La rassegna di oggi

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La rassegna di oggi
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 7 dicembre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Serracchiani: primarie anche se mi ricandido (M. Veneto)
Cecotti incassa la vittoria del No: «La Regione può ancora redimersi» (Piccolo)
Il no salva le Province tranne che in Fvg (Piccolo)
I sindaci anti-Uti rimangono fuori. Respinta la mano tesa della giunta (M. Veneto, 2 articoli)
Trieste e l’Isontino senza treni per 20 ore (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 7)
La Net chiude via Gonars. Daneco ne manda a casa 9 (M. Veneto Udine)
L'appello: un patto per il rilancio del Friuli (M. Veneto Udine)
Proroga al dirigente e concorso congelato. Cresce la polemica (M. Veneto Udine)
«La Regione riveda le leggi su sanità e servizi sociali» (M. Veneto Udine)
Ex Aussa Corno, fondi dalla Regione per le riassunzioni (M. Veneto Udine)
Lavanderie, asse Fantuzzi-Sogesi (M. Veneto Pordenone)
Casagrande, un altro sciopero per il contratto integrativo (M. Veneto Pordenone)
Coop, il deposito bruciato ritornerà com’era prima (M. Veneto Pordenone)
Ortopedia, l'appello del personale (Gazzettino Pordenone)
Scuola, verso un lunedì “caldo” (M. Veneto Pordenone)
In Porto sessanta nuovi posti di lavoro (Piccolo Trieste)
Borse di sostegno per i disoccupati (Piccolo Trieste)
Nelle bollette dell’acqua meno 60 euro di quota fissa (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Serracchiani: primarie anche se mi ricandido (M. Veneto)
di Anna Buttazzoni - «Ma cosa farà Debora Serracchiani?». «Ma dov’è, lei che deve chiarezza alla
Regione e al partito?». Loro s’interrogano e Serracchiani si materializza, alla riunione del gruppo di
consiglieri regionali del Pd, convocato per discutere della legge di bilancio 2017 e sfociata
nell’analisi della sconfitta referendaria. Entra in sala e placa gli animi. Non scioglie le riserve sul
suo futuro, nemmeno su quello immediato che oggi la vedrà al fianco di Matteo Renzi come
numero due del Pd nazionale, all’infuocata Direzione del partito. Ma su una cosa Serracchiani è
chiara. Il prossimo candidato alla presidenza del Friuli Venezia Giulia passerà dalle primarie, anche
dovesse essere lei. E all’inizio del prossimo anno, tra gennaio e febbraio, si deciderà quando
celebrare la consultazione. È il suo stile. Serracchiani spiazza tutti, anche il suo vice, Sergio
Bolzonello, considerato il candidato in pectore, e lascia più d’uno con il muso lungo. Nella sede
udinese della Regione gli eletti sono irrequieti e per la prima volta con così tanta veemenza,
vogliono conoscere il destino politico di Serracchiani. Ma non trovano risposte, probabilmente
perché a non averle è per prima la vicesegretaria dem. Il Pd non vuole elezioni anticipate in Regione
– la scadenza naturale è aprile 2018 –, pretende di sapere subito cosa farà Serracchiani e le chiede di
lasciare il ruolo nazionale. Lei non batte ciglio, annuncia sorprese, richiama gli eletti a non farsi
prendere dal panico, a tenere il punto (con orgoglio) sulle azioni compiute finora e a non sbandare
nemmeno sulla prossima legge per il bilancio 2017 del Fvg, che sarà in Consiglio da martedì 13
dicembre. Adesso più che mai c’è una regola da rispettare, non rincorrere nessuno. Una parte della
sua sorte politica emergerà oggi. Gli ultimi rumors dicono che Renzi si terrà stretta la leadership del
partito e non spingerà per elezioni politiche subito. Se così sarà nemmeno Serracchiani lascerà
l’incarico al Nazareno, pronta a respingere (come negli ultimi anni) gli assalti di chi continuerà a
chiederle un passo indietro. Sul suo futuro da presidente, invece, è inutile continuare a tirarla per la
giacca. Ieri davanti ai regionali Serracchiani ha lasciato aperte entrambe le porte. È certo che non
sarà automatica la sua eventuale ricandidatura in Regione, ma passerà appunto dalle primarie.
Perché? Perché vuole la legittimazione della base del partito e perché la storia recente di Trieste
insegna. Non vuole Serracchiani un altro caso Roberto Cosolini, il sindaco uscente del Pd,
ricandidato a giugno senza alcuna discussione. Fino a quando quattro mesi prima delle elezioni il
senatore triestino Francesco Russo ha chiesto e ottenuto le primarie. Ecco, basta una volta e dunque
per la scelta del candidato alla presidenza del Fvg ci saranno le primarie, con regole ancora da
condividere e stabilire. Ma Serracchiani sarà della partita? E in Regione ci saranno elezioni
anticipate? Per rispondere è necessario attendere la data, o almeno il periodo, delle elezioni
politiche. Se fosse primavera o autunno (quest’ultima ipotesi ancor più favorevole al Fvg), la
Regione potrebbe arrivare a scadenza naturale. Perché Serracchiani potrebbe candidarsi a Roma
senza doversi dimettere da presidente Fvg e solo una volta eletta dovrebbe optare per una delle due
poltrone. Dal momento delle dimissioni da presidente Fvg scatterebbero 60 giorni per indire nuove
elezioni, ma non c’è un tempo da dover rispettare. Paradossalmente, insomma, si potrebbe
approdare molto vicini alla scadenza dell’aprile 2018. Fantapolitica? Forse. Nel frattempo
Serracchiani fissa le primarie in regione e attende. I consiglieri si guardano un po’ spaesati. A
parlare è anche Bolzonello che – parafrasando il suo intervento – ricorda che la giunta regionale sta
governando con un programma molto chiaro, condiviso da tutti e che la solidità dell’azione di
governo dev’essere rivendicata. Lei gli dà ragione, spunta le cose fatte – almeno tre quarti di quanto
promesso, riferiscono i presenti – e lascia il gruppo, per volare a Roma. Serracchiani ieri ha anche
scritto una lettera, ai circoli del Pd della regione (il testo integrale è riportato qui a destra).
«Abbiamo perso. Tutti, a cominciare da me, siamo chiamati a riflettere sugli errori commessi. Ma
sono orgogliosa di voi – ha scritto la dem –, della vostra presenza in ogni territorio di questa
regione, del vostro amore per la politica e per la cura del bene comune». Gli altri passi sono rinviati.
I primi si compiranno oggi.
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Cecotti incassa la vittoria del No: «La Regione può ancora redimersi» (Piccolo)
di Marco Ballico - Sergio Cecotti ha partecipato a trenta incontri pubblici. Ha detto No e ancora No.
