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PARTE PRIMA
NORMATIVITÀ E DIRITTO IN VIGORE
L’ipostasi metafisica del dover essere │
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L’IPOSTASI METAFISICA DEL DOVER ESSERE.
1.1. PRIMA FIABA. GLI INVISIBILI ABITI PREGIATI DELL’IMPERATORE.
C’era una volta un imperatore che amava cosí tanto la moda da spendere tutto il suo denaro soltanto per vestirsi con eleganza. Non aveva nessuna cura per i suoi soldati, né per il teatro o le passeggiate nei boschi, a
meno che non si trattasse di sfoggiare i suoi vestiti nuovi: possedeva un
vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: “È
nella sala del Consiglio”, di lui si diceva soltanto: “È nel vestibolo”.
Nella grande città che era la capitale del suo regno, c’era sempre da divertirsi: ogni giorno arrivavano forestieri, e una volta vennero anche due
truffatori: essi dicevano di essere due tessitori e di saper tessere la stoffa
piú incredibile mai vista. Non solo i disegni e i colori erano meravigliosi, ma gli abiti prodotti con quella stoffa avevano un curioso potere: essi
diventavano invisibili agli occhi degli uomini che non erano all’altezza
della loro carica, o che erano semplicemente molto stupidi.
“Quelli sí che sarebbero degli abiti meravigliosi!”, pensò l’imperatore:
“Con quelli indosso, io potrei riconoscere gli incapaci che lavorano nel
mio impero, e saprei distinguere gli stupidi dagli intelligenti! Devo avere subito quella stoffa!”. E pagò i due truffatori, affinché essi si mettessero al lavoro.
Quei due montarono due telai, finsero di cominciare il loro lavoro, ma
non avevano nessuna stoffa da tessere. Chiesero senza tanti complimenti la seta piú bella e l’oro piú brillante, se li misero in borsa, e continuarono a tessere cosí, coi telai vuoti, fino a tarda notte.
“Mi piacerebbe sapere a che punto stanno con la stoffa!”, pensava intanto l’imperatore; ma a dire il vero si sentiva un po’ nervoso al pensiero che una persona stupida, o incompetente, non avrebbe potuto vedere l’abito. Non che lui temesse per sé, figurarsi: tuttavia volle prima
mandare qualcun altro a vedere come procedevano i lavori. Nel frat-
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tempo tutti gli abitanti della città avevano saputo delle incredibili virtú
di quella stoffa, e non vedevano l’ora di vedere quanto stupido o incompetente fosse il proprio vicino.
“Manderò dai tessitori il mio vecchio e fidato ministro”, decise l’imperatore, “nessuno meglio di lui potrà vedere che aspetto ha quella stoffa, perché è intelligente e nessuno piú di lui è all’altezza del proprio compito”.
Cosí quel vecchio e fidato ministro si recò nella stanza dove i due tessitori
stavano tessendo sui telai vuoti. “Santo cielo!”, pensò, spalancando gli
occhi, “Non vedo assolutamente niente!”. Ma non lo disse a voce alta.
I due tessitori gli chiesero di avvicinarsi, e gli domandarono se il disegno e i colori erano di suo gradimento, sempre indicando il telaio vuoto: il povero ministro continuava a fare tanto d’occhi, ma senza riuscire
a vedere niente, anche perché non c’era proprio niente. “Povero me”,
pensava intanto, “Ma allora sono uno stupido? Non l’avrei mai detto!
Ma è meglio che nessun altro lo sappia! O magari non sono degno della
mia carica di ministro? No, in tutti i casi non posso far sapere che non
riesco a vedere la stoffa!”.
“E allora, cosa ne dice”, chiese uno dei tessitori.
“Belli, bellissimi!”, disse il vecchio ministro, guardando da dietro gli
occhiali. “Che disegni! Che colori! Mi piacciono moltissimo, e lo dirò
all’imperatore”.
“Ah, bene, ne siamo felici”, risposero quei due, e quindi si misero a discutere sulla quantità dei colori e a spiegare le particolarità del disegno.
Il vecchio ministro ascoltò tutto molto attentamente, per poterlo ripetere fedelmente quando sarebbe tornato dall’imperatore; e cosí fece.
Allora i due truffatori chiesero ancora soldi, e seta, e oro, che sarebbe
servito per la tessitura. Ma poi infilarono tutto nella loro borsa, e nel telaio non ci misero neanche un filo. Eppure continuavano a tessere sul
telaio vuoto.
Dopo un po’ di tempo l’imperatore inviò un altro funzionario, assai valente, a vedere come procedevano i lavori. Ma anche a lui capitò la stessa cosa del vecchio ministro: si mise a guardare, a guardare, ma siccome
oltre ai telai vuoti non c’era niente, non poteva vedere niente.
