continuazione 2

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LA SPECIFICITÀ DELL’EF
La dimensione espressiva
La pratica delle attività fisiche può anche stimolare la
dimensione espressiva ed estetica: la ginnastica
artistica, i tuffi, il pattinaggio sono discipline che, di per
se stesse, tendono alla ricerca del gesto bello ed
armoniose. Ma esiste un campo in cui si può andare
ben oltre: l'espressione corporea. La motricità può
divenire linguaggio, comunicazione di un senso.
L'attore non deve riprodurre servilmente un gesto
imposto, una tecnica pietrificata: può liberare la propria
ispirazione. Egli s'impadronisce dello spazio sulla
scorta del suo vissuto personale, fa crescere l'azione
nel tempo secondo un proprio ritmo e sulla base dei
propri riferimenti e slanci. Grazie alle condotte corporee si restituisce vita alle produzioni
dell'immaginario. L'adolescente, come il bambino, apprezza in fretta le possibilità di questo
dialogo gestuale. Animati da educatori preparati, i momenti di espressione corporea
possono suscitare vivo interesse nella scuola elementare, nei centri sociali o nei soggiorni
di vacanza. Il gesto sportivo non può accadere senza la magia del gesto.
L'espressione corporea è d'altra parte, ben di più che una specialità particolare:
rappresenta un modo di essere, un atteggiamento pedagogico che stimola la creatività.
Questo invito alla creatività motoria dovrà potersi ritrovare, a gradi differenti, nelle diverse
attività sportive.
I nostri ragazzi non devono sentirsi della macchine che remano, calciano, saltano; non
dobbiamo assoggettarli sistematicamente a delle norme di rendimento per la ricerca di un
risultato a tutti i costi. Durante le varie situazioni di insegnamento, dobbiamo lasciar spazio
all'iniziativa personale, all'improvvisazione, all'espressione motoria. Considerare l'individuo
che agisce nient'altro che una macchina è il frutto di una macchinazione e non certo di
un'educazione
La dimensione relazionale e sociale
Anche la dimensione sociale può essere seriamente
stimolata dalla pratica fisica. Per prima cosa, la
maggior parte delle attività sportive si realizzano in
gruppo: si parla, infatti, di club, squadre e grandi
giochi, d'equipaggio velico, di cordata in montagna...
Ciò che caratterizza questo genere di attività è
dunque la comunicazione motoria. Il linguaggio è
significativo: il campo d'attività è il luogo per un
"incontro" sportivo dove i partecipanti daranno vita
ad uno "scambio".
La presenza degli altri sconvolge la motricità: in
situazioni di comotricità, l'altro è un compagno
determinante per l'azione di ciascuno. Emerge così una dinamica di gruppo che attribuisce
un senso nuovo al gesto del lancio di un pallone, ad una corsa nella natura, al controllo di
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un fioretto, ad un rampone piantato nella roccia, alla manovra di un timone. Non c'è più
solo l'azione: ora c'è interazione. Il comportamento di un individuo acquista un significato
nuovo se viene connesso al comportamento dei suoi compagni: si richiede un
coordinamento. E' facile intuire il grande valore educativo che può allora acquisire la
comunicazione motoria. Per questa ragione non ci serviremo del concetto di
psicopedagogia che limiterebbe la comunicazione al rapporto tra l'educatore ed una sola
persona, ma utilizzeremo quello di sociopedagogia che pone l'accento sull'insieme della
rete di comunicazione possibile.
E, restando nello stesso ordine di idee, non riteniamo utile sbilanciarsi a favore di un
insegnamento "individualizzato" a tutti i costi. Senza dubbio esso va adattato a ciascun
soggetto, ma al tempo stesso si dovrà tentare di renderlo "gruppale", per offrire ad ogni
bambino una molteplicità d'esperienze sportive in gruppo. Ogni soggetto sarà stimolato ad
assumere un ventaglio di "statuti" ed a giocare numerosi e diversi "ruoli" sociomotori:
giocatore di calcio, di rugby, ginnasta, nuotatore, judoka, escursionista...