Si è battuto, alzando anche la voce, sottolineando quelle che, a suo parere, erano modifiche
costituzionali che non garantivano per nulla l’autonomia della Regione. E adesso che il No ha vinto,
che il pericolo è passato e che il renzismo «pare meno pericoloso», dice di poter tornare a vita
privata. Anche se, aggiunge, «mai dire mai». Chissà che mesi di impegno per combattere la riforma
costituzionale non abbiano restituito davvero voglia di ritornare in pista all’ex presidente della
Regione e sindaco di Udine. Di certo, per Cecotti, è stata una partita madre. Una partita ancora da
vincere. Perché, afferma, «il centralismo è stato solo ferito». Cecotti, ha vinto il No. Una
conclusione scontata per come era stata modificata la Costituzione da lei ripetutamente e su più
fronti criticata? La campagna elettorale e i dibattiti pubblici in particolare sono serviti a informare i
cittadini? Nella mia esperienza personale pochi elettori hanno cambiato opinione ascoltando i
dibattiti. Gli incontri hanno avuto un’altra funzione: fare sentire alle singole persone che c’era una
società che alzava la testa, che discuteva, che non si arrendeva supina al volere del Principe. È stato
un ritrovarsi fra uomini liberi, un riconoscere nell’altro la nostra stessa indignazione, un riscoprirsi
cittadini di una comunità politica. Paradossalmente, anche gli eventi del comitato per il Sì hanno
rafforzato questo sentimento di patriottismo civile, e hanno contribuito a formare l’humus per la
vittoria del No. L’autonomia regionale, dopo il risultato di domenica, è salva? E fino a quando? È
stata vinta una battaglia d’arresto, ma non facciamoci troppe illusioni. Il centralismo è stato ferito,
ma non ucciso. Renzi ha fatto bene a dimettersi o avrebbe fatto meglio a distinguere questa partita
dalla sua azione di governo? Da un punto di vista astratto, avrebbe potuto rimanere al governo,
posto che ha tuttora la maggioranza alle Camere. Ma stare a Palazzo Chigi senza più alcuna
autorevolezza politica avrebbe nuociuto a lui, al suo partito e alle stesse istituzioni. Credo abbia
fatto la scelta più sensata. Che responsabilità ha Debora Serracchiani per questo risultato? Il 40 per
cento delle europee aveva avuto l’effetto di ubriacare Renzi, che aveva perso ogni contatto con la
realtà e viveva in un suo film di fantascienza. Per chi conquista il Potere all’improvviso è facile
perdere la testa: per questo gli imperatori romani avevano uno schiavo con il compito di ricordare
loro che erano uomini e non dei immortali. Chi stava vicino a Renzi aveva il dovere politico di
ricordargli che lui non era il padrone del Paese e che la sovranità appartiene al popolo. La grande
responsabilità di tutti gli esponenti dell’inner circler renziano sta nel non averlo fatto. Lo hanno
lasciato andare a schiantarsi senza dire una parola né alzare un dito. Anzi, lo hanno incoraggiato.
Che cosa si aspetta che succeda in Friuli Venezia Giulia a livello di governo della Regione? La
giunta deve ascoltare maggiormente il territorio? Non mi aspetto nulla. Numerosi campanelli
d’allarme hanno già suonato, ma la giunta non se ne è mai data per intesa. Anzi no, una reazione c’è
stata, quella tipica del Palazzo: hanno moltiplicato i tagli-nastro. Ma ci sono Buoni Samaritani che
intendono dare alla maggioranza regionale una possibilità di redimersi, almeno in parte. Mi risulta
che saranno ripresentate le proposte di referendum che il Consiglio regionale ha, con infinita
arroganza, cassato. La maggioranza avrà la possibilità di dimostrare coi fatti che ha imparato la
lezione, e che ora riconosce la sovranità del popolo. Che ruolo possono giocare gli autonomisti in
vista delle elezioni regionali del 2018? Credo che la domanda sia molto riduttiva. Io mi chiedo
quale possibilità vi è che si formi una coalizione, alternativa al vuoto blah blah romano, in grado di
mettere in campo politiche innovative per la ricostruzione morale, istituzionale e economica di
questa regione. Il Friuli Venezia Giulia ha bisogno di una svolta di portata storica, non di
un’ennesima formula politica. Lei, in particolare, ha ripreso passione per la politica? Se le
chiedessero di ritornare in campo, accetterebbe? Quando, nel 2008, lasciai la politica attiva, dissi
che sarei tornato ad occuparmene solo in presenza di situazioni così negative che nessuna persona
decente avrebbe potuto, salvando la faccia, esimersi dal dare il suo contributo per uscirne fuori. Il
renzismo è stato, per me, una tale situazione assolutamente inaccettabile, e mi sono mobilitato per
tutto quello che ho potuto. E adesso? Al momento il renzismo pare meno pericoloso, e io posso
ritornare alla mia vita privata. Ma mai dire mai.
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Il no salva le Province tranne che in Fvg (Piccolo)
di Marco Ballico - Unici al pari della Sicilia che le Province le ha eliminate nel 2014 istituendo i
liberi Consorzi comunali. Anzi, ancora più unici perché in Sicilia quel passaggio legislativo ha
aperto una stagione non ancora conclusa di pasticci, scivoloni, impugnative, mentre solo in Friuli
Venezia Giulia le Province sono state cancellate anche dallo statuto. Un primato confermato con il
No alla riforma costituzionale: nel resto d’Italia le Province, seppure depotenziate dalla legge Delrio
di due anni fa, rimangono scritte nella Carta. Un primato, tuttavia, che Pietro Fontanini non
digerisce: «La legge di soppressione appena varata dal Consiglio regionale è palesemente
incostituzionale. La presidente la blocchi». Barricate che Maria Teresa Bassa Poropat, presidente
della Provincia di Trieste in liquidazione, non condivide: «Tornare alla situazione di prima non è
così semplice. E, forse, non avrebbe neanche senso. Siamo decisamente fuori tempo massimo». Il
Friuli Venezia Giulia si era mosso in autonomia senza aspettare il referendum. Piazza Oberdan ha
avviato un iter completato, dopo una doppia lettura parlamentare, con la riforma statutaria sancita
dalla legge costituzionale 28 luglio 2016 con la quale non solo è stato espunto il riferimento alle
Province, ma ne è stata esplicitamente prevista la soppressione, da concretizzarsi il prossimo anno,
con la sola eccezione di Udine che rimarrà in carica fino a scadenza naturale del mandato, nel 2018.
