PPT1 Oggi cercheremo di mettere a fuoco il tema della guerra

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PPT1 Oggi cercheremo di mettere a fuoco il tema della guerra
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Oggi cercheremo di mettere a fuoco il tema della guerra, quella di Troia, in due tragedie di Euripide,
l’Ecuba e l’Elena, che presentiamo qui associate, quasi a costituire un dittico. Piu’ precisamente,
proveremo a osservare le conseguenze di quella guerra su vinti (i Troiani) e sui vincitori (i Greci) e
anche, in parte, sul paesaggio. Le conseguenze della guerra costituiranno dunque il nostro filo
conduttore odierno. Alla parafrasi in senso stretto sara’ preferita la lettura di alcuni momenti chiave e
temi salienti incentrati sulla guerra come fenomeno che modifica profondamente le vite degli uomini,
arrivando anche al punto di corromperle o annullarle.
In queste due tragedie assistiamo a eventi straordinari, come metamorfosi e creazione di doppi; tuttavia,
questi testi sono anche fortemente ancorati alle cose del mondo e ai suoi valori (quelli del tempo,
beninteso). PPT2 La letteratura, quasi statutoriamente, ha un suo preciso programma ideologico che
nella maggior parte dei casi intende anche essere edificante. PPT2 Tuttavia, come osserva Massimo
Fusillo (Estetica della letteratura, 186), la letteratura ‘non puo’ parlarci del mondo in maniera troppo
diretta e didascalica: altrimenti rischia di perdere ogni valore estetico.’ Non dimentichiamo peraltro che
quello della guerra di Troia e’ piu’ che un tema storico, un tema mitico o comunque fortemente
mitizzato.
Entrambe le tragedie sono temporalmente situate nella fase post-bellica. PPT3 Nell’Ecuba il conflitto si
e’ in realta’ da poco concluso e i Greci stanno per fare ritorno in patria (il nostos) con le prigioniere
troiane, che costituiscono il loro bottino di guerra. Nell’Elena sono trascorsi 17 anni dall’inizio della
guerra, ma quell’evento continua a rimanere ben presente nella memoria dei personaggi, alcuni dei quali
si ritrovano ancora ‘prigionieri’ delle sue conseguenze (in primis, la coppia scissa di Elena e Menelao).
Quanto al dato spaziale, dove cioe’ le rispettive vicende sono di scena, in entrambi i casi siamo lontani
da Troia: nell’Ecuba relativamente lontani, dato che l’ambientazione e’ la costa del Chersoneso,
nell’Elena invece molto piu’ distanti, luogo dell’azione e’ l’Egitto. In termini di ‘cronotopo’, mutuando
un po’ liberamente questa definizione dalla terminologia bachtiniana, gli indicatori spazio-temporali non
coincidono con quelli effettivi della guerra di Troia (si tratta naturalmente di operare una selezione, di
scegliere un momento ‘fecondo’ nel continuum della storia e del mito per permettere a quella specifica
vicenda di emergere e diventare visibile, altrimenti detto per far diventare il mondo ‘discorso’;
inevitabilmente spazio e tempo contengono anche molte informazioni sociali, culturali, antropologiche
che si riflettono sulle azioni che sono l’oggetto della letteratura).
Il secondo aspetto, che vale ancora come considerazione generale, e’ che la guerra e le sue conseguenze
saranno osservate da una specola privilegiata, quella dei due personaggi principali delle rispettive
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tragedie, Ecuba ed Elena PPT4, la regina vinta e la regina ‘vincitrice’, volendo ricorrere a questa facile
dicotomia, anche se in realta’, alla fine della guerra, Elena viene presentata di fatto come una
prigioniera. E’ un punto d’osservazione che ha inevitabili implicazioni in termini di genere inteso come
gender e genre. Molte altre tragedie sono infatti incentrate su personaggi maschili, attorno a cui ruotano
le dinamiche essenziali della vicenda tragica. Qui invece sono di scena delle donne alle prese con un
tema ‘pesante’ come appunto quello della guerra (sull’aspetto del peso, contrapposto alla leggerezza,
faccio ritorno fra un attimo).
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L’Ecuba e l’Elena non sono le uniche tragedie del ‘ciclo troiano’ euripideo. Anche le Troiane vi fanno
parte, anzi, le Troiane sono la tragedia della guerra per eccellenza, ma ho voluto intenzionalmente
escluderle da questa analisi per poter osservare i personaggi di Ecuba ed Elena mentre agiscono in due
contesti separati (nelle Troiane, al contrario, le due regine si incontrano, confrontano e scontrano sulla
scena). A dire il vero, l’Elena e’ un testo di circa una decina d’anni posteriore all’Ecuba e non fa parte
propriamente delle tragedie di guerra, ma il tema della guerra e delle sue conseguenze, remote e
attualissime al tempo stesso per la protagonista dell’opera, e’ di assoluta centralita’. Ho scelto l’Ecuba e
l’Elena perche’ costituiscono un ideale dittico che ci consentira’ di osservare le sorti di due regine non
solo appartenenti a schieramenti opposti, ma anche generalmente associate a sistemi di valori polari
(Ecuba regina virtuosa, Elena maestra di seduzione).
A questo punto vorrei spiegare meglio l’opposizione peso vs leggerezza a cui facevo riferimento poco
fa. PPT6 E’ una dicotomia concettualizzata da Italo Calvino nelle sue geniali ‘Lezioni americane’, il cui
primo capitolo si intitola appunto ‘Leggerezza’. Naturalmente si tratta dell’aspetto della leggerezza in
letteratura, che per Calvino assurge a valore positivo (per inciso, nelle Rane di Aristofane, che Calvino
non cita e in cui vi e’ la famosa scena della pesatura delle tragedie di Euripide ed Eschilo, messe su una
bilancia quasi fossero un agnello, sara’ Eschilo, l’autore piu’ ‘pesante’, a vincere a dimostrazione di
come il peso talvolta possa essere indice di valore; i valori attribuiti a peso e leggerezza non sono
dunque sempre univoci e invariati). Personalmente, amo questa opposizione calviniana, peraltro
splendidamente tematizzata da Milan Kundera nel suo romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, e
vorrei provare ad applicarla alla lettura del nostro dittico euripideo.
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La materia dell’Ecuba e’ pesante, l’articolazione drammatica si snoda attraverso le morti di ben due dei
figli piu’ giovani della regina, la figlia Polissena e il figlio Polidoro. Allo stesso modo, si pongono come
intrinsicamente pesanti la vendetta di Ecuba nei confronti, come vedremo, di Polimestore, e la sua
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trasformazione in cagna, senza contare che la tomba stessa della regina (sema) dara’ il nome al
promontorio contiguo (‘Capo Cagna’): il peso del dramma e’ trasferito anche sul finale.
