Vespri dell`Epifania al monastero domenicano di Cremona. Mons

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Vespri dell`Epifania al monastero domenicano di Cremona. Mons
Domenica sera in Cattedrale
serata musicale per i vescovi
Antonio e Dante con il Coro
di
voci
bianche
dell’Accademia del Teatro
alla Scala
Si terrà la sera di domenica 7 febbraio, a partire dalle
20.30, nella Cattedrale di Cremona, il concerto del Coro di
voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala: una serata
musicale per i vescovi Dante e Antonio. L’iniziativa, promossa
dalla Diocesi, e realizzata grazie al sostegno della
Fondazione Arvedi-Buschini, intende infatti da un lato
salutare l’ingresso in diocesi del nuovo vescovo, mons.
Antonio Napolioni, e dall’altra ringraziare il vescovo
emerito, mons. Dante Lafranconi, per gli oltre 14 anni di
intenso ministero. Il concerto, con ingresso gratuito, sarà
proposto anche in diretta sul nostro portale e in televisione
su Cremona1.
Dopo il saluto da parte del parroco della Cattedrale, mons.
Alberto Franzini, di fronte ai vescovi Antonio e Dante
prenderà il via l’esecuzione del Coro di voci bianche
dell’Accademia del Teatro alla Scala, diretto da Bruno Casoni
e accompagnato all’organo dal cremonese Fausto Caporali.
La diretta dell’evento sul nostro portale e su Cremona1
(canale 211 del digitale terrestre) avrà inizio alle 20.20. Ad
accompagnare il filo diretto sarà la giornalista Federica
Priori insieme al musicista e critico Roberto Codazzi.
La locandina della serata
Il programma della serata
Ad aprire la serata saranno le note di Bach con “Jesus bleibet
meine Freude” (Gesù rimane la mia gioia), dalla Cantata BWV
147. La liturgia sentita come pensiero militante e azione
edificante guida la scrittura di Johann Sebastian Bach: note,
armonie e contrappunti, immagini, simboli sembrano convergere
in una superiore unità e si manifestano con la chiarezza
estatica di un sermone. Jesus bleibet meine Freude è ispirato
da un sentimento sincero e profondo, in piena sintonia ad
un’epoca in cui il pietismo inizia ad entrare nella poesia
spirituale protestante. Musicalmente un flusso ininterrotto di
terzine eseguito dall’organo intreccia gli interventi
stagliati del coro, interrompendosi solo in occasione dei
versi Jesus bleibet meine Freude e Jesus wehret allem Leide,
quasi a voler sottolineare il senso statico di quelle parole:
Cristo eterna la gioia dell’anima e può fermare la sofferenza
umana. Composto negli anni giovanili, probabilmente ad
Arnstadt, Pièce d’orgue BWV 572 è una splendida fantasia in
tre movimenti senza soluzione di continuità: Très vitement,
Grave, Lentement.
Stilemi “antichi” caratterizzano il lessico musicale di Jahan
Alain, una delle figure più significative del Novecento
organistico. Le sue Litanies sono aggettanti costruzioni
toccatistiche echeggianti modi gregoriani. Per comprenderne lo
spirito è significativo quanto lo stesso autore premette
all’opera: “Quando l’anima cristiana non trova più parole
nuove, nello sconforto, per implorare la misericordia di Dio,
essa ripete incessante la stessa invocazione con fede
veemente. La ragione raggiunge il suo limite e solo la fede
persegue la sua ascesa”. La Messe Modale è stata scritta dal
compositore e organista francese nel Natale del 1938 per la
chiesa di Saint-Nicolas a Maisons-Laffitte, dove Alain era
organista. Ricca di nuances e di mistero questa Messa
campisce, attraverso una scrittura trasparente e suggestioni
arcaicizzanti, una atmosfera di intensa e serena spiritualità.
Un senso di intimità percorre anche l’Ave Maria di Giuseppe
Verdi, stasera preceduta da una vibrante parafrasi elaborata
da Fausto Caporali. La pagina è ispirata da una scala
enigmatica, ovvero con intervalli atipici, pubblicata sulla
Gazzetta Musicale di Milano. Quasi una sfida, che il Cigno
raccolse non senza qualche esitazione. È una preghiera per
coro solo, in latino: un modo antico di fare musica, atipico
per il compositore bussetano che sembra guardare alla lezione
palestriniana – benché nel quadro di una ricercata armonia
tardo-ottocentesca – e attraverso i suoi brani di ispirazione
sacra assicura, come annota Massimo Mila “la continuità
storica della cantata dai tempi di Bach a quelli di
Stravinskij”.
Non meno curiosa l’origine dei Tre mottetti op.39. Nel 1830,
durante il suo soggiorno romano Mendelssohn alloggia nei
pressi della Chiesa di Trinità dei Monti, dove all’Ave Maria
ascolta i canti delle monache. Quelle voci “dolci e limpide”
esercitano su di lui una profonda suggestione, tanto da
spingerlo a comporre Veni Domine per la terza domenica
d’Avvento, O Beata per la festa della Trinità – poi sostituito
da Laudate pueri – e Surrexit Pastor per il terzo giorno di
Pasqua. Se un sobrio equilibrio e l’eco di modelli gregoriani
tradiscono una tendenza conservatrice, l’interazione fra canto
corale e organo afferma una estetica pienamente romantica.
Infine La Carità di Gioachino Rossini, originariamente
composta per la tragedia di Sofocle Edipo a Colono ma poiché
non venne allestita anche il coro femminile finì per essere
dimenticato. Quando un editore francese acquistò gli abbozzi,
colpito dalla bellezza della musica, decise di sostituire il
testo originale con uno di ispirazione religiosa che esalta la
nobile semplicità e la pervasività struggente di linee
melodiche essenziali. Proprio questa scrittura sempre
eloquente ha peraltro ispirato innumerevoli variazioni
virtuosistiche nell’Ottocento, ad iniziare da Paganini, mentre
stasera offre a Fausto Caporali lo spunto per una rilettura
rorida di invenzioni e sorprese musicali.
Qualche cenno biografico sui compositori presentati nel
concerto. Jehan Alain è stato uno dei tanti ragazzi prodigio
della storia della musica: ad appena 13 anni subentrò al padre
organista nella chiesa della piccola città francese dove era
nato nel 1911. Mendelssohn tenne il primo concerto all’età di
nove anni e pubblicò il suo quartetto per pianoforte, a
tredici, benché avesse già scritto numerose operette, brani da
camera e pianistici. Verdi iniziò a studiare musica ad 8 anni
e presto salì in cantoria. L’Ave Maria è una composizione
della maturità, ma pare gli ricordasse i suoi diciotto anni,
quando il suo Maestro si divertiva “a rompergli il cervello
con bassi consimili”. Bach non fu un bambino prodigio ma
probabilmente accumulò notevole esperienza con i fanciulli dal
momento che ebbe venti figli. Coincidenze, strani percorsi
della storia, suggestioni forse, ma è bello immaginare una
empatia particolare tra i piccoli cantori ed i loro più
illustri (per ora) colleghi compositori.
Il programma del concerto
Il Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala
Costituito nell’ottobre 1984 dal Teatro alla Scala, è stato
affidato alla direzione di Gerhard Schmidt-Gaden, sostituito
nel 1989 da Nicola Conci fino al giugno 1993. Dal novembre
1993 la direzione del Coro è stata affidata a Bruno Casoni,
direttore del Coro del Teatro alla Scala di Milano.
Dalla sua fondazione il Coro partecipa regolarmente alle
produzioni d’opera e di concerti del Teatro alla Scala ed è
ospite delle stagioni di importanti istituzioni musicali quali
l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra
Filarmonica della Scala, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di
Milano, l’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”, il
Teatro Comunale di Firenze e il Teatro Comunale di Bologna.
Nel 1998 il Coro Voci Bianche ha collaborato all’incisione
della Bohème di Puccini con i complessi scaligeri sotto la
direzione di Riccardo Chailly.
Numerose le composizioni scritte appositamente per il Coro
Voci Bianche della Scala da autorevoli compositori quali Azio
Corghi (La morte di Lazzaro), Sonia Bo (Isole di luce), Bruno
Zanolini (Beati parvuli), Alessandro Solbiati (Surgentes) e
Carlo Pedini (Magnificat) eseguite in prima mondiale assoluta.
