appendice 8.3 - indagine sulle risorse idriche nelle alpi apuane e

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appendice 8.3 - indagine sulle risorse idriche nelle alpi apuane e
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
APPENDICE 8.3 - INDAGINE SULLE RISORSE IDRICHE NELLE
ALPI APUANE E NELLA VALLE DEL FIUME SERCHIO
1 - INTRODUZIONE
La parte Nord occidentale della Toscana presenta una conformazione del territorio del tutto
particolare, infatti se all’altezza di Forte dei Marmi tracciamo una sezione in direzione NE,
vediamo che in poco più di 35 Km dalla linea di costa troviamo due catene montuose con cime che
superano anche i 2.000 m. s.l.m. separate dall’ampia depressione valliva del Fiume Serchio.
Le particolari caratteristiche climatiche che questa conformazione del territorio determina e la
presenza di terreni che favoriscono la trattenuta dell’acqua meteorica, fanno sì che in questa parte
del territorio toscano siano presenti importanti risorse idriche superficiali, ma soprattutto
sotterranee molte delle quali ancora non utilizzate.
Considerato il particolare contesto geografico, climatico, morfologico, geologico e idrogeologico
che caratterizza questo territorio, la valutazione delle risorse idriche presenti deve essere fatta
esaminando l’area nel suo insieme.
2 - INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DELL’AREA IN ESAME
L’area comprende a occidente la dorsale delle Alpi Apuane e Monti dell’Oltre Serchio; subito a
oriente di questi la valle del Fiume Serchio e la dorsale appenninica fino alla linea di cresta. A
Nord Ovest l’area è delimitata dalla valle del F. Magra, mentre a Sud Est dallo spartiacque del
Fiume Serchio, dalla pianura di Lucca e dal corso del Fiume Serchio.
L’area comprende quindi interamente il bacino idrografico del F. Serchio, mentre verso Nord
Ovest interessa parte del bacino idrografico del Fiume Magra.
3 - INQUADRAMENTO MORFOLOGICO
Nella parte occidentale è presente la morfostruttura costituita dai rilievi montuosi dalle Alpi
Apuane e dai Monti dell’Oltre Serchio. La struttura ha una forma ellittica con asse maggiore in
direzione Nord-Ovest/Sud-Est ed è delimitata a Nord- Ovest dalla valle del F Magra, a Nord-Est
dalla valle del F. Serchio, a Sud-Est dalla pianura di Lucca e a Sud-Ovest dalla pianura costiera
apuo-versiliese.
Il versante marino del massiccio presenta, soprattutto nella parte settentrionale, profonde incisioni
vallive per la presenza di rocce a dominante calcareo – dolomitica; nel versante orientale, verso la
valle del F Serchio, la presenza di estese formazioni rocciose di natura terrigena conferiscono una
minore energia ai rilievi con incisioni meno marcate.
I rilievi maggiori sono concentrati nella parte settentrionale del massiccio: il M Piasanino (1947 m)
è la cima più alta alla quale seguono il M. Cavallo (1895 m), il M. Tambura (1891 m.) e più di una
decina di altre vette di altezza superiore a 1700 m. Nella parte meridionale del massiccio i rilievi
presentano altezze più limitate.
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La parte orientale dell’area è rappresentata dal versante orografico sinistro della valle del F.
Serchio. La presenza di formazioni litologiche di natura terrigena conferiscono al versante un
andamento regolare e poco accidentato. Nei tratti dove affiorano litotipi carbonatici, la morfologia
del versante diventa più acclive e simile a quella dell’area apuana.
Varie cime hanno altezze superiori a 1.800 m s.l.m. (Cima Belfiore 1.840 m., M. Prato 2.054 m, M.
Giovo 1.991 m., Corno alle Scale 1.945 m.) distribuite su tutta la lunghezza dello spartiacque con il
versante padano.
Lo spartiacque Nord occidentale, che collega il massiccio apuano con l’Appennino e separa il
bacino del F. Serchio da quello del F. Magra, ha altezze comprese tra 800 – 900 m. s.l.m.; presenta
versanti regolari, non accidentati per la presenza di litotipi prevalentemente arenaci e vasti
depositi fluvio-lacustri che testimoniano l’antico reticolo idrografico Magra-Serchio.
Tra i due rilievi montuosi è posta la valle del Fiume Serchio. L’asta della valle fino alla confluenza
del T. Lima (affluente di sinistra e maggior tributario) ha direzione NW-SE, quindi parallela alla
linea di costa e al massiccio apuano. A valle della confluenza assume un andamento tortuoso con
direzioni variabili tra NS e NNE – SSW.
La quota del fondovalle è compresa tra 450 m. s.l.m. a Piazza al Serchio dove confluiscono le varie
diramazioni in cui si suddivide il fiume (Serchio di Soraggio, di Sillano, di Gramolazzo) per
scendere a 220 m a Castelnuovo di Garfagnana, 100 m a Bagni di Lucca e 50 m. s.l.m. a Borgo a
Mozzano.
L’evoluzione idrografica del Fiume Serchio è passata attraverso una fase fluvio-lacustre pliopleistocenica (bacini di Castelnuovo Garfagnana, Barga, Decimo-Val di Lima) con sviluppo di
pianure intravallive dove la ripresa dei fenomeni erosivi sui depositi alluvionali ha dato origine a
vaste forme terrazzate.
4 - INQUADRAMENTO CLIMATICO
La vicinanza del mare, la presenza di due dorsali montuose con molte vette comprese tra 1700 m
s.l.m. e 2000 m s.l.m. e l’orientamento dei rilievi rispetto alla linea di costa, sono tutti fattori che
contribuiscono al sollevamento delle masse d’aria di origine atlantica favorendo intense
precipitazioni meteoriche sia sotto forma di pioggia che nevose.
L’area in esame è una delle più piovose d’Italia. Le precipitazioni sono distribuite nell’arco di tutto
l’anno, tant’è che non esiste una vera e propria stagione secca; i periodi di maggiore piovosità sono
in primavera e autunno.
L. Piccini L., G. Pranzini (1989) stimano per il bacino del F. Frigido una precipitazione media
annua di 2644 mm.
F. Baldacci et al. (1993) (vedi Figura 1) stimano un valore medio delle precipitazioni di 1845
mm/anno per il periodo 1951 – 80 con due massimi, uno lungo il crinale delle Alpi Apuane di
3.200 mm/anno e l’altro in corrispondenza del crinale appenninico di 2.900 mm che si riducono a
1.400 – 1.500 mm/anno lungo la valle del F. Serchio e nella Val di Lima. Nella parte meridionale
della dorsale apuana e nei Monti dell’Oltre Serchio le precipitazioni sono esclusivamente piovose
con valori di 1.200 – 1.400 mm/anno.
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Figura 1 - Carta delle precipitazioni medie annue nel periodo 1951 – 1980
(Baldacci et al. 1993)
5 - INQUADRAMENTO GEOLOGICO
L’area in esame è compresa nel settore geologicamente più complesso dell’Appennino
settentrionale. In particolare le Alpi Apuane sia per la presenza di importanti risorse minerarie e
idriche sia perché sono osservabili i rapporti geometrici tra tutte le Unità stratigrafico strutturali
che compongono l’edificio a falde di ricoprimento dell’Appennino, sono state oggetto nel tempo di
numerosissimi studi che hanno consentito di ricostruirne con precisione l’evoluzione tettonica.
Ai fini della presente relazione sono riportate solo le indicazioni utili per avere un quadro delle
disponibilità idriche presenti nella zona.
5.1 - Cenni di stratigrafia
Il Dominio Toscano Metamorfico
Unità Metamorfica delle Apuane – “Autoctono”
La successine dell’”Autoctono” Auct. rappresenta l’elemento geologico principale del rilievo
apuano; la base è costituita da un basamento paleozoico sul quale poggia in discordanza una
successione di formazioni litologiche di età mesozoica e terziaria.
Il basamento è costituito da filladi che registrano la deformazione e il metamorfismo
dell’Orogenesi ercinica.
Le formazioni mesozoiche hanno inizio con una successione sedimentaria di ambiente continentale
– marino/costiero alla quale seguono le dolomie (formazione dei “Grezzoni”) riferibili ad un
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ambiente deposizionale di piattaforma carbonatica. Al tetto della formazione dei “Grezzoni” la
presenza di brecce poligeniche e di scisti a cloritoide, testimonia episodi di emersione della
piattaforma carbonatica. La successione sedimentaria riprende poi con la formazione dei Marmi
dolomitici e i Marmi s.l. che rappresentano lo sviluppo di una nuova piattaforma carbonatica.
Il progressivo sprofondamento della piattaforma carbonatica dei Marmi dà luogo ad una
sedimentazione di mare aperto di tipo emipelagico e pelagico che ha inizio con la formazione dei
Calcari Selciferi alla quale seguono Calcescisti, Diaspri, Calcari Selciferi a Entrochi, Cipollini, Scisti
Sericitici. La serie dell’”Autoctono” si conclude con le arenarie Ologoceniche dello
Pseudomacigno.
Discontinuità spaziali e temporali nella subsidenza della piattaforma carbonatica dei marmi ha
portato alla sua suddivisione in blocchi subsidenti con conseguente istaurarsi di ambienti
deposizionali diversificati che hanno dato origine a serie sedimentarie condensate e/o lacunose
osservabili nella successione stratigrafica presente nelle Apuane nord-orientali rispetto a quella
delle Apuane centro-occidentali.
Unità di Massa
L’Unità di Massa è costituita da un basamento paleozoico sul quale poggia in discordanza una
serie stratigrafica triassica caratterizzata dalla presenza di vulcaniti basiche del Trias medio.
Il basamento paleozoico è costituito da filladi mentre la copertura mesozoica ha inizio con un
deposito di tipo continentale-costiero formato da conglomerati, arenarie e filladi a cui seguono
rocce di piattaforma carbonatica (Marmi a Crinoidi e brecce con elementi marmorei). I successivi
depositi sono rappresentati da vulcaniti basiche (Prasiniti) talvolta con livelli di filladi e
conglomerati. La successione si chiude con depositi di origine continentale – litorale formati da
quarziti e filladi (Filladi sericitiche e Anageniti).
Il Dominio Toscano non Metamorfico
Falda Toscana
La serie stratigrafica della Falda Toscana inizia con la formazione triassica del “Calcare
Cavernoso” formato da sedimenti dolomitico/evaporatici, seguono dei depositi di piattaforma
carbonatica costituiti prima da calcari stratificati (calcari e marne a Rhaetavicula contorta) poi
massicci (calcare massiccio). La successione continua con depositi emipelagici e pelagici costituiti
da calcari con interstrati marnosi (calcari ad angulati, Rosso ammonitico), calcari selciferi, marne,
radiolariti e calcilutiti selcifere ben stratificate (Maiolica), seguono le argilliti varicolori (Scaglia
Toscana) e calcareniti a macroforaminiferi stratificate alternate ad argilliti (Calcare Nummulitico).
Il temine superiore della serie stratigrafica è la formazione torbiditica dell’arenaria Macigno
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Figura 2 - Colonne idrostratigrafiche relative alle serie idrogeologiche principali del CISS-AP (C.G.T.
2007)
Le Unità Liguri
Le Unità Liguri sono costituite da vulcaniti basiche che rappresentano frammenti del fondale
oceanico e coperture pelagiche costituite da Argilliti e Arenarie torbiditiche (Dominio Ligure
interno) e da Flysch cretacei-paleogenici (Dominio Ligure esterno).
Depositi post orogenetici
Sono rappresentati dalle alluvioni del Fiume Serchio e dalle successioni fluvio lacustri di età plio –
quaternarie dei bacini di Castelnuovo di Garfagnana – Pieve Fosciana e di Barga.
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5.2 - Assetto tettonico: cenni
L’appennino settentrionale è una catena formatasi durante il Terziario in seguito alla
sovrapposizione, avvenuta da Ovest verso Est, delle Unità Liguri sulla Falda Toscana e questa
sull’Unità di Massa e sull’Unità metamorfica delle Alpi Apuane,
L’evoluzione tettonica è avvenuta attraverso una prima fase di deformazione e metamorfismo alla
quale è seguita una seconda fase con un regime tettonico di tipo distensivo che ha determinato il
sollevamento delle Unità strutturali più profonde. Alla tettonica distensiva sono associate faglie
con direzione appenninica e rigetti di oltre 2.000 m che hanno determinato la formazione del
Graben del Serchio, che separa le Alpi Apuane dalla catena appenninica e l’affossamento del
bacino della Versilia e di Sarzana. A queste faglie sono associate faglie minori trasversali con
direzione NE – SW.
Nella morfostruttura negativa della valle del Serchio affiorano, oltre ai depositi fluvio lacustri post
orogenetici (Depositi Rusciniani e Villafranchiani), anche i terreni arenacei-marnoso-argillosi con
vulcaniti del fondale oceanico appartenenti alle Unità Liguri e la formazione arenacea del Macigno
della Falda Toscana.
Il sollevamento del nucleo metamorfico apuano e il conseguente scaricamento per effetto
gravitativo delle Unità sovrapposte (Falda Toscana e Unità Liguri) ha fatto si che la Falda Toscana
cinga su tre lati il nucleo metamorfico apuano con esclusione della parte occidentale dove il
contatto per faglia con le rocce metamorfiche è sepolto sotto la coltre di alluvioni della pianura
versiliese.
