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I° CONGRESSO NAZIONALE SINSeB
NUTRIZIONE E PREPARAZIONE NEGLI SPORT
DI SQUADRA ED ULTRAENDURANCE
FIRENZE - VILLA MONTALTO
SABATO 27 NOVEMBRE 2010
SINSeB
SSOCIETÀ
SOC
CIETÀSpITALIANA
IT
TALIANA
ort e Benessere
Nutrizione S
HANDOUT
HANDOUT
I° CONGRESSO NAZIONALE SINSeB
NUTRIZIONE E PREPARAZIONE NEGLI SPORT
DI SQUADRA ED ULTRAENDURANCE
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Viale della Grande Muraglia, 350 00144 Roma
Tel: +39-06-45.43.44.91 - Fax: +39-06-89.28.10.34
www.akesios.it - [email protected]
PARAMETRI BIOFISIOLOGICI E SUPPLEMENTAZIONE PER IL CALCIO
ASSESSMENT NUTRIZIONALE NEL CALCIATORE
Fabrizio Angelini ....................................................................................................04
GESTIONE DIETETICA DEL CALCIATORE INFORTUNATO
Alessandro Bonuccelli ..............................................................................................07
CREATINA E AMINOACIDI RAMIFICATI
Massimo Negro ........................................................................................................09
VITAMINE E MINERALI
Luca Gatteschi ..........................................................................................................10
PREPARAZIONE E SUPPLEMENTAZIONE NELL'ULTRAENDURANCE
CARBOIDRATI E PROTEINE NELLE PRESTAZIONI ESTREME
Giuseppe D'Antona ..................................................................................................11
EQUILIBRIO IDRICO SALINO E MINERALI
Nicola Sponsiello .....................................................................................................13
VITAMINE E ANTIOSSIDANTI
Fulvio Marzatico ......................................................................................................14
ATLETI E LE INTOLLERANZE ALIMENTARI
Carmine. Orlandi .....................................................................................................15
SUPPLEMENTAZIONE NUTRIZIONALE NELL'ALLENAMENTO DELLA FORZA
Tim Ziengenfuss .....................................................................................................17
3
VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE NEL CALCIATORE PROFESSIONISTA
Fabrizio Angelini
Medico Nutrizionista ed Endocrinologo Juventus Football Club Torino - Presidente Nazionale Società Italiana di Nutrzione dello
Sport e dl Benessere SINSeB - Centro di Endocrinologia Nutrizione e Sport Istituto di Ricerche Cliniche Ecomedica Empoli
Tra tutte le scienze applicate allo sport la nutrizione dopo la scienza
dell'esercizio fisico è quella che influenza maggiormente la performance
atletica. Gli studi volti a valutare la composizione qualitativa e quantitativa
della dieta in atleti di elite hanno più volte evidenziato come gli atleti
assumessero una quantità insufficiente di macro/micronutrienti, Maughan
nel 2002 in una review evidenziò come “Quando Atleti motivati e di alto
livello si confrontano nelle varie gare il margine tra Vittoria e Sconfitta è
molto piccolo. Quindi quando tutto il resto è simile l'alimentazione può fare
la differenza tra vittoria e sconfitta”
Ÿ La visione dell'alimentazione dello sport negli ultimi venti anni ha subito
un drastico mutamento fino ad alcuni decenni fa si pensava al cibo in modo
solamente “strutturale”, ed “energetico”, vale a dire attraverso il cibo il
nostro organismo recluta una scorta energetica da consumare durante
l'attività fisica. Negli ultimi anni si è cercato sempre partendo dalle basi del
fabbisogno energetico, di avere anche una visione per così dire qualitativa
dell'alimentazione ossia di valutare come i componenti degli alimenti (detti
macronutrienti) vale a dire i grassi, i carboidrati e le proteine potessero a
seconda delle loro percentuali, della loro tipologia e del “timing” di
assunzione
“influire” sulla salute dell'atleta e dunque sulla sua
performance. Risulta poi chiaro a chiunque si occupi di sport a qualsiasi
livello come un'attività fisica intensa e ripetuta nel tempo porti alla
produzione di una serie di mediatori dei processi infiammatori (citochine)
che possono in qualche modo sia influire sulla performance che predisporre
agli infortuni, ecco dunque che al network neuroendocrino-metabolico si
aggiunge la componente immunologica con tutto ciò che ad essa
consegue:
Da un punto di vista metodologico possiamo individuare i seguenti Step:
Ÿ
Ÿ
Ÿ
Ÿ
come la patologia tiroidea sia endemica in Italia e pur se la popolazione da
testare è di anagraficamente giovane non si possa escludere la maggiore
probabilità di patologie tiroidee (es. Tiroiditi Autoimmuni ) con alterazioni
funzionali come ad esempio un Ipotiroidismo che potrebbero influenzare
negativamente la performance oppure l'associazione con altre patologie
come le Fibromialgie Autoimmuni che possono spesso associarsi alle
Tiroiditi Autoimmuni mettendo a rischio l'apparato muscolare . Gli altri
ormoni che possono essere utili ai fini di valutare e eventualmente
prevenire lo stato di fatica dell'atleta sono rappresentati dai dosaggi del
Cortisolo Ematico e del Testosterone. Il Rapporto T/C è staoo ed è da
sempre indicato come “indice” funzionale degli stati di overreaching e
overtrainig nello sport ; pur il calcio essendo uno sport di squadra a
componente mista aerobica/anaerobica non comporta un dispendio
energetico paragonabile agli sport di endurance in atleti sottoposti durante
la stagione agonistica a numerosi impegni ravvicinati questi due parametri
se ripetuti nel tempo e analizzati in senso “dinamico” nello stesso atleta
possono fornire allo staff medico, allo staff tecnico ed al nutrizionista utili
informazioni per impostare un paino nutrizionale e di
supplementazione/integrazione individualizzati.
In letteratura sempre più attenzione viene data alla possibilità di effettuare il
dosaggio degli ormoni steroidei nella saliva , il metodo che risulta
sicuramente interessante viene giustificato dal fatto che il dosaggio
dell'ormone steroideo salivare rappresenterebbe veramente la “frazione
attiva” dell'ormone stesso e sarebbe dunque un indice funzionale più
mirato; in questo caso la difficoltà a volte nel prelevare adeguate quantità di
saliva e la mancanza ancora di una vera standardizzazione dei dosaggio
degli ormoni steroidei salivari rispetto ai tests ematici porta a “guardare” a
questo tipo di metodica sicuramente con attenzione ma ancora a
confrontarla sempre con i tests ematici .
Valutazione Anemnestica
Indagini Ematochimiche
Valutazione del Dispendio Energetico
Valutazione Antropometrica
Anche il dosaggio della Vitamina D (25-OH-D3) può essere utile, per il ruolo
che questo Ormone svolge metabolismo fosfo-calcico e la sua influenza
sia su ll'apparato scheletrico che su quello muscolare ; inoltre la presenza
sempre più diffusa di atleti di colore nelle squadre di calcio deve essere
tenuta presente in quanto gli stessi hanno fisologicamente una carenza di
vitamina D.
INDAGINE ANAMNESTICA NUTRIZIONALE
La stesura dunque di un piano nutrizionale in una atleta di elite non può
prescindere da una attenta valutazione anamnestica eseguita mediante
una anamnesi nutrizionale che sia volta a valutare le abitudini alimentari
dell'atleta soprattutto quando non è in ritiro gli errori ed eccessi ad esempio
l'uso di alcool e cerchi di stimolare la consapevolezza nel calciatore di come
una corretta alimentazione possa influire sul suo stato di salute e dunque
sulla su performance .Nello sport in genere e nel calcio in particolare risulta
difficile eseguire una anamensi nutrizionale basta su questionari
autosomministrati, interviste sesmistrutturate. Secondo la nostra
esperienza una corretta indagine nutrzionale basata su un colloquio con
l'atleta può aiutare ad individuare come l'atleta si alimenta sia nelle giornate
normali di allenamento che nel pre-gara che nel post-gara. Questo
colloquio risulta essere molto utile in quanto si cercherà di sensibilizzare
l'atleta sull'importanza dell'alimentazione nella pratica sportiva sia per la
fase di preparazione all'evento sia durante l'evento agonistico che per
recuperare le energie dopo il match. La presenza nei Team non solo di elite
di atleti stranieri diversi per etnia e religione a maggior ragione rende questo
momento indispensabile per iniziare a sensibilizzare l'atleta sulle nostre
abitudini alimentari. Particolare attenzione andrà posta alla conoscenza
dell'atleta sull'importanza dell'idratazione ai fini del corretto svolgimento
dell'attività agonistica e su come un uso smodato di bevande alcoliche
possa influenzare negativamente la performance .
