Schede film discussi insieme 2010

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Schede film discussi insieme 2010
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IIll canto di Paloma
regia
claUdia lloSa
sceneggiatura
claUdia lloSa
fotografia
naTaSha BraiEr
montaggio
FranK GUTiErrEZ, PaTricia BUEno,
SElMa MUTal
scenografia
SUSana TorrES
costumi
ana vilanUEva
interpreti
SUSi SanchEZ, MaGaly SoliEr,
EFrain SoliS, Marino Ballon
nazione
PErù
durata
94’
CLAUDIA LLoSA
15.11.1976 - Lima (Perù)
2009
2006
il canto di Paloma
Madeinusa
Il canto di Paloma 141
La storia
La madre di Fausta, una ventenne peruviana, sta morendo e le ricorda cantando che lei è stata allattata con “il latte del dolore” perché
nata negli anni Ottanta, anni in cui terrorismo e stupri erano all’ordine del giorno. Dopo la morte della madre, Fausta vorrebbe offrirle
un funerale degno di questo nome ma i pochi soldi sono stati tutti
investiti nei festeggiamenti per l’imminente matrimonio della cugina. Per mettere insieme una somma adeguata per le esequie si
impiega come cameriera presso una pianista.
La critica
Vincitore a Berlino, “Il canto di Paloma” è un film intenso e dolente
su un argomento dei più angosciosi: la violenza sessuale e le sue
devastanti conseguenze sulla vita delle donne. Nella storia raccontata dalla regista peruviana Claudia Llosa, ne è vittima la figlia di
una india che subì uno stupro etnico quando la bambina - Fausta
- era ancora nel ventre materno. Cresciuta, ma sempre terrorizzata,
la ragazza s è introdotta una patata nella vagina: tubero che ha il
compito di proteggerla come uno scudo dalle aggressioni sessuali,
ma ne sta minando la salute. Interpretato dalla suggestiva Magaly
Solier, nel suo paese nota come cantante (in lingua quechua), il film
è la storia di un ritorno alla vita. Ma il retrosapore amaro resta;
anche nella rappresentazione di una periferia di Lima baraccata e
stracciona, dove si celebrano matrimoni di gruppo messi in scena
come il più kitsch dei reality.
Roberto Nepoti, la repubblica, 10 maggio 2009
Il cinema latino-americano continua a difendere con coerenza la
propria identità linguistica e culturale e a resistere strenuamente ai tentativi (e alle tentazioni) di globalizzazione imitativa, ma
nell’ambito di una produzione di denuncia stanno emergendo autori che sperimentano altre strade, ricorrono a espedienti narrativi stravaganti, lavorano su spunti fantastici. «Il canto di Paloma»,
ad esempio, vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino,
opera seconda della peruviana Claudia Llosa, parla di dolore e pau142 FILM
Il canto
DISCUSSI
di Paloma
INSIEME
ra femminile con uno sguardo delicato e grottesco, poetico e duro
al tempo stesso e diventa un canto disperato sulla condizione alla
quale sono condannate giovani peruviane (e non solo) da un mondo maschile fatto di violenza, superstizioni e pregiudizi. Alla morte
della madre, la ventenne Fausta che vive nella degradata periferia
di Lima, ha bisogno del denaro per darle sepoltura. Fa mille sacrifici,
mentre la sua sofferenza va oltre il lutto perché, secondo un rito
ancestrale, i parenti le hanno inserito una patata nella vagina per
preservarne la verginità e proteggerla da stupri e possibili gravidanze. Il fastidio per il corpo estraneo e le possibili infezioni convice
con l’erotismo represso, la minaccia reale degli uomini e le ossessioni per esorcizzarne la violenza. Un’esistenza sospesa tra baracche
desolate raccontata con campi lunghi, pause, silenzi, stile asciutto
e austero, sguardo antropologico profondo, freddezza espositiva,
musica coinvolgente.