Questa configurazione ad anello della Falda Toscana intorno al Nucleo Metamorfico Apuano fa sì
che quest’ultimo rappresenti un classico esempio di “finestra tettonica” (vedi Figura 3).
L’assetto strutturale del Nucleo Metamorfico Apuano condiziona fortemente il deflusso
sotterraneo delle acque e la posizione dei suoi punti di emergenza, è quindi opportuno soffermarci
brevemente sulla dinamica della tettonica plicativa che lo ha interessato.
L’assetto geometrico del nucleo metamorfico delle Alpi Apuane può essere interpretato in base a
due episodi deformativi principali ai quali corrispondono cinematismi differenti. I due eventi
deformativi sono indicati con D1 “prima fase” e D2. “seconda fase”.
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Evento D1: le prime fasi deformative del D1 sono di età compresa tra 27 e 20 Ma quando la
placca Sardo – Corsa collide con la microplacca Adriatica determinando l’accavallamento delle
unità tettoniche più superficiali non metamorfiche (Falda Toscana e Unità Liguri) su quelle più
profonde (Unità del Complesso Metamorfico). Queste ultime, compreso la parte superiore del
basamento, sono metamorfosate e deformate in pieghe isoclinali di ogni dimensione, fino a
quelle dell’intera “finestra tettonica”. Le principali strutture plicative osservabili sono, da
Ovest verso Est,
 La Sinclinale di Carrara: rappresenta la struttura più occidentale dell’Autoctono”; il fianco
inverso, laminato, stirato e rovesciato per circa 4 Km, scompare sotto la Falda Toscana a
Nord di Carrara.
 L’Anticlinale di Vinca: fa seguito verso Est alla sinclinale di Carrara ed è compresa tra
questa e la sinclinale di M. Altissimo - Orto di Donna – M Corchia. Il nucleo della piega
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arriva a comprendere le filladi inferiori del basamento paleozoico e lo sviluppo trasversale
di questa struttura è di circa 15 Km.
 Sinclinale di Orto di Donna – M. Altissimo: la traccia del piano assiale di questa struttura
può essere seguito nel versante orientale del massiccio per una ventina di chilometri da
Orto di Donna al M. Cavallo e più a sud nella sinclinale del M. Corchia e in quella di
Puntato.
 Anticlinale del M. Tambura: il nucleo della struttura è costituito dalle formazioni del
basamento paleozoico che, nel fianco inverso laminato da un accavallamento, spesso
giungono a contatto con la formazione dei Marmi dell’Autoctono. Anche la formazione dei
“Grezzoni” (dolomie e calcari dolomitici) nel fianco inverso risultano fortemente ridotti di
spessore. L’elisione è di natura tettonica ma il fatto che questa formazione non affiori a
nucleo delle anticlinali più orientali fa supporre che l’accavallamento si sia impostato in
corrispondenza di una diminuzione di spessore della dolomia triassica nel bacino di
sedimentazione.
Evento D2: le fasi iniziali della deformazione D2 si sviluppano tra 11 e 8 Ma. Le strutture a
pieghe isoclinali D1, originatesi probabilmente con piani assiali e scistosità prossimi
all’orizzontale, sono state ripiegate in una grande struttura antiforme con direzione
appenninica (NW-SE) di dimensioni pari alla “finestra tettonica” delle Alpi Apuane. Il
sollevamento della struttura antiforme ha determinato un flusso di materia dalla zona di
culminazione verso i fianchi con sviluppo di pieghe da aperte a chiuse di varie dimensioni,
fino a lunghezze chilometriche e di faglie poste ai bordi del complesso metamorfico. Nella
parte settentrionale della Alpi Apuane le pieghe D2 hanno senso di rovesciamento verso SW, le
principali faglie di bordo sono poste nella valle del Serchio e presentano immersione verso NE.
Nella parte meridionale le pieghe maggiori hanno invece senso di rovesciamento verso ENE e
le faglie di bordo sono ubicate nella pianura versiliese e presentano immersione verso WSW.
Le pieghe D2 sarebbero quindi generate da una tettonica gravitativa conseguente al
sollevamento del complesso metamorfico indotto dall’attività delle faglie dirette presenti al
bordo. La tettonica gravitativa avrebbe interessato anche la Falda Toscana presente ai bordi
della “finestra tettonica”.
Negli ultimi 2 M.a. le Alpi Apuane e le zone circostanti dell’Appennino settentrionale sono
interessate da importanti movimenti verticali stimabili in alcun chilometri che hanno lasciato
testimonianze nei depositi alluvionali fluvio-lacustri della Lunigiana, Garfagnana e Versilia
modellando la morfologia del territorio, nonché nel sistema carsico apuano.
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Figura 3 - Distribuzione delle principali unità tettoniche nell’Appennino Settentrionale (C.G.T. 2007)
Il metamorfismo del Complesso Metamorfico delle Alpi Apuane
A titolo puramente informativo per una migliore comprensione sulle condizioni in cui si è svolta la
deformazione che ha interessato l’Unità Metamorfica delle Alpi Apuane si riportano, a conclusione
del presente paragrafo, alcuni dati sull’ambiente metamorfico che ha consentito lo sviluppo delle
strutture a pieghe sopra citate.
Il passaggio dai depositi sedimentari del Dominio Toscano alla strutturazione attuale del massiccio
apuano, con le geometrie di deformazione duttile che caratterizzano gli eventi D1 e D2, è
inquadrabile all’interno di una storia deformativa realizzatasi in ambiente metamorfico
caratterizzato da valori di temperatura massime di 380° - 460° C e valori di pressione di picco del
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metamorfismo compreso tra 0,4 e 0,6 GPa, corrispondente alla pressione di una coltre di rocce di
circa 12 Km.
Il grado metamorfico è andato progressivamente diminuendo con il procedere della deformazione.
All’inizio dell’evento D2 i valori di temperatura erano già scesi a circa 250° C. Tra i 5 e 2 Ma la
temperatura era di circa 70°C ad una profondità di circa 4-5 Km.
Il grado metamorfico non è stato costante all’interno dell’”Autoctono” ma si assiste ad una
zonazione con valori decrescenti dalla zona occidentale a quella orientale, come pure tra
l’”Autoctono” e l’Unità di Massa.
Un decremento del grado metamorfico si osserva anche passando dalle unità geometricamente più
profonde del Dominio Toscano (Unità di Massa e “Autoctono” Auct.) fino alle Unità Liguri. La
diminuzione non è graduale ma subisce una evidente discontinuità passando dal Complesso
Metamorfico alla Falda Toscana la quale presenta facies riferibili alla fase iniziale del processo
metamorfico corrispondente a bassi valori di temperature e pressione (anchimetamorfismo).
6 - EVOLUZIONE DEGLI STUDI SULL’IDROGEOLOGIA DELLE ALPI APUANE
A partire dal XVIII secolo le risorse idriche delle Alpi Apuane sono state oggetto di varie indagini,
condotte anche attraverso l’esplorazione delle numerose cavità carsiche presenti nella zona.
Furono formulate le prime teorie sulla circolazione idrica sotterranea delle principali sorgenti
presenti nel versante occidentale del massiccio, arrivando anche a stabilire la diretta connessione
tra precipitazioni e portata delle sorgenti e, per la sorgente del Frigido, fu anche ipotizzata la non
corrispondenza tra bacino idrografico e bacino idrogeologico.
Alla fine del XIX secolo approfonditi studi furono condotti al fine di valutare la possibilità di
sfruttamento idropotabile di alcune sorgenti utilizzando traccianti per individuare i bacini di
alimentazione. Si ricorda, a questo proposito, le indagini condotte da De Agostini e O. Marinelli
(1894) sulla sorgente Pollaccia nella valle della Turrite Secca nel versante orientale delle Alpi
Apuane, con impiego del tracciante uranina e, sempre sulla stessa sorgente, da C. De Stefani
(1895).
La sorgente Pollaccia e altre della valle del F. Serchio (come la Polla Gangheri a Gallicano), a
cavallo tra il XIX e il XX secolo furono oggetto di studi da parte della Commissione incaricata dal
comune di Firenze dello studio del nuovo acquedotto fiorentino, che prevedeva anche un possibile
ramo per rifornire Lucca, Pisa e Livorno. Un primo progetto di captazione della sorgente Pollaccia
è del 1860 e doveva alimentare un acquedotto lungo circa 100 Km per rifornire Firenze appena
uscita da una epidemia di tifo.
Negli anni 1950 - 1960 R. Masini sviluppa gli studi sui bacini idrogeologici sul versante occidentale
delle Apuane (in particolare sul bacino del Frigido) e su quello orientale, individuando le aree di
alimentazione di varie sorgenti sia in sponda destra che sinistra del F. Serchio.
In epoca più recente gli studi condotti a partire dalla fine del 1970 in particolare da Carmignani L.,
Giglia G., Meccheri M., Klingfield R. sulla dinamica deformativa delle Alpi Apuane, hanno portato
a definire il nuovo assetto strutturale dell’edificio apuano e alla stesura della nuova cartografia
geologica. Ciò ha consentito di definire con più precisione i confini dei bacini idrogeologici e gli
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scambi idrici tra bacini confinanti grazie anche al contributo di esplorazioni speleologiche e
l’impiego di traccianti.
Ai fini della presente relazione è opportuno ricordare gli studi sull’idrogeologia quantitativa
condotti da Piccini e Pranzini (1989), Baldacci et al. (1993), Piccini e al. (1999), studi che sono
esaminati in dettaglio nella presente relazione.
Ultimo in ordine di tempo è lo “Studio idrogeologico prototipale del corpo idrico significativo
dell’acquifero carbonatico delle Alpi Apuane, Monti d’Oltre Serchio e S. Marina del Giudice”
(2007) eseguito dal Centro di GeoTecnologie dell’Università degli Studi di Siena nell’ambito della
specifica convenzione stipulata tra Regione Toscana CGT.
La disponibilità della nuova cartografia geologica ha consentito di affrontare il problema della
protezione della risorsa idrica, presente nel massiccio apuano in quantità importante e in buona
parte non sfruttata. Il tema è stato affrontato nell’ambito di un Progetto del Gruppo Nazionale per
la Difesa dalla Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI – CNR) con lo scopo di realizzare uno strumento
conoscitivo in base al quale tracciare le linee d’intervento per la protezione dall’inquinamento delle
fonti idropotabili, adottando misure di prevenzione e, se necessario, di mitigazione degli effetti nel
caso di inquinamento in atto.
Il risultato del Progetto, sviluppato da M. Civita el al. (1991) è stato la realizzazione della “Carta
della vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi delle Alpi Apuane” in scala 1:25.000. La Carta è
stata realizzata utilizzando, per il calcolo della vulnerabilità, un nuovo metodo di elaborazione
numerica (SINTACS), appositamente messo a punto e sperimentato sugli acquiferi carsici delle
Alpi Apuane.
Nell’ambito del citato “Studio idrogeologico prototipale del corpo idrico significativo
dell’acquifero carbonatico delle Alpi Apuane, Monti d’Oltre Serchio e S. Marina del Giudice”
(2007) è stata redatta, per il sistema idrogeologico di Carrara, la valutazione della vulnerabilità
intrinseca applicando un nuovo metodo di valutazione, il metodo COP, specifico per le aree
carsiche.
7 - IL CARSISMO
Le Alpi Apuane, per la natura prevalentemente carbonatica delle rocce affioranti, la permeabilità
medio alta per fatturazione che caratterizza questi tipi di rocce e l’elevata piovosità che
contraddistingue questi rilievi, presentano importanti e complessi fenomeni carsici. In questa area
si sviluppano le maggiori cavità del territorio italiano, sia come sviluppo verticale (Abisso Paolo
Roversi, - 1.350 m) che come sviluppo orizzontale di cunicoli e gallerie (complesso Corchia –
Fighera – Farolfi, circa 60 Km).
Il carsismo, conseguenza dell’azione di dissoluzione operata dalle acque sulle rocce carbonatiche,
si manifesta sia con forme che caratterizzano la morfologia dei versanti (forme carsiche superficiali
o epigee), sia con cavità sotterranee (carsismo ipogeo).
Le prime sono favorite nelle aree dove le rocce carbonatiche affiorano in versanti a debole
pendenza, con o senza vegetazione (la presenza di sostanza organica di origine animale e/o
vegetale favorisce l’aumento dell’acidità dell’acqua). Queste aree sono localizzate soprattutto nella
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parte orientale delle Alpi Apuane, dove i versanti sono meno acclivi e il carsismo ne modella la
morfologia con doline, inghiottitoi e campi carreggiati. Nella parte occidentale l’elevata energia dei
rilievi e il maggiore ruscellamento produce solo microforme carsiche.
Il carsismo ipogeo si manifesta con un reticolo di cavità, sia verticali che orizzontali di varie
dimensioni e variamente interconnesse, sulla cui geometria hanno sicuramente influito non solo le
caratteristiche litologiche delle rocce attraversate, ma anche la dinamica con la quale il massiccio
apuano ha raggiunto la sua strutturazione attuale e la copertura dei ghiacci durante i periodi
glaciali del Pleistocene.