I radicali dell'ossigeno ROS sono prodotti fisiologicamente durante i
normali processi metabolici e la loro potenziale azione dannosa sulle
membrane cellulari viene “tamponata” da un complesso sistema
antiossidante messo in atto dal nostro organismo . Nell'attività sportiva si ha
indubbiamente una aumentata produzione di citochine infiammatorie e di
radicali liberi legati ai processi metabolici indotti dallo sforzo fisico cui non
sempre si contrappone una “risposta antiossidante” Quando l'equilibrio tra
fattori pro-ossidanti e fattori antiossidanti viene alterato a favore dei primi si
crea una situazione fisio-patologica definita “ stress ossidativo” che può
influire sia sulla performance che sulla predisposizione agli infortuni di
natura muscolare .La valutazione dello stress ossidativo non è semplice
pochi sono i Test sui liquidi biologici soprattutto ematici ed urinari ma anche
salivari che possono dare informazioni utili ai fini che abbiamo
precedentemente esposto.
la Valutazione dei radicali liberi nel sangue (DRoms) delle capacità
antiossidanti (Oxy Test) e delle riserve antioosidanti (Malondialdeide
Urinaria) deve essere a nostro avviso interpretata in senso dinamico con
prelievi seriati e programmati durante la stagione questo sia per identificare
eventuali fenomeni di “adattamento dei sistemi di ossidazione e
antiossidazione ” come spesso avviene all'inizio della ripresa dell'attività
agonistica che rendono inutile l'utilizzo ormai usuale
di prodotti
multivitamicini ad azione antiossidante . La corretta alimentazione ricca in
frutta e verdura, con limitazione dell'utilizzo di cibi ad alto indice/carico
glicemico naturalmente si opporrà in modo fisiologico e naturale a questi
meccanismi molto complessi e sicuramente nocivi alla salute dell'atleta .
Esami Ematochimici – Ormonali – Stress Ossidativo
Ogni squadra di calcio professionistica esegue con scadenze precise ai fini
dell'idoneità sportiva una serie di valutazioni ematochimiche cui poi si
aggiungono un serie di valutazioni ormonali e di marker's infiammatori utili
ad individuare eventuali situazioni di fatica temporanea o prolungata che
possono influire sulla performance o favorire gli infortuni soprattutto di
natura muscolare.
Le valutazioni ormonali non possono prescindere a nostro avviso dalla
valutazione della funzione tiroidea tramite il dosaggio di FT4 – FT3 – TSH .
La funzione tiroidea è indice indiretto dello stato metabolico del nostro
organismo, atteggiamenti dietologici non corretti (ad esempio diete
restrittive nei primi giorni di ritiro oppure durante l'anno in atleti sovrappeso)
possono portare ad una “risposta” della funzione tiroidea di “difesa
metabolica” con diminuzione della produzione degli OT e aumento del TSH
e come dimostrato dalla letteratura scientifica aumentata produzione di rT3
(ormone di risparmio metabolico) . Altro dato da non sottovalutare risulta poi
INTOLLERANZE ALIMENTARI
Le Reazioni di sensibilizzazione e/o intolleranza a componenti di alimenti,
muffe e agenti chimici sono difficili da individuare singolarmente ma esse
indubbiamente provocano una serie di alterazioni delle componenti cellulari
(in particolari linfociti e piastrine) che possono essere individuate con
specifci Tests Ematochimici . Il Test da noi utilizzato è il Test Alcat® test
ematico di valutazione delle intolleranze alimentari. L' esecuzione di questo
Test permette a nostro avviso di individualizzare ancora di più il piano
4
nutrizionale
dell'atleta andando ad agire soprattutto sui fenomeni
infiammatori o su quei sintomi (meteorismo intestinale, cefalea, gastrite,
alitosi, sensazioni di gonfiore, dolori muscolari aspecifici ) che possono non
permettere all'atleta di svolgere al meglio la preparazione all'evento
agonistico oppure aumentare una infiammazione Low-Grade negativa
anche per la predisposizione all'infortunio soprattutto di natura muscolare.
L'interpretazione del Test non deve essere a nostro avviso troppo rigida e
schematica né portare a Diete di Esclusione ma a Diete di Rotazione che
prevederanno una limitazione dell'assunzione degli alimenti verso cui
l'atleta risulta intollerante durante la settimana. Durante i ritiri pre partita e
nel post partita l'atleta seguirà invece l'alimentazione del Team senza
particolari limitazioni .
Minerale Osseo. Una ulteriore valutazione che permette la DEXA è l'analisi
segmentale dei compartimenti corporei vale a dire si possono valutare
eventauli “asimmetrie” della composizione corporea tra gli arti
dell'emisoma destro e sinistro cosa su cui si “lavora” anche nella
Bioimpedenziometria studiando software specifici per le valutazioni
segmentarie. Il successo di queste tecniche dipende dalla
standardizzazione delle metodiche, dall'accessibilità dei costi e, nel caso
della BIA, dai recenti progressi tecnologici ed anche dalle acquisizioni
recenti che hanno ulteriormente limitato, in termini di attendibilità,
l'utilizzazione di altre tecniche di valutazione della composizione corporea
in particolare della plicometria ed in particolar modo negli atleti Nella
fattispecie ormai la DXA ha assunto la posizione di tecnica di riferimento
nella valutazione della composizione corporea, tecnica che quindi funge da
termine di confronto nello studio di altre tecniche sia in soggetti giovani che
adulti o anziani, sportivi e sedentari, sani e malati, specie e razza con la
possibilità di integrare con altre valutazioni di altre tecniche allo scopo di
completare il quadro nutrizionale , dalla nostra esperienza emerge come
l'integrazione della DEXA con la BIA offra al nutrizionista alla luce delle
attuali conoscenze scientifiche dati sufficienti per una corretta valutazione
dello Stato Antropometrico-Nutrizionale .
LA VALUTAZIONE DEL DISPENDIO ENERGETICO
La valutazione del dispendio energetico nel calciatore può essere valutata
sia con misurazioni di base come la calorimetria indiretta sia a riposo che
sotto sforzo che con Holter metabolici che applicati all'atleta durante lo
sforzo fisico possono dare una valutazione anche settimanale del
dispendio di energia
Questi dati devono comunque essere sempre valutati con molta elasticità
poiché chiunque si occupi di Nutrzione sa quanto è difficile valutare
l'effettivo dispendio energetico di un individuo sia a riposo che sotto sforzo .
Come abbiamo cercato brevemente di illustrare la valutazione dello stato
nutrizionale del calciatore professionista non può prescindere sia dalle
valutazioni antropometriche classiche che strumentali, dalla valutazione
del dispendio energetico e da una serie di valutazioni ematochimiche ed
ormonali.
LA COMPOSIZIONE CORPOREA
Uno dei metodi da utilizzare assolutamente per il monitoraggio dello stato di
benessere dell'atleta è la misurazione della composizione corporea,
utilizzabile, tra l'altro, come specchio fedele di un corretto stato nutrizionale
sia per quanto riguarda la Massa Grassa (FM) e la Massa Grasso_Priva
(FFM) , lo stato di idaratzione, e gli indiici metabolici muscolari (BCM).
Risulta intuitivo quanto sia importante avere la possibilità di misurare la
massa grassa e quella magra per poter definire esattamente lo stato di
forma di un atleta, per avere, inoltre, la capacità di intervenire in modo
mirato allo scopo, eventualmente, di aumentare la massa magra e
diminuire la massa grassa, attualmente le metodiche più utilizzate sono la
Biompedenziometrai Corporea (BIA) e la DEXA.
La valutazione dello Stress Ossidativo e delle Intolleranze Alimentari
completerà un approccio metodologico che potrà mettere il nutrizionista e lo
staff medico nel cercare di valutare lo stato nutrizionale dell'atleta ed il suo
“livello d'infiammazione” che è indotto dall'attività fisica ad alta intensità e
ripetuta nel tempo permettendo la stesura di un piano nutrizionale e di
supplementazione/integrazione che hanno come primo obiettivo la
preservazione dello stato di salute dell'atleta stesso , l'ottimizzazione dei
rapporti tra massa grassa e massa magra, il mantenimento di un corretto
stato d'idratazione e il controllo dello stato infiammatorio; la conseguenza
di questo approccio è il mettere l'atleta nelle migliori conduzioni per
esprimere le proprie qualità psico-fisiche nella performance, di garantire un
buon recupero muscolare dopo lo sforzo, di controllare i livelli di stress e di
mantenere durante l'attività una buona lucidità psicofisica .
La BIA sfrutta il diverso comportamento, misurabile, del comparto
extracellulare e di quello intracellulare al passaggio di una corrente elettrica
alternata. Questi valori, espressi come impedenza, reattanza ed angolo di
fase , entrano a far parte di diverse formule matematiche in grado di
determinare il valore dell' acqua totale corporea (TBW) scomposta nelle 2
forme di acqua extracellulare (ECW) ed intracellulare (ICW), inoltre si può
calcolare la fondamentale (in particolare per un'atleta) quantità di “massa
cellulare attiva” (BCM).
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La BIA vettoriale (o BIVA, da “Bioelectrical Impedance Vector
Analysis”) è una metodologia che consente di valutare la composizione
corporea dell'atleta dalla misura diretta del vettore impedenza e non
dipende né da equazioni né da modelli matematici. Il metodo opera
indipendentemente dalla conoscenza del peso corporeo ed è influenzato
soltanto dall'errore di misura dell'impedenza e dalla variabilità biologica dei
soggetti. La BIVA consente un approccio basato sull'analisi vettoriale delle
misure di resistenza e di reattanza fornite dal sensore e divise per l'altezza
in metri del soggetto esaminato, in assenza di vincoli a modelli
compartimentali o assunzioni sull'idratazione.