Si procede ora secondo agenda? Fontanini, dopo la vittoria del No che mantiene in vita le Province
nel resto d’Italia, non ne è per nulla convinto. Dopo aver minacciato il ricorso al Tar, nella
convinzione che il “caso Province del Friuli Venezia Giulia” possa finire davanti alla Corte
costituzionale, il presidente friulano fa appello via lettera a Serracchiani perché avvii, «con la
massima urgenza», un’iniziativa legislativa «volta a riconsiderare il ruolo e le funzioni delle
Province nel sistema ordinamentale della regione, interrompendo il processo in corso». Da un lato
«per non alimentare un immotivato aggravio di costi e ulteriori disagi ai cittadini», dall’altro «per
scongiurare possibili contrapposizioni in sede giudiziaria». A dar man forte Rodolfo Ziberna: «Cosa
faremo quando compiti, funzioni, risorse, saranno destinate dallo Stato alle Province? E quando
competenze di articolazioni periferiche dello Stato dovranno essere esercitate in ambito
provinciale?», domanda il consigliere regionale di Forza Italia, sostenendo che «autorevoli
costituzionalisti ritengono che obblighi di coerenza costituzionale impongano di ripristinare l’ente
provincia». A sentire Sergio Bartole, in realtà, l’allarme pare immotivato. «Lo statuto Fvg ha uno
spazio riservato che gli è stato attribuito dalla stessa Costituzione - rileva il costituzionalista - e
dunque non c’è stata a mio parere alcuna violazione nell’esercizio di una competenza riconosciuta
dalla Carta. Tra l’altro, nemmeno il Capo dello Stato si è rifiutato di promulgare la riforma
statutaria, considerando dunque compatibile l’esistenza di un ordinamento con le Province e di un
altro ordinamento senza le Province». Da un punto di vista politico, invece, è Bassa Poropat a
rispondere a Fontanini: «Capisco che Udine sia in carica fino al 2018 e che possa portare avanti una
sua battaglia ma stiamo parlando di un provvedimento che faceva parte del programma elettorale
del centrosinistra che è stato pure trasversalmente approvato in Consiglio regionale». In sostanza,
prosegue la presidente uscente della Provincia di Trieste, «pur ricordando che l’Upi a suo tempo
avvertì che sarebbe stato meglio attendere l’esito del tentativo nazionale di riformare la
Costituzione, e che certamente c’è stata eccessiva fretta in regione di volere anticipare tutti, credo
che ormai non sia più il caso di opporsi a una riforma definita in tutti i suoi aspetti. Noi, di certo,
ricorsi non ne faremo. Non ne abbiamo nemmeno la facoltà». Da parte della Regione arriva invece
una risposta indiretta. Il tema è quello delle Uti eredi delle Province. «L’interesse della Regione è di
costruire ponti non di scavare fossati, e quindi ben venga il dialogo auspicato da quei sindaci, come
Carlantoni di Tarvisio, che muovono da una base di partenza condivisa, qual è l’irrevocabilità del
nuovo assetto territoriale. È un percorso che si è avviato molti mesi fa e, per la Regione, la porta
rimane aperta», dichiara la presidente Serracchiani. Di dialogo parla anche l’assessore Paolo
Panontin: «Nel 2016 molti sono stati gli sforzi per aiutare e avvicinare le posizioni più distanti di
quei Comuni riluttanti ad accogliere il processo di riforma. Li abbiamo spinti a unirsi affinché
potessero rafforzarsi e salvare la loro identità».
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I sindaci anti-Uti rimangono fuori. Respinta la mano tesa della giunta (M. Veneto)
di Maura Delle Case - Le Unioni territoriali intercomunali dovranno continuare a mezzo servizio. I
Comuni rimasti fuori dalle neo-costituite Uti hanno infatti deciso ieri sera di restare compatti al
fronte. Tutti salvo Gemona e Lestizza i cui sindaci hanno invece annunciato l’intenzione di aderire.
Gli altri continueranno a combattere la riforma, convinti delle proprie ragioni e di rappresentare una
forza politica armata una volta in più dall’esito del referendum. Non è servita a nulla la mano tesa
dalla presidente Debora Serracchiani poco prima che i sindaci – ben 55 – iniziassero forse il
confronto più difficile di questi ultimi mesi. Quello in cui decidere se mollare la presa o tener duro.
La risposta è arrivata dalle urne. Dai tanti cittadini che in Fvg domenica hanno respinto la modifica
costituzionale consegnando ai sindaci ribelli la spinta per andare avanti. In un lancio dell’agenzia
regionale la presidente insieme all’assessore Paolo Panontin ha tentato una mediazione in extremis.
«L’interesse della Regione è di costruire ponti non di scavare fossati – ha detto la numero due del
Pd – e quindi ben venga il dialogo auspicato da quei sindaci, come Carlantoni, che muovono da una
base di partenza condivisa, qual è l’irrevocabilità del nuovo assetto territoriale. È un percorso che si
è avviato molti mesi fa e, per la Regione, la porta rimane aperta». Per i Comuni anche, ma la posta è
alta. Puntano allo scacco matto i “ribelli”. A far cadere l’obbligatorietà di adesione alle Uti inserita
nell’ultima modifica alla riforma che ai loro occhi rappresenta l’ennesima forzatura. «Bene
l’associazionismo, bene la rete, bene collaborare, non però costringerci a stare in enti dove i servizi
sono destinati a peggiorare. Questa legge non funziona – ha risposto a distanza Renato Carlantoni
(Tarvisio) –, fa danno al territorio e in montagna crea ancor più disagi». «La ribellione deve essere
totale – ha aizzato i colleghi Marco Lenna (Forni di Sotto) – con spirito di unità e reciproco
sostegno. Chi decide di non far più parte del gruppo si prenda le sue responsabilità». Unici ad alzare
la mano sono stati il gemonese Paolo Urbani e il collega di Lestizza Geremia Gomboso che si è
detto «tremendamente dispiaciuto di mollare, ma non posso farcela ancora. Ho quattro dipendenti,
sono senza ragioneria. Se troviamo una soluzione sto fuori, ma così stando le cose non ce la faccio».
«Continuiamo a considerare questa una cattiva norma, ma per noi è venuto il momento di entrare –
ha detto con maggiore convinzione Urbani –. Lo facciamo dalla porta, alle nostre condizioni, anche
grazie alla disponibilità che abbiamo trovato nei colleghi sindaci dell’Uti». A differenza di altri
territori che ieri hanno invece denunciato colpi di mano interni alle Unioni, come quella del
Natisone «che si è divisa il milione e 200 mila euro senza accantonare le risorse destinate ai
Comuni rimasti fuori» ha svelato Daniele Moschioni (Corno di Rosazzo). Stessa sorte per il primo
cittadino di Pasian di Prato, Andrea Pozzo: «I nostri 115 mila euro sono stati spesi per riparare
strade e stradine dei Comuni entrati in Uti». Si profila così un nuovo risorso al Tar. «Collettivo – ha
annunciato in chiusura Piero Mauro Zanin (Talmassons) –. Impugneremo i piani di investimento
delle Uti». Sul piano formale, quanto invece a quello politico l’occhio di bue si è spostato sui
capoluoghi di provincia. «Sono uno di quelli che ha mal digerito la venuta a Udine dei “dinosauri”
che si sono intestati la battaglia» ha dichiarato Igor Treleani (Santa Maria la Longa) chiedendo
all’assemblea di prendere una posizione forte affinché Gorizia, Pordenone e Trieste escano dalle
Uti. Sarebbe la fine della riforma.