Le cavità apuane sono oggetto di esplorazioni già a partire dall’inizio del 1700. In questi ultimi
decenni l’esplorazione di grandi complessi carsici come quello del M. Corchia e del M. Tambura ha
permesso di comprendere l’interconnessione tra i vari condotti grazie all’esecuzione di rilievi
plano altimetrici delle cavità, mentre l’impiego di traccianti ha fornito importanti dati sulle
modalità e direzioni di drenaggio delle acque circolanti. Tutto ciò ha integrato i dati geostrutturali
rilevati in superficie contribuendo ad una migliore comprensione dell’assetto strutturale di queste
aree e alla delimitazioni degli spartiacque sotterranei che individuano i vari sistemi idrogeologici
spiegati nel prossimo capitolo.
Significativo a questo proposito è il caso del bacino idrogeologico del Frigido che comprende la
sorgente del Frigido (o di Forno), la maggiore sorgente delle Alpi Apuane. Lo spartiacque
idrogeologico di questo bacino, in base all’andamento delle strutture e ad una colorazione eseguita
in una cavità posta nel versante Nord del M. Pisanino (l’abisso Malachite), era stato considerato
esteso fino a comprendere buona parte del versante orientale del M. Pisanino abbracciando di
conseguenza anche tutta l’area altamente carsica di Carcaraia. Nuove colorazioni eseguite nel
complesso Saragato – Aria Ghiaccia (Guidotti G., Malcapiti V., 2001) poste nel versante orientale
del M. Tambura, hanno dato esito positivo alle sorgenti presso Equi. Resta da capire come l’acqua
di Carcaraia, almeno quella della sua parte Nord occidentale, anziché seguire la struttura geologica
e dirigersi verso la più vicina sorgente del Frigido, si diriga verso la sorgente di Equi seguendo un
lungo e complesso percorso, tagliando importanti strutture plicative come la sinclinale di Orto di
Donna. Piccini L. (2001) avanza l’ipotesi di un corridoio strutturale rappresentato da qualche
struttura minore che risollevi i marmi permettendo un attraversamento della sinclinale in senso EW.
Nell’area delle Alpi Apuane la Federazione Speleologica Toscana (2013) ha censito 1095 cavità
delle quali 31 di profondità superiore a 1.000 m. Gran parte di queste hanno il loro ingresso e si
sviluppano nelle formazioni dei Marmi, Marni Dolomitici e Grezzoni. Tra questi il più profondo è
l’Abisso Paolo Roversi, con l’ingresso a quota 1710 m. s.l.m. nel versante orientale del M. Tambura
e con i suoi 1.350 m è la grotta più profonda d’Italia.
Il carsismo si riduce notevolmente nelle Alpi Apuane meridionali dove sono presenti due cavità
con profondità di 20 m, una a Pescaglia e l’altra a Borgo a Mozzano, mentre a Decimo sono
presenti n. 4 cavità di cui solo una con profondità di 51 m.
Nel versante sinistro della valle del Fiume Serchio tra le formazioni arenacee affiorano i seguenti
nuclei carbonatici, sede di un carsismo ipogeo diffuso ma poco esteso e profondo: Soraggio,
Corfino, Fosciandora, Coreglia; Val di Lima.
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In questo versante si riscontrano cavità ad andamento verticale - il più profondo è l’abisso
Luigione (- 200 m) posto nel versante NE della Pania di Corfino – e cavità orizzontali. Tra queste
ultime da ricordare la Porta della Ripa e la Tana delle Fate di Soraggio che hanno uno sviluppo di
oltre 1 Km e dislivello di 75 m la prima e 11 m la seconda.
Nella Tabella 1 sono indicate per ogni area carsica le cavità censite dalla Federazione Speleologica
Toscana e la maggiore profondità per ogni area.
Tabella 1 - Aree carsiche nel versante sinistro della valle del F. Serchio
Caratteristica della cavità più importante
Affioramento
n. cavità
Profondità
carbonatico
Nome
m
Quota
m s.l.m.
Pania di Corfino
62
Abisso Luigione
200
1.311
Ripa di Soraggio
39
Inghiottitoio di Rio Rimonto
180
1.069
Fosciandora
1
Buca delle Fate del Rimonto
17
345
Val di Lima
51
Grotta dell’Iseretta
56
650
Coreglia
4
< 10
8 - INQUADRAMENTO IDROGEOLOGICO GENERALE
8.1 - Assetto idrogeologico
Le formazioni litologiche che formano le Unità tettoniche presenti nell’area (Unità Metamorfica
Apuana - Autoctono; Unità di Massa; Falda Toscana; Unità Liguri) sono raggruppabili in
complessi idrogeologici caratterizzati da un diverso grado di permeabilità dovuto alla
caratteristiche litologiche e strutturali di ogni formazione.
Nella Figura 4 le formazioni litologiche delle tre Unità tettoniche più interessanti dal punto di vista
idrogeologico, sono riunite in due gruppi:
Rocce a litologia non carbonatica: caratterizzate da permeabilità per fatturazione da bassa a medio –
bassa;
Rocce a litologia carbonatica: caratterizzate da permeabilità per fatturazione e carsismo da media a
alta.
12
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Figura 4 - Colonne idro-stratigrafiche delle unità tettoniche delle Alpi Apuane: (Piccini et al. 1999).
Falda Toscana: mg) Macigno; cN) Calcari a Nummuliti; sp) Scisti policromi; cma) Maiolica; di) Diaspri; mP) Marne a
Posidonia; cst) Calcare selcifero Val di Lima; cA) Calcare Angulati; cm) calcare Massiccio; cR) Calcare a Rhaetavicula;
br) brecce tettoniche (calcare cavernoso).
Unità di Massa: fs) Filladi superiori; mC) Marmi a Crinoidi e brecce marmoree; fa) Filladi e metaarenarie; b)
basamento paleozoico;
Unità Apuana: pmg) Pseudomacigno; sc) Scisti Sericitici e Cipollini; csE) Calc. Selciferi Entrochi; d) Diaspri; cs)
Calcari selciferi; m) Marmi s.l. e Marmi dolomitici; gr) Grezzoni; b) basamento paleozoico
Baldacci et al. (1993) suddividono le formazioni del primo gruppo in: a) Copertura impermeabile, b)
Substrato impermeabile. Le formazioni del secondo gruppo sono anch’esse divise in due
sottosistemi: a) sottosistema superiore (indicato con: sS1); b) sottosistema inferiore (indicato con: sS2).
Rocce a litologia non carbonatica
Copertura impermeabile
Comprende le formazioni riferibili alle Unità Liguri, alla parte sommitale della Falda Toscana non
metamorfica e ai depositi fluvio – lacustri postorogenici. Gli orizzonti acquiferi sono rappresentati
da formazioni a permeabilità secondaria decrescente quali torbiditi arenacee e calcareo marnose,
ofioliti e brecce ofiolitiche; formazioni a permeabilità secondaria quali argilliti siltose e calcareniti.
Queste formazioni, siano esse semipermeabili o impermeabili svolgono nell’insieme una funzione
di copertura per le sottostanti “rocce a litologia carbonatica”.
13
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Nelle formazioni arenacee e calcareo marnose sono presenti locali acquiferi, poco profondi, che
danno origine a emergenze diffuse. Il maggior numero di sorgenti sono presenti nella formazione
arenacea del Macigno; le portate sono generalmente di pochi l/sec. Localmente questi acquiferi
possono essere in collegamento idraulico con le sottostanti “rocce a litologia carbonatica” per
discontinuità o assottigliamenti delle formazioni impermeabili.
Substrato impermeabile
Corrisponde al basamento dell’Unità Metamorfica delle Alpi Apuane e dell’Unità di Massa; è
costituito prevalentemente da filladi paleozoiche compatte del corrugamento ercinico e può essere
considerato praticamente impermeabile.
Rocce a litologia carbonatica
Nelle “rocce a litologia carbonatica” possono essere individuati i seguenti complessi idrogeologici:
Unità Metamorfica delle Alpi Apuane
 Il principale complesso idrogeologico è costituito dalla successione Grezzoni, Marmi
Dolomitici, Marmi, Calcari Selciferi. Questa successione rappresenta il principale acquifero
delle Alpi Apuane. E’ delimitato in basso dal basamento costituito prevalentemente dalle
filladi paleozoiche e in alto da rocce a permeabilità medio bassa quali i diaspri.
 Compreso tra i diaspri al letto e gli scisti sericitici e cipollini al tetto, è presente un complesso
a media permeabilità rappresentato dalla formazione del Calcare selcifero a Entrochi.
Unità di Massa
Nell’Unità di Massa l’unico complesso idrogeologico è rappresentato dalla formazione dei
Marmi a Crinoidi compreso al letto e al tetto da formazioni filladiche impermeabili.
Falda Toscana
 La successione Calcare Cavernoso, Calcare a Rhaetavicula, Calcare Massiccio, Calcare ad
Angulati, Calcare Rosso Ammonitico, Calcare Selcifero rappresenta, per importanza, il
secondo complesso idrogeologico delle Alpi Apuane e il principale complesso presente nel
versante sinistro della valle del Fiume Serchio. Questo complesso è caratterizzato da una
permeabilità medio alta per fratturazione e carsismo, ma con forme carsiche ipogee meno
sviluppate rispetto a quelle presenti nelle rocce carbonatiche dell’Unità Metamorfica delle
Alpi Apuane. Esso è delimitato al tetto dalla formazione delle Marne a Posidonia. La base è
rappresentata dalle brecce tettoniche e poligeniche del Calcare Cavernoso. Quando queste
brecce sono a diretto contatto con il complesso carbonatico dell’Unità Metamorfica Apuana
sono possibili importanti scambi idrici tra i due complessi.
 Un secondo complesso idrogeologico è rappresentato dalla formazione della Maiolica
compresa tra i Diaspri e/o le Marne a Posidonia al letto e gli Scisti Policromi (Scaglia
Toscana) al tetto.
Nei complessi carbonatici la circolazione idrica avviene essenzialmente lungo le fratture allargate
dalle acque meteoriche per dissoluzione del calcare e quindi attraverso i condotti carsici che si
14
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
formano. La venuta a giorno delle acque nei punti topograficamente più depressi rappresenta il
livello di base carsico dell’idrostruttura compresa nel complesso carbonatico.
Nel complesso carbonatico metamorfico il livello di base carsico varia tra il versante occidentale e
quello orientale delle Alpi Apuane. Verso la valle del Fiume Serchio il livello di base carsico è
sempre sopra i 500 m s.l.m., mentre nel versante occidentale è compreso tra 200 – 300 m s.l.m. .
Questa differenza causa il deflusso sotterraneo delle acque da NE verso SW e quindi il drenaggio
verso i bacini della Versilia delle acque del versante della Garfagnana. L’esempio è il bacino della
sorgente del Frigido che si estende oltre lo spartiacque superficiale nel bacino del Fiume Serchio
(Piccini & Pranzini, 1989; Piccini et al. 1999).
Il deflusso sotterraneo nel complesso carbonatico metamorfico non è controllato dal basamento
cristallino impermeabile delle filladi paleozoiche (se non in area molto ristrette), ma dalle strutture
a pieghe coricate con asse molto inclinato che interessano le formazioni metamorfiche. Il
basamento cristallino svolge invece una funzione di soglia per molte sorgenti del versante
occidentale.
Nel complesso carbonatico non metamorfico della Falda Toscana, quando il substrato è
rappresentato dalle formazioni a bassa permeabilità della formazioni metamorfiche, sono queste
ultime che guidano la circolazione idrica sotterranea nel caso in cui siano situate al di sopra del
livello di base carsico. Un esempio è dato dalla sorgente Grotta dell’Onda e Fontanaccio indicato
nella sezione idrogeologica di Figura 5. (Piccini et al. 1999; C.G.T. 2007).
Figura 5 - Sezione idrogeologica da Camaiore verso NE (da C.G.T. 2007)
Nel versante sinistro della Valle del Serchio la principale serie idrogeologica carbonatica affiorante
è costituita dalle formazioni carbonatiche della Falda Toscana; la serie è formata dal complesso
Calcare a Rhaetavicula; Calcare Massiccio; Rosso Ammonitico; Calcare Selcifero. Questo complesso
idrogeologico è delimitato al tetto dalle Marne a Posidonia e/o dai Diaspri.
Sopra i Diaspri troviamo l’altro complesso idrogeologico di una certa importanza formato dalla
Maiolica e dai membri carbonatici della Scaglia Toscana (prevalentemente Calcareniti di
Montegrossi). Questo complesso è delimitato al tetto dalle argilliti della Scaglia Toscana e
dall’arenaria Macigno. La Maiolica e le Calcareniti di Montegrossi (quando presenti)
15
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
rappresentano un acquifero sospeso importante che dà luogo a tutta una serie di sorgenti allineate
lungo il contatto con le formazioni impermeabili sottostanti (Diaspri e/o Marne a Posidonia). Un
esempio è rappresentato dalla sorgente Le Vene nel versante sinistro del F. Serchio indicata in
Figura 6.