L'analisi vettoriale è in grado di individuare variazioni dei tessuti molli
(massa cellulare) e/o dello stato di idratazione, anche se non offre tutte le
informazioni a riguardo ai compartimenti massa grassa e massa magra e
non può misurare i volumi dei fluidi corporei. La massa cellulare riflette il
tessuto metabolicamente attivo (organi) e quello contrattile (muscolo) e
contiene le proteine viscerali e muscolari.
La DXA (Dual Energy X ray Assessement), è una tecnica con cui,
utilizzando l'emissione a 2 livelli energetici di fasci di raggi X a bassissima
dose di radiazioni, si possono misurare delle “attenuazioni” proporzionali
alla composizione (massa grassa e massa magra) del soggetto ed
ottenere, addirittura, la composizione corporea segmentale, cioè dei singoli
distretti. La scansione viene eseguita in tempi relativamente brevi, il che,
unitamente alla bassissima dose di radiazioni, la rende particolarmente
adatta per gli atleti di tutte le età. I valori misurati con metodica DXA per la
massa ossea, massa alipidica e massa lipidica sono stati comparati con
misure effettuate con altre tecniche. L'errore di tale metodica è stato
valutato intorno al 3–4%, con la vecchia metodica, per la masse lipidica,
leggermente inferiore per la massa magra e contenuto minerale osseo, e
questa % dipende prevalentemente da stati di alterata idratazione e dallo
spessore antero-posteriore corporeo; recenti sostanziali modifiche
(tecnologia “iDXA”, GE) hanno notevolmente incrementato la velocità di
scansione ( 4-5 minuti circa) oltre che, soprattutto, nettamente migliorato la
precisione, attestandosi ad un errore calcolato intorno all' 1%, con valori
inferiori nella valutazione del tessuto magro e nella densità ossea ma
rimanendo sempre all' 1% circa nella valutazione della massa lipidica
settoriale e totale.La DXA consente una suddivisione della composizione
corporea tricompartimentale Massa Grassa, Massa Magra e Contenuto
5
absorptiometry. Wittich A, Oliveri MB, Rotemberg E, Mautalen C.)
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26
Precision Evaluation of Body Composition Measurements
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6
GESTIONE DIETETICA DEL CALCIATORE INFORTUNATO
Bonuccelli Alessandro
Dietista - Coll. Prof. Angelini c/o Juventus Football Club Torino - Centro di Endocrinologia Nutrizione e Sport - Istituto di Ricerche
Cliniche Ecomedica Empoli - Commissione Scientifica Società Italiana di Nutrizione dello Sport e del Benessere
L'infortunio è un problema comune e inevitabile per chi gioca a calcio,
soprattutto ad alti livelli dove gli atleti sono sottoposti per la maggior parte
dell'anno a un fitto calendario agonistico, con allenamenti da eseguire quasi
tutti i giorni, se non addirittura anche più volte nella stessa giornata, e
intervallati da gare con frequenza settimanale o spesso bisettimanale. Non
stupisce come l'UEFA riporti una media a stagione di due infortuni per
giocatore che in termini di attese, per una squadra di venticinque atleti,
significano mediamente cinquanta infortuni per annata calcistica. Il
trattamento immediato di quasi tutti gli infortuni acuti inizia di solito con
riposo, ghiaccio, compressione e sollevamento cui seguono
eventualmente altri interventi di cura e di recupero. Sebbene in teoria
un'adeguata nutrizione sia ampiamente riconosciuta indispensabile nella
riparazione dei tessuti e nel completo recupero dall'infortunio, nella pratica
come nella ricerca scientifica il ruolo della nutrizione sportiva nella gestione
dell'atleta infortunato è frequentemente sottovalutato. La sensazione
diffusa è, infatti, che spesso gli addetti ai lavori si disinteressano totalmente
dell'aspetto nutrizionale oppure lo considerano soltanto per contrastare o
correggere un eventuale aumento di peso durante e dopo un periodo di
inattività forzata a causa dell'infortunio. Inoltre vi è scarsità di studi scientifici
a riguardo in letteratura. Le strategie nutrizionali riportate possono quindi
essere considerate preliminari se non alle volte speculative o quantomeno
necessarie di successive verifiche nello specifico ambito riabilitativo.
incapaci di limitare l'abituale apporto di calorie a fronte di uno stato
improvviso di ridotta mobilità.Sarà quindi necessario ottimizzare l'apporto
energetico, evitando sia la restrizione sia un eccesso di calorie (in grado di
favorire l'atrofia muscolare durante periodi di inattività), bilanciando tra
richieste energetiche comunemente diminuite (ridotto turn-over proteico e
soprattutto limitata spesa energetica per diminuita attività fisica e mobilità) e
i fabbisogni calorici aumentati (necessità energetica supplementare per
favorire il processo di guarigione).
La spesa energetica sarà così generalmente ridotta ma i fabbisogni calorici
saranno verosimilmente diminuiti in misura minore di quanto si possa
pensare (soprattutto se utilizzati ausili medicali come stampelle in grado di
aumentare considerevolmente il consumo di calorie). È quindi
probabilmente preferibile aumentare un poco di peso piuttosto che non
favorire i processi di sintesi proteica che caratterizzano la guarigione delle
ferite.
È nondimeno indispensabile eseguire un'attenta valutazione dello stato di
alcuni micro e macronutrienti notoriamente importanti per il benessere
dell'apparato locomotore quali proteine, calcio, fosforo, zinco e vitamina D,
vitamina E e acido ascorbico. Non sono, infatti, da sottovalutare i possibili
effetti negativi dell'immobilizzazione e del disuso sul metabolismo osseo
(demineralizzazione), oltre che sull'integrità di tendini e legamenti.
Interessante, mentre nel muscolo la sintesi del collageno risponde
all'iperaminoacidemia, ciò non avviene nei legamenti. Appare quindi
necessario porre una particolare attenzione ai livelli di assunzione di
materiali collaginei soprattutto in quegli sportivi in cui il collageno può
essere carente nella dieta (come nei soggetti vegetariani o comunque negli
atleti che limitano eccessivamente l'apporto di carni, soprattutto rosse).
Ogni sport è generalmente caratterizzato da uno specifico pattern di
infortuni tra cui si annoverano fratture, traumi, distorsioni, lussazioni,
strappi, stiramenti e altro. Nel calcio la maggior parte degli infortuni è a
carico degli arti inferiori, per cui ci focalizzeremo sulla gestione nutrizionale
dell'infortunio da trauma acuto e sui problemi connessi con l'immobilità
degli arti e il loro recupero.
Il periodo dell'infortunio si sviluppa su due fasi principali temporalmente in
successione e ambedue influenzabili dall'intervento nutrizionale. La prima
fase è definita come lo stadio di immobilizzazione e di atrofia
muscolare. In questa fase, dove l'obiettivo è limitare quanto più possibile la
perdita di massa muscolare, l'intervento dietetico può sommariamente
agire a tre livelli: infiammatorio, atrofico e osteo-articolare.
Con la ripresa della mobilità l'atleta entra gradualmente nella fase
riabilitativa, un momento dove il recupero della massa muscolare è
l'obiettivo che può essere maggiormente influenzato dal regime
nutrizionale seguito. Nel cosiddetto stadio della riabilitazione e
dell'ipertrofia muscolare l'apporto proteico e l'eventuale
supplementazione con creatina rappresentano i due aspetti nutrizionali più
importanti.
La reazione infiammatoria inizia immediatamente dopo il trauma ed è
fondamentale per il processo di guarigione delle ferite. In questa fase,
l'intervento dietetico deve svolgere una funzione di modulazione ovvero
deve essere capace di evitare un'eccessiva risposta flogistica piuttosto che
favorirne la totale soppressione, evenienza, quest'ultima, probabile con il
comune utilizzo di noti antidolorifici (FANS). Diminuire il rapporto omega
6/omega 3 si è dimostrato capace di ridurre lo stato infiammatorio associato
a patologie croniche come l'artrite reumatoide e può quindi essere utile
anche nel modulare lo stato di infiammazione durante l'infortunio.
L'intervento dietetico dovrà quindi favorire il consumo di alimenti ricchi in
omega 3 (come carni e olio di pesce, noci, semi e olio di lino, e altro) rispetto
alle fonti che abbondano in omega 6 (come oli e semi di mais o di girasole).
Utile, inoltre, può essere una supplementazione con omega 3.
Da sempre, le proteine costituiscono il nutriente più ricercato
nell'alimentazione degli sportivi che attraverso lo sviluppo della
muscolatura cercano di migliorare l'efficienza atletica e la prestazione
sportiva. Anche in fase di riabilitazione un aumentato apporto proteico può
favorire l'ipertrofia muscolare. In questi casi, la quantità suggerita di
proteine da assumere giornalmente è di poco maggiore rispetto a quella
consigliata nell'adulto in buono stato di salute, fermo restando che i
fabbisogni energetici, glucidi e di grassi essenziali siano soddisfatti.
Quantità maggiori sono in grado di determinare un plateau nella sintesi
proteica. Comunque, più che l'apporto totale giornaliero di proteine assunte
con la dieta, altri fattori come la ripartizione giornaliera, il timing di
assunzione in relazione all'esercizio di riabilitazione, il tipo di proteine
consumate, i nutrienti assunti contemporaneamente alla frazione proteica e
l'interazione tra di essi possono essere più importanti nel favorire la sintesi
delle proteine muscolari.
