Io amo la vita
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Io amo la vita
Lapprofondimento A cura di Andreina Baccaro Eutanasia "Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perchè nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte". Montanelli, che pronunciò I ndro queste parole durante un congresso di bioetica, avrebbe sicuramente capito laccorato appello che Piergiorgio Welby, lo scorso 22 settembre, rivolgeva al Presidente della Repubblica. Non un grido di disperazione, ma un grido di speranza, un lucido e consapevole appello affinché ai cittadini italiani sia riconosciuto quel diritto di cui possono godere i cittadini olandesi, belgi, svizzeri: il diritto a morire. Leutanasia per una persona affetta da una malattia inguaribile e invalidante, come la distrofia muscolare, non sarebbe soltanto una morte dignitosa, ma soprattutto una morte opportuna, perché giunge a porre fine ad una vita che di naturale non ha più nulla. Il dibattito politico, mediatico e culturale, scaturito dalla richiesta di Welby, fino alla morte di Welby per eutanasia, sono noti a tutti. Perciò con queste righe vorremmo ricostruire e chiarire il significato del termine eutanasia. Il termine eutanasìa deriva dal greco euthanatos, parola composta dal prefisso eu, "bene", e dalla radice thanatos, "morte", quindi "buona morte" o dolce morte. Consiste nel procurare la morte, nel modo più indolore e rapido possibile, a persone affette da malattie incurabili allo scopo di interromperne le sofferenze. Lo stesso termine tuttavia può indicare diverse pratiche di eutanasia: pugliasalute Si parla di eutanasia volontaria qualora essa sia stata richiesta o autorizzata dal malato; questa può essere poi classificata in: eutanasia attiva eutanasia passiva suicidio assistito quando al malato vengono fornite le condizioni (mezzi ed assistenza) per togliersi la vita in modo non doloroso. Sebbene sia da molti assimilato ad una forma di eutanasia passiva, in quanto metodo per procurare la morte, resta tuttavia sostanziale la differenza con leutanasia attiva, in quanto colui che assiste al suicidio non partecipa direttamente alle azioni che portano alla morte del paziente. Quello delleutanasia è un argomento molto dibattuto sin dallantichità. «La morte non è la peggiore delle infermità, peggiore è il desiderio di morire e non poterlo consumare», scriveva Sofocle. La questione della correttezza morale della somministrazione della morte è un tema controverso fin dagli albori della storia. Nel Giuramento di Ippocrate (420 aC) si legge: Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio. Nel Medioevo, poi, il Cristianesimo monopolizza il rapporto con la morte e soltanto nel Rinascimento Thomas More torna a giustificare linterruzione volontaria della vita. Si legge infatti nell Utopia: "Nella migliore forma di repubblica i malati incurabili sono assistiti nel miglior modo possibile. Ma se il male non solo è inguaribile, ma dà al paziente continue sofferenze allora sacerdoti e magistrati, visto che il malato è inetto a qualsiasi compito, ( ) lo esortano a morire liberandosi lui stesso da quella vita amara, ovvero consenta di sua volontà a farsene strappare dagli altri sarebbe un atto religioso e santo". Ciò che nei secoli non si interrompe, a dispetto del dibattito giuridico-filosofico e delle sanzioni penali, è la - quarantasei - febbraio 2007 pratica dell'eutanasia, come oggi confermano sondaggi e statistiche. Il 12 novembre 2002 il Corriere della Sera ha pubblicato i risultati di unindagine realizzata dal Centro di Bioetica dellUniversità Cattolica di Milano. A 259 rianimatori, operatori che curano persone la cui sopravvivenza è affidata a macchine, è stato sottoposto un questionario con oltre 100 domande. Il 3,6% dei medici ha dichiarato di aver somministrato volontariamente farmaci letali (eutanasia attiva). Il 96,4% ha negato di averlo mai fatto. Il 15,8% degli intervistati ritiene tuttavia questa iniziativa accettabile. La stranezza di una forbice così larga, spiegano gli esperti, potrebbe essere dovuta al fatto che i medici che somministrano la dolce morte e non lo confessano nemmeno in un questionario anonimo, sono molti di più. Il 19,3% del campione nega di aver mai sospeso le cure (staccando il respiratore, interrompendo lerogazione dellossigeno, eccetera). Il 