“Guardi la stoffa, non è magnifica?”, dicevano i due truffatori, e intanto
gli spiegavano il meraviglioso disegno che non esisteva affatto.
“Io non sono uno stupido!”, pensava il valente funzionario. “Forse che
non sono all’altezza della mia carica! Davvero strano! Meglio che nessuno se ne accorga!” E cosí iniziò anche lui a lodare il tessuto che non
riusciva a vedere, e parlò di quanto gli piacessero quei colori, e quei disegni cosí graziosi. “Sí, è davvero la stoffa piú bella del mondo”, disse
poi all’imperatore.
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Tutti i sudditi non facevano che discutere di quel magnifico tessuto.
Infine anche l’imperatore volle andare a vederlo, mentre esso era ancora
sul telaio. Si fece accompagnare dalla sua scorta d’onore, nella quale c’erano anche i due ministri che erano già venuti, e si recò dai due astuti imbroglioni, che continuavano a tessere e a tessere... un filo che non c’era.
“Non è forse ‘magnifique’?”, dicevano in coro i due funzionari; “Che
disegni, Sua Maestà! Che colori!”, e intanto indicavano il telaio vuoto,
perché erano sicuri che gli altri ci vedessero sopra la stoffa.
“Ma cosa sta succedendo?”, pensò l’imperatore, “non vedo proprio
nulla! Terribile! Che io sia stupido? O magari non sono degno di fare
l’imperatore? Questo è il peggio che mi potesse capitare!” “Ma è bellissimo”, intanto diceva. “Avete tutta la mia ammirazione!”, e annuiva
soddisfatto, mentre fissava il telaio vuoto: mica poteva dire che non vedeva niente! Tutti quelli che lo accompagnavano guardavano, guardavano, ma per quanto potessero guardare, la sostanza non cambiava: eppure anch’essi ripeterono le parole dell’imperatore: “Bellissimo!”, e gli
suggerirono di farsi fare un abito nuovo con quella stoffa, per l’imminente parata di corte. “Magnifique!, Excellent!”, non facevano che ripetere, ed erano tutti molto felici di dire cose del genere. L’imperatore
consegnò ai due imbroglioni la Croce di Cavaliere da tenere appesa al
petto, e li nominò Grandi Tessitori.
Per tutta la notte prima della parata di corte, quei due rimasero alzati
con piú di sedici candele accese, di modo che tutti potessero vedere
quanto era difficile confezionare i nuovi abiti dell’imperatore. Quindi
fecero finta di staccare la stoffa dal telaio, e poi con due forbicioni tagliarono l’aria, cucirono con un ago senza filo, e dissero, finalmente:
“Ecco i vestiti, sono pronti!”.
Venne allora l’imperatore in persona, coi suoi piú illustri cavalieri, e i
due truffatori, tenendo il braccio alzato come per reggere qualcosa, gli
dissero: “Ecco qui i pantaloni, ecco la giacchetta, ecco la mantellina...”
eccetera. “Che stoffa! È leggera come una tela di ragno! Sembra quasi
di non avere indosso nulla, ma è questo appunto il suo pregio!”.
“Già”, dissero tutti i cavalieri, anche se non vedevano niente, perché
non c’era niente da vedere.
“E ora”, dissero i due imbroglioni, “se Sua Maestà Imperiale vorrà degnarsi di spogliarsi, noi lo aiuteremo a indossare questi abiti nuovi proprio qui di fronte allo specchio!”.
L’imperatore si spogliò, e i due truffatori fingevano di porgergli, uno
per uno, tutti i vestiti che, a detta loro, erano completati: quindi lo presero per la vita e fecero finta di legargli qualcosa dietro: era lo strascico.
Ora l’imperatore si girava e rigirava allo specchio.
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“Come sta bene! Questi vestiti lo fanno sembrare piú bello!”, tutti dicevano. “Che disegno! Che colori! Che vestito incredibile!”.
“Stanno arrivando i portatori col baldacchino che starà sopra la testa
dell’imperatore durante il corteo!”, disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
“Sono pronto”, disse l’imperatore. “Sto proprio bene, non è vero?”. E
ancora una volta si rigirò davanti allo specchio, facendo finta di osservare il suo vestito.
I ciambellani che erano incaricati di reggergli lo strascico finsero di raccoglierlo per terra, e poi si mossero tastando l’aria: mica potevano far
capire che non vedevano niente.
Cosí l’imperatore marciò alla testa del corteo, sotto il grande baldacchino, e la gente per la strada e alle finestre non faceva che dire: “Dio mio,
quanto sono belli gli abiti nuovi dell’imperatore! Gli stanno proprio
bene!”. Nessuno voleva confessare di non vedere niente, per paura di
passare per uno stupido, o un incompetente. Tra i tanti abiti dell’imperatore, nessuno aveva riscosso tanto successo.