Questo tipo di supplementazione può favorire, probabilmente più che
dell'assunzione di omega 3 con i cibi, il riequilibrio di quest'importante
rapporto molto spesso fortemente sbilanciato a favore degli omega 6 a
causa delle abitudini alimentari dell'uomo moderno. La terapia enzimatica
costituisce invece un approccio innovativo all'infiammazione, sebbene
ancora in fase preliminare. La somministrazione di enzimi con un'elevata
attività proteolitica sembra, infatti, in grado di accelerare il decorso di
un'infiammazione e, allo stesso tempo, di ridurre il gonfiore, il dolore e le
limitazioni funzionali.
Ad esempio, la sintesi proteica è un riconosciuto meccanismo dose risposta
saturabile ovvero aumenta all'aumentare della dose di aminoacidi
essenziali assunti con un pasto, fino a una quantità massima ben stabilita,
oltre la quale non si osservano successivi incrementi almeno per un certo
periodo. Conoscere le quantità di questi aminoacidi in grado di
massimizzare la sintesi proteica e i tempi di saturazione può garantire
un'ottimale ripartizione delle proteine assunte giornalmente. Ancora, la
disponibilità immediata di aminoacidi essenziali stimola efficacemente i
tassi di sintesi proteica dopo l'esercizio. Sarà quindi fondamentale iniziare
ad assumere aminoacidi e/o proteine immediatamente dopo una seduta
riabilitativa, poiché un'ingestione procrastinata ne ritarderà la disponibilità
cellulare. In aggiunta alle proteine, l'ingestione di carboidrati post esercizio
può avere un'azione anticatabolica sulla sintesi proteica e favorire quindi il
recupero delle masse muscolare.
L'apporto energetico e quello proteico incidono nel processo di atrofia
muscolare. Per prevenire la perdita di massa muscolare e mantenere
un'adeguata funzione immunitaria, l'atleta ospedalizzato, o soggetto a
incapacità a lungo termine, necessita di un fabbisogno proteico aumentato,
nonostante i ridotti livelli di attività fisica. Interessante, la supplementazione
con amminoacidi essenziali si è dimostrata capace in alcuni studi di inibire
l'atrofia muscolare da immobilizzazione e la sua efficacia potrebbe essere
aumentata se arricchita in leucina, un aminoacido fondamentale nel
processo di sintesi proteica e probabilmente in grado di superare lo stato di
resistenza anabolica riscontrato in soggetti immobilizzati.
In pratica, immediatamente dopo l'esercizio di riabilitazione, che sia di
resistenza o di endurance, è importante consumare il cosiddetto recovery
meal, in altre parole una miscela di proteine ad alto valore biologico e a
rapida velocità di assimilazione che, assieme a carboidrati ad alto indice
glicemico, è capace di arrivare velocemente nel muscolo favorendo la
La paura dell'aumento di peso può condurre alcuni atleti a ridurre l'intake
calorico più che del necessario, mentre altri prenderanno peso perché
7
sintesi proteica oltre che la rigenerazione delle scorte energetiche
depauperate dall'esercizio appena compiuto.
La creatina è senz'altro uno dei supplementi sportivi maggiormente
utilizzati negli sport di potenza per la sua comprovata efficacia nel
stimolare l'ipertrofia muscolare. La sua efficacia in ambito riabilitativo è
tuttavia meno certa, probabilmente perché diversi fattori possono
determinarne il buon esito.
Ad esempio, il tipo di infortunio e/o la sua durata oppure la stessa
esistenza già in soggetti sani di gruppi responder e non responder sono
tra i più noti. Sarà così più probabile ottenere un vantaggio in termini di
ipertrofia in soggetti vegetariani, o comunque che usualmente
consumano quantità limitate di carni, oppure nel recupero di infortuni di
breve durata o dove l'atrofia muscolare è conseguenza più di uno stato di
immobilizzazione che di un effettivo trauma.
La creatina, comunque, oltre a favorire il recupero delle masse muscolari
durante la riabilitazione, può essere utile durante tutto il periodo
dell'infortunio perché sembra ad esempio capace di attenuare la perdita
di massa muscolare durante la fase di immobilizzazione e di inibire il
riassorbimento osseo promuovendo al contempo l'incremento della
densità minerale ossea.
Per ultimo, ma non per importanza, è evidente come qualsiasi intervento
di supplementazione e di integrazione non può prescindere o, almeno,
sarà più efficace se accompagnato da un'idonea alimentazione in grado
di garantire tutti i principi nutritivi necessari per promuovere la guarigione
delle ferite e sostenere un pieno recupero del calciatore infortunato. Dalle
attuali evidenze scientifiche e dalle prospettive terapeutiche appena
esaminate si evince come, durante l'infortunio, l'intervento alimentare
dovrà essere essenzialmente in grado di modulare, ma non di
sopprimere, la risposta infiammatoria e capace di contrastare
l'insorgenza di probabili e pericolosi disequilibri proteico-energetici,
negativi per la sintesi proteica e per la composizione corporea.
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Consigli Nutrizionali
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Radicare nell'atleta corrette abitudini alimentari
Scegliere cibi “anti-infiammatori”
Apporto di carboidrati in relazione a indice e carico glicemico
5 pasti al giorno per controllare al meglio la risposta insulinica
Apporto e ripartizione adeguata di proteine
Attenzione al timing di assunzione
Introdurre più vegetali e frutta
Inserire grassi monoinsaturi (olio d'oliva, oliva, noci, mandorle)
Fonte: Angelini e coll., 2010.
I consigli nutrizionali in merito e riassunti in tabella, prendono in
considerazione diversi aspetti dell'assunzione di cibo, tra cui i principali
sono essenzialmente l'indice e il carico glicemico, la composizione in
acidi grassi, l'apporto e la ripartizione dei macronutrienti, il contenuto in
micronutrienti, la quota di fibre alimentari e l'equilibrio acido-base.
Un'alimentazione basata su tali principi non costituisce tanto una “dieta
speciale” per l'atleta infortunato, ma rappresenta piuttosto un approccio
nutrizionale a lungo termine in grado di radicare nell'atleta corrette
abitudini nutrizionali in contrapposizione allo stile alimentare moderno
pro-infiammatorio e potenzialmente utile nel trattamento nutrizionale di
tutte quelle patologie cronico-degenerative a carattere infiammatorio.
Che si tratti di recuperare più rapidamente da un infortunio oppure di
prevenirne l'insorgenza o di ottimizzare la performance, può sembrare
scontato ma è doveroso affermare che l'obiettivo primario dell'intervento
dietetico è promuovere il benessere del calciatore lungo tutto l'arco della
sua carriera e dopo il suo ritiro oltre che il risultato sportivo.
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PARAMETRI BIOFISIOLOGICI E SUPPLEMENTAZIONE PER IL CALCIO:
CREATINA E AMINOACIDI RAMIFICATI(BCAA)
Massimo Negro
Dietista, dott. in Scienze Motorie, professore a contratto, Master di Nutrizione Umana - Università di Pavia, Coordinatore
Commissione Scientifica SINSeB.
L'utilizzo di supplementi nel gioco del calcio è un argomento ancora
controverso. In campo scientifico si continua a ritenere improbabile che
una supplementazione possa esaltare il talento sportivo di un giocatore e
nessuna ricerca ha mai dimostrato che l'utilizzo di sostanze nutrizionali
possa aumentare le chance di vittoria di una squadra. Tuttavia, alcuni
supplementi, pur non aumentando direttamente la capacità di
prestazione, possono migliorare fattori biofisiologici in qualche modo
legati al rendimento fisico. Tra questi supplementi troviamo la creatina e
gli aminoacidi ramificati (Branched-Chain Amino Acids – BCAA).
Secondo un recente documento pubblicato dall'International Society of
Sports Nutrition (ISSN) creatina e BCAA rientrano tra le sostanze dotate
di una certa efficacia e sicurezza di utilizzo, con effetti sulla forza e
potenza, il recupero muscolare e la funzione immunologica.
CREATINA – La creatina più comunemente utilizzata è quella
monoidrata. In commercio esistono prodotti contenenti creatina salificata
in varie forme (citrata, malata, piruvata) che, tuttavia, non hanno mai
dimostrato di essere migliori di quella monoidrata, se non per una
maggiore stabilità in soluzione. La creatina può essere somministrata
secondo due modalità: 1) fase di “carico” (15-20 g) per una settimana,
seguita da una fase di mantenimento (2-5 g) per circa 4 settimane; 2)
assunzione di 2-5 g di creatina fin dall'inizio, senza fase di carico, per 4/5
settimane. Le due modalità sembrano differire solo per la velocità con la
quale vengono saturati i depositi di creatina muscolare. La maggior parte
degli studi in letteratura ha impiegato, tuttavia, la modalità con fase di
“carico” e i dati disponibili sono pertanto riferiti a tale modalità.
L'assunzione di creatina in combinazione con carboidrati ha dimostrato
di aumentare la capacità muscolare di recupero del glicogeno, utile in
particolare quando il calciatore si trova a dover affrontare nuovi eventi
sportivi a breve distanza di tempo. Le più note proprietà ergogeniche
della creatina riguardano, tuttavia, l'espressione muscolare di forza e
potenza. Questo è stato visto sia in lavori di sprint, sia durante esercizio
intermittente alternato con fasi aerobiche. Più recenti sono le
osservazioni circa gli effetti della creatina sull'anabolismo proteico
muscolare e l'ipertrofia, fenomeni strettamente correlati con la capacità di
recupero. In particolare, diversi studi sull'impiego di creatina hanno
evidenziato effetti quali la proliferazione delle cellule satelliti e dei
mionuclei, con stimolo sui fattori miogenici di regolazione della sintesi
proteica (MRF4, MYO-D, MIOGENINA) nei muscoli sottoposti a carichi di
forza. Non ci sono evidenze scientifiche circa la tossicità della creatina su
soggetti sani, sia a breve, sia a lungo termine.
