Le madeleines proustiane di Giorgio Nonni

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Le madeleines proustiane di Giorgio Nonni
Le madeleines proustiane
di Giorgio onni
Debbo confessare subito un mio piccolo conflitto di interessi: da adolescente sono vissuto
all’ombra di un Monastero, quello di Santa Chiara, per ragioni di vicinanza geografica.
Quindi appena ho avuto in mano il libro di Giuseppe Angeli, che nasce tra le grate del
Monastero di Santa Caterina - potenzialmente concorrente con quello più a valle - ho avuto un
approccio passionale con un testo che ha risvegliato antichi ricordi, mai sopìti: un mondo che
era scandito dal suono sordo delle batraccole in tempo pasquale, da quei caffè d’orzo lunghi
di tipo conventuale “che non fanno né bene né male” tanto sono insipidi, da quell’odore
intenso di anice dei biscotti che servivano le suore in immacolati tovaglioli con le frange.
Sono queste le madeleines proustiane che mi ritornano alla mente, anche se non ho voluto
arrendermi alla piena del ricordo, ed anzi ho cercato di coltivare l’arte dell’oblio, che del
ricordo è non solo antagonista, ma indispensabile compagna.
Parere di un lettore
Liberato da questi conflitti, senza condizionamenti, posso esprimere il mio parere, per quanto
possa esso valere. Io dico che vale come lettore, in quanto la lettura è in fondo una
continuazione della scrittura: un libro infatti solo per metà è opera dell’autore, mentre l’altra
si gioca nelle mani del lettore. E il mio giudizio di lettore è senza dubbio positivo, in quanto
Angeli ha confezionato un prodotto di qualità, che nulla concede all’improvvisazione:
l’autore dimostra di conoscere appieno le leggi narrative e dimostra un uso convincente delle
tecniche del paratesto.
Paratesto
Basti vedere come Angeli è abile a tenere desta l’attenzione con escamotages narrativi che
denotano una capacità insolita in un esordiente e come sappia padroneggiare gli elementi
paratestuali che sono rappresentati dalle frequenti inserzioni di carattere apparentemente
autobiografico, segnalate dal carattere corsivo, ma in realtà elementi importanti e
fondamentali per la scansione narrativa del racconto: hanno il potere di spezzare la tensione
quando raggiunge un certo grado, ma rappresentano anche un gioco irriverente, sembrano
frasi non-sense ma in realtà sono funzionali al racconto. E sembrano quasi delle didascalie
che fanno pensare ad un testo per certi versi teatrale: del resto l’aspetto dialogico è veramente
ben curato in questo romanzo.
Scrittura e immagine: la funzione della luce
Un elemento che connota tutto il romanzo è il rapporto fecondo che si instaura tra scrittura e
immagine.
Sarebbe troppo facile dire che il romanzo è una sequenza di scatti, considerando la centralità
della fotografia, che è la causa scatenante del racconto. Eppure è proprio questo l’elemento
che caratterizza la narrazione: una teoria di istantanee colorate dalla luce abbacinante dei mesi
estivi e di quelle ore della calura, quando “le persone normali” si riposano, come il padre di
G. non si stanca di ripetere, e solo l’estroso protagonista scorrazza con il sole a strapiombo!
Il romanzo in fondo è una teoria di foto in bianco e nero nella penombra della cantina,
improvvisata camera oscura; nella penombra del parlatorio, nella luce dell’orto dietro a una
palla colorata, nella notte stellata attorno a un cerchio di suore e a una chitarra.
C’è una bellissima scena, nel momento in cui il protagonista si avventura al di là del confine
della clausura: la sua entrata nel convento, con una fila di monache che si dirigono verso una
via di fuga laterale, una lunga teoria di passi silenziosi! Come non ripensare alle immagini del
grande fotografo Giacomelli, alle tonache in movimento dei pretini del pittore Caffè!
C’è una frase che spiega bene questa visione: “Il tutto era raccontato dalla luce di grandi
finestre che stavano davanti a me”.
Mi viene in mente un flash, un film che credo si chiamasse proprio La finestra sul cortile
degli anni Cinquanta, con le sequenze in penombra: due mondi, due case di fronte, due
finestre aperte sul cortile. In una casa una donna ha preparato la tavola anche per un
compagno che non c’è: è sola, alza il calice in un improbabile brindisi a due; dall’altra parte
un uomo osserva la scena, non si conoscono, ma risponde al brindisi, in una ideale comunione
di affetti, di sensi. Così avviene anche nel romanzo, perché nel tempo si stabilirà una unione
tra due mondi apparentemente così lontani.
Taciturnitas
Una delle caratteristiche di coloro che seguono le regole dell’ordine monastico è la
taciturnitas, una qualità che al di là di proporsi come una attitudine al silenzio e quindi
all’ascolto della parola di Dio, sembra a prima vista connotarsi come negativa, quasi un modo
ostile di proporsi agli altri e di arroccarsi su se stessi.
E’ in questa taciturnitas che si appunta l’occhio indagatore (o l’obiettivo fotografico)
dell’autore-protagonista, che cerca di scavare e di introdursi nei meandri apparentemente
insondabili dello sguardo di una monaca di clausura.
Proprio qui egli svela la sua innegabile capacità di penetrare nella psiche di una persona che è
indubitabilmente più ricca e variegata di chi vive invece nel mondo secolare in una apparente
“libertà”.