«Bloccare il taglio delle Province»
Fontanini alla presidente: serve un’iniziativa di legge che abbia la massima urgenza - testo non
disponibile
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Trieste e l’Isontino senza treni per 20 ore (Piccolo)
di Giuseppe Palladini - Trieste e l’Isontino senza trasporti ferroviari per quasi 24 ore. No, non si
tratta di un altro sciopero del personale di Trenitalia. Il motivo è più complesso e coinvolge
qualsiasi tipo di collegamento, sia passeggeri sia merci, e quindi anche il porto di Trieste. Fra la
mattina di sabato 17 dicembre e le prime ore di domenica 18 nella stazione di Monfalcone sarà
attivato un modernissimo sistema di controllo del movimento dei treni, che coinvolgerà anche le
stazioni di Ronchi Nord e Ronchi Sud (e in futuro anche quella di Bivio di Aurisina). Per poter
attivare questo sistema elettronico, che va a rimpiazzare quello elettromeccanico attualmente in
funzione, sarà infatti necessario sospendere la circolazione ferroviaria sulle tratte TriesteCervignano e Trieste-Gorizia, dalle 10.30 di sabato 17 dicembre alle 6.30 di domenica 18. I
collegamenti su queste due tratte saranno sostituiti da autobus. L’attivazione del nuovo sistema è
un’operazione particolarmente complessa. Basti dire che nei diversi luoghi dell’intervento sarà
coinvolto un centinaio di persone: una sessantina di Rfi (Rete ferroviaria italiana) e una quarantina
del produttore del sistema, il gruppo canadese Bombardier, fra i principali al mondo sia nella
costruzione di motrici ferroviarie e sistemi di trasporto passeggeri sia di velivoli. Disagi in vista,
dunque, per i passeggeri che da Trieste si dirigeranno verso Venezia o verso Udine (ma anche in
arrivo a Trieste o a Monfalcone), come pure per il traffico merci, in particolare per quello del porto
di Trieste, dal quale ogni giorno parte e arriva un consistente numero di convogli (a fine anno si
toccherà quota 7mila), che collegano lo scalo all’Austria, alla Germania e all’Europa dell’Est. La
società Adriafer, che effettua le manovre ferroviarie per la composizione dei convogli in Porto
Nuovo, in questi giorni è dunque costretta a riprogrammare arrivi e partenze di oltre una decina di
convogli (ciascuno trasporta oltre una trentina di camion o di container) che avrebbero dovuto
viaggiare in quella ventina di ore in cui la circolazione sarà bloccata. Convogli che sono legati
principalmente all’attività portuale ma a quella dello stabilimento della Siderurgica Triestina
(meglio nota come Ferriera). Disagi a parte, Renato Kneipp, segretario della Filt-Cgil per la
provincia di Trieste, commenta favorevolmente l’introduzione del nuovo sistema di controllo del
traffico ferroviario: «Questo ammodernamento potenzia il trasporto su ferro, con vantaggi anche per
l’ambiente, e contribuirà a un ulteriore rilancio del porto di Trieste». Delle conseguenze temporanee
derivanti dall’attivazione del sistema elettronico si è detto. C’è però anche un effetto “permanente”:
visto che dal 18 dicembre il traffico delle stazioni di Ronchi Nord e Ronchi Sud sarà controllato a
distanza dal quadro centrale di Monfalcone, si è aperto il problema di ricollocare una decina di
dipendenti delle Ferrovie, che non opereranno più nelle due stazioni. «È in corso una trattativa», si
limita a spiegare Valentino Lorelli, segretario regionale della Filt-Cgil, il quale, in merito al nuovo
sistema, annota i vantaggi di una «visione di insieme del traffico e quindi un miglioramento nella
regolarità della circolazione», posto che la sicurezza «è già adesso a un buon livello, ma aumenterà
ulteriormente». Lorelli aggiunge che «si tratta di un potenziamento fondamentale dell’infrastruttura
ferroviaria per Trieste e Monfalcone, considerato che il tratto più saturo di traffico nella regione è
quello fra Bivio San Polo e Bivio di Aurisina». Anche Giulio Germani, segretario della Fit-Cisl per
la provincia di Trieste, pone l’accento sui potenziali benefici del nuovo sistema - «aumenterà la
sicurezza» - ma aggiunge un «a quanto dicono», attendendo quindi la prova dei fatti.
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CRONACHE LOCALI
La Net chiude via Gonars. Daneco ne manda a casa 9 (M. Veneto Udine)
di Giulia Zanello - Net chiude l’impianto di conferimento rifiuti di via Gonars e dal 15 dicembre
nove dei quattordici dipendenti della Daneco rimarranno a casa. A denunciarlo è il sindacato che,
dopo aver richiesto l’interessamento del sindaco di Udine, ha ritenuto opportuno procedere con
l’impugnazione dei licenziamenti dello scorso 9 settembre. L’azienda, la Daneco, deve infatti
liquidare ancora tre buste paga (due mensilità e la tredicesima) e, a otto giorni dalla data di chiusura
del contratto, non c’è alcuna novità in merito ai compensi. A esprimere rammarico è Maurizio
Contavalli di Fiadel, la Federazione autonoma dei dipendenti degli enti locali, che sottolinea come
nemmeno il sindaco Furio Honsell, nonostante gli incontri e la partecipazione ai tavoli tra azienda,
rappresentanze sindacali, istituzioni e lavoratori, abbia mantenuto l’impegno nei confronti dei
dipendenti. «L’impianto di proprietà della Net, società di proprietà del Comune di Udine – spiega
Contavalli – è chiuso perché la società ha deciso di investire 33 milioni di euro in una nuova
struttura (un impianto innovativo con una linea di trattamento organico dimensionata per trattare
35.000 tonnellate/anno di frazione organica da rifiuto solido urbano e verde, e 19.000 t/anno di
frazione organica putrescibile) e la gara per l’individuazione dell’azienda che si occuperà dello
smantellamento e della nuova costruzione dell’impianto non ha previsto alcuna garanzia
occupazionale per i dipendenti. Abbiamo chiesto di conoscere i vincitori, affinché potessero essere
impiegati i lavoratori licenziati – prosegue il sindacalista –, ma nessuno ci ha degnato di risposta,
anzi Net se n’è proprio infischiata». Per i nove dipendenti della Daneco la situazione è, dunque,
irrimediabilmente peggiorata, nonostante avessero chiesto a Net, proprietaria dell’impianto, di
salvaguardare alcuni posti di lavoro, cosa che è avvenuta per cinque dei dipendenti dell’impianto di
via Gonars che sono stati trasferiti in quello di San Giorgio di Nogaro. «Io, come i miei colleghi,
siamo molto preoccupati e continuiamo a presentarci al lavoro nonostante non riceviamo lo
stipendio da due mesi, perché ci speriamo sempre, anche se ormai le possibilità sono sempre più
sfumate – sottolinea uno dei lavoratori prossimi al licenziamento, Gianluca Mas della Rsa Fiadel –.
Dalla prossima settimana saremo tutti a casa e, con una famiglia da mantenere, sarà dura. Il sindaco
aveva promesso di darci una mano ma le sue si sono rivelate solamente parole, alle quali non è
seguito alcun fatto concreto».