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BCAA - L'interesse sportivo verso gli aminoacidi a catena ramificata
(Isoleucina, Leucina e Valina) risale agli anni '80. La possibilità di poter
migliorare la performance atletica attraverso supplementazioni con
BCAA è stata oggetto di numerose ricerche. Da un analisi della
letteratura disponibile, l'assunzione di BCAA non sembra influenzare
direttamente la prestazione atletica ma interviene soprattutto nelle fasi di
recupero post-esercizio. Gli effetti sono evidenziabili a livello della fibra
muscolare e del sistema immunitario. Sul muscolo una
supplementazione con BCAA stimola il metabolismo proteico muscolare,
limitando i microdanni miofibrillari legati alle ripetute sollecitazioni
meccaniche soprattutto se di natura eccentrica (i gesti eccentrici sono
tipicamente presenti nel lavoro muscolare del calciatore).
Sia il ruolo anabolico, sia quello anticatabolico sembrano essere
esercitati in particolare dall'aminoacido leucina; la leucina è da tempo
segnalata come sostanza capace di stimolare fattori di regolazione
endocellulari della sintesi proteica muscolare, quali mTOR e P70S6K. Il
ruolo dei BCAA a livello immunologico sembra essere legato a un
miglioramento della risposta linfocitaria post-esercizio, glutaminamediata. Studi rivelano, inoltre, un minor sbilanciamento a carico delle
citochine normalmente associate ai fenomeni d'immunità cellulare,
anche se tali osservazioni sono per ora isolate e richiedono ulteriori
approfondimenti. Fornire indicazioni circa dosaggi e modalità di
assunzione dei BCAA risulta ancora particolarmente difficile vista la
moltitudine di protocolli presenti in letteratura. Secondo un “classico”
riferimento, 1 g per ogni 10 Kg di peso (prima e dopo l'esercizio) può
essere l'indicazione di base, mentre secondo alcuni autori tale dosaggio
può essere anche raddoppiato.
Nessuna reazione avversa è mai stata registrata sugli atleti in seguito alla
supplementazione di BCAA.
9
VITAMINE E MINERALI
Luca Gatteschi
Medico della Nazionale Italiana Calcio; Componente direttivo SINSeB; Componente Sezione Medica del Settore Tecnico FIGC;
Collaboratore rivista Runners'Wolrd
L'alimentazione influenza tre campi definiti dell'attività fisico/sportiva:
l'apporto di energia, il recupero muscolare, la salute specifica dell'atleta
(in particolare la bilancia ossidativa e le difese immunitarie). Già nel
mondo greco il trattamento per la cecità notturna consisteva nella
somministrazione di fegato, organo ricco di vitamina A, e nel 1770 si
pubblicavano trattati su carenza di vitamina C e scorbuto. Riguardo il
ruolo dell'apporto vitaminico e minerale, e la necessità di integrazione,
alcuni autori ipotizzano che l'attività fisica comporti un maggior dispendio
che la semplice alimentazione non è sufficiente a soddisfare, posizione
non condivisa da altri. Quello su cui si riscontra invece un accordo quasi
generale, è il fatto che una condizione di deficit anche lieve possa
compromettere la prestazione, ma anche allo stesso tempo che una
assunzione in eccesso non determini di per sè un miglioramento.
Parlare in maniera corretta e concreta dei rapporti tra minerali/vitamine
ed attività sportiva richiede alcuni punti fermi: stabilire se vi sia
effettivamente un aumentato utilizzo e/o consumo, definire il fabbisogno,
stimare l'introito. Per questi ultimi due punti le difficoltà derivano: dalla
inadeguatezza del concetto di LARN (che identificano le quantità
sufficienti per circa il 98% della popolazione, sedentaria) a differenza dei
Dietary Reference Intake, che si basano sull'uso di quattro parametri di
riferimento diversi per diverse situazioni; dall'influenza che i diversi modi
di coltivazione, raccolta e conservazione hanno sul contenuto di vitamine
e minerali, riducendolo anche drasticamente. Tra le vitamine, l'attenzione
è rivolta in particolare verso la vitamina D, i cui livelli secondo vari studi
potrebbero essere in rapporto diretto con la prestazione muscolare, e le
vitamine antiossidanti. Per queste ultime, nell'ambito di una revisione
globale dei ruoli importanti dei fattori ossidativi, si sta evidenziando come
una somministrazione indiscriminata potrebbe anche influenzare
negativamente gli adattamenti muscolari all'allenamento, specie nella
prima fase, che risultano in parte mediati proprio da un aumento delle
ossidazioni. Per quanto riguarda i minerali, di particolare interesse
risultano Ferro, Magnesio, Cromo e Zinco.
neuronale; regolazione cardiovascolare; modulazione della pressione (az.
ipotensiva); omeostasi ormonale; tappe del metabolismo energetico.
Oltre alal possibile discreta incidenza di situazioni di ridotti livelli tissutali
basali, l'esercizio determina flussi intercompartimentali di Magnesio, con un
incremento delle perdite accentuate da valori elevati di ormoni dello stress.
Questo, associato ad un introito spesso inadeguato, può trasformare un
deficit latente in manifesto, con possibilità di compromissione dell'azione
protettiva nei confronti danno muscolare, influenza negativa sui tempi
recupero, sulla capacità prestazione aerobica e sulla forza muscolare. Lo
zinco gioca un ruolo, oltre che nella sintesi e riparazione del connettivo, nella
regolazione della funzione immunitaria. vari studi hanno documentato sia una
influenza dell'attività fisica sui livelli di zinco plasmatico, che una correlazione
tra status dello zinco e prestazione muscolare.
L'attività fisica sembra determinare, come nel caso del magnesio, dei flussi di
zinco tra i diversi distretti, con un aumento dell'escrezione che, associato ad
introito spesso marginale, può determianre una situazione di deficit.
L'assorbimento dello zinco è ridotto da fitati, ossalati, metallotionine
intestinali, elevata assunzione di calcio e ferro.
In conclusione, la valutazione del fabbisogno di vitamine e minerali nello
sportivo deve considerare una serie di situazioni: una brusca variazione
carichi allenamento; l'nterazione sport/lavoro; patologie croniche gastrointestinali; disturbi dell'alimentazione e una alimentazione non adeguata;
atleti vegetariani e l'atleta donna.
La prescrizione di una supplementazione non può prescindere dalla
valutazione dell'introito alimentare, dalla consapevolezza della possibilità di
interazioni positive/negative, dalla “prescrizione” di interventi alimentari
corretti, che tengano conto del territorio, della stagionalità degli alimenti, dele
modalità di produzione e preparazione.
Il ferro è stato il primo, e per molto tempo il più studiato, per vari motivi:
rappresenta il deficit/carenza singola a maggior diffusione mondiale, il
supplemento singolo maggiormente utilizzato, il minerale il cui status è
più facilmente valutabile, l'esistenza di stretti rapporti tra ferro e capacità
lavorativa.
Gli aspetti da appronfodire riguardo il ferro sono: frequenza/incidenza
nello sportivo di alterazioni dello status del ferro, influenza di alterazioni
dello status del ferro sulla capacità lavorativa, influenza dell'attività fisica
sullo status del ferro, gli effetti positivi della supplementazione, i possibili
effetti negativi/avversi della supplementazione, tra i quali pa possibilità di
una emocromatosi anche con supplementazioni orali, l'interferenza con
l'assorbimento di altri minerali, l'azione proossidante.
Oltre al ruolo del ferro eme per il trasporto e deposito dell'ossigeno, per
cui la carenza compromette la prestazione aerobica massimale, il ferro
non eme è anch'esso fondamentale (cinetica ormoni tiroidei, sensibilità
insulinica, termoregolazione, attivazione sistema nervoso simpatico, vie
metabolismo energetico), ed una sua carenza anche subclinica può
compromettere la prestazione submassimale. Proprio in merito al
rapporto tra ferro e attività sportiva è stato introdotto da Pate nel 1984 ,
riferendosi alla concentrazione di emoglobina, il concetto che valori
anche normali possano essere subottimali per l'atleta.
I fattori che nell'atleta possono portare ad un aumentato fabbisogno
sono, oltre allo stimolo eritropietico, sia l'aumento della massa muscolare
che del suo contenuto enzimatico; quelli che possono portare ad un
maggior consumo sono fenomeni di emolisi intravascolare,
microemorragie vescicali e gastrointestinali, aumento dell'escrezione
con il sudore.
Una compromissione dello status del ferro può derivare, oltre che da una
reale carenza, anche da un deficit di rame, necessario per la sintesi della
citocromoossidasi ed utilizzazione ferro, costituente della
ceruloplasmina e della superossidodismutasi;la biodisponibilità del rame
è ridotta da una elevata assunzione Vit C, mentre l'assorbimento è ridotto
da elevata assunzione Zinco.
