La prima guerra mondiale nel Temps retrouvé. 1

Transcript

La prima guerra mondiale nel Temps retrouvé. 1
La prima guerra mondiale nel Temps retrouvé.
1) Chiedo scusa se ripeterò cose già dette dalla prof.ssa Piqué o che sapete
già per altre vie. Proust ha cominciato a scrivere il suo grande romanzo al
più tardi nel 1908 o forse anche prima. E' morto nel 1922, a 51 anni, senza
averlo messo a punto in modo definitivo. E' morto dopo aver pubblicato la
quarta parte del romanzo, intitolata Sodome et Gomorrhe. I tre libri
successivi - La Prisonnière, La Fugitive (o Albertine disparue) e Le Temps
retrouvé sono usciti postumi rispettivamente nel 1923, 1925 e 1927.
Complessivamente dunque la composizione del romanzo si è prolungata
per almeno 14 anni. Il primo libro - Du côté de chez Swann - era stato
pubblicato prima della guerra, nel dicembre del 1913 presso l'editore
Grasset. Il progetto iniziale prevedeva due soli libri: Temps perdu e Temps
retrouvé, e un titolo generale: Les colombes poignardées oppure Les
Intermittences du cœur. Poi tre: Du côté de chez Swann, Le Côté de
Guermantes, Le Temps retrouvé. Se non fosse scoppiata la guerra, i volumi
sarebbero stati soltanto tre, ed erano quasi pronti. Ma la guerra scoppiò.
Tutte le case editrici sospesero ogni attività. Proust dovette aspettare.
Nell'attesa inserì nel romanzo molti nuovi personaggi ed episodi, a
cominciare da Albertine che nel primo progetto non esisteva. E incorporò
nel romanzo la guerra. In che modo?
2) Quando scoppia la guerra, il Narratore è già vecchio e soprattutto è
malato. Ha una grave malattia nervosa che lo costringe a lunghi ricoveri in
cliniche specializzate. A monte di tali disturbi - un cocktail di nevrosi e
depressione - ci sono molti fallimenti: fallimento sentimentale (tutti i suoi
amori sono stati dolorosi e sono finiti nel nulla), fallimenti letterari (non ha
scritto nulla di valido), fallimento esistenziale. Tutto ciò è aggravato da un
forte senso di colpa. Si sente in qualche modo colpevole di un duplice
assassinio: della nonna e di Albertine. Ha anche perso la fede nel valore
della letteratura che gli sembra una scialba copia di una vita che non ha
senso: ombra di un'ombra, diceva Platone. La malattia fa sì che venga
riformato subito. Trascorre gli anni della guerra in case di cura, con
qualche breve soggiorno a Parigi di tanto in tanto. Ha così modo di
conoscere e raccontare come vivevano i parigini durante la guerra, quando
l'esercito tedesco era posizionato nelle trincee ad appena un centinaio di
chilometri dalla città e gli aeroplani tedeschi sorvolavano Parigi sganciando
bombe. Riceve però notizie più dettagliate dai luoghi dove si combatteva in
due modi: per mezzo dei racconti fattigli dall'amico Robert de Saint-Loup,
che è al fronte come ufficiale volontario e che morirà eroicamente
combattendo, e per mezzo di alcune lettere scritte da Gilberte. Costei figlia di Swann e di Odette - era stata il suo primo amore d'infanzia, poi ha
sposato proprio Saint-Loup, ma il matrimonio è mal assortito. I due sposi
non vivono insieme. Saint-Loup è al fronte o a Parigi, lei si è trasferita
nella casa che era stata del padre, vicina a Combray, per impedire che
venga distrutta. A questo punto giova dire che, nella prima edizione di Du
côté de chez Swann, Combray corrispondeva ad Illiers, una cittadina non
lontana da Chartres, quindi a sud ovest di Parigi, donde effettivamente è
originaria la famiglia Proust e dove andavano a trascorrere le vacanze di
Pasqua. Ma, per coinvolgere anche Combray nella guerra, Proust decide di
spostarla a nord-est di Parigi, nella zona della Marna dove i combattimenti
furono più aspri e distruttivi. Dopo aver premesso tutte queste cose,
possiamo cominciare.