Fra le più recenti partecipazioni a produzioni d’opera e
balletto si annoverano Carmen, Lo Schiaccianoci, Turandot,
Tosca, La bohème, Pagliacci, Wozzeck.
Nell’ambito dell’attività concertistica, si ricordano nel 2013
il concerto di Natale diretto da Daniel Harding, nel 2014
l’omaggio a Fausto Romitelli sotto la direzione di Fabián
Panisello nell’ambito del 23° Festival di Milano Musica e nel
2015 il concerto con i Wiener Philarmoniker diretti da Mariss
Jansons.
Direttore: Bruno Casoni; assistente al direttore: Marco De
Gaspari. Coro: Josefina Amadio, Anouk Aruanno, Sofia Barletta,
Sara Bellettini, Carlotta Benini, Giulio Benini, Sibilla
Boesi, Ilaria Bortone, Giulia Botta, Mariasole Bottelli,
Valentina Caldi, Francesca Calori, Sofia Castelli, Chiara
Cordoni, Carlotta Corradi, Ginevra Costantini Negri, Sophie
Decuypère, Matilde Di Fonzo, Eudossia Drei, Beatrice Fasano,
Elisabetta Galindo Pacheco, Lidia Galli, Emma Genovese, Elisa
Giaquinto, Emma Gori, Nicole Guarino, Lisa Ludwig, Veronica
Maio, Andrea Camilla Mambretti, Sophia Messaggeri, Kata
Mogyorosi, Gabriele Monaco, Alabama Paolucci, Margherita
Pezzella, Libero Delfo Antonio Rebecchi, Olga Rigamonti, Tobia
Simionato, Lucrezia Spina, Riutaro Sugiyama, Lavinia Svae,
Alice Terranova, Ester Clara Libera Zanvettor, Leonardo
Zappavigna.
Il direttore Bruno Casni
Bruno Casni è nato a Milano. Dopo aver conseguito i diplomi di
pianoforte, composizione, musica corale e direzione di Coro al
Conservatorio Giuseppe Verdi della sua città, è stato
direttore del Coro del Teatro Pierluigi da Palestrina di
Cagliari e successivamente, dal 1983, è diventato altro
Maestro del Coro presso il Teatro alla Scala di Milano,
incarico mantenuto fino al 1994.
Sempre nel 1994 è diventato Direttore del Coro di Voci Bianche
del Teatro alla Scala . Dal 1979 è docente di esercitazioni
corali al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nel 1984 ha
fondato il Coro dei Pomeriggi Musicali di Milano, che ha
diretto fino al 1992. Parallelamente ha collaborato con
numerose istituzioni e festivals musicali italiani e Stranieri
sia come Direttore di Coro sia dirigendo varie formazioni
orchestrali. Ha effettuato diverse tournée in vari continenti
ed inciso diversi dischi.
Nel 1994 è stato nominato Direttore del Coro presso il Teatro
Regio di Torino, alla guida del quale ha ottenuto unanimi
consensi di critica e di pubblico nel repertorio lirico, e
svolgendo con il complesso un intenso lavoro volto ad ampliare
il repertorio concertistico e intensificare la collaborazione
con altre istituzioni musicali.
Particolarmente significativo il rapporto consolidato con
l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Dal 2002 è Direttore del Coro del Teatro alla Scala di Milano.
L’organista Fausto Caporali
Fausto Caporali si è diplomato nel 1981 in Organo e
Composizione organistica al Conservatorio Giuseppe Verdi di
Milano studiando con Gianfranco Spinelli e nel 1983 ha
conseguito il titolo di Maestro in Canto Gregoriano al
Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra. Si è in
seguito perfezionato partecipando ai corsi di H.Vogel,
A.Isoir, E.Kooiman, L.Rogg, M.C.Alain, D.Roth, G.Parodi. Ha
studiato a Parigi con D.Roth ed ad Haarlem con N.Hakim. Per i
tipi di Armelin Musica – Padova ha pubblicato
“L’Improvvisazione Organistica – Un metodo teorico e pratico”,
“Propedeutica
all’improvvisazione
organistica”,
“L’accompagnamento del canto liturgico”, un volume sull’opera
organistica di Olivier Messiaen (“Il dialogo perpetuo”) ed ha
curato pubblicazioni di musiche inedite di autori barocchi e
moderni (G.Gonelli, G.Arighi, P.Chiarini, R.Manna, U.Matthey).
É autore di un libro sugli organi della città di Cremona (De
perfetissima sonoritate – Il patrimonio organario della città
di Cremona, Armelin, Padova 2005), di altre pubblicazioni su
organi e di contributi musicologici.
Si è classificato secondo al Concorso di Improvvisazione
Organistica di Biarritz nel 1995 e nel 1997, ed è stato
semifinalista nel 1996 al Concorso Internazionale di
improvvisazione di Haarlem. Come compositore ha al suo attivo
un Terzo Premio al Concorso AGIMUS di Varenna nel 1996; è
autore di diverse cantate su testi sacri, libri di Mottetti,
musica strumentale e cameristica eseguita con successo di
pubblico e critica.
Svolge attività concertistica sia come solista che come
accompagnatore di gruppi vocali e strumentali. Ha tenuto
concerti in Germania, Francia, Svizzera, Inghilterra, Spagna,
Lituania. Fra le sue collaborazioni si segnalano quelle con
Antonella Ruggiero e con gli Ottoni della Scala.
Ha inciso per la Prominence (Il grande organo del Santuario di
Caravaggio 1996), per la Syrius (Toccatas 2002, Grand Etudes
de Concert 2004), per MV (Organisti e Maestri di Cappella del
Duomo di Cremona 2005 – Playing with Bach – Organ and Piano
jazz con Erminio Cella 2013), L’organo di don Camillo
(Associazione Serassi 2008), Fugatto (L’Opera Omnia per organo
di C. Franck 2011 – Le 6 Sinfonie di Louis Vierne, triplo CD,
2015).
Tiene regolarmente corsi di improvvisazione in Italia per
conto di varie associazioni.
È titolare del grande organo della Cattedrale di Cremona e
della Cattedra di Organo complementare e Canto gregoriano
presso il Conservatorio di Torino.
Don Compiani e don D'Agostino
dal Papa per l’udienza dei
“Missionari
della
Misericordia”: il mercoledì
delle ceneri il mandato
I confessori coprano i peccatori “con la coperta della
misericordia”. Questa l’efficace immagine che Papa Francesco
ha tratteggiato nell’udienza con i “Missionari della
Misericordia”. L’incontro, avvenuto nel pomeriggio di martedì
9 febbraio nella Sala Regia, in Vaticano, ha visto la presenza
anche di due sacerdoti cremonesi: don Maurizio Compiani e don
Marco d’Agostino. I due presbiteri sono stati infatti scelti
come “Missionari della Misericordia” per la diocesi di
Cremona. Per loro in programma un altro importante
appuntamento: il mandato che riceveranno dal Papa nel
Mercoledì delle Ceneri.
L’udienza del 9 febbraio
726 i Missionari della Misericordia, provenienti da tutti i
continenti, presenti nella Sala Regia: più del doppio del
totale dei nominati, 1.142 in tutto il mondo. Ad aprire
l’incontro il saluto di mons. Rino Fisichella, presiente del
Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione, che ha definito Francesco “primo missionario
della misericordia”.
“La Chiesa è madre”, e i confessori devono essere “canali”
della misericordia di Dio. Ricevendo in udienza i Missionari
della Misericordia, alla vigilia del mandato, il Papa li ha
esortati in primo luogo ad “esprimere la maternità della
Chiesa”: “La Chiesa è madre – ha ribadito – perché genera
sempre nuovi figli nella fede; la Chiesa è madre perché nutre
la fede; e la Chiesa è madre anche perché offre il perdono di
Dio, rigenerando a una nuova vita, frutto della conversione”.
“Non possiamo correre il rischio che un penitente non
percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e
lo ama”, ha ammonito Francesco. “Se venisse meno questa
percezione, a causa della nostra rigidità – ha sottolineato -,
sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa,
perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo
di Cristo. Inoltre, limiterebbe molto il suo sentirsi parte di
una comunità”. “Noi invece – ha proseguito – siamo chiamati ad
essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie
chiunque si accosta a lei, sapendo che attraverso di lei si è
inseriti in Cristo”.
“Entrando nel confessionale – i consigli pratici del Papa –
ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che
ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona la pace. Noi
siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di
essere perdonati da Lui. Qualunque sia il peccato che viene
confessato, ogni missionario è chiamato a ricordare la propria
esistenza di peccatore e a porsi umilmente come canale della
misericordia di Dio”.