Il magnesio svolge un ruolo fondamentalenel nostro organismo:
regolazione della sintesi acidi nucleici; controllo dell'eccitabilità
10
CARBOIDRATI E PROTEINE NELLE PRESTAZIONI ESTREME
Giuseppe D'Antona
Assistant Professor in Fisiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Pavia
Come noto la possibilità che il muscolo scheletrico ha di soddisfare le
diverse esigenze funzionali legate al vivere quotidiano e al melieu interno
è significativamente legata ai processi di adattamento plastico delle fibre
muscolari che lo compongono attraverso la combinazione di variazioni
qualitative e quantitative dell'espressione e della funzione proteica
finalizzate al raggiungimento di uno stato stazionario (omeostasi)
adeguato alle richieste. Le variazioni quantitative dell'espressione
genica si possono realizzare esclusivamente o in combinazione a livello
trascrizionale, traslazionale e post traslazionale e l'identificazione
dell'origine della risposta plastica in queste condizioni non è certo banale.
Nelle prestazioni fisiche estreme questo processo adattativo subisce un
fenomeno perturbativo di grande rilievo con conseguenze decisive a
carico dei processi energetici (deficit energetico) e biosintetici
(ipercatabolismo/ridotta sintesi) cellulari.
La diretta conseguenza di questo processo perturbativo è la comparsa
della compromissione prestativa e, quindi, della sua interruzione. In linea
del tutto teorica e considerando i noti meccanismi alla base della
bioenergetica e delle sintesi proteiche cellulari, due possibili interventi
possono, almeno parzialmente, ovviare al deficit energetico e
biosintetico: 1. la supplementazione di carboidrati e la 2.
supplementazione proteico/aminoacidica.
Lo stato attuale delle conoscenze suggerisce un ruolo fondamentale
della supplementazione di carboidrati prima durante e dopo una
prestazione di lunga durata al fine del miglioramento della prestazione,
della riduzione della fatica e del corretto ripristino delle riserve funzionali
tessutali nel periodo successivo all'esercizio. Un quadro molto diverso
emerge invece per le supplementazioni aminoacidiche e proteiche in
corso di prestazione di lunga durata il cui impiego è stato ipotizzato ai fini
di un miglioramento dell'efficienza metabolica muscolare ma per le quali
non esistono attualmente indicazioni certe.
Carboidrati. Un gran numero di lavori scientifici avvalora l'ipotesi che la
supplementazione di carboidrati durante la prestazione strenua (e
comunque di durata superiore ai 45 minuti), sia continua che
intermittente, impatti significativamente e positivamente sulla
prestazione fisica, ritardando la comparsa di fatica e l'interruzione della
prestazione
Considerando il contributo energetico dato dalla
ossidazione dei carboidrati e degli acidi grassi alla produzione di energia
durante l'esercizio, questo beneficio si può teoricamente realizzare
attraverso il mantenimento di adeguati e costanti livelli tessutali di
glicogeno, costanti livelli circolanti di glucosio e acidi grassi nonchè da un
aumento dell'ossidazione muscolare dei carboidrati e degli acidi grassi.
Un intervento nutrizionale volto a massimizzare i livelli di acidi grassi
circolanti e di glicogeno tessutale sarebbe quindi auspicabile per
posticipare la comparsa di fatica e l'interruzione della prestazione in
queste condizioni. Da un punto di vista fisiologico, comunque, non è
possibile ottenere la contemporanea massimizzazione dei livelli
circolanti di acidi grassi e dei depositi periferici di glicogeno.
Infatti un aumento dei livelli di acidi grassi si realizza con la
contemporanea riduzione dei depositi di glicogeno (situazione tipica del
digiuno), mentre un aumento dei livelli di carboidrati provenienti dalla
dieta si combina con un aumento
insulino-dipendente dei depositi di
trigliceridi nel grasso e una
riduzione dei livelli circolanti di acid
grassi.
Sia il glicogeno che il glucosio
plasmatico sono ossidati dal
muscolo scheletrico per ottenere
energia nel corso di un esercizio
prolungato .
Nel corso dell'esercizio si realizza un graduale passaggio dall'utilizzo del
glicogeno intramuscolare a quello del glucosio circolante come fonte
energetica primaria (Figura modificata da Coyle 1986) (Figura modificata
da Coyle 1987). Ovviamente il contributo di quest'ultimo all'energetica
muscolare può essere limitato da un declino della concentrazione
plasmatica di glucosio che si può realizzare soprattutto nelle fasi
avanzate dello sforzo e in concomitanza con una riduzione significativa
dei depositi epatici di glicogeno.
Pertanto la disponibilità di glicogeno e la glicogenolisi risultano come fattori
limitanti per il mantenimento della costanza dei livelli circolanti di glucosio
soprattutto nelle fasi avanzate della prestazione. Questo spiega l'importanza
della massimizzazione (supercompensazione) dei depositi di glicogeno prima
dello sforzo.
Il rilascio di glucosio dai depositi epatici di glicogeno è la conseguenza
dell'equilibrio tra gluconeogenesi (regolata positivamente da alanina, lattato e
glicerolo) e glicogenolisi (regolata da glucagone, catecolamine e ridotta
insulina). Una volta rilasciato in circolo l'ingresso di glucosio nella cellula
muscolare scheletrico è regolato dall'espressione e dalla funzione del
trasportatore di glucosio (GLUT4) a sua volta strettamente controllato da
insulina (D'Antona & Nisoli, 2010). A parità di disponibilità, è l'utilizzo ovvero
l'ossidazione che rappresenta un ulteriore fondamentale collo di bottiglia per il
mantenimento della spesa energetica muscolare nella prestazione strenua.
L'ossidazione dei carboidrati non sembra dipendere (a parte alcune
eccezioni) dallo svuotamento gastrico, dalla digestione, dal tipo di carboidrato
e dai depositi muscolari di glicogeno ma dalla capacità intrinseca del muscolo
di utilizzarli nonché dalla concentrazione plasmatica di glucosio e insulina .
Pertanto l'ingestione di carboidrati durante un esercizio assai prolungato
ritarda la comparsa di fatica e aumenta la prestazione (power output)
soprattutto attraverso il mantenimento dell'euglicemia e un aumento della
velocità di ossidazione dei carboidrati.
Attualmente è raccomandato in corso di esercizio un utilizzo pari a 30/60
gr/carboidrati/ora ovvero 600/1400 ml/ora di una soluzione dl 4-8% di
carboidrati per massimizzare la prestazione estrema (Kerksick et al., 2008).
PROTEINE/AMINOACIDI
M o l t o d i b a t t u t o è i n v e c e l ' e ff e t t o d e l l a s u p p l e m e n t a z i o n e
aminoacidica/proteica sulla prestazione fisica e sulla comparsa di fatica nel
corso di attività strenue.
L'analisi della letteratura consente di individuare alcune indicazioni circa
l'efficacia della supplementazione di proteine combinata a carboidrati nel
promuovere un miglioramento della performance aerobica e del danno
muscolare post-esercizio evidenziato con variazioni significative dei livelli di
creatina chinasi circolanti (Saunders et al., 2004; Saunders et al., 2007).
Al contrario diversi altri autori non hanno evidenziato variazioni significative
del tempo di endurance ma una evidente attenuazione del danno muscolare
post-esercizio conseguenti alla associazione di proteine con carboidrati
(Romano-Ely et al., 2006; Valentine et al., 2008).
Sulla base di queste evidenze sperimentali l'International Society o Sports
Nutrition raccomanda l'utilizzo di una eventuale combinazione di carboidrati e
proteine (0.2 g – 0.5 g PRO/kg/day) per ottimizzare la resintesi di glicogeno e
ridurre il danno nel periodo post-esercizio (Kerksick et al., 2008).
Da non trascurare inoltre il fatto che la supplementazione aminoacidica
(amino acidi essenziali, in particolare leucina) nel periodo post-esercizio e, in
particolare, entro tre ore dall'evento possa determinare una significativa
spinta biosintetica attraverso l'attivazione di vie di segnale che coinvolgono il
target della rapamicina del mammifero (mTOR) (Biolo et al., 1997; D'Antona &
Nisoli, 2010).
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FISIOPATOLOGIA DELL'ULTRAENDURANCE
Nicola Sponsiello
Medico, specialista in scienza dell'alimentazione, ex atleta azzurro. Dietologo clinico e dello sport, con particolare interesse
nell'idratazione e nel metabolismo. Docente (a c.) di Nutrizione Nello Sport all'Università di Camerino (MC)
Membro dello staff scientifico e del consiglio di amministrazione di SINSeB. Portavoce per l'Italia del Gatorade Sport Sciences
Institute (Chicago USA).
Ci sono dati che dimostrano che durante gli “ultralunghi” l'organismo si
adatta attraverso vie tipiche dello stress (Stueumpfle KJ;), tanto più
evidentemente quanto meno è allenato. Sono i reni gli organi
parenchimali a sentirne di più le conseguenze (Neumar G).
Lo stato di idratazione si modifica molto per intervento di Peptidi
Natriuretici, se l'idratazione non è adeguata aumentano il volume
plasmatico e l'acqua corporea totale, verosimilmente per un aumento del
sodio (Knechtle B), c'è, infatti, una dimostrata correlazione inversa tra
sodiemia e disidratazione (Sharwood K). Il peso quindi tende a calare,
ma non solo per calo delle riserve idriche, anche per il notevole
catabolismo muscolare. In particolare la corsa determina grandi
modificazioni nella composizione corporea con non raro riscontro di
edema (Knechtle B), il nuoto e il ciclismo invece non comportano grandi
modificazioni della FFM, l'idratazione in questi sport risulta meglio
gestibile (Knechtle B. 3).