3) Il discorso di Proust sulla guerra è molto complesso, sfaccettato, in parte
contraddittorio. Si sovrappongono e giustappongono vari registri, vari punti
di vista che sarebbe molto difficile conciliare e armonizzare tra loro. Ma è
proprio questa molteplicità di piani che rende il tutto non scontato e ricco di
verità. Uso la parola "registro" in senso musicale. Si chiamano registri le
diverse tipologie di suoni che si possono ricavare da un organo. Per prima
cosa incontriamo il registro satirico. Proust ci offre una satira feroce non
certo del modo con cui la guerra è vissuta dai poveri soldati che rischiano o
perdono la vita, ma del modo con cui la vivono coloro che sono rimasti a
Parigi o perché donne, o perché riformati e imboscati.
FOTOCOPIA P. 313.
Si comincia con la moda e quindi con una satira diretta soprattutto contro le
donne. Sono pagine di acuta misoginia.
FOTOCOPIA PP. 302-303
Questa satira sfiora il sublime con l'episodio celeberrimo e imperdibile del
croissant di Mme Verdurin.
FOTOCOPIA P. 352.
Per Mme Verdurin la guerra è "une ennuyeuse" che induceva molti suoi
fedeli a andare altrove, o alle trincee o al cimitero. SPIEGARE.
E' questo il Proust più vicino al Flaubert di Bouvard et Pécuchet e delle
pagine satiriche - molto abbondanti e spietate! - dell'Education
sentimentale. E' il Proust fustigatore della "bêtise courante" (p. 311). La
stupidità femminile è una sineddoche: la parte per il tutto. Ma il fenomeno
è universale. A Proust interessa soprattutto analizzare e denunciare la
stupidità dell'opinione pubblica che coincide in gran parte con la stupidità
dei giornali e dei giornalisti. Alcuni personaggi come il professor Brichot,
che insegna alla Sorbona storia antica, come l'ex-ambasciatore e barone
Norpois, che non sarebbero di per sé giornalisti, in occasione della guerra,
gestiscono delle rubriche giornaliere in cui commentano le notizie militari
del giorno prima. Abitualmente, nel loro campo, sono dei professionisti seri
e rigorosi (anche se un po' chiacchieroni), ma il solo fatto di scrivere per un
giornale li trasforma in imbecilli. Proust utilizza i veri articoli che erano
allora firmati su questo o quel giornale da storici o scrittori e ne mostra le
ingenuità, le contraddizioni, la vuota prosopopea, l'insopportabile e
nauseabonda retorica sciovinista. Non usa parole gentili. Parla di "bourrage
de crâne" (lavaggio del cervello). Mostra come, in modo sistematico, sia
applicato ai francesi e ai tedeschi il principio dei due pesi e due misure.
Sono considerati meriti e doveri dei francesi le stesse identiche azioni che
sono considerate colpe gravissime e crudeltà inaudite se commesse dai
tedeschi. L'equità e l'equilibrio nel giudicare sono totalmente cancellati
dalle contrapposte tifoserie nazionaliste. Mi sembra si possa dire, a questo
proposito, che Proust attribuisca a questi meccanismi volti a creare una
sovreccitazione collettiva la responsabilità non tanto di aver fatto scoppiare
la guerra, ma di averne impedito un'abbastanza rapida conclusione
pretendendo da parte della Germania, i cui eserciti ancora occupavano parte
del territorio francese, una resa senza condizioni. Una volta che l'avanzata
tedesca era stata bloccata, cioè dopo appena pochi mesi di combattimenti,
non sarebbe stato difficile negoziare una pace giusta, se non ci fossero stati
i giornali.
