Quando il cielo si divide - 749655

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Quando il cielo si divide - 749655
LIBRO
IN
ASSAGGIO
QUANDO IL CIELO SI
DIVIDE
NICHOLAS EVANS
QUANDO IL CIELO SI DIVIDE
CAPITOLO 1
Si svegliarono prima dell'alba e uscirono all’aperto sotto un cielo senza luna, colmo di
stelle. Il fiato, al contatto con l'aria fredda, si trasformava in nuvolette e la ghiaia congelata del
parcheggio del motel crocchiava sotto gli scarponcini. La vecchia station wagon era l'unica
auto nel piazzale. Il tetto e il cofano erano coperti da un pallido strato di ghiaccio. Il ragazzo
fissò gli sci al portasci, mentre il padre, dopo aver messo gli zaini nel bagagliaio, girava
attorno all'auto per rimuovere i fogli di giornale che aveva steso sul parabrezza, bloccati dai
tergicristalli. La carta, irrigidita dal gelo, crepitò tra le sue mani quando l'appallottolò.
Indugiarono un istante prima di salire sull'auto, rimanendo ad ascoltare il silenzio e ad
ammirare il profilo delle montagne che si stagliavano a ovest, contro il cielo stellato.
La cittadina doveva ancora svegliarsi, e il padre guidò in silenzio verso nord, lungo la
Main Street, oltre il palazzo di giustizia, la stazione di servizio e un vecchio cinema, attraverso
le pozze di luce proiettate dai lampioni. Il riflesso dell'auto scivolava sulle vetrine buie dei
negozi, e l'unico testimone della loro partenza fu un cane grigio che li guardò passare al
margine della città, il muso basso, gli occhi di un verde spettrale alla luce degli anabbaglianti.
Era l'ultimo giorno di marzo e sul ciglio dell'autostrada rimanevano solo mucchietti di neve
calpestata e grigiastra. Il pomeriggio precedente, diretti a ovest attraverso le pianure, si erano
imbattuti nei primi accenni di verde tra l'erba imbiancata. Prima del tramonto avevano
passeggiato su una stradina sterrata davanti al motel e avevano udito un'allodola cantare,
come se l'inverno fosse ormai giunto al termine. Ma al di là delle terre ondulate dei ranch, il
Rocky Mountain Front, una parete di antica roccia calcarea che si estendeva per oltre
centocinquanta chilometri, era ancora bianco, e il padre del ragazzo diceva che senza dubbio
avrebbero trovato della buona neve primaverile.
Un chilometro e mezzo a nord della città, uscirono dall'autostrada e svoltarono a sinistra
lungo una strada che procedeva verso il Front per una trentina di chilometri senza quasi una
curva. Riuscirono a vedere daini e coyote e, quando la carreggiata divenne di ghiaia, una
grande civetta con le ali chiare si alzò in volo dal bosco di pioppi per passare bassa sopra di
loro, come se stesse indicando al raggio dei fari dell'auto la strada da seguire. Per tutto il
tragitto la parete di roccia incombeva maestosa, di un blu sfumato, minaccioso, finche non
parve aprirsi, e padre e figlio si trovarono a percorrere un corridoio tortuoso, come un torrente.
Adesso la strada era più ripida, e quando divenne insidiosa per la neve compatta il padre
del ragazzo fermò la station wagon per montare le catene. Fuori dall'auto l'aria era gelida,
senza vento, e riecheggiava del fragore del torrente. Stesero le catene sulla neve davanti alle
ruote posteriori, il padre ritornò al posto di guida e avanzò di qualche centimetro, finchè il
ragazzo non gli gridò di fermarsi. Mentre il padre si inginocchiava per agganciare le catene,
il ragazzo battè i piedi e si soffiò sulle mani per scaldarle. «Guarda» disse
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Il padre si alzò, spolverandosi la neve dalle mani. Incorniciata nelle pareti della vallata a
forma di V, ma molto più lontano, la cima di un'imponente montagna innevata era stata
appena illuminata dai primi raggi del sole. Nel momento esatto in cui la osservavano, le
ombre della notte cominciarono a scoprire sul pendio una fascia sempre più profonda di rosa,
oro e bianco.
Parcheggiarono in fondo al sentiero e dalla neve intatta si resero conto che nessun altro si
era spinto fin lì. Si sedettero l'uno accanto all'altro nel portabagagli aperto e si infilarono gli
scarponi da sci. Il proprietario del motel gli aveva preparato dei panini, ne mangiarono uno a
testa, bevvero del caffè dolce e fumante e guardarono l'oscurità tutt'intorno cedere a poco a
poco il posto alla luce. I primi chilometri sarebbero stati piuttosto ripidi e, per ottenere
maggiore aderenza, applicarono le pelli di foca agli sci. Il padre del ragazzo controllò gli
attacchi e il funzionamento delle ricetrasmittenti per le valanghe. Quando ritenne che tutto
fosse in ordine, misero gli zaini in spalla e si infilarono gli sci. «Vai avanti tu» disse il padre.