Ed è veramente abile Angeli a costruire i tempi narrativi e a delineare i personaggi che
crescono nel tempo e si definiscono nello sviluppo del racconto.
Suor L.
Per violare un mondo “altro” ci vuole sempre una figura che si ponga come mediazione, una
sorta di Virgilio che accompagni per mano il giovane all’interno del monastero e all’interno
della vita: sì, perché questo è veramente per il protagonista un percorso di vita, un’esperienza
che non porterà solo frutti in termini di “scatti”, ma riuscirà a consegnarci un individuo
liberato dalle scorie, un personaggio “purificato”.
La figura che lo aiuta nel difficile compito è Suor L., che funge da specchio e rimbalza
l’immagine del protagonista. E’ una figura che si staglia da questa coralità di anime, ed è
quella che si assume l’onere di introdurlo nel segreto della grata, quella che lo farà entrare
nella cassapanca dei ricordi più personali, che lo farà partecipe del suo mondo.
Ma qui assistiamo a un primo sdoppiamento.
All’inizio è il protagonista che utilizza un obiettivo fotografico per scrutare questo mondo
misterioso, ma in realtà noi da subito avvertiamo lo sguardo di questa suora che scruta il
nostro mondo, con uno scambio di ruoli tra i due protagonisti: l’autore rappresenta il mondo
cosiddetto reale che ha su di sé gli occhi indagatori di questa donna che si riappropria della
sua umanità, che sembrava perduta.
In questo sdoppiamento di ruoli, il protagonista è riuscito nell’intento di far comunicare due
mondi apparentemente lontani: con la sua ingenuità è riuscito a scalfire la rigida disciplina
della regola, è riuscito ad animare un giardino pensile fiorito, e abitato sorprendentemente dai
gesti atletici di donne che emanano sudore per lo sforzo [“la gioia, l’ironia e soprattutto il
sudore ci univano” p. 134], mentre finora nell’immaginario collettivo eravamo abituati a
vedere questi visi fasciati dal velo come entità statiche e in perenne contemplazione.
Sto parlando di gesti di donne, perché l’autore l’ha detto subito nella sua dichiarazione
programmatica: “Volevo ritrarre la donna all’interno del monastero” e ancora egli parla di
“una comunità di suore che si fa donna” (p. 31).
Con grande delicatezza il protagonista è riuscito nel compito veramente difficile di far
ritrovare a Suor L. il suo passato, i suoi sogni, il suo essere donna, quell’amore per la
fotografia che accomuna entrambi (splendida la scena in cui lei riprende contatto con la
macchina fotografica, quasi con religiosità, in un momento di riappropriazione di se stessa).
E, in fondo, l’amore per la fotografia è poi la stessa molla che in realtà muove tutto: il
romanzo e la vita di Giuseppe che qui si fondono.
Ma il protagonista riesce a far tirar fuori a Suor L. una frase da donna: “Non sono bella!”,
quando si porge con pudore all’obiettivo, quasi si attendesse forse dall’interlocutore una
conferma della propria femminilità. Conferma che avverrà più tardi, quando avviene un
piccolo incidente nella grande cantina del convento, con il protagonista che finisce
inavvertitamente in un pozzo d’acqua e si bagna completamente: un imprevisto minimo, ma
che turba l’equilibrio della norma, della regola. E’ una scena di grande intensità: Suor L.
cerca con una cannuccia di aspirare dalla botte il vino che esce zampillando bagnandole il
volto: entrambi sorridono e come coronamento di questa scena arriva l’attesa conferma dalle
parole del protagonista: “Sei bellissima!”. Un evento che nel mondo reale sarebbe di poco
conto, ma qui tutto viene amplificato e sembra funzionale allo scatto fotografico che
immortala l’attimo fuggente: un evento che non dovrà essere divulgato, né alla Superiora, né
ad altri. Dovrà restare nell’anima dei protagonisti. E ora in quella dei lettori, compagni di
viaggio di G. [Giuseppe o diminutivo che sia, come una sola volta lo definisce Suor L.]
Cosa dire?
Non sono in grado di offrire consigli a Giuseppe se non in funzione della mia maggiore età.
Al di là di qualche ingenuità debbo dire che maturando le proprie idee non in solitudine, ma
aprendosi al confronto con autori e critici (e il suo carattere apparentemente intriso di pudore,
ma molto deciso, lo aiuterà!), questo giovane potrebbe approntarci nuove sorprese, anche
perché so – ma solo vagamente – che qualcosa è in cantiere. Io l’ho solo invitato, dopo avergli
fatto i complimenti per questo bel prodotto, a giocare per sottrazione: a scrivere, scrivere e
scrivere, ma poi anche a tagliare e a sistemare la pagina scritta, a fissare l’inquadratura, a
cambiare obiettivo, a zoomare e a giocare col grandangolo per darci primi piani profondi e
allargare la visione. Insomma un lavoro duro, ma credo che sia nelle sue corde.
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Le madeleines proustiane di Giorgio Nonni
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Oggetto:
Autore:
girolamo valenza
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Data creazione:
19/01/2009 20.04.00
Numero revisione:
1
Data ultimo salvataggio:
19/01/2009 20.29.00
Autore ultimo salvataggio: girolamo valenza
Tempo totale modifica
25 minuti
Data ultima stampa: 19/01/2009 20.30.00
Come da ultima stampa completa
Numero pagine: 4
Numero parole: 1.471 (circa)
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