Qualche citazione:
p. 330: "J'étais effrayé de la rapidité avec laquelle le théâtre de ces victoires
se rapprochait de Paris. [...] On lit les journaux comme on aime, un
bandeau sur les yeux. On ne cherche pas à comprendre les faits. On écoute
les douces paroles du rédacteur en chef comme on écoute les paroles de sa
maîtresse".
p. 352: "Dans ces querelles d'individus, pour être convaincu du bon droit de
n'importe laquelle des parties. le plus sûr est d'être cette partie-là".
p. 355: "On est pour son pays comme on est pour soi-même dans une
querelle amoureuse".
4) Proust attribuisce queste ed altre valutazioni al Narratore ma ne mette
altre, diverse, in bocca ad altri personaggi, soprattutto a M. de Charlus, a
Saint-Loup, a Gilberte, a Bloch. Giocando su vari piani e su vari tavoli,
riesce a non sbilanciarsi troppo.
Schematizzando, potremmo dire che ci sono tre diversi atteggiamenti
ideologici possibili nei confronti della guerra. Proust li illustra e, in un
certo senso, li caldeggia tutti e tre.
La prima posizione era quella di coloro che vedevano nella guerra l'alba
radiosa di una nuova era. Nulla, dopo la guerra, sarebbe stato più come
prima.
FOTOCOPIA P. 306
In questa pagina è espressa anche la seconda posizione ideologica: il punto
di vista inattuale e impolitico. Nulla di sostanziale può mutare con il
trascorrere del tempo e a causa di avvenimenti storici perché la condizione
umana resta fondamentalmente sempre uguale a se stessa. Mutano solo gli
accidenti, mutano le apparenze. Quello che cambia è il "velo di Maja",
secondo l'espressione usata da Schopenhauer per indicare la crosta esteriore
e ingannevole della realtà: il mondo come rappresentazione. Qui siamo in
pieno metastoricismo. Aggiungo un'altra citazione, tratta dalla p. 342. Il
Narratore sta passeggiando nei quartieri di Parigi vicini al Trocadero, cioè
all'attuale Palais de Chaillot. Gli sembra che il cielo al tramonto abbia il
color turchese del mare: "Mer en ce moment couleur turquoise et qui
emporte avec elle, sans qu'ils s'en aperçoivent, les hommes entraînés dans
l'immense révolution de la terre, de la terre sur laquelle ils sont assez fous
pour continuer leurs révolutions à eux, et leurs vaines guerres, comme celle
qui ensanglantait en ce moment la France".
Questo è un Proust molto vicino a Pascal e alle pagine delle Pensées sul
"divertissement". Anche Pascal vede nelle guerre la dimostrazione del
l'umano bisogno di alienarsi in cose vane per non doversi confrontare con
la miseria e lo squallore della propria condizione. Parrebbe quasi che ci sia
una consonanza tra l'opinione di Proust sulla guerra e quella del papa
Benedetto XV, che parlò di "inutile strage", suscitando le ire di tutti i
patrioti degli opposti fronti.
5) Ma torniamo alla prima posizione, quella, appunto, dei patrioti a
oltranza. Era una concezione che non esiterei a definire prefascista perché
il fascismo, alle sue origini, altro non fu che la politicizzazione senza
mediazioni delle filosofie che contrapponevano l'istinto, l'intuizione, lo
slancio vitale, l'energia spirituale, la durata interiore, la politica come
mistica (Péguy) all'approccio razionalistico e intellettuale alla realtà. A suo
tempo rimasi colpito dal fatto che, se diamo un'occhiata all'indice dei nomi
del volume che raccoglie i discorsi politici di Mussolini, i pensatori più
citati sono Charles Péguy, Henri Bergson, Charles Sorel e altri francesi. Per
far arrabbiare i colleghi francesi talvolta dico che il fascismo è stato un
prodotto di esportazione made in France, come il paté de fois gras o il
camembert. I francesi, più furbi di noi, lo hanno inventato e ce l'hanno
rifilato, ma poi, forse perché vaccinati da quel prefascismo fallimentare che
era stato l'antirevisionismo contro Dreyfus, si sono guardati bene
dall'adottarlo. Comunque sia, l'elenco degli intellettuali e degli artisti che
esultarono per l'inizio dell'inutile strage è stato lunghissimo in ogni paese.