Nell’Elena, invece, vi e’ happy ending: la donna riuscira’ a fuggire per mare in compagnia del marito e a
lasciarsi alle spalle l’Egitto, Troia e la cattiva fama con la quale ha – ingiustamente – convissuto per
anni. Il suo stesso doppio, un simulacro fatto di nuvole (una delle sostanze piu’ leggere in natura),
ammicca a momenti piu’ leggeri. In effetti, il dramma e’ percorso da una vocazione alla leggerezza, che
finira’ per farci obliterare la pesantezza delle conseguenze della guerra di Troia che pur e’ ben delineata
nel testo. Si noti, del resto, e ci ritorneremo piu’ puntualmente nell’analisi dell’Elena, che e’ stato
proprio il simulacro la causa del conflitto. Una causa cosi’ leggera per una guerra cosi’ pesante non puo’
se non innescare un’amara riflessione sull’assurdita’ di quell’avvenimento.
PPT8 Ma chi sono Ecuba ed Elena? Sono personaggi che provengono dal mondo eroico omerico e che
entrano a tutti gli effetti nel canone dei personaggi del mito antico. Ecuba, la moglie del re troiano
Priamo, colei che, a causa della guerra contro i Greci, perde marito, figli, figlie e patria. E’ dunque un
personaggio che subisce la progressiva privazione di famiglia, affetti e regalita’, facendosi metafora di
quello che e’ il destino dei vinti. Elena e’ la moglie del greco Menelao, rapita da Paride, condotta a Troia
e causa scatenante, almeno cosi’ si crede, del conflitto. Nel mondo epico Elena viene rappresentata
come la vera responsabile della guerra, l’origine delle morti e della rovina, simbolo del potere
pericolosamente seduttore dell’eros. Euripide, vedremo, recupera invece nell’omonima tragedia una
tradizione diversa PPT8, una sorta di variante del mito, che si fa risalire al poeta Stesicoro e che ci
consegna un altro ritratto di questo controverso personaggio. Nella tragedia euripidea, Elena e’
presentata come la vittima di una trama divina. Tutti la credono colpevole, ma in realta’ lei non e’ mai
stata a Troia, dove e’ stato inviato al posto suo un simulacro d’aria a lei in tutto identico. L’esistenza di
versioni in concorrenza non costituisce un problema per gli autori antichi che ricavano le loro storie
lavorando sia sulle versioni per cosi’ dire ‘ufficiali’ sia sulle loro varianti, che consentono di costruire
percorsi narrativi diversi. Nulla vieta che Euripide, qualche anno piu’ tardi, nell’Oreste opti per la
versione classica della vicenda troiana, proponendoci, come gia’ aveva fatto nelle Troiane, un’Elena
fatua e colpevole.
Abbiamo accennato sopra al genere in termini di gender, puo’ essere utile ora commentare brevemente
anche il genre, nel senso dunque di genere letterario, in cui ci troviamo PPT8: e’ materia drammatica,
non epica, anche se chiaramente attinge abbondamente da quest’ultima. I personaggi che osservemo,
pertanto, piu’ che raccontarci una vicenda, la metteranno essi stessi in scena in un lasso di tempo
inevitabilmente piu’ ristretto di quello dell’epica. Come per l’epica, anche lo spazio tragico e’ popolato
di personaggi ‘alti’, dei ed eroi, che sono anche gli unici ad avere la possibilita’ o la dignita’ di comparire
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in tragedia. La riflessione sul dolore e i dilemmi etico-intellettuali sono elementi costitutivi della tragedia
che e’ un genere ‘aristocratico’ (cf. Garboli PPT8) [a questo proposito, si osservi quanto piu’
interessante ci appaia oggi certa letteratura popolare sulla guerra, come ad esempio quella sulla Grande
Guerra indagata da Antonio Gibelli nelle lettere dei soldati dal fronte, i cosiddetti ‘protagonisti senza
importanza’: La grande guerra. Storie di gente comune, Laterza 2014].
Quello che conserviamo del teatro antico oggi sono quasi esclusivamente i testi, i copioni per cosi’ dire,
mentre e’ andata perduta tutta quella parte relativa alla performance, alle musiche, alla danza del coro, al
cromatismo, alle voci, ai costumi, alla scena, alla gestualita’ degli attori. Cio’ che abbiamo non puo’ se
non restituirci un quadro parziale dell’originale evento drammaturgico. Il senso dell’azione drammatica
doveva essere percepito con grande forza dal pubblico antico, se pensiamo che dramma deriva da drao
che significa appunto ‘fare’. PPT8 Il dramma e’ cio’ che viene fatto, agito sulla scena. O, se osserviamo
il tutto dalla prospettiva opposta, il teatro (da theaomai) e’ cio’ che viene ‘guardato’, implica cioe’ un
pubblico, degli spettatori attivi. PPT8 Per noi il teatro antico oggi e’ fatto di testi che fruiamo attraverso
il tipico atto moderno della lettura mentale, che e’ anche un rito molto privato. La destinazione
originaria era al contrario collettiva e assolveva funzioni politiche e sociali. Nel teatro greco, per
esempio, assistere a degli spettacoli equivaleva a sperimentare e condividere emozioni al tempo stesso
etiche ed estetiche e a interrogarsi sul problema del bene e del male. Ed e’ proprio questo il problema
davanti a cui e’ posto lo spettatore antico e anche noi, lettori moderni, nell’atto di osservare le
conseguenze della guerra nell’Ecuba e nell’Elena (anni composizione Guerra del Peloponneso!)
Un’ultima postilla abbastanza ovvia, ma necessaria. Cercare di spiegare dei testi teatrali senza l’apparato
di scena e senza un’esecuzione finisce per essere un’operazione inevitabilmente parziale. La letteratura
teatrale, pero’, come del resto ogni tipo di buona letteratura, ha la capacita’ di suscitare nel lettore delle
immagini. PPT8 Compito del lettore e’ dunque anche riuscire a intuire e attivare la componente
visionaria dei testi (idea questa particolarmente cara al critico Cesare Garboli), perche’ non si puo’
capire un testo letterario senza riuscire a ‘vedervi’ qualcosa, tanto piu’ quando e’ un testo teatrale a
essere meso al centro dell’analisi.
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Dicevamo del peso dell’/nell’Ecuba. Sotto questo profilo gia’ l’incipit ci appare pesante. PPT9 E’ noto
come l’inizio in letteratura, fin dall’antichita’, rappresenti un luogo testuale privilegiato: costituisce il
momento di distacco dalle molteplici possibilità del mondo che viene reso ‘discreto’ e dunque
accessibile.