L'appello: un patto per il rilancio del Friuli (M. Veneto Udine)
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Proroga al dirigente e concorso congelato. Cresce la polemica (M. Veneto Udine)
di Cristian Rigo - Il Comune ha deciso di prorogare il contratto all’architetto Barbara Gentilini che
resta dirigente responsabile del servizio Mobilità per altri tre mesi. Il suo contratto in scadenza il 30
novembre è stato infatti rinnovato fino al 28 febbraio del prossimo per - si legge nella delibera
firmata dal dirigente Rodolfo Londero - «garantire il necessario continuum organizzativo e per
assicurare la direzione, il coordinamento e le funzionalità degli uffici». Tutto questo «nelle more del
completamento della procedura di selezione del dirigente a tempo determinato del servizio
Mobilità». Una procedura avviata il 19 ottobre scorso, ma poi improvvisamente sospesa e adesso di
fatto congelata. «È una decisione scandalosa e poco seria», tuona il consigliere di Forza Italia
Vincenzo Tanzi che sta preparando un question time in vista del prossimo consiglio comunale del
19 dicembre. «Vogliamo che sia fatta chiarezza - dice - e non escludo di informare anche la
magistratura affinché si valuti la liceità di un concorso che fino adesso ha molte zone d’ombra. Che
senso ha indire un bando di selezione pubblica quando alla fine il sindaco Honsell autorizza il
procrastinarsi di tale incarico che, invece, dovrebbe essere scelto per concorso? Non solo - aggiunge
-, mi chiedo anche come mai prima così tanta fretta prima se poi la procedura è stata rimandata a
data da destinarsi vista la proroga d’imperio decisa dal sindaco. Mi chiede se tutto ciò non
contribuisca a minare la credibilità di un ente e soprattutto non leda i diritti e le aspettative dei
concorrenti (esclusa la Gentilini) che hanno presentato regolare domanda trovandosi poi costretti
per forza maggiore ad attendere fino al 28 febbraio 2017». Secondo Tanzi nel momento in cui si
decide di procedere con «un’assunzione regolata con termini di legge che deve avvenire tramite un
concorso pubblico, il sindaco, a prescindere dalle motivazioni addotte, non può avocare a se il
potere di tale procedura di assunzione attraverso un decreto, quando il tutto dovrebbe scaturire da
una selezione meritocratica». Quello per individuare il dirigente della Mobilità non è l’unico
concorso finito al centro delle polemiche. «Il sindaco renda pubblica la documentazione tecnica
redatta dai dirigenti interessati e utilizzata per rispondere alla nostra interpellanza sulle criticità del
concorso per vigili urbani», chiede infatti Mario Pittoni, capogruppo della Lega Nord a palazzo
D’Aronco. «Il primo cittadino - spiega Pittoni - si dice dispiaciuto che “si cerchi di screditare il
concorso per tenere bloccate le cose”, ma mi pare evidente che sarebbero le irregolarità, se
confermate, a screditare il concorso, coinvolgendo la stessa immagine della città. Uno schiaffo che
Udine non merita! Se finora tutto si è svolto secondo le regole come dichiarato dal primo cittadino attacca Pittoni -, perché si sono dimessi due dei tre componenti della commissione? Vogliamo
visionare i verbali, che devono riportare la firma anche dei commissari dimissionari per la fase alla
quale hanno partecipato, che poi è quella in cui si sarebbero verificate le irregolarità segnalateci da
alcuni concorrenti. Il sindaco dica ai cittadini come realmente sono andate le cose nella
preselezione».
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«La Regione riveda le leggi su sanità e servizi sociali» (M. Veneto Udine)
di Viviana Zamarian - Da capofila dell’ambito del Medio Friuli a Comune senza diritto di voto sui
servizi sociali: questo il rischio che corre Codroipo col disegno di legge sulla soppressione delle
Province. «Fatto inaccettabile, pura follia» per il sindaco Marchetti. Ora alla battaglia contro la
riforma sanitaria che ha accorpato il distretto di Codroipo all’Alto Friuli si aggiunge questa «contro
la nuova legge che modifica quella con cui era regolato il servizio sociale dei Comuni con
stravolgimento della materia deciso dalla Regione per l’ennesima volta senza ascoltare i sindaci –
tuona Marchetti in qualità di presidente dell’assemblea dei sindaci –: dal primo gennaio il servizio
sociale dei Comuni sarà esercitato dalle Uti che dovranno scegliere quale sarà l’ente gestore e
quindi se tornare ad affidare l’incarico all’Asp Moro. I Comuni che non fanno parte delle Uti,
perché ricorrenti, potranno o meno convenzionarsi. In tutti e due i casi non avranno diritto di voto
per le scelte sul servizio sociale. Se lo faranno avranno solo il diritto di essere consultati, se non lo
faranno non potranno essere ascoltati e questa è gravissimo». E c’è il problema dei dipendenti
dell’Asp: «Da gennaio – rileva – i trasferimenti, poco meno di 9 milioni, non saranno più versati
dalla Regione all’ente gestore, cioè l’Asp Moro, ma all’Uti con tutto ciò che ne consegue. Sarà l’Uti
a pagare il personale, una cinquantina di dipendenti nel nostro ambito. In più la quantificazione
finanziaria è bloccata alle quote 2015. A Codroipo abbiamo speso oltre 2 milioni per le nuove
povertà nel 2016 in aumento rispetto al 2015, questa quota sarà congelata al 2015 e non sarà più
decisa dal Comune». Una protesta di cui Marchetti si farà portavoce oggi in una riunione in chiave
Uti con gli altri sindaci, un rappresentante della Regione e dell’Asp Moro. «Il referendum ha
sancito che le Province non sono soppresse – spiega – e ho sentito Serracchiani che ha detto che
bisogna riflettere sugli errori. Se è vero allora deve revocare non solo le legge di riforma sulla
sanità, ma anche questa legge». Si rischiano conseguenze negative per i servizi alle persone.
Ex Aussa Corno, fondi dalla Regione per le riassunzioni (M. Veneto Udine)
La Regione ha concesso fondi a Cafc e Consorzio bonifica pianura friulana per l’assunzione dei
lavoratori dell’ex Consorzio Aussa Corno. Dopo due assunzioni alla Ziu, i dipendenti dell’ente ora
in liquidazione sono rimasti in 12. Una ipotesi da tempo auspicata dal commissario Marco Pezzetta
che li metterebbe al riparo. Intanto il 29 dicembre è stato firmato dalle organizzazioni sindacali di
Fialp-Cisal, Cisl-Fp, Fp-Cgil e Uiltucs, nella sede della Confapi, l’accordo per la proroga fino al 31
dicembre 2016 della cassa integrazione in deroga a favore dei dipendenti del Consorzio per lo
sviluppo industriale della zona dell'Aussa-Corno in liquidazione. L’intesa sulla Cig in deroga è stata
possibile dopo quello sottoscritto il 21 novembre a Trieste dall’assessore regionale al Lavoro
Loredana Panariti e dalle parti sociali, in sede di tavolo di concertazione, teso a finanziare gli
ammortizzatori in deroga da erogare nelle aree di crisi del Friuli Venezia Giulia, ai lavoratori
disoccupati e a quelli non più aiutati dagli ammortizzatori sociali. «Per i dipendenti del Consorzio
per lo sviluppo industriale della zona dell’Aussa-Corno in liquidazione - afferma Claudio
Palmisciano del sindacato della Fialp-Cisal Fvg - si tratta adesso di verificare il percorso che sarà
attivato per la loro messa in mobilità verso altri enti della Regione. Abbiamo salutato positivamente
– aggiunge - la legge regionale 14/2016 (recentemente integrata) che, fra le altre cose, fissa le prime
linee di indirizzo per la risoluzione definitiva del problema occupazionale dei lavoratori del
Consorzio Ziac, ma credo che adesso la Regione abbia il dovere di stabilire in maniera chiara la
procedura e le intese necessarie a chiudere, una volta per tutte, questo annoso problema». (f.a.)