Alberto Castellano, il Mattino, 16 maggio 2009
Negli ultimi vent’anni del secolo scorso, il Perù ha vissuto un tragico
periodo di guerra civile tra la giunta militare e i movimenti rivoluzionari che sarebbe costato, secondo i dati forniti dalla Commissione
per la verità e la riconciliazione, poco meno di 70 mila morti e un
numero incalcolabile di stupri e violenze. Soprattutto tra i membri
delle comunità indigene. In quegli anni di violenza e di dolore, la cultura popolare ha elaborato alcune credenze per giustificare, se non
proprio spiegare, i comportamenti delle persone che hanno vissuto
quei momenti. Tra queste ha preso particolarmente piede la diceria
della «teta asustada» (letteralmente il seno impaurito), una «malattia»
che si trasmetterebbe col latte materno e che toglierebbe l’anima alle
persone per farla nascondere sotto terra per il dolore. E proprio “La
teta asustada” è il titolo originale del film di Claudia Llosa, che ha
vinto l’Orso d’ oro all’ultimo festival di Berlino e che ora esce in Italia
come “Il canto di Paloma”. In effetti il film comincia con un canto (che
sfortunatamente l’edizione italiana del film non sottotitola, impedendoci di capirne appieno il senso), il canto con cui la madre moribonda
ricorda alla figlia Fausta (Magaly Solier) di essere stata allevata con il
latte del dolore cui fa riferimento il titolo originale e che permette di
spiegarci le paure che sembrano dominare la vita della figlia. Cresciuta nell’incubo degli stupri e nel chiuso del nucleo famigliare, Fausta è
terrorizzata dagli uomini che non siano lo zio Lucido (Marino Ballón),
al punto di temere anche se li incontra per strada. E come artigianale
strumento di difesa contro le violenze sessuali, si è riempita la vagina con una patata, con le immaginabili conseguenze di infezioni e
germogliamenti vari (che però il film tratta con il massimo pudore).
Tutto questo lo scopriamo nelle prime scene del film, quando la morte
della madre costringe Fausta a cercare i soldi per poterla trasportare
nel suo villaggio natale e per questo ad accettare un lavoro da domestica nella casa di una ricca musicista, Aida (Susi Sánchez). Ma
invece di scegliere un racconto tradizionale, dove i piccoli e grandi
fatti quotidiani aiutano lo spettatore a capire la psicologia (e le paure)
della protagonista, la regista sceglie un’altra strada, meno esplicita,
fatta solo di allusioni, di particolari significativi. E una linea narrativa
che si preoccupa soprattutto di giustapporre l’universo chiuso della
villa dove Fausta presta servizio al poverissimo barrio della periferia di Lima dove invece la ragazza abita con lo zio e gli altri membri
della famiglia. Così da una parte una macchina da presa abbastanza
incombente cerca le paure e le angosce di Fausta dentro le azioni
quotidiane del lavoro (i suoi movimenti lenti e guardinghi, la distanza
che impone al mite giardiniere della villa, il bisogno di «protezione»
che la spinge a non aprire mai del tutto le imposte) mentre dall’altra
inquadrature più larghe e composite inseriscono Fausta nel mondo
familiare del barrio, fatto di riti stereotipati e usanze identitarie. Che
la regista osserva con lo sguardo dell’antropologo, di cui conosce perfettamente il valore sociale di promozione e gratificazione (le scene
di matrimonio, specialmente il «sì collettivo» e la «processione» dei
regali), ma anche la capacità di cementare e gratificare l’unità del
gruppo familiare (l’improvvisata piscina nella fossa dove lo zio voleva seppellire il corpo della defunta). Il film procede così, registrando
più che veramente mettendo a confronto due mondi che faticano a
comunicare, di cui non nasconde le ingenuità e le perfidie, ma che acquistano una consistenza narrativa soltanto in funzione della «presa
di coscienza» di Fausta, finalmente capace di confrontarsi con le proprie ossessioni solo quando comincia a prendere coscienza dei propri
«diritti» (almeno quelli che la sua ricca padrona vorrà all’improvviso
negare). Senza voler per forza risolvere ogni cosa ma aprendo finalmente lo sguardo della sua protagonista a un sorriso di speranza.