Tra quegli scalmanati non bisogna includere Proust, il quale prese le
distanze, con una lettera furibonda inviata a Daniel Halévy, da un
manifesto molto sciovinista pubblicato sul "Figaro", il Manifesto del Parti
de l'Intelligence.
6) Coloro che vedevano nella guerra uno spartiacque decisivo dopo il quale
nulla sarebbe stato più come prima possono essere suddivisi in due
sottogruppi, come ho accennato prima: quelli che nella guerra vedevano
l'alba di una nuova era meravigliosa e quelli che invece vedevano in essa
l'inizio del "tramonto dell'Occidente", l'inizio della fine della civiltà
occidentale. Da un lato quindi i superottimisti, in mezzo i metastorici
schopenhaueriani, dall'altro lato i pessimisti che videro fin da allora
nell'inutile strage i segni premonitori di una inarrestabile e inarrestata
apocalisse (che ancor oggi prosegue).
Il bello è che nelle pagine di Proust sulla guerra sono ben
rappresentate tutte e tre queste posizioni e non è facile stabilire con
certezza per quale di esse facesse tifo il nostro scrittore, forse anche perché,
come ho spiegato prima, sono pagine postume di un libro che Proust non
aveva fatto in tempo a correggere. Forse su questo è bene essere più precisi.
Proust scriveva per blocchi narrativi e in modo discontinuo, senza
seguire
il
filo
del
racconto.
Lavorava
contemporaneamente
e
disordinatamente a vari blocchi, che poi avrebbe incollato insieme con
qualche espediente. Così i vari episodi della Recherche sono sparpagliati scritti e riscritti molte volte - in un centinaio circa di quaderni numerati con
cifre arabe. Però, durante la guerra, lo scrittore estrasse dai vari "cahiers"
una stesura lineare e abbastanza coerente di tutto il romanzo, da Sodome et
Gomorrhe in poi, ricopiando se stesso e riscrivendola in venti quaderni
numerati con cifre romane. Questa "mise au net" è stata la base
dell'edizione postuma. Ma non mancano le contraddizioni, le ripetizioni, i
personaggi che muoiono e poi resuscitano e poi rimuoiono, e così via.
7) Cominciamo dalla fine, dall'ipotesi pessimista: la guerra come profezia
di una "finis mundi".
Ho già detto che, quando l'esercito tedesco varca il confine orientale
della Francia, Gilberte de Saint-Loup, invece di fuggire da Parigi verso
ovest, come facevano molti, va incontro al "nemico", tanto che ospiterà a
lungo nella propria villa di Tansonville lo stato maggiore tedesco. Una
traditrice collaborazionista o un'eroina coraggiosa che, sprezzante del
pericolo, ha salvato delle preziose collezioni artistiche, ecc...? Il dubbio
resta. Comunque sia, in una lettera drammatica, ella racconta al Narratore
la distruzione di Combray. Per assaporarne tutto il tragico significato
bisognerebbe aver letto almeno la prima parte del romanzo, il capitolo
intitolato appunto Combray, ma non soltanto, perché Combray, nel
romanzo è un luogo quasi sacro di cui si parla spesso, è una specie di "città
santa", di Gerusalemme, da cui tutti siamo nati, come dice un salmo. E' la
patria originaria, la radice di tutte le cose, come la casa del nespolo nei
Malavoglia. Bene. Leggiamo la lettera.
FOTOCOPIA P. 335.
Ma questo è solo un antipasto. Il vero pasto ce lo offre, a voce, M. de
Charlus, che il Narratore incontra per caso passeggiando per le strade di
Parigi:
FOTOCOPIA PP. 373-374.