“Ma l’imperatore non ha nulla addosso!”, disse a un certo punto un
bambino. “Santo cielo”, disse il padre, “Questa è la voce dell’innocenza!”. Cosí tutti si misero a sussurrare quello che aveva detto il bambino.
“Non ha nulla indosso! C’è un bambino che dice che non ha nulla indosso!”.
“Non ha proprio nulla indosso!”, si misero tutti a urlare alla fine. E
l’imperatore rabbrividí, perché sapeva che avevano ragione; ma intanto
pensava: “Ormai devo condurre questa parata fino alla fine!”, e cosí si
drizzò ancora piú fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una
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coda che non c’era per niente .
La morale di questa favola è che la credulità collettiva, con le sue variegate sfaccettature, è una possente e operante realtà psichica in grado di
produrre nelle menti umane l’ipostasi che sussistano misteriose realtà oggettive, indipendenti da noi. L’ipostasi consiste in questo: ci convinciamo
che queste realtà sussistano di per sé ancorché non riusciamo a vederle e
proprio perché non riusciamo a vederle, dal momento che riteniamo altresí
di non riuscire a vederle a causa della nostra miserevole pochezza intellettuale e morale. Il senso di inferiorità e di colpa per la nostra presunta pochezza concorrono, sotto l’incalzare della pressione sociale di coloro che
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Ho tratto il testo italiano della fiaba di Hans Christian Andersen (1805-1875) da
http://www.ilnarrastorie.it/andersen/gli.abiti.nuovi.dellimperatore95.html#CommentForm,
e vi ho apportato leggeri ritocchi stilistici.
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invece “vedono e sanno”, o hanno interesse a “vedere e sapere”, nell’indurci ad ipostatizzare.
Fornirò una definizione di “ipostasi” a conclusione del paragrafo 1.2.2.
1.2. SECONDA FIABA. GLI INVISIBILI PIANI ALTI DEL DIRITTO.
1.2.1. Eterogeneità tra regole e norme.
Le regole di condotta sono tipi di comportamento che ognuno di noi
adotta se ha qualche motivo per farlo. Per esempio, “usare l’ombrello per
ripararsi dalla pioggia” è una regola prudenziale: la adotteremo se desideriamo ripararci dalla pioggia. Questa regola non scomoda il mondo del dover essere e le sue entità normative; ed è una regola visibile nel senso che è
riducibile a fatti: al fatto che la pioggia bagna e al fatto che un ombrello
serve a ripararsi dalla pioggia.
Invece, le norme sono regole reputate in sé vincolanti, che, nell’opinione di chi le reputa in sé vincolanti, dobbiamo adottare anche se non ne abbiamo voglia: sono invisibili entità normative; invisibili nel senso che il loro
carattere vincolante non è riducibile a fatti.
Naturalmente, resta da chiarire che cosa si intenda per “tipo di comportamento”. È quanto farò nei paragrafi 1.3 e 2.1.
A proposito della non-visibilità, o, piú elegantemente, spiritualità, delle
norme, è da tenere a mente e meditare il seguente passo di Hans Kelsen
(1881-1973), uno dei piú importanti studiosi di teoria del diritto del secolo
ventesimo.
La norma in quanto tale, da non confondersi con l’atto mediante cui
viene posta, non sta nello spazio e nel tempo, perché non è un fatto na2
turale (traduzione mia) .
In realtà, non è chiaro che cosa significhi “normativo”, “doveroso”,
“vincolante” od “obbligatorio”. Che cosa faccia sí che una regola di condotta sia, non una regola prudenziale, bensí una norma, è un problema sul
quale la filosofia del diritto si cimenta da piú di due millenni e che, a mio
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“Die Norm als solche, nicht zu verwechseln mit dem Akt, in dem sie gesetzt wird,
steht – da sie keine naturliche Tatsache ist – nicht in Raum und Zeit” (KELSEN, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, Leipzig und Wien, F. Deuticke, 1934, p. 7).
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avviso, presenta aspetti fiabeschi analoghi a quelli cosí bene illustrati da
Hans Christian Andersen con la fiaba degli invisibili abiti pregiati dell’imperatore. Invero, il mondo delle entità normative, ossia il mondo del dover
essere, è un invisibile mondo metafisico ipostatizzato, popolato di entità
normative invisibili la cui essenza consiste nell’essere di per sé vincolanti.
Attraverso l’educazione, la coercizione e la pressione sociale, che ci plasmano fin dall’infanzia, veniamo convinti che il mondo del dover essere
sussista di per sé, oggettivamente, indipendentemente dall’opera degli esseri umani, cosí come veniamo condotti ad ipostatizzare le idee sulle divinità, su una vita ultraterrena o sul destino.