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Il prologo dell’Ecuba e’ recitato dallo spettro di Polidoro, apparizione apparentemente leggera, ma in
realta’ apportatrice di notizie terribili: egli ci informa che il suo corpo giace insepolto sulla riva del mare,
mentre la madre Ecuba lo crede ancora vivo e al sicuro presso l’ospite Polimestore. Polidoro e’ uno di
quei personaggi che, pur non coinvolti direttamente nel conflitto, ne paga funeste conseguenze. Era
stato mandato presso l’amico Polimestore in Tracia, data la giovanissima eta’, dal padre Priamo assieme
a molte ricchezze. Polimestore, in seguito alla caduta di Troia, lo uccide per mettere le mani sull’oro,
infrangendo il sacro patto d’amicizia con Priamo ed Ecuba. L’assassinio di Polidoro diventa pero’
centrale, con abile ripresa e colpo di scena da parte dell’autore, nella seconda parte del dramma. PPT9
Nella prima, l’azione ruota tutta intorno alla morte della figlia piu’ giovane dei sovrani troiani, Polissena.
La guerra e’ finita, molti eroi di entrambi gli schieramenti sono morti, i Greci si stanno preparando al
ritorno in patria, ma il fantasma d’Achille ne blocca capricciosamente la partenza. Reclama il sacrificio
di Polissena come gesto dovuto, vera e propria necessita’. PPT9 L’inizio della tragedia e’ dunque
popolato di impalpabili fantasmi (quelli di Polidoro e Achille), ma nell’aria fin da subito c’e’ grande
pesantezza, PPT9 come dimostrera’ l’arrivo del coro di li’ a breve. Dopo il suo ingresso, il coro si
rivolge a Ecuba, che e’ giunta sulla scena poco prima, e le porta il peso di gravi notizie, cioe’ l’ordine del
sacrificio di Polissena (104-6) PPT9:
οὐδὐν παθέων ποκουφίζουσ,
ὐλλὐ ὐγγελίας βάρος ὐραμένη
μέγα σοί τε, γύναι, κὐρυξ ὐχέων.
Il sacrificio di Polissena, che suggella definitivamente la fine della spedizione dei Greci a Troia (e che
peraltro richiama un analogo atto sacrificale, da cui la spedizione ha preso il via dieci anni prima, quello
di Ifigenia) e’ un ulteriore rivolo di sangue che si aggiunge a quelli degli eroi caduti ‘regolarmente’ –
potremmo dire – nel conflitto. Tale evento si configura percio’ come una prima conseguenza, un primo
sanguinoso strascico della guerra pur conclusa (l’inglese ha un termine efficace, aftermath, che contiene
gia’ in se’ l’idea di un ‘dopo’).
Il modo in cui Polissena affronta la morte e’ esemplare: la sofferenza le deriva non tanto dal fatto di
morire, ma di dover lasciare la madre in tale situazione di disperazione e solitudine: PPT9 ‘se piango
madre, piango te / con lugubri lamenti. / Non piango per la mia vita, che è sozzura e rovina: / la morte
è un avvenimento migliore per me’ (211-5). Lei, figlia di re, non puo’ accettare di continuare a vivere in
uno stato di schiavitu’ (‘la vita senza onore e’ una tortura’). Il momento stesso dello sgozzamento, che
ci viene riferito da Taltibio, messaggero dei Greci e che quindi non vediamo sulla scena, e’ una summa di
eroismo e pudore. La giovane, nell’atto di venir sacrificata sulla tomba di Achille per mano del figlio di
quest’ultimo, Neottolemo, non solo porge lei stessa coraggiosamente il collo, ma ha anche cura di
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cadere composta. Polissena incarna l’impossibilita’ di restare in vita e di accettare i compromessi della
sopravvivenza (la schiavitu’ nel caso specifico), dopo che le condizioni esterne sono mutate e non
garantiscono piu’ una vita dignitosa. PPT9 Il comportamento della giovane assurge a paradigma della
stabilita’ del bene nelle avversita’: non cerca di corrompere o persuadere il nemico per aver salva la vita
e non cerca neppure vendetta. Rinunciando alla propria vita, dimostra che di fronte al male (e ai suoi
eccessi) e’ possibile rimanere virtuosi. Se osserviamo le conseguenze della sottrazione di Polissena sul
personaggio di Ecuba, il primo effetto prodotto e’ di rendere ancora piu’ evidente la solitudine della
regina, la cui famiglia si e’ gia’ sgretolata per la quasi totalita’. PPT9 La solitudine di Ecuba e’ un segnale
dell’isolamento completo del personaggio che si realizzera’ a fine tragedia. PPT9 Il male per Ecuba
proviene certamente dai nemici, i Greci, che le hanno sterminato la famiglia, distrutto la citta’ e che ora
hanno deciso anche in modo cruento della sorte di Polissena. Ma la vicenda svelera’ dei retroscena ben
piu’ complessi tali da mettere in totale discussione le basi stesse dei rapporti umani e dell’amicizia, con
forti implicazioni etiche in tema di vendetta e giustizia.
A questo punto vorrei proporvi una piccola incursione a margine sull’aspetto del cosiddetto wordplay e,
nel caso specifico, dei nomi parlanti. Si tratta di un fenomeno che, nelle sue numerose declinazioni,
mostra come gli autori antichi, tra cui anche quelli tragici, siano attenti a sfruttare le potenzialita’ del
linguaggio soprattutto in presenza di nomi propri. Grazie all’espediente del wordplay, i nomi dei vari
personaggi che abitano lo spazio tragico possono farsi portatori di tratti distintivi del personaggio
stesso, quali l’ethos, l’attitudine, persino la sorte che lo attendera’ (cf. Edipo). PPT10 Si pensi a Elena
che, in un famoso coro dell’Agamennone di Eschilo (689), e’ definita ‘rovina di navi, uomini, citta’’.
Paraetimologicamente, infatti, il suo nome e’ ricondotto alla radice hel- nel significato di ‘catturare’,
‘distruggere’. Analogamente, Aiace nell’omonima tragedia sofoclea, lamentandosi della sua sorte nel
monologo che precede il suicidio, esordisce con l’esclamazione AIAI: il lamento e’ gia’ scritto, in forma
iterata, nel nome proprio.
Per quanto riguarda Ecuba, la cui forma greca e’ Hekabe, sono dell’avviso che il testo di Euripide
rappresenti il punto partenza di un gioco onomastico che maturera’ in alcuni autori successivi. Sia
nell’Ecuba sia nelle Troiane la regina e’ descritta in varie occasioni nell’atto di giacere a terra supina (il
verbo usato e’ ‘keimai’). Nell’Ecuba, al messaggero dei Greci giunto sulla scena il coro indica la regina
distesa supina, con la schiena appoggiata a terra, avvolta nei pepli (486-7).