Non è mancato un ricordo personale del Papa: “Vi confesso
fraternamente che per me è una fonte di gioia ricordare quella
confessione del 21 settembre del 1953, che ha orientato la mia
vita”. “Cosa mi ha detto il prete? Non mi ricordo”, ha
proseguito Francesco a braccio: “Solo mi ricordo che mi ha
fatto un sorriso e poi non so cosa è successo”.
Nel corso dell’udienza Papa Francesco è entrato nel concreto
della situazione di chi entra in un confessionale. “È un
desiderio frutto della grazia e della sua azione nella vita
delle persone, che permette di sentire la nostalgia di Dio,
del suo amore e della sua casa”, ha spiegato. “Non
dimentichiamo – ha aggiunto – che c’è proprio questo desiderio
all’inizio della conversione”. “Il cuore si rivolge a Dio
riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere
il perdono”, ha evidenziato. E “questo desiderio si rafforza
quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non
voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla
misericordia di Dio, e si ha piena fiducia di essere da Lui
compresi, perdonati e sostenuti”. “Diamo grande spazio a
questo desiderio di Dio e del suo perdono – l’invito di
Francesco -; facciamolo emergere come vera espressione della
grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore”.
“Essere confessore secondo il cuore di Cristo – ha spiegato il
Pontefice – equivale a coprire il peccatore con la coperta
della misericordia, perché non si vergogni più e possa
recuperare la gioia della sua dignità filiale”. Questo, in
sintesi, il ruolo del prete nel confessionale. A riassumerlo è
stato il Papa, che non ha nemmeno tralasciato “una componente
di cui non si parla molto, ma che è invece determinante: la
vergogna”. “Non è facile porsi dinanzi a un altro uomo, pur
sapendo che rappresenta Dio, e confessare il proprio peccato”,
ha ammesso Francesco, per il quale “si prova vergogna sia per
quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro”.
“La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita
personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento
di rispetto e incoraggiamento”, il monito del Papa, che ha
ricordato che “fin dalle prime pagine la Bibbia parla della
vergogna”, come si legge nella Genesi non solo a proposito di
Adamo ed Eva dopo il peccato, ma anche nell’episodio in cui
Noè si ubriaca. “Noè nella Bibbia è considerato un uomo
giusto, eppure non è senza peccato”, ha commentato Francesco.
Di qui l’importanza del “ruolo” dei sacerdoti nella
confessione: “Avanti a noi c’è una persona nuda, con la sua
debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un
peccatore. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il
peccato, ma il peccatore pentito. Una persona che sente il
desiderio di essere accolta e perdonata. Un peccatore che
promette di non voler più allontanarsi dalla casa del Padre e
che, con le poche forze che si ritrova, vuole fare di tutto
per vivere da figlio di Dio”. “Non siamo chiamati a giudicare,
con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal
peccato”, le parole del Papa. Al contrario, “siamo chiamati ad
agire come Sem e Jafet, i figli di Noè, che presero una
coperta per mettere il proprio padre al riparo dalla
vergogna”.
Un buon confessore deve “capire non solo il linguaggio della
parola, ma anche il linguaggio dei gesti”. È la
raccomandazione affidata, a braccio, dal Papa. Tornando su un
tema già trattato stamattina, durante la Messa ai frati
cappuccini di tutto il mondo, nella basilica di San Pietro, il
Papa ha esortato ogni singolo confessore a tenere “le braccia
aperte per capire cosa c’è dentro in quel cuore che non può
venire detto”. Di fronte a sé, infatti, chi sta nel
confessionale trova “un peccatore pentito, che non vorrebbe
essere così ma non può”, e che magari “non riesce a dirlo”.
“Non è con la clava del giudizio che riusciremo a riportare la
pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è
principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa”. Ne è
convinto il Papa, che ai Missionari della Misericordia ha
ribadito che “la santità si nutre di amore e sa portare su di
sé il peso di chi è più debole”. “Un missionario della
misericordia porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo
consola con la forza della compassione”, l’identikit degli
speciali Missionari provenienti dai cinque continenti.
“Vi accompagno in questa avventura missionaria, dandovi come
esempi due santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e
san Pio, insieme a tanti altri santi sacerdoti che nella loro
vita hanno testimoniato la misericordia di Dio”,
l’assicurazione di Francesco. “Loro vi aiuteranno – ha
concluso -. Quando sentirete il peso dei peccati a voi
confessati e la limitatezza della vostra persona e delle
vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a
tutti va incontro come amore che non conosce confini”.
Infine un forte avvertimento: “Si può fare tanto male ad
un’anima se non viene accolta con un cuore di padre, con il
cuore della santa madre Chiesa”. Tornando ancora una volta a
parlare a braccio, il Papa ha concluso l’udienza invitando chi
non si sente pronto a fare il confessore ad astenersi
dall’esercitare tale ministero. Tornando su un tema già
trattato nella Messa di apertura della giornata di oggi,
celebrata nella basilica di San Pietro per i frati cappuccini
di tutto il mondo, alle presenza delle spoglie di san Pio da
Pietrelcina e san Leopoldo Mandic, il Papa ha ricordato che ad
ognuno dei presenti sarà capitato di sentire, a proposito
della frequenza con cui si ricorre al sacramento della
Riconciliazione: “Non ci vado mai, sono andato una volta e il
prete mi ha bastonato, mi ha rimproverato tanto, mi ha fatto
domande oscure, di curiosità”. “Questo non è un buon pastore”,
ha commentato Francesco sempre fuori testo. Di più: “Questo è
un giudice che crede che non ha peccato, o un povero uomo
malato che con le domande è incuriosito”. “A me piace dire –
ha concluso il Papa -: se tu non tela senti di essere padre,
non fare questo. È meglio, fai un’altra cosa, perché si può
fare tanto male a un’anima se non viene accolta con un cuore
di padre, con il cuore della santa madre Chiesa”.
Il mandato del 10 febbraio
L’11
febbraio,
Mercoledì
delle
ceneri,
i
Missionari
riceveranno lo speciale mandato del Santo Padre per la loro
missione di predicazione e confessioni.
Chi è il “Missionaro della Misericordia”
La figura dei “Missionari della Misericordia” è descritta
nella bolla Misericordiae vultus, al n. 18. Si tratta
di sacerdoti che provengono dalle diverse parti del mondo e
sono stati indicati dai propri vescovi per svolgere questo
servizio peculiare. Riceveranno il mandato da parte del Santo
Padre di essere predicatori della misericordia e confessori
ricolmi di misericordia. Dovranno essere:
1. segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in
cerca del suo perdono;
2. artefici presso tutti, nessuno escluso, di un incontro
carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di
responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la
vita nuova del Battesimo;
3. guidati dalle parole “Dio ha rinchiuso tutti nella
disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti”
(Rm 11,32);
4. predicatori convincenti della Misericordia;
5. annunciatori della gioia del perdono;
6. confessori accoglienti, amorevoli, compassionevoli e
attenti specialmente alle difficili situazioni della
singole persone.
I Missionari saranno invitati, dai singoli Vescovi Diocesani
all’interno del loro Paese, per animare missioni al popolo o
iniziative particolari legate al Giubileo, con particolare
riferimento alla celebrazione del sacramento della
Riconciliazione. Il Santo Padre, infatti, conferirà loro
l’autorità di perdonare anche i peccati riservati alla Sede
Apostolica: la profanazione della Santa Eucaristia,
l’assoluzione del complice, l’ordinazione episcopale di un
vescovo senza il mandato del Papa, la violazione del sigillo
sacramentale (che consiste nel far trapelare quanto ascoltato
in confessione), la violenza fisica contro il Pontefice.
I missionari cremonesi
Don Maurizio Compiani, classe 1960 originario di Castelleone,
laureto in Sacra Scrittura, è docente di Esegesi presso
l’Istituto teologico del Seminario di Scutari (Albania) e
presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di CremaCremona-Lodi, così come per quello di Mantova: è inoltre
responsabile diocesano per la Pastorale universitaria e
assistente spiritale della sede cremonese dell’Università
Cattolica. Don Marco D’Agostino, classe 1970 originario di
Soresina, è responsabile del Centro diocesano vocazioni,
vicerettore del Seminario vescovile “S. Maria della Pace”
oltre che assistente ecclesiastico del Movimento Ministranti e
Lettori. Don D’Agostino è autore tra l’altro del libro “Maria,
grembo di misericordia” (San Paolo Edizioni – collana Parole
per lo spirito); tra le pubblicazioni di
don Maurizio
Compiani da segnalare il volume “La Confessione. Sacramento
della Misericordia”, uno degli otto sussidi daella San Paolo
per conto del Pontificio Consiglio per la Promozione della
Nuova Evangelizzazione come strumenti pastorali del Giubileo
della Misericordia.