Charlus è molto arrabbiato. Non sopporta la stupidità e la faziosità dei
giornali e della gente con cui gli capita di parlare. Non sopporta l'odio
forsennato per tutto ciò che abbia a che fare coi tedeschi, da Beethoven a
Goethe, da Schumann a Wagner. Non sopporta lo sciocco ottimismo di chi
sottovaluta la forza dell'esercito tedesco. E' germanofilo e disfattista, tanto
che viene fatto oggetto sui giornali di una campagna di stampa denigratoria
e sarà persino arrestato come spia. Perché? Forse perché è più intelligente
degli altri, forse perché la sua famiglia è di origine bavarese, forse proprio a
causa della sua omosessualità, perché, sentendosi "diverso", non si
identifica pienamente con il proprio gruppo nazionale. Vede nero e
stabilisce un nesso tra quel periodo attraversato dalla Francia e gli ultimi
giorni di Pompei, prima della grande catastrofe. Leggiamo.
FOTOCOPIA P. 385-386.
Questa informazione corrisponde al vero. Qualcuno aveva scritto col
carbone, sul muro di una casa di Pompei: Sodoma, Gomorra. Proust lo ha
letto nel libro dedicato a Pompei della serie delle città d'arte. La pietra
recante quell'iscrizione è ancor oggi nei magazzini del Museo Archeologico
di Napoli, dove l'ha vista recentemente Jean-Yves Tadié.
Qualche pagina più avanti inizia l'episodio più scandaloso della Recherche.
Il Narratore, camminando per tornare a casa, si smarrisce a causa del
coprifuoco (contro i bombardamenti tedeschi) e a causa del buio totale. Fa
molto caldo. E' stanco. Ha sete. Vorrebbe riposarsi ma tutti i ristoranti sono
chiusi. Appena vede una casa illuminata che sembra essere un albergo, vi
entra. Poco a poco capisce di essere entrato in un bordello gay dove molti
ragazzi e giovanotti, per lo più soldati in licenza, aspettano i clienti, che
non mancano. E tra essi il Narratore riconosce l'amico Saint-Loup.
Riconosce anche M. de Charlus. Lo vede, attraverso uno spioncino,
incatenato su un letto, frustato a sangue con una frusta piena di uncini di
acciaio, da uno di quei ragazzi. Charlus è masochista. Non è mai
soddisfatto del trattamento ricevuto, perché per lui quei giovanotti non sono
mai abbastanza brutali. L'episodio, lungi dall'essere osceno o pruriginoso,
come poteva essere, è di grande effetto comico. Fa morire dal ridere. Ma
ride ben chi ride ultimo. Quando il Narratore esce e si allontana un po',
esplode una bomba tedesca, forse proprio su quel bordello gay. Leggiamo:
FOTOCOPIA P. 412.
Sodoma, Pompei, Parigi: è questo l'asse semantico che tende a vedere nella
guerra l'inizio della fine della nostra civiltà.
8) Ma vediamo ora invece se, per Proust, vi sono nella guerra anche dei lati
positivi, se c'è in essa qualcosa di bello. Lasciamo parlare Robert de SaintLoup che la guerra l'ha vissuta in prima persona e che vi ha lasciato la sua
giovane vita.
FOTOCOPIA PP. 332-333.
Diamo a Saint-Loup quello che è di Saint-Loup e a Proust quel che è di
Proust. Poco più avanti leggeremo che la guerra non aveva aumentato
l'intelligenza di Saint-Loup.
Per fare una verifica, possiamo leggere il commento del Narratore alla
notizia della morte eroica del suo amico, sacrificatosi per proteggere i
propri uomini:
FOTOCOPIA P. 429.
Parrebbe dunque che la guerra abbia avuto anche un suo "côté" molto bello,
non però della bellezza super
ergetica cara ai D'Annunzio di tutto il mondo o, peggio ancora, ai futuristi
ultradinamici e ad altissima velocità. No, la bellezza che Proust intravede
nella guerra è una bellezza fragile, debole, casereccia. Consiste soprattutto
nello spirito di sacrificio di chi è pronto a perdere la vita per il bene altrui e
per la "patria". Ma questa patria che Proust ama è una patria con la "p"
minuscola, è fatta di tante piccole Combray, di tante graziose chiesette di
campagna coi loro campanili tozzi ma sinceri, di tante persone che magari
non sanno né leggere né scrivere ma in cui si trasmette un DNA che è lo
stesso di coloro che fecero grande la civiltà francese ed europea a partire
dal Medioevo. E' la Francia di quelli che Manzoni chiamava gli "umili". Il
Narratore li riconosce nei bassorilievi romanico-gotici della chiesetta di
Saint-André-des-Champs che è nei dintorni di Combray, e in quelli, più
belli, della chiesa un po' persiana di Balbec. In versione colorata e quasi
trascendente, sono gli stessi volti che appaiono, luminosissimi, nelle
meravigliose vetrate della Sainte-Chapelle o della cattedrale di Chartres.
