire ovunque, ma si sviluppano soprattutto a livello toracico in corrispondenza dello sterno, sui padiglioni auricolari e a livello delle spalle e sono più frequenti nella popolazione di colore. La cicatrice ipertrofica spesso viene scambiata per un cheloide, ma a differenza di questo il tessuto cicatriziale in esubero rimane all’interno dei confini della cicatrice che si presenta arrossata e rilevata. Spesso si accompagna ad una sintomatologia pruriginosa e talvolta a dolore locale. Da quali fattori dipende la migliore o minore qualità di una cicatrice? La qualità delle cicatrici, sia che si formino per eventi traumatici che in seguito ad interventi chirurgici, dipende in larga parte dal modo in cui la cute di un soggetto tende a guarire e in misura minore dal tipo di evento che ne ha determinato la formazione e dalle precauzioni adottate durante la fase di guarigione. Le variabili che influenzano la formazione di una cicatrice sono molteplici: in generale, i soggetti con carnagione chiara hanno maggiore probabilità di presentare cicatrici di buona qualità rispetto ai soggetti con carnagione scura (mediterranea). Inoltre in alcune regioni del corpo le cicatrici tendono per costituzione a risultare più evidenti, come ad esempio nella regione toracica, dietro le orecchie e sulle spalle. Esistono tuttavia delle situazioni in cui la probabilità di formazione di una brutta cicatrice sono indipendenti dalle caratteristiche del soggetto, come nel caso di esiti cicatriziali da ustione di II grado profondo o di III grado o in seguito a traumi complessi. E’ possibile eliminare le cicatrici? A differenza di quanto comunemente si pensi, le cicatrici sono dei segni permanenti che non possono essere eliminati con nessuna tecnica chirurgica, ma soltanto migliorate. Quali trattamenti si possono effettuare per migliorare le cicatrici? Le cicatrici cheloidee e quelle ipertrofiche possono essere migliorate sia mediante trattamenti medici che chirurgici. Prima di ricorrere ad un intervento chirurgico di revisione della cicatrice sono usualmente presi in considerazione tutti gli altri possibili trattamenti medici volti a migliorare l’aspetto della cicatrice, soprattutto nel caso di cicatrici poco evidenti in cui l’intervento chirurgico potrebbe dare scarsi risultati. In ogni caso, prima di ricorrere ad un intervento di revisione della cicatrice è necessario attendere circa un anno dall’evento che ne ha determinato l’origine. Durante questo periodo, infatti, la cicatrice va incontro a numerose trasformazioni che la rendono molto evidente soprattutto nei primi 3 mesi, fino a maturare e arrivare ad una conformazione definitiva. Quali sono i trattamenti medici e chirurgici utilizzati per correggere le cicatrici? I trattamenti medici della cicatrice sono: Massaggio ripetuto più volte al giorno. Compressione continua (ove questo risulti possibile). Occlusione con fogli di gel di silicone o pomata con gel di silicone. Iniezione di cortisonici. Dermoabrasione Trattamenti laser. Trattamenti con basse dosi di radiazioni. I trattamenti chirurgici della cicatrice consistono nella: Escissione “intralesionale”. Escissione completa. Il tipo di tecnica chirurgica adottata dallo specialista per migliorare le cicatrici da trattare varia a seconda del tipo di cicatrice, della sua ampiezza e dalla regione corporea interessata. Notevoli speranze di miglioramento sono riposte in una nuova tecnica chirurgica che utilizza tessuto autologo (cellule proprie) che prende il nome di Recell. Le opzioni chirurgiche possibili devono essere discusse esaurientemente con il paziente che deve conoscere con precisione quali possono essere le sue aspettative di miglioramento. Quali trattamenti chirurgici sono indicati per le cicatrici cheloidee e per quelle ipertrofiche? I trattamenti chirurgici delle cicatrici variano a seconda che si tratti di cicatrici cheloidee o ipertrofiche. Il trattamento chirurgico del cheloide, a cui si giunge di solito dopo una serie di tentativi con terapia medica, prevede l’escissione cosiddetta “intralesionale” della formazione, ossia senza la sua completa asportazione. Seguendo tale tecnica è stato visto che la probabilità, comunque