I Missionari della Misericordia. Da sinistra:
don Compiani e don d’Agostino
Giornata mondiale contro la
tratta: lunedì 8 veglia alla
Casa
dell'Accoglienza
di
Cremona
La tratta di esseri umani è una delle peggiori schiavitù del
ventunesimo secolo. E riguarda il mondo intero. Secondo le
stime dell’Onu circa 21 milioni di persone,spesso povere e
vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento
sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio
forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione
illegale e altre forme di sfruttamento. Ogni anno, circa 2,5
milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e
riduzione in schiavitù; il 60 per cento sono donne e minori.
Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per
trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una
delle attività illegali più lucrative al mondo: rende
complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo
“business” più redditizio, dopo il traffico di droga e di
armi. Per denunciare questo agghiacciante fenomeno, ma
soprattutto per preghiera Dio perchè converta il cuore dei
violenti, la Caritas cremonese promuove una veglia per lunedì
8 febbraio, giornata mondiale contro la tratta, presso la Casa
dell’Accoglienza di Cremona, a partire dalle ore 20.30. Tema
dell’incontro: «Il Giubileo della misericordia per la
liberazione degli schiavi oggi».
«Scopo di questa Giornata – spiegano dalla Caritas – è quello
di creare nell’opinione pubblica maggiore consapevolezza del
fenomeno e riflettere sulla situazione globale di violenza e
ingiustizia che colpisce tante persone, che non hanno voce,
non contano, non sono nessuno: sono semplicemente schiavi. Al
contempo cercare di dare risposte a questa moderna forma di
tratta di esseri umani, attraverso azioni concrete e
coraggiose, consapevoli che il fenomeno è sempre in costante
movimento e cambiamento, con un maggior numero di vittime,
sempre più giovani, inesperte, analfabete e quindi facilmente
ricattabili».
Il Giubileo della Misericordia ci offre na concreta
opportunità di ricevere e usare misericordia per aiutare i
nuovi schiavi di oggi a
rompere le loro pesanti catene di schiavitù per riappropriarsi
della loro libertà. «Per questo è fondamentale – proseguono
gli organizzatori dell’evento -, da un lato, ribadire la
necessità di garantire diritti, libertà e dignità alle persone
trafficate e ridotte in schiavitù, offrendo a loro
accoglienza, recupero e integrazione mentre dall’altro bisogna
denunciare sia le organizzazioni criminali con i loro ingenti
guadagni e sia coloro che usano e abusano della povertà e
della vulnerabilità di queste persone per farne oggetti di
piacere».
Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2015 “Non
più schiavi ma fratelli e sorelle” Papa Francesco ricorda:
«l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose,
specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in favore
delle vittime in cui l’azione si articola principalmente
intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro
riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo e la
loro reintegrazione nella società di destinazione o di
origine. Questo immenso lavoro, richiede coraggio, pazienza e
perseveranza ma, occorre anche un triplice impegno a livello
istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di
azione giudiziaria nei confronti dei responsabili».
Sussidi per la celebrazione della giornata nelle parrocchie
Il
vescovo
Antonio
alla
veglia della vita: «Svegli e
attenti ad ogni seme dato in
dono da Dio»
«Misericordiosi come il Padre è il tema di questo Giubileo.
Stasera lo traduciamo così: svegli e attenti a ogni seme di
vita che Dio ci ha dato in dono perchè fiorisca». È l’invito
finale di mons. Napolioni alla veglia per la vita celebrata
nella serata di sabato 6 febbraio nella palestra comunale di
Cavatigozzi. Nella folta assemblea, composta anche da tanti
volontari delle diverse associazioni e realtà ecclesiali che
si occupano della tutela e dello sviluppo della vita, c’era
pure il vescovo emerito Lafranconi che più volte è stato
citato e ringraziato per il suo impegno a favore della dignità
dell’uomo, soprattutto del più debole e fragile.
La veglia, ottimamente preparata dall’ufficio famiglia diretto
da don Giuseppe Nevi, ha ripercorso le quattro parti del
messaggio dei vescovi dal titolo “La misericordia fa fiorire
la vita”: la vita è cambiamento, la vita è crescita, la vita è
dialogo, la vita è misericordia. Attraverso i contributi di
riflessione e preghiera di grandi testimoni del nostro tempo
come San Giovanni Paolo II, il genetista francese Jérôme Jean
Louis Marie Lejeune o Benedetto XVI
è stata ribadita la
necessità di abbondonare stili di vita sterili, come quelli
ingessati dei farisei, e di allargare il cuore trasformando la
vita in dono. Particolarmente forte la condanna dell’aborto,
della carenza di autentiche politiche familiari, del calo
demografico frutto di un’esistenza troppo opulenta, ma anche
di tante forme di oppressione.
A metà della veglia diverse aggregazioni che si impegnano a
tutelare, custodire e promuovere la vita si sono presentate al
nuovo vescovo: dal Centro Aiuto alla Vita nato nel lontano
1982, all’associazione “Difendere la vita con Maria” che si
occupa di seppellimento dei feti abortiti, ai Consultori
UCIPEM di Cremona, Viadana e Caravaggio, all’associazione “Il
Cireneo” che gestisce “Casa d’oro” che accoglie durante il
giorno bambini diversamente abili, fino all’associazione il
Girasole di familie affidatarie, ai Centri Aiuto alla Vita di
Cremona, Cassano d’Adda e Casalmaggiore, alla Cooperativa
Nazareth attenta soprattutto ai giovanissimi stranieri sino a
tre realtà impegnate nell’accoglienza di ragazze in difficoltà
come Casa Famiglia S. Omobono, Focolare Grassi e Casa Ozanam
della San Vincenzo. Un vero e proprio mosaico di bene che di
fronte a mons. Napolioni si è formato pian piano e che ha
mostrato la vivacità di una Chiesa che si sente in prima linea
nella difesa e promozione di ogni persona.
Nella sua riflessione mons. Napolioni ha ricordato che la
Chiesa, riprendendo immagini tanto care a papa Francesco, è
«madre di ogni uomo e donna della terra, maestra non saccente
in umanità, infermiera del mondo». Un ruolo fondamentale
soprattutto in questo tempo malato di individualismo e di
paura di chi è diverso: «Abbiamo bisogno – ha affermato – di
uomini e donne che sappiano vegliare e scorgere ciò che ci
unisce prima di ciò che ci divide, che amino il bene comune
prima di quello privato, che siano convinti costruttori di
dialogo con tutti. Perchè pacificati nel profondo». E poi
ancora: «Come cristiani non vogliamo restare soli a vegliare
in chiese sempre più vuote, quando possiamo uscire, anche nel
buoio di certi notti, incontro a chi – senza saperlo – cerca
Dio, attende la Parola, e non può vivere senza il dono della
salvezza».
Infine un invito, grande e lieto, a riconoscere che la vita è
impreziosita dalla misericordia di Dio. «Lo sanno le lacrime
di quelle donne che hanno finalmente consegnato alla
misericordia di Dio e alla maternità della Chiesa i loro
aborti non confessati per decenni, a costo di perdere serenità
e dignità, ritrovate finalmente in Cristo» e «lo sanno anche
certi “scarti” della società che meritano ogni cura da parte
di chi sa, nella luce della fede, quanto essi sono preziosi e
potenti agli occhi di Dio. E lo sa chi veglia gli inutili, i
“terminali”, i morenti: autentici battistrada dell’eternità,
che ci insegnano la misura vera del tempo e delle cose». E
infine: «Lo sapremo ciascuno di noi, se faremo dell’amore alla
vita, alla vita di tutti, a tutta la vita, il nostro progetto,
metodo e stile, nella quotidianità di gesti magari nascosti ma
efficaci».