Il percorso che avevano programmato per quel giorno era un circuito di circa venticinque
chilometri. Avevano fatto la stessa escursione due anni prima e per entrambi era stata una
delle migliori che avessero mai sperimentato. Le prime tre ore sarebbero state le più dure: una
lunga scalata attraverso la foresta e poi un insidioso zig-zag su per il lato nord-orientale di un
crinale. Ma ne sarebbe valsa la pena. Il lato meridionale della dorsale era perfetto, una spalla
priva di alberi che digradava in tre pendii consecutivi, fino al bacino successivo. Se tutto fosse
andato per il meglio, per l'ora in cui avrebbero raggiunto la cima il sole avrebbe appena
cominciato a lambirla, ammorbidendo la neve in superficie ma lasciando lo strato sottostante
ghiacciato e compatto.
Queste escursioni erano divenute un rituale che ripetevano ogni anno, e il ragazzo non
vedeva l'ora che arrivassero, proprio quanto le aspettava il padre. A casa, a Great Falls, gli
amici con cui faceva snowboard pensavano che fosse matto. Se vuoi sciare, dicevano, perche
non vai in un posto dove c'è lo skilift? E in verità, in occasione del primo viaggio, quattro anni
prima, sulle Teton, aveva temuto che avessero ragione. Per un ragazzino di dodici anni lo
sforzo era decisamente eccessivo rispetto allo scarso divertimento: troppa salita e troppo poca
discesa. Più di una volta avrebbe voluto piangere, ma si era fatto coraggio e l'anno successivo
era tornato lì di nuovo.
Per impegni di lavoro suo padre rimaneva lontano da casa per lunghi periodi e non erano
molte le cose che riuscivano a fare insieme. A volte il ragazzo aveva fa sensazione che si
conoscessero appena. Nessuno dei due amava molto parlare, ma c'era qualcosa nelle
awenture che vivevano insieme in quelle zone selvagge che li legava più a fondo di quanto
avrebbero mai potuto fare le parole. E a poco a poco il ragazzo era arrivato a comprendere
perche il padre apprezzasse la salita quanto la discesa. Si trattava di una curiosa formula che
combinava energia fisica e mentale, come se bruciandone una l'altra si ricaricasse.
L'interminabile ripetizione ritmata, lo scivolare degli sci uno davanti all'altro, potevano indurre
una sorta di trance. E quando raggiungevi la vetta lontana e scorgevi un'intatta distesa di neve
primaverile che si dispiegava sotto di te, l'eccitazione e il senso di conquista arrivavano quasi
a sopraffarti.
Forse era arrivato a provare quelle sensazioni solo perchè ogni anno diventava più forte.
Ormai era più alto del padre, e di sicuro più in forma. E sebbene non fosse ancora altrettanto
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esperto di montagna, era probabilmente più abile nello sci. Forse per questo il padre, quel
giorno, gli aveva permesso di mettersi davanti. Non era mai accaduto.
Per la prima ora i pini neri e gli abeti avevano costituito una doppia e tetra parete lungo il
sentiero, ancora più alta sul lato meridionale del canyon tortuoso. Nonostante procedessero
all'ombra, la salita presto cominciò a farli sudare. Quando si fermavano per riprendere fiato,
per bere o per togliersi un altro strato di indumenti, sentivano il rombo ovattato del torrente di
sotto. A un certo punto udirono il rumore di un grande animale che si muoveva tra gli alberi
sopra di loro.
«Secondo te cos'era?» domandò il ragazzo.
«Un daino. Un alce, forse.»
«Gli orsi possono essere già usciti dal letargo?»
Il padre bevve dalla borraccia e si asciugò la bocca con il dorso del guanto. Sapevano
entrambi che quel territorio era gradito ai grizzly. «Immagino di sì. La settimana scorsa le
giornate sono state abbastanza tiepide.» Un'ora dopo erano usciti dal bosco, alla luce del
sole, e percorrevano un sentiero attraverso una gola colma dei detriti di una valanga: masse
informi di neve congelata, frammenti di roccia e alberi sradicati. Raggiunsero la cresta poco
prima delle dieci e rimasero in silenzio ad ammirare lo spazio aperto sotto e attorno a loro;
montagne e foreste ricoperte di neve e, più lontano, le bionde pianure. Il ragazzo aveva la
sensazione che se avesse strizzato abbastanza forte gli occhi avrebbe potuto sfidare le leggi
della scienza e tutti gli orizzonti del mondo fino a scorgere la propria schiena e quella del
padre, due figure minuscole su un lontano picco innevato. La dorsale sotto di loro era bella
come avevano sperato. Il sole cadeva a picco sulla discesa, che scintillava come un
drappeggio di velluto bianco tempestato di lustrini. Si staccarono gli sci e tolsero le pelli di
foca, da cui spolverarono accuratamente la neve prima di riporle negli zaini. C'era una
brezza fredda lassù, i due si rimisero le giacche a vento e si sedettero su uno spuntone di
roccia, bevvero il caffè e mangiarono gli ultimi panini, mentre un paio di corvi volteggiavano e
gracchiavano contro il cielo di lapislazzuli. «Allora, come ti sembra?» domandò il padre.
«Direi piuttosto buona.» «Secondo me un uomo non può arrivare più vicino di così al
paradiso.»
© 2005 by Nicholas Evans
© 2005, RCS Libri S.p.A.
Titolo originale: The Divide
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
su licenza RCS Libri S.p.A.
www.mondolibri.it
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