sempre alta, che si riformi un cheloide delle stesse dimensioni si riduce. Il trattamento chirurgico della cicatrice ipertrofica prevede, invece, l’escissione dell’intera cicatrice. Anche in questo caso, comunque, la probabilità che si riformi una cicatrice di qualità scadente è alta, essendo le caratteristiche soggettive della cute del paziente l’elemento determinante nell’insorgenza di cicatrici patologiche. Come si svolge la visita pre-operatoria? Il trattamento chirurgico delle cicatrici è un intervento molto personalizzato che, come tale, necessita di un’accurata visita specialistica. Durante la prima visita il chirurgo dovrà valutare la qualità e le dimensioni della cicatrice e illustrarvi i risultati estetici che è possibile concretamente ottenere. Il chirurgo dovrà inoltre valutare le vostre condizioni di salute per escludere la presenza di alterazioni (quali problemi di coagulazione o di cicatrizzazione, pressione alta, ecc.) che potrebbero influire sul risultato estetico dell’intervento. Al termine della visita il chirurgo, d’accordo con voi, sceglierà la procedura chirurgica più indicata al vostro caso. Prima dell’intervento riceverete istruzioni specifiche relative all’alimentazione pre e post-operatoria, all’assunzione di farmaci, alcool e sigarette. Che tipo di anestesia viene praticata? L’intervento chirurgico di revisione della cicatrice viene generalmente eseguito in anestesia locale in regime di day hospital ed ha una durata variabile in relazione alla cicatrice da trattare. Qual è il decorso post-operatorio? Al fine di ottenere il miglior risultato possibile, è importante che dopo l’intervento chirurgico di revisione della cicatrice seguiate scrupolosamente tutte le indicazioni che il chirurgo di volta in volta vi darà. Nel periodo postoperatorio è consigliata l’applicazione di presidi medici a livello della nuova cicatrice durante la sua fase di maturazione al fine di ridurre al minimo la possibilità della formazione di una cicatrice di cattiva qualità. Le modalità e i tempi di tali trattamenti vi verranno illustrati dallo specialista in occasione dei controlli ambulatoriali. La ripresa di una normale attività è strettamente dipendente dal tipo di intervento a cui sarete stati sottoposti. Per semplici revisioni di piccole cicatrici effettuate in anestesia locale, di solito già dal giorno successivo all’intervento si possono riprendere le normali occupazioni quotidiane. Che tipo di risultato si può ottenere con l’intervento di revisione della cicatrice? Il risultato estetico varia dalla risposta del singolo paziente ed è condizionato da diversi fattori (tipo di carnagione, zona del corpo interessata, ecc.). Il risultato è permanente e sarà definitivamente raggiunto a distanza di circa un anno dall’intervento NOSTRO COMMENTO: la decisione circa l’eliminazione di una brutta cicatrice è un fatto strettamente personale lasciato, ovviamente, alla libera valutazione del paziente stesso. Il glaucoma GLAUCOMA / Fonte Video: RAI UNO Fonte: www.centroitalianoglaucoma.it Con il termine glaucoma si indica un gruppo di patologie caratterizzate da una progressiva perdita delle cellule ganglionari retiniche , da un deficit funzionale caratteristico (valutabile con l’ esame del campo visivo) e da tipiche alterazioni anatomiche della testa del nervo ottico. Il glaucoma può essere del tutto asintomatico fino alle fasi più tardive della malattia . Si stima che la metà delle persone affette da glaucoma non sappia di essere malata. Il glaucoma è causato da numerose patologie o alterazioni oculari, che nella maggior parte dei casi si associano ad una aumentata pressione intraoculare (IOP), che è il principale fattore di rischio per la malattia. L’ ipertono oculare è causato da un’ alterazione dell’ idrodinamica dei fluidi oculari (umore acqueo) e nel tempo provoca danni non reversibili al nervo ottico. Diviene quindi di fondamentale importanza la diagnosi precoce e l’ impostazione del trattamento per preservare la funzione visiva. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/glaucoma.flv 480 368] L’ umore acqueo viene prodotto in continuazione dal corpo ciliare, una piccola ghiandola situata dietro l’ iride; riempie la camera anteriore, nutre la cornea e il cristallino, e passa attraverso la pupilla dalla camera posteriore a quella anteriore, dove defluisce a livello dell’ angolo formato da iride e cornea. In questa zona è presente un tessuto spugnoso, chiamato trabecolato, che è il punto di drenaggio dell’ umore acqueo. Se il trabecolato, per cause primarie o secondarie, si intasa, l’ umore acqueo non riesce più a defluire e, essendo l’ occhio un sistema chiuso, la pressione intraoculare aumenta. L’ aumento della IOP causa danni alle fibre nervose retiniche portandole alla morte . La perdita di cellule nervose causa un lento e irreversibile calo della capacità visiva. La diagnosi corretta e la terapia possono prevenire l’ infausto esito del glaucoma. Fattori di rischio e presentazione Il glaucoma è la prima causa di cecità irreversibile al mondo nei paesi industrializzati e risulta affetto il 2% della popolazione. Grossi studi clinici controllati hanno fornito importanti informazioni riguardo ai “fattori di rischio” per il glaucoma, che sono: Età Sesso Razza Pressione intraoculare Spessore corneale centrale Struttura della papilla ottica Miopia Elevati livelli di ipermetropia Ipotensione arteriosa Familiarità Fattori vascolari Prolungata terapia con corticosteroidi Non esiste (per ora) una cura definitiva per il glaucoma: la perdita visiva non può essere recuperata, ma con una terapia farmacologica o chirurgia, agendo sulla riduzione della IOP (che ricordiamo è il fattore di rischio principale) si può prevenire l’ ulteriore perdita visiva. Il glaucoma è una condizione cronica e deve essere monitorata frequentemente per tutta la vita, in quanto il quadro clinico può modificarsi negli anni. Nel glaucoma ad angolo aperto potrebbero non esserci sintomi. La pressione intraoculare elevata, di solito, non da dolore. La perdita visiva inizia alla periferia del campo visivo e solo nelle fasi più tardive coinvolge la visione centrale. Il miglior modo per proteggersi dal glaucoma è sottoporsi a una visita oculistica e, se venisse diagnosticata la malattia, iniziare subito la terapia. Classificazione Nell’ adulto il glaucoma si suddivide in : – glaucoma ad angolo aperto (primario o secondario) – glaucoma ad angolo stretto (primario o secondario) Le due forme differisco per patogenesi e presentazione, ma entrambe portano a una progressiva perdita dell’ acuità visiva. NOSTRO COMMENTO: La pressione alta, l’elevata miopia, la pressione endoculare consigliano di approfondire la situazione e, nel caso di riscontro di un glaucoma, farsi operare col laser. L’intervento non desta preoccupazione.- La cataratta CATARATTA Fonte: www.grvision.com. Sono davvero notevoli i miglioramenti che la chirurgia della cataratta ha avuto negli ultimi anni, grazie all’evoluzione tecnologica. L’invasività è ridotta ormai ai minimi termini: basti pensare che, se nei primi interventi era necessaria un’incisione oculare di almeno cinque o sei millimetri, oggi ne sono sufficienti solo due per rimuovere il tessuto alterato e inserire la nuova lente artificiale. Questi progressi hanno contribuito alla diffusione di questo intervento che oggi è eseguito in oltre 550mila casi. Tra le varie tecniche, sta vivendo una seconda giovinezza quella a ultrasuoni, che recenti innovazioni hanno portato a un livello di perfezionamento elevato. «Questa metodica, in assoluto la più utilizzata al mondo, si avvale di uno speciale strumento a punta, che l’ultrasuono fa vibrare, provocandone un movimento che frantuma il cristallino», spiega il dottor Gianluca Rubiolini, medico oculista presso l’Ospedale Moriggia Pelascini di Gravedona (Como), www.grvision.com. «La novità consiste nel fatto che oggi è possibile conferire a questo strumento una multi-direzionalità, che gli consente di eseguire non solo movimenti oscillatori antero-posteriori (a mo’ di un pendolo), ma anche torsionali. L’intervento è quindi estremamente mirato, la quantità di ultrasuoni emessa è ridotta, l’impatto sull’occhio è minimo». La tecnica a ultrasuoni trova indicazioni per tutti i tipi di cataratta, dalle forme lievi alle più avanzate. Miglioramenti significativi riguardano anche i cristallini