Inoltre, in questo mondo del dover essere, le norme misteriosamente
proliferano, ossia generano altre invisibili entità normative: obblighi, diritti
e nuove norme.
Vi sono norme, usualmente dette “norme di condotta”, la cui forza normativa, o capacità generativa di altre invisibili entità normative, consiste
nel produrre, modificare od estinguere obblighi e diritti. E vi sono norme
usualmente dette “norme di competenza”, la cui forza normativa, o capacità generativa di altre invisibili entità normative, consiste nel produrre, modificare od estinguere altre norme.
Le norme di competenza, generate da una precedente norma di competenza, a loro volta, potranno generare o norme di condotta, produttive di
obblighi e diritti, oppure ulteriori norme di competenza, le quali possono
produrre altre norme di condotta o di competenza: e cosí di seguito, fino a
che anche la linea generativa di norme di competenza non si concluda con
norme di condotta, le quali, come già detto, generano obblighi e diritti.
1.2.2. L’edificio del diritto. La distinzione tra diritto oggettivo e diritto soggettivo.
Secondo la tradizione del pensiero giuridico dogmatico, il diritto partecipa di due mondi: il mondo della realtà dell’essere e il mondo della realtà
del dover essere, ed è un edificio composto di tre piani, nel quale il piano
terreno è riservato al mondo dell’essere, abitato da entità naturali, come gli
esseri umani con i loro comportamenti, mentre i due piani alti sono riservati al mondo del dover essere, alle entità normative.
Al primo piano alto, che è il piano inferiore del mondo del dover essere,
sta il diritto in senso soggettivo (gli obblighi e i diritti dei soggetti); al secondo piano alto, che è il piano superiore del mondo del dover essere, sta il
diritto in senso oggettivo (le norme di condotta e le norme di competenza).
Cominciamo dal secondo piano alto, il piano superiore nel mondo del
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dover essere e il piú alto nell’edificio del diritto. Consideriamo, innanzitutto, un esempio di norma di condotta: di norma che, al pari delle norme di
competenza, abita al piano superiore del mondo del dover essere, ma, a
differenza delle norme di competenza, genera entità normative al piano inferiore del mondo del dover essere, ossia genera obblighi e diritti al primo
piano alto dell’edificio del diritto.
Art. 2043 del codice civile italiano. Risarcimento per fatto illecito.
Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
La norma di condotta di cui all’art. 2043 del codice civile italiano prevede, per chi nel mondo dell’essere cagioni un danno, l’obbligo di risarcire chi
lo ha patito e, implicitamente, il diritto di chi ha patito il danno ad essere risarcito: l’obbligo e il diritto sorgeranno al piano inferiore del mondo del dover essere, il piano del diritto in senso soggettivo, e saranno ascritti, nel mondo dell’essere, a soggetti, o persone, detti “soggetto passivo” il portatore dell’obbligo e, rispettivamente, “soggetto attivo” il titolare del diritto.
Chi è portatore di un obbligo viene detto “soggetto passivo”, chi è titolare
di un diritto viene detto “soggetto attivo”. Per questa ragione il piano inferiore
del mondo del dover essere è il piano del diritto in senso soggettivo: perché su
questo piano del dover essere esistono gli obblighi e i diritti dei soggetti, anche
se, ovviamente, i soggetti, cui gli obblighi e i diritti vengono ascritti, vivono nel
mondo dell’essere, ossia al piano terreno dell’edificio del diritto.
Consideriamo ora un esempio di norma di competenza: di norma che,
al pari delle norme di condotta abita al piano superiore del mondo del dover essere, ma, a differenza delle norme di condotta, genera entità normative sullo stesso piano superiore, anziché al piano inferiore, del mondo del
dover essere, ossia genera nuove norme, di condotta o di competenza, che
vengono dette diritto oggettivo.
Art. 70 della costituzione italiana.
La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.
Art. 73 della costituzione italiana, primo comma.
Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.
Art. 73 della costituzione italiana, terzo comma.
Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in
vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione.
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Le leggi sono norme, norme di condotta o norme di competenza: le une
e le altre nascono, si modificano o si estinguono (fuori dello spazio e del
tempo, secondo Kelsen), al piano superiore del mondo del dover essere,
cioè nel piano piú alto dell’edificio del diritto: il piano del diritto in senso
oggettivo, ossia del diritto considerato a prescindere dai soggetti cui esso si
riferisca.
La norma di competenza di cui all’art. 70 e ss. della costituzione italiana
prevede nuove norme, di condotta e di competenza, che sorgeranno al piano superiore del mondo del dover essere, se le assemblee legislative e il
presidente della repubblica, nel mondo dell’essere, al piano terreno dell’edificio del diritto, tengano certi comportamenti con certe modalità.
Ricapitolando e ribadendo quanto fin qui detto, fornisco qualche ulteriore dettaglio.