9) E qui, per spiegare meglio quello che sto cercando di dire, vorrei fare un
confronto tra la guerra secondo Proust e la guerra come appare all'inizio del
Voyage au bout de la nuit di Celine.
Bardamu, il protagonista, che racconta in prima persona utilizzando
un linguaggio molto parlato, molto sciatto, antiletterario, è arruolato fin
dall'inizio delle ostilità. Una delle prime scene lo vede agli ordini di un
colonnello, molto coraggioso ma un po' folle, di notte, in mezzo a una
strada, in fondo alla quale ci sono i tedeschi che sparano contro i francesi.
Ogni tanto un proiettile passa sibilando e sfiorando il naso o gli orecchi di
uno dei presenti. Il colonnello non ha paura, ma i suoi soldati sì. In
particolare sono verdi di paura due poveretti che hanno l'incarico di
portargli dei dispacci, il tutto sempre in mezzo alle pallottole. Bardamu è
indignato per l'assurdità della situazione. Vorrebbe spiegare al colonnello
che è tutta una cosa idiota, che bisogna far finire la guerra. Ma i tedeschi,
invece dei fucili, cominciano a usare la mitragliatrice. Poi un cannone.
Arriva una bomba. Leggiamo.
FOTOCOPIA PP. 14-17.
Ho scelto quest'episodio perché una testa improvvisamente mozzata c'è
anche nella Recherche, quando Saint-Loup racconta al Narratore le sue
esperienze di vita nelle trincee:
FOTOCOPIA P. 333.
Due teste tagliate. La guerra è la guerra. E' identica a se stessa. Ma in
Proust, tra i tanti registri con cui ci viene presentata c'è anche l'estetica
dell'eroismo umile, antiretorico, insomma: c'è un senso, c'è un logos, c'è
una luce. In Celine la guerra è solo assurdità, stupidità crudele,
insensatezza. E' soltanto notte, e in questo essa non differisce dalla vita in
generale perché le successive esperienze di Bardamu in diverse parti del
mondo e in diverse situazioni sono tutte ugualmente caratterizzate
dall'assurdità, dal non senso, da un profondo disgusto per la vita. Tutto è
buio in Celine. Non si può dire la stessa cosa per Proust. Nella Recherche
c'è sì il dolore, c'è il Male, c'è la notte, ma essi servono per mettere
maggiormente in rilievo la bellezza della vita. La bellezza è la regola, il
brutto è l'eccezione.