Al termine della veglia è stato consegnato il Premio
“Mariolina Garini” al Centro Aiuto alla Vita di Casalmaggiore
per l’impegno costante profuso nella difesa dell’uomo. Il
riconoscimento è stato consegnato dal dottor Paolo Emiliani,
presidente del Movimento per la Vita, e da Alfeo Garini,
marito di Mariolina, alla presidente del Cav Casalasco.
La serata è stata particolarmente suggestiva soprattutto
grazie alle ombre cinesi sulle diverse fasi della vita
proposte dai ragazzi di Vicomoscano-Casalbellotto-QuattrocaseFossa Caprara e al monologo dell’attore viadanese Simone
Coroni che ha attualizzato nell’oggi quell’elogia alla follia
di Erasmo da Rotterdam.
Un plauso a chi ha animato nel canto la serata: il coro
giovanile Joy Voices di Casalmaggiore che ha letteralmente
coinvolto l’assemblea e anche i due vescovi.
Le offerte raccolte al termine andranno al Progetto Gemma che
prevede l’adozioni di giovani donne che, senza un aiuto
economico, interroperebbero la gravidanza.
Photogallery
Inaugurata dal prof. Guariso
l'edizione 2016 de “La fatica
di credere”: on-line l'audio
della relazione
La
fatica
di
credere,
giunta
quest’anno
alla
sua
quattordicesima edizione, si incarica quest’anno di indagare
il filo doppio che lega la salute della terra e il benessere
dell’uomo; legame che Papa Benedetto aveva riassunto
nell’espressione “ecologia umana” e che Papa Francesco nella
sua Laudato si’ ha ripreso e rilanciato. Sulla scia di questa
visione non parziale si è collocato il primo incontro della
rassegna, dove alla competenza e alla passione del professor
Giorgio Guariso del Politecnico di Milano è stato affidato il
difficile compito di fotografare la salute del nostro pianeta.
Il relatore, che nella sua attività di
ricerca si occupa di modelli e sistemi
per prendere decisioni per interventi sul
territorio, ha iniziato la sua panoramica
denunciando la difficoltà a studiare
problemi planetari secondo il modo
consueto di fare scienza: la difficoltà
di fare esperimenti, i tempi di alcuni
fenomeni (basti pensare quelli legati
alla
specie
umana)
e
la
quasi
impossibilità di tradurre in linguaggio
formale i dati acquisiti rendono ardua la costruzione di
modelli su come funzionino fenomeni come il riscaldamento
globale, la distribuzione delle precipitazioni ecc.
Denunciati così i limiti della ricerca, il relatore non si è
però sottratto al compito di presentare alcuni aspetti
decisivi per descrivere come sta la Terra. Catturando il
pubblico, non abbastanza folto data la gravita e attualità del
tema trattato, il prof. Guariso è riuscito a cogliere alcuni
snodi fondamentali riguardanti la demografia (crescita
esponenziale della popolazione terrestre, natalità,
invecchiamento della popolazione in alcuni paesi, ecc…), il
disboscamento e la qualità dell’aria (chiarendo tra l’altro
alcuni concetti legati al problema delle polveri sottili), il
riscaldamento della terra, la distribuzione e la qualità
dell’acqua dolce, l’uso di energia rinnovabile e non. L’uso di
immagini e di grafici anche animati, talvolta avvincenti,
hanno contribuito a rendere l’esposizione chiara e
appassionante.
La fotografia che emerge è quella di un pianeta in stato di
salute precario, in cui si stanno muovendo alcuni passi anche
se talvolta troppo timidi per correggere un certo modo di
vivere e di sfruttare le risorse della Terra e in cui forse
non c’è abbastanza consapevolezza e desiderio di approfondire
e di prendere decisioni.
Senza indulgere in catastrofismi, il relatore ha segnalato
però l’urgenza di un cambio di rotta in merito soprattutto al
modo con cui il nostro mondo occidentale vive al di sopra
della sostenibilità ambientale. Di grande saggezza anche la
sua considerazione che non saranno solo le nostre conoscenze
scientifiche a salvarci, anche se renderanno più fruibili le
energie rinnovabili o meno dannoso l’impatto delle nostre
attività. Occorre un cambio di mentalità che rimanda ad una
rinnovata consapevolezza di valori e atteggiamenti che esigono
altra educazione e sensibilità.
La relazione del prof. Guariso
Risposte al dibattito
L’ecologia umana quindi è decisiva per l’ecologia del nostro
pianeta: se ne saprà di più esplorando il nesso tra spazio e
tempo nell’uomo postmoderno nell’incontro del prossimo 20
febbraio.
La presentazione dell’edizione 2016
L'esibizione del Coro delle
voci bianche del Teatro alla
Scala per i vescovi Antonio e
Dante
La prima settimana del vescovo Napolioni a Cremona si è
conclusa in maniera davvera eccellente: domenica 7 febbraio,
in una Cattedrale affollata come nelle grandi occasioni, si è
tenuto il concerto del Coro di voci bianche dell’Accademia del
Teatro alla Scala. Un evento di alto valore culturale voluto
dalla diocesi in collaborazione stretta con la Fondazione
Arvedi-Buschini per dare il benvenuto al nuovo pastore della
Chiesa cremonese e per ringraziare mons.
dopo 14 anni di intenso servizio pastorale.
erano seduti in prima fila affiancata dal
mons. Mario Marchesi e dal parroco della
Alberto Franzini.
Dante Lafranconi
Entrambi i presuli
vicario generale,
Cattedrale, mons.
Proprio quest’ultimo, all’inizio del concerto, ha fatto gli
onori di casa presentando il coro, composto da poco meno di
cinquanta ragazzi e ragazze, il direttore Bruno Casoni e
l’organista Fausto Capolari, volto noto in città per la sua
importante attività concertistica, ma anche per essere da
molti anni il titolare dell’organo Mascioni del massimo tempio
cittadino, vero e proprio mago dell’improvvisazione. Mons.
Franzini ha ricordato che l’ascolto della buona musica non è
solo un godimento estetico, ma una profonda avventura
spirituale che porta lo spirito umano a schiudersi al divino.
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-02-07-concerto_franzini.mp3
La serata ha avuto inizio con un brano d’organo, la BWV 147
scritto negli anni giovanili da Johann Sebastian Bach, cui è
subito seguito il corale dolce e intenso , dello stesso
autore, Jesus bleibet meine Freude
(Gesù rimane la mia
gioia).
Caporali ha poi eseguito le Litanies di Jehan Alain, una delle
figure più significative del Novecento organistico, un brano
austero che echeggia modi gregoriani. E sempre dello stesso
autore è stata eseguita dal coro, con l’ausilio del flauto di
Federica Mandaliti, la Messa Modale scritta dal compositore e
organista francese nel Natale del 1938 per la chiesa di SaintNicolas a Maisons-Laffitte. Una messa ricca di nuances e di
mistero che crea sempre un’atmosfera di profonda e serena di
spiritualità.
Nel repertorio del Coro di voci bianche del Teatro alla Scala
non poteva mancare una pagina di Giuseppe Verdi, l’Ave Maria,
preceduta da una vibrante parafrasi elaborata dallo stesso
Caporali. Si tratta di un mottetto in origine per soprano ed
archi. In lingua volgare, traduzione di un testo liturgico
attribuito a Dante Alighieri, questo brano rimanda a lezioni
palestriniane, nel quadro comunque di una ricercata armonia
tardo-ottocentesca.
Sono seguiti di Felix Mendelssohn-Barholdy tre mottetti: il
Veni Domine, il Laudate pueri e il Dominica II post Pascha.
Brani estremamente romantici nell’interazione fra canto corale
e organo con echi di modelli gregoriani.
La serata si è conclusa col pezzo forse più struggente e
maestoso: la Carità di Gioacchino Rossini interpretata dalla
giovanissima e valente soprano Barbara Massaro. Davvero
eccezionale Caporali che prima dell’esibizione corale ha
offerto una introduzione e fuga per solo pedale che ha
lasciato estasiasta la folta assemblea.
Al termine della serata hanno preso la parola i due vescovi.
Mons. Napolioni ha espresso parole di elogio e di gratitudine
per aver dischiuso le porte della grazia del canto, ma anche
della fanciulezza che spinge a guardare il futuro con
speranza: «La lode a Dio che questa sera abbiamo innalzato –
ha precisato – ci insegna ad ammirare tutta la bellezza che
circonda». Da parte sua mons. Lafranconi ha affermato che il
concerto – vera e propria armonia di voci – è certamente di
buon augurio perchè il suo servizio episcopale ormai terminato
e quello del vescovo Napolioni all’inizio possano ben
armonizzarsi: «Per questo – ha concluso – vi chiediamo l’aiuto
della preghiera».