L’edificio del diritto consta di tre piani dislocati in due mondi eterogenei:
il mondo dell’essere, visibile o comunque scrutabile dalla scienza, e il mondo
del dover essere, invisibile o comunque imperscrutabile alla scienza.
Nell’edificio del diritto, il mondo dell’essere, visibile, occupa il piano
terreno ed è popolato di esseri umani, animali, piante e minerali, mentre il
mondo del dover essere, invisibile, occupa i due piani alti del medesimo
edificio. Dei due piani alti dell’edificio del diritto, il piano inferiore è popolato di invisibili obblighi e diritti, ed è il piano del diritto in senso soggettivo, perché obblighi e diritti sono ascritti a soggetti (che si trovano al piano terreno). Per esempio, l’obbligo di risarcire il danno è ascritto ad un
concreto soggetto che ha cagionato un danno, e il diritto ad essere risarcito
è ascritto ad un concreto soggetto che ha patito un danno. Il piano superiore dei due piani alti del diritto è popolato di invisibili norme, di condotta e di competenza, ed è il piano del diritto in senso oggettivo, perché le
norme, di condotta e di competenza, vi sussistono oggettivamente, ossia a
prescindere dal fatto che esse attualmente abbiano referenti in soggetti
concreti nel mondo dell’essere. Per esempio, la norma di condotta di cui
all’art. 2043 del codice civile oggettivamente esiste e sussiste nel secondo
piano alto dell’edificio del diritto italiano a prescindere dal fatto che nel
mondo dell’essere attualmente un soggetto concreto abbia cagionato un
danno ad un altro soggetto concreto.
Il mondo del dover essere e il mondo dell’essere interagiscono nell’edificio del diritto.
Se nel mondo dell’essere, al piano terreno dell’edificio del diritto, ha
luogo un evento che una invisibile norma di condotta, situata al piano superiore del mondo del dover essere, prevede e qualifica come evento condizionante, allora la norma di condotta fa nascere, modificare od estinguere,
obblighi e diritti (invisibili entità normative) nel piano inferiore del mondo
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del dover essere: al primo piano alto dell’edificio del diritto, il piano del
diritto in senso soggettivo.
Se nel mondo dell’essere ha luogo un evento che una invisibile norma di
competenza, situata al piano superiore del mondo del dover essere, prevede
e qualifica come evento condizionante, allora la norma di competenza fa
nascere nuove invisibili norme, di condotta o di competenza, nel medesimo piano superiore del mondo del dover essere: al secondo piano alto
dell’edificio del diritto, il piano del diritto oggettivo.
Nel mondo dell’essere, al piano terreno dell’edificio del diritto, gli umani tengono comportamenti i quali sono eventi che: (i) nessuna norma di
condotta o di competenza prevede e qualifica, e che dunque di nessuna
norma sono referenti; oppure (ii) una norma di condotta prevede e qualifica come eventi condizionanti, e quindi sono referenti di una norma di condotta; oppure (iii) una norma di competenza prevede e qualifica come eventi condizionanti, e quindi sono referenti di una norma di competenza.
Un evento condizionante, quale per esempio un danno cagionato a terzi, e un evento condizionante, quale per esempio certi comportamenti tenuti con certe modalità dai membri di un’assemblea legislativa, ancorché
previsti e qualificati da una norma invisibile – rispettivamente da una norma di condotta e da una norma di competenza – sono eventi visibili, entità
di fatto, ed hanno luogo nel mondo dell’essere, al piano terreno del mondo
del diritto, e sono causati da altre entità di fatto.
Invece, un obbligo e un diritto sono invisibili entità normative, la cui
causa normativa è una invisibile norma di condotta, ossia una entità normativa che abita al piano superiore del mondo del dover essere, la quale fa
sorgere gli obblighi e i diritti nell’invisibile piano inferiore del mondo del
dover essere, il quale costituisce il primo piano alto dell’edificio del diritto:
il piano del diritto in senso soggettivo.
A loro volta, le norme, sia di condotta sia di competenza, sono invisibili
entità normative, la cui causa normativa è una invisibile norma di competenza, ossia una entità normativa che abita al piano superiore del mondo
del dover essere, la quale fa sorgere norme, sia di condotta sia di competenza, nell’invisibile piano superiore del mondo del dover essere, il quale
costituisce il secondo piano alto dell’edificio del diritto: il piano del diritto
in senso oggettivo.