αὐτη πέλας σου νὐτὐ ὐχουσὐ ὐπὐ χθονί,
Ταλθύβιε, κεὐται ξυγκεκλὐμένη πέπλοις
Taltibio la scorge (‘schiava, vecchia, senza figli, senza marito, senza citta’, a terra, con il capo lordato di
polvere’) e la invita a rialzarsi. La grammatica dei gesti e’ estremamente eloquente e si addice a
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un’anziana prigioniera messa a dura prova dalle imposizioni del nemico (la consegna di Polissena). La
postura evoca la posa di un cadavere. La regina si e’ persino avvolta nei pepli, gesto che e’ stato
interpretato non solo come una simulazione di morte, ma anche come un tentativo di celare l’enormita’
del proprio dolore. La posa si fa metafora dell’abbattimento morale del personaggio. Anche nelle
Troiane la prima apparizione di Ecuba e’ da distesa. La’, addirittura, non riesce a staccarsi dal suolo su
cui giace supina, ha le membra pesanti e doloranti. Euripide presenta dunque in modo ricorrente la sua
Hecabe in una postura orizzontale. Gli autori latini dispongono della forma Hecuba, che sembra
innescare un gioco onomastico sulla sillaba -cub- di alcuni verbi composti derivati da cubo (cumbo con
infisso nasale per indicare il protrarsi dell’azione nel presente). Tali verbi esprimono nel relativo
contesto sempre un’idea di caduta, abbattimento o prostrazione, che richiama la posa ‘canonica’
dell’Hekabe greca. Il primo esempio e’ da Virgilio, in cui in realta’ il verbo e’ riferito al palazzo reale, ma
compare a brevissima distanza dalla menzione del nome di Ecuba PPT11: Verg. Aen. 2.501-5 vidi
HeCUBam ... / proCUBuere. Vi sono poi due passi da Seneca in cui tali verbi si riferiscono al destino
di Troia e a Ecuba stessa: PPT11 Sen. Tr. 14 Pergamum inCUBuit sibi (sta parlando Ecuba); PPT11
950 labefacta mens suCUBuit (Andromaca sta parlando di Ecuba). Ecuba talvolta assurge anche a
simbolo della citta’ stessa, le loro sorti sono accomunate dalla medesima idea di decadenza, tanto che,
nella loro funzione di personaggio e luogo-simbolo, Ecuba e Troia finiscono per essere intercambiabili.
Non c’e’ dunque wordplay in senso stretto nel testo euripideo, tuttavia la costante associazione di Ecuba
alla posa supina costituisce una sollecitazione latente del testo che viene recepita successivamente e fatta
emergere in virtu’ delle possibilita’ linguistiche del latino. PPT11 Ma la postura non eretta di Ecuba,
oltre a evocare l’idea della sconfitta e della morte che aleggia sull’intera citta’, e’ anche un segnale
anticipatorio dell’imminente metamorfosi della donna in animale.
Nella prima parte del dramma, Ecuba e’ prostrata fisicamente e mentalmente dalle conseguenze della
guerra, anche se non restera’ inattiva per molto. PPT12 La morte di Polissena e’ certamente un male
che si aggiunge a molti altri (questa immagine dei mali che si accumulano e’ ricorrente nelle tragedie
della guerra), pero’ il comportamento nobile e coraggioso della figlia davanti alla morte riesce a lenire il
dolore della madre. Ecuba, nonostante tutto, rimane ferma nella convinzione che tra gli uomini coloro
che sono malvagi continueranno a esserlo, cosi’ come i buoni continueranno a essere buoni: PPT12 gli
eventi non guastano l’indole onesta, se vi e’ stata educazione al bene. Tuttavia, come vedremo, la
seconda parte della tragedia, segnera’ una rottura con queste apparentemente salde convizioni morali.
Prima di rientrare nella tenda, Ecuba invia un’ancella alla riva del mare a raccogliere dell’acqua per i riti
da riservare a Polissena. PPT12 L’ancella fa ritorno con un cadavere che Ecuba non ha dubbi essere
quello di Polissena; invitata a osservare piu’ attentamente, realizza essere quello del figlio Polidoro
creduto in salvo in Tracia presso l’ospite Polimestore. PPT12 Il riconoscimento, momento pregnante
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nel teatro antico, svelando la verita’, si fa portatore al contempo di conoscenza e sofferenza. La vicenda
del giovane Polidoro, trucidato dall’amico del padre per il possesso dell’oro, come gia’ abbiamo appreso
nel prologo recitato dal suo stesso spettro, e’ il secondo esempio delle conseguenze della guerra sui
vinti. Pur non avendo fisicamente preso parte al conflitto, finisce per essere, ancor piu’ che coinvolto,
travolto dalle vicende della guerra. Muore per l’avidita’ di colui che era l’amico piu’ fedele della sua
famiglia, Polimestore, che tuttavia gia’ nel nome pare contenere un’allusione alla sua natura
ingannevvole: ‘colui che da’ molti consigli’, ma medomai significa anche ‘complottare’. Si noti per inciso
come in questa tragedia i ‘molti inganni’ vadano di pari passo con i ‘molti doni’ del nome di Polidoro e
la ‘molta ospitalita’’ di Polissena. L’ospitalita’ e l’amicizia sono i valori che escono sconfitti da questa
vicenda ‘parabellica’. Anzi, il valore sacro dell’ospitalita’ sembra contare ben di piu’ nel contesto bellico
vero e proprio, come dimostra il caso esemplare di Glauco e Diomede di Il. 6.
Ecuba, a riconoscimento avvenuto, si sente oberata dai mali che sembrano non esaurirsi mai, maledice
l’ospite e si chiede (715) dove sia finita la legge dell’ospitalita’, principio sacro e inviolabile per la societa’
arcaica PPT12:
ποῦ δίκα ξένων;
A questo punto i delicati equilibri interni al dramma e all’ethos stesso di Ecuba iniziano a vacillare. Il
binomio giustizia-ospitalita’ violata diventa centrale nello sviluppo della vicenda drammatica. PPT12 E’
peraltro degno di nota che Ecuba, nell’escogitare la punizione del traditore, che fu un amico, si servira’
della complicita’, o meglio della connivenza, di un nemico, un arcinemico, Agamennone, a
dimostrazione di come la guerra riesca a stravolgere qualsiasi regola anche all’interno dei rapporti
umani, come osserva il coro in 846-9. Che dai nemici possa venire fiducia o fedelta’ e dagli amici
tradimento e crimine e’ una situazione paradossale che prepara la scena all’esplosione di violenza finale.
Nel suo splendido isolamento l’anziana regina gestira’ il suo piano di vendetta senza che, per una volta,
alcun dio intervenga nell’epilogo del dramma.
PPT12 L’anziana donna realizzera’ la sua vendetta privata tramite l’inganno (dolos), modalita’ che si
addice perfettamente al genere femminile. E forse non e’ un caso che l’intermezzo corale (905ss.), che
segue l’annuncio da parte di Ecuba del suo piano di vendetta, abbia per oggetto proprio il momento
della presa di Troia: com’e’ noto, la presa della citta’ avvenne grazie all’inganno del cavallo.
L’indissolubile binomio di dolos e morte si ripete ciclicamente nelle vicende umane.