artificiali: «Il materiale plastico con cui sono realizzati, dapprima rigido, col tempo è andato assumendo una consistenza sempre più malleabile, tanto che oggi può essere praticamente iniettato nell’occhio con un apposito strumento simile a una siringa, per poi essere posizionato, una volta all’interno, in modo definitivo», sottolinea il dottor Rubiolini. «Questo riduce sensibilmente eventuali rischi o effetti collaterali, accorciando notevolmente anche i tempi di riabilitazione. Il recupero visivo è rapido, con una visione soddisfacente già nelle prime ore postoperatorie». Il fiore all’occhiello di questo tipo di chirurgia sono le lenti intraoculari di ultima generazione: cristallini evoluti in grado di contrastare anche difetti visivi preesistenti. Per i pazienti che lo desiderano e che ne fanno richiesta, miopia, ipermetropia e perfino astigmatismo possono essere corretti durante la rimozione della cataratta. Infine, una speciale lente multifocale permette di poter vedere da vicino, eliminando l’uso degli occhiali». È importante poter lavorare con tranquillità, studiando il paziente e valutando il tipo di cristallino da utilizzare. Fondamentale la selezione del Centro dove eseguire l’intervento. Come funziona? Quanto Dura? • L’operazione per eliminare la cataratta non richiede alcun ricovero. • Si esegue un anestesia topica che consiste nell’applicazione di gocce di collirio anestetico. • L’intervento dura, in genere, 20 minuti. • Non è doloroso! • Viene inserito un cristallino artificiale sostituisce quello opacato. che NOSTRO COMMENTO: da come si può vedere e leggere sopra, chi soffre di cataratta e vede offuscato deve andare subito a farsi operare. L’intervento non desta alcuna preoccupazione e risolve radicalmente il problema. La prostata IL TUMORE PROSTATICO/ FONTE VIDEO: RAI UNO I pazienti ai quali è stato diagnosticato un tumore prostatico necessitano spesso di informazioni relative al tumore e alle opzioni di trattamento. Su queste pagine sono disponibili moltissime informazioni utili. Per sconfiggere il tumore prostatico, l’unica arma è la conoscenza. Lo scopo di curaprostata.it è fornire informazioni ai pazienti affetti da tumore prostatico e alle loro famiglie. “Lei ha un tumore alla prostata”. Nessun uomo vorrebbe sentirsi dire questa frase. Il tumore alla prostata può incutere timore, ma se viene diagnosticato allo stadio iniziale le possibilità di sopravvivenza sono elevatissime. La scienza medica ha fatto grandi passi avanti nella diagnosi del tumore prostatico e nel trattamento di questa neoplasia. Progressi nei trattamenti Se viene diagnosticato un tumore prostatico, è necessario prendere una decisione importante. Quale trattamento è migliore per voi? Nel passato le comuni opzioni di trattamento del tumore prostatico possono essere sembrate aggressive, incerte oppure potevano avere effetti collaterali preoccupanti. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/prostata.flv 480 368] Per questi ed altri motivi, incluso il fatto che il tumore prostatico tende ad avere una progressione lenta, alcuni pazienti scelgono un atteggiamento di vigile attesa. Questo comporta il monitoraggio sistematico della progressione della malattia senza trattamenti specifici, tenendo sotto controllo la possibile propagazione del tumore. Fortunatamente, i progressi in campo tecnologico hanno portato a miglioramenti nel trattamento. Attualmente, è disponibile un’ampia gamma di trattamenti per il tumore prostatico. Nella scelta del trattamento è opportuno individuarne uno che consenta di combinare il miglior risultato possibile a effetti collaterali minimi. Questo sito Web consente di confrontare i vantaggi e gli svantaggi delle varie opzioni di trattamento. (Fonte: http://myprostatecanceroptions.com/it/) NOSTRO COMMENTO: dopo la mezza età, specie se esiste familiarità, è bene fare con frequenza annuale un PSA per accertarsi che tutto vada bene. Esofago di Barrett ESOFAGO DI BARRETT/Fonte Video: RAI UNO L’epitelio di Barrett o esofago di Barrett è una metaplasia a carico dell’epitelio esofageo, che viene sostituito con epitelio colonnare. E’ una complicanza patologica dell’esofago, in seguito a reflusso