Si noti che causa normativa del sorgere di un invisibile obbligo a risarcire il danno cagionato e di un invisibile diritto ad essere risarcito del danno
patito, non è il visibile danno cagionato e patito nel mondo dell’essere,
perché obblighi e diritti sono entità normative, che, come tali, possono essere causate, generate, prodotte soltanto da altre entità normative (sia pure
in concorso con eventi naturali). Il danno nel mondo dell’essere è condi-
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zione necessaria, ma non sufficiente – non è causa normativa – del sorgere
degli invisibili obblighi e diritti al piano inferiore del mondo del dover essere. Causa normativa (sia pure in concorso con eventi naturali) del sorgere dell’invisibile obbligo e dell’invisibile diritto in questione è l’invisibile
norma di condotta di cui all’art. 2043 del codice civile italiano, la quale abita al piano superiore dell’invisibile mondo del dover essere, ossia al secondo piano alto dell’edificio del diritto. Questa norma di condotta produce i suoi effetti normativi – ossia l’obbligo di risarcire in capo al soggetto
che ha cagionato il danno e il diritto ad essere risarcito in capo al soggetto
che ha patito il danno – nel piano inferiore dell’invisibile mondo del dover
essere, il quale è destinato appunto ad ospitare gli invisibili obblighi e diritti dei soggetti, rispettivamente passivi ed attivi, e che per questa ragione
viene identificato come il piano del diritto in senso soggettivo.
Si noti che, analogamente, causa normativa del sorgere di una nuova invisibile norma, di condotta o di competenza, non è il visibile lavoro dei
membri del parlamento nel mondo dell’essere, perché le norme, di condotta o di competenza, sono entità normative che, come tali, possono essere
causate, generate, prodotte soltanto da altre entità normative (sia pure in
concorso con eventi naturali). Il lavoro dei membri del parlamento nel
mondo dell’essere è condizione necessaria, ma non sufficiente – non è causa normativa – del sorgere di nuove invisibili norme di condotta o di competenza al piano superiore del mondo del dover essere. Causa normativa
(sia pure in concorso con eventi naturali) del sorgere delle nuove invisibili
norme di condotta o di competenza in questione è l’invisibile norma di
competenza di cui agli artt. 70 e ss. della costituzione italiana: norma che si
trova al piano superiore dell’invisibile mondo del dover essere, che è il secondo piano alto nell’edificio del diritto. Questa norma di competenza
produce i suoi effetti normativi – ossia genera nuove norme di condotta o
di competenza – nel piano superiore dell’invisibile mondo del dover essere, il quale è destinato appunto ad ospitare invisibili norme generali ed astratte, siano esse norme di condotta o norme di competenza. Questo piano viene identificato come il piano del diritto in senso oggettivo: il piano
del diritto che è tale a prescindere dall’esistenza o meno, nel mondo dell’essere, di soggetti che attualmente siano referenti di norme di condotta o
norme di competenza; ed altresí a prescindere, dunque, dall’esistenza o
meno, al piano inferiore del mondo del dover essere (al piano del diritto in
senso soggettivo), di obblighi e diritti.
Qualcuno potrebbe obiettare che la norma di condotta di cui all’art. 2043
del codice civile e la norma di competenza di cui agli artt. 70 e ss. della costituzione sono ben visibili: sono scritte nel testo dell’art. 2043 del codice civile
e, rispettivamente, nel testo degli artt. 70 e ss. della costituzione.
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L’obiezione non regge. Anche le parole dei truffatori e adulatori di cui
ci parla la fiaba di Andersen erano ben udibili e, se trascritte, ben visibili;
ciò non toglie che gli abiti dell’imperatore, di cui quelle parole dicevano
mirabilie, fossero invisibili perché non c’erano, e che soltanto la pavida
credulità dei cortigiani, del popolo e dello stesso imperatore avessero creato l’illusione, una sorta di suggestione collettiva, l’ipostasi che, dietro quelle
parole, veramente esistessero abiti pregiati: invisibili – ognuno riteneva –
soltanto a chi, per ignoranza e pochezza intellettuale, mancava della capacità di vederli.
A volte, per accorgersi che dietro certe parole non vi sono cose, bensí
mere illusioni e suggestioni, o addirittura ipostasi, occorre l’innocenza dei
bambini.
La dogmatica giuridica ci insegna, dunque, quanto segue.
Le norme di condotta, situate al piano superiore dell’invisibile mondo
del dover essere (il piano del diritto oggettivo), sono le cause normative
che producono effetti normativi, in particolare obblighi e diritti al piano
inferiore dell’invisibile mondo del dover essere (il piano del diritto soggettivo), alla condizione necessaria, ma non sufficiente, che nel mondo dell’essere (al piano terreno dell’edificio del diritto) abbia di fatto luogo un evento del tipo che le norme di condotta prevedono in via generale ed astratta.
A loro volta, le norme di competenza, situate al piano superiore dell’invisibile mondo del dover essere (il piano del diritto oggettivo), sono le cause normative che producono effetti normativi, in particolare nuove norme,
di condotta o di competenza, allo stesso piano superiore dell’invisibile
mondo del dover essere (il piano del diritto oggettivo), alla condizione necessaria, ma non sufficiente, che nel mondo dell’essere (al piano terreno
dell’edificio del diritto) abbia di fatto luogo un evento del tipo che le norme di competenza prevedono in via generale ed astratta.