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Photogallery (foto Chiodelli)
Il vescovo Antonio a S.
Agata:
prima
visita
del
presule in una Parrocchia
Prima visita del vescovo Antonio in una delle parrocchie della
diocesi: l’occasione è stata la festa patronale di S. Agata, a
Cremona. Quasi una consuetudine per la comunità di Sant’AgataSant’Ilario, guidata da mons. Dennis Feudatari, poter contare
sulla presenza del Vescovo, a sua volta emozionato perché,
come ha confessato all’inizio della celebrazione, per lui –
fino a pochi giorni fa parroco – è stato quasi come ritornare
tra la propria gente.
Mons. Napolioni è stato accolto dal parroco alle 10 sul
piazzale antistante la chiesa. Una volta in chiesa il Vescovo
ha asperso l’assemblea e, accompagnato in processione dai
ministranti, si è recato nella cappella del Santissimo per un
momento di preghiera personale. Passando tra l’assemblea non
ha mancato di salutare i fedeli, fermandosi in particolare per
un momento privilegiato con le persone in carrozzina.
Dopo che il Presule ha indossato i paramenti liturgici, in una
chiesa gremita ha preso avvio la processione d’ingresso.
Accanto al Vescovo i quattro sacerdoti delle parrocchie di S.
Agata e S. Ilario: il parroco mons. Feudatari, il vicario don
Stefano Montagna e i collaboratori don Angelo Guerreschi
Parizzi e don Franco Regonaschi.
A dare il saluto ufficiale al Vescovo è stato mons. Feudatari
che ha ricordato come “fin dagli inizi dell’unità pastorale
abbiamo voluto come premessa e come promessa l’unica
Eucaristia domenicale per la famiglia cristiana”, presentando
poi idealmente al Vescovo le diverse realtà che compongono le
parrocchie. Poi ha aggiunto: “Questa famiglia ha creduto e
crede nella chiamata ad essere comunità unita e, perciò, sta
camminando in salita, a passo cadenzato, imbragati dalla
grazia, dalla Parola del Signore. Ma l’euforia o lo sconforto
sono alla portata di ogni chiodo piantato o varcato, o ad ogni
pioggerellina che fa scivolare il piede. Chiara è la meta.
Siamo fidenti nel capocordata che è Cristo Signore”.
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-02-07-salutoSantAgata-Cremona.mp3
Iniziando l’omelia mons. Napolioni ha lasciato spazio ad
alcuni sentimenti di questi primi giorni da vescovo: “Io sto
scoprendo, minuto per minuto, – ha detto – la mia moglie, la
mia famiglia, la mia nuova vita. Quindi non nascondo la
felicità. Non per il numero – so che siete più di 7mila
nell’unità pastorale – ma per i sorrisi, per la vita, per la
fraternità che si respira, per la preghiera, per la presenza
di Cristo in noi. Lasciamoci sempre stupire dalla presenza del
Signore, non facciamoci mai l’abitudine”.
Poi il richiamo alla patrona, occasione per riflettere sulla
realtà dei martiri, oggi più di un tempo. E subito una
precisazione: martire non è sinonimo di kamikaze, ha detto
commentando la prima lettura. “Vogliamo essere questi
discepoli dei martiri – ha chiesto – che dalla loro memoria
traggono giustificazioni per una rinnovata violenza cristiana?
C’è stata la violenza cristiana nella storia, non
nascondiamocelo, e oggi magari ci sono violenze targate in
nome di altre religioni. È una tentazione! E dobbiamo dirgli
di no: non è il Vangelo! È qualcosa che istintivamente è
comprensibile, ma che distrugge noi stessi insieme agli altri.
Quindi no a vedere i martiri come dei soli combattenti in nome
di Cristo”.
Mons. Napolioni ha poi messo in guardia da una seconda
tentazione: “fare le vittime, diventare vittimisti e
lamentosi. Chi dei nostri figli e dei nostri ragazzi ci
seguirà se questo è il Cristianesimo, fonte di pessimismo e di
scoraggiamento! Ma per fortuna arriva Gesù. Gesù, con la sua
parola e con la sua vita, ci indica la strada: né terroristi
né vittimisti, ma riconoscenti e riconoscibili”. E ancora:
“Non dobbiamo certo nascondere la nostra fede, ma non si
tratta di mettersi divise o distintivi”. Ciò che rende
riconoscibile un cristiano è altro: “Da che cosa si vede che
siamo stati a Messa? Da come torniamo a casa contenti, dal
sorriso, dagli occhi che brillano, dalla capacità di
abbracciare, da questa tenerezza che riceviamo da Dio che
diventa capace di rigenerare i nostri rapporti. Ha detto Gesù:
chi mi riconoscerò davanti agli uomini anch’io lo riconoscerà
davanti al padre. Riconoscere Gesù significa accorgersi della
sua presenza”. “La gioia è la vera forza – ha sintetizzato il
Vescovo –, la contentezza di sentirsi amati e nutriti da Dio,
l’amore profondo che ci commuove e ci consola. Allora saremo
riconoscenti, pieni di gratitudine, non ci basterà la vita per
dire grazie: avremo l’eternità per vivere in una gratitudine
infinita che non ci stancherà mai”. E ha concluso: “Lo chiedo
al Signore con tutto il cuore, per me, per voi, per i vostri
sacerdoti, per tutta la comunità, per chi più è nella
difficoltà, perché non si senta solo, perché le case non
restino chiuse, perché ci si accorga gli uni degli altri e ci
si incoraggi a vivere con questa serena fierezza la nostra
fede”.
È stata una celebrazione solenne, ma nello stesso tempo
familiare e accogliente. E proprio in questo clima di casa
mons. Napolioni, prima della benedizione finale, ha voluto
ringraziare la comunità per aver “allevato e custodito” il
proprio segretario, da 30 anni residente a S. Agata. E non è
mancata neppure una battuta sugli avvisi “proprio come li
avrei fatti io nella mia parrocchia”, ha detto il Vescovo, con
un po’ di nostalgia per la propria terra, ma anche la certezza
di essere chiamato a guidare una porzione di Chiesa che è in
comunione con quella universale.
Al termine della Messa
volentieri con la gente
chiesa e poi in oratorio,
per le persone sofferenti
mons. Napolioni si è intrattenuto
di S. Agata e S. Ilario, prima in
riservando un attenzione particolare
e i bambini.
Photogallery
A Rivolta d'Adda festa del
beato Spinelli con il vescovo
Antonio, che nel pomeriggio
ha visitato Casa Famiglia e
le Adoratrici anziane. Online le foto
Sabato 6 febbraio, memoria liturgica del beato Francesco
Spinelli, il carisma dell’Istituto delle Suore Adoratrice da
lui fondate è stato al centro della giornata vissuta a Rivolta
d’Adda dal vescovo Antonio. Per lui, infatti, è stata
l’occasione di conoscere da vicino l’operato di queste suore,
per la prima volta incontrate personalmente così come gli
anziani e i diversamente abili di cui amorevolmente esse si
prendono cura nella “Casa famiglia” intitolata proprio al loro
Fondatore.
La Messa in Casa madre
L’intensa giornata ha preso avvio alle 10 nella chiesa di Casa
madre, dove il vescovo Antonio ha presieduto la solenne
Eucaristia. Insieme a lui, accompagnato dal segretario e
cerimoniere don Flavio Meani, è giunto da Cremona anche il
vescovo emerito mons. Dante Lafranconi. Ma non mancava neppure
un terzo vescovo: mons. Martin de Elizalte, emerito di Nueve
de Julio (Argentina).