Paolo Mereghetti, il corriere della Sera, 8 maggio 2009
Orso d’oro a Berlino arriva, doppiato in italiano classico, un’ode barbara al popolo indio, una lirica dai retrogusti quechua, “Teta asustada” (“Il latte del dolore” o “Il canto della Paloma” nelle traduzioni un
po’ edulcorate dell’Europa puritana), film peruviano ma di coproduzione catalana, diretto dall’astro nascente Claudia Llosa, giovane e
dotata filmaker all’opera seconda dopo un anti-imperialista esordio,
Made in Usa, già adornato di premi. Fausta, giovane enigmatica india, cantante nata, è colpita da una malattia psicosomatica trasmessa via latte dalla madre (così afferma, almeno, una parte di scienza
medica), stuprata durante la «guerra sporca» peruviana (1980-2000)
da un imprecisato terrorista (non si capirà mai se comunista o contras o «paramilitare», e già questo è poco fine). Sotto shock fin dallo
stato embrionale (!), per porre tra sé e il mondo (maschile in particolare) una barriera, Fausta si è introdotta una patata nella vagina, in una sorta di traduzione andina e «glocal» del bushiano scudo
stellare. Alla morte della madre di Fausta (un loro duetto canoro in
lingua inca, in apertura, ha la stessa forza di un prologo di Jacques
Demy: «niente sentimentalismi solo sentimenti»), Fausta vorrebbe
seppellirla in riva al mare. Ma non ha i soldi, né per la bara né per
il viaggio (è qui il tono si fa politicopoetico e patetico). Mentre la
frastagliata famiglia è in lutto, ma anche in festa per il matrimonio
parallelo di sua sorella, Fausta va a servizio da un gran dama di città,
odiosa ma non ottusa concertista borghese e proprietaria di villona
con giardina. Dovrà mettere in discussione la sua «corazza sessuale»
lì, col giardiniere, e anche le leggi sul copyright che vigono a Lima..
Non mancano in questa opera di buon design internazionale gli ingredienti del peggiore cattivo gusto «populista» (ovvero: quando si
finge di amare un popolo idealizzandolo e sacralizzandolo, ma rendendolo così «astrazione inerte compassionevole»): l’odissea tragica
dell’orfanella derelitta da compiangere dall’alto in basso (ma l’attrice Magaly Sollier è una vera virtuosa del canto natural-etnico) che
antepone l’amore filiale alla sua pericolosa situazione ginecologica;
la giusta dose di pittoresco folk (nella vistosa festa kitsch di matrimonio plurimo nella favela di Lima, che fa più Cecil De Mille ovvero
un po’ di antropologia pasticciona, che Pasolini, Gatlif o Demme); la
staffilata contro l’acida criminalità della borghesia intellettuale (che
ruba la musica al popolo, perché non è furto rubare ai poveri se non
Johann Sebastian Bach?); quella spruzzata superficiale di storia paIl canto di Paloma 143
tria che allude (distorcendolo) al dramma di un paese controllato da
lunghe dittature militari o fasciste asservite agli Usa, con violazioni
ripetute e continuate dei diritti umani. Solo tra il 1980 e il 2001 70
mila assassinati, e ancor più feriti, stupri, rapimenti, torture, arresti
illegali... Sono cifre della Cvr, commissione per la verità e la riconciliazione, che vengono stranamente capovolte di significato dalla
regista, per farci capire due cose sbagliate. La prima è che è stato
«il terrorismo» il responsabile maggiore degli incubi e dei crimini
pagati dalla povera gente (è vero che la commissione, a fine lavori,
scrisse che dal punto di vista delle cifre brute il 54% dei crimini furono commessi dal Partito Comunista Sendero Luminoso più, 1,5%,
dai Tupac Amaru, ma non è la ragioneria che emette il definitivo
verdetto storico-etico). E non la chiama «guerriglia», «lotta armata
per l’autodeminazione del popolo peruviano», ma terrorismo. Forse
perché chi finanzia è anche il poco pulito presidente Garcia? La seconda è che stiamo parlando di «tanto tempo fa»... Guzman è in carcere, quel Sendero Luminoso è morto... Eppure, anche per l’effetto
inebriante di Bolivia, Venezuela e Ecuador, il Perù sta insorgendo di
nuovo in questi mesi. La guerriglia avanza. E nel suo piccolo anche
Fausta dà il suo contributo. Un furto in villa e via al funerale della
madre in riva al mare. A costo di dare perle ai porci.