Gli altri, poi, possono intervenire con modalità molto diverse: tanto in qualità di compagni
che d'avversari. L'educatore dovrà tenerne conto, in quanto la relazione interpersonale si
trasforma sensibilmente: nel primo caso, coi compagni, vi è una relazione di accordo e di
sostegno reciproco; nel secondo caso, contro l'avversario si sviluppano relazioni
d'opposizione e di rottura. Per esempio, giocando a pallavolo o Palla prigioniera, all'interno
di ogni squadra si stabilisce una rete amicale di comunicazione. All'inverso, tra le due
équipe si instaura una brutale rete di contro-comunicazioni. Si intuiscono facilmente le
risonanze che questo tipo di modalità relazionali, così diverse, possono produrre
sull'affettività, ad esempio, degli adolescenti: frustrazioni, aggressività, desiderio di
affermazione del sé, tolleranza nei confronti degli altri; sviluppo della comunicazione. Ogni
bambino è comunque inserito in una struttura socio-affettiva sempre presente, a volte
anche pressante: è quello che viene definita "l'atmosfera del gruppo", il "morale", la
coesione della squadra. Nessuno oggi può negare l'importanza di questi fenomeni di
gruppo, non solo a livello dei bambini, ma anche per quanto concerne gli educatori.
L'attività sportiva in gruppo non è soltanto un pretesto per fare assieme una bella sudata o
una banale occupazione fisica: può, invece, essere considerata un'autentica educazione
fisica. I meccanismi che entrano in gioco nelle condotte sociomotorie sono, in effetti,
molto significativi e ricchi di implicazioni. Ogni giocatore, ad esempio. è un protagonista in
grado di assumere un'iniziativa, che tenterà di utilizzare delle astuzie e tendere delle
trappole. Il giocatore di basket si serve continuamente di finte di tiro o di passaggio; il
giocatore di pallamano dopo aver attirato la difesa avversaria in un'ala della zona,
rovescerà repentinamente il gioco per creare una situazione di superiorità numerica
favorevole dalla parte opposta; il giocatore di Bandiera farà quella che si chiama
"campagna" riuscendo a penetrare nel campo avverso.
Ogni giocatore non può, inoltre, limitarsi a pensare soltanto all'immediato dell'azione:
deve, costantemente, prevedere, pre-percepire, proiettarsi in futuro prossimo. E' un
giocatore che "fa dei progetti": valuta le traiettorie, le corse da effettuare, i cambiamenti di
ritmo da imprimere, calcola le possibilità di successo. Ogni calciatore, per esempio, deve
imparare a decodificare una situazione in movimento, percependo i segnali pertinenti e
decifrando informazioni nascoste.
Il giocatore è obbligato così a ragionare non solo su degli oggetti concreti, ma anche sulle
rappresentazioni, su delle ipotesi; ed ad agire in funzione delle intenzioni che attribuisce ai
suoi compagni come ai suoi avversari: ciò lo porta a formulare delle "ipotesi di ipotesi".
Grazie ad un meccanismo di "decentralizzazione", egli tenta di comprendere ed indovinare
il punto di vista altrui.
Si sviluppa così, in filigrana, un'autentica rete d'empatia socio-motoria in base alla quale si
organizzano degli scambi motori. Come ogni sport di combattimento, lo judo illustra bene
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questo fenomeno. Lo judoka affronta un avversario che sta in guardia, che lo provoca, che
reagisce ad una finta con una contro-finta, che cerca di usare con rapidità anche la forza
dell'altro per meglio rovesciarlo. L'azione di contrastare un avversario con una certa
destrezza, coordinare la propria azione con il canovaccio tattico del gruppo, adattare le
proprie operazioni motorie ad una situazione in cui si intrecciano compagni ed avversari,
presuppone un'intensa attività riflessiva che elabori degli schemi di riferimento di alto
livello. Le attività fisiche permettono quindi lo sviluppo di una vera e propria intelligenza
socio-motoria. E necessario sottolineare che in un gioco di squadra, la strutturazione dello
spazio e del tempo mette in gioco dei processi di rappresentazione molto complessi: la
comprensione del fuorigioco nel calcio, ad esempio, implica la capacità di tenere conto di
una molteplicità di relazioni tra i giocatori ed oggetti. E ancora: in una partita il valore di
certe zone del campo cambia repentinamente, ed allora è necessario reinterpretare lo
spazio in funzione del tempo. Alcune porzioni di spazio vengono evitate, altre sono
cruciali: la zona dei nove metri nella pallamano, la linea della touche nel rugby, la linea di
penetrazione della pallavolo.
Non siamo quindi d'accordo con gli studiosi che vedono nello sport solo una forma di
passatempo di basso livello, un'occasione per scaricare delle tensioni o una semplice
occupazione secondaria. Certamente i pregiudizi di stampo dualista sono tenaci. Le
scienze della natura hanno prodotto una gran mole di ricerche: sarebbe importante
tentare, nello stesso spirito, un approccio scientifico all'attività motoria del bambino.
(...)
Tratto da:
Pierre Parlebas - Giochi e Sport - Ed. Il capitello
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