A dare il benvenuto ai tre vescovi è stata la superiora
generale, madre Isabella Vecchio, affiancata dalle suore del
Consiglio e alcune delle precedenti madri generali. Dando il
“benvenuto nella famiglia delle Adoratrici” a mons. Napolioni,
madre Vecchio ha fatto sue le parole del beato Spinelli:
“All’amatissimo Vescovo rinnovo la protesta sincera della mia
filiale riconoscenza e sudditanza. Mi consola il pensiero di
averlo mai disobbedito e d’averlo fatto anche con mio danno
materiale, ma ho fiducia di aver acquistato qualche modesto
vantaggio spirituale. Si obbedisca sempre, da tutti, al
Vescovo”. “Si senta amato e ricordato ogni giorno nella
preghiera d’adorazione – ha affermato la Generale – ma anche
nell’offerta della sofferenza, soprattutto da parte delle
sorelle ammalate”. “La strada l’ha imparata, ritorni quando
desidera”, ha proseguito, rivolgendo poi parole di
ringraziamento al “nostro amato” vescovo emerito Lafranconi,
per “tutto il bene che ci ha voluto in questo 14 anni: non è
mai mancato e penso continuerà questa comunione dello Spirito,
che va oltre i ruoli e oltre i tempi”. E ancora: “È bello
avervi qui insieme: i nostri Vescovi! Penso sia la
testimonianza più grande e più autentica di comunione nella
Chiesa”.
http://www.diocesidicremona.it/wp-content/uploads/2016/02/2016
-02-06-salutoGenerale-Rivolta-Adda.mp3
“Sono ancora in garanzia”, ha scherzato il vescovo Antonio
rispondendo al saluto della Madre. “Veramente il Signore
prepara – ha continuato – la nostra famiglia e la nostra
umanità. La parentela spirituale è la più vera! Il Signore ha
preparato da sempre il vescovo Dante perché fosse mio padre
nell’episcopato. Allora contempliamo questo mistero andando
alla sorgente, dalla quale il beato Francesco ha attinto”.
In una chiesa gremita, tra tanti amici dell’Istituto, alcuni
degli ospiti di Casa Famiglia, e naturalmente tante suore
adoratrici, non mancavano neppure le autorità del territorio
con il primo cittadino di Rivolta d’Adda, Fabio Calvi. Diversi
i sacerdoti concelebranti, della diocesi di Cremona e non
solo. E come ormai tradizione hanno voluto essere presenti
anche le Suore Sacramentine, fondate da madre Gertrude
Comensoli insieme al beato Spinelli.
Nell’omelia mons. Napolioni si è anzitutto soffermato sulla
“chiesa di casa madre: tre parole che mi sembra contengano un
programma”. Anzitutto nella consapevolezza che il Signore
sceglie ciascun uomo come “sua casa”: “Si fa casa in noi,
piccoli e indegni – ha precisato il vescovo di Cremona –. E fa
sì che noi troviamo casa in Lui, porto sicuro delle nostre
fatiche e sofferenze”. E ha proseguito: “È la sostanza della
fede: di tanti, nel mondo, da sempre. Ma credo che sia in
particolare un’esperienza specificamente sacerdotale: quella
che ha fatto il beato Francesco Spinelli. L’esperienza che ha
fatto lui: non l’ha voluta, gli è venuta incontra. Ed egli
l’ha accolta, si è ‘lasciato fare’ da questa esperienza di un
Dio che fa casa e che dimora in noi. È l’esperienza che lo ha
generato e rigenerato continuamente, che lo ‘ha fatto’ ogni
giorno di più uomo, prete e santo: Gesù eucaristia”.
“Un prete – ha detto ancora – se prova da solo a misurarsi con
questa chiamata scoppia, non ce la fa e magari si arrende.
Fare casa a Cristo e con Cristo diventare casa accogliente! Io
spesso non ci sono riuscito. Ma se accanto a lui affiorano
anime, spesso di donne umili e generose, come madre Geltrude,
Caterina e le altre Adoratrici, di allora, di oggi, e di
domani, allora si diffonde un contagio benefico. Allora è
possibile: ci si incoraggia gli uni gli altri”.
Poi il Vescovo ha voluto specificare il senso autentico
dell’adorare. Lo ha fatto rifacendosi alla parole di Papa
Benedetto XVI alla Gmg di Colonia, mettendo in guardia da ciò
l’uomo può adorare finendo per diventarne schiavo. “Il beato
Spinelli insegna ad adorare e subito a condividere – ha detto
– perché non si può possedere Cristo e nascondersi davanti al
suo corpo piagato che giace ai bordi delle strade”.
Dalla prima lettura, dell’apostolo Pietro, mons. Napolioni ha
quindi tratto tre spunti di riflessione. Anzitutto rifacendosi
al sogno del giovane Spinelli a S. Maria Maggiore: intuizione
del carisma delle sue suore. “Cristo vive e parla nel cuore di
chi si apre all’amore e sente il bisogno di lasciarsi amare
per imparare ad amare, e crede che tutto gli viene dato
nell’Eucaristia per tutto ridare nella carità. Noi siamo come
dei canali: tutto riceviamo e tutto restituiamo”.
Il Vescovo non ha neppure tralasciato il fatto che spesso i
santi vengano non compresi e rifiutati. “In un certo senso –
ha detto – la morte dobbiamo assaporarla prima di portare
pienamente frutto: dobbiamo scendere agli inferi, accettare
l’umiliazione e quell’opera riparte resa più feconda dalla
passione condivisa con Cristo. Ecco perché possiamo guardare
con fiducia alla storia: anche alle nostre storie di famiglia
che a volte sono sballate e a pezzi. È la forza della mitezza
riapre la storia. Mi viene in mente un mio amico, che sta
soffrendo perché non riesce a vivere serenamente il rapporto
di coppia. Io gli dico sempre: ‘Sta zitto e aspetta! Il
Signore ti aprirà una strada’. Mentre, invece, il
risentimento, o peggio la vendetta – avvelenano la storia e ci
fanno precipitare”.
Da ultimo, richiamando la testimonianza su don Spinelli data
dal curatore fallimentare, ha sottolineato “la gioia del
perdono” del Beato, nella consapevolezza che “chi come lui si
abbandona alla Presenza di Gesù, libera dal suo cuore immense
capacità di misericordia, anche oggi così necessarie per
guarire le ferite più profonde dell’anima”.
“Allora grazie, sorelle, che tenete viva non tanto la memoria,
ma il dono, attingete alla sorgente, e rendete accogliente
anche oggi, più che mai, questa Casa Madre, questa Casa
Famiglia, diventando voi stesse, come il vostro Fondatore,
casa di Dio e dei poveri. Anche nelle missioni che vi rendono
presenti in paesi lontani, dove la Chiesa è giovane e ci dà
tanta speranza – ha concluso –. Non fate bilanci, non
guardatevi indietro se non per ringraziare, non guardare al
futuro se non con l’entusiasmo credente del beato Francesco”.
Photogallery
La visita alle strutture
Dopo il pranzo con le suore a Casa Madre, per il vescovo
Antonio il pomeriggio è stato l’occasione per visitare le
strutture delle Adoratrici a Rivolta.
Intorno alle 15 la prima tappa è stata “Casa Famiglia”, luogo
di accoglienza per anziani e disabili. Le parole attaccate ad
alcuni palloncini colorati offerte al Vescovo da
quattro ospiti hanno permesso di comporre una frase del beato
Spinelli. Per tutti l’appuntamento è stato nella chiesa della
struttura dove il Vescovo ha incontrato personalmente tutti i
presenti, rispondendo anche ad alcune loro domande, occasione
di reciproca conoscenza.
Photogallery della visita a Casa Famiglia
Mons. Napolioni ha quindi fatto visita ad alcuni dei reparti
prima di recarsi a “Santa Maria”, la struttura che ospita le
religiose anziane o malate.
Qui l’incontro con le suore è iniziato nella cappella, con la
preghiera del Vespro, cui ha preso parte anche il vescovo
Dante. Mons. Napolioni ha colto l’occasione per ringraziare le
suore per il prezioso servizio svolto nella loro vita a favore
delle giovani generazioni e dei sofferenti, nella
consapevolezza che il Signore ricompenserà le loro fatiche
garantendo certamente di più di quanto loro hanno potuto
donare.
Il pomeriggio si è quindi concluso con la visita del Vescovo
alle suore allettate, con una particolare parola di conforto e
una benedizione tutta personale.
Photogallery dell’incontro con le suore a S. Maria
Gli altri eventi
In preparazione alla festa del Fondatore, le Adoratrici hanno
organizzato una serie di eventi sia per presbiteri sia per
laici. Giovedì 4 febbraio, in Casa madre, si è svolta la
giornata sacerdotale che ha visto la presenza di padre
Innocenzo Gargano, monaco camaldolese e biblista.
Venerdì 5 febbraio, invece, alle 21 in Casa madre, si è svolta
una serata di riflessione sulla figura di don Spinelli dal
titolo: “Perdonare a me fu sempre cosa dolce”. A condurre
l’incontro è stata suor Loredana Zabai.