Figura 6 - Sezione idrogeologica: Macigno (MAC), Argilliti siltose Scaglia Toscana (STO); Calcareniti di
Montegrossi Scaglia Toscana (STO3); Maiolica (MAI; Diaspri DSD); Calcare Selcifero della Val di Lima
(SUL). (da C.G.T. 2008)
8.2 - Permeabilità delle formazioni litologiche
La permeabilità di una roccia può essere definita come la proprietà che le rocce hanno di lasciarsi
attraversare dall’acqua sotto un determinato gradiente idraulico.
La permeabilità può essere “primaria” quando è legata alla storia di formazione diagenetica della
roccia (presenza di vuoti tra granulo e granulo); “secondaria” quando è legata alla fatturazione
della roccia per cause successive alla sua formazione (cause prevalentemente tettoniche).
Nel definire la permeabilità delle formazioni litologiche normalmente si fa riferimento alla
permeabilità relativa espressa in modo qualitativo (permeabilità alta, media, bassa, impermeabile)
confrontando il comportamento di un litotipo rispetto ad altri inseriti nello stesso contesto e non
alla permeabilità assoluta che è una proprietà quantizzabile con prove di laboratorio ed è espressa
da un coefficiente di permeabilità.
In letteratura sono comunemente riportate quattro classi di permeabilità relativa e l’attribuzione di
una formazione litologica ad una classe è fatta in base a criteri qualitativi, non privi quindi di una
certa soggettività che porta a valutazioni talvolta leggermente divergenti come risulta dalla Tabella
2.
16
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Tabella 2 - Classificazione dei complessi idrogeologici per grado di permeabilità come riportato in
letteratura
[Macigno (MAC); Scaglia Toscana (STO); Maiolica (MAI); Diaspri (DSD); C. Selcifero Val di Lima (SVL); Marne a
Posidonia (POD); C. Selcifero di Limano (LIM); Rosso Ammonitico RSA); C. Angulati (ANL); C, Massiccio (MAS); C.
Rhaetavicula (RET); C. Cavernoso (CCA); Pseudomacigno (PSM); C. Nummulitico (CNU); Cipollini (MCP); Scisti
sericitici (SSR); C. Selc. Entrochi (ENT); Diaspri (DSDa); Calcescisti (CCI); C. Selciferi (CLF); Formazione di Arnetola
(FAN); Marmi (MAA); Marmi Dolomitici (MDD); Brecce di Seravezza (BSE); Marmo a Megalodonti (MMG); Grezzoni
(GRE); Formazione di Vinca (VIN); Filladi quarzitiche (SRT); Marmi a Crinoidi (MNI); Metabrecce a elementi marmorei
(MNIa); Filladi muscovitiche (FNE); Porfiroidi e Scisti Porfirici (PRS); Filladi Inferiori (FAF). (Da C.G.T. 2007)
Nel lavoro del C.G.T. (2007) è affrontato il problema della identificazione e classificazione dei
complessi idrogeologici per tipo e grado di permeabilità relativa attribuendo alle formazioni
geologiche carbonatiche la permeabilità per fatturazione o per fatturazione e carsismo in base ad
una serie di valutazioni incentrate principalmente sul grado di carsificazione di ciascuna
formazione. Per i dettagli sulle procedure seguite si rimanda al lavoro specifico.
Sono distinte cinque gradi di permeabilità:
I
II
III
IV
V
Permeabilità da bassa a molto bassa
Permeabilità medio bassa
Permeabilità media
Permeabilità medio alta
Permeabilità alta
17
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
La classificazione completa della permeabilità relativa per i complessi idrogeologici carbonatici è
riportata nella Tabella 3. I criteri di valutazione adottati la rendono valida per l’area delle Alpi
Apuane dove sono disponibili abbondanti informazioni sul grado di carsificazione; per le
formazioni della Falda Toscana, essendo i dati più lacunosi, rimangono alcune incertezze. Il
criterio può comunque essere esteso ad altre aree con acquiferi carbonatici.
Tabella 3 - Attribuzione del grado di permeabilità relativa ai complessi idrogeologici carbonatici. (da
C.G.T. 2007)
Grado di
permeabilità
relativa
Complessi idrogeologici carbonatici
permeabili per fatturazione e carsismo
Complessi idrogeologici
carbonatici permeabili per
fatturazione
V
MAA
_
IV
MAI, MAS, CCA, ENT, CLF, MDD, GRE, MNI
_
III
STO3, RET, MCP
SVL, LIM, RSA, ANL
II
_
CGV
[Legenda: Scaglia Toscana Calcareniti di Montegrossi (STO3); Maiolica (MAI); Calcari Selciferi Val di Lima (SVL);
Calcare Selcifero di Limano (LIM); Rosso Ammonitico (RSA); Calcari ad Angulati (ANL); Calcare Massiccio (MAS);
Calcare Rhaetavicula (RET); Calcare Cavernoso (CCA); Cipollini (MCP); Calcari Selciferi Entrochi (ENT); Calcari selciferi
(CLF); Marmi (MAA); Marmi Dolomitici MDD); Grezzoni (GRE); Marmi a Crinoidi (MNI); Calcari di Groppo del
Vescovo (CGV)].
Per i complessi idrogeologici non carbonatici è stata elaborata la classificazione indicata nella
Tabella 4.
Tabella 4 - Attribuzione del grado di permeabilità relativa ai complessi idrogeologici non carbonatici.
(Da: C.G.T. 2007).
Complessi idrogeologici non carbonatici permeabili per fratturazione
Grado di permeabilità relativa
I
II
FNE, SSR, SRT, VINa, STO, PRS, FAF POD
CCVc, OTO, ACCa, ARB, GOT, DSDa, DSD, MAC, PSM
[Legenda: Macigno (MAC); Scagla Toscana argilliti (STO); Diaspri (DSD); Marne a Posidonia (POD); Pseudomacigno
(PSM); Scisti Sericitici (SSR); Diaspri (DSDa), Filladi quarzitiche (SRT); Filladi muscovitiche (FNE); Filladi inferiori (FAF);
Porfiroidi e scisti porfirici (PRS); Filladi della Formazione di Vinca (VINa); Brecce ad elementi ofiolitici (CCVa)); Flysch
di Ottone (OTO); Argille e calcari di Canetolo (ACCa); Arenarie di Ponte Pratica (ARB); Arenarie del M. Gottero (GOT)].
9 - I PRINCIPALI SISTEMI IDROGEOLOGICI
Per sistema idrogeologico si intende l’insieme di complessi idrogeologici carbonatici e relative aree
di ricarica allogenica superficiale, le cui acque hanno come recapito un’unica sorgente carsica, o un
gruppo di sorgenti, puntuali o lineari, solitamente disposte lungo incisioni vallive (Piccini et al.,
1999). Fanno quindi parte del sistema idrogeologico non solo di aree di alimentazione in complessi
carbonatici ma anche i versanti costituiti da complessi non carbonatici a bassa permeabilità le cui
acque di ruscellamento sono assorbite dai complessi carbonatici.
18
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Per certi sistemi idrogeologici non è possibile individuare punti di recapito in corrispondenza di
sorgenti note o di portata rilevante, è quanto succede per quei complessi carbonatici che sono in
continuità con i depositi alluvionali della pianura costiera e della valle del F. Serchio. In questo
caso i recapiti sono costituiti da sorgenti sepolte o alveari in corrispondenza di corsi d’acqua,
l’acquifero carbonatico ricarica l’acquifero posto nei depositi alluvionali.
La delimitazione dei singoli sistemi idrogeologici ha un elemento di incertezza rappresentato dalla
reale posizione degli spartiacque sotterranei. Partendo dai risultati di prove con traccianti che
hanno dato esito positivo in sorgenti distanti tra loro, anche se in misura diversa e con tempi di
risposta diversi, Piccini et al. (1999) suppongono l’esistenza “di un'unica rete attraverso la quale sono
possibili scambi tra sistemi confinati attraverso vie di flusso secondarie, soprattutto in condizioni ipercritiche
di alimentazione, come avviene in concomitanza di forti eventi di precipitazione.”.
L’individuazione dei limiti idrostrutturali dei sistemi idrogeologici delle principali sorgenti
presenti nell’area apuana è stata oggetto nel tempo di studi condotti da vari autori (Masini 1956;
Piccini e Pranzini 1989; Piccini et al. 1999, per citarne alcuni).
Il Centro di GeoTecnologie dell’Università degli Studi di Siena, nell’ambito di una specifica
convenzione stipulata con la Regione Toscana, nel 2007 ha sviluppato lo “Studio idrogeologico
prototipale del corpo idrico significativo dell’acquifero carbonatico delle Alpi Apuane, Monti d’Oltre Serchio
e S. Marina del Giudice”. Nello studio il Corpo Idrico Sotterraneo Significativo Alpi Apuane è
indicato con l’acronimo CISS–AP; tale denominazione sarà mantenuta anche nella presente
relazione.
Lo studio sul CISS-AP, oltre a rappresentare un compendio di tutta la vasta conoscenza
sull’idrogeologia delle Alpi Apuane, sviluppa un’analisi puntuale e dettagliata delle caratteristiche
di ogni sistema idrogeologico individuandone in particolare l’area di alimentazione. I limiti di tali
aree sono detti “certi” se individuati con prove sperimentali, se il deflusso sotterraneo è delimitato
da complessi a permeabilità da bassa a molto bassa, oppure se definiti lungo spartiacque
superficiali in complessi non carbonatici che individuano aree di ricarica allogenica. Sono detti
“presunti” se sono stati individuati esclusivamente considerando l’assetto geometrico dei
complessi idrogeologici (C.G.T. 2007).
I sistemi idrogeologici posti lungo l’asta del F. Serchio che non recapitano a sorgenti con portate
significative, sono stai definiti “Sistemi Idrogeologici Carbonatici della Valle del Fiume Serchio”
ritenendo che contribuiscano alla ricarica dell’acquifero alluvionale.
Nel 2008 lo studio sul CISS-AP è stato esteso anche al versante sinistro orografico della Valle del
Fiume Serchio nell’ambito del progetto “Realizzazione della carta idrogeologica del versante in sinistra
orografica del Fiume Serchio a integrazione del “ Corpo Idrico Sotterraneo Significativo” delle Alpi Apuane
e finalizzato alla redazione del bilancio ideologico del Fiume Serchio”, commissionato dalla Regione
Toscana, Autorità di Bacino del Fiume Serchio e con il contributo dell’Autorità di Ambito
Territoriale n. 1 “ Toscana Nord”.
Questo studio segue il criterio adottato per il CISS-AP. Esamina pertanto il carsismo dei litotipi
carbonatici del Dominio Toscano non metamorfico (Falda Toscana) evidenziando che sono
interessati da un carsismo epigeo rappresentato da doline e pseudodoline sviluppate in terreni non
19
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
carbonatici (es. doline di crollo nel Macigno), mentre il carsismo ipogeo consiste di 142 cavità
segnalate ma poco estese e poco profonde.
Lo studio segnala anche come in quest’area un contributo all’analisi della circolazione idrica
sotterranea provenga da studi sugli isotopi ambientali (18 O, Deuterio e Trizio) condotte da istituti
universitari su acque sorgive e termali. Tali studi hanno messo in evidenza come la maggior parte
della sorgenti monitorate sia alimentata da circuiti sotterranei superficiali e molto rapidi, ad
eccezione delle acque delle sorgenti termali che invece hanno apporti provenienti da circuiti lenti e
profondi.
Nel versante sinistro del Fiume Serchio sono presenti due zone con sorgenti termali: Pieve
Fosciana e Bagni di Lucca.
Lo studio del C.G.T. (2008) richiama studi precedenti segnalando che le acque termali di Pieve
Fosciana hanno una quota di infiltrazione attorno ai 1.000 m e un periodo di permanenza nel
sottosuolo di circa 25 anni.
Quelle di Bagni di Lucca sono acque solfato-bicarbonato-calciche, che provengono da un circuito
idrogeologico profondo con un periodi di permanenza nel sottosuolo di circa 40 anni e una quota
di infiltrazione intorno agli 800 m.
Lo studio del C.G.T. concorda con quanto affermano precedenti autori (Masini, 1956; Baldacci el
al., 1993) sull’esistenza di un unico sistema carbonatico profondo che influenza le manifestazioni
termali della zona, formato dalle evaporiti triassiche e dalle sovrastanti formazioni carbonatiche
della Falda Toscana.
Si riporta in Tabella 5 e in Tabella 8 l’elenco dei sistemi idrogeologici individuati da C.G.T per il
Corpo Idrico Sotterraneo Significativo delle Alpi Apuane (CISS-AP) e per il Corpo Idrico
Sotterraneo Significativo in sinistra orografica del Fiume Serchio. Le tabelle contengono, oltre alla
superficie dell’area di alimentazione di ogni sistema, la portata media di ogni recapito principale e
gli altri recapiti significativi delle acque di ogni sistema.