Roberto Silvestri, il Manifesto, 8 maggio 2009
I commenti del pubblico
da PrEMio
NAtALIA SArtISSIAN Bellissimo.
rENAtA PoMPAS Un magnifico film. Potrei pensare che è l’anti”The Millionaire”.
rAFFAELLA MIGLIorINI Un film sul dolore, sulla paura e soprattutto sulla sua esorcizzazione. È una storia lieve per come è raccontata e tuttavia pesante per quello che racconta. Mi ha coinvolto
enormemente.
144 Il canto di Paloma
oTTiMo
PAoLA CArPANo Il canto di Paloma è il canto bellissimo di una
donna morente, del dolore e dello strazio dei ricordi, e nello stesso tempo dell’amore verso la figlia oltraggiata, anche lei, prima di
nascere. Le scene dei matrimoni caratteristici degli indios peruviani
non sono né gioiose né festose, ma rispecchiano ancora di più la
tristezza di un Paese che ha perso la ricchezza della sua identità, pur
mantenendo alcuni riti e costumi tipici.
MArIA SANtAMbroGIo Film veramente ben fatto. Il tema toccato: la violenza, lo stupro (sempre molto attuale) e le sue tristi
conseguenze. Ci viene mostrata anche la zona più periferica di Lima
con i suoi abitanti e il loro desiderio di “apparire e stupire”.
MArIAGrAzIA GorNI Un film che mi ha colpito profondamente
fin dall’intensissima e commovente scena iniziale (davvero memorabile!) che subito ci fa entrare nello stile narrativo della regista
fatto di primi piani, canti e musica usati come forma di rielaborazione personale e di comunicazione, pause e silenzi. Il soggetto
della violenza sulle donne e dell’inevitabile paura che ne consegue
è forte ma è trattato in modo delicato, pudico e poetico. Il mondo
magico e nello stesso tempo reale in cui vive la protagonista è reso
molto bene, così come il suo lento, sofferto “aprirsi” al mondo. Uso
sapiente dei colori per rendere gli esterni e gli interni. Bellissima la
musica.
ELENA CHINA-bINo Paloma, devastata dallo stupro subito quando era incinta, trasmette tutto il suo orrore per l’accaduto alla figlia.
La ragazza lo assorbe in tutto il suo essere, anima e corpo, dove si
radica in profondità e di cui diventa prigioniera. Un giardiniere lo
estirperà con pazienza e delicatamente. La patata, utilizzata da Fausta, come barriera antistupro, diventerà un simbolo di liberazione
alla conclusione del film, quando la ragazza riceverà in dono dal
giardiniere un vaso con una piantina fiorita: proprio una patata. Le
canzoni cantilenanti di Paloma e di Fausta esprimono nelle parole e
nei suoni la forza della disperazione. Un tema così duro e delicato è
stato raccontato senza eccessi, poeticamente e in maniera incisiva.
LUISA ALbErINI C’è molto di più in questo film della storia di violenza vissuta da una donna e del ricordo che ha accompagnato la
crescita della figlia. C’è il senso delle tradizioni che, al di là dei rituali,
assumono valore simbolico. L’evento che immediatamente diventa
messaggio, l’oggetto che passa a metafora, il corpo che si sottrae
all’incontro, il viso che si mostra solo in parte sono un racconto che
la fotografia interpreta e trasmette con grande forza. Alla fotografia
è affidato il compito di essere testimonianza, ma anche linguaggio,
in un mondo di silenzio. La fotografia si fa mezzo per veicolare in
trasparenza e assoluta fedeltà esperienze che nessuna parola potrebbe mai raccogliere in modo tanto efficace. Soprattutto per noi
troppo lontani e troppo assenti alla voce così disperata di chi può
soltanto cercare difesa nella propria solitudine.
brUNo brUNI Molti gli elementi che confluiscono in questo interessante e delicato film peruviano. Le tradizioni e le leggende di
un popolo e gli svantaggi di costituire minoranza etnica. I soprusi
e le violenze nei confronti delle donne della tribù. Le differenze di
classe nonostante il perdurare di rivoluzioni sociali, negli anni 7090. La consapevolezza di uno stato di inferiorità pone la violenza
subita da Paloma a metafora di uno stato di totale sottomissione. La
trasmissione alla figlia Fausta di una traumatica inibizione affettiva
e sessuale e l’uso di strumenti barbari a difesa della propria illibatezza, ripropone il paradigma persecutorio immutabile e irrisolvibile. Un ottimo film che mostra anche la lenta evoluzione di queste
sindromi, grazie a sentimenti sinceri e alla vicinanza della proprià
comunità. Un racconto forte dalle immagini delicate che, con estremo garbo, cercano di ricomporre una dignità che nel passato non
ha gratificato la figura femminile. Una forma di rispetto dovuto e
doveroso che commuove.