PPT12 L’arrivo sulla scena di Polimestore e’ un momento drammatico di grande tensione. Il re tracio
dimostra finta compassione per Ecuba, la regina evita di guardarlo diritto negli occhi, spiegando che lo
stato miserabile in cui versa non glielo consente. Lo sguardo obliquo non solo e’ un segnale d’ostilita’,
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ammicca anche all’organo della vista di cui a breve Polimestore sara’ privato. Dopo che l’ospite ha
rassicurato falsamente la regina sul fatto che Polidoro e l’oro sono entrambi al sicuro, Ecuba lo attira
nella tenda delle prigioniere troiane con la promessa che gli svelera’ il luogo in cui si trova un tesoro.
Nella tenda si consumamo l’uccisione dei figlioletti di Polimestore e il suo accecamento, scena che resta
come di consueto celata al pubblico, che ne viene a conoscenza solamente udendo le grida del
personaggio dall’interno.
Ecuba si allontana rapidamente e Polimestore ritorna in scena muovendosi a quattro zampe
(τετράποδος) come una bestia selvaggia sulle tracce (κατῦ ῦχνος) della regina (1071-5).
L’accecamento va di pari passo con un processo di de-umanizzazione nella rappresentazione di
Polimestore che avanza carponi.
Polimestore ha ucciso per avidita’, per entrare in possesso dell’oro di Priamo, come abbiamo gia’ piu’
volte detto. PPT12 Ecuba uccide e acceca per punire questo gesto. Non ha neppure il tempo di
elaborare i numerosi lutti della sua famiglia causati da una lunga e rovinosa guerra che gia’ deve farsi
giustizia da sola per vendicare l’ospitalita’ violata di Polimestore. I fatti di questa tragedia rendono bene
l’idea di un susseguirsi di mali innescati, per cosi’ dire, dal male originario della guerra di Troia. PPT12
Anche Ecuba da’ il suo contributo in questa catena di mali esercitando con la vendetta la sua giustizia
privata. Giustificare l’atto di Ecuba invocando un principio di giustizia e’ certamente un aspetto
controverso di questa tragedia, almeno per noi moderni, come avviene anche con un’altra eroina
euripidea, Medea. In entrambi i casi si tratta di vendette efferate (ricordiamo che Medea, per vendicarsi
del marito che l’ha abbandonata per la figlia del re di Corinto, uccide i due figli avuti da Giasone), ma in
qualche modo autorizzate dal sistema di colpa-punizione vigente in quel tipo di societa’. Sono atti di
giustizia che potrebbero suscitare una certa contrarieta’: e’ giusto punire con la morte o con atti feroci
chi ha violato giuramenti o principi sacri come l’ospitalita’? Noi potremmo forse riscontrare eccesso
nelle vendette di Ecuba e Medea, eppure non solo le due protagoniste non subiscono a loro volta alcun
tipo di punizione, ma sembra anche esserci piena assoluzione per entrambe nell’epilogo delle loro
storie, come vedremo piu’ nel dettaglio per Ecuba. La giustizia violenta ha percio’ un suo fondamento
di legittimita’ (e non solo nel mondo barbaro rappresentato da questi due personaggi che greci non
sono).
Il ruolo di Polimestore nel dramma non si esaurisce con l’accecamento: sara’ proprio il personaggio
punito ad annunciare a Ecuba l’imminente morte e la trasformazione in animale: la regina diventera’
una cagna, salira’ sull’albero della nave che sta per condurla in Grecia, precipitera’ nel mare e la sua
tomba fara’ da segnale ai naviganti. PPT13 Secondo il bestiario antico, il cane e’ l’animale che occupa la
posizione piu’ bassa nella scala della nobilta’ animale, una bestia aggressiva che si ciba di cadaveri:
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PPT13 in che modo dunque dovrebbe non essere punitiva l’annunciata metamorfosi della regina, se il
cane e’ un animale cosi’ turpe? La componente aggressiva nella reazione di Ecuba e’ innegabile, ma e’
anche vero che l’immagine del cane nel mondo antico puo’ ricorrere in associazione a un significato
diverso, positivo: il cane e’ l’animale che difende fedelmente spazi e prole dagli attacchi dei nemici,
come nella famosa similitudine omerica di Od. 20.14ss. sulla cagna e il cuore di Odisseo. Peraltro, le
stesse Erinni, dee della vendetta che puniscono le uccisioni di sangue, sono rappresentate come delle
cagne nell’esercizio della loro funzione di ‘giustiziere’. E non si dimentichi che vi e’ un’immagine canina
applicata proprio a Ecuba gia’ in Il. 24, quando, dinanzi alla decisione del marito Priamo di recarsi alla
tenda di Achille per il riscatto del corpo del figlio Ettore, in uno scoppio d’ira esclama (212-3) che
vorrebbe divorare il fegato di Achille a morsi.
Non va in ogni caso trascurato un aspetto sicuramente rilevante per il pubblico antico che e’ il
momento eziologico di questa metamorfosi: la trasformazione e la morte di Ecuba diventano infatti
l’occasione per spiegare l’origine del nome del Capo Cagna nei pressi dell’Ellesponto (Kynossema).
Che significato ha dunque questa metamorfosi nel contesto dell’intera vicenda drammatica? Dall’inizio
alla fine del dramma la tensione e’ garantita da un dispiegarsi di violenza ‘giusta’ e ‘ingiusta’ che fa
seguito alla distruzione di Troia. Il fulcro dell’attenzione ruota intorno al personaggio di Ecuba, intorno
alle sue emozioni e azioni. Ecuba soffre, valuta e agisce. Non puo’ ovviamente vendicarsi dei Greci per
l’uccisione della figlia Polissena (il nemico vincitore dispone delle sorti dei vinti ed Ecuba deve accettare
questa perdita). Non accetta invece di lasciare impunita la violazione dell’ospitalita’ da parte di
Polimestore. Ma anche Ecuba deve cedere al meccanismo perverso dell’inganno, se vuole portare a
compimento il suo piano di vendetta.
PPT13 La metamorfosi in cagna che seguira’ e’ l’ultimo atto di un progressivo processo di deumanizzazione del suo personaggio, messo a dura prova dagli eventi. Ecuba e’ sopravvissuta alla caduta
di Troia, alla distruzione della sua famiglia (di li’ a breve morira’ anche Cassandra, l’unica figlia ancora in
vita), alla violenza dell’amico piu’ caro: non e’ un mondo in cui abbia piu’ senso vivere. La
trasformazione, che precede la morte, se osservata da questa prospettiva, e’ il simbolo del definitivo
isolamento della regina dalla societa’ umana. L’uscita definitiva di Ecuba dalla comunita’ degli uomini e’
il solo modo che ha la regina per liberarsi dai vincoli dei rapporti umani che si sono rilevati, in ultima
analisi, deludenti e infidi. Per questo, forse, la regina reagisce freddamente all’annuncio da parte di
Polimestore della sua metamorfosi. PPT13 Non lascia trapelare emozioni (e’ una sorta di anestesia
emotiva), pone soltanto una serie di quesiti molto tecnici, per cosi’ dire, sembra non ci sia piu’ spazio
per altre lacrime, per ulteriori sofferenze.