La sera di sabato 6 febbraio, infine, alle 21 in Casa Madre,
l’adorazione comunitaria.
Biografia del beato Spinelli
Nato a Milano il 14 aprile 1853 da genitori bergamaschi a
servizio dei Marchesi Stanga, Francesco cresce bravo e vivace
e, come S. Giovanni Bosco, è pieno di gioia quando attira gli
altri bambini organizzando spettacolini di marionette. Quando
è libero, la mamma lo conduce a visitare poveri e ammalati e
lui è felice di amare e aiutare il prossimo, come insegnato da
Gesù.
Nasce la vocazione, e Francesco studia a Bergamo, e viene
ordinato sacerdote nel 1875. In quello stesso anno si reca a
Roma per il Giubileo, e in S. Maria Maggiore ha una visione:
uno stuolo di vergini che adorano Gesù Sacramentato. Don
Francesco capisce il progetto della sua vita, ma aspetta il
momento giusto per realizzarlo.
Tornato da Roma, svolge attività educative e una scuola serale
presso l’ oratorio di don Palazzolo, un’apostolato fra i
poveri nella parrocchia dello zio don Pietro, l’insegnamento
in Seminario e la guida di alcune comunità religiose
femminili, fino a quando nel 1882 recatosi a S.Gervasio d’Adda
(CR) incontra una giovane ragazza, Caterina Comensoli, che
desidera diventare religiosa in una congregazione che abbia
come scopo l’Adorazione Eucaristica.
Don Francesco può così realizzare quel sogno visto in S. Maria
Maggiore. Il 15 dicembre 1882 le prime aspiranti suore entrano
in una casa che sarà il primo convento, in via S. Antonino a
Bergamo. Quel giorno l’Istituto delle Suore Adoratrici ha
inizio. Intanto si aprono nuove case e le religiose accolgono
handicappati, poveri e ammalati.
Tutto va bene fino a quando, per una serie di spiacevoli
equivoci, don Francesco è costretto ad abbandonare la diocesi
di Bergamo, e il 4 aprile 1889 si trasferisce in diocesi di
Cremona, a Rivolta d’Adda, dove le sue figlie hanno aperto una
casa. Il sacerdote non può più governare l’Istituto, e così la
fondazione si divide: madre Comensoli fonda la congregazione
delle Suore Sacramentine, don Francesco quella delle Suore
Adoratrici del SS. Sacramento.
Ottenuta la giusta approvazione, le Adoratrici prendono vita.
Esse hanno il compito di adorare giorno e notte Gesù
nell’Eucarestia e di servire i fratelli poveri e sofferenti,
nei quali “Ravvisare il Volto di Cristo”. Gesù è la fonte e
il modello della vita sacerdotale di don Francesco, dal quale
prendeva forza e vigore per servire gli altri.
A Rivolta si piega a cercare Cristo fra gli infelici, gli
emarginati, i respinti, e dove c’è un bisogno di qualsiasi
tipo: scuole, oratori, assistenza agli infermi, agli anziani
soli.
I suoi prediletti sono i portatori di handicap, per i quali
nutre un affetto di padre. Per loro, oltre all’assistenza, si
prodiga per farli organizzare in semplici lavori per
sollecitare la loro capacità e promuovere una maggiore
autonomia personale. Crede in loro e non li tratta come dei
“minorati”.
Accoglie i giovani del grosso borgo cremonese, nella casa
madre, ed è felice di trovarsi con loro e farli divertire.
Circondato da vastissima fama di santità, raggiunge l’amato
Dio, il 6 febbraio 1913.
Viene dichiarato beato da Giovanni Paolo II il 21 giugno
1992,nel Santuario Mariano di Caravaggio.
Beato Francesco Spinelli, sacerdote
Messale
Lezionario
Liturgia Ore
Proseguono le iscrizioni al
pellegrinaggio
a
Roma
presieduto
dal
vescovo
Antonio
Sarà il vescovo Antonio a presiedere il pellegrinaggio
diocesano a Roma dal 22 al 24 febbraio in occasione dell’Anno
Santo straordinario della Misericordia. Sono già 250 gli
iscritti – tra i quali anche il vescovo emerito Dante
Lafranconi – alla proposta del Segretariato pellegrinaggi che
si avvale dell’assistenza organizzativa dell’agenzia viaggi
Profilotours, ma ci sono ancora diversi posti disponibili. Il
programma della trasferta capitolina, curato da don Roberto
Rota, prevede l’arrivo in città nel pomeriggio di lunedì 22
febbraio, festa della cattedra di San Pietro. Il gruppo dei
cremonesi si ritroverà a Castel Sant’Angelo per iniziare il
cammino giubilare verso la basilica di San Pietro dove avverrà
il passaggio per la Porta Santa. Nella basilica vaticana mons.
Napolioni presiederà, poi, alle 17 l’Eucaristia solenne della
festa della Cattedra, solitamente riservata al cardinale
arciprete. Il giorno successivo, martedì 23, in mattinata è
prevista la celebrazione dell’Eucaristia nella basilica di
Santa Croce in Gerusalemme e a seguire la visita alle altre
due basiliche papali: San Giovanni in Laterano e Santa Maria
Maggiore. Nel pomeriggio i cremonesi saranno impegnati in un
suggestivo percorso storico-artistico nel centro della
capitale: si partirà dai Fori Imperiali per poi far tappa al
Campidoglio, al Carcere Mamertino, alle chiese di San Marco,
del Gesù e di Sant’Ignazio, a Fontana di Trevi, fino a piazza
di Spagna e a piazza del Popolo. Mercoledì 24 febbraio la
mattinata sarà dedicata alla partecipazione all’udienza
generale di Papa Francesco in piazza San Pietro. Al termine è
in programma la celebrazione della Messa in una chiesa in zona
Vaticano. Quindi il trasferimento a San Paolo Fuori le Mura,
sulla via Ostiense, per la visita alla basilica che conserva
la memoria dell’Apostolo delle genti. Nel pomeriggio l’inizio
del viaggio di rientro.
Un secondo pellegrinaggio è previsto dal 10 al 13 ottobre.
Cliccare qui per i dettagli della proposta per gruppi e per
singoli
Tutte le proposte di pellegrinaggi per il
2016
La riflessione di don Rota
sull’importanza del pellegrinaggio a Roma
Donato dal card. Comastri al
santuario di Caravaggio un
mattone della Porta Santa
della basilica vaticana
È stata posizionata all’ingresso del Sacro fonte al Santuario
“Santa Maria del Fonte” presso Caravaggio una delle mattonelle
che componevano il muro con il quale era stata chiusa la Porta
Santa della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano. Grazie
all’interessamento di Claudio Mario Bressani, volontario del
santuario, e per la grande devozione di Mons. Cesare Burgazzi,
canonico della Basilica Vaticana e capoufficio alla segreteria
di Stato, lo scorso gennaio è stato consegnato al rettore don
Antonio Mascaretti il mattone donato dal card. Angelo Comastri
Arciprete della Basilica
in «segno di legame con il
successore di San Pietro».
Il muro dal quale il mattone proviene, è stato demolito
successivamente all​a cerimonia di “Recognitio della porta
santa” svoltasi lo scorso 18 Novembre. La celebrazione è stata
presieduta dal card. Comastri, che ha guidato la processione
del Capitolo della Basilica, quattro “sampietrini” hanno
abbattuto a colpi di piccone il muro che sigillava la Porta
Santa, estraendo la cassetta metallica custodita dal momento
della chiusura del Grande Giubileo dell’Anno duemila e
contenente i documenti dell’ultimo Anno Santo, tra cui la
chiave che ha consentito di aprire la Porta santa, le
maniglie, oltre alla pergamena del rogito, mattoni e medaglie
commemorative.
Dopo aver pregato all’altare della Confessione, la processione
ha raggiunto la Sala capitolare dove la cassetta metallica
estratta dalla porta è stata aperta con la fiamma ossidrica.
Oltre al Maestro delle cerimonie liturgiche di Papa Francesco,
monsignor Guido Marini, che ha preso in consegna i documenti e
gli oggetti della Recognitio, era presente l’arcivescovo Rino
Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la
Promozione della nuova evangelizzazione.
La porta Santa è stata aperta dal Santo Padre Francesco, l’8
Dicembre scorso dando ufficialmente inizio al Giubileo
Straordinario della Misericordia.