BUono
roSELLA CoCEANI Drammatico, sconvolgente e profondamente
poetico. Musicale anche nel silenzio.
LEtIzIA SErENA rAGoNA Difficile e originale film. Bravo il regista
e gli attori.
FrANCA SICUrI Film molto amaro che propone una riflessione seria sui condizionamenti di un regime dittatoriale, sulle conseguenze
degli inevitabili moti rivoluzionari e delle violenze che non risparmiano mai, anzi si accaniscono spesso sulle donne.
MIrANDA MANFrEDI Non mancano le metafore in questo interessante film che ci accosta a una cultura in cui si intrecciano
superstizioni e leggende. La discriminazione sociale non diminuisce
la vitalità che pervade le bidonville, in contrapposizione all’aridità
di una borghesia sfruttatrice anche dell’anima della povera Fausta.
Ragazza che è rimasta tarata psichicamente dal “latte della paura”.
La brava regista, con una sceneggiatura frammentaria, ci introduce
in una continua riflessione psicoanalitica per capirne l’animo. Anche
la ricerca paesaggistica contribuisce a presentarci una città piena di
contraddizioni. Il percorso di Fausta sembra concludersi positivamente con un fiore di patata solo da ammirare.
GIUSEPPE bASILE Film interessante e intenso. Storia di una nevrosi
inconsciamente causata da una madre stuprata mentre era incinta
che rischia di compromettere per sempre l’equilibrio psichico della
figlia che, per difendersi, adotta quello strano mezzo di protezione
vaginale. Resa efficacemente la figura della figlia che vive nel terrore di uscire da sola, cammina piano piano, guardinga, teme gli uomini e il mondo. Ciononostante fa intravedere una voglia di vivere,
seppur con mille esitazioni, che alla fine, si manifesta nel momento
in cui decide di chiedere aiuto al giardiniere. Belle e piene di colori le
scene del matrimonio e della vita quotidiana che si svolge al di fuori
della villa, nel mondo reale. Di una bellezza estrema, che commuove,
il paesaggio che precede il viaggio al mare. Meschina la figura della
pianista, personaggio arido e scostante. Belle le musiche, bravi e ben
disegnati gli attori.
PIErFrANCo StEFFENINI È uno di quei film, provenienti da ambiti culturali lontani dal nostro, che si vedono con la curiosità di
scoprire mondi sconosciuti. Spesso raccontano situazioni di violenza, sopraffazione, povertà estrema. Sotto questo profilo, “Il canto di
Paloma” è un film emblematico, che ci parla delle tristi esperienze di
una ragazza peruviana segnata, ancor prima di nascere, dalla vioIl canto di Paloma 145
lenza subita dalla madre. La vicenda scuote nel profondo e certe
scene restano impresse nella memoria, come i paesaggi desertici nei
dintorni di Lima e i canti che descrivono lo strazio delle protagoniste. Anche se il racconto procede per scenari staccati e non aiuta
lo spettatore, il senso della storia risulta chiaro e persuasivo. Resta
il dubbio di aver colto tutti i significati nei loro particolari. A mio
avviso, ciò è imputabile a una regia che, per voler essere asciutta,
rischia di risultare un po’ rozza.
diScrETo
UrSULA bIASoLo Troppo intellettualistico, troppo estetizzante.
MArGHErItA torNAGHI Trovo questa storia un po’ confusa e
pertanto non l’ho molto gradita.
inSUFFiciEnTE
MArCELLo ottAGGIo Un film incomprensibile, girato sul nulla.
Pazzesco che gli abbiano pure assegnato il premio a Berlino!
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