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PPT13 Ecuba, ritirandosi dalla societa’ umana, dimostra la totale fragilita’ del bene (M. Nussbaum), che
al contrario appariva ancora saldo e stabile, o se non altro possibile, nella prima parte del dramma
dominata dalla figura di Polissena. Il turning point della vicenda e’ la visione del cadavere di Polidoro:
quello che si presenta inizialmente come un errore percettivo-conoscitivo (Ecuba pensa sia il cadavere
della figlia appena uccisa) si trasforma di li’ a poco in un orrore percettivo-conoscitivo, da cui matura la
decisione della vendetta. Il bene appare in ultima analisi vulnerabile alle circostanze esterne.
PPT13 Quello dell’Ecuba e’ un finale pesante che non solo insinua l’idea di come non sempre sia
possibile continuare a vivere nella societa’ umana quando le circostanze esterne mutano, ma che lascia
intravedere ancora spargimento di sangue nelle morti preannunciate (sempre da Polimestore) di
Cassandra e Agamennone (1281, phonia loutra, un bagno di sangue) che in Grecia troveranno la morte
per mano di Clitemestra.
Dicevamo che la metamorfosi in cane e’ annunciata, ma non si svolge sulla scena e dunque non la
vediamo.Vorrei concludere la prima parte di questo intervento colmando questa lacuna ‘visiva’ con la
splendida rivisitazione di Ovidio in Met. 13 che suggella l’episodio dell’accecamento di Polimestore con
la metamorfosi canina di Ecuba, facendo emergere in modo molto netto un elemento implicito della
sua de-umanizzazione nel testo euripideo: la perdita della parola, Ecuba ora emette solo latrati, suoni
inarticolati, non piu’ parole PPT14
***
Uno dei cori dell’Ecuba in prossimita’ dell’epilogo ci consegna una dolorosa testimonianza sulla notte
della presa di Troia, ma anche un veemente gesto d’accusa nei confronti di colei che e’ percepita
collettivamente come la causa funesta di quel conflitto, Elena (943-52):
PPT15
Le prigioniere troiane che formano il coro dell’Ecuba non hanno dunque dubbi sul bersaglio della loro
maledizione: Elena assieme a Paride. Augurano alla donna di non fare mai piu’ ritorno in Grecia, di non
rivedere mai piu’ la patria. Peraltro la stessa Ecuba, nel momento in cui Polissena sta per essere
condotta via per il sacrificio (441-3), vorrebbe che tale sorte ricadesse su Elena:
PPT15
Questi versi ci traghettano verso la seconda tragedia che sara’ oggetto di questa presentazione, l’Elena.
Ci approdiamo con una visione un po’ pregiudiziale nei confronti del personaggio.
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PPT16 Nonostante la vicenda dell’Elena sia distante spazio-temporalmente da Troia, il passato della
guerra non esitera’ a riemergere in tutta la sua problematicita’. L’aspetto interessante dell’Elena e’ che
guarda contemporaneamente al passato, aprendosi a una nuova lettura di quei fatti, e al futuro,
momento temporale che e’ invece sostanzialmente precluso all’Ecuba, nel cui finale si affollano varie
morti annunciate.
PPT16 Nell’Ecuba abbiamo assistito alla parabola in qualche modo discendente di un personaggio
virtuoso che uccide per fare giustizia (e’ il paradosso della virtu’, perche’ Ecuba apparentemente
preserva questo valore, non si trasforma in un personaggio malvagio, anche se perde i connotati umani.
Abbiamo gia’ detto come la sua metamorfosi non sia punitiva, bensi’ risolutiva per una donna per cui
non e’ piu’ possibile rimanere nella societa’ umana).
Nell’Elena il problema della virtu’ e’ strettamente intrecciato a quello dell’effettiva responsabilita’ nella
guerra di Troia. Questa tragedia descrive la parabola ascendente del personaggio che, da universale
bersaglio delle accuse in quanto causa del conflitto, ripristinera’ la verita’ dei fatti, stabilira’ la sua
innocenza e avra’ la possibilita’ di far ritorno in patria.
PPT16 Si noti come nell’Ecuba il movimento dell’azione in termini astratti descriva allontanamento:
Ecuba perde la patria, la famiglia e la sua appartenenza al genere umano. Nell’Elena al contrario il
movimento e’ costruito attorno alla possibilita’ di un ritorno e di un rincongiungimento familiare.
PPT16 Dicevamo della leggerezza dell’Elena all’inizio di questo intervento. Fusillo, BUR, p. 27 che pur
non impiega la dicotomia peso/leggerezza, ricorre a un’efficace formulazione: parla di ‘dialettica fra la
radiosita’ del plot a lieto fine e l’oscurita’ delle sue implicazioni profonde’. Non e’ solo il lieto fine a
determinare questa leggerezza, vi sono anche altri elementi che collaborano a tale effetto complessivo,
nonostante il motivo della guerra di Troia sia un ritornello pesante e ossessivo, ma necessario, per
contrapporre la presunta colpevolezza di Elena alla sua assoluta innocenza. Il nucleo ideologico resta
percio’ quello della guerra, che pero’ in questa tragedia viene rappresentata non solo nel suo consueto
orrore, ma anche in tutta la sua assurdita’ (e’ un commento ricorrente).
Penso abbia senso anche per questa tragedia partire dal prologo che ci fornisce ampiamente gli antefatti
della vicenda: e’ Elena stessa a prendere la parola, a parlarci di se’ e dell’origine del conflitto.
PPT17 prologo slide
PPT18 Ne viene fuori un quadro angosciante, in cui dei volubili e capricciosi creano fantasmi d’aria,
scatenano rivalita’ e determinano la morte degli uomini quasi fosse un programma di pulizia e ripristino
dell’ordine cosmico (la terra va sgravata dall’eccesso di uomini che la popola, 40). A monte vi e’ la
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frivola vendetta di Era, scaturita dal giudizio di Paride che ha scelto Afrodite quale dea piu’ bella. Era e’
una dea che raramente accetta la sconfitta e che nel pantheon greco-romano viene spesso rappresentata
come divinita’ vendicativa. E’ stata lei a sostituire la vera Elena con un doppio fatto d’aria con cui
ingannare Paride, i Troiani e i Greci tutti. Il conflitto e’ determinato dunque da un concorso di fattori,
ma l’uno, verrebbe da dire, piu’ assurdo dell’altro. Il risultato e’ un numero altissimo di morti e una
reputazione, quella di Elena, distrutta, divenuta, com’ella e’, causa della guerra e paradigma di
tradimento. PPT18 Questa spiegazione delle cause della guerra di Troia appartiene a una concezione
tipicamente arcaica del complotto (gli dei fanno e disfano, tramano senza sosta), quella che Popper ha
illustrato nella sua Theory of conspiracy, secondo cui Omero ideo’ il potere degli dei in modo che ciascun
evento accaduto sulla piana di Troia rappresentasse un riflesso degli infiniti complotti orditi
sull’Olimpo. Peraltro, l’idea che la guerra di Troia sia servita a liberare la terra dal suo eccessivo
‘contenuto’ umano ritorna anche nell’Oreste 1641-2, anche se non e’ genuinamente euripidea (‘gli dei
causarono morti per liberare la terra dalla vergogna di un eccessivo contenuto d’uomini’; difficilmente la
sensibilita’ moderna potrebbe trovarsi d’accordo con questa visione).