gastroesofageo (RGE). In seguito al rilasciamento del cardias, il succo gastrico acido, a contatto prolungato con l’esofago, origina una modificazione dell’epitelio che tenta di difendersi dall’acido. Le cellule che sostituiscono il tratto di epitelio esofageo che viene a contatto con il reflusso acido hanno caratteristiche molto simili a quelle duodenali e costituiscono l’esofago di Barrett. [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/esofago.flv 480 368] Tale patologia è spesso pre-cancerosa poiché questo epitelio può andare incontro a incontrollata replicazione; questo succede circa nel 2-5% dei casi. NOSTRO COMMENTO: Attenzione al reflusso gastro_esofageo! Se è persistente è bene fare accertamenti. Scivolamento vertebrale.FONTE VIDEO: RAI UNO SCIVOLAMENTO VERTEBRALE (Prof. Roberto BASSANI) E’ una tecnica poco diffusa in Europa, ma che riscuote grandi consensi negli Stati Uniti, dove è praticata comunemente: è la discoplastica, una metodica consolidata e adatta a chi soffre di degenerazione dei dischi vertebrali. Con la discoplastica si torna subito efficienti dopo una ventina di giorni dall’intervento, abbreviando di circa cinque volte i tempi di recupero. E non è un fatto da poco, visto che solo nel nostro Paese le persone con oltre quarant’anni che soffrono di patologie dei dischi vertebrali sono migliaia. La discoplastica rimette a posto la schiena a tempo di record grazie a una protesi artificiale che restituisce la piena mobilità al tratto lombare. E’ questo a Bruxelles il tema centrale di “EuroSpine”, il più importante congresso europeo dedicato allo studio e allo sviluppo delle nuove tecnologie per il trattamento delle patologie della colonna vertebrale. Gli specialisti europei, ortopedici e neurochirurghi della colonna vertebrale, per confermare l’efficacia della nuova tecnica lanciano uno studio che coinvolge nove paesi. “La discoplastica è un intervento che prevede la sostituzione del disco danneggiato con una protesi artificiale – spiega Roberto Bassani, chirurgo ortopedico e vertebrale della Divisione di Ortopedia e Traumatologia diretta dal Prof. G.P. Jelmoni del IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia – la cui funzione è quella di riprodurre meccanicamente nel modo migliore possibile il movimento con caratteristiche simili ad un disco sano.” [flv:/wp-content/themes/mimbo2.2/video/scivolvertebrale.flv 480 368] La mobilità del tratto lombare viene quindi mantenuta con tempi di recupero estremamente brevi. I pazienti infatti sono già in piedi il giorno dopo l’intervento e possono iniziare un attività fisica moderata dopo soli 20-25 giorni dall’operazione. I tempi di riabilitazione sono sensibilmente ridotti rispetto a quelli richiesti dalla vecchia tecnica di fusione, che richiede dai 4 agli 8 mesi. Requisito essenziale per la riuscita dell’intervento è la selezione del paziente: la discoplastica è adatta a persone tra i 30 e i 50 anni di età, che soffrono di mal di schiena cronico, con una degenerazione iniziale del disco vertebrale e che non sono riusciti a risolvere il problema con la terapia conservativa e presentano o meno la ben nota “sciatica” (lombosciatalgia), riconducibile proprio alla discopatia degenerativa. L’artoplastica, largamente usata da molti anni per l’anca ed il ginocchio, è solo da poco impiegata per trattare la malattia degenerativa dei dischi vertebrali a livello lombare e cervicale. Ancora oggi infatti, per la patologia del disco vertebrale, si ricorre ad interventi chirurgici tradizionali e collaudati ma più invasivi. “La discoplastica – spiega il professor Bassani – è una delle metodiche attualmente più vicina alla normale fisiologia del tratto lombare”. L’esperto spiega infatti che la colonna vertebrale è quanto di più mobile ci possa essere in natura ed è per questo che la ricerca tende a sviluppare sistemi di protesi e tecniche chirurgiche che riproducano tale movimento. Spiega ancora l’esperto:” Con la moderna tecnica si riducono anche il sovraccarico e l’usura precoce dei dischi vertebrali adiacenti, che la chirurgia di fusione tradizionale provoca nei soggetti giovani”. NOSTRO COMMENTO: Meglio la protesi che l’invalidità ed il dolore.