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Lavanderie, asse Fantuzzi-Sogesi (M. Veneto Pordenone)
di Giulia Sacchi - L'azienda umbra Sogesi, che conta 800 lavoratori ed è leader in Italia per i servizi
integrati di lavanolo e sterilizzazione per le strutture sanitarie pubbliche e private, è entrata in
società con la storica lavanderia Fantuzzi di Pordenone, guidata da Dario Buset, dando vita a uno
dei principali operatori del settore nel Triveneto. Nei giorni scorsi l'amministratore delegato di
Sogesi, Emiliano Nardi Schultze, ha sottoscritto l'atto di nascita di un nuovo gruppo industriale
destinato a diventare protagonista nel Nordest. «Nella newco abbiamo messo sito, impianti e i 67
dipendenti – ha spiegato Buset –, Sogesi invece la parte commerciale. L'azienda umbra aveva
bisogno di un sito in loco, per sviluppare il proprio lavoro nel Nordest, e noi di un gruppo
importante che curasse appunto il commerciale. Da qui il progetto». Per il momento, non sono in
programma nuove assunzioni, ma i buoni propositi per sviluppi futuri non mancano. «Nel 2017 – ha
aggiunto Buset – ci sono molti ospedali che andranno a gara. Ci sarà tanto lavoro da fare». Fantuzzi
è una azienda fortemente radicata nel territorio, con una lunga storia – l'anno scorso ha compito
ottant'anni – e una qualificata esperienza nel settore. I suoi impianti sono di particolare rilevanza e
qualità: con essi ha gestito e gestisce i servizi in strutture sanitarie di grande importanza, come
ospedale e Asl di Padova e Pordenone, del Bellunese e del Cadore, Asl di Bassano del Grappa e
Portogruaro. La lavanderia Fantuzzi ha superato indenne anche il periodo di grande crisi degli
ultimi anni. «E’ stata una crisi strutturale – aveva dichiarato Buset l'anno scorso, quando è stato
festeggiato l'importante compleanno dell'impresa –, nel senso che gli ospedali hanno tutti diminuito
i posti letto (dove, per esempio, ce n’erano mille sono stati portati a seicento) e di conseguenza c’è
stata una contrazione anche nel nostro lavoro. L’azienda comunque sta bene: non è la stessa
floridità di una volta, tutto è molto diverso, ma noi siamo tra quelli che possono dirsi fortunati». Ora
l'alleanza con un gruppo di livello come Sogesi. La realtà umbra, con i suoi impianti di lavanderia
industriale, le centrali di sterilizzazione e gli 800 dipendenti, opera in tutto il centro Nord, gestendo
i servizi in ospedali di rilievo nazionale, dall'Umbria al Lazio, dalla Toscana alle Marche,
dall'Emilia Romagna al Piemonte, dalla Lombardia al Veneto. Con questa iniziativa
imprenditoriale, Sogesi rafforza la propria dimensione nazionale e la presenza nel Nordest, dove
attualmente, nel nuovo ospedale di Monselice, gestisce i servizi di lavanolo e sterilizzazione.
«Sogesi si vuole caratterizzare per una strategia di sviluppo fondata sulla realizzazione di progetti
industriali e di servizio in collaborazione con aziende radicate nel territorio – ha spiegato
l'amministratore delegato Schultze –, valorizzandone l'autonomia e la dinamicità e mantenendo
nelle realtà locali il valore dell'impresa. Altre iniziative che abbiamo in gestazione rafforzeranno
ulteriormente questo progetto».
Casagrande, un altro sciopero per il contratto integrativo (M. Veneto Pordenone)
Ieri un’altra ora di sciopero con presidio davanti allo stabilimento della Casagrande di
Fontanafredda per protestare contro il mancato accordo con la proprietà sull’integrativo aziendale.
La lotta dei circa 200 lavoratori della storica impresa metalmeccanica non si ferma: proseguirà con
scioperi “a quarti d’ora”, ogni giorno (a quarti d’ora di lavoro si alterneranno 15 minuti di stop
produttivo). L’integrativo è scaduto da fine dicembre 2015: dopo sette mesi di trattativa, a luglio
non si è arrivati a un’intesa, come hanno spiegato le Rsu Fiom. Ha quindi preso avvio una serie di
iniziative di protesta, con volantinaggio e scioperi. A fine ottobre l’ennesimo tavolo di confronto
che non ha portato a un accordo: nonostante le aperture dimostrate dalle maestranze, l’azienda è
rimasta ferma sulle proprie posizioni. Da allora nulla è cambiato, nonostante le proteste anche delle
scorse settimane: l’azienda ha formulato una nuova proposta, che di fatto non è diversa nei
contenuti rispetto alla precedente e quindi non soddisfa gli addetti. «Non si è tenuto conto delle
nostre istanze», hanno commentato le maestranze. (g.s.)
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Coop, il deposito bruciato ritornerà com’era prima (M. Veneto Pordenone)
di Andrea Sartori - Il magazzino di Centrale Adriatica sarà ricostruito com’era prima del devastante
incendio del 24 novembre: nessun spostamento delle attività. La conferma che molti lavoratori del
sito, che prima del rogo riforniva 136 supermercati Coop tra Fvg e Veneto, è arrivata dai vertici
aziendali ieri mattina, nel corso di una riunione richiesta dagli addetti. Poi, ieri pomeriggio a
Trieste, è stata firmata la cassa integrazione straordinaria, in vigore per un anno da oggi: l’azienda si
impegna ad anticipare l’erogazione dell’ammortizzatore sociale. E’ stata sottoscritta da
rappresentanti della Regione, azienda, Cgil, Cisl e Uil e rsu. «La cigs riguerderà 58 unità di Centrale
Adriatica – precisa Eraldo Ius, rsu Filcams Cgil –, dei quali 35 magazzinieri e 23 impiegati».
Esclusi, dunque, i 4 addetti con funzioni di responsabile, che restano al lavoro. «L’azienda –
sottolinea Ius – si è assunta l’onere di anticipare la cigs. Saranno coperte anche tredicesima,
quattordicesima e parte contributiva». Nel settore rimasto integro (generi vari) sono ancora in corso
le verifiche sull’anello antincendio: ottenuta l’agibilità – si presume nelle prossime settimane –
l’attività riprenderà in quel reparto. Ciò significa che una parte dei dipendenti di Centrale Adriatica
uscirà in tempi brevi dalla cassa integrazione per tornare al lavoro. Quanti e in che tempi va ancora
deciso, ma è certo che «si cercherà anche di assorbire non soltanto gli addetti che lavoravano nel
settore, ma anche il restante personale che si ha visto bruciato il proprio reparto». Il settore degli
alimentari freschi, ridotto a una catasta di materiali anneriti (danni per svariati milioni di euro), è
ancora sotto sequestro per le indagini. Al momento i rifornimenti ai supermercati sono garantiti da
altri magazzini tra Friuli, Veneto ed Emilia. Soluzioni provvisorie, per un breve periodo per i generi
vari, inevitabilmente più lungo per i freschi. Ieri mattina il presidente di Centrale Adriatica,
Romano Manfredini, e i direttori del personale e dei due settori «hanno confermato che appena il
settore colpito dall’incendio sarà dissequestrato inizieranno i lavori per ricostruirlo – riferisce Ius –.
La volontà dell’azienda è che resti a San Vito. C’è sintonia di intenti e si lavora in maniera proficua
con l’obiettivo di riaprire quanto prima e ricostruire ciò che è andato bruciato».
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Ortopedia, l'appello del personale (Gazzettino Pordenone)
Davide Lisetto - Concorso per il nuovo primario di Ortopedia del Santa Maria degli Angeli: la
direzione aziendale - dopo aver preso visione della documentazione della commissione esaminatrice
- ha decretato il verbale con il quale si designa la terna dei professionisti individuati come primi
arrivati. Con il decreto l'iter di fatto è stato sbloccato. Ora la procedura prevede l'ultimo passaggio
per la chiusura del concorso: la nomina da parte del direttore generale. Il quale ha la facoltà,
prevista dalla normativa, di scegliere, con specifica motivazione, o il primo classificato (come
avviene il più delle volte, ma non sempre visto che ci sono dei precedenti) oppure uno degli altri
due professionisti. La terna decretata vede al primo posto Luigi Corso (il candidato interno
all'ospedale di Pordenone facente funzione al vertice del reparto), al secondo posto Roberto
Valentini (Ortopedia della clinica di Trieste) e terzo Federico Lamponi (proveniente dall'Ospedale
di Rimini). La direzione ha fatto intendere che la decisione sarà presa in tempi brevi.