38,6% riconosce di averlo fatto almeno una volta, il 42% più spesso. In nessun caso questo atto medico viene riportato sulla cartella clinica, per il timore di essere denunciati. Leutanasia passiva è attuata anche senza il consenso contestuale del paziente incapace, che tuttavia in passato aveva fatto intendere al medico le sue volontà. Il 21,3% afferma di aver tenuto conto di questo testamento biologico qualche volta, il 9,2% spesso o sempre. Quasi il 50% di coloro che hanno staccato la spina ha preferito non coinvolgere nella decisione i familiari, neppure quelli più stretti. Questi dati sono stati in parte confermati dal sondaggio tra infermieri, pubblicato lo scorso aprile su Torino medica, organo ufficiale dell'Ordine. E emerso che: il 74% degli infermieri interpellati è favorevole alla "dolce morte" passiva , di cui l'83% anche a quella attiva il 44% ha avuto diverse esperienze di pazienti che hanno chiesto espressamente e ripetutamente di morire perché venisse posto fine alle loro atroci sofferenze. il 76% invoca il testamento biologico; l'8% si dichiara disposto a praticare l'eutanasia anche illegalmente, senza richiesta esplicita del paziente; il 37% si dice disposto ad aiutare i pazienti a mettere fine a un calvario, anche ricorrendo al suicidio assistito; il 76% degli infermieri credenti è favorevole all'eutanasia volontaria; Anche il 40° Rapporto del Censis dà conto della evoluzione dellopinione degli italiani in tema di eutanasia. Se nel 2003 sul riconoscimento del diritto del malato, o del familiare più prossimo, a scegliere quando interrompere la terapia, il paese era perfettamente spaccato in due, nel 2006 la maggioranza favorevole sale al 57%. Il richiamo al principio dellautodeterminazione individuale è costante nelle risposte fornite dagli intervistati. LOlanda è il primo paese al mondo ad avere legalizzato leutanasia, tramite una legge approvata dal Parlamento nel pugliasalute 2000. In Belgio nel 2002. In Danimarca, invece, hanno valore legale le cosiddette direttive anticipate, ovvero dichiarazioni anticipate di volontà. Anche negli Stati Uniti dAmerica le direttive anticipate hanno generalmente valore legale. Il suicidio assistito è invece previsto e regolamentato in Germania e in Svizzera, questultima meta certificata di molti italiani costretti a cercare la dolce morte allestero. Alla luce dellevoluzione intervenuta nellopinione pubblica, dalle indagini statistiche (che documentano come spesso si ricorra alleutanasia al di fuori di qualsiasi ambito di legalità e regolamentazione), e soprattutto in seguito ai progressi tecnologici intervenuti nella scienza medica, i quali permettono di tenere in vita, anche per molti anni, persone affette da patologie gravissime, emerge con drammatica improrogabilità lineludibile dovere del potere legislativo di regolamentare la questione delleutanasia per colmare un vuoto legislativo divenuto ormai anti-democratico. Oggi la questione non è più, infatti, se leutanasia sia o no moralmente ed eticamente accettabile, il problema è che leutanasia cè in Italia e viene frequentemente praticata. La situazione attuale non fornisce adeguata tutela né alle istanze del paziente né a quelle del medico curante. "Se è vero - si legge nel parere del Consiglio Superiore di Sanità al Ministro della Salute - che il rifiuto del malato di essere curato (quando non interferisce sul bene della salute collettiva) deve essere considerato e rispettato dal medico, è parimenti vero che è preciso dovere professionale e morale del medico 'prendersi cura' del paziente in ogni circostanza o condizione in cui quest'ultimo si trovi". La conclusione del presidente del Css è un invito al ministro della Salute a "promuovere nuovi e più cogenti indirizzi e linee guida in materia". Ingiustificabile sarebbe, a questo punto, il silenzio delle Istituzioni. Io amo la vita, Presidente. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso... morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita... è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche... Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente biologica... Filmografia consigliata Le invasioni barbariche (2003 di D. Arcand) Mare dentro (2004 di A. Amenàbar) Million dollar baby (2004 di C. Eastwood) - quarantasette - febbraio 2007