20
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Tabella 5 - Sistemi Idrogeologici del CISS-AP (C.G.T. 2007)
Superficie
Km2
Legenda colori
Sistemi Idrogeologici del Fiume Magra
Sistemi Idrogeologici dei bacini costieri della Versilia
Sistemi Idrogeologici del Fiume Serchio
Recapito principale
Qmedia
1
Sorgenti di Equi
21,1
Buca d’Equi – 250 L/s
2
Sorgenti Lucido di Vinca
7,9
N
Sistema idrogeologico
Sorgenti della Tecchia di
Tenerano
Limite Nord Occidentale
4
CISS-AP
Sistema idrogeologico di Carrara
Sotto-sistema Carbonera5
Tana dei Tufi
Sotto-sistema Gorgoglio6
Pizzutello
3
5,5
21,4
Altri recapiti
Qmedia
Note
Barrila – 200 L/s
Sorgenti calde
Radium 50 l/s
Radium alv. 200 l/
Lucido inferiore – 150
Lucido sup. – 70
L/s
L/s
Tecchia Tenerano
Tecchia Tenerano
Sorgenti captate
sup. – 20 L/s
inf. 1,5 L/s
Non sono presenti sorgenti, alimenta il deflusso superficiale del T.
Pescioletta, Canale Caldia, T. Bardinello, T. Rondonaia
20
5,2
Tana dei Tufi 60 L/s
7,3
Gorgoglio 40 L/s
7
Sotto-sistema delle Canalie
6,7
8
Sotto-sistema Pero Sup.
0,8
9
Sorgente di Linara
4,8
10
Sorgenti del Cartaro
8,6
11
Sorgente F. Frigido
28,7
12
Sorgente Materna
4,8
13
Sorgente Renara
8,2
14
15
Polla dell’Altissimo
Fosso di Antona
3,3
2,0
16
Polla di Altagnana
2,6
17
Monte Corchia
9,1
Ratto sup.180 L/s
Ratto inf. 180 L/s
Linara 1 - 80 L/S
Cartaro Grande 400
L/s (max ≈ 1000 L/s)
Frigido (o Forno)
1.550 L/s (max >
4.000 L/s; min. 400
L/s)
Soregente Materna 20
L/s
Sorgente Renara 200
L/s
La Polla 45 L/s
Darola
Polla di Altagnana 60
L/s
Ponte 1 60 L/s
Ponte 2 60 L/s
Carbonera 50 L/s
Pizzutello 30L/s
Sponda 45 L/s
Pero inf. 40 L/s
Polla della Martana
40 L/s
Ospedale sup. 10
L/s
Ravenna 10 L/s
Linara 3 - 23 L/s
Linara sottostrada
23 L/s
Grotta Linara 7 l/s
Cartaro Piccola ≈ 40
L/s
Numerose sorgenti
diffuse
Quasi tutte le
sorgenti sono
captate
Sorgenti captate
Non captata
(vedi Nota)
Non captata
(vedi Nota)
Captata
Risvolta 20 L/s
Rio 2 L/s
21
N
Sistema idrogeologico
Superficie
Km2
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
18
19
Sorgenti delle Fontane
Sorgenti delle Mulinette
1,6
2,1
20
Monte Costa
2,5
21
Sorgenti di Porta
2,0
22
Molini di S. Anna
13
23
Sorgente Acqua Chiara
1,6
24
Sorgenti di Camaiore –
Stiava
59,9
25
Grotta dell’Onda
5,2
26
Sorgente Bottaccio
2,5
27
Fosso Acqua Bianca
4,9
28
Torrente Edron
30
29
Sorgente Airone
18
30
Sorgente Pollaccia
23
31
Fontanaccio
4,7
32
Torrente Turrite Secca
15,4
33
Sorgente Chiesaccia
15,4
34
Sorgente Polla dei Gangheri
35
35
Torrente Turrite Cava
24
36
Sorgente Botronchio
4,4
38
Sorgente Termine e Polla
del Cannello
Acquif. Sospeso M. Piglione
1,2
39
Torrente Pedogna
18
37
40
41
42
Sistemi idrogeologici
carbonatici della Valle del
Serchio
Sorgenti di Bozzano e Villa
Spada
Sistema idrogeologico
Monti d’Oltre Serchi0
9
Recapito principale
Qmedia
Fontane 16 L/s
Mulinette 3 60 L/s
Piccole sorgenti
diffuse
Porta 2 50 L/s
Molini di S.Anna 50
L/s
Sorgente Acqua
Chiara 24 L/s
Polla dei Frati 100
L/s
Stava 100 L/s
Grotta dell’Onda 70
L/s
Bottaccio 20 L/s
CAP 8
Altri recapiti
Qmedia
Note
Mulinette 2 20 L/s
Non captata
Porta 1 36 L/s
Captata
Teneri 25 L/s
Captate
Captata
Preto Marone 20
L/s
Fracassata 30 L/s
Acqua Bianca 6 L/s
Fornacchione 5 L/s
Il sistema alimenta il deflusso di base del T. Edron
Sorgente Airone 150
La sorgente è inclusa nel bacino artificiale
L/s
del lago di Vagli
Pollaccia 500 L/s
Diffuse sorgenti
Non Captata
(Qmax > 4000 L/s)
alveari
(vedi Nota)
Fontanaccio (o
Non captata
Fontanino) 30 L/s
(vedi Nota)
Il sistema alimenta il deflusso di base del T. Turrite Secca e quello
dell’acquifero alluvionale del F. Serchio
Tinello 30L/s
Tana che Urla 30
Chiesaccio 100 L/s
Non captate
L/s
Battiferro 40 L/s
Polla dei Gangheri
Captata
400 L/s
Molino Bianchini 31
Sorgente sommersa dal lago artificiale di
L/s
Turrite Cava
Botronchio Canale 50
Botronchio 5 L/s
Non captata
L/s
Polla del Cannello 50
Termine 10 L/s
L/s
15 L/s
Sorgente Pasquini 30
L/s
46,3
Calavorno – Pietrata
50 L/s
13,3
Villa Spada 180 L/s
(vedi Nota)
Bozzano 25 L/s
Captate
6,8
22
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Note
Nelle presenti note si forniscono informazioni aggiuntive su alcune tra le maggiori sorgenti non
captate presenti nel CISS-AP sia sul versante occidentale che in quello orientale delle Alpi Apuane.
Sorgente di Forno
Questa sorgente, nota anche come sorgente del Frigido, è la maggiore sorgente delle Alpi Apuane.
L’acqua sgorga dalla formazione dei Grezzoni ad una quota di 235 m s.l.m., circa 300 m a monte
del contatto con la formazione dei Porfiroidi del basamento paleozoico.
Negli anni sono state fatte varie misure di portata ma sempre con una certa difficoltà in quanto la
sorgente presenta delle perdite; la principale è in un vicino canale ad una quota leggermente
inferiore a quella della sorgente principale. Inoltre c’è una uscita di “troppo pieno” posta a quota
250 m circa, a monte delle perdite, che entra in funzione quando le portate superano i 4.000 L/s.
Piccini e Pranzini (1989), mettendo insieme tutte le misure di portata disponibili, sia quelle
riportate negli Annali Idrologici che quelle appositamente eseguite, hanno ricavato il valore delle
portate medie mensili indicate in Tabella 6.
Tabella 6 - Sorgente di Forno: portate mensili (L/s)
Mese
Gen.
Feb.
Mar.
Apr.
Mag.
Giu.
Lug.
Ago.
Set.
Ott.
Nov.
Dic.
1950
370
2295
1360
3270
2345
410
250
1951
2185
275
520
440
1952
1785
1815
2220
2620
3015
3810
455
570
230
425
1565
1200
2530
2455
1986
1987
1930
4200
1440*
2700*
1757
1210
647*
293*
293*
640*
1400
2350
Media
Media annuale stimata
Media
1568
2770
1647
3100
2372
730
395
359
336
908
1300
2455
1496
1.500
* = media di più misure
[da Piccini e Pranzini (1989)]
Gli autori, utilizzando le misure di portata eseguite tra luglio e ottobre 1986, ricostruiscono la
curva di esaurimento della sorgente in assenza di precipitazioni. Dalle valutazioni fatte risulta che
la quantità di acqua immagazzinata dalle fratture non allargate dalla corrosione al tempo t 0 (17
luglio) è pari a circa 5,6 x 106 mc.
L’acqua della sorgente pur attraversando rocce carbonatiche solubili, presenta un basso valore di
conducibilità elettrica (circa 180 μS/cm alla temperatura media dell’acqua di 10,2° C) segno di una
circolazione piuttosto veloce nell’acquifero.
23
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Sorgente di Renara
L’area di alimentazione di questa sorgente (in questo caso è più corretto parlare di “sorgenti”
perché sono presenti più scaturigini) corrisponde a parte della sinclinale del M. Altissimo e si
spinge fino a comprendere parte degli affioramenti carbonatici presenti nella valle di Arni –
Campagrina. Una prova con traccianti eseguita nel 1989 nell’abisso Tripitaka, nei pressi di
Campagrina, ha dato esito positivo a queste sorgenti (Piccini e Pranzini – 1989).
Le sorgenti si trovano nell’omonimo canale a quota 290 m.s.l.m. nella formazione dei Grezzoni,
circa 500 m a monte del contatto tra Grezzoni e basamento paleozoico.
Piccini e Pranzini (1989) per avere valori attendibili hanno eseguito misure nei mesi di maggiore
portata; sono misure approssimative dal momento che si tratta di sorgenti alveari. I valori di
portata media sono indicati nella Tabella 7.
Tabella 7 - Sorgente di Renara: portate mensili (L/s)
Mese
Gen.
Feb.
Mar.
Apr.
Mag.
Giu.
Lug.
Ago.
Set.
Ott.
Nov.
Dic.
1911
1986
1987
300
260
330
289
300
308*
70*
70
103
75
70
50
160*
Media
Media annua stimata
Media
-300
260
310
300
308
73
70
77
160
220
-195
200
* = media di più misure
[da Piccini e Pranzini (1989)]
Sorgente La Pollaccia
La sorgente La Pollaccia è la seconda sorgente per portata delle Alpi Apuane. Si trova nel bacino
del Torrente Turrite Secca, affluente di destra del F. Serchio, a circa 700 m a monte dell’abitato di
Isola Santa, a quota 520 m s.l.m. nel fondovalle sulla sponda destra.
Alimenta l’invaso artificiale di Isola Santa della capacità di 800.000 mc utilizzato per la produzione
di energia elettrica.
La portata della sorgente è stata più volte misurata tra il 1890 e i primi anni del 1900 da parte della
Commissione fiorentina nell’ambito del progetto che prevedeva la sua captazione e la
realizzazione di un acquedotto per convogliare le acque a Firenze.
24
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
La portata media è normalmente stimata in 500 L/s con punte massime di 4.000 L/s. Masini (1956)
e Piccini et al. (1999) citano inoltre, a valle della sorgente, ulteriori emergenze alveari nell’alveo del
T. Turrite Secca.
Sorgente Fontanaccio (o Fontanone)
La sorgente è posta nel bacino del Torrente Turrite Secca, poco a valle dell’abitato di Isola Santa,
sulla sponda destra del torrente. Il bacino di alimentazione presenta limiti meridionali incerti con
quello della Pollaccia e della Polla Gangheri. La portata media è stimata in 30 L/s.
Sistemi idrogeologici carbonatici della Valle del Fiume Serchio
I sistemi idrogeologici posti lungo l’asta del F. Serchio che non alimentano sorgenti il C.G.T. (2007)
le inserisce tra i “Sistemi idrogeologici carbonatici della valle del Fiume Serchio” ritenendo che
contribuiscano alla ricarica dell’acquifero alluvionale e/o il sistema carbonatico profondo. L’unica
sorgente con una portata significativa è quella posta in prossimità del Ponte di Calavorno (loc.
Pietrata) che ha una portata di circa 50 L/s. E’ ammissibile la presenza di sorgenti sepolte e
emergenze alveari lungo l’asta del F. Serchio. Tale possibilità è sostenuta da Masini (1956) che
riporta il caso di una importante sorgente alveare, da lui segnalata già nel 1925, posta nella golena
del fiume in destra, in località Varano (o Ponte Rotto) a circa un chilometro e mezzo a valle della
confluenza del T. Pedogna con il F. Serchio. Localmente questa sorgente alveare è conosciuta con il
nome di “Fiumicello” perché si sviluppa per incrementi successivi sopra un percorso di oltre un
chilometro. I vari rigagnoli si riuniscono dopo un percorso di circa 700 m per immettersi nel
Torrente Celebra a Valdottavo. L’Istituto Idrografico di Pisa nel 1953 effettuò tre misure di portata
con i seguenti risultati: L/s 323; 229; 232 rispettivamente il 3 agosto, 22 agosto e 5 settembre.
Lo stesso autore sviluppa poi una serie di considerazioni per dimostrare la presenza di altre
sorgenti sepolte e emergenze lineari lungo l’asta del F. Serchio esaminando l’aumento di portata
del Fiume Serchio tra le sezioni di Borgo a Mozzano e Ponte a Moriano, non spiegabile solo con
l’apporto degli affluenti di destra e di sinistra.
Tabella 8 - Sistemi Idrogeologici in sinistra orografica del Fiume Serchio (C.G.T. 2008)
Legenda colori
Sistema Idrogeologico Carbonatico della Valle del F. Serchio: Soraggio e Rimonto
Sistema Idrogeologico Carbonatico della Valle del F. Serchio: Corfino
Sistema Idrogeologico Carbonatico della Valle del F. Serchio: Barga
N.
1
Sistema idrogeologico
Sistema Idrogeologico
Carbonatico Valle del F.