Eppure nel prologo Elena ci consegna dei momenti piu’ ‘leggeri’ quando fa riferimento alla sua
presunta nascita da Leda e Zeus trasformato in cigno (Elena nacque da un uovo) e alla generazione del
fantasma dotato di respiro e fatto con un pezzo di cielo (34). In effetti tale combinazione di toni
antitetici e’ una caratteristica di questa tragedia, permessa anche dalla distanza spazio-temporale in cui e’
situata (condizione non possibile nell’Ecuba in cui lo scenario e’ immediatamente e tragicamente postbellico).
Nessuno e’ a conoscenza di come siano andate veramente le cose a Troia, solamente gli dei, Elena e gli
ospiti egiziani. PPT18 Il caso vuole che uno degli eroi greci che combatterono laggiu’, Teucro, il fratello
di Aiace, approdi in Egitto e si imbatta nella vera Elena che riconosce all’istante. Tuttavia, attribuisce
questa somiglianza a una coincidenza (questo e’ il primo di una serie di equivoci percettivo-cognitivi
nella tragedia). Questo incontro ha una funzione drammatica particolarmente rilevante nell’economia
della tragedia: Teucro infatti informa Elena degli eventi accaduti a Troia e dei fatti che hanno
interessato la sua famiglia. Troia e’ caduta; i Greci hanno trionfato, ma a scapito di grandissime perdite;
il marito Menelao e’ disperso per mare con la sposa (la falsa Elena che egli ha trascinato per i capelli,
dopo averla ritrovata: in realta’ e’ il doppio di Elena a esser stato sottomesso con questo violento gesto
rituale), forse e’ addirittura morto; la madre di Elena, Leda, si e’ suicidata per l’infamia che ha travolto la
reputazione della figlia; i suoi due fratelli, i Dioscuri, si sarebbero uccisi, ma sarebbero poi stati mutati in
dei.
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Sono fatti del passato che pero’ turbano profondamente Elena e il suo senso dell’onore, soprattutto ora
che riemergono in tutta la loro potenza e soprattutto ora che la speranza di ricongiungersi con Menelao,
di ricostruire l’originaria unita’ affettiva sembra venir meno. Non dimentichiamo che l’onore e’ parte
integrante dei valori del codice epico e dell’uomo omerico (e anche del V sec. a.C.), che opera sapendo
che sara’ osservato, giudicato e forse anche deriso PPT18 (e’ la cosiddetta ‘civilta’ della vergogna’, di cui
fanno parte anche l’Aiace sofocleo e la Medea euripidea).
La sofferenza di Elena ci appare autentica: dopo la partenza di Teucro, credendo peraltro che Menelao
sia morto, la donna si confida con il coro, maledice la sua bellezza, causa di sciagure, e si proclama
innocente nonostante la pessima fama di cui gode (270) e di cui ormai e’ certa, dopo le molte conferme
giunte da Teucro.
Elena e’ la prima vittima di fatti che le sono capitati (anzi, che ha subìto), ma che non ha compiuto
(285-6). La sua rhesis al coro precipita nel finale in un tono estremamente ‘bathetico’ quando si chiede
se a questo punto non sia meglio morire (297). Le considerazioni di Elena sul senso di quella guerra che
causo’ molte lacrime e dolori riflettono una chiara scissione tra il suo corpo (la cui replica artificiosa fini’
a Troia e attorno a cui fu combattuta una guerra durissima) e la sua coscienza, che e’ pulita, ma che si
trova a dover affrontare una prova estremamente impegnativa: riscattare la sua reputazione.
PPT18 Menelao in realta’ non e’ morto e sta per giungere in Egitto: sara’ proprio l’arrivo del suo
personaggio a produrre un nuovo incontro tra Elena e un greco, questa volta non di natura puramente
informativa, come con Teucro, ma ‘risolutiva’. Per consentire l’arrivo sulla scena di Menelao, Euripide
sfrutta una condizione scenica non ricorrente nella tragedia antica, l’uscita del coro dall’orchestra, coro
che rientrera’ poi una seconda volta producendo un’epiparodo. Questa ha l’effetto di introdurre un
nuovo prologo in una sorta di ideale parallelismo con il primo recitato da Elena. Menelao qui e’ l’eroe
omerico trasferito dall’epos sulla scena di un dramma. Disperso per mare da sette anni, sta ancora
subendo nel suo nostos le conseguenze della guerra (ricodiamo che all’origine di questo ritorno
travagliata c’e’ l’ira di Atena). Viene sistematicamente spinto lontano dalle coste della sua terra, complici
dei e tempeste. Ha appena fatto naufragio sul lido egiziano, si e’ salvato con la falsa Elena che viaggia
con lui (il simulacro) e pochi compagni sopravvissuti che ha nascosto in una grotta. Menelao arriva sulla
scena nei panni di un naufrago, del tutto privato della regalita’ che gli apparteneva. PPT18 La sua pero’
non e’ solamente una mancanza materiale, di mezzi, ma anche cognitiva a tutti gli effetti, in quanto e’
all’oscuro degli antefatti della guerra, dell’esistenza del simulacro e della permanenza egiziana della vera
Elena.
L’incontro tra Menelao ed Elena e’ preparato da due momenti cruciali: il primo e’ un breve scambio di
battute tra l’eroe e una vecchia serva del palazzo reale presso cui e’ ospitata la stessa Elena. Da questa
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vecchia Menelao apprende che nel palazzo ‘abita Elena, la figlia di Zeus’ (470), informazione che lo
getta nella confusione piu’ totale. Il secondo momento e’ la consultazione da parte di Elena di Teonoe,
la figlia del defunto re Proteo, dotata di poteri profetici: Teonoe l’informa che Menelao e’ ancora in vita
e che si trova molto vicino a lei (538).
PPT18 In entrambi i casi si tratta di informazioni parziali che necessariamente devono essere e
rimanere tali per consentire il vero e proprio incontro e imminente riconoscimento tra marito e moglie.