Il tipo di comportamento previsto nel mondo del dover essere, sul piano del diritto oggettivo, dalla norma di condotta di cui all’art. 2043 del codice civile, è qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno
ingiusto. Un fatto che, nel mondo dell’essere (al piano terreno dell’edificio
del diritto), concretamente istanzia e realizza questo tipo di comportamento sarà, per esempio, il danno che l’automobilista, signor Rossi, ha cagionato alla vettura del signor Bianchi, tamponandolo in Bologna, all’altezza di
via Indipendenza 25, alle ore 17.32 di giovedí 25 marzo 2010. È possibile
fare molti altri esempi di fatti concreti che, nel mondo dell’essere, istanziano il tipo di comportamento previsto, al piano superiore del mondo del
dover essere, dalla norma di condotta di cui all’art. 2043 del codice civile.
Il tipo di comportamento previsto nel mondo del dover essere, sul piano del diritto oggettivo, dalla norma di competenza di cui all’art. 70 e ss.
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della costituzione è la funzione legislativa esercitata collettivamente dalle
due Camere. Un comportamento concreto che, nel mondo dell’essere (al
piano terreno dell’edificio del diritto), di fatto istanzia e realizza questo tipo di comportamento, sarà, per esempio, il lavoro concreto – i concreti atti
di esame, elaborazione e voto – che certi esseri umani, detti “senatori” e
“deputati”, svolgono a Roma, in palazzo Madama e a Montecitorio, in certi
giorni di certi mesi del 2010, per esempio su certi testi in cui si tratta di intercettazioni telefoniche. È possibile fare molti altri esempi di comportamenti concreti che, nel mondo dell’essere, istanziano il tipo di comportamento previsto, al piano superiore del mondo del dover essere, dalla nor3
ma di competenza di cui all’art. 70 e ss. della costituzione .
Se al piano terreno, nel visibile mondo dell’essere, nessuno cagiona un
danno – fatto concreto che è condizione necessaria ancorché non sufficiente per la produzione di invisibili obblighi e diritti ai sensi della norma di
condotta di cui all’art. 2043 del codice civile – allora questa norma di condotta non ha referenti concreti nel mondo dell’essere. Parimenti se, al piano terreno, nel visibile mondo dell’essere, senatori e deputati in concreto
non lavorano, con atti di esame, elaborazione e voto su un qualsivoglia testo – comportamento concreto che è condizione necessaria ancorché non
sufficiente per la produzione di invisibili nuove norme, di condotta o di
competenza, ai sensi della norma di competenza di cui all’art. 70 e ss. della
costituzione – allora questa norma di competenza non ha referenti concreti
nel mondo dell’essere.
Le norme di condotta e di competenza, in mancanza di referenti concreti nel mondo dell’essere, ossia in mancanza di comportamenti concreti
che istanzino e realizzino i tipi di comportamento in esse previsti, restano
improduttive di nuove entità normative: non esplicano la loro forza causale
normativa consistente nel far sorgere invisibili obblighi e diritti al piano inferiore del mondo del dover essere e, rispettivamente, nuove invisibili norme al piano superiore del mondo del dover essere.
3
Nei paragrafi 1.3 e 2.1 stabilirò l’equivalenza tra “tipo di comportamento” e “fattispecie astratta di un comportamento”, nonché tra “comportamento concreto” e “fattispecie concreta di un comportamento”. Il testo dell’art. 2043 del codice civile, “qualunque
fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, rappresenta, sta per, ossia significa, fa riferimento a, la
fattispecie astratta qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, e il testo dell’art. 70 (e ss.) della
costituzione “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” rappresenta, sta per, ossia significa, fa riferimento a, la fattispecie astratta la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. Su “significato”, “riferimento” e “referente” dirò nel capitolo 6.
L’ipostasi metafisica del dover essere │
15
Sulla produzione normativa, tornerò ex professo, e sotto diversi profili,
nei capitoli 4, 8 e 12.
Ove manchino nel mondo dell’essere, ossia al piano terreno dell’edificio
del diritto, i fatti concreti che attuano i tipi di fatto previsti nelle invisibili
norme di condotta e di competenza, queste norme vivono la loro vita improduttiva al piano superiore dell’invisibile mondo del dover essere. Conseguentemente, il piano inferiore di questo stesso invisibile mondo del dover essere, il piano del diritto soggettivo, resta provvisoriamente vuoto di
nuovi invisibili obblighi e diritti; e il piano superiore di questo stesso invisibile mondo del dover essere, il piano del diritto oggettivo, resta provvisoriamente vuoto di nuove invisibili norme di condotta e di competenza.