8.
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L'acqua ha anche ruolo adiuvante nell'assorbimento ed ossidazione dei
carboidrati, per l'adeguato sostegno energetico dev'essere garantita,
tuttavia la disidratazione è il più frequente problema riscontrato negli
ultralunghi (Hiller WD; Mayers LB; Eden BD). Il clima freddo non riduce la
necessità di idratarsi con attenzione.
Va ricordato anche che tra i praticanti l'ultraendurance è frequente l'uso di
FANS, ma non c'è evidenza che questa pratica influenzi lo stato di
idratazione (Page AJ)
Negli ultralunghi il rischio di iponatriemia sintomatica è particolarmente
alto. Attenzione a non bere troppo, specialmente fluidi troppo poveri di
sodio (Speedy D.B.; Mountain S.J.; Mauntain S.J. 2)
Mie esperienze professionali:
il ritmo medio di gara è relativamente basso, quindi
l'assorbimento e la digestione sono possibili.
In questo genere di esercizio il ruolo della psiche è
importantissimo, buoni sapori e cibi graditi sono di grande aiuto
Non c'è modo di allenarsi all'ultralungo, la concentrazione e la
lucidità mentale sono determinanti anche per la gestione dell'idratazione
Nell'ultralungo è un grave errore limitarsi a soddisfare la sete
Usare bevande diverse: cambiare concentrazione e sapore
aiuta la buona idratazione
Accertarsi con cura di quali bevande sono disponibili ai ristori
Utilissimo osservare il colore dell'urina, deve rimanere chiaro
(pur con la possibile emolisi)
Eccetto quando fa molto caldo, cambiarsi indumenti è
importante
L'idratazione va gestita con piccole ma frequenti assunzioni di fluidi
contenenti acqua, elettroliti (specie sodio) e monosaccaridi (5-6%).
Secondo Mountain (Mountain S.J. 2): irrinunciabili gli sport drinks.
Preferire invece l'acqua assieme al cibo, per ridurne il carico osmotico
(per 15' dopo assunzione) (Ebden B.D.).
In ogni caso sempre piccole assunzioni, le ischemie enteriche indotte dal
tipo di sforzo impongono carichi costanti e modesti.
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13
PREPARAZIONE E SUPPLEMENTAZIONE NELL'ULTRAENDURANCE:
VITAMINE ED ANTIOSSIDANTI
Fulvio Marzatico
Responsabile laboratorio di farmacobiochimica nutrizione sportica e nutriceutica del benessere Universita' di Pavia;
Vice presidente SINSeB
Le Vitamine sono necessarie per i processi metabolici coinvolti
nell'esercizio fisico. Il fabbisogno di vitamine degli atleti è da sempre
argomento di discussione, diversi ricercatori sostengono che gli atleti
richiedono più vitamine rispetto ai sedentari, altri ricercatori non indicano
maggiori necessità di queste sostanze.
8.
9.
10.
Nel valutare le opportune necessità delle vitamine degli atleti, si devono
tener presente numerosi fattori: quantità e intensità degli allenamenti,
specificità della disciplina sportiva, la spesa energetica complessiva che
gli allenamenti e le competizioni richiedono (1).
Quando l'assunzione di energia è sufficiente, il fabbisogno di
micronutrienti degli atleti possono essere abbastanza simili ai fabbisogni
di soggetti sani attivi.
Tuttavia un certo numero di atleti possono avere un maggior fabbisogno,
per le perdite elevate/eccessive di micronutrienti con sudore e urina e per
il loro intervento nei processi di recupero. Per questi atleti può essere
necessaria una supplementazione, ma solo attraverso un approccio
individuale/personale e non superficiale.
L'ultraendurance è un'attività fisica che si presta ad un'attenta
valutazione della quantità di micronutrienti introdotti, per le perdite
consistenti che questa attività comporta. Se escludiamo gli studi sulle
vitamine antiossidanti, le variazioni dei livelli di vitamine durante attività di
ultraendurance sono molto scarse. Alcuni ricercatori hanno evidenziato
alcune carenze in atlete femmine di Vitamina B12 e vitamina D (2), altri
studiando le variazioni di vitamina B6 dopo una maratona hanno
evidenziato una perdita di questa vitamina quasi pari al suo LARN (1-1.5
mg)(3), valori non confermati da un altro studio effettuato dopo una corsa
di 50 Km, dove la perdita registrata era solo di 0.15 mg (4).
Altre ricerche hanno indicato livelli plasmatici carenti di vitamina B5 nei
maratoneti e nei calciatori, tuttavia durante un esercizio aerobico di 2 ore,
questi livelli incrementano(5). Un dato molto interessante è la variazione
di vitamina D in atleti di endurance dopo una pausa degli allenamenti, alla
ripresa di questi il livelli di questa vitamina si riducono in correlazione con
la durata degli allenamenti stessi (6).
Molto diverso è il quadro degli studi che riguardano le vitamine
antiossidanti(A, E, A e carotenoidi) , in questo campo gli studi sono
innumerevoli, ma molto contraddittori. Il dato acquisito è che le vitamine
antiossidanti non sono in grado di condizionare la prestazione atletica,
mentre sui parametri del recupero fisico i dati sono per lo più concordi
nell'indicare una certa azione positiva. Tuttavia alcune ricerche recenti
hanno evidenziato un potenziale effetto negativo di una
supplementazione con le vitamine antiossidanti sugli adattamenti
molecolari che l'esercizio fisico determina a livello muscolare (7).
Questi effetti negativi sono particolarmente evidenti con
supplementazioni elevate (1 g vitamina C, 200-300 mg di vitamina E),
mentre probabilmente gli effetti negativi sui meccanismi di adattamento
non si verificano con supplementazioni basse e moderate, le quali
mantengono gli effetti protettivi, senza interferire con gli adattamenti
indotti dall'allenamento(8,9). Di particolare importanza per una
supplementazione razionale è la valutazione dell'introduzione di
antiossidanti di origine alimentare (frutta e verdura) che gli atleti
comunemente introducono con la loro alimentazione.
Un'introduzione inferiore di 3 porzioni giornaliere di alimenti vegetali,
predispongono gli atleti ad una elevata produzione di citochine
infiammatorie (TNFa,IL6, IL1b) durante la prestazione, citochine
mantenute sotto controllo in atleti con un buona/elevata introduzione di
frutta e verdura (10).
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LA DIETA VEGETARIANA NELLA PRATICA SPORTIVA
Carmine Orlandi
Docente i.a. presso la facoltà di Medicina dell'Università di Roma – Tor Vergata (insegnamento di scienza dell'alimentazione) e
presso la facoltà di Medicina dell'Università de L'Aquila (Insegnamento di Chimica degli Alimenti).
Membro del Consiglio di Amministrazione SINSeB
Quella dell'opportunità di seguire una dieta vegetariana se si è atleti è
stato oggetto di discussioni con notevoli divergenze negli anni passati.
Una analisi della letteratura più recente vede invece una maggiore
convergenza nelle opinioni degli esperti, probabilmente grazie alle
metodiche di indagine più accurate ed anche alla maggior massa di studi
che sono stati pubblicati, segno evidente di un interesse sempre
maggiore su questo argomento.
Credo sia necessario innanzitutto definire cos'è una dieta vegetariana.
Nella tabella sono indicate alcune, le principali, diete vegetariane con uno
schematico commento che le caratterizza.
Com'è possibile vedere ci sono
diverse sfumature nelle diete
vegetariane, la struttura dietetica
maggiormente diffusa riguarda
comunque gli “ovo-latto
vegetariani” che, semplificando,
escludono dalla loro
alimentazione solo cibi derivati da
animali uccisi.
Non ci sono ormai dubbi nel
definire “salutare” una dieta
vegetariana ben pianificata, in cui
cioè vengano certamente
garantiti i nutrienti fondamentali
che, accompagnati dalla carenza
o ridotta presenza di acidi grassi saturi e di sostanze nocive presenti nei
residui di cottura dei prodotti di origine animale, l'elevata quantità di fibra,
vitamine, Ca e K, acido folico, rende questo modello alimentare
consigliabile in casi in cui prevalgano patologie cardiovascolari e
metaboliche. Sono note infatti le capacità di prevenzione
dell'ipertensione arteriosa così come delle altre patologie cardiovascolari
collegate, così come molti studi indicano i soggetti vegetariani arruolati
come più magri rispetto ai controlli onnivori.
Storicamente le principali incertezze sull'adeguatezza o meno di una
dieta vegetariana negli atleti possono essere così riassunte:
•
•
•
•
•
•
Adeguatezza calorico-proteica
Adeguatezza nei micronutrienti (Fe – Zn – Ca)
Adeguatezza vitaminica ( vit. B 12)
Nocumento riguardo il normale sviluppo degli adolescenti
Nocumento della performance atletica
Frequenti amenorree giovani atlete
In una recente (2009) “position” da parte dell'America Dietetic
Association (ADA) veniva schematizzata una sorta di “linea guida” per
tutti coloro che volessero seguire una dieta vegetariana in perfetta salute,
in questa ci si raccomandava di utilizzare la maggior varietà possibile
nella scelta dei cibi includendo legumi, frutta secca, latte e latticin, uova;
diminuire nettamente cibi dolci o zuccherati, con elevate quantità di sodio
e di grassi, in particolar modo grassi saturi trans; ovviamente variare in
rapporto alla stagione frutta e verdura; nel caso si decidesse di usare
latticini e formaggi vari scegliere comunque quelli con minor tenore di
grassi, uova e formaggi vanno comunque usati con moderazione;
utilizzare forme opportune di vitamina B12 e, nei casi di ridotta
esposizione solare, di vitamina D.