Evidentemente si vuole risolvere in fretta una situazione che sta creando qualche tensione e
preoccupazione anche tra il personale del reparto. Il personale infermieristico e medico ha infatti
più volte sottolineato al vertice aziendale la necessità di un forte rilancio del reparto stesso che ha
visto la fuga di alcuni medici e di infermieri. Oltre che di pazienti verso il centro del Veneto. Un
clima di preoccupazione e di tensione che è sfociato anche in un appello pubblico di una parte degli
addetti del reparto. «La storia recente dell'Ortopedia - sostiene un gruppo di addetti - ha visto una
progressiva crescita delle tensioni interne già alte con la precedente gestione. Diversi dirigenti
medici si sono trasferiti e avvisi per la copertura dei posti vacanti sono deserti perché l'attuale
assetto non risulta appetibile a nuovi candidati. Del pari è elevato anche l'indice di fuga del
personale infermieristico e ausiliario». Il personale, inoltre, sottolinea: «È dunque interesse della
cittadinanza che la direzione generale vagli attentamente le caratteristiche professionali e personali
dei candidati non accontentandosi di una graduatoria che, per sua natura, non può tener conto di
tutti gli aspetti necessari a determinare quella svolta gestionale di cui l'Ortopedia di Pordenone
necessita». L'obiettivo della direzione è anche quello di specializzare il reparto pordenonese sulla
traumatologia decentrando alcune altre funzioni dell'ortopedia a San Vito e Spilimbergo.
Scuola, verso un lunedì “caldo” (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti Sciopero nella scuola contro il mobbing e l’attendismo salariale e per i diritti dei
precari. La data è quella del 12 dicembre e a proclamarlo è stato il sindacato autonomo europeo
Saese. L’infilata di proteste nel settore istruzione va avanti e si annuncia un lunedì intenso – il
prossimo – anche per 150 maestre precarie. Saranno chiamate, di pomeriggio a Pordenone, alla
nomina bis degli incarichi annuali 2016-2017 su cattedre o spezzoni orari. Le nomine dei docenti
stagionali in una giornata di sciopero sono un’anomalia: i sindacalisti protesteranno? «Chiediamo
una legge contro il mobbing a scuola – hanno dichiarato i rappresentanti del Saese spendendo
l’invito a scioperare nelle 42 scuole provinciali –. La protesta è motivata dalla cronica mancanza di
insegnanti a dicembre e dagli spostamenti di sede, che portano molti docenti a centinaia di
chilometri dalla loro residenza, con tutti i problemi connessi». La manifestazione nazionale sarà a
Roma e si tratterà del sesto giorno di protesta dall’avvio delle lezioni, da parte delle frange sindacali
di minoranza. «Il fenomeno del mobbing è preoccupante nelle scuole pordenonesi – ha sostenuto il
sindacato Saese –. Ci sono insegnanti e bidelli presi di mira da dirigenti e capi delle segreterie.
Riguardo a tale fenomeno non c’è alcuna tutela per il personale che ha l’onere della prova, cioè
deve dimostrare quali condotte causano il mobbing». Tensioni e vertenze sono in aumento e si
uniscono alla richiesta di un contratto di lavoro più equo.
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In Porto sessanta nuovi posti di lavoro (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana - Da un lato un’agenzia storica come Agemar che chiude licenziando dieci
persone e una categoria, quella appunto degli agenti marittimi, che registra un calo degli utili;
dall’altro un porto che continua a crescere anche dal punto di vista dell’occupazione tanto da creare
soltanto nell’Authority e nelle sue partecipate oltre una sessantina di nuovi posti di lavoro.
L’Autorità di sistema dell’Adriatico orientale ha recentemente pubblicato la graduatoria degli
idonei a ricoprire il ruolo di un addetto al protocollo a tempo indeterminato, e di un esperto del
sistema informatico del Demanio marittimo e di un esperto dei Punti franchi per 24 mesi. Ci sono
però altri quindici posti fissi da coprire e il fatto ha anche scoperchiato l’universo immenso e
drammatico dei tanti giovani e meno giovani che sono ancora alla ricerca di un posto di lavoro.
«Complessivamente le domande che ci sono arrivate sono ben seimila - rivela infatti il segretario
generale Mario Sommariva - procederemo gradualmente alle assunzioni nel corso dei prossimi
mesi, ma è chiaro che la selezione non può che essere un’operazione lunga e delicata». Nel settore
amministrativo verranno assunti un addetto ai procedimenti di autorizzazione relativi all'esercizio
delle attività portuali, un responsabile della gestione delle concessioni pluriennali, un esperto di
bonifiche e gestione degli scarichi delle acque, un addetto alla gestione di contratti pubblici e
rendicontazione, un esperto di progettazione europea e fundraising, vari addetti alla gestione di
bilanci, contratti di lavoro e servizi. Entreranno alla Torre del Lloyd anche ispettori portuali senior e
junior, un magazziniere, un perito impiantista, un esperto di sicurezza portuale, un operatore per
attività di sportello per il rilascio dei permessi di transito e un ricercatore nel campo delle politiche
di sviluppo dei trasporti e del marketing territoriale. Si rafforza però anche l’Agenzia del lavoro
portuale, nuovo modello di pool di manodopera che interviene per smaltire i picchi di lavoro e che
sta facendo scuola in Italia. «Gli addetti che originariamente erano 111 - spiega Renato Kneipp
segretario provinciale Filt-Cgil - sono già più di 130 e l’Agenzia dopo aver assunto ex lavoratori
delle cooperative Minerva e Deltauno ne ha inseriti altri di Ideal service. Il ministero ha dato
l’autorizzazione e in questi primi mesi (l’Agenzia è operativa dal primo ottobre, ndr) il lavoro non è
mancato». Promossa su impulso dell’Authority, che per un anno rimarrà l’azionista di maggioranza,
l’Agenzia vede la partecipazione di ben 16 imprese operanti nello scalo. Proprio ieri intanto
Adriafer, l’agenzia di proprietà dell’Authority di cui è amministratore unico Giuseppe Casini e che
effettua le manovre all’interno dello scalo, ha assunto dieci operai. L’intermodalità nave-ferrovia è
in crescita tumultuosa e altri nove lavoratori in testa alla graduatoria verranno assorbiti in tempi
piuttosto rapidi. E Porto di Trieste Servizi (Pts), la multiutility del porto «ha appena assunto - fa
sapere ancora Kneipp - cinque persone per la gestione del traffico veicolare e sette sorveglianti».
Nelle ditte esterne, sebbene le ultime notizie segnalino una ripresa dei noli, la vita sembra invece
più difficile anche se dopo Agemar nessun altro ha alzato bandiera bianca. «Le nostre 31 aziende
associate che complessivamente danno lavoro a oltre 200 dipendenti - spiega Alessandro De Pol,
presidente degli agenti marittimi del Friuli Venezia Giulia - resistono, seppure semisoffocate dalla
burocrazia in un ambito dove gli introiti si fanno sempre più ridotti. Tiene botta però anche il
piccolo ufficio locale della Gastaldi che operava soprattutto per Hanjin la compagnia coreana fallita.