E, in mancanza di norme, obblighi e diritti, gli esseri umani, al piano
terreno dell’edificio del diritto, nel mondo dell’essere, provvisoriamente
vivono con serenità e senza pensieri la loro vita: senza ammattire ad invocare invisibili norme, obblighi e diritti; e risparmiandosi di pagare il caro
prezzo che costa il mantenere e ben remunerare legislatori, giudici e avvocati, i quali sono i tessitori di queste invisibili entità normative cosí come
nella fiaba di Andersen i sarti incantatori sono i tessitori degli invisibili abiti pregiati dell’imperatore.
Come vedremo con maggiore dettaglio nel capitolo 11, una avveduta
critica metodologica e una smaliziata critica del costume – cosí come quelle
felicemente condotte, per esempio, da Lodovico Antonio Muratori (16721750), un prete emiliano, erudito e saggio, nato oltre tre secoli or sono in
quel di Vignola (Modena) – aiutano a smascherare la realtà che non di rado si nasconde dietro la seriosa venerazione che giuristi ed uomini di legge
ostentano con sussiego per l’arte propria:
conoscenti altresí del torbido e burascoso [della giurisprudenza] i nostri
dottori [i giuristi], non se ne affliggono punto, anzi li vedete compiacersi di questo medesimo ondeggiamento e tumulto, perché al rovescio degli altri che ne piangono [le parti litiganti], perché o perdono tutto, o
comperano caro quel che loro resta, o che acquistano; gli avvocati,
proccuratori, e giudici per questa via arricchiscono, e salgono anche a i
primi onori. Ed ancorché piú degli altri scorgano, e tocchino tutto dí
con mano le magagne, le fallacie, gli sgarbi della Signora Giurisprudenza, pure a guisa de gli altri accorti e ben creati servi, non ne dicono ma4
le, anzi s’empiono la bocca delle sue lodi.
4
MURATORI, Dei difetti della giurisprudenza, a cura di A. Solmi, Roma, Formiggini,
1933, pp. 35-36.
│ Normatività e diritto in vigore
16
La morale della nostra seconda favola, raccontata nel presente paragrafo 1.2, è che non sempre è vero il detto “l’abito non fa il monaco”.
Infatti, se l’abito in questione è un illusorio abito invisibile, reputato però reale dalla credulità socialmente condivisa, e se gli interessi e il potere
corroborano l’illusoria credenza collettiva fino alla ipostatizzazione metafisica, allora l’abito – per capirci, la credenza illusoria – fa il monaco: il nostro monaco è l’ipostasi della invisibile normatività del diritto. Questa
normatività c’è soltanto se, e nel senso che, vi è una credenza sociale sufficientemente diffusa – in latino questa credenza sociale veniva detta opinio
iuris – che essa vi sia, e se vi sono interessi e poteri che cooperano a corroborarla e consolidarla fino alla ipostatizzazione di un mondo della realtà
del dover essere: una realtà spirituale parallela e sovrastante la realtà fattuale del mondo dell’essere (dualismo ontologico tra Sollen e Sein).
Sul significato della parola “ipostasi”, lo studente può considerare la seguente definizione tratta da un dizionario della lingua italiana:
ipòstasi [vc. dotta, lat. hypŏstasi(m), dal gr. hypóstasis, comp. di hypó
‘sotto’ e stásis ‘stasi’, come il corrisp. lat. substăntia ‘sostanza’; sec. XIV]. s.
f. inv. 1 Nella filosofia di Plotino e dei neoplatonici, termine che designa le tre sostanze spirituali, l’Uno, l’Intelletto, l’Anima che insieme alla
materia costituiscono il mondo intellegibile. 2 Nella teologia cristiana,
persona della Trinità come sostanza assoluta e per sé sussistente | Unione della natura umana e divina. SIN. Incarnazione | Nella scienza delle
religioni, personificazione di concetti astratti e di nozioni morali in for5
me divine | (fig. lett.) Personificazione concreta di un concetto astratto.
Sul significato della parola “metafisica”, lo studente può considerare la
seguente definizione tratta da un dizionario della lingua italiana:
metafisica [gr. metà tà physiká ‘dopo le cose fisiche, naturali’; il n. deriva dal fatto che nella prima edizione delle opere di Aristotele i libri di
ontologia erano disposti dopo i trattati di fisica; 1294]. s. f. 1 Parte della
filosofia che, procedendo al di là dei dati dell’esperienza, perviene alla
spiegazione dei principi essenziali della realtà | (est.) Settore del sistema
filosofico di un autore riguardante questo argomento. 2 (est., spreg.)
Cosa astrusa, difficile a comprendersi, o cosa astratta, priva di rapporti
6
con la realtà concreta .
5
NICOLA ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2001, voce
Ipostasi.
6
NICOLA ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, cit., voce Metafisica.