Una precedente position sempre dell'ADA del 1997 poggiava l'attenzione
sul fatto che gli effetti negativi delle diete vegetariane erano a carico
maggiormente delle donne ma che, se atlete, questi non erano tali da
influenzare negativamente la performance atletica, almeno nel breve
termine.
La position dell'ADA del 2009 riprende questa posizione e pur
riconoscendo una frequenza maggiore, nelle atlete rispetto alle donne
comuni, di amenorrea ed anemie, riporta però che una scelta oculata dei
cibi ed il ricorso a fonti diverse di calcio e ferro elimina queste eventualità.
Secondo alcuni studi il quantitativo globale di CHO è maggiore nei
vegetariani (Nieman, 1988), minore il quantitativo di grassi (Tylavsky &
Anderson 1988; Nieman et al. 1989; Haddad et al. 1999),
Un problema sempre dibattuto riguarda la capacità dei vegetariani di
rispettare le necessità quali-quantitative di proteine, ovviamente con
particolare riguardo agli atleti data la maggiore necessità. Un lavoro del
gruppo della Burke nel 2006 analizza diversi report degli ultimi 10 anni, da
questo si evince chiaramente come l'intake proteico degli atleti vegetariani sia
sovrapponibile a quelli degli altri atleti; inoltre 2 lavori interessanti (Barr,
nutrition 2004 e Venderley, sport med 2006) hanno valutato positivamente la
composizione aminoacidica di alcune diete riportate da diversi atleti, tutti
vegetariani. In precedenza uno dei primi lavori sull'intake proteico degli atleti
vegetariani aveva illustrato le medesime conclusioni (Eisinger a all., 1994)
riguardo all'apporto quantitativo ma non aveva trattato il profilo aminoacidico.
Non ci sono chiaramente dubbi riguardo all'adeguatezza dell'intake
energetico, di carboidrati e di grassi, anzi viene da tutti
gli autori sottolineato l'ideale apporto di fibre (più che
doppio rispetto al controllo - Eisinger a all., 1994;
Nieman, 1989; Burke, 2004), di acido folico ed altre
vitamine, potassio e magnesio.
Questi dubbi posti nei decenni passati avevano
oltretutto posto in essere una supposta inadeguatezza
della dieta vegetariana per i giovani atleti, soprattutto
riguardo alle necessità nutrizionali per una corretta
crescita e sviluppo. Recenti studi (Hebbelinck, 1999;
Barr, 2004; Burke, 2004) hanno invece chiaramente
dimostrato che non solo le diete vegetariane non
comportano alcun ostacolo alla crescita e sviluppo del
giovane atleta ma che anzi in alcune discipline sportive
ci sia un vantaggio per i giovani atleti vegetariani
(Nieman, 1989).
Sempre molto dibattuto il problema relativo alla carenza di ferro, calcio e zinco
che deriverebbero da diete vegetariane. In realtà diversi studi non riportano
queste carenze negli atleti vegetariani. Per quanto concerne il calcio non
viene messa i dubbio la ricchezza in calcio di moltissimi vegetali, il problema è
relativo alla sua biodisponibilità considerati i sali vettori del calcio e cioè gli
ossalati ed i fitati, anioni in grado di chelare il calcio diminuendone nettamente
la disponibilità. Un aumento della biodisponibilità risulta con la
contemporanea assunzione di alcuni tipi di proteine e soprattutto di vitamina
D. Chiaramente gli ovo-lattovegetariani non hanno alcun problema (JADA,
2009).
Il ferro è un elemento che da sempre viene guardato con attenzione nelle diete
vegetariane, problema questo che riguarda particolarmente le atlete.
Chimicamente il ferro proveniente dal mondo vegetale si presenta, nel
contesto globale vegetale, con 2 tipi diversi di sostanze: inibitori
dell'assorbimento (fitati, tannini, caffeina, teina, etc.); sostanze in grado di
incrementare l'assorbimento (citrati, vitamina C). In ogni caso il ferro
proveniente da fonti vegetali è particolarmente sensibile all'azione positiva o
negativa di queste sostanze.
Uno studio recentissimo (Sambol et all., 2009) ha riportato valori ematologici
medi di Fe addirittura maggiori negli atleti ovo-lattovegetariani rispetto sia agli
onnivori che ai vegani, confermando comunque lavori precedenti ma con le
stesse conclusioni (Brooks 1989, Hanne, 1986, Barr, 1999, e soprattutto nel
già citato lavoro di Eisinger del 1994 che esamina dettagliatamente 110
giovani runners vegetariani tedeschi). Tutti questi lavori rendono
relativamente giustizia ad un fenomeno ancora non perfettamente chiarito
secondo cui è maggiore il numero di giovani atlete con problemi di amenorrea
tra le vegetariane rispetto alle onnivore (Brooks, 1984). Sebbene i problemi
dell'amenorrea tipica delle giovani atlete venga attribuita non tanto a carenze
nutrizionali specifiche (macro e micronutrienti) ma piuttosto a carenze
energetiche (Loucks et all. 1993) e questo verrebbe confermato dal profilo
ematologico sovrapponibile tra atlete vegetariane e onnivore, è ancora
dibattuta la questione data l'estrema diversità delle opinioni espresse.
Un altro aspetto che prevede un ovvio miglioramento rispetto agli atleti
onnivori riguarda la capacità antiossidante degli atleti vegetariani causata
dalla maggiore quantità di frutta e verdura consumata da questi (nutrition
2004, sp med 2006); questo aspetto si riflette oltretutto in una condizione di
minore risposta infiammatoria negli atleti che consumano una maggiore
quantità di vegetali freschi (Brenda net all. 2009). Certamente legato al
maggior consumo dei vegetali sta anche l'incremento del pH urinario,
specchio di una condizione di pH generalizzata, con notevoli miglioramenti
della performance (McKenzie, sport sci, 1993) allorquando si riesce a
diminuire l'acidosi sistemica, condizione questa frequente negli atleti. Inoltre
utilizzare pratiche alcalinizzanti riesce a migliorare il bilancio azotato
consentendo quindi le pratiche anabolizzanti altrimenti rese difficili
15
dall'acidosi (Ballmer et all. 1995).
Le difficoltà che incontrano gli atleti vegetariani sono certamente legate a
carenze accertate riguardo a creatina, vitamina B12 e zinco. La carenza
di creatina, in rapporto al confronto con atleti onnivori, è stata dimostrata
in diversi lavori (Maughan, 1995; Barr, 2004) con conseguente necessità
di integrazione della stessa nei casi di atleti vegetariani sottoposti a
notevoli carichi di lavoro. La stessa Barr (2004) esaminando altri studi
ribadisce la necessità di integrare vitamina B12, la cui carenza nel
vegetariano che esclude alimenti animali è a volte mascherata dalla
elevata presenza di folati, e di zinco, elemento questo sottoposto a
perdite causate da strenui esercizi e non reperibile in quantità adeguate
nei vegetali.
Vorrei concludere citando alcuni recenti studi che indicano i vegetali
come fonte di nitrati precursori fondamentali nel percorso di formazione
dell'ossido nitrico (NO). Secondo questi studi i nitrati di derivazione
vegetale probabilmente a causa di altre fondamentali molecole ad attività
sinergica presenti nel vegetale, riescono ad incrementare in maniera
significativa la produzione di NO con notevole miglioramento di alcuni
parametri legati all'esercizio fisico tra cui il costo energetico dello stesso
(JAP, 2009).
In conclusione non ci sono dati chiari sulle differenze nella performance
tra atleti che seguono diete diverse (Burke), diversi studi hanno riportato
medesimi risultati nei test relativi alla performance Hanne et al. (1986);
Synder and colleagues (1989); Nieman and colleagues (1989); Nagel et
al. (1989); (Richter et al. 1991; Raben et al. 1992).
Rimangono indiscutibili i dati, a favore dei vegetariani, su una minore
incidenza di malattie cardiovascolari, minore quantità di massa grassa,
miglior quadro lipidico; continuano a sollevarsi dubbi, anche se
sembrano definitivamente fugati, sulla adeguatezza dell'intake di Fe e Ca
per le donne atlete. Certamente necessaria l'integrazione di alcuni
nutrienti, soprattutto nei periodi di grosso carico di lavoro (creatina, zinco,
vitamina B12).
Termino con l'affermazione categorica di uno studio pubblicato su “sports
medicine” del 2006 da Vanderley e Campbell:
“allo stato attuale la maggior parte delle opinioni vede la performance
atletica né compromessa né incrementata da abitudini alimentari
vegetariane o similari”.
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SUPPLEMENTAZIONE NUTRIZIONALE
NELL'ALLENAMENTO DELLA FORZA
Tim Ziengenfuss
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SI RINGRAZIA