Si osservi che e’ un riconoscimento atipico, in quanto solo una della due parti e’ alla ricerca dell’altra,
vale a dire Elena (Menelao e’ convinto di avere con se’ la sposa dopo essersela ripresa a Troia).
La scena del riconoscimento e’ costruita intorno all’equivoco: Elena fugge di fronte a Menelao che e’
ricoperto di stracci e che quindi non e’ grado di riconoscere, mentre Menelao e’ colpito dall’immagine
della donna che ha davanti a tal punto da finire in preda all’afasia (in greco, 549).
Alla fine il riconoscimento si innesca parzialmente grazie a Elena che e’ la prima a rendersi conto di
avere dinanzi a se’ il marito. Non sara’ facilissimo persuadere Menelao e i suoi sensi dell’esistenza di un
doppio: vede una donna in tutto identica alla moglie (‘il corpo e’ proprio quello’ afferma, 577), ma non
puo’ ignorare di aver lasciato la sua sposa in una grotta. Del resto come potrebbe credere alla
spiegazione, datagli da colei che si professa Elena, che furono gli dei a creare un’immagine riempita
d’aria?
‘Come potevi stare qui e aTroia nello stesso tempo? chiede a Elena (587).
‘Il nome puo’ stare ovunque, il corpo no’ (588), replica Elena, forte della conoscenza della verita’.
Lo scioglimento definitivo di questo intricato momento percettivo-conoscitivo e’ affidato a un servo
che, giunto sulla scena, informa Menelao della sparizione di Elena dalla grotta.
PPT18 Al momento di ritirarsi l’Elena-simulacro ha fornito finalmente la vera versione dei fatti: 608-15:
‘Poveri Troiani, poveri Greci tutti: per colpa mia siete morti sulle rive dello Scamandro a causa degli
intrighi di Era, credendo che Paride avesse con se’ un’Elena che non aveva. Io sono rimasta tra voi il
tempo previsto e ho assolto il mio compito: ora me ne torno dal padre mio celeste. La sfortunata figlia
di Tindaro a torto e’ coperta di infamia senza aver commesso alcuna colpa’.
Al dolore privato di una coppia rimasta separata per anni per il capriccioso volere degli dei si aggiunge
un dolore collettivo e pesantissimo, quello di due interi popoli, i Greci e i Troiani, che si sono fatti
guerra maten, per nulla, a sottolineare l’assurdita’ di quell’evento.
15
PPT18 La tragedia, tuttavia, non si occupera’ ancora a lungo delle conseguenze di quel rovinoso
conflitto. Nei restanti 800 versi (siamo circa a meta’ dell’opera), Troia verra’ archiviata, perche’ una
nuova minaccia incombe sulla coppia che si e’ da poco ritrovata: Teoclimeno, il figlio del defunto re
egiziano, insidia Elena per poterla ottenere in sposa, anche se la regina gli resiste fermamente.
La seconda parte del dramma lascia spazio all’inganno che Elena escogita per fuggire dall’Egitto
assieme a Menelao, anche se in realta’ saranno ancora una volta gli dei, con la collaborazione
dell’intermediaria divina Teonoe, a decidere delle sorti dei due sposi: come spesso accade nel dramma
greco, liberta’ e destino sono due piani che si intersecano indissolubilmente. I personaggi euripidei
hanno ampio margine d’azione, ma sempre all’interno di schemi gia’ fissati e stabiliti dalle divinita’.
Elena e Menelao si salveranno, perche’ cosi’ ha deciso Teonoe che non svelera’ al fratello Teoclimeno
l’arrivo in Egitto dello stesso Menelao. Per la salvezza della coppia propende del resto anche Era, la dea
capricciosa del simulacro d’aria.
PPT18 Nel vagliare le differenti possibilita’ di piani di fuga, Menealo non rinnega la sua indole eroica
arrivando al punto da proporre l’uccisione di Teoclimeno, ma sara’ il piano di Elena ad avere la meglio.
Fingera’ che Menelao sia morto e di volerne celebrare il rito funebre, in assenza del morto, in alto mare.
Il vero Menelao fingera’ di essere l’unico superstite del naufragio in cui Menelao stesso risulta aver
perso la vita. Afferma Elena in 1081-2: ‘quel naufragio ora ci fa proprio comodo, anche se a suo tempo
e’ stata certo una tragedia. E’ una sfortuna che potrebbe trasformarsi in fortuna’.
Il seguito dell’azione sara’ proprio all’insegna della fortuna: i due sposi riusciranno a far vela in
direzione della Grecia con una fuga rocambolesca, ma non prima che il coro ci abbia consegnato un
canto in memoria dei caduti a Troia (1107ss.) che si conclude con una critica radicale, durissima alla
guerra PPT19: ‘E’ pazzo chi cerca la gloria a suon di lancia nelle battaglie: e’ un modo rozzo di porre
fine ai problemi dell’umanita’. Se le decisioni vengono affidate alla lotta di sangue, la violenza non
abbandonera’ mai le citta’ degli uomini’ (1151-7).
Sempre il coro, nel suo ultimo intervento, ci fa intravedere la speranza di un nuovo inizio per Elena e
Menelao: e’ un canto d’augurio per un buon viaggio, in cui si susseguono immagini di rapidita’ e
leggerezza. I due sposi sono rappresentati nell’atto di solcare il mare azzurro dalle onde bianche di
schiuma mentre spirano venti propizi. PPT19 Saranno protetti dai Dioscuri, i fratelli divini di Elena, a
cui il coro chiede, oltre alla salvezza dei due personaggi, anche un atto dovuto: di togliere, rimuovere la
cattiva fama della sorella che pesa come un macigno su di lei (1506-10 ‘dissipate l’infamia di vostra
sorella, la calunnia di letti barbari che le e’ stata affibbiata per farle pagare la contesa delle tre dee: lei
non e’ mai andata a Ilio, alle mura costruite da Febo’).
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***
Mi avvio alle conclusioni. Abbiamo incontrato un’Ecuba che conclude la sua esistenza tragicamente
con un gesto che determinera’ la sua metamorfosi in cagna e che dara’ il nome a un promontorio;
Elena, invece, come ci assicurano i Dioscuri nelle battute conclusive dell’opera, quando terminera’ la
sua esistenza, diventera’ una dea e salira’ in cielo.
Le conseguenze della guerra possono percio’ trasformare gli uomini in animali o dei, ma in entrambi i
casi inducono il pubblico antico e noi con lui a riflettere sull’assurdita’ di quel conflitto e di ogni altro
conflitto. Euripide mostra magistralmente come una guerra sorta per futili e leggeri motivi possa
produrre conseguenze pesantissime. Quel simulacro d’aria dovrebbe allora, io credo, assurgere proprio
a simbolo eloquentissimo dell’intollerabilita’ della guerra, di ogni guerra, qualunque ne sia la ragione.
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