10) Una penultima riflessione a proposito del discorso proustiano sulla
guerra. Questa riflessione parte da lontano, parte dal Côté de Guermantes,
quando il Narratore si reca per qualche giorno a Doncières (una cittadina
immaginaria) che è sede della guarnigione presso cui l'amico Saint-Loup,
come ufficiale, sta facendo il suo servizio militare. Lì i due amici discutono
a lungo su quale sia la migliore strategia militare in vista della prossima
guerra franco-tedesca. Saint-Loup, che ha un grado medio di intelligenza e
di cultura, è imbottito di trattati di strategia. Sostiene che anche quella della
guerra è una scienza che, come tutte le scienze, è basata sulla scoperta di
alcune leggi fondamentali, che valgono in ogni tempo. Le guerre dunque,
come la storia, si ripetono. Ci sono analogie che sconfinano nell'identità tra
le battaglie vinte da Annibale e quelle vinte da Napoleone. Insomma: la
strategia militare è una scienza esatta. Di fronte a queste affermazioni
drastiche, il Narratore resta un po' perplesso, ma non ribatte. Passano gli
anni, la guerra scoppia davvero. Quando si incontrano a Parigi, il Narratore
e Robert ricordano quelle loro ormai antiche discussioni. Marcel chiede: sei
sempre convinto che le grandi battaglie seguano sempre le stesse leggi
fondamentali? E Robert risponde in modo da farci capire che comincia ad
avere dei dubbi: "Depuis 1914 se sont en réalité succédé plusieurs guerres,
les enseignements de chacune influant sur la conduite de la suivante [...] La
guerre n'échappe pas aux lois de notre vieil Hegel. Elle est en état de
perpétuel devenir" (p. 331). Dire che un certo fenomeno obbedisce non
alla logica aristotelica ma a quella hegeliana che, com'è noto, rifiuta il
principio di non-contraddizione, significa già non pensare più che la
strategia sia una scienza come la matematica o la fisica. E' illuminante, a
questo proposito, quello che il Narratore dirà a Gilberte, ormai vedova,
alcuni anni dopo, a proposito dell'evoluzione del pensiero del marito sulla
guerra: "Il y a un côté de la guerre qu'il commençait, je crois, à apercevoir,
c'est qu'elle est humaine, se vit comme un amour ou comme une haine,
pourrait être racontée comme un roman, et que par conséquent, si tel ou tel
va répétant que la stratégie est une science, cela ne l'aide en rien à
comprendre la guerre, parce que la guerre n'est pas stratégique" (p. 560).
Ecco il perché di tutte quelle discussioni. Proust, usa la guerra per
una sua meditazione più vasta sul valore e sui limiti della scienza. C'è in
tutto ciò una forte eco delle tesi esposte da Tolstoi in Guerra e pace, a
proposito del "genio" del generale Besuchov, che adotta quasi sempre
strategie scientificamente sbagliate, ma alla fine risulta vincitore, perché la
guerra si combatte non con la testa ma col cuore.
11) E infine, se c'è ancora qualche minuto, l'ultima considerazione. Proust
non insiste più di tanto sugli orrori della guerra, e ciò dipende anche dal
fatto che sia lui sia il Narratore non l'hanno vista da vicino, si basano solo
sui racconti di chi ad essa ha partecipato davvero. Tutto sommato, mostrare
con vari dettagli atroci quanto la guerra sia crudele e disumana è un po'
come sfondare una porta aperta. E' una cosa giusta e doverosa, ma non è
molto originale. Lo fanno tutti gli scrittori. Proust è più originale. Il vero
protagonista delle pagine sulla guerra nella Recherche è il barone di
Charlus. La guerra è dunque presentata come la vive, standosene
comodamente a Parigi, un vecchio omosessuale molto ricco che può
permettersi qualunque stravaganza e qualunque vizio. Egli protesta contro
la guerra perché, a causa dei combattimenti, tutti i giovanotti più sani e più
belli sono morti, e perciò è diventato per lui più difficile procurarsi dei
partner eccellenti. E' anche vero però che, negli anni della guerra, Parigi è
stata piena di giovani soldati in licenza, venuti da ogni regione della
Francia e anche dalle colonie francesi, oltre che di soldati inglesi. Ad
esempio, vediamo che a Charlus piacciono molto i senegalesi, cioè i
giovani di colore, africani. Da un lato quindi la guerra ha impoverito
l'offerta tradizionale, locale, dall'altro l'ha resa più variopinta e ricca di
curiosità esotiche ed interessanti. Insomma: sappiamo che in Proust c'è una
forte tendenza alla profanazione. I critici, ad esempio, hanno messo in luce
tutti i brani in cui vengono profanati i genitori. La profanazione si esercita
non su ciò che non ha nessun valore, ma proprio sulle cose, sulle persone,
sugli ideali che di valore si ritiene ne abbiano moltissimo e che ci appaiono
un po' sacri. Anche la guerra viene da Proust profanata, il che forse è una
critica ancor più corrosiva di quella di Celine.