Serchio (Soraggio)
Superfici
Km2
Sistema Idrogeologico Carbonatico della Valle del F. Serchio: Val di Lima e Val Fegana
13,2
Recapito principale
Qmedia
Altri recapiti
Qmedia
Note
Circuito carbonatico versante
emiliano
25
N.
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Sistema idrogeologico
Sistema Idrogeologico
Carbonatico Valle del F.
Serchio (Rimonto)
Sorgente Il Pollone
Sistema idrogeologico
Carbonatico Valle del F.
Serchio (Corfino)
Sistemi Idrogeologici
Carbonatici del F. Serchio
(Barga)
Sorgente Le Vene
Sorgente Il Fontanone
Sorgenti Fontanone
Sorgente Pollatoio
Sorgente Sega
Rifologno
Sistema Idrogeologico
Carbonatico della Valle del
F. Serchio (Val di Lima)
Superfici
Km2
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
Recapito principale
Qmedia
24,7
Circuito in connessione con il
bacino del F. Serchio
6,4
Pollone di Magnano 320 L/s
17,6
Alimenta il circuito carbonatico
profondo della Valle del F. Serchio
60,2
34,4
10
17,2
8,5
5,1
2,6
70
Alimentano gli acquiferi
alluvionali delle Valle del F.
Serchio
Le Vene 200 L/s
Il Fontanone 15 L/s
Sorgenti Fontanone 60L/s
Sorgente Pollatoio 400 L/s
Sorgente Sega 125 L/s
Sorgente Rifologno 30 L/s
Alimenta il sistema carbonatico
profondo della valle del F. Serchio
e le sorgenti termali di Bagni di
Lucca
CAP 8
Altri recapiti
Qmedia
Note
Altre sorgenti diffuse
Captata
Vedi nota
Captata
Captata
Captate
Captata
Non Captata
Captata
Note
La sezione idrogeologica schematica di Figura 7 evidenzia chiaramente lo scambio idrico tra il
sistema carbonatico della Pania di Corfino e il circuito profondo del Graben della Valle del Fiume
Serchio.
Figura 7 - Sezione idrogeologica schematica
(Baldacci et al. 1993)
10 - LE ACQUE DEL BACINO DEL FIUME SERCHIO E LE SUE UTILIZZAZIONI: CENNI
10.1 - Le utilizzazioni a scopo idroelettrico.
Le acque del bacino del F Serchio, soprattutto i corpi idrici superficiali, sono oggetto dall’inizio del
1900 di un intenso sfruttamento per la produzione di energia elettrica, favorito dalle particolari
condizioni orografiche, morfologiche e climatiche del territorio. Alle dighe e sbarramenti ora
gestiti da ENEL, negli ultimi anni si sono aggiunti impianti di ridotte dimensioni e piccole
produzioni (minihydro) in grado di sfruttare salti e portate modeste.
26
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Il parco impianti gestito da ENEL nel bacino del F. Serchio è notevole e conta 12 dighe, 3
sbarramenti fluviali, 51 opere di captazione minori e 128 Km di opere idrauliche (82,6 Km di canali
a pelo libero, 40,6 Km di gallerie e canali in pressione, 4,8 Km di condotte forzate), realizzate a
partire dal 1901 (Ania) e continuamente mantenute e rinnovate (ultimo intervento nel 2005 a
Gallicano).
Nel bacino del F. Serchio si concentra circa il 60% del parco idroelettrico dell’ENEL dell’intera Toscana e il
90% della produzione lorda annua da fonte idroelettrica della Toscana (Aut. Bacino Serchio 2010?)
Per concorrere a raggiungere lo stato di qualità ambientale “buono” in accordo con le previsioni
della Direttiva Comunitaria 2000/60, ENEL e Autorità di Bacino del Fiume Serchio nel 2005 hanno
avviato una sperimentazione per valutare gli effetti di rilasci sperimentali di acqua dai bacini
ENEL per mantenere il MDV, monitorandone i risultati.
L’ipotesi di un utilizzo intensivo per uso acquedottistico di alcune recapiti di sistemi idrogeologici
del CISS-AP del versante orientale deve necessariamente confrontarsi con le attuali utilizzazioni a
scopi idroelettrici.
E’ il caso della sorgente La Pollaccia, per portata la seconda delle Alpi Apuane, che alimenta
l’invaso artificiale di Isola Santa (800.000 mc) posto nel bacino del Torrente Turrite Secca. Il
Torrente, a monte della sorgente, per 5 Km è asciutto praticamente tutto l’anno e gli apporti laterali
sono modestissimi e si riducono a zero poco prima della località Tre Fiumi.
Altro caso è quello della sorgente Airone (Qmedia = 150 L/s) che attualmente è inclusa nel lago
artificiale di Vagli (34.000.000 mc).
10.2 - Il F. Serchio e la sua falda: Le utilizzazioni a scopo idropotabile
Poco a valle di Ponte a Moriano il F. Serchio entra nella pianura alluvionale di Lucca; con una
ampia ansa passa a NW della città e, costeggiando i rilievi collinari dell’Oltre Serchio, si dirige
verso la stretta di Ripafratta, posta tra i Monti Pisani e i Monti dell’Oltre Serchio, per poi
proseguire attraverso la pianura pisano – versiliese fino al mare. Nella presente relazione
consideriamo il Fiume Serchio come chiusura meridionale dell’area in esame del CISS-AP e quindi
ci limitiamo ad esaminare i rapporti fiume – falda, lungo l’asta del Fiume Serchio, fino alla soglia
di Ripafratta e al suo ingresso nella pianura pisana.
La pianura di Lucca è un bacino intermontano formatosi in una depressione tettonica e
rappresenta la prosecuzione verso SE della struttura della valle del Serchio. Nella sua storia
evolutiva la pianura è stata percorsa, alluvionata e modellata dalle alluvioni del F. Serchio.
Inizialmente l’alveo del fiume, oggi sepolto dalle alluvioni più recenti, si dirigeva verso la zona di
Bientina e confluiva nell’Arno. Con il progressivo colmamento della pianura, le acque trovarono
difficoltà a defluire in Arno e dal ramo principale del Serchio si staccarono così rami minori. Uno
di questi, l’Auserculus, staccandosi all’altezza di San Pietro a Vico, si diresse verso il paleolago
posto nella conca di Nozzano. Con il succedersi delle piene le acque finirono per dirigersi
preferibilmente verso questa conca determinandone la colmata. L’Auserculus incise la soglia di
Ripafratta aprendosi una via indipendente al mare attraverso la pianura pisana segnando il
definitivo tracciato del Serchio.
27
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
In epoca storica, con una serie di interventi idraulici, il corso del fiume venne regimato
raggiungendo la sua conformazione attuale, con l’alveo pensile sulla pianura lucchese e su quella
pisana fino alla foce presso Migliarino.
I vari eventi alluvionali che nel tempo hanno formato la pianura di Lucca hanno lasciato depositi,
oggi sede di importanti falde idriche concentrate prevalentemente in quelli a granulometria
maggiore (ghiaioso-sabbiosi). Questi depositi sono presenti soprattutto nella parte apicale del
conoide, dove il fiume entra nella pianura, ed hanno uno spessore inizialmente compreso tra 10 –
15 m. Più a Sud essi acquistano spessori maggiori e sono sormontati da una copertura di sedimenti
più fini, localmente denominata “bellettone”, che rappresenta il deposito alluvionale più esteso,
interessando gran parte della pianura e dei fondovalle in essa confluenti. Il suo spessore aumenta
da Nord verso Sud e raggiunge un massimo di una decina di metri nella zona a SW di Lucca
La falda è essenzialmente alimentata dalle acque del Fiume Serchio. Lo scambio idrico fiume →
falda avviene principalmente nella parte nord occidentale della piana dove affiorano i depositi
ghiaioso – sabbiosi e la falda risulta essere libera (vedi Figura 8 e Figura 9). Mano a mano che si
procede da Nord verso Sud e SE la copertura di depositi alluvionali semipermeabili e
impermeabili, costituiti da limi e argille (“bellettone”), aumenta progressivamente di spessore e la
falda diventa prima semiconfinata poi confinata con caratteristiche di artesianità. Il limite tra falda
libera e confinata non è ben definito ma avviene attraverso una zona di passaggio (vedi Figura 8).
Figura 8 - Sezione schematica dell’acquifero della piana di Lucca
(MATT: 2007)
28
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Figura 9 - Rappresentazione schematica dell’acquifero della piana di Lucca
(MATT: 2007)
Tra lo sbocco in pianura all’altezza di Ponte a Moriano e la soglia di Ripafratta, lungo l’asta del
Serchio sono localizzati i seguenti campi pozzi:
San Pietro a Vico: sono presenti 2 pozzi (su 6 previsti) posti in riva sinistra, aperti nell’area
golenale e alimentano l’acquedotto intercomunale Lucca – Capannoni. Nella zona è presente una
copertura limoso – sabbiosa dello spessore di circa 4 m. L’acquifero sottostante è nelle ghiaie e
sabbie ad ha uno spessore di circa 8 m., mentre il substrato impermeabile è formato da depositi
argillosi lacustri. La direzione di flusso della falda è in direzione NW verso SE con il Serchio che
drena la falda in riva destra e l’alimenta in riva sinistra. L’alimentazione dei pozzi dipende quindi
esclusivamente dalla ricarica subalveare del fiume.
Salicchi: il campo pozzi, posto nella fascia golenale in riva sinistra del fiume, è formato da 9 pozzi
che alimentano l’acquedotto civico di Lucca. L’acquifero ha uno spessore di circa 8 m ed è
costituito da ghiaie e sabbie. Al tetto è presente una copertura di materiale più fine formato da limi
sabbiosi e argillosi (“bellettone”) dello spessore di circa 5 – 6 m. Al letto del livello ghiaioso che
costituisce l’acquifero è presente un deposito di origine lacustre formato da depositi
conglomeratici sabbioso – argillosi, impermeabili, che si trovano ad una profondità di circa 14 m
da piano campagna.
L’andamento della falda sotterranea ha direzione NW verso SE con il fiume che drena la falda in
riva destra e l’alimenta in riva sinistra.
29
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
La ricarica della falda è garantita dallo sbarramento in alveo del fiume realizzato a valle del ponte
per S. Quirico che rappresenta una sorta di bacino permanente di alimentazione della falda.
Sant’Alessio: il campo pozzi è posto nell’area golenale in riva destra ed è formato dai pozzi degli
acquedotti Pisa – Livorno e S. Alessio. L’acquifero è formato dai depositi alluvionali (sabbie e
ghiaie) del Serchio caratterizzati da elevata permeabilità. Il loro spessore è di circa 20 m nei pozzi
dell’acquedotto Pisa – Livorno e si riduce verso le colline. Al tetto dei depositi che formano
l’acquifero è presente una copertura di spessore variabile da 5 a 10 m e crescente verso la collina,
formata da livelli limoso argillosi. Il substrato impermeabile è formato da terreni argillosi di
origine lacustre. L’alimentazione principale dell’acquifero avviene attraverso la ricarica subalveare
del Serchio, favorita dall’elevata permeabilità dei depositi e, in misure minore, dagli apporti
provenienti dai corsi d’acqua dei rilievi collinari posti ad Ovest attraverso i loro conoidi che si
anastomizzano con le alluvioni di pianura.
La direzione di flusso della falda è da Est verso Ovest e da Sud verso Nord. L’alimentazione
principale della falda avviene attraverso apporti diretti derivanti dalla ricarica di subalveo dal
Serchio, favorita, anche in questo caso, dalla presenza dello sbarramento in alveo posto a circa 2,5
Km a valle del ponte di Monte S. Quirico.
Nozzano e Filettole:la zona, posta in riva destra del F. Serchio, si estende da Nozzano, dove sono
posti i pozzi che servono parte del territorio di Lucca, a Filettole dove sono i pozzi che alimentano
gli acquedotti per Pisa e Livorno.
A Nozzano sono presenti 4 pozzi. L’acquifero è compreso tra 17,50 m dal p.c. e 33.0 m dal p.c.; è
formato da sabbie a grana medio grossa e ghiaie. Al tetto è presente una copertura sabbioso limosa
(“bellettone”), mentre al letto troviamo depositi conglomeratici argilloso sabbiosi e argillosi di
origine fluvio lacustre, impermeabili o scarsamente permeabili. La falda presenta caratteristiche di
confinamento.
Più a valle la stretta Filettole – Ripafratta rappresenta la soglia di tracimazione scavata dal fiume
nelle arenarie del Macigno successivamente alla colmata della conca di Nozzano con depositi
alluvionali, consentendo in tal modo al Serchio di aprirsi una strada al mare attraverso la pianura
pisano-versiliese. Nella stretta la coltre alluvionale che ricopre il macigno ha uno spessore di 40 –
50 m ed è costituito da materiali a grana crescente dall’alto verso il basso con una successione di
limi, argille, sabbie e ghiaie. Questi depositi presentano variazioni di grana non solo in senso
verticale, ma anche in senso orizzontale; in particolare presso i fianchi della valle le alluvioni
diventano più fini e si intercalano con i conoidi di corsi d’acqua laterali.
Il campo pozzi di Filettole si compone di 27 pozzi, 10 a servizio dell’acquedotto di Livorno e 17 per
quello di Pisa.