Sintetizzando si potrebbe dire che il lavoro c’è ancora, ma i soldi sono sempre meno».
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Borse di sostegno per i disoccupati (Piccolo Trieste)
di Laura Tonero - Un’opportunità per i più fragili di riconquistare dignità e autonomia. A questo
mirano le dieci borse lavoro istituite a fronte di un protocollo d’intesa promosso dalla Fondazione
CRTrieste e siglato con il Comune, Confcommercio, Confindustria, Confartigianato, Cna e Ures.
«È un intervento per alleviare il problema della disoccupazione e risollevare le sorti di soggetti che
vivono in condizioni marginali», ha sottolineato Massimo Paniccia, presidente della Fondazione
CRTrieste. Le associazioni di categoria ora lanceranno un appello ai propri iscritti, alle aziende
triestine, al fine di reperire dieci posizioni lavorative alle quali i soggetti individuati dal Servizio di
integrazione e inserimento lavorativo (Siil) del Comune di Trieste potranno accedere. Le borse
saranno di due tipologie: la prima le destina a soggetti di età compresa fra i 16 e i 21 anni ed è
mirata all’orientamento, alla formazione e all’inserimento nel mondo del lavoro attraverso un
percorso propedeutico di acquisizione di specifiche competenze. La seconda tipologia è rivolta ad
adulti di età compresa fra i 21 e i 65 anni, ha finalità sia di carattere orientativo e formativo (per i
soggetti in età di apprendistato, quindi fra i 21 e i 28 anni) sia di reintegrazione nel mondo
lavorativo e di riqualificazione professionale (persone di età superiore ai 28 anni e fino ai 65). Le
dieci borse lavoro, che hanno la durata di un anno, ammontano a 4.700 euro ciascuna (4.400 euro al
netto di copertura assicurativa e corsi sulla sicurezza). «Molte aziende sono in difficoltà e hanno
problemi ad assumere personale - valuta Antonio Paoletti, presidente Confcommercio - ben
vengano dunque queste borse lavoro che, oltre a risollevare la situazione di disagio di alcune
persone, rappresentano anche un’opportunità per le aziende». L’attivazione, la selezione e la
gestione dei borsisti sarà a cura del Siil del Comune di Trieste. «Il lavoro è la risposta più adeguata
per consentire a una persona di uscire dai percorsi di welfare», assicura Carlo Grilli, assessore
comunale. «Dignità e sostegno alla persona fragile sono i capisaldi attorno ai quali ruotano gli
interventi che promuoviamo - dichiara Grilli - e questo progetto deve rappresentare l’inizio di un
percorso che, facendo sistema, consenta di dare risposte ancora più efficaci a chi vuole ritornare ad
essere parte attiva della nostra città». Il sistema welfare a Trieste movimenta 110 milioni di euro
destinati prevalentemente ad anziani, disoccupati, persone con disabilità.
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Nelle bollette dell’acqua meno 60 euro di quota fissa (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Era diventata l’incubo dei goriziani. La famigerata “quota fissa” appesantiva (e
continua ad appesantire) notevolmente le bollette dell’acqua, mandando su tutte le furie i cittadini e
le associazioni dei consumatori. Gorizia, addirittura, deteneva un record di cui andare assai poco
orgogliosi: anno dopo anno, negli annuali monitoraggi di Cittadinanzattiva, la nostra provincia
schizzava in testa. L’ha fatto nel 2015, concendo il bis nel 2016. Dalle nostre parti, la quota fissa
aveva un valore medio di 108 euro mentre il valore più basso era (ed è) di 3,5 euro ed appartiene
alla provincia di Milano. Differenze abissali. Il nuovo piano delle tariffe Ma dal primo gennaio
2017 si volta pagina. I goriziani possono sorridere. «Nell’ultima assemblea della Consulta
dell’ambito ottimale (Cato) è stata approvata la nuova articolazione tariffaria di Irisacqua per il
2017 - spiega Enrico Gherghetta, ormai ex presidente sia della Provincia sia del Cato -. Dal primo
gennaio 2017 ci sarà un cambiamento che costituisce, di fatto, una rivoluzione». E riguarda proprio
la quota fissa che sarà più che dimezzata. «Perché, a suo tempo, introducemmo una quota fissa così
alta? È molto semplice. Questa decisione ci permise di “strappare” agli istituti bancari mutui dai
tassi molto agevolati per cui gli interessi scaricati sulle bollette della popolazione isontina erano e
sono davvero infinitesimali. La scelta fu, dunque, strategica. In questi anni abbiamo avuto
quarantasette milioni di opere già realizzate, trentatré di lavori in corso, ottanta milioni di prossimi
investimenti: 60 con procedure avviate (gare e progettazioni) e 20 milioni per ulteriori interventi già
calendarizzati nei prossimi 10 anni. Mi sembra siano numeri importanti, che non abbisognano di
particolari commenti». Questo, a sentire Gherghetta, grazie alla quota fissa “sovrabbondante” e ai
mutui con tassi molto bassi. Ma dal primo gennaio si volta pagina. «In virtù delle nuove linee-guida
dell’Autorità nazionale per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico abbiamo effettuato, nelle
scorse settimane, una simulazione per vedere cosa sarebbe successo se avessimo abbassato la quota
fissa. Alla fine, abbiamo trovato un sistema che ci permette di effettuare uan riduzione mantenendo
inalterato l’introito». Il dettaglio della “rivoluzione” Ma ecco il dettaglio di quella che il buon
Gherghetta ha voluto definire «rivoluzione». Oggi 60mila utenti pagano di quota fissa una cifra di
103,50 euro (si tratta chiaramente di un dato medio). Dal primo gennaio, sarà ridotta a 40 euro.
«Benefici - continua Gherghetta - sono previsti anche per gli uffici e per i negozi, la cui quota fissa
passerà da 153,50 a 80 euro». Contestualmente alla scadenza della carica di presidente della
Provincia, Gherghetta ha perso oggi anche la sua funzione di presidente del Cato che è stata assunta
dal commissario straordinario Martina. Quella della “quota fissa” è una battaglia di lunga data di
Rosa Maria Forzi, prima portacolori di Cittadinanzattiva, quindi del Forum per Gorizia. Non più
tardi di qualche settimana fa, rilanciò con forza la questione. «Abbiamo più volte denunciato su “Il
Piccolo” - attaccò Forzi - che una componente della tariffa del servizio idrico integrato della
provincia di Gorizia, la cosiddetta quota fissa, anche nel 2016 è la più alta d’Italia. A Gorizia tale
quota ha un valore medio di 108 euro (il valore più basso è di 3,5 euro ed appartiene alla provincia
di Milano) e, moltiplicata per i 62.013 utenti dell’Isontino, ammonta a 6.697.404 euro. Abbiamo
chiesto inutilmente a Irisacqua di conoscere quali effettive voci di spesa comprenda la quota fissa,
che nel totale rappresenta una cifra considerevole, e lamentato la mancanza di trasparenza a questo
proposito da parte della società».
Irisacqua, il Comune allunga il contratto fino al 2045
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