Nell’area l’acquifero ha uno spessore variabile da 25 a 30 m; al tetto è presente una copertura
costituita da depositi fini limoso-sabbiosi con spessore variabile da 9 a 14 m (lo spessore maggiore
è verso Filettole), mentre al letto sono presenti depositi sovraconsolidati e impermeabili di natura
argilloso-ghiaiosa di origine fluvio-lacustre.
La presenza della copertura impermeabile non consente in loco scambi tra il fiume e la falda
conferendo inoltre a questa caratteristiche di parziale artesianità.
30
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
La falda è alimentata in prevalenza dal F. Serchio a monte dell’area in esame in una zona della
pianura dove le acque del fiume sono in diretta connessione con la falda.
A questo proposito si possono distinguere quattro diverse zone lungo l’asta del fiume con
caratteristiche diverse per quanto riguarda gli scambi fiume - falda:
I)
zona compresa a Nord di S.Alessio: l’alimentazione della falda dipende direttamente dagli
scambi con il fiume;
II)
zona compresa tra S. Alessio e S. Maria a Colle: l’alimentazione della falda deriva ancora per
quantitativi modesti dal fiume;
III)
zona compresa tra S. Maria a Colle e Nozzano: in questo tratto l’acquifero è semi-confinato;
IV)
zona a valle di Nozzano fino a Filettole: in questo tratto la falda è confinata. Non sono presenti
scambi diretti con il fiume per la presenza di una spessa copertura detritica fine. Una importante
fonte di alimentazione secondaria è rappresentata dagli apporti provenienti dalla valle di Balbano
e dai litotipi calcarei che rappresentano la terminazione meridionale del CISS-AP. Dopo Filettole,
sopra la falda artesiana, è presente una falda freatica caratterizzata da scambi diretti con il fiume.
L’estrazione di acqua dal campo pozzi di Filettole risale all’inizio del secolo scorso; si riportano di
seguito i dati relativi agli emungimenti (GEA 2005):




Dal 1912 e successivamente dal 1938 al 1959 sono stati estratti circa 150 l/s;
Dal 1959 al 1966 l’estrazione di acqua è stata di circa 360 l/s;
Dal giugno 1966 al giugno 1969 l’estrazione di acqua è stata di circa 530 l/s;
Il 24 giugno 1969 è stata completata la trasformazione degli impianti con impiego di pompe
sommerse e l’estrazione di acqua è stata portata a circa 830 l/s fino all’aprile 1971 quando,
per alterazioni subite dalla falda (abbassamento della falda di circa 10 m)i prelievi sono
stati ridotti e adeguati al rifornimento stagionale.
Nel periodo 1969 – 1971, a causa dell’eccessivo emungimento dalla falda, in molti edifici degli
abitati di Filettole e Ripafratta e in altri manufatti (ponti, strade ecc.) si verificarono varie lesioni.
L’area coinvolta si è estesa per circa 2 Km lungo la sponda del fiume.
Studi eseguiti negli anni successivi stabilirono la stretta connessione tra i dissesti e l’abbassamento
del livello piezometrico della falda. Il Genio Civile di Pisa stabilì pertanto una quota di sicurezza
fissata in – 4 m riferita al livello medio del mare, registrata al piezometro XVII (GEA 2005). Negli
anni successivi, con lo stabilizzarsi della falda, fu registrata una sensibile riduzione dei dissesti.
Nel dicembre 1975 però, in seguito al manifestarsi di nuovi dissesti, fu deciso di portare la quota di
sicurezza a -3,5 m sotto il livello del mare (pari a – 18, 13 m da boccapozzo).
Verso la fine del 1997 si verificarono nuovamente altre lesioni su alcune abitazioni di Filettole e fu
accertato che per vari mesi era stato superato il livello di falda stabilito come limite di sicurezza.
Fino al 2001 il livello della falda ha subito nel tempo varie oscillazioni che hanno determinato
anche temporanei superamenti della soglia di sicurezza, ma senza che si siano verificati ulteriori
dissesti nelle abitazioni.
31
Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
A chiusura del presente paragrafo relativo ai rapporti tra il Fiume Serchio e la sua falda e alle
utilizzazioni a scopo idropotabili della stessa, si riportano le considerazioni conclusive contenute
nel Progetto LIFE (MATT 2007), rimandando a tale lavoro per gli approfondimenti specifici.
 “La piana di Lucca è sede di un importante falda idrica sotterranea che alimenta diversi e rilevanti
campi pozzi sia usi idropotabili ed industriali. Tale falda è alimentata in maniera predominante dal
fiume Serchio. Gli scambi idrici falda-fiume avvengono in prevalenza dove la falda stessa risulta
essere libera ovvero in sinistra ed in destra idrografica del fiume in un area che si estende da Ponte a
Moriano fino a Ponte San Pietro. A monte di tali località la falda risulta avere una scarsa
permeabilità ed è quindi caratterizzata da scarsi scambi con il fiume mentre a valle la falda risulta
essere prima semi-confinata e poi confinata e quindi non più in connessione con il fiume Serchio.
 La falda libera, che superiormente è delimitata da terreni più o meno permeabili di tipo limososabbiosi, si caratterizza per avere dei valori di trasmissività alti in tutta la pianura, essendo compresi
in linea di massima tra 10-1 e 10-3 mq/sec, con diminuzioni lungo i margini della pianura stessa. Tali
valori, assai elevati, dipendono in generale dall'alto coefficiente di permeabilità delle alluvioni
sabbioso-ghiaiose e dalla loro continuità sia in senso verticale che orizzontale. I gradienti con cui la
falda si muove sono anch’essi elevati ed il campo di variabilità è compreso tra valori intorno allo 5-6 x
10-3 nella parte alta e lungo i bordi della piana e minimi di 1-1.5 x 10-3 nelle parti mediane, con un
valore medio di circa 3.0 x 10-3.
 Gli studi effettuati hanno permesso di individuare nell’ambito della falda libera aree di alimentazione
sia in sinistra che in destra idrografica del fiume che tali si mantengono sostanzialmente inalterate nel
corso dell’anno, in particolare:
- Area del Morianese posta in destra idrografica: la falda alimenta il fiume per circa 0.147 m 3/sec
pari a 4.63·106 m3/anno;
- Area di San Pietro a Vico posta in sinistra idrografica: il fiume alimenta la falda per circa 0.326
m3/sec pari a 10.27·106 m3/anno; in tale area risulta che il 100% della falda sia alimentata
direttamente dal fiume con una direzione di deflusso quasi perpendicolare al fiume stesso;
- Area di Salicchi posta in sinistra idrografica: il fiume alimenta la falda per circa 0.211 m3/sec pari
a 6.65·106 m3/anno; in tale area risulta che il 100% della falda sia alimentata direttamente dal fiume
con una direzione di deflusso quasi perpendicolare al fiume stesso;
- Area di Sant’Alessio posta in destra idrografica: il fiume alimenta la falda per circa 1.463 m3/sec
pari a 46.13·106 m3/anno; in tale area risulta che circa il 90% della falda sia alimentata dal fiume
mentre il restante 10 % si stima provenga dalla falda collinare;
- Area di S’Anna loc. Palazzaccio posta in sinistra idrografica: il fiume alimenta la falda per circa
0.680 m3/sec pari a 21.44·106 m3/anno; in tale area risulta che il 100% della falda sia alimentata
direttamente dal fiume con una direzione di deflusso quasi perpendicolare al fiume stesso.
 Il bilancio idrico del fiume nel tratto in cui sono esistono i rapporti fiume-falda (Ponte a Moriano –
Sant’Alessio) ha dato i seguenti risultati:
- Le portate del fiume Serchio, tra Ponte a Moriano e Ripafratta, costituiscono ampiamente le
aliquote maggiori del bilancio, risultando mediamente circa 9 volte superiori rispetto alla somma di
tutte le entrate ed uscite del tratto considerato;
- I contributi superficiali rappresentano la seconda aliquota di entrate nel fiume derivanti dai
torrenti che, prevalentemente dal lato destro, alimentano il fiume Serchio (con una superficie
imbrifera pari a circa 116 Km2 risultano essere determinanti affinché il bilancio tra portate in entrate
ed in uscita resti in pareggio;
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CAP 8
- Per quanto attiene ai rapporti tra fiume e acque sotterranee si evidenzia come le portate in uscita
dal fiume verso la falda siano notevolmente superiori a quelle che il fiume riceve nel tratto
considerato generando una perdita per il fiume ma un attivo per la falda. Tale surplus di
alimentazione alimenta totalmente la falda idrica della piana di Lucca e si dirige sia verso Ripafratta,
in prevalenza, sia verso l’ex alveo di Bientina. In particolare nell’aera di Sant’Alessio si assiste ad un
guadagno medio annuo, al netto delle captazioni dei pozzi pari a 1,4 – 0,5 m3/sec circa;
- Nel mese di luglio, agosto e settembre le portate medie mensili del fiume in uscita a Ripafratta
risultano inferiori a 10 m3/sec mentre mostrano diversi valori giornalieri inferiori a 7 m 3/sec, valore
che rappresenta approssimativamente il Deflusso Minimo Vitale del fiume Serchio cosi come
calcolato dall’Autorità di Bacino. E’ necessario, pertanto, tenere in considerazione tale parametro
soprattutto nei mesi estivi al fine di calcolare le effettive risorse utilizzabili sia dal fiume sia dalle
acque sotterranee che vengono prelevate in subalveo al fine di garantire il DMV comunque ed evitare
di intaccare le risorse idrica sotterranee in situazioni di ridotta ricarica da parte del fiume
 Dal punto di vista della vulnerabilità dell’acquifero di subalveo le nuove indagini conoscitive
condotte, che comunque integrano ed aggiornano quelle già acquisite da pluridecennali attività
specifiche, confermano l’alta vulnerabilità delle acque di falda all’inquinamento, sia esso proveniente
da infiltrazioni superficiali, sia esso determinato dalla forte ricarica da parte del fiume Serchio; in
particolare, fermo restando l’alto rischio di contaminare la falda mediante un uso improprio dei suoli
di copertura, il sistema idrico fiume-falda presenta tuttavia una vulnerabilità all’inquinamento
superiore, è ciò dipende dalle notevoli permeabilità laterali ed anche dagli elevati gradienti che si
generano nella falda di subalveo proprio in prossimità del fiume.
 Ancora in merito ai rapporti con il fiume Serchio, si deve osservare che i pozzi utilizzati per uso
acquedottistici (Acquedotti di Pisa-Livorno e di S. Alessio, Salticchi e San Pietro a Vico) attingono
acqua dal subalveo del fiume, vale a dire da quella zona perennemente satura posta al di sotto ed ai lati
del letto del corso d’acqua, con velocità di ricarica significative, ma comunque nettamente inferiori
alle velocità che le acque del fiume mantengono in alveo; in sostanza i rapporti diretti tra le acque di
falda con le acque superficiali che defluiscono nel letto, pur essendo significativi, risultano tuttavia
limitati in proporzione alle portate del fiume Serchio: le velocità delle acque in alveo (dell’ordine dei
m/sec) risultano da 5.000 a 10.000 volte superiori alle velocità con cui le stesse acque si infiltrano in
falda e pertanto i pozzi subalveari, a meno di un inquinamento persistente nel fiume, non dovrebbero
risentire immediatamente di versamenti inquinanti accidentali o limitati nel tempo che il corso
d’acqua per le sue alte portate può tra l’altro smaltire rapidamente nell’arco di tempi brevi.
 In conclusione, al fine di garantire un’adeguata tutela della risorsa idrica, a partire da quella
sotterranea destinata all’approvvigionamento idropotabile, i risultati ottenuti consentono di rimarcare
l’importanza di salvaguardare l’intero sistema idrico fiume-falda. In particolare, date le forti
interazioni idriche tra il Serchio e la sua falda, la tutela del subalveo, sede di numerosi
approvvigionamenti idropotabile, si può garantire consuccesso, solo imponendo norme, vincoli e
controlli, non solo nei terreni sovrastanti la falda produttiva, ma anche nelle zone di ricarica e nei
tratti del fiume a monte, dove la presenza di centri di pericolo possono inquinando il fiume, mettere a
rischio lo stato qualità delle acque sotterranee destinate al consumo umano.
11 - CONCLUSIONI
Gli studi condotti in questi ultimi decenni sull’area apuana e sul versante sinistro della valle del
Fiume Serchio hanno permesso di avere una ricostruzione abbastanza dettagliata dell’assetto
idrogeologico degli acquiferi carbonatici.
Nell’area apuana le numerose informazioni provenienti da studi nel campo geologico-strutturale e
idrogeologico e l’esplorazione delle cavità carsiche condotta con criteri scientifici, hanno permesso
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CAP 8
di individuare i limiti dei principali sistemi idrogeologici che fanno capo alle maggiori sorgenti
carsiche.
Alcuni di questi limiti sono di permeabilità, altri sono spartiacque idrogeologici che non sempre
coincidono con gli spartiacque morfologici; il caso classico è quello del sistema idrogeologico
Frigido, dove l’omonima sorgente è posta nel versante occidentale delle Apuane ma lo spartiacque
che delimita il sistema idrogeologico è posto nel versante orientale, interessando parte del bacino
del Fiume Serchio.
Sulla posizione degli spartiacque idrogeologici permangono ancora molti margini di incertezza
dovuta alla complessità strutturale dei sistemi idrogeologici e difficoltà di individuare la geometria
dei condotti carsici sotterranei. La possibilità che si verifichino travasi di acqua da un sistema
all’altro, soprattutto in condizioni di forti apporti meteorici, rende ancora più complessa
l’individuazione precisa degli spartiacque.
Tale individuazione è un elemento essenziale nel caso di captazione di una sorgente per uso
acquedottistico in quanto consente di delimitare l’estensione dell’area di alimentazione del sistema
idrogeologico e valutare se al suo interno sono presenti centri di pericolo che potrebbero
compromettere la qualità dell’acqua captata, consentendo quindi di adottare le opportune misure
di salvaguardia.
La proposta del C.G.T. (2007 – 2008) di creare una rete di monitoraggio quali-quantitativo per ogni
sistema idrogeologico individuato è pienamente condivisibile in quanto va nella direzione di
quanto detto, consentendo da un lato di avere una precisa caratterizzazione idrogeologica del CISS
e dall’altro di realizzare un bilancio quantitativo della risorsa con la possibilità di elaborare
modelli previsionali sul suo andamento. Oggi i punti di controllo qualitativo e quantitativo
presenti nell’area sono insufficienti allo scopo.
La necessità di elaborare bilanci idrogeologici su singoli sistemi idrogeologici o su aree più vaste,
al fine di avere un ordine di grandezza della risorsa idrica disponibile, è un problema che nel
tempo è stato affrontato da vari autori e risolto utilizzando i dati disponibili, estrapolandoli dove
non disponibili, ed eseguendo anche campagne di apposite misurazioni. Per citare gli studi più
recenti abbiamo quelli di Piccini e Pranzini (1989) sul bacino del Fiume Frigido; Baldacci et al. 1993
sul bacino del Serchio, Piccini et al. (1999) su tutto il comprensorio apuo versiliese.
Di particolare interesse, per le conclusioni a cui giunge, è quest’ultimo studio che interessa 20
sistemi idrogeologici apuani posti sia nel versante occidentale che in quello orientale.
Dall’elaborazione del bilancio gli autori affermano che le risorse idriche rinnovabili, cioè la
quantità di acqua che mediamente circola in un anno attraverso gli acquiferi carsici, sono ben
maggiori di quelle captate e quindi molta della risorsa rinnovabile va ad alimentare il deflusso dei
torrenti senza che possa essere utilizzata.
Partendo da questa considerazione gli Autori sostengono che, per far fronte a situazioni di carenza
idrica nel periodo estivo, si potrebbe attingere alle riserve idriche permanenti contenute al di sotto
della quota di trabocco naturale degli acquiferi carsici che, ricordiamo, nel versante occidentale è
compresa nella fascia altimetrica 200 – 300 m s.l.m. In termini di bilancio questo sovrasfruttamento
è sostenibile in quanto le abbondanti precipitazioni che interessano la zona e l’elevato coefficiente
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CAP 8
di infiltrazione efficace che caratterizza gli affioramenti carbonatici, consentono il reintegro delle
risorse permanenti assai prima della successiva stagione estiva.
Questa proposta, pienamente condivisibile nelle sue linee generali, richiede la realizzazione di
opere importanti che avranno un impatto sull’ambiente ora difficilmente valutabile e quantificabile
sia in termini di costi ambientali, costi di realizzazione e benefici ottenibili.
Sicuramente un beneficio è rappresentato dalla possibilità di captare e immettere in rete acqua
utilizzando sistemi e tecnologie a bassa emissione di gas serra, rispetto ad altre fonti di
approvvigionamento che richiedono forme e modi di utilizzo diversi. L’adozione di misure e
strategie atte a contenere le emissioni di gas serra, deve essere una pratica che qualunque soggetto,
sia esso Autorità di regolazione o gestore del servizio, deve fare proprie in un’ottica di sostenibilità
ambientale delle opere da realizzare. La soluzione proposta presenta indubbiamente dei vantaggi
in termini di contenimento dei consumi elettrici; è infatti evidente che potendo utilizzate punti di
captazione in quota si sfrutta l’effetto gravità per il trasferimento dell’acqua, inoltre la qualità
dell’acqua disponibile richiede interventi di potabilizzazione minimi se non nulli.
L’utilizzo di questa risorsa non deve essere limitato ad un uso locale (la complessità delle opere da
realizzare potrebbe non avere una giustificazione in termini di costi/benefici) ma inserito in un
progetto più vasto che preveda l’interconnessione con vari sistemi acquedottistici in modo da
consentire la riduzione dei prelievi da altri punti di approvvigionamento nei momenti in cui questi
venissero a trovarsi in deficit idrico.
L’ipotesi di utilizzare le riserve idriche sotterranee permanenti richiede necessariamente un
approfondimento tecnico volto in primo luogo ad individuare quali sistemi idrogeologici
consentono questo tipo di prelievo; infatti, già in base alle conoscenze attuali, non tutti i sistemi
sono idonei. Per ogni singolo sistema ritenuto idoneo allo scopo e per valutare la fattibilità tecnicoeconomica dell’intervento deve essere predisposto un bilancio quantificando con precisione i
fattori che lo influenzano (precipitazione, temperatura, surplus idrici, deflussi, evapotraspirazione,
infiltrazione ecc.) e un modello previsionale sul suo andamento. Ciò presuppone di disporre di
dati quali-quantitativo delle grandezze necessarie alla sua stesura che possono essere disponibili
solo con un monitoraggio in continuo di tali grandezze e protratto nel tempo. Dall’altro è
necessaria una caratterizzazione geostrutturale e idrogeologica dettagliata del sistema
idrogeologico indiziato.
Dobbiamo comunque tener presente che le Alpi Apuane rappresentano il più importante acquifero
carbonatico della Toscana, ora praticamente non utilizzato, sul quale l’unica attività antropica
potenzialmente impattante sulla qualità dell’acqua è l’estrazione del marmo. Già ora sono messe in
atto nelle attività di cava misure e interventi finalizzati alla protezione delle risorse idriche; dovrà
essere valutato se tali interventi sono sufficientemente idonei a questo scopo.
Un elemento di valutazione che dovrà essere considerato nell’elaborazione di un bilancio
previsionale sulla disponibilità di risorsa idrica è quanto inciderà il cambiamento climatico sulla
disponibilità totale di tale risorsa. E’ un dato ormai accertato, sia a livello globale che nell’area del
Mediterraneo, la tendenza al progressivo incremento della temperatura media, alla diminuzione
delle precipitazioni medie e soprattutto alla variazione del regime delle precipitazioni con un
aumento degli eventi estremi.
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Autorità Idrica Toscana - Piano di Ambito – Appendice 8.3
CAP 8
Anche per le Alpi Apuane e per il versante sinistro della valle del F. Serchio la variazione di questi
fattori del clima avranno certamente delle conseguenze in termini di minori precipitazioni,
maggior deflusso superficiale e maggiori valori di evapotraspirazione che determineranno minori
volumi di acqua sotterranea. Considerati però gli attuali livelli di precipitazione, la conformazione
orografica del territorio e le caratteristiche geologico – strutturali, si ritiene che ai fini di una
utilizzazione a scopo idropotabile delle risorse presenti in queste aree, tale variazione sia
insignificante, essendo i volumi captati e quelli disponibili come acque sotterranee differenti di
vari ordini di grandezza.
Nel versante orientale delle Alpi Apuane sistemi idrogeologici come quello della Pollaccia (sorgente
La Pollaccia Qmed. = 500 L/s), del Fontanaccio (sorgente Fontanaccio Qmed. 30 L/s) la cui sorgente è posta
poco a valle rispetto a quella della Pollaccia, oppure quello della Chiesaccia (dove sono presenti varie
sorgenti per un totale di circa 200 L/s come portata media), tutti sistemi con sorgenti non captate poste
nella fascia altimetrica compresa 500 – 600 m s.l.m., rappresenterebbero interessanti punti di
captazione, potendo anche sfruttare il salto di quota per l’alimentazione di acquedotti. Tra l’altro,
nell’area di alimentazione di questi sistemi idrogeologici, non sono presenti attività antropiche
impattanti sulla qualità delle acque, se si fa eccezion e per una rada attività agro-silvo-pastorale. E’
appena il caso di ricordare come alla fine del 1800 queste sorgenti abbiano suscitato un forte
interesse da parte del comune di Firenze per alimentare l’acquedotto fiorentino.
Anche per questi punti di captazione valgono le considerazioni espresse per quelli del versante
occidentale per quanto riguarda i vantaggi per il contenimento delle emissioni di gas serra e per
l’interconnessione con altri sistemi acquedottistici.
Rimane il problema che tutti i principali sistemi idrogeologici del versante orientale delle Alpi
Apuane alimentano, più o meno direttamente, invasi artificiali per la produzione di energia
elettrica.
Sul versante sinistro della valle del Fiume Serchio sono presenti 12 sistemi idrogeologici
carbonatici ricchi di acque sotterranee dove la restituzione di tali acque avviene prevalentemente
per mezzo di sorgenti (quasi tutte captate) alcune con portate medie elevate, come è il caso della
sorgente Pollatoio (Qmed. = 400 L/s).
Si ritiene che la potenzialità di alcuni di tali sistemi sia superiore rispetto a quella che risulta dalla
portata media delle sorgenti. E’ il caso del sistema idrogeologico della sorgente Le Vene (Qmed. =
200 L/s). L’area di alimentazione di questa sorgente è la più ampia (34,4 Km2) tra quelle che
alimentano sorgenti, ma i suoi limiti sono molto incerti. Altri sistemi sono quelli del Pollatoio e
della sorgente Il Pollone di Magnano (Qmed. = 320 L/s), entrambi con aree di alimentazione più
ristrette e dai limiti altrettanto incerti.
Per questi sistemi sarebbero necessarie indagini idrogeologiche più dettagliate e finalizzate a
valutare la reale potenzialità di queste idrostrutture, potendo, nel caso, integrarsi con quelle
presenti nel versante orientale delle Alpi Apuane in un progetto di interconnessione delle reti.
A questo proposito si ritiene opportuno richiamare l’attenzione anche sui sistemi carbonatici della
valle del Fiume Serchio sia in destra che in sinistra orografica. Ricordiamo che questi sistemi non
danno luogo a restituzioni di acque tramite sorgenti con portate elevate e quindi si ammette che la
restituzione avvenga tramite sorgenti sepolte, emergenze lineari, ricarica dell’acquifero alluvionale
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e del sistema carbonatico profondo con travasi di acqua verso i bacini limitrofi (Baldacci et al.
1993).
Anche per questi sistemi (in particolare quelli posti in destra orografica) sarebbero necessarie
indagini idrogeologiche più dettagliate e finalizzate a valutare la reale potenzialità di queste
idrostrutture da utilizzare per la realizzazione di campi pozzi.
Per concludere alcune considerazioni in merito alle captazioni dalla falda della pianura lucchese
per la parte considerata nella presente relazione.
Tutto il sistema idrogeologico della pianura dipende quasi esclusivamente dai contributi del
Fiume Serchio e dal suo livello idraulico che assicura il rifornimento della falda. Nelle zone in cui
la falda è freatica abbiamo una buona capacità di risposta della piezometrica alle sollecitazioni
dovute a emungimenti di rilievo o a periodi di forte siccità, nel senso che è sufficiente un periodo
di morbida del fiume per riportare la falda a livelli normali almeno nelle zone vicino al fiume. Ciò
dipende dagli elevati valori di trasmissività (tra 10-1 e 10-3 mq/sec) dovuti all’alto coefficiente di
permeabilità delle alluvioni sabbioso-ghiaiose e all’elevato valore del gradiente con cui la falda si
muove.
Diverso è il caso delle zone dove la falda presenta caratteristiche di artesianità. La rapida risposta
del livello piezometrico alle fasi di ricarica e discarica della falda è indice di una bassa capacità di
immagazzinamento che può creare problemi in presenza di importanti e prolungati prelevi.
In base a queste considerazione si ritiene che in prossimità dell’asta del fiume, nelle zone dove la
falda è freatica (es. zona di S. Alessio e zona a monte), possano essere ipotizzati maggiori prelievi,
limitati però ad una captazione stagionale nei periodi di morbida del fiume, per alimentare
acquedotti interconnessi e consentire quindi la temporanea sospensione o riduzione dei prelievi
dove la falda presenta caratteri di artesianità con sofferenza nei livelli piezometrici. L’entità dei
prelievi deve essere attentamente valutata in base ad un bilancio previsionale delle portate
stagionali del fiume per non compromettere la ricarica della falda della pianura lucchese.
Più complesso è prevedere nuove captazioni nelle zone dove la falda presenta caratteri di
artesianità, come l’area di Ripafratta – Filettole. In questa zona, la falda confinata non consente una
ricarica diretta dal fiume che avviene più a Nord, dove la falda non è confinata. I maggiori prelievi
devono quindi essere valutati in base ai tempi di ricarica della falda stessa. E’ da tener presente che
in questa zona più volte in passato eccessivi prelievi hanno dato luogo a fenomeni di subsidenza
con lesionamento di edifici e altri manufatti.
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